I Fotografi dell’ Epopea Risorgimentale
Lo spirito del Grand Tour e l’apparire della fotografia in Italia
Nel suo Voyage of Italy scritto nel 1670, Richard Lassels (1603 ca -1668) adottò l’espressione Grand Tour
per indicare gli itinerari che già dall’inizio del 1600 venivano seguiti dalle elites culturali dell’Europa del
Nord, con il primario obiettivo di ampliare i propri orizzonti.
Lassels aprì infatti la sua pubblicazione con una frase emblematica: “…Omero ci presenta Ulisse come il più
saggio dei greci poiché aveva viaggiato molto e aveva visto città e costumi di molte genti…Anche il giovane
d’oggi dovrebbe viaggiare in Italia e arricchire la propria mente mediante la gravità e le massime di un
paese che ha reso civile il mondo intero e ha insegnato all’umanità cosa significhi essere Uomo…”.1
Un importante spartiacque furono poi le scoperte archeologiche di Ercolano nel 1738 e di Pompei nel 1748
che determinarono anche le nuove coordinate negli itinerari stessi: poiché apprezzando di persona l’antichità
classica e studiando le usanze e la storia dei paesi visitati, ci si preparava in vista di una pubblica carriera.
L’idea del Grand Tour, come fu anche per la pittura con William Gilpin e le sue guide pubblicate fra il 1792
e il 1809, definì così i canoni estetici le convenzioni fatte poi proprie anche dalla fotografia, apparsa nella
prima parte dell’Ottocento2 e così nel 1833 ad esempio, per realizzare i suoi disegni durante il viaggio di nozze
sul lago di Como, William Henry Fox Talbot (1800 - 1877) usò il dispositivo ottico della camera lucida (o
camera chiara), brevettata nel 1807 da William Hide Wollaston (1766-1828) avviandosi così verso l’invenzione
dei procedimenti che permisero la nascita della fotografia.
Come riportato nel suo diario, che ebbi modo di sfogliare nel castello di Lacock Abbey, nel corso di quel
viaggio verso il porto di Trieste per prendere il piroscafo diretto a Corfù, Fox Talbot fece una tappa anche a
Pordenone ospite di Andrea Galvani e poi a Udine, riportando nel diario “…alberi bellissimi…” riferito al
paesaggio friulano.
Fox Talbot venne tuttavia anticipato nell’annuncio della scoperta dal francese Louis Jacques Mandé
Daguerre (1787 - 1851) e subito dopo la comunicazione che François Arago diede il 6 gennaio 1839
all’Accademia delle Scienze di Parigi dell’invenzione della dagherrotipia, Noël-Marie-Paymal Lerebours
(1807 - 1873) inviò numerosi dagherrotipisti a fotografare le meraviglie del mondo, tra cui in Italia Friedrich
Salathé, Frédéric Martens, Paul Legrand. 3
Le immagini prodotte vennero pubblicate dal 1842 sia come litografie ché acquetinte col titolo Excursions
daguerriennes: Vues et monuments les plus remarquables du globe e nel frattempo il dagherrotipo si
diffondeva anche in Italia.
Con queste prime e significative presenze, la fotografia iniziò così a farsi conoscere, grazie in particolare a
uomini di scienza: a Genova, Modena, Napoli, Torino, Firenze, Milano, Roma e Venezia e poi a macchia
d’olio nel resto della Penisola.
A Genova il manuale di Daguerre venne subito stampato in francese da Antoine Beuf e il 4 settembre 1839
tradotto in italiano e pubblicato a Bologna; a Firenze, Tito Puliti Preparatore per le lezioni di fisica all’
Imperiale Regio Museo di Fisica e Storia Naturale, il 2 settembre del 1839 realizzò dei dagherrotipi,
riproponendo poi l’esperimento a Pisa il 7 ottobre in occasione del Congresso degli Scienziati Italiani.
L’ottico e botanico Giovanni Battista Amici (1786 - 1863) si era trasferito nel 1831 da Modena a Firenze
per dirigere l’Osservatorio astronomico del Regio Museo mantenendo con Henry Fox Talbot un intenso
rapporto epistolare frutto dall’amicizia intercorsa sin dal primo viaggio in Italia dello stesso Talbot4, il quale
1
Richard. Lassels, The Voyage of Italy; or A compleat journey through Italy. In two parts ... by Richard Lassels, Gent. who travelled
through Italy five times, as tutor to several of the English nobility and gentry, stampato a Parigi e messo in vendita a Londra da John
Starkey, 1670.
2
William Gilpin: Three Essays: On Picturesque Beauty, On Picturesque Travel; and Skething Landscape, rieditato da R. Blamire,
Londra, 1972.
3
Figlio della sarta Marie Jeanne François Paymal, Noël-Marie-Paymal venne adottato da Noël Jean Lerebours (1761-1840), tra i più
famosi costruttori francesi di strumenti ottici e dal 1800 ottico della Marina e del Bureau des Longitudes: il cannocchiale Lerebours
venne anche citato da Jules Verne nel libro Dalla Terra alla Luna.
Le Excursions daguerriennes: Vues et monuments les plus remarquables du globe vennero prodotte da Rittner e Goupil, Boulevard
Montmartre 15, da Lerebours, Opticien de l’Observatoire, Place du Pont Neuf 13 e da H.r Bossange, Quai Voltaire 11, tra il 1841 e il
1843 per un totale di 111 tavole. Delle vedute pubblicate riguardanti l’Italia, tre furono il risultato di un procedimento di stampa
inventato da Fizeau e Hurlimann.
4
Fox Talbot arrivò a Modena per incontrare Amici nel settembre 1822 (vedi l’ Epistolario Talbot-Amici conservato alla Biblioteca
Estense Universitaria di Modena).
2
inviò nel 1839 e 1840 una serie di disegni fotogenici di felci e erbe, quindici stampe da negativo e una
stampa fatta con il microscopio solare ad Antonio Bertoloni (1775 - 1869) docente di botanica
all’Università di Bologna, e altre al botanico Michele Tenore (1780 -1861) direttore del Giardino Botanico
di Napoli e a Giovanni Battista Amici.5
Nel novembre dello stesso anno, dall' abitazione di Amici a Firenze a Palazzo Demidoff, il filologo e
matematico inglese Alexander John Ellis (1814 - 1890) impresse invece un dagherrotipo di Ponte alle
Grazie.6
A Macedonio Melloni (1798 - 1854) era stata assegnata la cattedra di fisica teorica sperimentale
dell’Università di Parma, ma nel 1830, dopo che manifestò pubblicamente il suo compiacimento per la
cacciata di Carlo X a Parigi, venne destituito dal suo incarico e dovette trasferirsi a Firenze, rientrando in
patria solo nel 1837 grazie all’intercessione di Alexander von Humboldt e François Arago.
Nel 1839 venne nominato direttore dell’Osservatorio meteorologico e del Conservatorio di arti e mestieri a
Napoli, e il 12 novembre 1839 presentò la scoperta annunciata dall’ amico Arago: dieci anni dopo venne
però destituito da tutte le cariche a causa dei moti risorgimentali cui aveva aderito.7
Gaetano Fazzini (1806 - 1878), che aveva frequentato Daguerre per farsi spiegare di persona il suo
procedimento e collaborava con Macedonio Melloni, il 28 novembre 1839 realizzò in pubblico alcune prove
pratiche davanti a una folla entusiasta e il 15 dicembre dello stesso anno ripropose l’esperimento nello
Stabilimento Poligrafico del Poliorama Pittoresco alla presenza del fratello di Ferdinando II° di Borbone.
Il Poliorama Pittoresco dedicò un numero monografico all’avvenimento con tanto di riproduzioni
litografiche tratte dai dagherrotipi.
Anche la Gazzetta privilegiata di Venezia pubblicò la notizia dell’annuncio di Arago già il 18 gennaio 1839,
e verso la fine dell’anno Francesco Zantedeschi (1797 - 1873), che occupò anche la cattedra di fisica
dell’Università di Padova, realizzò immagini del Ponte di Rialto, di Cà Pesaro e di altri monumenti
veneziani, come realizzò dagherrotipi pure Francesco Malacarne (1778 - 1855).
A Verona furono il conte Francesco Annoni (1804 - 1872) e Giacinto Toblini (1785 - 1852) che da parte
sua era stato buon testimone del lavoro di Annoni, a essere i pionieri della dagherrotipia.8
A Torino, nell’ ottobre del 1839, Enrico Jest, fornitore di macchine ottiche della Regia Università, fabbricò
con il meccanico Rasetti il primo apparecchio per dagherrotipia provando l’8 ottobre con il figlio Carlo a
realizzarne in pubblico alcuni dagherrotipi tra cui una veduta della chiesa della Gran madre di Dio, e il mese
successivo Alessandro Duroni (1807 - 1870) “…allievo di Monsieur Cauche di Parigi, ottico e fisico tiene
assortimento di tubi di vetro per istrumenti di meteorologia, fisica e chimica, ec. Galleria De Cristoforis
26…”9, importò i primi apparecchi Daguerre – Gioruk ottenendo le prime vedute di Milano già in
novembre.10
Nel 1852 Duroni realizzò il ritratto in dagherrotipo di Alessandro Manzoni e del figlio adottivo del poeta
Stefano Stampa (Milano, 1819 - 1907) che a sua volta fu dagherrotipista e ritrasse la madre, Teresa Stampa.
Tra i pionieri di questa arte vi furono il chimico Antonio De Kramer (1806 - 1853) e Ferdinando Artaria
(1781 - 1843) discendente di una celebre famiglia di editori di stampe originari di Blevio nel Comasco,
realizzò dagherrotipi in funzione delle successive incisioni all’acquatinta, affidando poi il riporto delle
Nel luglio del 1839 Amici scrisse a Lerebours manifestandogli il suo interesse verso la dagherrotipia e mantenne nel tempo anche
l’amicizia con le due sorelle di Fox Talbot, Horatia e Caroline. Quando Amici visitò Londra nel 1844 per presentare un nuovo
progetto di microscopio, incontrò nuovamente Henry Fox Talbot, che gli lasciò in dono il primo fascicolo di The Pencil of Nature.
5
I disegni fotogenici venivano ottenuti da Talbot per contatto, senza camera oscura, ma solamente collocando un oggetto su carta
sensibile ed esponendola alla luce solare. Le immagini inviate a Bertoloni vennero raccolte nel preziosissimo incunabolo Album di
disegni fotogenici conservato al Metropolitan Museum of Art di New York, mentre la Biblioteca Estense di Modena conserva le 21
immagini inviate da Fox Talbot a Giovanni Battista Amici.
6
cfr. Registro dei visitatori dello Studio di Giovanni Battista Amici dal giugno 1818 al gennaio 1844 e taccuini, in A. Meschiari, Il
Libro de' conti del laboratorio di Giovanni Battista Amici e altri documenti inediti, Tassinari, Firenze 2003.
7
Il Melloni, manteneva inoltre un rapporto epistolare con G.B. Amici, dal quale ricevette il 21 agosto 1839 una serie di diciannove
calotipi. A Bologna invece, il botanico Antonio Bertoloni aveva presentato il 2 maggio una “memoria” di Fox Talbot alla XXIIa
sessione dell’Accademia delle Scienze.
8
Giovanni Minotto (1803 – 1863) fu colui che divulgò dalle colonne della Gazzetta Ufficiale di Venezia e dai fascicoli del
Dizionario tecnologico, le sperimentazioni di Zantedeschi realizzate al Gabinetto di Fisica del Liceo Santa Caterina a Venezia.
9
La Guida di Milano, 1839
10
Fu anche la traduzione in italiano nel 1845, da parte di Carlo Jest del Trattato pratico di fotografia di Marc – Antoine Gaudin che
aiutò l’ iniziale espansione della dagherrotipia.
3
immagini sul rame ad alcuni incisori milanesi di primo piano: Luigi Cherbuin, Johann Jakob Falkeisen,
Francesco Citterio11 nello stesso periodo in cui erano attivi gli itineranti inviati da Lerebours.
Francesco Heyland e il padre iniziarono l’attività a Milano come dagherrotipisti per poi dedicarsi alla
calotipia associandosi per un periodo con Hyppolite Deroghe; Adelaide De Giorgis, fu attiva verso il 1857
- 1860.
Giulio Rossi (1824 - 1884) divenne titolare di uno dei più apprezzati atelier della città, autore dell’ultimo
ritratto pervenutoci di Alessandro Manzoni e invece, il nobile udinese Augusto Agricola (1819 - 1857)
fotografo dilettante vissuto a Milano, fu una meteora come Enrico Del Torso scrisse sul retro del calotipo
“Atrio di Sant’Ambrogio” realizzato da Agricola stesso nel 1855: “… appassionatissimo dilettante di
fotografia in tempi in cui quest’arte era ancora ai suoi primordi. Pare anzi che lo stesso sia morto
avvelenato dalle sostanze chimiche che manipolava a tale scopo…”.
I primi atelier di Roma apparvero nel 1840 con Achille Morelli (1812 -?) e Lorenzo Suscipj (1802 – 1885
ca), autore della più antica fotografia panoramica realizzata in Italia e composta di otto grandi dagherrotipi
(30 x 35), realizzati nel 1841 dall'alto della chiesa di S. Pietro in Montorio, ma realizzarono dagherrotipi
anche il professore di chimica Antonio Chimenti (1802 - 1843) e lo scienziato e padre gesuita, Vittorio
Della Rovere soprattutto tra il 1842 ed il 1851, anno in cui questi concluse la sua carriera di docente di
Fisica e Chimica al Collegio Romano: una delle sue opere più note fu un dagherrotipo del 1845 che ritraeva
papa Gregorio XVI e la sua corte durante una visita a Tivoli.
A Parma fu presente l’ itinerante Augusto Meylan che si trasferì nel 1853 a Torino in un atelier in Piazza
Castello per realizzare “…photographie …daguerréotype en noir ou coloriés. Portraits pour cartes de visite
et pour stéréoscopie…”.12
A Torino si insediarono Gioacchino Boglioni (1799-1859) e Filiberto Cazò e Meissner & Steinzel
ritrassero, nel giugno del 1841 Silvio Pellico13 e verso il 1850, dagherrotipisti rimasti anonimi ritrassero
Vincenzo Gioberti, tra i primi a sostenere l’unificazione dell’Italia, e il patriota Michele Novaro che musicò i
testi di Goffredo Mameli per Il canto degli italiani o (Inno di Mameli).
Francesco Metzger raffigurò invece la Granduchessa Maria Antonietta, il Granduca e il figlio Francesco IV
di Toscana
Oltre agli schizzi e acquerelli che normalmente realizzava per il suo lavoro di disegnatore e storico dell’arte,
intuì il valore del dagherrotipo e della sua perfezione anche John Ruskin (1819 - 1900), colui che aveva
scoperto l’opera del pittore Joseph Mallord William Turner.
Ruskin nel 1844 iniziò i suoi viaggi a Venezia e in Italia abbinati all’uso metodico della dagherrotipia: sin
dalla prima metà dell’800 tutti i maggiori pittori da Turner al pittore di Bristol William James Műller, a
Delamotte padre e figlio, ai francesi Gérôme (allievo e amico di Delaroche) fino a Corot e alla scuola di
Barbizon, realizzarono essi stessi dagherrotipi e poi calotipi e quindi fotografie al collodio umido da cui
copiare i paesaggi che intendevano dipingere, come già facevano per i ritratti in posa risparmiando così
tempo e denaro.14
11
Nel 1843 presentò così 80 trascrizioni di dagherrotipi in acquatinta in un album di cui fu editore poco prima di morire: Guide
d’Italie – Vues d’Italie d’après le daguerreòtipe in formato 16,5 x 21,5 cm., quindi con ricalco diretto (Vedi: Maria Francesca
Bonetti, L’Italia d’argento, 1839 – 1859. Storia del dagherrotipo in Italia, Alinari Idea, Firenze, 2003, pag. 31 e segg.)
12
Nell’aprile 1840 la tipografia Rossetti di Parma diede alle stampe, notandola come prima edizione dopo quella di Napoli, la
Relazione intorno al dagherrotipo letta alla R. Accademia delle Scienze nella tornata del 12 dicembre 1839 da Macedonio Melloni
corredandola con alcune tavole illustrative assenti nell' edizione napoletana.
Nel ducato di Parma i primi dagherrotipi li realizzò la dagherrotipista itinerante parigina Josephìne Dubray arrivata da Genova con
la diligenza giornaliera il 22 giugno 1844 e che immortalò tra gli altri la duchessa Maria Luigia trasferendosi poi a Bologna. Venne
seguita dopo poco tempo da un altro dagherrotipi sta itinerante, Alberto Weiss.
Invece, il pittore e fotografo Giacomo Isola (1837-1884) proveniva da una famiglia di patrioti: i fratelli furono in prima fila nei moti
del 1848-49: Antonio con la divisa dei volontari parmensi e Carlo e Giuseppe partecipando ai moti del 22 luglio 1854 per i quali
furono condannati ai lavori forzati a vita. Nel 1862 Isola fotografò Giuseppe Garibaldi a Parma e nel 1864 si recò a Caprera e nel
1866, insieme a Carlo Antonietti (1821-1910) documentò la presa di Borgoforte nel corso della Terza Guerra di Indipendenza.
13
Come riportato ne L’Italia d’argento, 1839-1859, storia del dagherrotipo in Italia, a cura di Maria Francesca Bonetti e Monica
Maffioli, Alinari, 2003, pag. 167, al verso del dagherrotipo, l’iscrizione Silvio Pellico negli ultimi anni e l’etichetta originale con
nome degli autori e data.
14
Aaron Scharf, Arte e fotografia, Einaudi, 1979, pag. 88 e segg. I macchiaioli fiorentini (l’unico movimento dell’epoca che meritò
l’appellativo di scuola) a loro volta usarono la fotografia come “schizzo”: per loro la forma non esisteva ma era creata dalla luce e
l'individuo vedeva tutto il mondo circostante attraverso forme non isolate dal contesto della natura, quindi come macchie di colore
distinte o sovrapposte ad altre macchie di colore, perché la luce colpendo gli oggetti viene rinviata al nostro occhio come colore.
Inoltre, ha scritto Monica Maffioli ne I macchiaioli e la fotografia – quando l’obbiettivo rivoluzionò il pennello, Alinari, Firenze,
2008: “…la fotografia… non deve, come la pittura, separare gli oggetti con linee di contorno, giacché procede per giustapposizioni
di macchie di colore e di contrasti luci-ombre…”.
4
L’ età del collodio implicò, dagli anni 1850, la diffusione degli atelier: la fotografia venne anche considerata
dalla borghesia come alternativa alla pittura e riconosciuta subito come proprio mezzo di rappresentazione.
L’Italia tuttavia mantenne un significativo ritardo, come si può cogliere dall’inserimento nel mercato delle
carte de visite solamente dieci anni dopo rispetto alla Francia.
Il Risorgimento
L’arrivo della fotografia in Italia aveva coinciso con quelle idee di identità nazionale che si stavano
diffondendosi nel Paese e la rivoluzione tecnologica e liberale (il libero scambio) frutto dell’illuminismo
europeo contrastava la tradizionale alleanza tra potere politico e spirituale sanzionata dal Congresso di
Vienna.
Già i moti del 1848 avevano messo in luce questi problemi, aprendo la strada alla concessione delle
Costituzioni da parte di Ferdinando II nel Regno delle Due Sicilie, del Granduca di Toscana Leopoldo II° e
di Carlo Alberto di Savoia che dichiarò anche guerra all’Austria.
Con l'allocuzione del 29 aprile 1848 il Papa Pio IX ribadì invece che al “Padre di tutti i fedeli” non era lecito
far guerra a uno Stato cattolico quale era l'Austria.
Leopoldo II e Ferdinando II seguirono il suo esempio e ritirarono le loro truppe inviate a sostegno dei
piemontesi. Il re delle Due Sicilie addirittura sciolse il Parlamento provocando sanguinosi tumulti e
conseguenti feroci repressioni.
Anche Diego Mormorio sottolinea che “…Le strade del mondo s’ intrecciano o corrono parallele con quelle
dei fotografi....Quello che rimane ancora da dire chiaramente è, invece, che questa magnifica invenzione
non ha solo accompagnato la storia, ma che ha contribuito a farla. Nelle vicende risorgimentali, ad
esempio, essa ha avuto un ruolo quasi fondamentale. La lotta politica e militare fu anche lotta fotografica.
Lotta tra fotografie. Le immagini fotografiche furono, infatti, in un modo che potrebbe a qualcuno risultare
oggi incredibile, al centro della battaglia.
I volti dei personaggi più importanti nelle vicende che hanno condotto all’unità d’Italia ci sono giunti
attraverso la fotografia…attraverso la diffusione dei loro ritratti, si compiva una sorta di avvicinamento
fisico tra i protagonisti della lotta politica e militare e il pubblico aristocratico e borghese. Quest’ultimo
aveva l’impressione di conoscere da vicino – proprio perché con il ritratto fotografico ne possedeva
“l’immagine autentica” – quei personaggi che altrimenti sarebbero rimasti senza volto o avrebbero avuto
quello “non oggettivo” del disegnatore…”15
In un suo saggio, Giulio Bollati ha anche ricordato come ”…L’unificazione del paese inaugura un’epoca
nuova anche per la fotografia. Mentre da un lato si rafforza lo status artigianale - commerciale del fotografo
e si moltiplicano gli studi ricchi di poltrone e di velluti, dall’altro la fotografia viene chiamata a compiti di
rilevante interesse nazionale…”.16
Così come, rispetto a quello che viene anche definito “l’archivio fotografico del Risorgimento”, “…I mezzi
tecnici non permettono di fissare il movimento…ma è proprio il modo peculiare di risolvere il rapporto
stasi-movimento quello che differenzia…le intensissime fotografie della Guerra di Secessione di Brady e dei
suoi colleghi, da quelle che ci restano del nostro moto unitario…l’immobilità, le lacune, sono elementi
essenziali del processo storico in questione. A una prima impressione, ci restano negli occhi le insistite
rovine – antiche o da combattimento recente – sullo sfondo di tranquille campagne e di giardini patrizi
sporgenti da alte mura…degli avvenimenti abbiamo il prima e il dopo. Domina un senso di intervallo su
barricate deserte, attendamenti, carriaggi in sosta, foto di gruppo…(e poi)…Guardando meglio i campi di
battaglia, si può notare la differenza tra il modo repubblicano e il modo monarchico di vedere la
guerra…La difesa di Roma del 1849 …dà luogo a notevoli tentativi di informazione giornalistica, i cui temi
sono l’eroismo, il valore sfortunato, l’orgogliosa pietà per i feriti…Dieci anni dopo… ha inizio la censura
fotografica…L’imperatore francese e il re sardo temono evidentemente il turbamento delle rispettive
opinioni pubbliche alla vista di cadaveri e di uomini logorati…”17
Fu con la repressione del brigantaggio, negli anni immediatamente successivi alla presa di Roma, che i morti
vennero messi in posa, mentre negli Stati Uniti Mathew Brady (1823 - 1896) e i suoi collaboratori
15
Diego Mormorio, Elementi visivi per un museo didattico dell' epoca risorgimentale, Città di Marsala, 2010.
Giulio Bollati, Fotografia e storia, in Fotografia italiana dell’Ottocento, Electa Editrice/Edizioni Alinari, 1979, pag. 3
17
Giulio Bollati, ibidem, pag.3
16
5
portarono il vero volto della guerra nelle case degli americani, con il suo carico di morti e di orrori, grazie
alle mostre presentate in affollatissime rassegne già durante il conflitto.
Il più antico reportage fotografico di guerra al mondo fu tuttavia quello realizzato nel 1849 dal pittore e
fotografo Stefano Lecchi (1805 - 1863 ante) che documentò con la calotipia i luoghi dove si erano svolte
violente battaglie per la presa di Roma e “…le rovine, che a Roma segnavano il paesaggio urbano col
riflesso dell’antico splendore…si allargano a coprire ora altre zone della città. L’accumulo delle nuove
stratificazioni non è dato dall’inevitabile trascorrere del tempo, ma dalla violenza degli scontri che ha
rinnegato il quadro rassicurante della bellezza del paesaggio attribuendogli un diverso e nuovo connotato
storico…” .18
I luoghi rappresentati, tra cui il Ponte Milvio, San Pietro in Montorio, Casale Cenci, il casino di Raffaello a
Villa Borghese, il Vascello fuori di Porta San Pancrazio e Villa Savorelli (allora quartier generale di
Garibaldi), furono tutti particolarmente significativi nella difesa della Repubblica Romana e Lecchi li
ripercorse perché rimanesse “…imperituro ricordo dei luoghi in cui si distinsero, scrivendo una pagina di
estrema importanza nella storia del nostro Paese…”19 ma anche inserendo delle presenze umane tali da
“…fornire una scala di riferimento su cui dimensionare gli altri elementi della composizione…”.20
L’ Accademia delle Scienze di Parigi aveva attestato l’attività di Lecchi già dal 1842 quando presentò una
proposta per colorare i dagherrotipi21; anche il reverendo Calvert Richard Jones vide calotipi di Lecchi nel
sud della Francia prima del 1845 e nel 1847 George Wilson Bridges lo incontrò quando stava fotografando a
Napoli e Pompei, come entrambi i calotipisti inglesi scrissero a Henry Fox Talbot.22
In ogni caso “…è certo che nell’ambiente democratico e specialmente mazziniano queste immagini sono
state per lungo tempo considerate come una testimonianza dell’eroica difesa di Roma e del progetto
repubblicano. Ce lo conferma un brano della scrittrice cui Pisacane affidò il suo testamento il giorno prima
di partire per la sua sfortunata impresa di Sapri, Jessie White, moglie di Alberto Mario, uno degli uomini
più vicini e fedeli a Garibaldi: “Quanti frequentarono la casa di Agostino Bertani in Genova si saranno
fermati più di una volta nella sala di entrata per esaminare quella serie di fotografie di rovine romane e
leggervi sotto le indicazioni scritte a mano”…”.23
Nel 1849 anche Giacomo Caneva, frequentatore ed amico del fervente patriota e pittore di origine bellunese
Ippolito Caffi (1809-1866), e Jean François Flachéron fotografarono i luoghi dell’assedio e della battaglia
per la difesa di Roma come si desume da un negativo impresso con una macchina per dagherrotipie.24
Garibaldi, dopo la rocambolesca fuga da Roma verso Venezia, il 27 giugno 1850 giunse a Liverpool e si
imbarcò per Staten Island, New York dove soggiornò a casa dell’inventore Antonio Meucci.
Durante quel periodo, Matthew Brady impegnato a costruire la Galleria di ritratti dei personaggi più
importanti del Secolo, realizzò il suo ritratto in dagherrotipo.
Invece il pittore e fotografo ungherese ma vissuto in Romania Carol Popp de Szathmari (1812 - 1887)
fotografò l’occupazione russa dei principati rumeni e poi dal 1853 le avvisaglie della guerra in Crimea tra
russi e turchi. Divenne di fatto il primo fotografo presente in un conflitto che ebbe poi importanza anche per i
18
Maria Pia Critelli, Stefano Lecchi un fotografo e la Repubblica Romana del 1849, Retablo, Roma, 2001, pag.25
Marina Miraglia, Come Simonide di Ceo, in Stefano Lecchi un fotografo e la Repubblica Romana del 1849, op. cit., pag.18
20
Maria Pia Critelli, op.cit., pag.30
21
Comptes rendu hebdomadaires des séances de l’Académie des Sciences, publiés conformément a une decision de l’académie en
date du 13 juillet 1835, par MM. les Secrétaires perpétuels, Tome quinzieme, Juillet-decembre 1842, Paris, Bachelier, ImprimeurLibraire, 1842, pag.752, citato da Silvia Paoli in Veduta e reportage, in Stefano Lecchi un fotografo e la Repubblica Romana del
1849, op.cit., nota n. 28
22
Silvia Paoli, Veduta e reportage, in Stefano Lecchi un fotografo e la Repubblica Romana del 1849, op.cit., pag.48
23
Diego Mormorio, Diego Mormorio, Elementi visivi per un museo didattico dell'epoca risorgimentale,, op.cit.
24
Vedi: AA.VV., L’Immagine di Roma, 1848-1895, Electa Napoli, 1994, pag. 81.Gli stessi luoghi vennero poi rivisitati da Ludovico
Tuminello quando rientrò a Roma dall’esilio in Piemonte. Nel 1848 Ippolito Caffi combatté gli austriaci in Friuli e nel 1860, dopo
essere stato anche arrestato, riuscì a raggiungere a Napoli i garibaldini ritornando a fare il pittore a Venezia dopo l’unità d’Italia.
Morì nel corso della battaglia di Lissa del 1866. Anche il pittore milanese Gerolamo Induno (1825-1890) si arruolò volontario con il
generale Giacomo Medici per difendere Roma, combattendo al Vascello e poi partecipò alla Guerra di Crimea. Vedi anche: Anna
Margiotta, Fotografi e patrioti, in Il Risorgimento dei Romani, Fotografie del 1849 al 1870, a cura di Maria Elisa Tittoni, Anita
Margiotta, Fabio Berti, Gangemi editore, Roma, 2010, pag.16 – 17.
Sulla Repubblica Romana vedi anche: SIEGE DE ROME en 1849 par l'Armée Française Journal des opérations de l'Artillerie et du
Génie, Imprimerie Nationale, Paris, 1851; Lo Assedio di Roma, Libreria Editrice Dante Alighieri, Milano, 1870; La Rivoluzione e la
Repubblica Romana (1848 - 1849), Ed. Vallardi, Milano, 1913; Storia della repubblica Romana del Quarantanove, U. Magnanti
Editore, Anzio, 2000; PIO IX e la distruzione della Repubblica Romana1849 una pagina nera nella storia del papato, Serarcangeli
Editore, Roma, 2001; La meravigliosa storia della repubblica dei briganti - Roma 1849 - Mazzini, Garibaldi Mameli, Mursia, 2005;
Le Erme del Granicolo, Punctum, Roma, 2007.
19
6
fatti italiani sin dai successivi accordi di Plombieres del 1858 che prepararono la Guerra di Indipendenza del
1859.
A metà novembre del 1855 Léon-Eugène Méhèdin (1828 - 1905) insieme al pittore Jean-Charles Langlois
(1789 - 1870) specializzato nei quadri di panorami di grandi dimensioni, Jean Baptiste Henry Durand
Brager (1814 - 1879) e Lassimonne (questi ultimi presenti fino al mese di marzo 1856)25, vennero inviati da
Napoleone III in Crimea in quanto l’Imperatore francese era rimasto colpito dall’ enorme successo avuto in
Europa dalle fotografie che là vi aveva realizzato Roger Fenton (1829 - 1869) tra il febbraio e il giugno
dello stesso anno e pubblicate dal Times di Londra come litografie. 26
Per le pessime condizioni di salute, Fenton rientrò a Londra il 26 giugno 1855 e al suo posto sbarcò a
Sebastopoli il fotografo inglese James Robertson (1813 - 1888) insieme con il socio Felice Beato (1833 ca
- 1907 ca) che inizialmente si dedicarono a Balaklava, realizzando complessivamente circa sessanta
fotografie.
La città assediata cadde definitivamente nel settembre di quello stesso anno e Robertson ebbe il privilegio di
fotografare i cannoni abbandonati, gli edifici prima della loro distruzione ad opera degli alleati e inoltre
gruppi di soldati piemontesi, inglesi, francesi e turchi.
In Crimea era presente anche un corpo di spedizione di bersaglieri al comando del generale Alfonso Ferrero
La Marmora (1804-1878) il quale fece in modo che anche il fratello, il generale Alessandro Ferrero La
Marmora (1799 - 1855), colui che nel 1835 aveva presentato al re del Piemonte Carlo Alberto la sua
Proposizione per la formazione di una compagnia di Bersaglieri e modello di uno schioppo per suo uso,
facesse anch’egli parte della spedizione, nonostante avesse il fisico debilitato dall’assistenza prestata negli
ospedali di Genova a seguito dell’epidemia di colera dell’anno precedente.27
Langlois e Méhèdin arrivarono solamente dopo la fine dell'assedio di Sebastopoli e patirono il freddissimo
inverno: per questo, dovettero affrettarsi nel riprendere i demolitori all’opera. 28
In Italia Méhèdin realizzò dodici fotografie che rappresentarono i luoghi dove si svolsero le principali
battaglie, pubblicate in un album di formato 38 x 55 cm.: Campagne d’Italie en 1859: vues de Magenta,
Milan, Melegnano, Dezensano (sic), Valeggio, Villafranca et du pont de Buffalora, 1859.29
Alcuni fotografi realizzarono anche immagini che rappresentarono la cruda realtà degli esiti finali dei
combattimenti e una di queste fotografie, sulla battaglia di Melegnano (8 giugno 1859) attirò l’attenzione di
Oliver Wendell Holmes, che descrisse così le tragiche cataste di corpi dei combattenti caduti: “…flung
together like sacks of grain, some terribly mutilated, some without mark of injury…”.30
Al seguito dell’esercito francese ci fu anche Henri Le Lieure de l'Aubepin (1831 - 1914) che al termine
della guerra si fermò in Italia aprendo il proprio studio, Fotografia Parigina a Torino e quindi una seconda
attività a Roma e specializzandosi nelle stereoscopie.31
La fotografia aveva già superato l’unicum del dagherrotipo, e tra i pionieri calotipisti, Luigi Sacchi (1805 1861) dopo aver anch’egli fotografato nel corso della seconda guerra d’Indipendenza, fu presente insieme
25
Il loro lavoro, realizzato in inverno, venne pubblicato a Parigi da Goupil e a Londra da Gambart & Co.
Dopo che il corrispondente del Times, William Russel, aveva trasmesso a Londra resoconti drammatici di quel conflitto, il
Governo inviò Roger Fenton per una operazione sostanzialmente propagandistica ed egli difatti si dedicò (anche per oggettive ragioni
tecniche) a riprendere la vita negli accampamenti e i ritratti dei soldati e degli ufficiali. Le fotografie di Fenton vennero oubblicate
nell’album Incidents of Camp Life.
Dopo le vicende della guerra di Crimea, il British Corps of Royal Engineers fu la prima organizzazione militare che nel suo quartier
generale a Chatham dal 1856 organizzò un corso di fotografia con il Department of Science and Art of the Committee on Council of
Education destinato a scelti Royal Engieneers presso il South Kensington Museum poi divenuto Victoria and Albert Museum.
27
Cristoforo Manfredi, La spedizione Sarda in Crimea nel 1855-56, Stato Maggiore Esercito – Ufficio Storico, Voghera, 1896. Alla
spedizione in Crimea prese parte anche la moglie di Alfonso Ferrero La Marmora, Giovanna Teresa Bertie Mathew, sposata nel 1849
che nel corso di quel conflitto realizzò una vasta serie di disegni e schizzi e il nipote Vittorio, comandante del porto di Balaklava ed
anch’egli autore di schizzi ed acquerelli. In Crimea, Alessandro Ferrero La Marmora morì invece di colera.
28
In Crimea per la prima volta Lamglois sostituì i tradizionali schizzi preparatori con fotografie e nel 1859 con lo stesso sistema
dipinse il grandioso panorama della Battaglia di Solferino. I negativi realizzati, portati a Parigi nel giugno 1856 vennero poi
sviluppati da Frédéric Martens, fotografo di Napoleone III e con questi “appunti fotografici” realizzò il grande quadro Panorama di
Sebastopoli che venne presentato al pubblico tra il 1860 e il 1865.
29
André Rouillé, François Robichon, Jean Charles Langlais. La photographie, la peinture, la guerre. Correspondance inédite de
Crimée (1855-1856), Editions Jaqueline Chambon, Nimes, 1992; André Rouillé, Crimée 1854-1856. Premiers reportages de guerre,
Musée de l’Armée, Parigi, 1994; Claire Bustarret, Autobiographie photographique de Léon Méhèdin in La recherche
photographique, n.1, ottobre 1986.
30
Su Atlantic Monthly del luglio 1861. Nella rivista Photographic News un fotografo dilettante, passato alla storia solo con le proprie
iniziali, J.L., scrisse invece, di aver realizzato alcune lastre al collodio della battaglia di Palestro (30-31 maggio 1859).
31
Michele Falzone del Barbarò, Henri Le Lieure, maestro fotografo dell'Ottocento: Turin ancien et moderne, Fabbri, Milano, 1987 ;
Gabriele Borghini, Il mondo in stereoscopia: Henri Le Lieure fotografo e collezionista, Electa, Napoli, 1996.
26
7
all’amico pittore ed editore (e fotografo egli stesso) Pompeo Pozzi (1817 - 1880) anche nel 1860 a Palermo,
dove documentò le barricate e i danni provocati dai bombardamenti borbonici.
Quindici anni prima, Luigi Sacchi aveva fondato a Milano il Cosmorama Pittorico, la prima rivista in cui le
illustrazioni ricoprivano un ruolo significativo e che dotò di una apposita tipografia affidandone la direzione
al cugino Defendente Sacchi fino alla morte di lui nel 1840.
Luigi da parte sua vi contribuì come pittore e xilografo, come fu l’impresario della prima edizione illustrata
de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni e negli anni 1850 iniziò a produrre le sue cartelle Monumenti,
vedute e costumi d’Italia.32
Da Marsiglia, il 10 giugno 1860 giunsero a Palermo lo scrittore Alexandre Dumas e Gustave Le Gray (1820
- 1882) che documentò la devastazione causata dai bombardamenti borbonici della città capitolata quattro
giorni prima attraverso vedute deserte di uomini.33
Garibaldi fu conscio dell' immensa importanza della fotografia e non tardò a farsi ritrarre dal già famoso Le
Gray, come Dumas ricordò nel romanzo I garibaldini, pubblicato nel 1861 dove descrisse anche la battaglia
di Calatafimi. Dumas fu poi a fianco di Garibaldi quando entrò a Napoli.34
A documentare la liberazione della Sicilia furono presenti anche i ritrattisti per eccellenza della nobiltà
palermitana i fratelli francesi Edouard e Victor Laisnè (1817 - 1907) autori di alcune immagini di battaglia
apparse come illustrazioni ne Le Monde Illustré e l’ufficiale di marina Louis Vigne (1831 - 1896) che aveva
già realizzato calotipi in Terra Santa.
Tra i più noti dagherrotipisti itineranti in Europa, Alphonse Bernoud (1820 - 1889) lavorò in molte città
italiane, fra cui Napoli dove aprì un atelier, Firenze (dove ebbe modo di fotografare la famiglia Savoia) e
Livorno.
Nel 1857 venne inviato nelle zone colpite dal terremoto in Basilicata e nel 1860 a Napoli, divenne fotografo
ufficiale della Corte Borbonica e così documentò, al pari di Gustavo Reiger, l’assedio di Gaeta e gli eventi
che portarono alla caduta di quella monarchia nel 1861.
Originario di Bologna Carlo Neopolo Bettini (1819 - 1866 post) per le sue convinzioni politiche dovette
emigrare in Egitto e una volta rientrato nel 1859 e trasferitosi a Livorno, costituì lo Studio Fotografico
Felsineo, fotografando negli anni successivi anche Garibaldi.
Il giornalista livornese Paolo Coccoluto Ferrigni, che firmava i suoi pezzi come Yorick figlio di Yorick, e non
fu mai fotografo, dopo aver seguito Garibaldi in Sicilia si entusiasmò per questa tecnica e nel 1864 collaborò
con Alphonse Bernoud, nella stesura delle biografie per una pubblicazione a dispense monografiche
riguardanti i personaggi più attuali del periodo, tra cui politici, artisti, militari, letterati e diplomatici: L’Italia
contemporanea, Grand’Album fotografico illustrato di celebrità artistiche, letterarie, politiche, diplomatiche
e nel 1889 ebbe un ruolo di rilievo nella costituzione della Società Fotografica Italiana avvenuta a Firenze e
la cui prima presidenza venne affidata all’antropologo Paolo Mantegazza.
Al pari di Bernoud, anche Eugéne Sevaistre (1817 - 1897) si era stabilito in Italia e nel maggio del 1860,
quando Garibaldi sbarcò a Marsala, erano già due anni che aveva aperto il suo atelier a Palermo.
Sue furono le immagini, raccolte in album, delle barricate di Palermo, del campo di battaglia di Calatafimi e
l’anno dopo seguì le truppe di Garibaldi fino all’assedio di Gaeta.
E’ vero allora che “…La lotta risorgimentale coincideva dunque con il trionfo della fotografia…Subito dopo
lo sbarco di Garibaldi a Marsala cominciò a circolare una grandissima quantità di fotografie del generale,
alla quale la parte borbonica oppose una quantità altrettanto considerevole di immagini dell’ex regina
Maria Sofia. All’idea risorgimentale veicolata dall’immagine di Garibaldi si contrapponeva così l’idea della
restaurazione del monarchia napoletana attraverso l’affascinate figura della sorella di Sissi imperatrice
32
Vedi anche: Giuseppe Mongeri, Della fotografia e di alcune recenti pubblicazioni calotipiche del pittore Luigi Sacchi, in Il
Crepuscolo, Rivista settimanale di Scienze, Lettere, Arti, Industria e Commercio, Milano, III, n.17, 25 aprile 1852, pagg. 265 – 268;
n.18, 2 maggio 1852, pagg. 283 – 286; Luigi Sacchi, un artista dell’Ottocento nell’Europa dei fotografi, a cura di Roberto Cassanelli,
Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte, Milano, 1998, Luigi Sacchi lucigrafo a Milano 1805 – 1861, a cura di Marina Miraglia,
Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Istituto Nazionale per la Grafica, Federico Motta , Milano, 1996.
33
Già dai tempi di Garibaldi in Sudamerica, Dumas aveva trasmesso al mondo la sua immagine in positivo: ma oltre ad ammirarlo
aveva anche un conto personale aperto con i Borboni che al rientro per nave dall’Egitto, avevano catturato e imprigionato a Brindisi e
poi avvelenato suo padre (che morì dopo 5 anni di cancro allo stomaco), il generale Manscourt, che di conseguenza impazzì e lo
scienziato Dolomieu che morì subito.
34
Secondo quanto riportò Alexandre Dumas nel suo diario, Le Gray realizzò a Palermo almeno 20 fotografie andate quasi tutte
disperse, tranne le poche esistenti oggi. A Napoli, Alexandre Dumas venne nominato da Garibaldi Direttore degli scavi e dei musei,
mantenendo la carica per tre anni (1861-1864) sino a quando si dimise e rientrò a Parigi a causa dei malumori dei napoletani, che mal
digerivano che uno straniero occupasse quell’ incarico.
8
d’Austria, che proprio nello stesso momento (e per ragioni altrettanto politiche) circolava abbondantemente
in effigie in Austria-Ungheria e fuori.
Ancora un esempio: un ruolo eminentemente politico-militare ebbero le immagini delle barricate di Palermo
e della battaglia di Gaeta. Quest’ultime soprattutto servirono alla monarchia sabauda per diffondere
l’immagine della sua forza militare, che doveva servire a contrastare la forte reazione che il nuovo stato
unitario ancora incontrava nel Sud. La stessa funzione ebbero le immagini dei “briganti” uccisi e catturati,
che circolarono copiosissime.
La fotografia non solo documentava, ma era essa stessa il teatro di una battaglia ancora non conclusa…”35
All’epopea dei Mille legò indissolubilmente il proprio nome anche Alessandro Pavia (1826 - 1889),
fotografo genovese che tra il 1860 e il 1866 realizzò e pubblicò in un unico album i ritratti dei partecipanti
alla spedizione con Garibaldi.36
Ad Alessandro Pavia, il giornale Il Caffaro di Genova dedicò un articolo appassionato: “…la gloria della
sua vita fu d’aver fotografato uno per uno, tutti i Mille di Marsala. Quelli che non riuscì a ritrarre in
persona, riprodusse da altre fotografie e quadri, e fu ben fiero il giorno in cui poté offrire un album,
passabilmente completo, al Gran Duce dei Mille. Vedendo gli amici, per via, o di sera al caffé, la sua
materia saliente era sempre: oggi ho fotografato due dei Mille, ovverossia tre, quattro e via dicendo…”.37
Il messinese Mauro Ledru fu l’autore nel 1862 di una tra le immagini più significative di tutto il
Risorgimento italiano che tuttavia più di qualcuno ritiene un fotomontaggio: il ritratto di Garibaldi ferito
sull’Aspromonte.38
Per curare Garibaldi arrivò da Parigi il chirurgo Nelaton portando anch’egli con se un fotografo: Pierre
Varner.
L’anno successivo all’annessione del Veneto e del Friuli all’Italia, in coincidenza del rientro a Venezia dei
resti dei fratelli veneziani Attilio ed Emilio Bandiera e di Domenico Moro, Alfonso De Maria di Cosenza,
fotografò nel Vallone di Rovito il luogo dove nel 1844 erano stati fucilati insieme ad altri sei compagni.39
Tra i fotografi che invece immortalarono Re, politici e personalità del tempo, il milanese Alessandro Duroni
ritrasse Vittorio Emanuele II; gli Asburgo vennero fotografati innumerevoli volte da Miethle & Wawra,
Ludwig Angerer (1827 - 1879), dai soci triestini Guglielmo Sebastianutti (1825 - 1881) e Franz Benque
(1841 - 1921) quest’ultimo arrivato a Trieste dalla Germania nel 1864, quindi da Giuseppe Wulz (1843 1818) che nel 1868 documentò il rientro della salma di Massimiliano d’Asburgo dal Messico dove era stato
fucilato.40
Maurizio Lotze (1809 - 1890) già pittore alla Corte di Sassonia e poi calotipista itinerante, sul Foglio di
Verona informò nel 1854 i cittadini che “esercita l’arte fotografica” nella città scaligera.
35
Diego Mormorio, Elementi visivi per un museo didattico dell'epoca risorgimentale, Città di Marsala, 2010.,op.cit.
L'album dei Mille di Alessandro Pavia, a cura di Marco Pizzo, Gangemi, Roma, 2004. Il riconoscimento e la medaglia furono
conferiti (dalla legge 2119 del 1865) a quasi tutti i nomi presenti in elenco; per la pensione, fu messa al lavoro una nuova
commissione, che finì i suoi lavori solo nel 1877, cancellando altri nomi. L'elenco definitivo, ulteriormente ridotto, fu pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale del 12 novembre 1878. Dell’Album dei 1000 in Italia esistono alcune copie originali tra cui le Civiche
Raccolte Storiche di Milano ne conservano un esemplare donato da Pietro Viola; presso il Museo Centrale del Risorgimento di Roma
ne sono cusoditi tre, altri due li possiede la Biblioteca Civica di Cremona, uno il Comune di Palermo.
37
Citato da Giuseppe Marcenaro, Il fotografo dei Mille, Il Secolo XIX, Genova, 1 giugno 2003, pag.12
38
Mauro Ledru fu presente nel 1898 alla battaglia di Adua al seguito del generale Dabormida ma venne costretto ad abbandonare
tutta l’attrezzatura sul campo durante la fuga precipitosa. La Biblioteca Comunale dell’archiginnasio di Bologna, che conserva un
fondo fotografico di Mauro Ledru sull’Etiopia ed anche un autoritratto del 1885, indica la sua data di nascita nel 1851 a Piazza
Armerina. In questo caso parrebbe quantomeno improbabile che quando aveva 11 anni nel 1862, avesse fotografato Garibaldi ferito
sull’Aspromonte e, come indicato nel supporto dell’immagine avesse già il titolo “Cav. Ledru Mauro, Messina”.
39
Nel 1897 De Maria, con bottega a Strada del Carmine 49, e il cui Stabilimento Artistico Fotografico aveva ottenuto riconoscimenti
all’Esposizione Internazionale Marittima di Napoli e a Firenze e portò a Cosenza “il cinema col grafofono” come riportò la stampa
dell’epoca.
40
La nuova invenzione divenne da subito appannaggio delle diverse Case Reali europee, che in misura diversa sostennero la
fotografia e in ogni caso ne colsero l’importanza, anche se ad esempio non venne abbracciata in modo entusiasta dalla Corte
Austriaca, a differenza ad esempio della Corte Inglese che, nella Regina Vittoria e nel Principe Alberto trovò un completo sostegno, e
i Reali diventarono patrocinatori della English Photographic Society.
Il primo ritratto in dagherrotipo a Francesco Giuseppe venne realizzato solo nel 1854 dal fotografo tedesco Trutbert Scheider, in un
periodo in cui già si diffondevano sul mercato le lastre al collodio umido. Era lo stesso anno in cui Francesco Giuseppe si sarebbe
sposato con Elisabetta (Sissi) che da parte sua aveva posato per il fotografo bavarese Alois Locherer, mentre nel 1859 Sissi fu
fotografata da Ludwig Angerer il fotografo che introdusse le cartes de visite a Vienna e che anch’esso, nel 1860, divenne Fotografo
di Corte dopo che l’Hofmeisteramt, il censore della Casa Imperiale, aveva svolto approfondite indagini su di lui.
Nel 1858, la Monarchia Asburgica aveva registrato 38 studi fotografici, che divennero 1650 – di cui 350 solo a Vienna – nel 1900.
Inoltre, tra il 1860 e il 1900, divennero Fotografi di Corte 73 fotografi, di cui 3 erano donne.
36
9
Verso il 1858 realizzò l’album Fotografie Pittoresche di Verona, Peschiera e del Tirolo Meridionale: 25
riprese che illustravano edifici e monumenti di Verona, i forti austriaci del territorio circostante fatti costruire
da Radetzsky e i paesaggi naturali del Tirolo e Ludovico Kaiser giunto anch’esso a Verona dalla Germania,
ritrasse gli ufficiali e i soldati austriaci e i forti di Verona e Venezia, divenendo però più famoso nel periodo
successivo all’ Indipendenza e invece Louis Crette (1823 - 1872) chiamato “il Le Gray di Nizza”, fu attivo
come fotografo a Roma e ritrattista di Vittorio Emanuele II.
Nello Stato Pontificio vigeva per prassi corrente, un controllo rigido delle immagini fotografiche, comune
anche all’incisione “…all’ incidatur e all’imprimatur della stampa calcografica, corrispondeva il publicetur
della fotografia, cioè il visto necessario alla circolazione dell’immagine che veniva rilasciato dal Maestro
dei Sacri Palazzi apostolici. Nei primi anni del collodio, la firma ricorrente è quella del Buttaoni che già
dagli anni quaranta apponeva il proprio incidatur sui disegni di “traduzione” della Calcografia
Camerale..”41
Il caso Diotallevi e l’ apparire del diritto d’autore
Dopo la caduta del Regno di Napoli e il trasferimento della Corte a Roma, dal 1861 la bellissima Maria Sofia
di Borbone, sorella di Elisabetta (Sissi), era stata al centro di un vasto piano di calunnie approntato per
screditarla e fu anche oggetto di sapienti fotomontaggi, nei quali la testa della regina era stata montata sul
corpo di una giovane prostituta ritratta in pose lascive. I fotomontaggi erano stati diffusi in centinaia di cartes
de visite e spediti a tutte le personalità della ribalta internazionale, dal papa all' imperatore d'Austria, da
Napoleone III allo zar, sferrando nei suoi confronti una violenza morale allo scopo di infangare sia la Corte
Napoletana in esilio ché quella Pontificia che li ospitava, e ciò dopo che il 28 novembre 1861 era stato
promulgato un editto del Cardinale Vicario Costantino Patrizi sull’esecuzione e il commercio di fotografie
perché “…da questo utile ritrovamento delle scienze niun danno provenga alla onestà dei costumi…”42.
Le indagini della polizia pontificia portavano alla scoperta e all'arresto degli autori dei falsi fotografici: i
coniugi Antonio e Costanza Diotallevi, dal passato burrascoso: “…Un fatto di inaudita gravità…(che)…
accadde nei primi giorni del febbraio 1862 sollevando un grido di indignazione di tutta la gente onesta, né a
Roma soltanto, ma a Parigi, a Vienna, a Monaco, a Torino e a Napoli. Furono fatte e distribuite false
fotografie ignobili della spodestata regina, né ingiuria più vile fu immaginata contro l’onore di una
donna…la polizia si mise alla ricerca degli autori di tanta ignominia, e li scoprì in persona dei coniugi
Antonio e Costanza Diotallevi, giovani fotografi di fama perduta…”.43
I coniugi Diotallevi, che pare esercitassero il mestiere di fotografo a Roma, "al numero 9 di Via del
Farinon", vivevano probabilmente di ripieghi, non essendo rimasta traccia della loro attività fotografica, se si
esclude l'implicazione, forse indiretta, nello scandalo delle false fotografie oscene, che avevano per soggetto
gli spodestati reali di Napoli ospiti del Papa, dopo la fuga dal forte di Gaeta del 14 febbraio 1861.
Questa vicenda fu anche una tra le prime testimonianze dell’utilizzo della fotografia per fini politici, facendo
ricorso al falso e al fotomontaggio.
Come ricordato da Italo Zannier, che riscoprì la vicenda un secolo dopo, “…la reputazione dei coniugi
Diotallevi non doveva essere comunque delle migliori a quel tempo, anche se non si vuole dare del tutto
credito a quanto sul loro conto ebbe a declamare un certo avvocato Dionisi, nel corso di una requisitoria al
processo contro i patrioti romani Venanzi e Fausti, dove Costanza, come vedremo, svolgerà il ruolo di
"pentita" e quindi di spia, denunciando in modo categorico fatti e personaggi collegati al clandestino
Comitato Nazionale Romano, un'organizzazione patriottica pagata dai piemontesi, che dal 1853 stava dando
molto filo da torcere alla polizia e alla S. Consulta Pontificia…”44. Costanza sosteneva di essersi infiltrata
nell'organizzazione piemontese, per conto del generale De Goyon, e di essere riuscita a ottenere una tal
fiducia presso i patrioti romani, da meritare l'incarico dell'esazione degli "oboli per il Monumento a Cavour”.
E la Diotallevi, amante del generale De Goyon, “…avezza a vendere il suo corpo a chi ne avesse voluto,
vendette al Processante la sua coscienza…"45, precisò l'anonimo estensore di un opuscolo clandestino.
41
Marina Miraglia, L’età del collodio, in Fotografia Italiana dell’ottocento, op. cit., pag.45.
Vedi la Memoria defensionale di Monsignor Filippo Bottoni dall’accusa di aver fatto circolare fotografie pornografiche, in: Storia
d’Italia, L’immagine fotografica 1845 – 1945,Storia d’Italia, Einaudi Torino, 1979, pag. 236.
43
ibidem
44
Riportato da Italo Zannier in Fotologia, n.11., 1982, Fratelli Alinari, Firenze, pagg. 42-50.
45
ibidem
42
10
Il processo si snodò fra mille vicende e “rivelazioni” e fece comunque emergere una realtà ben più
complessa in cui gli elementi della lotta politica si andavano ad intrecciare all’opera provocatoria di vari
fotografi.46
Tra il 1861 e il 1862 i fotografi francesi Leopold Ernest Mayer (1817 - 1865) e Pierre-Louis Pierson
(1822 - 1913) furono invece parte in causa in un processo intentato contro i fotografi Betbeder e Schwabbe
in quanto questi avevano riprodotto dei ritratti realizzati da loro stessi a Lord Palmerston e al Conte di
Cavour.
Mayer & Pierson chiesero l’applicazione delle leggi francesi sui diritti d’autore (promulgate nel 1793 e nel
1810) che però sino ad allora erano state applicate solamente alle arti e pertanto il processo divenne un
evento al cui centro vi era il riconoscimento della fotografia come arte. 47
Dal 1856, Mayer e Pierson avevano iniziato a fotografare Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione, la quale,
dopo aver avuto un gran successo con Vittorio Emanuele II era stata inviata dal cugino, il Conte di Cavour, a
Parigi per sostenere la causa dell’unità d’Italia con Napoleone III.
Mayer e Pierson realizzarono oltre 400 fotografie della Contessa pubblicate in gran parte in un album,
facendo di lei la prima fotomodella della storia.
Infine, scrisse Michele Falzone del Barbarò, “…Dopo l’unità d’Italia, ovunque a Torino come a Palermo
tutti i fotografi proponevano i loro servizi pubblicizzandosi come “Fotografo di SAR…fotografo di S.M.Re
d’Italia…fotografo della Real Casa…” Il lavorare quasi gratuitamente per l’entourage della corte italiana
era comune a tutti grossi studi che in tal modo potevano fregiarsi a scopo reclamistico, sul retro delle loro
fotografie, della Corona Reale, acquisivano così una più vasta clientela…”.48
Fotografia e Risorgimento a Roma
Negli Ordini del Comando Generale della Guardia Civica di Roma, il 29 Ottobre 1847 apparve la prima
notizia relativa a Gioacchino Altobelli (1814 - 1879) e poi il suo nome venne ancora citato nelle pagine
dell’Almanacco Romano pel 1855: “pittore nato a Terni con studio in via Margutta 48”.49
Al pari di Lorenzo Suscipj, Altobelli prese parte alla difesa della Repubblica Romana e verso il 1858, come
tanti altri pittori che lasciavano la professione per la nuova arte, incominciò a dedicarsi alla fotografia
associandosi a Pompeo Molins (1827 - 1893 ca) e aprendo insieme uno studio nel palazzetto Fausti, di
proprietà del suocero del Molins, spedizioniere apostolico ed intimo amico del cardinale Antonelli.
Grazie alla loro abilità professionale ed alla protezione del potente Segretario di Stato di Pio IX, furono
nominati Fotografi ufficiali dell’Accademia Imperiale di Francia e delle Opere d’Arte per le Ferrovie
Romane.
La produzione di quegli anni fu rappresentata, oltre che dai soliti ritratti formato carte de visite, anche da
molte vedute di Roma: Altobelli doveva essere l’ artista dello studio dato che alla bella produzione
fotografica prodotta dal sodalizio tra i due e che terminò nel 1865 per ragioni ignote, seguì una produzione
del Molins più modesta, prettamente commerciale.
Nel 1866 Altobelli mise a punto una nuova tecnica che combinava fotografia e cromolitografia e consistente
nell’applicazione del colore alle prove fotografiche, ma non riuscì ad ottenere il brevetto perché la sua
richiesta entrò in concorrenza con quella della Cromolitografia Pontificia.
Successivamente inventò un nuovo metodo “…per eseguire in fotografie le vedute dei monumenti con effetto
di cielo…” e stavolta ne ottenne il brevetto e nel 1867 partecipò all’Esposizione Universale di Parigi con una
serie di vedute di Roma riscuotendo molto successo.
Nel 1870 si recò a Porta Pia con la propria attrezzatura fotografica il giorno dopo l’apertura della breccia e
documentò l’evento storico mettendo in posa i soldati per dare una parvenza di realtà alla veduta. L’anno
successivo, passato a lavorare per i nuovi detentori del potere, fotografò il principe Umberto.
Negli anni ‘70 diresse lo Stabilimento Fotografico Verzaschi fondato da Enrico Verzaschi, a sua volta tra i
fotografi presenti a Porta Pia nel 1870.
46
Diego Mormorio, La Regina nuda. Delazioni e congiure nella Roma dell’ultimo Papa Re, Il Saggiatore, 2006; Le Rivelazioni
Impunitarie di Costanza Vaccari Diotallevi Nella Causa Venanzi-Fausti, (1863), Tipografia Nazionale, Roma, 1863, Kessinger
Publishing, 2009.
47
Aaron Sharf, Arte e Fotografia, op. cit., pagg. 153 e segg. La sentenza, a favore di Mayer e Pierson, venne emessa nel 1862 anche
se nell’autunno dello stesso anno un gran numero di artisti, con in testa Ingres produsse una petizione cercando di ribaltare il
verdetto, ma la corte confermò la sentenza emessa.
48
Michele Falzone del Barbarò, Gli atelier: grandezza e decadenza di uno spazio fotografico, in L’Io e il suo doppio, Alinari, 1995,
pag.34
49
AA.VV., Fotografia italiana dell’ottocento, Electa Editrice/Edizioni Alinari, 1979, pag.138.
11
Il sacerdote aquilano Antonio D’Alessandri (1818 - 1893) di ritorno da un viaggio da Parigi dove strinse
con Nadar un rapporto di amicizia che si perpetuò per tutta la vita, nel 1851 fece conoscere a Roma la tecnica
del collodio umido.
Dal 1856 ebbe un proprio atelier al quale fu associato il fratello Paolo Francesco (1824 - 1889) prima in via
del Babuino, poi in via del Corso e infine in via Condotti. Il loro fu il primo studio professionistico aperto a
Roma.
Il fatto che Antonio fosse un sacerdote (dovette tuttavia chiedere una dispensa che ottenne a condizione che
sul lavoro non indossasse l’abito talare) gli aprì la possibilità di fotografare in Vaticano Pio IX e la sua corte
e nel 1867 il campo di battaglia di Mentana: fotografi pontifici fino al 1870, dopo l’esilio dei Borboni nel
1861, diventarono fotografi ufficiali anche dell’ ex casa regnante partenopea e dal 1864 Antonio divenne
membro della Société Francaise de Photographie..
Nel 1870 fotografarono la presa di Porta Pia, ma questo reportage provocò una ostile reazione delle autorità
vaticane che revocarono ai D'Alessandri ogni privativa in precedenza concessa.
I contrasti con le autorità ecclesiastiche giunsero al punto che don Antonio preferì abbandonare per sempre il
sacerdozio.50
Ferventi patrioti furono anche Augusto Castellani (1829 - 1914), già artigliere sul Gianicolo durante la
Repubblica Romana e il fratello di Lorenzo Suscipj, Ettore costretto all’esilio come Ludovico Tuminello
(1824 - 1907).
Orafo, collezionista e antiquario con una clientela internazionale, Castellani fu anche fotografo e al momento
dell'Unità d'Italia, partecipò attivamente all'instaurazione della nuova capitale, fu membro fondatore della
Commissione archeologica comunale e del Museo Artistico Industriale di Roma, fondato nel 1872 sul
modello degli analoghi di Parigi e Vienna e dal 1873 direttore onorario dei Musei Capitolini.
Ludovico Tuminello era attivo già dal 1842, ma dopo i moti del 1848 e la sua adesione alla Repubblica
Romana, il 6 agosto 1849 dovette chiedere asilo politico a Torino ritornando a Roma solo nel 1869 e allora
iscrivendosi all’Associazione dei veterani dei fatti del 1848 -1849.51
Nel 1870 divenne fotografo pontificio al posto di D’Alessandri, documentò l'assedio di Roma da parte delle
truppe italiane e fotografò la Breccia di Porta Pia.
Prese poi parte alla spedizione del Marchese Orazio Antinori in Eritrea nel 1870 realizzando calotipi e
partecipò a molte esposizioni, tra cui a Torino nel 1858, a Firenze nel 1870, a Vienna nel 1873, a Parigi nel
1878.
All' Esposizione Arti e Industria di Roma del 1890 venne premiato con una medaglia di bronzo. Fu presente
all' Esposizione di Firenze del 1899 prendendo poi parte nuovamente alla spedizione in Egitto e Sudan del
marchese Orazio Antinori, e alle successive campagne in Sardegna e in Tunisia.
Per motivi politici anche Enrico Valenziani (1842 - 1908) venne espulso dall’università incontrando di
conseguenza forti difficoltà nella professione di fotografo e nel 1868, dopo aver realizzato le riprese della
decapitazione di Monti e Tognetti venne costretto all’esilio, ritornando a Roma solamente con le truppe
italiane, assistendo però in quell’occasione alla morte del cugino a Porta Pia, dove venne ferito anche un
altro fotografo, il biellese Vittorio Besso (1828 - 1895) che si era arruolato volontario con i bersaglieri dopo
aver già partecipato alla guerra di Crimea nel 1855, ma che fu conosciuto anche per essere stato discepolo di
Venanzio Sella e fondatore nel 1869 della Reale Fotografia Alpina e che fotografò i Reali, il Papa e Mazzini.
Roma e la Scuola Romana di fotografia
Le maggiori notizie sul gruppo di Pittori-Fotografi che si ritrovavano al Caffé Greco, si ricavarono da un
articolo del chimico e fotografo dilettante inglese Richard W. Thomas il quale, durante il suo viaggio a Roma
del 1852, incontrò e frequentò gli artisti romani e al suo ritorno, scrisse nel The Art Journal, del maggio 1852
l’articolo Photography in Rome raccontando l’attività del Circolo.
Il Caffé Greco, a ridosso di Piazza di Spagna, era divenuto il ritrovo dei fotografi e degli artisti romani e di
quelli provenienti da tutto il mondo che lavoravano a Roma e che così fecero parte di quella che venne anche
chiamata Scuola Romana di Fotografia.
Tra i primi, vi furono Giacomo Caneva (1813-1865), il Principe Giron des Anglonnes, Jean – Francois
Flachéron (1813 - 1883), Eugène Constant, attivo tra il 1848 e il 1852, l’architetto Alfred - Nicolas
50
51
Roma nelle fotografie dei fratelli D'Alessandri: 1858-1930, a cura di Piero Becchetti, Ed. Colombo, Roma 1996.
Anna Margiotta, Fotografi e patrioti, in Il Risorgimento dei Romani, Fotografie del 1849 al 1870, op.cit., pag. 17 – 21.
12
Normand (1822 - 1909) e l'inglese James Anderson (1813 - 1877): di fatto fu il primo circolo fotografico
italiano con tutti gli appartenenti dediti a fotografare le vestigia della Roma antica.
I loro rapporti con il mondo della pittura, dal quale diversi di loro provenivano, influenzò il loro modo di
guardare, e di conseguenza la loro interpretazione fotografica della città affondò le sue radici nella tradizione
della pittura di paesaggio.
Col tempo, il gruppo del Caffè Greco si sciolse sia per scelte personali che per aver terminato il periodo di
pensionnaire a Villa Medici: rimasero allora i veri professionisti, Giacomo Caneva e James Anderson che
presero ad ampliare il loro repertorio, il primo fotografando scene di genere e luoghi agresti da utilizzarsi
come modelli per pittori, il secondo riprendendo sistematicamente i monumenti antichi, i palazzi barocchi e
le opere d’arte, unendole in una raccolta a catalogo destinata alla vendita al pubblico tramite canali
professionali.
Nel 1838 Giacomo Caneva – “mente gagliarda e vivace, cuor libero delle più elette affezioni, il Caneva non
si ismentì mai la propria fama di buon disegnatore e felice pittore prospettico, così in patria che a Roma”52
– dopo aver frequentato i corsi di Tranquillo Orsi all’Imperiale Regia Accademia di Venezia, in particolare
di pittura prospettica, si era trasferito a Roma ottenendo prima un discreto successo come pittore e dove
divenne poi il più importante calotipista e uno dei principali animatori del Caffè Greco.
La personalità di Giacomo Caneva, grande vedutista e attento osservatore degli aspetti naturalistici più
minuti e dei particolari del paesaggio e della campagna romana, si completò con l’alta qualità conseguita
nella scene di genere e nel costume oltre ché con studi sulle sculture. 53
Dopo aver studiato incisione a Parigi, Jean – Francois Flachéron si trasferì a Roma in seguito al matrimonio
nel 1842, con Caroline Hayard, la cui famiglia gestiva un negozio per artisti a Piazza di Spagna, mantenendo
tuttavia i rapporti con l’ottico parigino Charles Chevalier che gli forniva i materiali fotografici e con Alfred
Bruyes.54
Con le sue fotografie partecipò all’esposizione universale di Londra del 1851 e a quella dell’anno successivo
della Societé des Arts a Parigi.
Alfred - Nicolas Normand fu un architetto di fama, ospite dell’Accademia di Francia a Roma nel 1847 ed
iniziò a fotografare prima Roma e dopo Pompei utilizzando il procedimento alla carta salata. All’inizio del
1850 visitò Palermo e dei siti archeologici in Sicilia e negli anni seguenti fotografò anche il Monte Athos,
Atene e Costantinopoli prima di abbandonare la fotografia per la sua professione di architetto.
James Anderson, il cui vero nome era Isaac Atkinson, da Parigi dove aveva studiato arte con il nome di
William Negent Dunbar, si trasferì a Roma nel 1837 e dopo alcuni anni si dedicò alla fotografia, cambiando
nuovamente nome in James Anderson e diventando uno dei più importanti fotografi del tempo: nel 1845 nel
registro dei frequentatori del Caffè Greco a Roma comparve la sua firma con un indirizzo Fuori Porta del
Popolo al N. 6, con indicato "fotografo di professione" e nel 1859 il libraio tedesco Spithöver di Piazza di
Spagna pubblicò il suo Catalogue des Photographies de Rome de James Anderson.55
Nel 1861, all’Esposizione Universale di Parigi apprese la tecnica del collodio secco e nel 1895, il figlio
Domenico (1854 - 1938) depositò il brevetto di un procedimento per la fotografia a colori.
Anche Pietro Dovizielli (1804 -1885) fu un pioniere della fotografia in Italia e tra i primi, al pari di James
Anderson e di altri membri della Scuola Romana di Fotografia, apprese la calotipia.
Tra le sue fotografie più note, la cascata delle ferriere a Tivoli del 1855 e suggestive vedute dell’architettura
di Roma. Suo figlio Cesare prese parte con i garibaldini alla battaglia di Mentana.
Una figura a sé fu Robert Mac Pherson (1811 - 1872): furono motivi di salute, a portarlo a Roma nel 1840
e tra le sue molte attività fu anche pittore ed antiquario: difatti fu grazie a lui che venne ritrovato Il
seppellimento di Cristo di Michelangelo oggi esposto alla National Gallery di Londra.
52
Napoleone Pietrucci, Biografie di artisti padovani, Tip. Bianchi, Padova, 1858 citato da Marina Rampin, in Giacomo Caneva
pittore, in Fotologia, 21-22, 2001, pag.59.
53
Nel 1855 Caneva pubblicò Le vedute di Roma e dei suoi contorni e lo stesso anno scrisse anche Della fotografia. Trattato pratico
di Giacomo Caneva pittore prospettico, Roma, Tip. Tiberina, 1855.
Vedi anche: Giacomo Caneva e la scuola fotografica romana 1847/1855, a cura di Piero Becchetti, catalogo della mostra Roma
maggio-giugno 1989, Alinari, Firenze 1989.
54
Piero Becchetti, La veduta fotografica a Roma dalle origini alla fine del collodio, in La fotografia a Roma nel Secolo XIX,
Artemide edizioni, 1989, pag.28. Dello stesso autore anche: Piero Becchetti, Fotografi e fotografia in Italia. 1939-1880, Quasar ed.,
Roma 1978; Piero Becchetti, La fotografia a Roma dalle origini al 1915, Colombo ed., Roma 1983 e anche R. Rosati, Camera
oscura 1839-1920, Artegrafica Silva, Parma 1990.
55
Helmuth Gernsheim, nell’ articolo James Anderson, 1813-77 pubblicato su Fotologia, n.6, Fratelli Alinari Editrice, pag.29, cita un
incontro con il nipote Alessandro Anderson che “…lasciò capire che il suo antenato aveva forse commesso un omicidio ed aveva
eccellenti ragioni per nascondere la sua identità. Aveva 25 anni all’epoca, e faceva il pittore di acquerelli…”.
13
Si appassionò alla fotografia dieci anni dopo il suo arrivo usando inizialmente la tecnica del calotipo per poi
dedicarsi al metodo delle “stampe all’albumina” inventato da Niepce de Saint Victor che fu il primo a usare
l’albume d’uovo nella preparazione delle lastre di vetro da impressionare.
Per Diego Mormorio, “…MacPherson capì che la fotografia era la sua strada. Ben presto, di fronte alla
felicità dei risultati, il diletto si fece professione, incontrando un notevole successo presso il vasto pubblico
dei turisti. Avvalendosi del procedimento all'albume e poi di quello del collodio-albume, e servendosi di
lastre di grande formato (40x45 e 45,5x56), con inquadrature e condizioni di luce ideali, riuscì a realizzare
indimenticabili immagini di Roma e della Campagna Romana…”.56
Nel 1853 ottenne dal Ministero del commercio, dell’arte, industria ed agricoltura il brevetto di un suo
“Metodo con il quale ottenere fotograficamente sulla pietra litografica e per lastre metalliche un disegno,
dal quale, mediante il processo litografico ordinario, può tirare un numero indefinito di copie”.
Ben presto diventò famoso a Roma, non solo per la nuova attività, ma anche per i sontuosi banchetti che era
solito offrire e durante i quali pare amasse alzare particolarmente il gomito.
Nel 1858, pubblicò un catalogo a stampa della propria produzione fotografica e nel 1863 diede alle stampe
una guida dal titolo Vatican Sculptures comprendente 300 fotografie delle più importanti sculture dei musei
vaticani servendosi per queste riprese di una tecnica basata sulla combinazione del collodio e dell’albumina
secondo una modifica apportata al processo al collodio da Taupenot nel 1855.57
Un altro amico di Caneva, Tommaso Cuccioni (1790 - 1864 ca) già celebre incisore e noto mercante di
stampe e a cui Caneva vendette per anni i suoi dagherrotipi, dal 1852 visto il grande interesse commerciale
per la fotografia, decise di diventare egli stesso fotografo, specializzandosi nelle vedute dei monumenti
classici ed ottenendo lusinghieri riconoscimenti internazionali: ai suoi eredi si deve anche un bel ritratto del
Papa Pio IX realizzato nel 1868.
A Roma, dove si era trasferito, Cesare Vasari (1846 - 1901) fu apprendista presso Cuccioni aprendo poi nel
1870 uno dei primi atelier per la produzione di fotografie d'arte ed architettura nella città eterna, divenuta
capitale del regno fino a quando, nel 1880, fondò la ditta Vasari che, diretta dal nipote Alessandro Vasari
(1866 - 1923), divenne successivamente negli anni Trenta del Novecento uno dei maggiori atelier fotografici
della Nazione.
Il paesaggio e l’idea di identità nazionale
Nel 1920 Benedetto Croce presentò al Parlamento un Disegno di Legge “Per la tutela delle bellezze
naturali” motivato dal fatto che “…È nella difesa delle bellezze naturali un altissimo interesse morale e
artistico che legittima l'intervento dello Stato, e s'identifica con l'interesse posto a fondamento delle leggi
protettrici dei monumenti e della proprietà artistica e letteraria…E fuvvi anche chi affermò, con profondo
intuito, che anche il patriottismo nasce dalla secolare carezza del suolo agli occhi, ed altro non essere che la
rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne,
le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si
sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli.
Queste idee, del resto, sono da tempo presso tutti i popoli civili il presupposto di ogni azione di difesa delle
bellezze naturali, azione che, in Germania, fu appunto detta “di difesa della patria” (Heimatschutz). Difesa,
cioè, di quel che costituisce la fisionomia, la caratteristica, la singolarità, per cui una nazione si differenzia
dall'altra, nell'aspetto delle sue città, nelle linee del suo suolo, nelle sue curiosità geologiche; e da alcuni si
aggiunge, (dai tedeschi stessi e dagli inglesi) negli usi, nelle tradizioni, nei ricordi storici, letterari,
leggendari, in tutto ciò insomma, che plasma l'anima della razza, o meglio ha influito o maggiormente
influisce allo sviluppo dell'anima nazionale…58
Con l’intelligenza che sempre lo contraddistinse, aveva capito l’importanza di tutelare l’ambiente e il
paesaggio (citando esemplarmente a tale proposito anche i rescritti borbonici del 1841 e 1853 che già
vietavano “di alzare fabbriche le quali togliessero amenità o veduta…”)59.
56
Diego Mormorio, Paesaggi italiani dell’800, Federico Motta Editore, 1999, pag.31.
Agli inizi del 1870, legato da un contratto con E. Edwards per lo sfruttamento della eliotipia dello Stato Pontificio, chiese i diritti di
proprietà sul procedimento stesso.
Con rescritto ministeriale del 14 settembre 1870, n. 6913, Robert Macpherson, primo in Italia, ottenne “…la privativa per sei anni,
mediante il versamento di Lire 161,25 a saldo della tassa per ottenuta dichiarazione di proprietà…”.
58
Benedetto Croce, Ministro dell’Istruzione Pubblica, Presentazione al Senato del Disegno di Legge n. 204/1920, 25 settembre 1920.
59
Benedetto Croce, ibidem
57
14
Aveva sicuramente fatto tesoro anche del grande patrimonio di fotografie realizzate nel secolo precedente e
che permettevano di dare sostanza all’idea di bellezze naturali che andavano pertanto difese.
Già l’enorme lavoro degli Alinari indubbiamente rappresentò dall’Unità d’Italia in poi la cultura visiva del
Paese al livello qualitativo più elevato, ma tutti i fotografi anche precedenti dediti a fotografare il paesaggio
naturale e umano permisero di cogliere l’Italia nell’armonizzazione tra città e campagna, tra patrimonio
culturale e paesaggio, tra natura e cultura: e lo si percepisce dalle opere di Giacomo Brogi, Carlo Ponti, Carlo
Naya, Alfred August Noack, Giorgio Sommer, o John Henry Parker fondatore nel 1864 della British and
American Archaeological Society of Rome o ancora Ettore Roesler Franz alla ricerca della Roma sparita.
A Firenze, verso il 1850 era attivo John Brampton Philipot (1812 - 1878), tra i primi ad esercitare la
calotipia e la stereoscopia, nel 1854 Leopoldo Alinari (1832 -1865) assieme ai fratelli Giuseppe (1836 1890) e Romualdo (1830 - 1890) fondò lo Stabilimento Fotografico Alinari. 60
Il primo catalogo, un foglio in lingua francese recante l’intestazione Fratelli Alinari, Photographe-Editeurs,
comprendeva una serie di palazzi, dipinti, chiese e paesaggi di Firenze, Pisa, Siena e San Gimignano.
Due anni dopo, anche Giacomo Brogi (1822 - 1881) iniziò a fotografare ed Enrico Van Lint (1808 –
1884), discendente di una famiglia di artisti di origine fiamminga, dal 1859 aprì un suo atelier a Pisa.
Morto precocemente Leopoldo, la direzione passò ai fratelli che incrementarono notevolmente l’attività di
documentazione di opere artistiche facendo passare in second’ordine le vedute e i paesaggi e conducendo
l’azienda fino al 1892. Fu il figlio di Leopoldo, Vittorio Alinari (1859 - 1932), ad assumere
successivamente il controllo dello stabilimento fino al 1918.
Il medico e pittore ferrarese Giuseppe Beniamino Coen (1816 - 1856) si era trasferito a Venezia all’epoca
dei moti rivoluzionari del 1848 prendendovi parte e rimase nella città lagunare fino alla precoce morte, poi a
Venezia aveva fotografato Francesco Bonaldi che successivamente fu presente anche in Friuli realizzando
e commercializzando nel 1858 un gruppo di 24 calotipi, come una presenza nella città lagunare venne
marcata da Jacob August Lorent (1833 - 1864) che dopo aver studiato all’Università di Heidelberg vi
giunse verso il 1850: vi realizzò stampe all’ albumina di grande formato che colorava a mano con pigmenti
all’anilina.
Inizialmente fornitore di fotografie per il negozio dell’ottico e fotografo Carlo Ponti (1823 - 1893), Carlo
Naya (1816 - 1882) compì con il fratello impegnativi viaggi in Europa, Africa Settentrionale e Medio
Oriente e nel 1857 si stabilì a Venezia aprendo una ditta e realizzando una grande quantità di vedute della
città, tra cui le stampe di grande formato con l’effetto “chiaro di luna”: si trattava di fotografie realizzate di
giorno e impreziosite da particolari viraggi che davano l’impressione del notturno come pure le fotografie di
Naya accentuano anche la visione delle acque dei canali come un lucido ed immobile specchio.
Con Naya collaborò per molti anni Tomaso Filippi (1852 - 1948), la cui famiglia, originaria della Val
Zoldana, si era trasferita nella città lagunare a partire dalla metà del Settecento, e come Naya fotografò anche
la tomba del Canova, così Alfred August Noack (1833 - 1895) stabilìtosi a Genova dalla metà degli anni
Sessanta documentò il costruendo Cimitero Monumentale di Staglieno fotografando nel corso degli anni tutte
le sculture e le tombe, tra cui quella di Giuseppe Mazzini, scomparso nel 1873.
Già l’opera di Gotthold Ephraim Lessing, considerato il più geniale illuminista tedesco, aveva cambiato la
concezione della tragedia: non si parlava più di Tragödie bensì di Trauerspiel, riflessione sul dolore e sul
lutto, e la tragedia doveva insegnare l’umanità, la compassione e l’empatia.
Questa visione fece anche sì che da allora venisse esaltata la costruzione di imponenti monumenti onorari
nelle piazze e monumentali sepolture. A Santa Croce a Firenze tra il 1804 e il 1810, il Canova realizzò uno
dei capisaldi della scultura neoclassica, il Monumento a Vittorio Alfieri, con l’Italia Piangente che incarnava
lo spirito dei Sepolcri del Foscolo, affermando così Santa Croce come Pantheon degli Italiani.
Giorgio Sommer (1834 - 1914) iniziò a fotografare giovanissimo, avendo ricevuto in dono dal padre una
macchina fotografica. Nel 1857, dopo aver lavorato anche in Svizzera, aprì uno studio a Napoli, dove
trascorrerà tutta la vita, spostandosi solo per i vari servizi fotografici in Italia, Svizzera e Austria.
A Napoli negli anni '50 erano già attivi fotografi del calibro di Chaffourier, Rive, Bernoud, Conrad, e
Sommer si mise in competizione con loro, prima nel ritratto, per poi specializzarsi nel vedutismo tradizionale
e nella scena di genere.
Nel 1860, su incarico del Governo, compì una campagna fotografica a Pompei e il 25 settembre di
quell’anno fotografò anche Garibaldi in visita agli scavi. Da allora, fino al 1872, fu in società con Edmond
Behles (1841 - 1921) fotografo tedesco, già attivo a Roma.
60
Gli Alinari fotografi a Firenze 1852 – 1920, F.lli Alinari, Firenze, 1985. Gli Alinari indubbiamente rappresentarono la cultura
visiva del Paese dall’Unità d’Italia in poi al livello qualitativo più alto.
15
Nel 1861, dopo aver fotografato l’anno precedente Palermo e la Sicilia, i due realizzarono un reportage sui
campi di battaglia e sui forti di Gaeta ripresi dopo l’assedio, e documentando per conto del Regio Governo la
repressione del brigantaggio nel meridione.61
Robert Rive, fu ritrattista e vedutista, attivo a Napoli dagli anni '60 circa, ma lavorò anche a Firenze, Pisa,
Siena, Pompei, Capri, Amalfi, Paestum, e riprese le città e i monumenti più importanti della Sicilia
realizzando anche stereoscopie, la tecnica inventata nel 1849 da Sir David Brewster (1781 –1868).
A Palermo iniziò la sua attività Gustavo Eugenio Chauffourier (1845 - 1919) in società con il francese
Perron e vi realizzarono un album di vedute e riproduzioni di opere d’arte dal titolo Grande Collezione di
Vedute e Monumenti, con Descrizione Storica in Italiano e Francese.
Una volta divenuta Roma la Capitale d’Italia, Chauffourier nel 1871 vi trasferì la propria attività
documentando le vestigia della Roma Papale e le trasformazioni tardo-ottocentesche in corso.
Accanto ai molti studi palermitani, il fotoamatore Tommaso Tagliarini (1839 - 1890) che apparteneva
all’alta borghesia, realizzò vedute che nulla ebbero da invidiare ai più quotati fotografi professionisti.
Uno dei primi archeologi che esaltò il valore della fotografia, come supporto utile per documentare
insediamenti del passato, fu l’editore e libraio di Oxford John Henry Parker (1806 - 1885) ideatore nel
1867 di campagne fotografiche regolari e programmate dei monumenti antichi di Roma, del Lazio e a
Pompei, dando così definitivo riconoscimento alla realtà iconografica fotografica di Roma antica e al fine di
una raccolta sistematica di fotografie del patrimonio storico-archeologico, grazie anche a permessi speciali
concessi dalle autorità pontificie.
Parker fondò nel 1868 la British and American Archeology Society for Rome ed utilizzò costantemente la
fotografia per il suo lavoro divenendo il promotore di una delle campagne fotografiche più vaste nel periodo
del collodio.
Per realizzare l’ambizioso progetto si avvalse della collaborazione di fotografi come inizialmente di
Francesco Sidoli, originario di Piacenza e attivo a Parma verso la fine del decennio 1850 – 60 e a Roma dal
1865 con studio prima in Via del Babuino 76 e poi a Piazza di Spagna al n. 32, quindi di Filippo Spina62 e
Baldassarre Simelli (1811-1877) il quale, nel marzo 1848 si era arruolato nella Guardia Civica partendo
volontario per il Veneto, dove partecipò alla difesa di Vicenza assediata dagli austriaci.
A Giovanni Battista Colamedici vengono attribuite le fotografie con il lampo al magnesio nella campagna
romana e poi nelle catacombe di Napoli, ma per Parker fotografarono anche Filippo Lais e Stefano Lais
(1832 - 1892), il canadese giunto da Londra Charles Smeaton (1838 - 1917) e A.De Bonis che realizzò
fotografie considerate di alta qualità artistica.63
Dopo la morte di Parker, il suo archivio venne rilevato da Pompeo Molins, ma rimase distrutto nell’incendio
che nel 1893 distrusse lo studio del Molins e tutto Palazzo Negroni-Caffarelli.
Nel 1868 anche Romualdo Moscioni (1849 - 1925) si trasferì a Roma per aprire un proprio laboratorio
fotografico specializzato in architettura, arte ed archeologia cristiana lavorando in Via Due Macelli al n. 39 e
quindi in Via Condotti al n. 76, ma grande rilievo ha avuto anche il fondatore della Società degli Acquerelli
a Roma, il pittore Ettore Roesler Franz (1845 - 1907) per il suo vasto interesse per la fotografia che
configurò da un lato come assimilazione di un nuovo linguaggio e che usò dall’altro come appunto per i
successivi superbi quadri ad acquerello.
Oltre ai paesaggi, Roesler Franz realizzò anche moltissime fotografie con modelli in posa, eseguite sia nello
studio del pittore sia all'aperto, e che venivano realizzate per studiare i gesti e i costumi dei personaggi che
avrebbero animato le scene che dipingeva: in particolare tra il 1870 e il 1890, per la serie di acquerelli Roma
Sparita, Ettore Roesler Franz realizzò oltre 700 fotografie, per la gran parte conservate negli Archivi Alinari
a Firenze.64
Nel 1803 l’americano Robert Fulton aveva applicato alle navi la macchina a vapore, mentre la locomotiva a
vapore venne inventata da George Stephenson nel 1814: in Italia la prima linea ferroviaria fu la Napoli -
61
L’Italia virata all’oro. Attraverso le fotografie di Giorgio Sommer, a cura di Giovanni Fanelli, Mauro Pagliai Editore, 2007
Filippo Spina venne menzionato da Parker nel volume The archeology of Rome, pubblicato nel 1869 e il suo nome comparve ne
L’Osservatore Romano del 2 febbraio 1870 (vedi nota n.34, pag.30 in L’Immagine di Roma 1848-1895, op. cit.
63
La serie di immagini fotografiche che portavano il nome di Parker riscosse un grande successo, inducendo l’editore a farne un
catalogo pubblicato ad Oxford nel 1879, comprendente 3391 immagini: A Catalogue of 3300 Historical Photographs of Antiquities
in Roma and Italy e a pubblicare la grandiosa opera in tredici volumi The Archeology of Rome tra il 1874 e il 1883.
64
Ettore Roesler Franz, autodidatta, fu autore di importanti serie di acquerelli (tra cui Roma sparita) che rappresentavano le radicali
trasformazioni urbanistiche avvenute nella città dopo il 1870: furono immagini che ricavò appunto da fotografie, da lui usate al pari
dei macchiaioli, come “schizzo”.
62
16
Portici di poco più di sette chilometri, che venne inaugurata il 3 ottobre 1839. Già nel 1846 il governo
borbonico rilasciò la concessione per prolungare la ferrovia da Nocera fino a San Severino e ad Avellino.65
Le ferrovie si rivelarono subito decisive anche in guerra, già per la sconfitta nel 1848 di Carlo Alberto a
Custoza perché proprio con la ferrovia affluirono le truppe austriache, così come nella sconfitta austriaca di
Palestro e di Magenta del 1859 perché le truppe francesi di rinforzo arrivarono in breve tempo servendosi
della rete ferroviaria fatta costruire negli anni precedenti da Cavour (stabilendo inoltre un campo di scontro
lungo la massicciata, usata come trincea), a spostare uomini e mezzi dalla destra del Po a Vercelli, riuscendo
infine, con un intelligente uso del nuovo mezzo di trasporto, a riportare il campo di battaglia sulla riva
austriaca del Ticino, rendendo possibile la vittoria di Magenta.
Nel 1856 lo Studio di Maurizio Lotze, venne chiamato a fotografare l’esecuzione dei lavori infrastrutturali
per la costruzione della ferrovia da Verona a Bolzano, inaugurata nel 1858, a cui fecero seguito la campagna
di documentazione della costruzione della strada ferrata della Val Pusteria, inaugurata nel 1871, e
successivamente la campagna dedicata alla tratta da Udine a Tarvisio della ferrovia Pontebbana, inaugurata
nel 1878.
Tra i fotografi specializzati nel documentare l’industrializzazione del Paese, e in particolare la realizzazione
delle linee ferroviarie, con ponti e gallerie vi fu anche Achille Mauri, il quale dopo aver iniziato la propria
attività a Foggia si trasferì a Napoli, dove trascorse tutta la vita, rilevando anche lo studio e l’archivio
fotografico che era stato di Alphonse Bernoud.
Il titolare di uno tra i più antichi studi fotografici di Torino, Alberto Luigi Vialardi (Torino, 1833 - 1912),
realizzò nel 1866 fotografie della costruzione del Canale Cavour e nel 1868 realizzò un album per l'apertura
del traforo del Frejus e Vittorio Besso (1828 - 1895) documentò lo sviluppo degli stabilimenti minerari
dell’Iglesiente e la costruzione della nuova rete delle Ferrovie Secondarie della Sardegna.
Ma l’Italia risorgimentale rimase sempre e comunque anche l’Italia del Grand Tour e molti furono i fotografi
che da tutto il mondo si trasferirono per documentare il paesaggio naturale e delle città d’arte,
quell'architettura che nella prima metà dell'Ottocento vide imporsi la tendenza neoclassica. In concomitanza
con il diffondersi della sensibilità romantica ben presto si manifestarono tendenze architettoniche che
proponevano il recupero di "stili" di epoche precedenti e in particolare del medioevo inteso come culla dell’
identità nazionale. In parallelo al processo di unificazione nazionale e alla modernizzazione, sorsero e
crebbero in tutte le città italiane, grandi e piccole, gli studi di fotografi che da allora hanno documentato la
storia quotidiana del Paese.
Walter Liva
65
Nel 1861, alla costituzione del Regno d'Italia, lo sviluppo della rete ferroviaria era arrivato a 2035 chilometri di rotaie.
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