Studio grafico del marchio territoriale della provincia di Trapani “Noi siamo vecchi, caro Chevalley”, dice, nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, il principe di Salina all’inviato del re piemontese, siamo vecchissimi, sono venticinque secoli almeno che ci portiamo alle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee….” Abbiamo tenuto presente questa citazione per comprendere cosa possa essere la provincia di Trapani: un luogo ricco di storia, ma anche figlio e “ vittima” (...portiamo alle spalle il peso...) di culture diverse. Se da un lato queste diversità hanno arricchito il territorio, dall’altro hanno sicuramente acuito le differenze: forse per questo motivo non è semplice cogliere l’identità del territorio, forse per questo i particolarismi prendono il sopravvento e le forze aggreganti faticano a produrre degli effetti e risultati. Un territorio abitato da oltre 434.000 persone ,sul quale insistono diverse attività economiche, dove si producono vari prodotti e servizi. Nasce da queste ragioni la necessità di creare un solo marchio che abbia la peculiarità della riconoscibilità e possa incidere sulla creazione di una identità provinciale atto a stimolare l’integrazione di tutti i settori. Per poter avviare una efficace azione di marketing territoriale e soprattutto dare valore a tutto ciò che è trapanese, si è voluto realizzare il nuovo marchio della provincia di Trapani. Le linee guida del progetto per la internazionalizzazione dei prodotti e servizi della provincia di Trapani, prevedono per la provincia di Trapani la presenza di un unico marchio “ombrello” che rappresenti l’offerta provinciale indipendentemente dal settore di appartenenza. Un marchio unico dal valore elevato che permetta alla provincia di Trapani di promuoversi attraverso un’immagine specifica. A tale marchio è possibile affiancarne altri (di categoria o settori). Precise regole di comportamento, secondo una logica di tipo selettivo devono consentire l’uso del marchio e i soggetti che ne faranno richiesta saranno selezionati sulla base di criteri e disciplinari rigorosi, contenuti in un apposito protocollo. I soggetti che si servono del marchio, oltre a beneficiare del legame con la provincia di Trapani, incrementeranno il valore dell’intero territorio e contribuiranno alla promozione del territorio e del marchio stesso. La Provincia Regionale di Trapani nella sua normale azione di promozione dell’immagine del territorio è preposta alla gestione del relativo marchio (registrato dalla provincia di Trapani, che ne concederà la licenza d’uso). Dovrà quindi individuare i soggetti che potranno utilizzarlo, vigilare sul suo corretto uso e incentivarne la diffusione tra gli operatori trapanesi. Potrà eventualmente comminare le penalità previste dei disciplinari in caso di uso scorretto o improprio. Sul territorio sono stati individuati sei settori che rappresentano l’offerta della provincia di Trapani e che fungono da assi di sviluppo dell’azione di marketing territoriale. Un colore specifico è stato previsto per ciascuno di essi. NOTA METODOLOGICA Introduzione - premessa Al fine di giungere alla definizione di una strategia rappresentativa efficace della variegata realtà della provincia di Trapani e, quindi, realizzare un marchio territoriale in grado di valorizzare il territorio provinciale e le sue peculiarità, il lavoro qui presentato è stato realizzato attraverso tre momenti fondamentali: 1. lo studio delle caratteristiche distintive e di identità del territorio della provincia di Trapani 2. il benchmarking mediante la considerazione di alcuni tra i principali marchi territoriali esistenti (a livello locale, nazionale ed internazionale), la valutazione degli aspetti di impatto visivo e rappresentativo e la misurazione dei risultati 3. lo studio grafico del marchio, la realizzazione della proposta e della guida di utilizzo. La soluzione individuata e proposta è stata realizzata in coerenza con le osservazioni e le esigenze di rappresentatività espresse dai Soggetti istituzionali ed economici che hanno contribuito al processo di definizione degli obiettivi del presente lavoro. Studio grafico ricerca storica: Trapani Stretta tra il mare ed il monte di Erice, l’antica Drepanon nasce intorno al suo porto: originariamente come villaggio sicano, poi come piccola città fortificata, in cui per secoli vissero pescatori, commercianti, artigiani di popolazioni diverse, come gli Elimi, che popolavano Erice, o come un piccolo gruppo di Ionici. Una piccola città di mare, fondata dai Fenici, che solcavano i mari del Mediterraneo e che di Trapani fecero un emporio commerciale. Dal IX secolo a.C. i Fenici, persa la loro indipendenza, si stabilirono nel Mediterraneo occidentale, fondando Cartagine e rafforzando Trapani, trasformando la città in un importante porto per il controllo dei vari scali commerciali. In questo periodo, la storia di Trapani è indissolubilmente legata a quella di Cartagine. La città assiste alle grandi battaglie navali tra Cartaginesi e Romani: quella del 249 a.C. che vide la sconfitta della flotta romana, quella delle Egadi del 241 a.C., che permise ai Romani di occupare Trapani. L’epoca romana penalizza notevolmente la città, che perde la propria autonomia politica, la proprietà delle terre e subisce nuove tasse ed imposizioni. Nel 395 la Sicilia, e Trapani con essa, passa all’Impero Romano d’Oriente. Sono anni difficili, anche per le numerose invasioni barbariche. La città rinasce con la dominazione degli Arabi, che a partire dall’827 iniziano l’occupazione della Sicilia. Gli Arabi chiamano Trapani Itrabinis, Tarabanis, Trapanesch e segnano profondamente la città con la loro presenza, nell’architettura, nell’agricoltura, nell’arte, nella lingua, nella cultura. Viene ampliato il porto, vengono costruiti nuovi quartieri, viene reintrodotta la piccola proprietà. Gli Arabi introducono anche nuove produzioni, costruiscono opere di ingegneria idraulica, rivoluzionano le tecniche di pesca e riportano il porto ai fasti di un tempo. Nel 1097 Trapani viene conquistata dal normanno Ruggero. È un altro periodo di grande prosperità per il territorio. Il porto ottiene la franchigia doganale, la città ospita i primi consolati delle principali potenze commerciali, genovesi, pisani, veneziani, fiorentini, amalfitani, catalani. Con i Normanni la religione cattolica romana diviene la religione ufficiale. Nel periodo svevo, a partire dal 1194, Trapani vede confermata l’importanza del suo porto. Con il regno di Carlo d’Angiò, Trapani vive un periodo difficile, a causa di una notevole pressione fiscale. I Vespri Siciliani del 1282, a cui partecipano numerosi notabili trapanesi, portano alla fine della dominazione angioina in Sicilia. Inizia così la dominazione aragonese. Con Giacomo II d’Aragona, la città conosce un nuovo assetto urbanistico. Carlo V dà un ulteriore incremento alle attività commerciali ed artigianali. La dominazione spagnola si conclude nel 1713. Dopo le brevi parentesi sabauda e austriaca, dalla seconda metà del Settecento inizia il regno borbonico, che governa la Sicilia fino al 1860. In questo periodo i trapanesi si dedicano al commercio e all’industria. Fiorente è l’attività marinara, così come le industrie del sale e le tonnare. Rimasta pressoché indifferente alla sollevazione del 1820, Trapani partecipò invece ai moti del 1848. Nel 1899 il re Umberto I conferisce alla città la medaglia d’oro per i fatti del 1848. La città dà il suo importante contributo per l’unità d’Italia e si conferma come centro importante nel settore agroalimentare, ma la lontananza geografica dai grandi mercati porta ad un inesorabile declino, che si accentua ancora di più nei primi del Novecento e durante la prima Guerra Mondiale. Particolarmente vivace resta invece l’attività culturale e politica. Nel ventennio fascista si assiste ad una leggera ripresa dell’economia del territorio. La Seconda Guerra Mondiale segna profondamente la città, con la distruzione dell’intero quartiere di San Pietro, il più antico di Trapani, e del Teatro Garibaldi, costruito nel 1849. Ben ventotto sono le incursioni aeree che la città subisce, collocandola al nono posto dei capoluoghi di provincia bombardati. Il 22 luglio del 1943 le truppe alleate giungono nella piazza di Trapani, trovando una popolazione in drammatiche condizioni di vita. Il difficile periodo della ricostruzione porta la città tra il 1950 ed il 1965 ad una ripresa delle attività industriali e commerciali. Il terremoto della Valle del Belice del gennaio del 1968 provoca ripercussioni e danni anche nella città di Trapani. ELEMENTI CHIAVE: MARE- PORTO SUCCESSIONE DI DOMINAZIONI Studio grafico ricerca storica: Marsala Nella storia della Sicilia, Marsala affonda le sue radici nel IV secolo a.C., quando dal mare giungono Fenici per insediarsi nell'isola di Mozia, la perla archeologica dello Stagnone che i Cartaginesi difendono invano nel 397 a.C. dagli attacchi di Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa. I superstiti si rifugiano sul vicino promontorio di Capo Boeo, e qui fondano Lilybeo. Poi la lunga dominazione dei Romani, sotto i quali fiorisce il commercio e si sviluppano gli affari. Nell'VIII secolo arrivano i pirati Arabi: distruggono Lilybeo e la ribattezzano col nome di Marsa Allah, Porto di Dio (secondo altri Marsa Alì) da cui l'attuale nome Marsala. Ai musulmani seguono i Normanni e gli Svevi: siamo a cavallo tra il XII e il XIII secolo, durante il quale gli interessi economici della città si spostano dal mare alla terraferma. Marsala diventa centro agricolo, nascono e si sviluppano i feudi nei quali - grazie agli Angioini - si diffondono le colture dei cereali e cresce la pastorizia. Nel 1575 avviene un fatto clamoroso: gli Spagnoli chiudono il porto per fronteggiare le invasioni dei pirati. È il declino delle attività legate al mare, mentre si avvia la diffusione della viticoltura. Lungo le coste spuntano torri d'avvistamento; nell'entroterra nascono i bagli che scandiscono i ritmi della vita contadina. Un "rincorrersi" tra mare e terra la storia di Marsala che - nel 1773 - trova un suo punto di equilibrio nel vino grazie agli Inglesi. Prima John Woodhouse (intraprendente commerciante di Liverpool), poi Ingham e Whitaker scoprono e valorizzano la più antica Doc d'Italia: il marsala. I Florio, dieci anni dopo, saranno i primi italiani a commercializzarlo. Nel periodo Risorgimentale, l'11 Maggio 1860 è una data importante per Marsala: sbarca Giuseppe Garibaldi che, con i Mille, avvia da qui l'unità d'Italia. Il resto è storia recente, pressappoco identica a tante altre cittadine del meridione italiano, aggravata dai bombardamenti della 2ª guerra mondiale: l'11 Maggio 1943, il più terribile di tutti. Per l'eroica capacità di ripresa da quel nefasto giorno, Marsala è insignita della Medaglia d'Oro al Valore Civile. L'avere subito tante dominazioni straniere ha i suoi risvolti positivi - oltre che nelle testimonianze e nei documenti storici - anche nel senso dell'ospitalità mediterranea dei marsalesi. Nell'ultimo decennio si è notevolmente incrementato il flusso delle presenze turistiche, aumentando altresì la ricettività. Dai tre alberghi di dieci anni fa si è passati agli attuali 14; mentre un vistoso incremento si è avuto nell'extralberghiero: agriturismi, e affittacamere sono ora una trentina. In crescita anche i posti letto: oggi se ne contano più di 1.400, cui vanno aggiunte le casevacanza utilizzate nel lungo periodo estivo. Tutto ciò è frutto di una seria programmazione delle Amministrazioni comunali succedutesi nel tempo, con progetti di promozione del territorio che hanno visto Marsala presente in molte rassegne turistiche in Italia e all'estero. Il restauro artistico e architettonico delle opere pubbliche, poi, ha ridato lustro all'antica Lilybeo. Così, il centro storico - racchiuso tra Porte e Bastioni - svela musei e palazzi, chiese e monumenti, piazze e teatri. Sulla via della Giudecca ricade il moderno Complesso San Pietro che ospita il Museo civico. Nel Cassaro si fa shopping e si respira l'antico e il moderno di Marsala; mentre artistico e suggestivo è il mercato del pesce, nel quartiere spagnolo. Verso Capo Boeo si estende il Parco archeologico con la Venere Callipige e la Nave Punica, i mosaici dell'Insula romana e la grotta della Sibilla Lilybetana con il Battistero di San Giovanni. Ma l'itinerario artistico e culturale riserva altre tappe: il Convento del Carmine (sede della Pinacoteca comunale), il "regio" teatro Eliodoro Sollima, piazza Loggia con la Cattedrale e Palazzo VII Aprile, il museo con gli Arazzi fiamminghi. Fuori dal centro urbano, si ammira la laguna dello Stagnone con le quattro isole della Riserva naturale, le saline, i mulini a vento: tesori di un paesaggio incontaminato, tipicamente mediterraneo. Il Canalone, poi, costeggia il parco attrezzato di Villa Genna e si snoda fino agli imbarcaderi per l'isola di San Pantaleo, lungo vasche e montagne bianche di sale: al tramonto i colori creano riflessi di insolita bellezza. Uno scenario incantevole fino alla fenicia Mozia, custode di pregevoli reperti archeologici esposti nel museo Withaker. Su tutti si impone la statua del Giovane in tunica. La "Pro Loco" e la "Strada del Vino di Marsala Terre d'Occidente" sono le Associazioni cui fare riferimento per un tour nel territorio, lungo itinerari in cui degustare vini e piatti tipici: rinomati il cuscus di pesce, la pasta con le sarde, i busiati (pasta fresca lavorata a mano) con tonno. Tra i dolci, cassata, cannoli e cappidduzzi di ricotta; cassateddi di fichi secchi, mustazzoli di vino cotto. Tantissimi i gusti dei gelati artigianali: gelsi, mandorla e anguria i più caratteristici. ELEMENTI CHIAVE: MARE- PORTO -VINO- AGRICOLTURA -SOLE - DOMINAZIONI Studio grafico ricerca storica: Castelvetrano Tramontata da tempo l’ipotesi storiografica che voleva Castelvetrano fondata dai cosiddetti “veterani” selinuntini, la teoria che oggi appare più plausibile è quella che vede innestarsi le origini di Castelvetrano in quel particolare processo di trasformazione sociale, conseguenza della dominazione normanna, che va sotto il nome di “crisi del villanaggio”. La scomparsa di tanti casali, a cui i nuclei familiari dei villani avevano dato vita, il concentrarsi dei contadini nei borghi col ruolo di stipendiari - ossia non più schiavi vincolati alla terra ma liberi lavoratori a giusta mercede - causò un processo di trasformazione sociale che ebbe come conseguenza il confluire di tanti lavoratori della terra, unitamente alle famiglie, dai campi al borgo che, per posizione, possibilità di difesa, punto d’incontro di vie di comunicazione, dava maggiore garanzia alla propria incolumità, maggiori possibilità di lavoro e di iniziative. Tale ipotesi è avvalorata dalla considerazione che, nel 1154, Edrisi nel suo Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo pone, nella zona di Castel- vetrano, i casali Qasr ’ibn Mankud, Bilgah (Bilici), Al Asnam (Selinunte), Rahal al Qayd. Poco più di un secolo dopo, dei casali menzionati da Edrisi non resta traccia, se è vero che statistiche ed elenchi dell’amministrazione angioina li ignorano. Notiamo come nell’elenco delle 51 città della Sicilia Ultra (al di là del Salso), dove, nel 1279, Carlo d’Angiò ordina la distribuzione di nuova moneta, Castelvetrano occupa un non disprezzabile ventiduesimo posto. E del resto, anche l’esame delle collette versate dalle città siciliane alla Curia Regia vede Castelvetrano passare dalle 60 oncie e 18 tarì, pagate nel 1277, alle 123 oncie pagate nel 1283; indizio chiaro o di un centro già da tempo in via di graduale crescita, ovvero dell’improvvisa espansione di un insediamento affatto nuovo. Ora, molti studiosi, sia del passato sia moderni, hanno proposto di agganciare Castelvetrano con centri arabi di cui, poi, si è perduta memoria. Così il Ferrigno, argomentando su un calcolo di distanze, peraltro criticato da Varvaro Bruno, identifica Castelvetrano col sito di Rahl al Qayd; mentre D’Angelo, senza però spiegarne il motivo, propone il collegamento con Qasr ibn Mankud. Quale che sia la possibile identificazione, appare plausibile che su un eventuale agglomerato preesistente, anche di piccola dimensione, a causa della buona posizione e della terra fertile, sia venuta concentrandosi tutta quella popolazione rurale che, fuggita da altri casali sparsi nel territorio, si sia qui rifugiata e stabilmente insediata. È probabile che questo processo sia venuto maturando a partire dal XIII sec., in seguito a quel sommovimento economico e sociale cui prima si accennava. Ciò spiegherebbe il fatto che di Castelvetrano non si parla, come centro abitato, né nel diploma di fondazione della diocesi mazarese nel 1093, né in quello di conferma del 1100; mentre si cita che nel 1273 Castelvetrano paga le sue decime al vescovo di Mazara. È probabile, comunque, che il toponimo Castrum Veteranum, prima ancora di indicare un centro abitato, abbia designato una località, un incrocio di vie di comunicazione, contraddistinto, forse, da un qualche rudere di fortezza selinuntina, romana o bizantina, sede probabile di un antico insediamento, come attestano i ritrovamenti di tombe, cisterne e varia ceramica proprio dove oggi si estende la città. Del resto, un diploma risalente al 1124, proveniente dal monastero di S. Michele di Mazara, nel definire i confini di alcune proprietà delle monache, cita una strada “che sale da Mazara a Castelvetrano”. In ogni caso, pur ammettendo l’esistenza di un centro abitato in epoca remota (Legum, Entella, Gaito, ecc.), o la possibilità di una frazione agricola o di una fortificazione selinuntina, va detto che Castel- vetrano acquista una sua precisa identità a partire dal XIII secolo.Il toponimo riappare nel 1299, allorquando il re Federico III, con un diploma dato a Polizzi, concede la terra di Castelvetrano, strappata per fellonia a Tomaso da Lentini, in baronia a Bartolomeo Tagliavia. Di qui in avanti, la storia della nostra città si intreccia con quella dei Tagliavia, i quali, attraverso un’abile politica espansionistica e matrimoniale, assurgeranno a grande prestigio e potenza, avviando lo sviluppo di Castelvetrano che diverrà la piccola “capitale” di tutti i loro feudi e baronie. Leggendo il testamento di Nino I Tagliavia, secondo barone di Castelvetrano, notiamo come egli leghi all’”opera di Santa Maria” (la Chiesa Madre) la rendita di un’oncia, e assegni all’erigenda chiesa di San Gandolfo (l’odierna chiesa dell’Annunziata o della Badia) 300 tegole. Ciò conferma l’espandersi del borgo per una seconda chiesa, S. Gandolfo appunto, di cui erano in corso i lavori di copertura. Alla fine del XIV sec. la città doveva avere una cortina muraria e opere di fortificazione, probabilmente il castello, del cui primitivo assetto oggi rimane soltanto una torre ottagonale. Deduciamo ciò considerando che, nel 1411, Castelvetrano aderì ad una federazione di città, sorta per contrastare il maestro giustiziere di Modica, Cabrera, e salvaguardare i diritti della regina Bianca.Se Nino II Tagliavia potè firmare l’intesa nel castello di Salemi, è impensabile che quel feudatario non avesse alle spalle un adeguato luogo di sostegno e difesa. D’altra parte, che la città fosse fortificata si deduce anche dal fatto che l’antica chiesa di S. Giovanni, la cui data di fondazione è il 1412, sorse extra moenia, e così pure, cinquant’anni dopo circa, la chiesa di Santa Maria di Gesù, perché l’antica cerchia era già inadeguata a contenere una città in espansione. Nella seconda metà del ‘400, alla fine di una disputa di successione, la baronia di Castelvetrano venne in possesso di Nino III Tagliavia, fratello minore di Giovanni, in virtù del vincolo “primogenitale agnatizio” imposto per testamento a tutta la discendenza da Nino I. Giovanni Tagliavia, infatti, non ebbe figli maschi, ma una unica figlia, Margheritella, esclusa quindi dalla trasmissione di titoli e baronie. Nino III Tagliavia fissò dimora stabile a Castelvetrano, preferendola a Sciacca, e da allora nella “città palmosa” risiederanno tutti i suoi discendenti, finché impegni di governo e incarichi sovrani non li porteranno fuori dalla Sicilia e dall’Italia. Tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, Castelvetrano conobbe il suo massimo splendore per l’abile politica espansionistica dei suoi signori che, come già detto, fecero della nostra città il centro dei loro possedimenti. Carlo V, nel 1522, elevò Castelvetrano a contea; Filippo II, nel 1564, la eresse a principato. L’assegnazione di terre in enfiteusi e in affitto, che comportava la valorizzazione di plaghe prima incolte; l’introduzione di metodi di coltivazione più intensiva e razionale; l’adozione di colture più redditizie, determinarono una rapida ascesa di Castelvetrano in campo agricolo e produttivo, economico, demografico, urbanistico e sociale. Sorsero in questi anni, o furono ingrandite e abbellite, le chiese di S. Domenico, del Carmine (1509), della Madrice (1520), di S. Lucia (1521), dell’Annunziata o della Badia (1526). Il merito di aver dato avvio a tante fabbriche va a Giovan Vincenzo Tagliavia, primo conte di Castelvetrano, a cui va anche il riconoscimento per aver dato inizio alla colonizzazione di Burgio Millusio (l’odierna Menfi), estendendo su quella zona gli interessi socio-economici di Castelvetrano; e di aver ottenuto da Carlo V il privilegio dipoter esercitare in città li giochi de l’armi, compreso quello del toro. Nel 1516 anche Castelvetrano partecipò alla sollevazione dei vassali contro i baroni. In quella occasione, Giovan Vincenzo Tagliavia - uomo incline al negoziato e al compromesso, pur tenendo fermi gli obiettivi di fondo della sua linea politica - compose pacificamente la vertenza; per Castelvetrano, sulla pubblica piazza, alla presenza del popolo e di testimoni nobili del contado e delle terre vicine, giurò l’accoglimento e il rispetto delle richieste dei cittadini, prima fra tutte l’abolizione della cosiddetta tassa del mal denaro, un supplemento cioè del dazio sulla carne e sul vino, che, nonostante fosse stata imposto nel 1499 con un termine di 15 anni, era stata riscosso oltre il previsto. Il Ferrigno osserva che la riscossione della tassa del maldenaro era sicuramente un abuso, e infatti Giovan Vincenzo Tagliavia, a discarico di sua coscienza, impose per testamento al figlio Giovanni di costruire a sue spese il coro e la tribuna della erigenda Matrice, a compenso delle somme indebitamente percepite. Castelvetrano raggiunse l’apice del suo sviluppo con Carlo d’Aragona (i Tagliavia avevano aggiunto al loro tale cognome da Beatrice d’Aragona, sposa di Giovan Vincenzo, e nonna di Carlo) il Magnus Siculus, ricordato dal Manzoni quale governatore dello Stato di Milano nel 1582. Il Giarrizzo definisce don Carlo come il più attivo protagonista della politica siciliana del suo tempo, promotore e interprete di quel “nazionalismo isolano” che assegnava alla Sicilia un ruolo preminente nella strategia di difesa dei domini spagnoli e dei confini della cristianità nel Mediterraneo. Con Carlo d’Aragona e Tagliavia, primo principe di Castelvetrano, furono realizzate importanti opere sociali. Nel 1549 fu fondato il Monte di Pietà per assistere i poveri e bisognosi della città mediante rendite assicurate sia dal Principe sia da altri illustri cittadini, così come leggiamo agli atti di notar Antonino Abitabile. Tra il 1543 e il 1549 venne costituita la Compagnia dei Bianchi, con oratorio in S. Antonio Abate, tanto per la cura dell’infermi, quanto per conforto ed assistenza de’ Miserabili condannatai a morte. L’amministrazione della città fu snellita e resa più razionale, portando a quaranta il numero della deputazione dei consiglieri, assegnando ventiquattro seggi ai nobili, dodici agli artefici, quattro ai borgesi, secondo un criterio di ripartizione non rispondente ai moderni concetti di democrazia, per altro ignorati e incomprensibili a quei tempi. Nel consiglio civico dell’8 maggio 1575, don Carlo sollevò il problema dell’approvvigionamento idrico della città mediante l’acqua di Bigini, dando inizio a un’opera, colossale per l’epoca, che, a causa di opposizioni e difficoltà varie, fu completata nel 1615, come può leggersi sulla lapide della fontana della Ninfa, fatta costruire per l’occasione da Giovanni III d’Aragona e realizzata dall’architetto napoletano Orazio Nigrone. Sempre in quegli anni furono costruiti o ingranditi diversi conventi, erette nuove chiese, formate numerose compagnie e confraternite, come risulta, tra l’altro, dal testamento di Giorgio Tagliavia, stilato nel gennaio del 1578. La città prosperò, si arricchì di monumenti e opere di talento, divenendo centro di un fiorente artigianato e sede di laboratori d’arte. Ricordiamo che proprio a Castelvetrano si stabilì, chiamatovi dal principe Carlo, il celebre plastificatore Antonino Ferraro da Giuliana, capostipite di una illustre generazione di artisti dello stucco (Tommaso, Antonino jr:) e di pittori (Tommaso, Orazio), le cui opere ancora ammiriamo nelle chiese di San Domenico, Matrice, San Giuseppe. Anche la situazione economica conobbe un netto miglioramento; lo deduciamo dal fatto che dal 1556 al 1576 il reddito lordo dei pascoli, gabelle, mulini e censi aumenta del 75%, mentre l’affitto del Borgetto e di Belìce - feudi utilizzati soprattutto per la semina - passa dalle 120 onze del 1562 alle 3650 del 1594, con un incremento del 197%. Tuttavia, sul finire del secolo, ebbe inizio un lungo periodo di epidemie e cattivi raccolti, ancor più aggravato dalle pesanti estorsioni del fisco. Il notaio Vincenzo Graffeo è il principale testimone della crisi che attanagliò Castelvetrano nei primi anni del Seicento. Nel 1612, ad esempio, l’arrendatario, che aveva appaltato la gabella della macina, non era riuscito a saldare l’importo di 2600 onze, poiché ob malicia temporum non potuit exigere gabellam historum molendorum a suis gabellotis. La stessa fonte, pur registrando un certo incremento demografico e un timido sviluppo edilizio, parla di carestie, siccità, alluvioni, epidemie, soffermandosi in particolare sulla terribile peste del 1624. Ricordiamo ancora una significativa supplica al Viceré in cui, il 10 aprile 1600, li borgesi della cita di Castello Vetrano esponino come pil malo tempo et mortalità di bestiame non pottiro siminari li terri.... item supplicano di non pagari in cuntu alcuno il terragio eccetto a lu herbagiu comu a tempu dellu Ill.mo conti do livares (sic). In seguito al moto palermitano di Giuseppe D’Alessi, anche il popolo di Castelvetrano, esasperato dalla carestia, nel settembre 1647 insorse; ma la rivolta, guidata dal ceto dei conciapelle, fu crudelmente domata dall’energica donna Stefania Cortes e Mendoza che, in assenza del marito, reggeva il principato. Nei primi anni del sec. XVIII Castelvetrano partecipò alle vicende siciliane susseguenti al trattato dell’Aja; in particolare, nel febbraio 1720, la città si trovò a dover fronteggiare l’occupazione sia delle truppe austriache sia di quelle spagnole, le quali danneggiarono gravemente il territorio. Nell’ultima parte del secolo, l’influenza delle riforme del Caracciolo e del Caramanico fece emergere anche a Castelvetrano una certa borghesia illuminata che ebbe modo di far sentire la sua voce nel corso dei primi moti risorgimentali dell’Ottocento. Nell’aprile 1787, la città ospitò Wolfgang Goethe, che ricorda l’evento nel suo famoso “Viaggio in Italia”. Nel 1812, per circa tre mesi, soggiornò a Castelvetrano, prima di andare in esilio, la regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando II. Sia nel 1820 sia nel 1848 la città insorse contro il dominio borbonico, organizzando la guardia civica e un governo provvisorio, subendo di conseguenza la dura repressione del Filangeri. Una squadra di “picciotti” castelvetranesi, guidata dal concittadino fra’ Giovanni Pantaleo, incontrò Garibaldi a Salemi, e si distinse, in modo particolare, nella presa del ponte della Guadagna e di porta Sant’Antonino a Palermo. L’Eroe dei due mondi, che aveva onorato Castelvetrano col titolo di “generosa”, la visitò nel luglio 1862, pronunciando dal balcone municipale un memorabile discorso in cui, tra l’altro, rivendicava Roma all’Italia. Dopo l’annessione, Castelvetrano subì l’influsso della famiglia Saporito, i cui esponenti favorirono il sorgere di nuove attività imprenditoriali - come pastifici, oleifici, fabbriche di sapone - monopolizzando però la vita politica e sociale. Nel dicembre 1893, la città, aderendo al movimento dei Fasci Siciliani, fu teatro di quattro giorni di violenti tumulti, immortalati nelle stampe dell’abile incisore Ettore Ximenes. La città diede i natali al grande filosofo Giovanni Gentile, massima espressione del neo-idealismo italiano e artefice, tra l’altro, di una fondamentale riforma della scuola italiana (1923); allo storico e letterato Virgilio Titone, al fisico Mariano Santangelo; al musicista Raffaele Caravaglios. Costantemente presente negli avvenimenti più significativi della storia siciliana, ai nostri giorni Castelvetrano è il punto di riferimento di tutta la Valle del Belìce, puntando sullo sviluppo turistico e sulla valorizzazione delle risorse agricole vitivinicole e olearie. Lo stemma cittadino è costituito dalla palma d’oro dei Tagliavia, in campo turchino, e dalla legenda “Palmosa Civitas Castrum Vetranum”, con chiaro riferimento a Selinunte, definita appunto “palmosa” nel terzo canto dell’Eneide di Virgilio. Tra le manifestazioni che si svolgono a Castelvetrano va ricordata, innazitutto la cosiddetta ”Aurora” che si tiene, ininterrottamente dal 1660, la mattina di Pasqua: nella piazza del Duomo, cosparsa di foglie e fiori, si rappresenta l’incontro del Cristo risorto, posto ad una estremità del “piano”, con la Vergine ancora in lutto collocata all’altro lato; fra due ali di folla, un Angelo per tre volte porta il lieto annuncio alla Madonna incredula; finalmente la Madre va verso il Figlio che porta una bandiera fiammante; un meccanismo fa aprire le braccia di Maria, il manto nero cade mentre un volo di colombe si libera nel cielo. Altra ricorrenza religiosa particolarmente sentita è la festa del Sacro Cuore di Maria a Marinella di Selinunte: per l’occasione, oltre alla suggestiva processione a mare del simulacro della Vergine, accompagnato da un corteo di barche illuminate a festa, si tiene la sagra del pesce azzurro seguita dai giochi tipici della tradizione marinara. Durante l’estate vengono organizzate, sia a Marinella che a Triscina di Selinunte, diverse manifestazioni: balletti classici e moderni, rassegne di prosa e di cinema, concerti, mostre, gare sportive, ecc. A Settembre ha luogo la tradizionale Fiera della Tagliata, che da qualche tempo si cerca di caratterizare soprattutto come mostra dell’artigianato locale. Nel corso dell’anno si svolge ancora una grande fiera dell’Agricoltura e una sull’olio e l’oliva da mensa “Nocellara del Belìce”, tipica della zona. Altro momento di aggregazione è costituito dal Carnevale: per le strade della città sfilano carri e gruppi mascherati, in particolare il carro del “Nannu e la Nanna”; l’ultima sera di festa, nella piazza Carlo d'Aragona si legge il “testamento di lu Nannu”: i personaggi più in vista e i fatti più notevoli vengono passati in rassegna in modo ironico e, a volte, licenzioso; si procede quindi alla “abbruciatina” dei Nanni, metafora dell’esistenza di continuo rinascere e perire. A Maggio si svolge il grande corteo storico di S. Rita e della nobiltà castelvetranese, e a Giugno la festa e la fiera di S. Giovanni Battista, patrono principale della città. ELEMENTI CHIAVE: AGRICOLTURA -VERDE-SOLE Studio grafico ricerca storica: Buseto Palizzolo Buseto Palizzolo è un piccolo comune della provincia di Trapani, il suo territorio di 71,69 Kmq è costituito principalmente da una vallata posta tra i territori di Trapani, Segesta e Castellammare del Golfo. Vallata di Buseto Confina con i comuni di: Custonaci a Nord-Ovest, Castellammare del Golfo a Est, Calatafimi a Sud-Est, Trapani a Sud, Erice a Sud-Ovest e Valderice a Ovest Guarda la status-bar I Busetani, in dialetto chiamati "Palazzulara", adesso poco meno di 3500, sono quasi equamente distribuiti sul vasto territorio comunale, costituendo una situazione urbanistica a dir poco particolare, tanto che, per questo comune, si sono usati dei neologismi quali: comune Rurbano o Arcipelago Busetano. Cerca sull'immagine a sinistra l'ubicazione delle frazioni e controlla sulla status-bar Le sue frazioni: Buseto Centro, Buseto Soprano, Pianoneve, Tangi, Badia, Battaglia e Bruca costituiscono delle isole che danno al paese una conformazione atipica ma gradevole e altamente vivibile perfettamente descritta in una poesia di A. Criscenti. La distanza tra le frazioni e i collegamenti precari di inizio secolo avevano radicato in questo paese un forte spirito campanilistico che, dopo l'autonomia amministrativa del 1950 Una parte della frazione di Pianoneve si è gradatamente estinto in favore di una cultara e mentalità sempre più comuni che hanno la sua massima manifestazione nella processione della Via Crucis (Via Crucis, pagina su questo sito), (Via Crucis, sito ufficiale). Area attrezzata nel bosco Scorace Il comune, nato come fondo agricolo dell'agro ericino, come si evince perfettamente dallo stemma, (vedi storia del comune) continua ad avere tale impronta anche se non mancano le attività industriali a carattere prevalentemente provinciale. La buona cucina di sapori tipici e genuini, il clima temperato, la posizione centrata tra Erice, Segesta e le splendide zone costiere, prima tra tutti la riserva dello Zingaro, il bosco Scorace con le sue aree atrezzate, i numerosi bagli, il museo etno-antropologico e le opportunità agrituristiche rendono questo paese una meta interessante per il turista e perchè no....... da non perdere! ELEMENTI CHIAVE: AGRICOLTURA -VERDE-SOLE Studio grafico ricerca storica: Calatafimi - Segesta Per primo scorgi il castello. Piccolo e lontano, lo intravedi a percorrere la Statale 113, in direzione di Calatafimi Segesta, da poco lasciata l’autostrada Palermo-Trapani: ed erto così sul colle che cresce sopra la valle esuberante di verdi fragranze, scuro e isolato, capisci subito perché l’abbiano fatto su quel materno mammellone che serba il nome dell’antico signore (colle Eufemio), come il paese del resto: Qal’at Fîmî, Calatafimi, che val quanto dire “Rocca di Eufemio”. Toccava ad Eufemio, emiro di campagna o che altro, di presidiare con quel fortino il retroterra se mai venisse pericolo dal mare, e ciò fu certamente nei primi tempi della conquista araba (nel IX secolo), se Edrisi, che scriveva la sua Geografia trecento anni più tardi, lo attestava “castello antico, primigenio, e fortilizio niente spregevole”. Del maniero, ora, la gran parte è andata perduta; ma esso a lungo assolse, coi saraceni e nelle lunghe epoche di signoria feudale, funzione di polo strategicodifensivo, e ai suoi piedi ben presto germinò e s’espanse un borgo, che in piena età normanna era già fiorente di abitazioni, di arativi e di albereti. Era terra, allora, Calatafimi, di regio demanio, e tale si mantenne fino a età aragonese, allorché nel 1336 Federico III la infeudò al figlio Guglielmo, da cui poco dopo passò ai Peralta e dal 1407 fu baronia dei De Prades, indi dei Cabrera e poi degli Enriquez (che l’ebbero in signoria dal 1565 al 1741), infine dei duchi d’Alba, ultimi signori, mentre invano in vario tempo la comunità reclamava la restituzione del paese al pubblico demanio, tre volte conseguita (nel 1399, nel 1412 e nel 1802) e sempre all’indomani revocata; finché il trionfale irrompere dell’Italia al passo di battaglia delle Camicie Rosse, che sul vicino colle di Pianto Romano coglievano la loro prima vittoria, consegnava Calatafimi allo Stato nazionale. Il primitivo borgo, intanto diacronicamente era venuto costruendo il proprio destino; aggregando dimore a dimore, chiese, edifici civili e altri nel tempo surrogandone, disegnandosi nuovi tracciati vari e via via dilatando il proprio perimetro, s’era fatto un paese: luogo di vita, di residenze, di tradizioni, di memorie, collezione di immagini urbane. Quattro chilometri da Calatafimi, sul monte Barbaro, alto 400 metri circa sul livello del mare, vi è uno dei luoghi più suggestivi di tutta la Sicilia, Segesta. Visitandola nell’aprile del 1787 Goethe così descrisse il suo tempio dorico: “All’estremità di una valle lunga e larga, isolato in vetta a una collina e insieme cinto da rupi, domina lontano un’ampia distesa di terra, ma solo un breve tratto di mare. Il paese d’intorno è immerso in una fertilità malinconica, tutto coltivato, eppure quasi privo di abitazioni umane”. Città elima, la più importante di questo popolo misterioso le cui origini non sono state del tutto chiarite, antagonista storica di Selinunte, Segesta fu distrutta da Agatocle, tiranno di Siracusa, alla fine del IV secolo a. C., rifondata dai Romani e infine devastata dai Vandali. I Normanni vi costruirono un castello nel XII secolo, riportato alla luce di recente. Nel XVI secolo Tommaso Fazello rintracciò il sito dell’antica città. Il Comune di Calatafimi Segesta in collaborazione con l’Università di Siena sta approntando una carta archeologica del territorio comunale, che fisserà, in parte anche per Segesta, la localizzazione dei siti d’interesse, includendo le scoperte più recenti (solo nel 1987, ad esempio, si è iniziato a studiare la conformazione della città nelle diverse epoche storiche). La fama di Segesta è indubbiamente legata soprattutto al celebre tempio dorico, risalente alla metà del V secolo a. C. e lasciato probabilmente incompiuto, uno dei templi più interessanti e meglio conservati della Sicilia. Imponente, domina solitario da un’altura il paesaggio circostante. Il peristilio è composto da trentasei colonne (14 sui lati lunghi e 6 sulla fronte), non scanalate; l’interno è privo di cella; le metope non sono lavorate. Il tempio testimonia la progressiva ellenizzazione dell’antico insediamento elimo. Sulla cima più alta del monte Barbaro è il teatro, costruito tra il III e il II secolo a. C. ma in seguito rimaneggiato dai Romani, e orientato a nord, in direzione del Golfo di Castellammare. ELEMENTI CHIAVE: AGRICOLTURA - VERDE- TEMPIO- MAGNA GRECIA -SOLE Studio grafico ricerca storica: Campobello di Mazara Campobello di Ma zara fu fondato da Giuseppe di Napoli di antichissima e nobilissima famiglia napoletana discendente dai Caraccioli, che, sin dal 1475 possedevano il feudo di Campobello, acquistò il feudo Guardiola della baronia di Birribaida e costruì in vicinanza del suo castello i primi insediamenti abitativi a carattere sociale costituiti da due lunghe file di case coloniche che corrispondono alle attuali vie Garibaldi , Badiella e viale Risorgimento, sormontate dal proprio stemma dipinto di colori su larghi mattoni stagnati numerati progressivamente. Ufficialmente il paese sorge con la "Licenzia Populandi novam civitatem" concessa da Filippo IV di Spagna al barone di Napoli il 10 dicembre 1621 (prot. Reg. 526, F. 155). La zona, prima di quella data, era stata certamente abitata. Già attiguo al Castello Feudale, afferma il Pirri, esisteva un Convento di Padri Predicatori (Domenicani) che recitavano l'ufficio divino in una chiesa dedicata alla Madonna della Grazie. Monumenti La chiesa di Maria SS. delle Grazie, già esistente nel 1587, era stata punto di riferimento per il piccolo nucleo urbano presente nella baronia di Birribayda. Attorno proprio a questa chiesa si sviluppa nel secolo XVII il nuovo Comune di cui si ha notizia per la prima volta nella "visita ad limina" del Vescovo Sanchez de Villanueva effettuata a Roma il 25 maggio 1631 dove il Prelato nella relazione definisce Campobello "oppidulum", mentre il Cardinale Spinola sei anni dopo, nel 1637, rileva la presenza in esso di quaranta focolari, quattrocento anime e un cappellano per l'amministrazione dei sacramenti. La chiesa, nella sua struttura anche se piccola, si presentava dignitosa ed accogliente. Costruita ad una navata, annoverava nel suo interno quattro cappelle, oltre l'altare maggiore dedicato alla Santa Madre di Dio. La prima cappella, dedicata al SS. Crocifisso , opera scultorea di frate Umile da Petralia, dono alla città del duca don Giuseppe Napoli e Barresi. La seconda cappella, dedicata a Nostra Signora del santo Rosario, costituiva il punto focale del culto mariano. Nella parte opposta alle due cappelle erano situati due altari dedicati rispettivamente alle anime sante del purgatorio e a San Francesco Saverio. Il palazzo baronale, ancora oggi ben visibile nel suo prospetto esteriore. La chiesa Santa Maria ad Nives (Santa Maria del Presepe, presentava cinque cappelle: sull'altare maggiore sovrastava l'antico Crocifisso di frate Umile le altre quattro cappelle simmetricamente disposte erano dedicate alla Sacra famiglia (Gesù, Giuseppe e Maria), a Santa Maria del lume a Sant'Anna e alla Madonna del rosario. Nella chiesa erano, inoltre, disposte le statue di S. Vito, di S. Francesco di Sales ed alcune pitture in tela. Sono vicine al paese le antiche cave di Cusa, dove i Selinuntini estrassero la pietra, per costruire il più grande tempio della loro città. TI CHIAVE: AGRICOLTURA - VERDE-SOLE Studio grafico ricerca storica: Castellammare del Golfo Secondo le opinioni - ormai consolidate - di storici e eografi, nasce come emporio della città di Segesta. Il luogo, cioè, dove gli Elimi - antico quanto misterioso popolo - esercitavano i loro commerci con le navi straniere. La storia della cittadina del golfo, perciò, si identifica - limene sino all'827 D.C quando diverrà araba - con quella di Segesta poiché di questa subì le stesse vicende. In perenne contrasto con i greci della vicina Selinunte con la quale ingaggiò spesso cruente battaglie, l'imporante centro elimo orbitò sempre intorno alla potenza caraginese che fece dell'emporio Segestano una delle più importanti stazioni fortificate del bacino settentrionale della Sicilia. Tramontato nell'Isola l'astro greco, la potenza cartaginese dovette, quindi, misurarsi con altri e ben più accaniti nemici: i romani. Le guerre puniche, infatti, furono l'ultimo atto della vicenda cartaginese e, quindi, anche di Segesta ma non del'antico emporio. I vincitori, infatti, comprendendone appieno l'importanza, lo ripopolarono, conservandone e potenziandone le caratteristiche militari. Furono quindi gli arabi che connotarono il centro - ribattezzato Al Madarig, avvero "gli scalini", forse dalla montagna che sovrasta l'abitato - come una roccaforte, resa inespugnabile con la costruzione del fortilizio e come polo di grande importanza commerciale, con l'insediamento della tonnara e del caricatore. Della successiva epoca normanna e sveva - tra il 1071 ed il 1280 -poche notizie sono giunte a noi, ma è probabile che questi ultimi abbiano ulteriormente e meglio fortificato Al Madarig che, con la costruzione della fortezza sul mare, prese a chiamarsi Castello a mare. Si deve tuttavia, agli Araonesi - cui la città passò dopo il Vespro - la definitiva sistemazione della possente fortificazione. Nel periodo aragonese (1281 -1410), quindi, la cittadina fu terra baronale di proprietà di Federico d'Antiochia e divenne importante polo commerciale legato all'esportazione del grano. L'ulteriore sviluppo di Castellammare del Golfo - che con alterne fortune conservò la sua qualità di porto - è, infine da ascriversi al periodo che va dal Seicento all'Ottocento, quando la città vide un crescente, notevole sviluppo. Oggi Castellammare, grazie ad un patrimonio di valore inestimabile, costituito dalla straordinaria bellezza naturalistica delle sue coste e del suo immeddiato entroterra, si è giustamente proposta come importante polo di attrazione turistica che molto può offrire ai suoi visitatori. TI CHIAVE: MARE - GOLFO-CASTELLO -SOLE Studio grafico ricerca storica: Custonaci Nell'agro ericino, già dispiegato in un'ampiezza territoriale che abbraccia San Vito Lo Capo, Balata di Baida, Custonaci, Buseto Palizzolo, Valderice, imperniato sulla funzione politico-amministrativa di Erice, denominata Monte San Giuliano sotto i Normanni e sino al 1936, il culto della Madonna di Custonaci costituisce un fattore rilevante della vita religiosa, civile, economica locale, per ardore di fede, scoppi di passione campanilistica, voci d'amore e di contrasto, segni d'arte e di folklore, di sofferenza e di letizia, di entusiasmi e di depressioni. La venerazione della Madre di Cristo era esercitata nel custonacese "ab antiquo", come testimoniato dall'esistenza di una chiesetta nella valle di Rumena, con riscontro in atti notarili antecedenti alla costruzione di una cappella sull'altura di Custonaci intitolata alla Vergine Immacolata e, quindi, all'epoca del naufragio e dello sbarco fortunoso alla cala del Buguto. Presumibilmente un legno, francese o veneziano o d'altra bandiera, salpato da Alessandria d'Egitto o da qualsiasi porto mediterraneo, incappato in una tempesta fu costretto ad approdare sul litorale tirrenico in contrada Buguto; è verosimile che il fortunale si sia calmato in coincidenza o per effetto delle suppliche indirizzate dai malcapitati alla Madonna, della quale trasportavano un quadro: riconoscimento immediato e normale, se di cristiani, coerente anche se da musulmani tra i quali l'affezione a Maria SS. ma è notoriamente diffusa. Il voto espresso da quei naviganti di edificare una cappella sul luogo dello sbarco doveva inevitabilmente subordinarsi all'esigenza rimarcata dagli abitanti di sfuggire ai rischi di un'esposizione alla ricorrenti scorrerie piratesche, oltre che in considerazione dell'esistenza della già indicata cappelletta consacrata alla Vergine Immacolata, dipintavi in affresco; per cui l'Immagine consegnata dagli stranieri potè essere collocata in quel sito, più sicuro, con riserva di più adeguata sistemazione. È comprensibile come dall'episodio straordinario si conferisse aureola di portento, da suscitare slanci devozionali in vasta estensione demografica. È del 1904 un'opuscolo contenete le argomentazioni giuridiche del municipio di Monte San Giuliano, che risalivano al pacifico possesso da parecchi secoli, per diritto sul Santuario-Chiesa e Quadro di Maria SS.ma di Custonaci, nella frazione dipendente dal comune. I dati storici e tradizionali partono dall'esistenza "ab immemorabili" sulla collina di Custonaci di una cappella sacra all'Immacolata Concezione di Maria, ripetono la notizia dello sbarco a buguto, della conservazione del Quadro in quella chiesetta, evidenziano aiuti e patrocinio concessi largamente, in molteplici occasioni ed in tante località dalla Madonna.In "Cenno storico sui trasporti dell'isigne Quadro di Maria SS.ma di Custonaci" di Antonino Pilati curatolo, dimorante in Trapani, si riscontra che "essendo stato trattenuto il Simulacro della Vergine in città 13 anni, non verificandosi flagelli di sorta, il beneficiale del Santuario chiese al Sindaco di disporre per il ritorno, che fu deliberato dal Decurionato ed eseguito l'indomani del Festino". Si susseguono nell'arco degli anni i contrasti tra Monte San Giuliano e la frazione di Custonaci, per il possesso del Quadro. A conclusioni delle lunghe vicissitudini viene invocata la stesura di un regolamento, che "togliendo i punti che si prestano agli attriti e ai dissapori, porti finalmente serenità e pace". In pratica viene affermata l'assurdità dell'introduzione dei trasporti annuali e l'illegittimità del ricorso ai tribunali civili per argomenti sacri, di competenza dei tribunali ecclesiastici. Infine, al grido "Vogliamo la Madonna!" un'apposita Commissione si adoperò affinché l'immagine tornasse a Custonaci: era il 2 ottobre "I Bagli" La storia del territorio di Custonaci è strettamente legata alla storia di Erice che fino alla prima metà del 1900 comprendeva il vasto territorio compreso tra monte Erice e Castellammare del Golfo. I primi abitanti del territorio furono i Sicani, che invasero la Sicilia intorno al 3.000 a.C, le tracce del loro passaggio sono state trovate all'interno delle grotte di Custonaci. Lo sviluppo della città di Erice però avviene con gli Elimi. Secondo Giuseppe Pagoto durante la dominazione araba, il territorio compreso tra Monte Erice e Monte Cofano fu abitato da una comunità di cristiani. La nascita della città demaniale fu opera dei Normanni negli anni 1154/1184, i quali organizzarono con criteri nuovi l'uso dei territori non ancora coltivati o utilizzati. Il territorio venne diviso in feudi corrispondenti nel nome ai 14 casali che nel XVII sec. a causa di usurpazioni ed impossessamenti, si ridussero a 10. All'interno il feudo era diviso in parecchiate, che essendo di proprietà del demanio regio, venivano concessi in gabella a ciascun concorrente che faceva la propria offerta. "Le Cave" Il territorio di Custonaci racchiude un ampio bacino marmifero, il quale adeguatamente sfruttato ha permesso la nascita di numerose cave. Nel 1800 già a Custonaci si estraeva il Libeccio Antico, un marmo rosato che troviamo in tutte le chiese barocche siciliane. I primi pionieri vennero a scavare vicino alla montagna di Cofano con attrezzi di legno e di ferro, con funi, punciotti di legno, martelli e fili elicoidale; sabbia e acqua opportunamente utilizzati servivano a tagliare i blocchi, i quali venivano modellati con "subbia e mazzetta". Il marmo estratto oggi nelle nostre cave è il "Perlato di Sicilia", si tratta di un materiale bianco che presenta delle venature beige, dovute ai sedimenti che si sono depositati nella pietra calcarea nel corso dei secoli. Custonaci è il primo polo marmifero in Sicilia e il terzo in Italia ed in Europa. Oggi intorno al settore gira l'intera economia del paese, le attrezzature delle cave hanno raggiunto livelli avveniristici. TI CHIAVE: SANTUARIO- MARMO -SOLE Studio grafico ricerca storica: Erice "Dalla vita sciolse la cintura, ricamata e variopinta, dov'erano racchiusi tutti gli incanti; vi erano amore, desiderio, dolci parole e la seduzione che rapisce la mente..." Omero (Iliade - canto XIV) Così Omero dice di Venere e della sua cintura che potrebbe benissimo essere caduta sulla Terra a stringere la vetta di un colle e, qui, aver seminato tutti i suoi incantamenti. Il colle, a questo punto, non può che essere Monte San Giuliano. Qui, "Venere, dall'alto della sua vetta, l'Erice, lo vide (Plutone, il dio degli Inferi) che ancora vagava, e stretto a sé il suo alato figliolo disse: Armi mie e mani mie, figlio, strumento della mia potenza, prendi quelle frecce con cui vinci tutti, o Cupido, e scagliane una veloce nel petto del dio a cui è toccato in sorte l'ultimo dei tre regni ..." (Ovidio, Metamorfosi, libro V - 360- 368), decretando in un momento la sorte del dio delle tenebre, di Proserpina, della madre Cerere, colei che fece dono del grano agli abitanti dell'isola Trinacria, e di un'altra città, anch'essa a giocar con le nuvole nel cuore più alto dell'isola. Qui, su questo monte che porta il nome del re che nacque per volere di Afrodite e di Nettuno, tutto si riconcilia e trova fondamento: la bellezza e l'immensità convivono stretti in un unico sguardo, infinito e sublime oggi come nel giorno in cui Venere Allevava quì il suo piccolo Cupido. Erice è davvero una cittadina straordinaria. Non soltanto per i suoi luoghi più famosi (il castello normanno già tempio di Venere, le sue torri, il balio), ma per tutto il suo insieme: vicoli e nebbia, mura antiche e inimmaginabili panorami in cui si perde la linea dell'orizzonte, da quassù curvata a raccontarci di distese infinite di mare e di cielo che spesso si congiungono con uno stesso colore. Laggiù il mare squadrato di sale, e il mulino, gigante dalle tante braccia chiamato a proteggere quest'oro antico che, prima di essere scoperto, era soltanto l'estremo baluardo in difesa di questa rocca, adesso meta dei popoli mediterranei giunti fin qui per adorare la bella dea. Racconta Tucidide (500 a.C.) che "dopo la caduta di Troia (1183 a. C.) alcuni troiani arrivarono in Sicilia dal mare con le loro navi, e iniziarono ad abitare vicino ai Sicani. Questi li chiamarono Elimi: le loro città furono Segesta ed Erice". E in questa città, secondo Virgilio, Enea seppellì il padre Anchise. Ma non furono solo Tucidide e Virgilio a cantare la bellezza del posto. Omero, Teocrito, Polibio, Orazio e molti altri non seppero resistere all'incantamento del monte dedicato alla dea dell'amore e della bellezza. Loro come tutti i popoli che qui si succedettero. Ma sia i Fenici - tra l'VIII e il V secolo a.C. - che i Cartaginesi - nel III secolo a.C. - non vennero meno al culto cui era dedicato il monte. Questi, anzi, ne potenziarono il mito (per loro era Astarte, divinità fenicia dell'amore lussurioso) e ne fortificarono il luogo, costruendo una cinta muraria ad ovest ancora oggi a tratti esistente. Poi ci furono i Siracusani (IV secolo a.C.) e gli Ellenici (III secolo a.C.), ma i Cartaginesi, dopo anni di battaglie e di assalti, riuscirono a riconquistare la loro città sacra. La difesero a lungo anche contro i Romani nel corso della prima guerra punica che si concluse con la vittoria del romano Lutezio Catulo. Gli abitanti di Roma, però, ben altre mire avevano, e poco si curarono di questo gioiello. Pur mantenendovi il tempio dedicato alla Venere Ericina, piano piano abbandonarono la città che iniziò il suo primo periodo di decadenza. Lo storico Edrisi, un secolo dopo l'anno Mille, descrive "una montagna enorme, di superba cima e di alti pinnacoli, difendevole, ripida. Al sommo di essa stendesi un territorio pianeggiante da seminare, abbonda l'acqua. Havvi una fortezza che non si custodisce, né alcuno vi abita...". Per tornare a leggere il suo nome negli antichi documenti, infatti, bisogna aspettare gli Arabi che, chiamandola con il nome di Gebel al-Hamed, lasciarono testimonianza della bellezza paesaggistica del luogo e del fatto che la ritenevano particolare per le naturali doti difensive. Ibn Gubajr, viaggiatore arabo-spagnolo, descrive nel 1185 un borgo collegato ad un castello normanno con un ponte, abitato da cristiani. Questo è il borgo ricostruito dal re normanno Ruggero II sulla vecchia Erice elima, ma non si chiama Erice, bensì Monte San Giuliano, un nome che mantenne fino al 1936. Tornando al XII secolo, la prosperità del luogo non durò a lungo e molta parte in questo lento ma inesorabile declino ebbe la cacciata degli ebrei in conseguenza dell'editto del 31 marzo del 1492. Delle loro botteghe resta comunque traccia lungo il corso Vittorio Emanuele, botteghe che tornano a vivere all'interno delle scenografie allestite per la Settimana Santa. TI CHIAVE: VENERE - CASTELLO -SOLE-CIELo Studio grafico ricerca storica: Gibellina Sembra che due epoche, tra loro distanti, si disputino il vanto di aver dato vita al paese: l'epoca anteriore ai Greci in Sicilia e quella araba. Qualche storico di cose siciliane riferisce che Tucidite e Diodoro siculo ritengano Gibellina fondata dai primi popoli, occupanti la Sicilia, prima dell'epoca greca, cioè prima dell'anno II della V Olimpiade (759 a. C.); epoca in cui i Greci vennero e si stabilirono in Sicilia. E di questo parere Inveges, il quale, nella sua Cartagine Siciliana, enumera Gibellina tra i paesi più antichi di Sicilia, anteriore all'epoca greca. E pare che Villabianca [Sicilia nobile p. III; 1. 3°, f. 389] faccia allusione a quest'epoca, quando dice: Gibellina era un antichissimo paese, che contava origine non poco alta di sua fondazione. Tale tradizione sembra che sia confermata da Vito Amico, il quale nel suo Lexicon topografico di Sicilia, alla voce Gibellina riporta che il Barbieri ritenga Gibellina fondata nel feudo Iacra. Questo nome, come si vede, è greco, e significa bacchico, cioè luogo di Bacco, o terreno a vigneto. E che il nostro paese sia stato abbondante di vigneti, si legge nello stesso Lexicon. Se Gibellina rimonta a quest'epoca, sarà forse stata, sotto altro nome, un piccolissimo casale, dipendente o dalla vicino Elimo, oggi diruta e il cui territorio, spettante al nostro paese, fu ceduto a Poggioreale, quando questo veniva edificato; o dall'altro casale, sito ove sono le Finestrelle, che circondano le lotte, ivi combattute per la delimitazione dei confini, tra i Selinuntini e i Segestani, sotto il comando di Annibale. Più di questo niente altro può dirsi a sostegno di sì antichissima origine; ci mancano vestigia e documenti di ogni genere. Esaminiamo ora se Gibellina rimonti piuttosto all'epoca araba. Arabo è il nome. Secondo alcuni la sua etimologia sarebbe: Gebel "monte" e Zghir "piccolo", quindi "piccolo monte" o piccola terra". Secondo altri: Gebel e in, duale della lingua ebraica; quindi due colli, o meglio fra due colli. Infatti chi considera la vecchia posizione topografica del paese, la trova spiccatamente tra due colli: quello a mezzogiorno detto Celi e l'altro a settentrione appellato Mulino del Vento; onde il nome di Gibellina è comunissimo presso gli africani, che così chiamano i luoghi situati tra due colli o monti. Ciò posto, è da sapere che gli arabi ai loro paesi davano un nome corrispondente a quello del fondatore, o a quello del sito, come dimostrano molti paesi arabi in Sicilia. Inoltre, quando anni addietro, si facevano l'allivellamento della strada del Carmine e si scavavano (1901) dei fondamenti per nuovi fabbricati in via Nuova, quartiere S. Caterina, si scoprirono, a sinistra di chi esce dal paese, parecchi pozzi rotondi, larghi nel centro e più stretti alla gola, detti Silos. Fu costume degli Arabi scavare questi Silos per conservarvi i cereali dell'anno. Ora, se tale fatto non dimostra Gibellina di fondazione araba, la presenta però abitata dagli Arabi; deduzione questa confermata dalle vestigia di vetusti fabbricati, trovate, di tempo in tempo, nel quartiere S. Caterina. E ciò risponde alla tradizione, la quale riferisce che anticamente il paese si estendeva dalla chiesa campestre, S. Caterina, fino al poggio, detto Pizzo di Corte, dalla Corte che risiedeva nel fabbricato, poi Perez. Forse, praticando degli scavi nella valle sottostante, sopra il torrente Gebbia e sul dorso del colle Celi, ove i contadini, lavorando la terra, hanno trovato anni addietro dei sepolcri con ossa umane, con lucignoli di creta, vaso oleario e qualche moneta, che l'ignoranza ha disperso, si verrebbe a capo di qualche cosa, che potrebbe apprestare materia a precisare tempi e avvenimenti. Un fatto però indiscutibile mi convince ancora che Gibellina sia dell'epoca araba. Quando i Saraceni riuscirono a farsi padroni dell'isola e la popolarono (in modo speciale il Vallo di Mazara, come si legge nel Rerum arab. amp. coll. Siciliae, geographia sub arab. pag. 223), ai conquistati imposero non solo la loro credenza e nei paesi introdussero i loro costumi, ma ancora le loro tradizioni e la propria lingua, la quale, col trascorrere degli anni, lasciò certe sue modalità grammaticali nel dialetto siciliano. [...] Perciò se Gibellina, nella doppia etimologia Gebel - zhir e Gibell - in, è voce araba, dovette avere tale nome da fondatori arabi; altri avrebbero fatto ricorso alla propria lingua, specialmente se questi fossero i Normanni, i quali, portando in Sicilia tradizioni, religione e costumi nuovi, aborrivano il linguaggio arabo. Se poi Gibellina datasse, come ho notato avanti, dai tempi anteriori dell'epoca greca, bisognerebbe convenire che abbia avuto altro nome, a noi non giunto, tranne che il Iacra, detto sopra e corrispondente all'ex feudo Busecchio, ove, da parecchio tempo, si sono trovati, ed in punti diversi, antiche vestigia di palmento. Escludiamo le altre supposizioni, fra le quali quella che ne attribuisce la fondazione a qualche potente di parte Ghibellina, sceso in Sicilia: come da Enrico Abbate, tesoriere di Federico II, venuto, nel 1229, nell'isola in qualità di visitatore generale e che fermatovisi pel matrimonio del figlio Guglielmo con Lucrezia Arduino, per ordine imperiale passò nella valle lilibetana a chetare dissidi, sorti tra Marsalesi e Trapanesi; o meglio da Manfredi, il quale, non potendo placare la corte di Roma, da guelfo si fece capo dei Ghibellini. TI CHIAVE: AGRICOLTURA - VERDE- ARTE MODERNA -SOLE Studio grafico ricerca storica: Paceco Descritta da Gustavo Chiesi ne la Sicilia illustrata del 1892 “La piana e verde valle di Paceco, opima di messi e di vigneti..” intreccia le sue origini con la leggenda, quando un gruppo di nomadi dall’interno dell’isola giunse lungo le coste della Sicilia occidentale, stabilito a Monte S. Giuliano si spostò a Xitta e successivamente in seguito alle inondazioni sulla vicina collinetta, qui grazie alle condizioni climatiche e al luogo ideale trovò fissa dimora. Le notizie storiche attribuiscono la nascita di Paceco nel sec. XVII a Placido Fardella a cui darà il cognome della moglie, spagnola, Maria Pacheco. Abitata anche dagli Arabi, la cui presenza ci viene confermata dalla Toponomastica locale Misiligiafari, casale dell’Emiro Giafar, (dinastia Aglabita in Sicilia) luogo su cui si sta espandendo il centro urbano di Paceco. Abitato sin dalle età paleolitica e neolitica, possono ancora oggi visitarsi gli anfratti rocciosi ricchi di reperti e frammenti litici in selce in località Sciarotta e Malummeri. Posta a 36 metri sopra il livello del mare, la collina è formata da un tavolato calcarenitico del quaternario, profondo oltre quindici metri, ha una struttura urbanistica a pianta ortogonale ricorrente negli abitati settecenteschi. Piccolo centro agricolo è rinomato per la produzione dei meloni gialli. ELEMENTI CHIAVE: AGRICOLTURA - MELONE GIALLO -SOLE Studio grafico ricerca storica: Petrosino Le origini di Petrosino si confondono con quelle di Marsala e di Mazara, comune autonomo dal 1980, il suo nome deriva dal siciliano Pitrusinu (prezzemolo), che a sua volta deriva dal latino Petroselinum. Oggi il paese è un fiorente centro agricolo per la produzione di uva. ELEMENTI CHIAVE: AGRICOLTURA - VERDE-SOLE Studio grafico ricerca storica: Salaparuta Salaparuta è un comune di circa 1.835 abitanti che si trova in Sicilia, in provincia di Trapani. Situato ad oltre 385 m.s.l.m., Salaparuta ha subito gravi danni dai numerosi terremoti che hanno interessato la zona nei secoli scorsi. L'economia di Salaparuta è legata principalmente all'agricoltura ed all'allevamento. Le origini del borgo sono molto antiche e alcuni studiosi le fanno risalire al periodo della dominazione greca. San Giuseppe, festeggiato il 19 marzo, è il patrono di Salaparuta. ELEMENTI CHIAVE: AGRICOLTURA - ALLEVAMENTO-SOLE Studio grafico ricerca storica: Salemi Centro in provincia di Trapani, Salemi è situato 446 metri sopra il livello del mare, conta circa 12.500 abitanti. È caratterizzato da un delicato impianto arabo, con vicoli ciechi straordinariamente articolati, che portano a cortili sempre più segregati e scale ripide su strapiombi. L’abitato, non del tutto disgregato dal sisma grazie anche a interventi di restauro, è caratterizzato da una monumentale ortogonalità del complesso gesuitico, dal denso corollario di chiese e dimore patrizie, dalla presenza incombente del Castello e dal maestoso rudere in cui il terremoto ha trasformato il Duomo. La sua economia è basata principalmente sull’allevamento e sulla produzione di grano, vino, olio e agrumi. Teatro delle contese tra Selinunte e Segesta e alleata di quest’ultima a partire dall’VIII secolo a.C., Salemi ebbe un periodo florido sotto la dominazione degli arabi, ricevendo da questi il nome di "Salem", luogo di delizie. Nel maggio del 1860 Garibaldi vi assumeva la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II. La festa patronale è dedicata a S. Giuseppe e si festeggia il 19 marzo. ELEMENTI CHIAVE: AGRICOLTURA - VERDE-CASTELLO-SOLE Studio grafico ricerca storica: San Vito lo Capo Piccolo borgo marinaro ai piedi del Monte Monaco, San Vito lo Capo si trova in Sicilia, in provincia di Trapani. Il borgo è situato sul litorale costiero che dal Monte Cofano va alla Riserva dello Zingaro; conta circa 3.800 abitanti. Ambita meta per la sua spiaggia bianchissima lambita dal mare cristallino e per i paesaggi incontaminati circostanti, è un continuo richiamo turistico. Il paese sorge nel XIII secolo attorno a una cappella dedicata a S. Vito, originariamente fortezza saracena a difesa dei fedeli che cercavano rifugio all’interno del santuario dalle scorrerie corsare. ELEMENTI CHIAVE: MARE-COSTA-PALMA NANA-SOLE Studio grafico ricerca storica: Valderice Valderice è una cittadina di circa 11.000 abitanti che si trova in Sicilia, in provincia di Trapani. Situata nella valle di Venere, su una collina digradante verso il mare e immersa nel verde, Valderice offre diversi scenari di incomparabile bellezza che ne fanno uno dei luoghi più ambiti di villeggiatura. Le origini di Valderice sono molto antiche, riferibili all’epoca delle guerre tra Roma e Cartagine, quando gli abitanti delle montagne decidono di stabilirsi nella fertile valle. Paparella con S.Marco (questo l’antico nome della città) fu sotto il comune di Erice fino al 1955, anno in cui ottiene l’autonomia amministrativa e assume il nome di Valderice. ELEMENTI CHIAVE: AGRICOLTURA - VERDE-SOLE Studio grafico ricerca storica: Vita Piccolo centro agricolo della Provincia di Trapani, viene fondato sul sito di un presistente casale medievale da Vito Sicomo nel 1604. Danneggiato dal terremoto del 1968, l’abitato verrà ricostruito un po’ più a valle. Nel vecchio centro possiamo ammirare dei murales, rappresentanti la vita e le attività dei vitesi delle passate generazioni. Da non perdere la caratteristica festa della Madonna di Tagliavia che si celebra ogni anno nel giorno dell’Ascensione, come ringraziamento per il raccolto dell’anno passato e di propiziazione per quello in corso. Il momento culminante della festa si raggiunge nel pomeriggio, quando per le vie del paese sfilano dei cavalieri, il carro del Pane, il carro del Vino, delle Olive e ai visitatori vengono offerti pane, vino, olive, mandorle, noci e confetti. ELEMENTI CHIAVE: AGRICOLTURA - VERDE-SOLE Ricerca: caratteristiche geografiche e degli elementi distintivi e peculiari realizzata attraverso Focus-goup e indagini conoscitive: Provincia bagnata, dal mare più antico del mondo (MARE) Le leggende che vedono Trapani nascere dall’incontro amoroso tra il mare e la terra (MARE) Tonnare che vanno da Trapani fino al golfo di Castellammare (TONNO-PESCA) La natura che circonda il territorio trapanese offre un paesaggio luminoso (SOLE-CIELO) Le saline (SALE) Le vigne, gli ulivi, i mandorli (RELATIVI PRODOTTI) Lo stagno di Mothia con la riserva delle “isole dello stagnone” (NATURA) I templi di Segesta e Selinunte (TEMPLI) La maggior parte del territorio è però collinare includendo comuni quali, Buseto Palizzolo, Paceco, Petrosino, Valderice, Vita, Alcamo, Calatafimi, Salemi, Partanna, Castelvetrano città del territorio trapanese con un’economia legata prevalentemente all’agricoltura (TERRA-VERDE-AGRICOLTURA) Qualche rilievo montuoso: Erice, Montagna Grande, Monte Sparagio, Monte Cofano, Monte Pòlizo con il suo sito elimo (MONTAGNA) Civiltà contadina e tradizioni per Vita, Gibellina, Salaparuta, (FESTE E SAGRE) Gibellina un grande museo di architettura post moderna (ARTE MODERNA) San Vito lo Capo (SPIAGGIA) Riserva dello Zingaro regno della palma nana (PALMA) Castellammare del Golfo, con il suo golfo omonimo (GOLFO) La Sicilia è molto più nota nel mondo della provincia di Trapani (SICILIA) Non si localizza facilmente la Provincia di Trapani (SICILIA-UBICAZIONE) Il turismo legato all’ambiente e alle riserve è in aumento (ELEMENTO NATURALE) La provincia di Trapani sta sbocciando turisticamente (FIORE) Il territorio visto come elemento geografico (LA SAGOMA DELLA PROVINCIA) Impossibilità per la eterogeneità dei prodotti di trovarne uno rappresentativo (ASTRATTEZZA) Il sole è un elemento comune per le zone costiere e interne (SOLE) In provincia sono diverse le vocazioni (PARTI DISTINTE MA UNITE) Motivazioni della scelta La vocazione marinara del territorio non può far dimenticare che la maggior parte del territorio è collinoso, una scelta in un senso o nell’altro privileggerebbe una parte a discapito dell’altra. (ciò comporta l’eclusione del mare e del verde, delle palme) Le saline, le tonnare , i golfi, i monti, i canali,le spiagge, le isole, rappresentano solo un luogo specifico e quindi non possono essere considerati elementi da considerare per la rappresentazione del territorio. (ciò comporta l’eclusione del sale, delle saline, dei golfi, monti, canali e isole) La moltitudine di civiltà che hanno lasciato un segno in provincia non rende caratterizzante nessun reperto. (ciò comporta l’eclusione dei templi, del Giovinetto di Mothia, del Satiro, delle chiese etc. etc) Molti sono i prodotti dell’agricoltura, olio e vino e l’inserimento di questi darebbe una chiara identità a discapito di altri. (ciò comporta l’eclusione degli ulivi, delle vigne, dei mandorli e dei relativi prodotti Non sarebbe qualificante identificare il territorio con le sole feste e sagre. (ciò comporta l’eclusione dellefeste e sagre e degli elementi tradizionali) Non sarebbe accettabile identificare in presenza di un plurimillenario patrimonio artistico culturale rappresentarlo conla sola arte moderna o con suoi elementi.. (ciò comporta l’eclusione dell’arte moderna) Sono quindi scaturite queste peculiarità: Impossibilità per la eterogeneità dei prodotti di trovarne uno rappresentativo. (QUINDI MEGLIO UN ELEMENTO ASTRATTO) Il territorio nella sua forma geografica (LA SAGOMA DELLA PROVINCIA) La provincia ha diverse vocazioni (PARTI DISTINTE MA UNITE) Il paesaggio luminoso è comune a tutto il territorio (SOLE) Il sole è un elemento comune per le zone costiere e interne (SOLE) Il turismo legato all’ambiente e alle riserve è in aumento (ELEMENTO NATURALE) La provincia di Trapani sta sbocciando turisticamente (FIORE) Il fiorire è visto positivamente ed è segno di vitalità La Sicilia è molto più nota nel mondo della provincia di Trapani (SICILIA) Non si localizza facilmente la Provincia di Trapani (SICILIA-UBICAZIONE) Studi preliminari e ricerca grafica Dall’analisi del territorio della provincia di Trapani e delle sue peculiarità nascono le seguenti considerazioni: ∞ gli elementi come la natura, la cultura, la tradizione, la storia, i prodotti locali, la varietà dell’offerta turistica, sono elementi caratterizzanti ma più identificabili con alcune parti del territorio piuttosto che con l’intera provincia (Erice, Segesta, Selinunte, L’olio Valli Trapanesi, L’olio Val di Mazara, ecc.). ∞ la rappresentazione simbolica nel marchio dei prodotti e delle attrattive della provincia in quanto vari e non omogenei rischierebbe di escludere alcune zone o prodotti a vantaggio di altre, e nello stesso tempo non permetterebbe una semplificazione e una sintesi grafica efficace. Per quanto evidenziato il marchio dovrebbe essere un segno elegante, semplice, e allo stesso tempo eclettico, in grado cioè di assumere, se necessario, una diversa simbologia a seconda del settore cui si riferisce. Studi preliminari e ricerca grafica Sviluppo della sagoma della provincia per la determinazione del fiore come elemento rappresentativo del territorio. Studi preliminari e ricerca grafica Prove di colorazione Si comincia a dare una forma all’elemento astratto che deve richiamare la sagoma della provincia. I distretti sono diversificati tra loro. Le parti possono anche essere considerati dei petali di un ipotetico fiore. Si studia la forma del sole; il primo segno a sinistra è migliore graficamente ma non rende quando si riduce in piccolo formato. Il sole diventa l’elemento unificante del territorio Provincia di TRAPANI naturalmente Sicilia Provincia di TRAPANI naturalmente Sicilia Provincia di TRAPANI naturalmente Sicilia Provincia di TRAPANI naturalmente Sicilia Considerati gli obiettivi del progetto “Marchio Territoriale” e sulla base degli studi condotti nell’ambito del presente lavoro (ricognizione e mappatura dei marchi territoriali presenti sul territorio, ricerca ed analisi esperienze nazionali ed estere, valutazione grafica e misurazione dei risultati dei marchi esistenti), in coerenza con i caratteri distintivi e qualificanti della Provincia e in accordo con le osservazioni e le esigenze di rappresentatività espresse dai Soggetti istituzionali ed economici che hanno contribuito al processo di definizione degli obiettivi del presente lavoro, la seguente proposta grafica è apparsa in grado di rappresentare la Provincia di Trapani nella sua interezza (per riconoscibilità e identità forte) La ricerca di una sintesi grafica in grado di identificare il territorio e, al contempo, trovare applicazione su prodotti agricoli ed agroalimentari, artigianali, industriali e contrassegnare, in maniera altrettanto coerente, servizi, in particolare quelli dell’accoglienza e della promozione turisticasi basa su tre elementi comuni a tutte le aree della provincia: - collocazione e delimitazione geografica (i confini) - appartenenza geografica (Sicilia) - sole PARTE II Marchi Territoriali della provincia di Trapani L’area di riferimento del presente studio, ad oggi, risulta interessata ed a vario titolo rappresentata da diversi marchi di natura collettiva. Si tratta, perlopiù, di marchi che assolvono a funzioni di promozione territoriale di specifiche e limitate zone del comprensorio trapanese; alcuni di essi sono posti a garanzia della qualità di particolari tipologie di prodotti e/o servizi; altri ancora si configurano come semplici marchi identificativi del territorio. MarchioFunzioneDescrizionePromozione territoriale senza criteri di garanzia della QualitàIl marchio e, ancor di più lo slogan sono stati usati efficacemente per la promozione del territorio provinciale, con diverse declinazioni (Trapani Provincia naturale del Vino; Trapani Provincia naturale dell’olio, ecc.)Promozione territoriale con criteri di garanzia della Qualità legati al servizio offerto al turistaIl marchio è utilizzato per individuare strutture e percorsi in grado di offrire servizi di qualità per l’accoglienza e itinerari ricchi di significato e curati con grande attenzionePromozione turistica del territorioIl marchio della provincia di Trapani più diffuso nel mondo. In quanto simbolo dell’APT di Trapani è presente su ogni documento di promozione turistica del territorio. Promozione del territorio e dei suoi prodottiIl marchio si propone la promozione dell’offerta di parte del territorio (turistica e di prodotti) senza definire standard qualitativi.Promozione di un itinerario comprendente i luoghi legati ai Fenici con garanzia di Qualità.Il marchio si propone la promozione e la caratterizzazione dell’offerta turistica dei territori legati alle rotte percorse dai fenici attraverso la qualificazione dei servizi turistici, dei percorsi, dei siti.Promozione di prodotti e territori legati al Vino DOC ERICE, con garanzia di qualitàIl marchio si propone la promozione del territorio legato ai luoghi di produzione attraverso la promozione di itinerari enogastronomici attraverso la qualificazione dei luoghi, dei prodotti, dei servizi offerti.Promozione di prodotti e territori legati al Vino DOC MARSALA, con garanzia di qualitàIl marchio si propone la promozione del territorio legato ai luoghi di produzione attraverso la promozione di itinerari enogastronomici attraverso la qualificazione dei luoghi, dei prodotti, dei servizi offerti.Promozione di prodotti e territori legati al Vino DOC Alcamo, con garanzia di qualitàIl marchio si propone la promozione del territorio legato ai luoghi di produzione attraverso la promozione di itinerari enogastronomici attraverso la qualificazione dei luoghi, dei prodotti, dei servizi offerti.Promozione e difesa del Prodotto Il marchio si propone la promozione e la tutela attraverso l’ottenimento del riconoscimento della DOP. Le attività di ricognizione e mappatura dei marchi territoriali esistenti nella provincia di Trapani sulle quali è poi stata svolta una precipua analisi relativa alla rappresentazione grafica ed agli obiettivi perseguiti dagli stessi marchi, hanno evidenziato l’inesistenza di un marchio in grado di rappresentare e, quindi, valorizzare la totalità del territorio provinciale e la sua identità culturale, storica, ambientale, geografica, produttiva(per veste grafica, per obiettivi, nonchè come struttura di promozione, tutela e controllo). Più in dettaglio: • ogni marchio, ad esclusione di “Trapani Provincia Naturale” esprime una sua ben precisa identità, sia essa legata ad un prodotto (Strade del Vino), alla sua storia (rotta dei Fenici), o ad un’offerta di itinerari (Itini). • alcuni marchi si propongono come garanzia di qualità ma si limitano al proprio ambito. • l’unico marchio espressione dell’intero territorio, “Trapani Provincia Naturale” non ha alcun legame con criteri di garanzia di qualità. • nessun marchio, neanche il più diffuso, come quello dell’APT, è in grado di rappresentare il territorio nella sua interezza senza escludere territori, prodotti, tradizioni. 1. I PRINCIPALI MARCHI TERRITORIALI ITALIANI ED ESTERI Al di fuori del territorio provinciale esistono sistemi di promozione territoriale rodati che hanno permesso, grazie al concetto di aggregazione ed offerta territoriale integrata, di conquistare grandi fette del mercato turistico e di promuovere nel mondo i propri prodotti e le proprie tradizioni. A scopo esemplificativo, vengono qui di seguito riportati alcuni marchi territoriali in senso stretto, alcuni ormai chiaramente riconosciuti altri in grande sviluppo. Marchio Descrizione Il marchio identificativo di un territorio più famoso del mondo. Ha l’unico scopo, qualora ce ne fosse ancora bisogno di promuovere la città di NY. Ha un carattere ormai esclusivamente commerciale.Tra i Marchi territoriali Italiani è senz’altro quello più conosciuto. Si propone di promuovere e tutelare il territorio e i prodotti del trentino, attraverso una enorme, ma controllata diffusione del marchio ed un attento controllo di standard qualitativi. Ha grande efficacia la distinzione dei settori di riferimento con i colori utilizzati come sfondo. Nasce, non a caso, dall’esperienza del marchio “Trentino” la scelta del parco dell’ ”Adamello Brenta” di affiancare ai marchi principali, appunto,“Trentino” e “Parco del Brenta” un marchio Qualità, accoppiandolo con quello di un Ente Certificatore Internazionale che garantisce il rispetto di parametri identificativi, ambientali e qualitativi elevatissimi.Il marchio territoriale “Tuscia Viterbese” nasce recentemente con l’obiettivo iniziale di tutelare ed identificare con il proprio territorio i prodotti di alta qualità con certificazione DOP IGP, ecc., e successivamente si apre ad altri settori economici della provincia garantendo attraverso il rispetto di appositi disciplinari parametri qualitativi dei prodotti e dei servizi offerti molto levati. Alla luce degli studi effettuati è possibile riportare alcune osservazioni fondamentali, da cui è bene non prescindere nel processo di definizione e rappresentazione del Marchio: • i marchi che meglio funzionano sono quelli semplici che anche in piccole dimensioni o in bianco e nero risultano chiari; • i marchi che rappresentano più efficacemente un territorio sono quelli che non hanno segni distintivi legati a prodotti o a luoghi. LINEE DI RIFERIMENTO PER LA REALIZZAZIONE GRAFICA DEL MARCHIO Per la definizione di una linea di riferimento che possa indirizzare efficacemente nella realizzazione di un marchio territoriale che si proponga di valorizzare l’intero territorio provinciale, sono stati presi in considerazione, valutandone gli aspetti di impatto visivo e rappresentativo, oltre ai marchi già citati, altri marchi territoriale tra cui i seguenti: