Edwin Seroussi LA SCOMPARSA DEL "GENERE" NELLA MUSICA EBRAICA: UNA RIVISITAZIONE DELLA SOPRAVVIVENZA DELLA MUSICA POPOLARE GIUDEO-ISPANICA 1. Introduzione Nel passato le donne sono state significative artefici della formazione della cultura ebraica ma sono rimaste escluse dal "testo" degli studi giudaici perché non hanno prodotto testi scritti (1). Oggi, comunque, idee come quella che le donne ebree non pregavano vengono contestate, poiché nuove ricerche hanno dimostrato il coinvolgimento femminile nella preghiera comunitaria, anche nel Medioevo, quando la condizione delle donne era al suo livello più basso (vedi, per esempio, Hauptman; Taitz; Weissler 1991 e 1995). Inoltre, l'identificazione del "giudaismo" con il sottoinsieme di comportamenti chiamato "religione" escluse i fenomeni di carattere non religioso dagli studi delle antiche società giudaiche (Sacks 1995: 4). L'esame del comportamento dei generi per come viene agito nell'insieme dell' ambiente socio-culturale, non solo nella sfera della "religione" (Sacks 1995: 5), è quindi un obiettivo da raggiungere in vista di uno studio antropologico delle donne ebree "quali soggetti, quali attrici, non in quanto simboli o oggetti che sono agiti" (Sered 1995: 206). L'esecuzione musicale, specialmente il canto, è un campo di azione esterno al dominio della "religione" nel quale le donne ebree agirono assertivamente nel corso della storia. In una più ampia prospettiva storica e socio-culturale si può recuperare una documentazione della attività musicale delle donne ebree come mezzo di auto-affermazione. Tuttavia, la documentazione scritta riferita a questo fenomeno è scarsa e i dati disponibili sono limitati alla tradizione orale documentata dai moderni etnomusicologi. Una questione fondamentale circa il ruolo delle donne come music makers nella cultura giudaica è relativa al dictum talmudico (Berakhot 24a): " la voce della donna è indecente", che si presenta in riferimento alla proibizione per l'uomo di recitare una benedizione o qualsiasi altra preghiera mentre ascolta una donna cantare. Maimonide allarga questa proibizione ad ogni circostanza in cui una donna canta (Schreiber 1984-85: 27). Perciò, di regola, agli ebrei è proibito esporsi al canto di una donna in qualsiasi luogo e tempo. In tempi moderni è emersa la questione se sia lecito per un uomo ascoltare la voce di una donna che canta perfino quando sia trasmessa dalla radio o da un disco (Yossef 1954/5, responsum n. 6). La subordinazione, e perfino l'umiliazione, come condizione fondamentale delle donne nelle società ebraiche tradizionali, cioè "ortodosse", si origina dalla visione androcentrica del giudaismo come religione fondata su testi scritti. Nonostante la segregazione talmudica, le donne ebree continuarono a cantare entro i confini, e raramente all'esterno, delle loro comunità, sviluppando un loro proprio, ricco repertorio di canzoni nei linguaggi dialettali ebraici. Le loro voci divennero, perciò, una minaccia latente per gli uomini negli spazi pubblici e privati. Evidentemente, l'imposizione di una rigida segregazione sessuale nel campo del canto condusse allo sviluppo di luoghi fisici e temporali dove le esecuzioni musicali delle donne furono portate avanti, lontano dagli occhi (o piuttosto dalle orecchie) degli uomini. Questa segregazione rimase piuttosto teorica, poiché gli uomini furono costantemente "esposti", anche se per caso, alle trasgressioni del dictum talmudico. La canzone popolare in giudeo-ispanico o ladino degli ebrei sefarditi è uno dei più ricchi e vibranti repertori ebraici, che è arrivato al ventesimo secolo in piena fioritura. Questo repertorio affonda le sue radici nel medioevo spagnolo, per quanto si fosse considerevolmente diffuso e trasformato nei cinquecento anni che trascorsero dall'espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492. Il repertorio comprende canzoni di diversi generi. Uno dei più nobili tra questi è il romance, una ballata epico-lirica. Il romance sefardita e canzoni di altro tipo furono trasmesse dalle donne sefardite in Marocco e lungo tutti i luoghi di stanziamento dei sefarditi nell'impero ottomano (Weich-Shahak 1998). La muerte del duque de Gandía, versione Sefardita di una ballata spagnola, cantata da Berta Aguado (wav file 244 kb.) Noi qui sottolineiamo le sopravvivenze del romance tra le donne sefardite in ragione degli "scottanti" temi che essa tratta in molti testi quali l'infedeltà femminile, l'incesto e lo stupro. "El hermano maldito, Versione Sefardita di una ballata spagnola sul tema dell'incesto, cantata da Dora Gerassi (wav file 164 kb.) Secondo Weich-Shahak, gli intrecci di molte ballate cantate dalle donne sefardite includono personaggi femminili assertivi, sebbene le azioni di questi personaggi siano generalmente innescate da azioni delle loro controparti maschili. Le donne sefardite potevano identificarsi negli ambigui ruoli degli immaginari personaggi femminili delle ballate; questi personaggi sono protagonisti attivi e nello stesso tempo sono pienamente dediti ai loro uomini. Se le donne sefardite erano subordinate all'autorità degli uomini e se l'autorità maschile espressa nei testi religiosi escludeva l'ascolto della voce delle donne in generale e in particolare quello delle loro canzoni di contenuto "osceno ", quale fu allora il meccanismo sociale che permise la continuazione della pratica e la sopravivvenza delle canzoni popolari sefardite tra le donne? La risposta a questa domanda è il tema dei paragrafi seguenti. 2. Le donne: le grandi assenti nella ricerca musicale ebraica La segregazione delle voci femminili e l'incapacità, per la maggioranza delle donne, di leggere testi scritti, le escluse dalla partecipazione attiva ai riti istituzionali del giudaismo. Tali riti costituiscono la parte prevalente delle occasioni sociali nelle quali si faceva musica in una tradizionale comunità giudaica. I musicologi hanno perpetuato questa segregazione trattando separatamente i repertori femminili e quelli maschili, in base ad una serie di dicotomie fondate: a) sulla lingua dei testi delle canzoni (ebraico per gli uomini/dialetti giudaici per le donne); b) sui contesti delle esecuzioni (ciclo dell'anno per gli uomini/ciclo della vita per le donne) e c) sullo stile (recitativo, cantillazione, tradizione musicale " alta" per gli uomini/canzoni popolari, tradizione musicale "bassa" per le donne). Quando la componente orale della musica ebraica fu riconosciuta come una risorsa vitale e, a partire dalla fine del diciannovesimo secolo, cominciò ad essere documentata, le depositarie di questo sapere, le donne, furono praticamente escluse dal dibattito degli studiosi. Il testo a tutt'oggi più prestigioso sulla musica ebraica (Idelsohn 1929) limita la sua trattazione delle donne a circa quattro [!] affermazioni: 1) " Non è rintracciabile in nessun luogo la partecipazione delle donne al coro del [secondo] Tempio"; 2) "Le donne sono escluse dalla partecipazione alla musica religiosa"; 3) " Le donne [yemenite] sono escluse dalle danze: i festeggiamenti hanno luogo solo tra gruppi di uomini; 4) "Le donne [ebree dell'Europa orientale] erano generalmente tenute in casa, escluse dall'istruzione nelle dottrine ebraiche. Esse ricevevano un'educazione morale e religiosa dalle loro madri e dai libri scritti in yiddish e aspettavano il matrimonio ideale con un uomo ben esperto della Torah ma del tutto impreparato nelle faccende di questo mondo. La sposa sapeva che nella maggioranza dei casi sarebbe stata destinata ad aiutare il marito a guadagnarsi da vivere... Furono tutte queste amare esperienze di vita a colpire in primo luogo la donna ebrea e a trovare espressione nel suo canto... Questi canti sono in uno stile patetico, di una disperata tristezza" (Idelsohn 1929: 16, 27, 370 e 394-395 rispettivamente). Agli occhi di Idelsohn una donna ebraica è un soggetto subalterno e la sua canzone è l'espressione passiva di tale subalternità. Evidentemente Idelsohn proiettava in questi giudizi una visione formatasi nella società dell'Europa orientale cui egli apparteneva. Oltretutto, nella sua breve trattazione delle canzoni giudeo-ispaniche, Idelsohn (1929: 376-8) non menziona il fatto che queste erano effettivamente trasmesse da donne. Apparentemente Idelsohn derivò " questi prodotti" musicali della tradizione sefardita da fonti secondarie e ci si chiede se egli abbia mai intervistato delle donne sefardite (cf. Katz 1972-5). Le osservazioni di Idelsohn citate sopra riappaiono in una introduzione alla musica ebraica pubblicata di recente (Shiloah 1992: 178-180). Shiloah aggiunge alla discussione la nozione di "antichità" delle canzoni delle donne ebree, dovuta alla loro "natura arcaica", un concetto che egli prende in prestito da Béla Bartók ed Edith Gerson-Kiwi. Egli presenta inoltre un elenco di "tratti" caratteristici delle canzoni delle donne in tutte le società giudaiche. Per esempio: le canzoni delle donne sono trasmesse oralmente e perciò mancano delle caratteristiche delle canzoni scritte "che obbediscono alle regole metriche ed estetiche presenti nelle canzoni degli uomini" (Shiloah 1992: 179). I repertori delle donne sono, secondo questo punto di vista, più legati alla tradizione e più semplici rispetto a quelli maschili. Tali dicotomie basate sul genere sono più un riflesso delle posizioni tradizionali ricevute in eredità dagli studiosi che non un'imparziale analisi delle tradizioni musicali ebraiche. E' inutile dire che anche la musica delle canzoni ebraiche maschili è trasmessa oralmente e che alcune canzoni di donne sefardite si conformano agli schemi metrici e alle "norme estetiche" della poesia. Le donne sono assenti anche dalla ricerca letteraria sulla canzone sefardita nell'area del Mediterraneo. Per esempio uno studio edito di recente sulla letteratura orale giudeo-ispanica (Díaz-Mas 1994) discute questo repertorio in tutti i suoi aspetti senza menzionare la parola "donna", neppure nella discussione sul contesto dell'esecuzione delle canzoni. Si può solo arguire che sta parlando qui una tradizione colta orientata all'approfondimento delle radici filologiche, che esplicitamente ignora l'agente della trasmissione in favore dell'oggetto trasmesso. Come Sacks (1989: 99) aveva già argomentato, gli studiosi esaminano il sapere delle donne e la cultura materiale come se questi "non incarnassero l'espressione di un potere connesso al genere, ma fossero solo in sé degli interessanti manufatti ". Solo recentemente il tema del genere è stato affrontato in modo approfondito negli studi sulla musica ebraica (vedi Cohen 1987; Koskoff 1987b; Weich Shahak 1997b: 15-16). Inoltre la maggior parte degli studi su musica ebraica e genere si concentra, come fanno gli studi sul genere di altre culture musicali, solo "sulla descrizione di ambiti, stili e tipi di esibizione maschili e femminili" (Herndon 1990: 26). E' ancora da fare una più profonda analisi che consideri biologia e cultura. Riguardo alle cantanti sefardite, occorre segnalare gli studi recenti di J. Cohen (1995; 1997) sullo sviluppo di nuove strategie e contesti per l'esecuzione e la trasmissione della tradizionale canzone in Ladino nel ventesimo secolo ad opera delle donne. Cohen, che ha anche trattato del ruolo delle donne musiciste nella Spagna medievale (Cohen 1980), esamina la trasformazione dei ruoli femminili usando una tipologia che distingue le cantanti in base alla loro posizione sociale all'interno della contemporanea comunità sefardita: portatrici della tradizione, interpreti locali, interpreti esterne. Questo esame rende possibile una nuova comprensione dell'espandersi dei contesti in cui le donne sefardite possono esercitare la loro attività nel ventesimo secolo, ivi inclusi la ricerca, i concerti dal vivo, la partecipazione a programmi radiofonici e televisivi, l'incisione di dischi. Le cantanti sefardite assumono anche nuovi ruoli come quello di insegnanti di musica e, talvolta, di consulenti degli studiosi. popolare 3. Verso una nuova interpretazione delle sopravvivenze della canzone po polare giudeo--ispanica giudeo Lo studio di Cohen, in verità, è carente nella trattazione dei modi e delle ragioni per cui il repertorio giudeo-ispanico o ladino trasmesso oralmente dalle donne sia sopravvissuto prima del ventesimo secolo all'interno di una comunità a dominazione maschile, patriarcale, religiosa e incentrata sulla scrittura, in un contesto musulmano assai distante da quello iberico delle sue origini. Una delle ragioni per cui non è stata affrontata direttamente questa questione è il fatto che la moderna etnografia dà per scontato il ruolo centrale delle donne nella trasmissione della tradizione sefardita ed esclude le fonti etno-storiche. Tali fonti ci mostrano che tra le donne e la direzione spirituale delle comunità sefardite esisteva un rapporto di: a) opposizione, si veda il veto rabbinico contro le donne che cantavano in generale e contro quelle che cantavano le canzoni tradizionali giudeo-ispaniche in particolare; b) di resistenza, si veda il fatto che le donne sefardite crearono un loro proprio tempo e spazio per eseguire le loro canzoni. Cantanti sefardite oggi residenti in Loretta 'Dora' Gerassi (nata in Bulgaria) e Bienvenida 'Berta' Aguado (nata in Turchia) Israele: L'opposizione ha le sue radici nella segregazione della voce e del canto delle donne che è stabilita in modo più particolareggiato rispetto ad altre regole religiose ebraiche riguardanti la segregazione femminile, quali quelle relative alle mestruazioni. Le fanciulle e le donne che hanno superato la mezza età non hanno mestruazioni e sono perciò esonerate dalle limitazioni imposte alle donne dalle regole in questa materia, ma cantano. Le donne sefardite di tutte le età si sono impegnate nell'attività del cantare in modo assertivo e attivo come forma di resistenza, non come "contenitori" passivi nella trasmissione della canzone, quali risultano nella descrizione di Cohen (1995: 182). Le donne sefardite spesso non ebbero una particolare percezione del fatto di essere più degli uomini limitate nelle loro scelte dal sistema sociale sessista della tradizione giudaica. L'etnografia attesta il carattere indipendente delle attività musicali delle donne sefardite. Le canzoni popolari in ladino erano eseguite nell'area del Mediterraneo nei tempi e luoghi delle attività femminili, per un pubblico di donne e bambini, come un passatempo (ad esempio prendendosi cura della madre di un nuovo nato durante i giorni che precedevano la circoncisione) o accompagnando lavori domestici quali fare il bucato, cucinare, cullare i bambini per farli addormentare. Gli uomini sefarditi potevano certamente udire le canzoni delle loro donne in quei riti relativi al ciclo della vita per i quali la segregazione fisica era attenuata: i matrimoni e i funerali (vedi Cohen 1980: 86). Susanna Weich-Shahak (1984: 30; in c.d.s.), che ha raccolto la più ampia documentazione etnografica sulla canzone popolare sefardita in Israele e dintorni, riferisce l'esistenza di associazioni di donne cantanti, usualmente chiamate compañas,che i incontravano una volta a settimana per cantare insieme, ogni volta in casa di una donna diversa. Questi gruppi venivano invitati alle nozze per rallegrare l'uditorio ed erano ricompensati dal pubblico per la loro prestazione. I guadagni del gruppo erano di solito investiti in donazioni per il corredo delle spose povere. C'è probabilmente qualche rapporto tra questi gruppi ed altre, più formali, associazioni di cantanti nelle passate comunità sefardite, come la hevrah kadisha ("la compagnia di [cantanti] kaddish") che cantava ai cortei funebri e ai matrimoni. Quando cantavano ai matrimoni in Marocco queste compagnie includevano anche giovani ragazze. Alcune donne sefardite erano rinomate quali cantaderas, cantanti semiprofessionali che si accompagnavano con i tamburelli e con uno strumento a percussione chiamato pandero o panderico nel Mediterraneo orientale e sonajanel nord del Marocco. In Marocco si trova anche, tra le cantanti, l'uso di nacchere (chiamate castañuelas o palillos, suonate in maniera piuttosto "amatoriale", usandone solo un paio liberamente sospeso al dito medio ed attivato dalla mano libera), una chiara importazione dalla Spagna meridionale. Le suonatrici di strumenti percussivi nei Balcani e in Turchia erano chiamate tañaderas. E' interessante notare che la percussionista-cantante-ballerina nella cultura ebraica del Mediterraneo orientale quale "segno di un dominio molto più esteso ed importante delle attività femminili che dovrebbe essere ben altrimenti riconosciuto" risale ai tempi della Bibbia, come ha messo in evidenza Meyers (1994) sulle basi di recenti ricerche archeologiche. Le strumentiste sefardite non si limitavano solo all'uso delle percussioni. Il viaggiatore Victor Guerin, per esempio, testimoniava che nella Rodi della metà del diciannovesimo secolo ragazze e donne sefardite erano solite incontrarsi regolarmente presso la fontana della calle ancha ("strada larga") e notava che la maggior parte di loro sapeva suonare "una chitarra che somigliava ad un mandolino spagnolo ed accompagnava i canti e le danze alle celebrazioni" (1856, citato in Angel 1987: 100). Weich-Shahak (comunicazione personale) riferisce che l'uso di strumenti a corda, ‘ud, mandolino, e perfino del qanun, era consueto tra le donne sefardite orientali all'inizio del ventesimo secolo. Considerando i dati disponibili si può ritenere, seguendo Robertson (1987: 242), che le donne sefardite "svilupparono i loro particolari stili di comunicazione e intimità" e "che questi stili creano legami resi spesso più forti dalla segregazione sessuale nelle società dominate dai maschi" (vedi anche Magrini 1995). Andiamo ora ad indagare sotto quali condizioni sociali questi sviluppi ebbero luogo. 4. I rabbini sefarditi a proposito delle donne che cantano e delle loro canzoni Gli uomini sefarditi, che dominavano la scrittura e la trasmissione dei testi nelle loro comunità, modellarono l'immagine delle loro donne che cantavano come di minacciose "diverse" che bisogna controllare. La letteratura rabbinica affronta esplicitamente questo argomento. Una prima lettura di questi testi fa capire che cantare le canzoni popolari era uno dei più potenti mezzi per l'espressione dell'identità personale femminile nelle società tradizionali sefardite. I giudizi dei rabbini sulle donne che cantavano romances e canciones sefardite costituiscono una fonte di indagine relativamente trascurata. Pochi anni fa ho pubblicato i testi dei rabbini sefarditi che affrontavano questo argomento tra il sedicesimo e il diciottesimo secolo (Seroussi 1993). Segue la traduzione di alcuni brani: Rabbi Eliyahu de Vidas, p. 589, n. 35): Reshit hokhma (Venezia 1579; ed. Y.H. Waldman, Jerusalem 1984, ch.10, I canti sacri promuovono la comunione con Dio, invece le canzoni cantate dalle donne, con le loro parole frivole e il linguaggio grossolano provocano una separazione fra anima e corpo e anche se [i testi] non usano termini corrotti tutti questi versi sono senza valore e le persone di basso livello vengono attratte dalle parole di queste canzoni dappoco e perdono di vista la loro anima, e a tal riguardo il profeta disse: "Risparmiatemi il suono dei vostri inni e non fatemi sentire la musica dei vostri liuti" [Amos 5:23]. Rabbi Eliyahu ben Shelomo Abraham Hacohen (Izmir), Shevet musar (Constantinopoli 1712, ch. 124, fol. 76b): E' proibito [alle] donne crescere i loro bambini con canzoni lascive e versi lussuriosi poiché tali canzoni profanano il corpo e l'anima. E la mente della donna prende a vagare ed ella interpreta questi versi che cantano di amori proibiti come se la riguardassero direttamente ed immagina di aver partecipato effettivamente alla tresca e da lì cade in pensieri profani come il serpente che dà origine al serpente volante, la lebbra della prostituzione. E ancor più, quando la donna prende l'abitudine di emettere questi suoni lascivi dalla sua bocca, essa tende ad usare parole insensate e ad insozzare la sua bocca. E ci sono donne che dicono bestemmie ai loro piccoli come se stessero giocando con loro. Dannato sia il nome di quelle [donne] che fanno tal cosa, perché questo dimostra che sono attratte dal male della prostituzione ed esse provocano una malefica epidemia perché i loro figli, crescendo, imparano ad ascoltare e a dire le stesse sconce espressioni e a profanare le loro bocche senza esserne consapevoli. Per questa [ragione] la donna dovrebbe preoccuparsi di ogni parola che pronuncia in modo che siano parole pie e graziose, parole gradevoli e squisite. Yaacov Huli, Me’am loez (Constantinopoli 1730, commentario alla Genesi 38, fol. 188b): Chiunque drizzi le sue orecchie per ascoltare parole innocue [devarim betelim] e canzoni di donne, e sia pure [canzoni] di uomini che non siano pizmonim (canzoni religiose), si procura danno. Questi testi riflettono la consapevolezza dei rabbini riguardo alla diffusione, tra le loro donne, della pratica del canto e la loro impotenza ad impedirla. Per di più, nella letteratura si trovano alcuni casi di donne ebree sefardite ed orientali che non solo eseguivano musica, ma perfino composero nel campo della poesia e della canzone. In Spagna e nell'area mediterranea donne sefardite composero canzoni perfino nel campo esclusivamente maschile della poesia religiosa, nel periodo medievale (Haberman 1981). Fleischer (1984) sostiene che la moglie di Dunash ben Labrat, poeta cui si attribuisce la fondazione della corrente spagnola medievale di poesia ebraica nel decimo secolo, fosse una poetessa. Un altro sorprendente esempio è costituito dai poemi religiosi (piyyutim) di una poetessa ebrea marocchina del diciottesimo secolo (Chetrit 1980, 1993). L'esistenza di donne sefardite che si proponevano come artiste è testimoniata anche da un altro responso rabbinico. Il testo è parte di una vicenda inclusa nel Moshe yedabber (fol. 57a) da Rabbi Moshe Israel di Rodi (morto nel 1782) descritto da Angel (1978: 32-33): Mentre vendevano le loro mercanzie nel quartiere gentile alla periferia della città di Rodi, due mercanti ebrei videro con i loro occhi un gruppo di uomini e donne non ebrei che sembravano abbandonare la scena di un incontro sociale, suonando percussioni e trombe. Nel gruppo c'erano due donne ebree, che stavano cantando e facendo festa insieme agli altri. I due mercanti riferirono l'incidente al Rabbino Capo che a turno convocò le donne ad un incontro nel corso del quale le ammonì circa la loro inopportuna condotta. Le donne replicarono che, sebbene fossero di fatto andate alla festa dei gentili, avevano agito così solo in una funzione professionale, non per socializzare con dei non-ebrei ma per cantare a pagamento. Inoltre assicurarono il rabbino di non essere colpevoli di nessuna cattiva azione dato che non avevano mangiato il cibo dei gentili e neppure bevuto la loro acqua. Malgrado queste rassicurazioni, il rabbino disse alle donne che la loro condotta era sconveniente e che dovevano smettere di esercitare tale attività. Questa storia ha una seconda parte nella quale una delle cantanti maledice in pubblico uno dei mercanti che l'avevano accusata davanti al rabbino, il mercante la maledice di rimando e il nipote della cantante "una persona forzuta, quasi brutale" minaccia il mercante. Questa storia ci fa capire che le cantanti sefardite semi-professioniste si esibivano per i gentili in età avanzata (la cantante della nostra storia è evidentemente una nonna). Cartoline postali di Salonicco risalenti ai primi del Novecento ritraggono alcuni di questi gruppi musicali femminili sefarditi. E' molto evidente che le donne ebree cantarono professionalmente nei paesi dell'Africa settentrionale anche in tempi più antichi (Jones 1987: 73-74). La sposa danza durante la cerimonia nuziale (Smirne, 1847) Gruppo di danzatrici sefardite di Salonicco (primi anni del XX secolo) 5. Uno spazio tradizionale per il canto femminile: i lamenti funebri Quello del lamento funebre è uno "spazio" nel quale si udivano le voci delle donne (vedi Alvar; Larrea Palacìn; Molho 1950: 180-181; Weich-Shahak 1989b: 154-157, 1992: 57). Nessuna sorpresa, visto che l'esecuzione femminile dei lamenti in occasione di eventi luttuosi è una caratteristica ritrovata nella maggior parte delle culture, inclusa l'antica cultura ebraica. Lo studio pioneristico di Suliteanu (1972) sui lamenti yiddish della Romania è una testimonianza di questo fenomeno tra le donne ebree askenazite. In contrasto con la tesi che con condiscendenza considera le donne quali lamentatrici professioniste in quanto esse non sanno controllare le loro emozioni, Tolbert suggerisce "che esprimere le emozioni nell'esecuzione del lamento è un'espressione di potere" (1990: 44). Il lamento funebre è una ragione per cui Hasan-Rokem (1995: 97) sostiene che è la voce delle donne quella che si sente dentro e tra le righe dell'antica midrash (opuscolo esegetico) Ekha (Lamentazioni) rabba. In uno studio della poesia funebre sefardita Gutwirth (1993) ha argomentato in favore del "carattere femminile" della poesia funebre medievale in giudeo-ispanico in base all'analisi di una canzone di questo genere trovata in un manoscritto del sedicesimo secolo dal Genizah del Cairo. La canzone si basa su di un motivo letterario proveniente dall'antica letteratura, "la madre che divora il bambino" già trovato nella Bibbia (2 Re 6, 25-29, Ezra 5, 10; Lamentazioni 2, 20), nella letteratura midrascica (Ekha rabba 1, 15; Yalkut Ekha 1; Pesiqta rabbati 29) come pure nella Guerra dei Giudei di Josephus. Il poema è sopravvissuto nella tradizione orale dei Giudei di Tetuán (Alvar 1969, 161 ss.; Larrea Palacìn 1954, n. 80 e 172; Díaz-Mas 1982, 186 ss.). Nella tradizione scritta il centro della scena è costituito dall'orrore degli attori maschili che scoprono che lo squisito aroma da cui è stato stimolato il loro appetito è un bambino arrosto. Questo motivo fu conservato nella tradizione maschile paraliturgica (Najara 1946: 474 ss.), che enfatizza la crudeltà della madre piuttosto che il figlio quale oggetto della fissazione di lei. Nella versione orale, ancora cantata nella commemorazione festiva del nono giorno dell'Av, protagonista è una donna (impersonata da una lamentatrice semi-professionista), le circostanze tradizionali della rappresentazione manifestano un'ottica femminile (i funerali di una donna di eccezionale longevità i cui figli sono vivi al tempo del funerale) e la struttura della storia (la preghiera, ad esempio, del figlio sacrificato alla madre ammutolita di non mangiare i suoi occhi, con i quali aveva studiato la legge) evidenzia una tradizione fortemente orientata in senso femminile. Questa carattere femminile risale alla versione della canzone trovata nella Genizah, caratterizzata dall'esclusione dei personaggi maschili estranei alla vicenda. L'esecuzione di lamenti e canti funebri è davvero uno dei più importanti ambiti riservati alle donne sefardite ed è una tradizione che risale alla Spagna medievale. Gli incipit dei canti funebri in spagnolo, la maggior parte appartenenti al repertorio delle donne, furono individuati in un manoscritto di poemi funebri in ebraico (Yahalom) del quindicesimo secolo. Le plañideras, ebree, cantanti professioniste dei lamenti, sono citate in testi della Spagna medievale (Angles 1968: 52-53). I rabbini difesero questa consuetudine malgrado contrastasse con l'approccio talmudico alla voce femminile. Il responso n. 158 di Rabbi Isaac ben Sheshet (1326-1407) è un esempio di questa difesa: In Zarakasta [probabilmente Saragozza] le lamentatrici andavano di solito in sinagoga durante tutti i sette giorni del lutto per servizi mattutini e serali, anche del primo sabato e dei giorni feriali, e dopo la preghiera, quando esse ritornano alle loro case seguite dalla maggior parte della congregazione, che le accompagna fino all'entrata del cortile, la lamentatrice rianima quelli che l'attorniano e suona un tamburo che ha in mano e le [altre] donne emettono lamenti e battono le mani e poiché questo è fatto in onore del defunto la loro consuetudine non dovrebbe essere abolita (Sheshet 1993/I: 167). Il ruolo delle donne sefardite come esecutrici di lamenti continuò con forza nella tradizione orale delle comunità del nord del Marocco (vedi Alvar; Larrea Palacìn Weich-Shahak 1989b; per le cantanti funebri di stirpe ebraica fra i conversi, vedi Levine 1991) mentre si impoverì nei centri ottomani (vedi comunque Molko 1950: 180-181). 6. L' "appropriazione" maschile delle canzoni sefardite femminili I drammatici cambiamenti nella composizione, trasmissione e ricezione della canzone giudeoispanica nel ventesimo secolo condussero alla sua trasformazione in un genere trans-nazionale di musica commerciale. La canzone tradizionale in ladino divenne una "merce". La domanda rivolta alla canzone tradizionale come oggetto di intrattenimento, piuttosto che come componente di uno specifico rituale, creò una situazione nuova nella quale gli uomini si "appropriarono", o più precisamente "sfruttarono", la canzone delle donne per scopi commerciali. Le canzoni furono eseguite da cantanti ebrei professionisti che comparvero in nuovi contesti, particolarmente negli spettacoli di intrattenimento (come il gazinoturco). Sin dall'inizio del ventesimo secolo, i fonografi prodotti nel mediterraneo orientale dalle compagnie discografiche europee aprirono un nuovo mercato per la canzone in ladino. Cantanti sefarditi, come Isaac Algazi e Haim Efendi, cominciarono a registrare canzoni del repertorio femminile oltre ai pezzi liturgici del repertorio maschile. "La vuelta del marido" versione sefardita di una vecchia ballata spagnola, cantata da Isaac Algazi (Istanbul?, attorno al 1920)(wav file 205 kb.) Il cantore di sinagoga Isaac interprete di romances (Istanbul, 1924) Algazi, L' "appropriazione" maschile del repertorio femminile non è un fenomeno nuovo tra gli ebrei sefarditi. Già all'inizio del sedicesimo secolo, le collezioni di inni sacri ebrei includevano citazioni delle prime righe di canzoni in giudeo-ispanico del repertorio delle donne come indicazioni per l'uso delle loro melodie come contrafacta del canto della poesia religiosa (per gli approcci a questo fenomeno vedi Cohen 1990, Seroussi e Weich Shahak 1990-91). La misura del fenomeno del contrafactum tra gli ebrei sefarditi è una prova definitiva che: 1. una vigorosa tradizione di canzoni popolari spagnole, ivi inclusi vecchi romances, esisteva tra le donne prima e dopo l'espulsione dalla Spagna e rimase effettivamente non documentata (fanno eccezione alcune canzoni d'amore giudaico-spagnole trovate in un manoscritto ebreo del diciottesimo secolo, vedi Attias 1972), e 2. gli uomini ebbero accesso a e disponibilità di questi repertori e li utilizzarono per i loro propri scopi. Anche se i poeti sefarditi razionalizzarono questa transizione come un passaggio allegorico delle canzoni profane delle loro donne nel regno del sacro, la loro attività è ancora un esempio dell'ambiguità dell'identità di genere determinata dal processo di appropriazione. Contro questi modi "tradizionali" di appropriazione maschile, nel ventesimo secolo si ritrova il processo inverso, cioè l'appropriazione dei repertori maschili da parte delle cantanti. Le donne sefardite cantano oggi i tanghi e i fox-trot come parte integrante del loro repertorio "tradizionale". Queste canzoni penetrarono nel repertorio delle donne grazie al fonografo e alla radio all'inizio del ventesimo secolo (Seroussi 1990). L'espansione del repertorio delle donne attraverso l'adozione di canzoni tratte dai repertori maschili esisteva probabilmente prima dell'esplosione dei mass media. Tuttavia, fu intensificato durante il nostro secolo attraverso la creazione di uno spazio musicale aperto di musica commerciale che è condiviso dai membri di entrambi i sessi. "Las suegras de ahora", nuova canzone di nozze sefardita, basata su una popolare melodia turca, interpretata da Berta Aguado (wav file 201 kb.) 7. Conclusioni La canzone folclorica in ladino costituisce oggi un repertorio di "World Music" ampiamente diffuso. Il processo che ha condotto a tale sviluppo è complesso (Seroussi 1995); tuttavia le donne sefardite hanno raramente partecipato ad esso (alcune notevoli eccezioni sono Flory Jagoda negli USA, Ester Roffe in Venezuela e Kokhava Levy in Israele). L'appropriazione del loro repertorio da parte di altri (ebrei e non ebrei, uomini e donne artisti professionisti in ogni parte del mondo) concluse perciò secoli di trasmissione ed esecuzione, che erano gesti di affermazione della propria identità nella società tradizionale ebraica. L'esistenza di uno spazio sociale speciale per il canto finì con "l'emancipazione" delle donne sefardite negli stati moderni, incluso Israele. In ambienti ortodossi, tuttavia, questo fenomeno sociale può essere ancora vivo. L'attività musicale può ancora servire quale spazio per una espressione femminile indipendente tra le donne ortodosse sefardite. Ma l'esecuzione vocale di romances e canciones, venerabile repertorio in giudeo-ispanico della diaspora sefardita, così come degli equivalenti repertori tradizionali in giudeo-arabo, sono scomparsi. Questi sono sostituiti oggi in Israele dai meno minacciosi arrangiamenti strumentali dei successi pop "cassidici" suonati su organi elettrici Yamaha. 8. Note (1) Vorrei ringraziare le colleghe Susana Weich-Shahak, Judith Cohen, Galit Hasan-Rokem e Susan Sered per le loro suggerimenti e commenti alle prime versioni di questo scritto. 9. Bibliografia Alvar, Manuel 1969 Endechas judeo-españolas (Madrid: CSIC). 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