Paolo Betta - Fausto Cantarelli DAL MITO ALLA STORIA Il Pecorino Siciliano Presentazione Le finalità statutarie del CORERAS, nel quadro degli indirizzi determinati dall’Assessore regionale per l’agricoltura e per le foreste, si sostanziano nello sviluppo e nell’ammodernamento strutturale ed organizzativo dei sistemi agroalimentare, agroindustriale ed agroambientale della Sicilia. Le attività di ricerca, di sperimentazione, di studio e di servizio svolte ed in via di svolgimento dal Consorzio sono dirette alla realizzazione di tali finalità e specificatamente per l’agroalimentare mirano alla valorizzazione del sistema attraverso miglioramenti negli aspetti di processo, di prodotto e di organizzazione con specifici obiettivi di esaltazione delle caratteristiche produttive, qualitative, salutistiche, storiche, culturali, naturali, ambientali, nel rispetto della spiccata biodiversità e dei molteplici microambienti esistenti nell’isola, al fine di soddisfare le più sofisticate esigenze gastronomiche e culturali del consumatore moderno. Il Comitato Direttivo del Consorzio nell’analizzare la richiesta del Prof. Fausto Cantarelli di ristampa del volume: Dal mito alla storia: Il pecorino siciliano, ha ritenuto che lo studio, già esaurito nella sua prima edizione, sia ben meritevole di ulteriore diffusione in quanto trova accoglimento nelle finalità del CORERAS ed è complementare alle sue attività scientifiche mirate alla valorizzazione ed allo sviluppo delle produzioni e del territorio dell’isola, sia negli aspetti economico-sociali che in quelli culturali, storici monumentali e paesaggistici. Sono pertanto lieto di provvedere alla ristampa dello studio del collega economista agrario Prof. Cantarelli, impegnato nella ricerca di nuove opportunità di marketing del Pecorino Siciliano e promotore di una teoria di valorizzazione dei prodotti tipici attraverso l’impiego della storia italiana. Prof. Antonino Bacarella Presidente del CORERAS In copertina: bassorilievo in arenaria con sfinge alata accosciata da Mozia. Paolo Betta - Fausto Cantarelli DAL MITO ALLA STORIA Il Pecorino Siciliano CORERAS Consorzio Regionale per la Ricerca Applicata e la Sperimentazione Palermo Ristampa Progetto POM A03: “Valorizzazione dei prodotti lattiero-caseari del Mezzogiorno attraverso lo studio dei fattori che ne determinano la specificità”. INDICE Prefazione .......................................................................... pag. 7 CAPITOLO PRIMO Sicilia, Mediterraneo e Medio Oriente 1. Lo scenario ............................................................................. 2. Le radici dell’agricoltura ........................................................ 3. Obiettivi e strumenti .............................................................. 4. Pecorino Siciliano e Medio Oriente...................................... 5. Il mito ..................................................................................... 6. Il Neolitico in Medio Oriente................................................ 7. I mezzi di trasporto ............................................................... 8. Alcune conclusioni ................................................................ 11 14 19 24 27 32 39 42 CAPITOLO SECONDO L’origine geografica, culturale e storica della produzione dei formaggi pecorino e caprino della Sicilia 1. L’uomo e la Terra: La “rivoluzione neolitica” ...................... 2. Il diffondersi del Neolitico nell’area mediterranea .............. 3. Il Neolitico in Sicilia .............................................................. 4. Micenei, Fenici e Greci in Sicilia .......................................... Bibliografia.................................................................................. 45 53 59 73 81 CAPITOLO TERZO Azioni e prospettive 1. Dalla Sicilia alla Gallia........................................................... 2. Il contesto............................................................................... 3. Il marketing............................................................................ Bibliografia.................................................................................. 85 89 96 109 5 Prefazione Il titolo dell’opuscolo fa riferimento alle radici mitiche e storiche dell’arte casearia in Sicilia in un’epoca molto lontana, quando l’uomo ha scelto di ricorrere a spiegazioni fantastiche non essendo riuscito a razionalizzare integralmente il vissuto; la mitologia altro non è che un’ammissione di incompetenza. Così, l’esame della condizione attuale dei formaggi tipici del sud Italia, che abbiamo condotto all’interno del progetto POM A03, ha permesso il recupero di una sorta di primogenitura storica della Sicilia non solo casearia, quale è emersa dalla volontà di fare qualche cosa per quei formaggi che l’incuria dell’uomo ha lasciato emarginare. Ben sapendo che le vicende più suggestive di ogni processo umano si celano nei tempi iniziali, ove regnano creatività e innovazione, abbiamo tentato di recuperare le radici dell’allevamento e dell’arte casearia in Sicilia, in Italia e in Europa, senza trascurare le successive fasi di riflessione, sempre con lo scopo di migliorare ciò che è stato e in attesa di innestare altre misure, ove fosse necessario sbloccare i precedenti percorsi. Nel caso del Pecorino Siciliano, la fase creativa è avvenuta nel 7 Medio Oriente 10 mila anni avanti Cristo e subito dopo nell’isola, quasi in sincrono con la domesticazione delle pecore, che prima ci erano sconosciute. L’innovazione nell’isola si è rivolta a ricercare nuove modalità di trasformazione casearia, che saranno trasferite in Europa attraverso le legioni romane. Questo è stato, in sintesi, il risultato di un percorso logico alla ricerca di un’idea portante, che permetta di rivalutare i prodotti tipici in genere, e i formaggi in particolare, ripercorrendo i momenti storici che li hanno fatti arrivare indenni fino a noi. Quando l’andare a ritroso si è arenato nel labirinto delle ipotesi, con il rischio di rimanerne prigionieri, sono venuti buoni anche i miti, nati a suo tempo ad opera degli stessi protagonisti degli avvenimenti più lontani; sono state le osservazioni degli uomini del Mediterraneo, infatti, ad avere dato corpo ad immagini fantastiche per fare presa sulla gente che amava idealizzare i veicoli della storia; essersi avvalsi dei miti ha significato aggiungere qualcosa in più alla documentazione dei processi storici. La venuta degli ovini addomesticati in Sicilia risale, secondo Christos G. Doumas (1996), “All’epoca in cui la società egea era ancora impegnata nell’era della caccia e della raccolta, nel IX° millennio a.C.”, lo stesso millennio nel quale sono stati domesticati; nello stesso periodo e secondo lo stesso autore, “Alcuni audaci pescatori si affidarono alle correnti con le zattere, dopo avere lasciata la grotta di Franchthi, in Argolide, dove vivevano, spingendosi in mare aperto in cerca di tonni e di terre ospitali”. Nel Mediterraneo di allora gli abitanti delle aree interne delle isole tendevano a spostarsi sulle coste, contribuendo con ciò a moltiplicare i viaggi per mare. È per questi motivi che non può 8 non avere giocato un ruolo determinante la posizione centrale della Sicilia nel Mediterraneo, che ha trovato puntuale riscontro nell’Odissea, il più antico dei poemi, dove si racconta di un viaggio fantastico che tocca l’antro di Polifemo, in zona etnea, dove Omero situa un caseificio ante litteram e dove l’antesignano dei pastori e dei cascinai dell’isola, un gigante rozzo e bestiale, produce il Pecorino Siciliano, il primo tra i formaggi d’Europa. Il nostro approccio ha permesso di ricostruire l’itinerario fino alla Sicilia, che divenne da allora il primo laboratorio alimentare del Vecchio Continente, fautore di successive elaborazioni. Dopo di allora, con la congiunzione dei flussi mediterranei con quelli balcanico-danubiani e africano (Marocco-Spagna) ha preso il via l’arte casearia europea. Credo che il percorso spieghi anche la grande varietà dei formaggi italiani di pregio rispetto a quella inferiore di altri paesi mediterranei. La storia si presenta oggi come la leva che potrà sottrarre i formaggi tipici italiani allo stato di torpore in cui l’incuria degli uomini li aveva sospinti negli anni bui della sussistenza. Poiché questa azione rivolta a rivalutare il Pecorino Siciliano, il primo capitolo fa riferimento all’isola e alla sua storia casearia, il secondo ripercorre gli itinerari della preistoria e il terzo propone alcuni cambiamenti utili. Ragusa, 24 maggio 2000 Fausto Cantarelli 9 CAPITOLO PRIMO Fausto Cantarelli * Sicilia, Mediterraneo e Medio Oriente 1. Lo scenario Sempre e ovunque le produzioni primarie e le successive elaborazioni in cucina o altrove hanno influenzato la vita dell’uomo contribuendo a definire gli assetti socio-economici dei territori; i bisogni alimentari sono sempre gli stessi come i comportamenti umani, mentre è la cultura nascente ad avere diversificato gli uni e gli altri per territorio. Come tutti gli esseri viventi, l’uomo ha provveduto per prima cosa al suo sostentamento; da tre milioni di anni, quanti sono trascorsi dalla sua origine, la domanda è rimasta la stessa: “Come nutrirsi? La risposta ovunque e sempre è stata: con il sistema agroalimentare, cioè con l’insieme delle attività coordinate che gli hanno permesso di cogliere la necessaria energia nutritiva. Così è avvenuto anche in Sicilia, dove oggi constatiamo la presenza di abitudini alimentari consolidate; il Pecorino Siciliano * Titolare della cattedra di Economia agro-alimentare e docente di marketing alimentare nell’Università degli Studi di Parma. 11 non è diverso da quello prodotto millenni fa, all’origine, perché le ragioni, che l’hanno fatto nascere, non sono cambiate e, spesso, anche i processi sono rimasti gli stessi (produzione da parte dell’allevatore sul pascolo). Così le abitudini alimentari hanno continuato a reggere, ma senza dare garanzie in tempi lunghi, come dimostrano le tre rivoluzioni vissute dall’umanità: la prima nel neolitico, quando sono arrivate in Europa dal Medio Oriente le specie vegetali e animali addomesticate; quella a metà del secondo millennio dopo Cristo, quando, a seguito della scoperta delle Americhe, sono arrivati in Europa nuovi alimenti (mais, patate, pomodoro ecc.); infine, quella di oggi, provocata dall’accelerazione del progresso scientifico e tecnologico e dalla globalizzazione dei mercati. Nello scenario attuale incombe il rischio che il ricco, vario e prestigioso patrimonio alimentare dell’isola, come quello di altre aree mediterranee, possa essere travolto dalla pressante arroganza degli alimenti standardizzati delle multinazionali, inventate dall’Europa, diffuse in Usa e in via di diffusione nel Sol Levante. Nei tempi antichi, anche la scoperta del fuoco e la cottura sono state importanti perché hanno introdotto la possibilità di combinare gli ingredienti, legandoli con il fondo di cucina ecc; in questa operazione si è sbizzarrita la creatività dell’uomo, che ha arricchito e differenziato i patrimoni locali; i cibi, combinando sapori, odori e colori, hanno dato origine ai gusti e alle abitudini. La cucina è diventata così l’espressione più nobile e prestigiosa della cultura dei popoli (in Europa l’analisi statistica mostra analogia agricola e diversità alimentare); l’alimentazione, nelle 12 Figura 1 - Porta Nuova dell’antica città fenicia di Mozia. 13 aree mediterranee, ha mantenuto maggiori contenuti tradizionali che in altri luoghi e una più ampia varietà di espressioni. 2. Le radici dell’agricoltura La Sicilia è stata investita molto presto da vicende analoghe a quelle vissute dalla Mesopotamia all’origine dell’agricoltura, diecimila anni avanti Cristo. Il carattere storico che ha distinto la Sicilia si ritrova nella precocità dello sviluppo agro-alimentare rispetto ad altre aree a causa dell’anticipato sbarco dell’agricoltura e dei suoi prodotti sulle sue coste (cereali, legumi e animali); ancora oggi la Sicilia è la più vasta regione del belpaese e la più grande isola del Mediterraneo con uno dei più ricchi patrimoni alimentari, avendo rivestito il ruolo di grande spartitraffico dei flussi mediterranei di genti e prodotti, con funzioni aggiuntive di primo laboratorio di elaborazione alimentare d’Europa; oggi, con un’alta densità di popolazione e con un alto grado di ruralità, l’isola, continua a custodire gelosamente le tradizioni più antiche, quelle che, partendo dal Medio Oriente e dal nord Africa, sono passate attraverso l’isola molto tempo fa per andare ad arricchire l’intera società occidentale; tutto ciò è stato possibile per la sua collocazione geografica, per le favorevoli correnti marine e per la presenza degli autoctoni, che risiedevano per lo più lungo le coste, dove erano ubicati i principali centri abitati, mentre, nelle aree interne, la densità degli abitanti si attenuava, gli insediamenti diventavano sparsi e l’agricoltura estensiva. 14 Se la produzione tipica del Paese costituisce ancora oggi un ricco patrimonio, la Sicilia non è da meno, avendo accumulato nei secoli di storia alimenti straordinari e gastronomie d’autore, tra le quali prevalgono i vegetali, l’olio d’oliva come condimento (pane, focacce ripiene di formaggi, di ricotta salata, di acciughe, di salumi, op pure con capperi e olive o con uva passita) e le paste asciutte quasi sempre condite con sarde, ricotta, sepp ie o verdure. La carne, invece, quando entra nella cucina dell’isola, lo fa in punta di piedi, più per arricchire pietanze complesse, che come piatto unico, mentre, in sua vece, abbonda il pesce, specie tonno e pescespada. O rtaggi e frutta, dai sapori inconfondibili, completano le risorse alimentari dell’isola, a cui non è neppure estranea una ricca e varia produzione di dolci (ben noti sono cassata e cannoli). Numerosi anche i vini; oltre al celebre Marsala, noto nel mondo intero, ve ne sono molti altri e si distinguono per l’alta gradazione alcolica; a questi si associa un’ampia gamma di liquori ricavati dalla frutta locale. Questa, in breve, la dovizia e la varietà degli alimenti e dei cibi siciliani, che non esaurisce il caleidoscopio di gusti, di aromi e di colori, che l’isola può vantare e meriterebbe ben più attenzione e, perché no, una vetrina all’altezza di ciò che possiede; non meraviglia, pertanto, che l’apprezzamento del Nuovo Mondo abbia inventato una formula impropria, ma significativa: “La dieta mediterranea”, con la quale vengono indicate le utilità principali, tra cui eccellono pregio e sanità. Gli alimenti tipici, che in Sicilia sono più numerosi che altrove, rimangono l’espressione peculiare delle aree mediterranee 15 d’Europa, come, per altro verso, i prodotti della grande industria, standardizzati e appiattiti nei sapori lo sono per le aree continentali del Vecchio Continente e per il Nuovo Mondo. Questa doppia realtà nel mondo avrebbe potuto costare molto ai prodotti meno attrezzati, specie per il mercato globale, che non è congeniale con gli alimenti a basso volume di offerta. In realtà, sono passati diversi anni e tutto è rimasto come prima, dimostrando che le abitudini alimentari in queste aree sono tanto radicate da essere inamovibili (non è la qualità ad averli salvati, perché ha valore se e in quanto la cultura ha un peso consistente che, al momento, non si avverte né in Sicilia né nel Paese). Il pericolo semmai potrebbe riguardare, nel tempo, i produttori, che potrebbero desistere dal produrre a causa dei sacrifici richiesti rispetto ai benefici ottenuti. Oggi sta tornando al territorio il compito di produrre ricchezza e posti di lavoro, che le grandi imprese non riescono più a garantire; anche per questi motivi le produzioni tradizionali vanno mantenute e difese ad oltranza, dando luogo a quell’organizzazione delle fasi produttive e di quelle mercantili che è mancata in passato e approfittando dell’occasione offerta dall’annunciata espansione del turismo. Nella contrapposizione dei modelli di consumo, all’interno del Vecchio Continente, il più a rischio è e rimane sempre quello mediterraneo, perché è presente con alta qualità, con prezzi sottovalutati, ma ugualmente alti rispetto a quelli dei prodotti della grande industria internazionale e con strutture organizzative deboli (artigiani, piccole industrie e cooperative agricole); il modello più efficiente rimane quello continentale e del Nuovo 16 Mondo, perché può avvalersi di alimenti progettati e realizzati secondo gli standard del consumo e della grande distribuzione, con i prezzi più contenuti, con servizi aggiunti e incorporati e con l’organizzazione complessiva più efficace. Quest’ultimo modello, a cui danno man forte le importazioni dagli Usa, preme sulle aree mediterranee per sbarazzarsi di concorrenti scomodi, i prodotti tipici e quelli tradizionali, e collocare in Italia, grazie a modernità ed efficienza, le eccedenze delle aree umide, facendo leva sulla grande distribuzione e su quella organizzata, non congeniali ai piccoli volumi di offerta e mettendo in atto efficaci strategie commerciali. La comodità d’uso si contrappone così alla qualità. I siciliani hanno altri traguardi: mantenere il proprio patrimonio alimentare provocandone la riscoperta e la rivalutazione anche in vista dell’espansione del turismo. L’esito della competizione sarà la conseguenza di confronti continui e duri; il campo di battaglia è il mercato, dove si troveranno sempre più contrapposti alimenti e gastronomie diversi in concorrenza tra loro. I prezzi dei prodotti tipici sono bassi rispetto al loro valore reale, mentre i costi di produzione sono superiori a quelli presenti nelle aree umide del Centro e del Nord Europa a causa del clima caldo arido; questo handicap colpisce l’intera produzione agro-zootecnica, che solo con la trasformazione riesce a recuperare competitività; quindi, le materie prime devono necessariamente tramutarsi in prodotti tipici per rimanere in concorrenza con gli altri alimenti. Si raggiungerebbe l’obiettivo se e quando l’offerta, che è diventata eccedente rispetto alla domanda in seguito all’allargamento dei mercati, si attivasse per garantire le 17 vendite e per riequilibrare i prezzi; il supporto mancante è l’organizzazione dei produttori, che non è mutuabile e che va costruito, per raggiungere una massa di prodotto che permetta di svolgere le necessarie azioni promozionali a costi accessibili, ben sapendo che nei mercati dinamici non esistono prodotti tanto buoni da vendersi da soli. Dove le imprese dell’isola hanno accumulato ritardi – la cosa è avvenuta anche nel resto del Paese – è nell’adeguare i processi produttivi e i prodotti ai cambiamenti che si sono verificati nel passaggio dal sottosviluppo allo sviluppo del Paese; anche la Sicilia ha bisogno di recuperare i tempi perduti per inserirsi nel cammino dello sviluppo con le strategie adeguate, coinvolgendo tutte le risorse disponibili sul territorio. Un esempio non alimentare, ma significativo: una delle più suggestive risorse dell’isola è la Valle dei Templi di Agrigento; è inconcepibile che ancora oggi, in epoca di grande rilancio del turismo, il 70% degli italiani ritenga che questa importante risorsa si trovi in Grecia, come recita un recente sondaggio di Legambiente, quando invece la conoscenza delle risorse dovrebbe fungere da richiamo. Questa opera monumentale, che testimonia l’esistenza di una importante colonia greca prima della nascita di Cristo, oggi deve essere elevata al rango di fondamentale risorsa del territorio, da valorizzare a beneficio dell’intera economia dell’isola, alimenti e gastronomie compresi. È partendo dalle risorse più esclusive e di rango che si possono ottenere i risultati migliori, fino ad arrivare ai consumi alimentari di pregio, che sono essi stessi delle risorse importanti e, con questi, al territorio rurale. 18 Le produzioni primarie più abbondanti dell’isola sono, in ordine decrescente: quelle arboree (specie per agrumi e vite), quelle erbacee (specie per patate e ortaggi), quelle di origine animale (specie per formaggi e carni) e la pesca. Per le colture permanenti la Sicilia presenta un’alta concentrazione di viticoltura da vino e da tavola e di alberi da frutto, mandorli e noccioli a sud-ovest e agrumi e ortaggi a sud-est. Per quanto si riferisce alle produzioni di origine animale, gli allevamenti bovini si presentano in modo diverso da zona a zona: lungo la fascia costiera, in aree agrumicole e orticole intensive, l’allevamento presenta densità consistenti in funzione integrativa di altri indirizzi produttivi; nelle zone interne, dove l’allevamento segue ancora modalità tradizionali, vi possono essere ugualmente maggiori concentrazioni in alcuni luoghi (altipiani di Ragusa e Modica nel ragusano; Palazzolo, Sortino e Floridia nel siracusano; versante tirrenico dei monti Peloritani nel messinese e nei comuni di Caccamo e Collesano nel palermitano); nel rimanente territorio il bestiame, bovino, ovino e caprino è distribuito con densità inferiore. 3. Obiettivi e strumenti In queste condizioni, le intuizioni fondamentali, quelle che gli economisti traducono in piani strategici, non provengono più dai lampi di genio, bensì da studi e ricerche ad hoc, fatti da équi pe di esperti; è finito il tempo delle improvvisazioni: il marketing applicato agli alimenti tipici ha bisogno di metodologie idonee a 19 raggiungere i grandi obiettivi, accelerando i ritmi dello sviluppo. Solo così le molte e ricche risorse del territorio potranno far fare all’isola progressi rapidi ed efficaci senza pagare prezzi eccessivi e, quel che più conta, senza perdite di energia. Il primo e principale obiettivo è, per le imprese e il territorio, quello di accelerare i tempi del progredire; lo si può raggiungere con una buona impostazione che faccia leva, in primo luogo, sulle risorse locali più importanti e via via sulle altre nella logica del piano integrato mediterraneo. Le risorse più suscettive, anche in vista della più volte richiamata espansione turistica, sono quelle storico-monumentali, paesaggistiche e agro-alimentari. L’obiettivo è quello di fare lievitare la domanda di alimenti e servizi grazie all’aumento delle persone temporaneamente presenti (i turisti), da attrarre con immagini idonee e sviluppando le sinergie tra le varie risorse, culturali, ricreative, artistiche, storiche ecc. La sagra dei mandorli in fiore di Agrigento, la cui origine risale al 1937, è un esempio di richiamo suggestivo, ancorché non sufficiente, che potrebbe offrire una gamma di opportunità più ampia di quella di oggi, tra cui l’Agrigento antica, Akragas, – non solo la Valle dei Templi –, cioè l’altopiano calcarenitico tra i fiumi Hypsas e Akragas; lo scenario va poi completato con la cucina locale, che è ricca di prodotti tipici e di pescato (Porto Empedocle) e che va portata a un rango superiore di quello attuale per farla diventare essa stessa motivo di richiamo. Tutto ciò, presupponendo l’organizzazione delle imprese, non è facile da realizzare in un’isola ben nota per l’individualismo dei suoi abitanti; il passaggio è obbligato per due motivi: 20 - la complessità del problema richiede una guida sicura, accompagnata da un’ampia serie di competenze (interdisciplina); - le modalità di intervento presuppongono flussi coordinati di capitali pubblici e privati, che non sempre sono alla portata dei singoli investitori. Pertanto sono i produttori associati a doversi fare carico del rapporto con le Amministrazioni Pubbliche per concordare tempi, modi ed entità degli investimenti in armonia con i programmi da realizzare. La parte immediata di ogni programma è quella riferita alle opere monumentali del tempo passato – dalla Valle dei Templi di Agrigento, al Duomo di Monreale, a Mozia-Erice, a Siracusa, a Taormina, a Noto, a Modica ecc. –; la parte più complessa e meno appariscente è quella che riguarda la ruralità nell’isola e, per questa, il paesaggio interno con i fabbricati, il folklore, gli alimenti tipici, le gastronomie ecc. che vanno ricercati e che, una volta scoperti, vanno utilizzati in sinergia con i primi coinvolgendo diversi operatori del territorio che altrimenti sarebbero esclusi: agricoltori, allevatori, artigiani, industriali, ristoratori ecc.; il comparto alimentare può dare consistenti soddisfazioni economiche non solo perché oggi è spesso sottovalutato, ma anche perché è in grado di rilanciare il territorio nel momento in cui gli venisse attribuita un’immagine nuova, più suggestiva e più gratificante. Non è problema solo siciliano, ma di tutte le aree dell’Europa meridionale. Non è un caso se proprio di questi tempi ad Arles è nato il “Conservatoire des Cuisines méditerranéennes” che raggruppa, al momento, sette paesi (Francia, Italia, Spagna, Grecia, Tunisia, Marocco, Libano) con lo scopo di difendere la cultura mediterranea, di studiare, di mettere in opera 21 e di sviluppare azioni capaci di valorizzare i prodotti tipici e tradizionali, l’agricoltura, la cucina di qualità e, più generalmente, il patrimonio gastronomico, turistico e culturale dei paesi che si affacciano sul mare; anche le province siciliane dovrebbero partecipare al fervore collegiale del bacino del Mediterraneo per ricevere nuovi stimoli e nuovi benefici a supporto dello sviluppo territoriale. Nell’isola sono evidenti segnali di ripresa economica da cogliere ed enfatizzare; l’analisi delle prospettive fa ritenere che il Terzo Millennio sarà ricordato come quello della riscossa delle aree mediterranee, e della Sicilia in primis, purché si prenda coscienza dei problemi e si agisca di conseguenza; la prospettiva è solida e poggia non solo sulla nuova attenzione che l’Ue rivolge a quest’area, ma anche e specialmente sulle spinte interne e sulla prevista espansione del turismo a matrice culturale e ricreativa, sul recupero dei valori storico-tradizionali della società, sulla diversificazione degli alimenti e delle gastronomie, tutti fenomeni già all’attenzione dell’opinione pubblica e in controtendenza rispetto alla spinta globalizzante del Nuovo Mondo. Nello specifico dell’alimentare europeo, il sistema è andato consolidandosi sulla scia dell’avanzata industriale, che ha avuto successo al punto da provocare, nel Centro e Nord Europa, il trionfo del consumismo di massa e del profitto ad ogni costo, prospettive delle grandi imprese che, in questo modo, penalizzerebbero ulteriormente il territorio. Le aree periferiche a sud, invece, fin’ora sono riuscite a mantenere vive, nonostante tutto, le tradizioni alimentari grazie alle piccole imprese con utilità per il territorio; tutto questo però oggi non basta più, ma ha bisogno di 22 23 essere rinforzato, applicando ai piccoli volumi d’offerta le stesse tecniche mercantili delle grandi imprese, previa organizzazione dei piccoli produttori; per il resto i maggiori prezzi sono ampliamente giustificati dalla maggiore qualità. Le prospettive in campo alimentare sono favorevoli, ma i compiti per portarle a compimento sono nuovi, complessi e non facili; richiedono, pertanto, idee e azioni all’altezza degli obiettivi e, contemporaneamente, volontà definita e determinata. 4. Pecorino Siciliano e Medio Oriente L’argomento tipicità è oggi all’attenzione dell’opinione pubblica, degli studiosi e delle politiche regionali e nazionali; le prospettive turistiche lo rendono più urgente e allettante. Tra le tipicità della Sicilia, il Pecorino è l’unico formaggio prodotto e consumato in tutta l’isola con una storia alle spalle tra le più suggestive dell’intero Vecchio Continente, in linea, oltretutto, con il cammino seguito dai principali alimenti dal Medio Oriente all’Europa, passando per la Sicilia e proseguendo, dopo la prima guerra punica, per Roma e per i territori dell’impero. L’avventura del Pecorino Siciliano ha inizio con l’arrivo delle pecore nell’isola, portate dalle zattere prima ancora che dalle barche; una volta sbarcati gli animali, è nata la pastorizia nelle stesse zone dove è presente tutt’ora. L’allevamento ovi-caprino della Sicilia è ancora oggi di tutto rispetto. La consistenza di pecore e capre nel 1997 è stata rispettivamente di 918 mila (il 13,6% della consistenza nazionale) e di 24 249 mila (il 21,8% della consistenza nazionale); gli stessi dati per l’Italia hanno raggiunto rispettivamente i 6,761 milioni e il 1,144 milioni. La regione Sardegna è l’unica, in Italia, a precedere la Sicilia nella consistenza delle pecore con 2,981 milioni di capi. Nell’ultimo decennio gli ovini in Italia sono diminuiti dell’8%, mentre le capre sono aumentate del 42%; la Sicilia, in controtendenza, ha fatto riscontrare un aumento per le une (17%) e le altre (290%). L’allevamento ovino ha prodotto, nel 1998, 70 mila quintali di Pecorino Siciliano con q 385 mila di latte; questo formaggio, che – si ripete – viene prodotto e consumato in tutta l’isola, non da luogo ad esportazione di qualche significato; ha ottenuto anche la denominazione d’origine (DPR 3.10.1955 n. 1269) e il Dop. La produzione, che si realizza sui pascoli ad opera dei pastori, viene poi venduta direttamente con denominazioni che cambiano a seconda del tempo di stagionatura: toma è il formaggio fresco non salato, venduto appena fatto, primosale è il semifresco sottoposto alla salatura, pecorino è il formaggio sottoposto alla salatura oltre i 20 giorni. Il Pecorino Siciliano va considerato l’archetipo dell’isola per la storia lunga e complessa che ha alle spalle e ne fa una testimonianza di tempi remoti, nei quali non era importante la denominazione, ma il significato che assumeva nella quotidianità locale; poiché rappresenta con i diversi adattamenti le varie realtà territoriali dell’isola, così si spiegano i tanti nomi che gli sono stati attribuiti (canistratu o ncannistratu, maiorchino o mazzulinu, tumu, tumazzu, caciu ecc.). Questa realtà composita potrà diventare meglio leggibile con un’immagine nuova per valorizzarla al 25 meglio. È percepibile accanto a questi formaggi, anche per la varietà delle denominazioni, un non so che di misterioso che si perde tra mito e classicità perché è da quei lidi che proviene come ci ricordano Polifemo, Aristeo, Cirene ecc. Se Omero ha parlato di formaggio e lo ha collocato in zona etnea e se, contemporaneamente, consideriamo che pecore e capre vengono da molto lontano, ciò significa non solo che questi animali sono arrivati molto presto, con ogni probabilità prima che altrove, ma anche che il prodotto della trasformazione del latte non poteva tardare ad imporsi e a diffondersi. Le tracce del latte si perdono nel neolitico in Medio Oriente. Diecimila anni avanti Cristo, gli uomini avevano imparato ad addomesticare gli animali, cominciando con le pecore e le capre che sono più mansuete. Con il latte l’uomo ha raggiunto un importante obiettivo: riuscire a fare vivere i bambini, a farli crescere e ad allungare la vita agli adulti, permettendo così l’aumento demografico che ha coinciso con la presenza delle grandi civiltà pastorali della Mezzaluna medio-orientale. La scoperta dei derivati del latte fu empirica: la cagliata probabilmente si formò versando il latte appena munto in un otre ricavato dallo stomaco di un giovane mammifero; il burro in seguito a un trasporto agitato; lo stesso per lo yogurt, il latte fermentato di cui si nutrivano i soldati di Gensis Khan. Non possiamo dimenticare che il formaggio è l’unico dei derivati del latte che si conserva a lungo senza particolari accorgimenti e che questa conservabilità a quei tempi era un carattere eccezionalmente utile, perché permetteva l’accumulo delle scorte. 26 Il formaggio è prodotto mediterraneo come lo è l’olio d’oliva, il vino ecc., anche perché qui il sale non manca. Altri hanno scelto il latte fermentato, di cui parlano Erodoto e Senofonte; diffuso specie nei Balcani e in Anatolia si è spostato rapidamente verso Oriente, dove, nel Caucaso, ha assunto anche la variante alcolica (Kefir). Il Pecorino Siciliano è stato il primo formaggio ad essere prodotto in Europa e oggi viene trasformato sugli stessi pascoli da parte di allevatori che impiegano le stesse tecnologie di allora. Così è iniziata la storia del rapporto dell’uomo con il latte e con il formaggio, connubio felice che prosegue tutt’ora nel modo migliore in Sicilia e in gran parte del pianeta. 5. Il mito La ricerca delle radici culturali dell’uomo, attraverso lo studio comparato delle civiltà, permette di trovare, nella primogenitura del territorio della Mezzaluna (Palestina, Siria del nord e Mesopotamia), la spiegazione dell’agemonia della civiltà europea. Il Mediterraneo, nella parte orientale, è il primo luogo dove l’uomo ha superato le tappe decisive e irreversibili che l’hanno fatto passare a una condizione superiore di cultura e di sviluppo che chiamiamo civiltà. Faccio riferimento all’ambiente rurale, nel quale l’alta densità della popolazione ha permesso il sorgere di una organizzazione politica di molte persone, le quali riuscivano a comunicare per mezzo della scrittura. Questo processo non si è verificato che tre volte: in Mesopotamia, nella Mezzaluna, nella 27 pianura della Cina del nord e ai piedi dell’Imalaia (le civiltà degli indiani delle Americhe e degli africani non hanno mai raggiunto la scrittura). La più antica delle rivoluzioni neolitiche, quella mesopotamica, ha raggiunto il passaggio dalla predazione alla produzione agricola e all’allevamento con due mila anni di anticipo su quella del Messico e quattromila su quella cinese; il grande anticipo medio-orientale ha fornito con maggiore precisione la misura del tempo datando la domesticazione dei cereali – frumento, riso e mais – che ha reso possibile la sedentarizzazione e la crescita demografica. La più antica coltivazione del frumento è apparsa nella parte orientale del bacino del Mediterraneo attorno all’ottavo millennio a. C. La coltivazione del mais è nata in Messico sull’altipiano dell’Anahuac tre mila anni più tardi; quella del riso è avvenuta in Cina ancora più tardi intorno al quarto millennio a. C. L’Europa, l’erede del frumento medio-orientale, è in anticipo rispetto agli altri di 2 mila o 3 mila anni. È il frumento a definire la gerarchia dei tempi, cioè la gerarchia dei successi. Il frumento in meno di quattromila anni ha raggiunto l’Irlanda, la Scandinavia e gli Urali, mentre il cammino altrove rimaneva bloccato dai deserti dell’Africa e dell’Asia occidentale. Sola erede del “miracolo” mediterraneo nel neolitico, l’Europa è diventata il continente del frumento. La teoria della “superiorità per anteriorità” della civiltà europea trova conferma nella storia della scrittura, apparsa come la rivoluzione neolitica, in differenti luoghi: in Egitto e in Mesopotamia attorno a quattro mila anni avanti Cristo, in Cina due mila anni più tardi, in India 1500 anni più tardi. Ma è millecento anni 28 avanti Cristo, in Fenicia, che i tempi vennero accelerati di molto grazie all’invenzione della scrittura alfabetica, che ha dato corpo alle vocali e alle consonanti; l’acquisizione della nuova scrittura è stata rapida, la pronuncia della parola chiara e la comunicazione facile. È attorno alla città greca tra il 530 e il 400 a. C., tra Ionio e Atene, che si cela il miracolo: pare che centinaia di migliaia di persone, in possesso della scrittura alfabetica, moltiplicatore della comunicazione, in una terra bagnata dal mare, che, a sua volta, ha agevolato i movimenti e i trasporti, abbiano dato luogo al “miracolo greco”, che, innanzitutto e soprattutto, è un insieme mai uguagliato di cervelli comunicanti tra loro; in questo modo i nostri antenati sono riusciti a dare una spiegazione a tutto; in fondo, il mito è la fase del pensiero umano che precede la logica fino a che l’età moderna del mondo antico, l’Ellenismo, non affermerà il primato della ragione su fantasia e fede. C.G. Jung sostiene che il mito è “l’espressione dell’inconscio collettivo, capace di imporre all’inconscio individuale i suoi simboli più profondi e più carichi di forza emotiva”. La primogenitura del formaggio di latte ovino, nella storia alimentare dell’uomo, ha moltiplicato i miti dei formaggi a partire da quello di stampo agrario di Proserpina, la cui leggenda approdò in Sicilia prima ancora che a Roma, tanto che il luogo dell’avvenimento sarebbe Pergusa, presso Enna. Mentre Proserpina raccoglieva fiori presso un lago, il dio Plutone la incontrò, se ne invaghì e la sequestrò. La madre Cerere si mise a cercare la figlia scomparsa fino a che la ritrovò all’inferno. Nel frattempo però Proserpina si era innamorata del dio e si rifiutò di lasciarlo. La madre allora provocò una forte siccità a 29 scopo intimidatorio, facendo morire animali e disseccare messi tanto che dovette intervenire Giove a riconsegnare Proserpina alla madre. Plutone però, prima di lasciarla libera, le fece mangiare dei semi di melograno che l’avrebbero tenuta legata a lui; a questo punto Giove obbligò Proserpina a rimanere cinque mesi negli inferi sotto terra e sette con la madre, che continuò a proteggere agricoltura e allevamento. Così nacque l’agricoltura. La nascita del formaggio, secondo la mitologia, sarebbe opera del pastore Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, il quale avrebbe insegnato agli uomini l’arte di produrlo. Vi è poi la preziosa testimonianza di Omero (Odissea IX libro), che descrive con precisione e dettaglio il primo ovile al mondo di cui si abbia notizia: vi è anche il caseificio annesso, quello sito nell’antro del ciclope Polifemo, che si comporta con il latte secondo le proprie esigenze alimentari. Dell’argomento latte e sua trasformazione ne hanno trattato anche Aristotele ed Esiodo con precisi riferimenti alle Sicilia, a testimonianza della notorietà raggiunta dal formaggio di questa regione. Nella Genesi, l’agricoltura nasce come una maledizione, per la quale i frutti della terra richiederanno fatica e sacrifici per tutto il tempo della vita dell’uomo. La cultura ha considerato l’attività agricola come l’invenzione di un nuovo sistema a un certo stadio dell’emancipazione dell’uomo; la tesi economica ne fa la risposta allo stato di necessità provocata da qualche fenomeno naturale, che ha obbligato l’uomo ad abbandonare una situazione comoda e favorevole per un’altra più onerosa e precaria. La storia del formaggio in Europa assegna un ruolo fonda- 30 AGRIGENTO: VALLE DEI TEMPLI – Nella valle che si estende a sud dei colli sui quali si trova la città, sono disseminati – e visibili nel fotogramma – tutti i templi più famosi, da quello della Concordia a quello di Giove, di Giunone, al tempio di Esculapio, costituenti nell’insieme il parco archeolo gico che a fine inverno annuncia la primavera con la fioritura precoce del mandorlo (fotografia della Società Generale Riprese Aeree). 31 mentale alla Sicilia – si può parlare addirittura di primogenitura – per due motivi: - l’arrivo via mare delle pecore agli albori dell’agricoltura; - il trasferimento del formaggio a tutto il mondo allora conosciuto. L’informazione è suggestiva e può portare grossi benefici se bene impiegata. 6. Il Neolitico in Medio Oriente Il rapporto dell’uomo con gli animali può essere osservato nell’antica Mesopotamia per un lungo periodo. Nella prima rivoluzione della storia dell’uomo, la domesticazione degli animali è stato il fatto centrale, come testimoniano i ritrovamenti zooarcheologici, che hanno permesso di osservare giacimenti di resti scheletrici negli insediamenti umani. In questo modo sono stati identificati e descritti gli animali e sono stati scoperti i rapporti tra uomo, animale e pianta, che fin dalla preistoria hanno dato vita a reti e circuiti ecologici di straordinaria importanza. L’animale è entrato con forza nella mentalità religiosa e laica dell’uomo, come espressione di miti e simboli. La zooarcheologia ha chiarito l’esistenza di un ricco assortimento di animali in Mesopotamia fin dai tempi più antichi, distribuiti nelle diverse aree. La pianura alluvionale del Tigri e dell’Eufrate, ricca di fango, era popolata di cinghiali, cervi, daini, buoi selvatici, volpi, martore, uccelli e pesci. I terrazzi alluvionali ospitavano cinghiali e altre specie nel fondovalle. Nella steppa e nel semideserto, che sono ad occidente e a settentrione della 32 Mesopotamia, vivevano gazzelle, onagri, volpi, pantere, leoni e probabilmente asini selvatici. Le aree più aride e spoglie erano frequentate da leoni, iene, lepri e piccoli roditori. Sui rilievi e sugli altopiani ricoperti da boschi a nord e ad est si trovavano egagri e mufloni, onagri, lepri, cervi e caprioli. Su queste popolazioni di animali l’uomo ha cominciato l’opera di domesticamento a partire dal nono millennio avanti Cristo: capre, pecore, buoi, maiali, cani e, più tardi, asini e cavalli. Si tratta di animali predisposti per natura alla vita gregaria e alla sottomissione gerarchica. Mentre proseguiva la caccia, la comunità non trascurava l’allevamento degli animali addomesticati e in particolare quello di pecore, capre, bovini e maiali (i bovini erano impiegati come animali da lavoro e i suini per la produzione di carne, i cani per la caccia e la pastorizia). I cambiamenti nel rapporto tra uomo e animale sono riconoscibili dalla frequenza dei resti ossei trovati nei villaggi. Nell’età del Bronzo, le capre avevano corna diritte o corna elicoidali, con una variabilità che presumibilmente è da collegare con la selezione per la produzione di latte e lana. L’intervento dell’uomo, nel tentativo di adattare gli ovi-caprini alle sue esigenze, ha provocato nel secondo millennio l’apparire di forme stabili grandi e tozze, non molto diverse da quelle esistenti oggi nella stessa area. Nonostante il progresso e l’ampiezza degli orizzonti, raramente la civiltà mesopotamica ha perseguito grandiosità monumentali come quelle delle zone vicine. Tuttavia il prestigio e la centralità culturale di questo territorio hanno aperto orizzonti 33 ampi fino ai confini del mondo allora conosciuto, con una funzione creativa di primo piano. Infatti, sempre nel neolitico, la produzione primaria ha fatto aumentare la popolazione; dalle aziende agricole familiari si è passati all’aggregazione di più unità e quindi alla formazione dei villaggi. Hanno incominciato a differenziarsi anche le culture, mentre si estendevano in Siria, giungendo fino al Mediterraneo, punto di partenza per nuovi lidi. Quando agricoltura, allevamento e caccia non sono più bastati, si è sviluppato anche l’artigianato, nel quale, accanto alla selce, sono comparsi alabastro, calcite e marmo da trasformare in vasi e statuette. Accanto a questi veniva utilizzata l’ossidiana per usi pratici. I prodotti dell’artigianato, insieme alle sementi e agli animali allevati sono stati l’oggetto dei primi flussi commerciali verso le coste del Mediterraneo e le isole. Si tratta inizialmente di iniziative individuali da parte di pionieri, sostituite successivamente da imprese commerciali, da empori, e, infine, da città, che hanno esercitato il controllo sulle principali vie di penetrazione verso il Mediterraneo e l’Anatolia. Dopo millenni di esperienze commerciali con i paesi limitrofi e con quelli mediterranei, intorno al 2000 a. C. Mediterraneo orientale e Anatolia erano collegati da un complesso circuito commerciale con le foreste tropicali del subcontinente indiano: Golfo Persico e Mare Arabico costituivano un corridoio che aveva prolungato verso est le vie d’acqua di Tigri ed Eufrate. Il Mediterraneo, per la sua posizione tra Africa, Asia ed Europa, per la facilità delle comunicazioni e dei rapporti umani, 34 è senza dubbio il mare che ha assistito agli eventi più numerosi e decisivi a partire dal neolitico, l’età più creativa dell’antichità. Se provassimo ad immaginare diecimila anni fa la Mezzaluna, delimitata dai rilievi e dal corso dell’Eufrate, riscontreremmo un paesaggio, che è completamente diverso da quello attuale: estese paludi, che i fiumi allagavano in primavera nel fondovalle. Ai bordi un’ampia steppa che, sui colli, si trasformava in savana di querce e mandorli. Al di sopra i pascoli estesi, qua e là frequentati da bovini, onagri, gazzelle, pecore e capre selvaggi, controllati da lupi, leoni e iene. C’erano ancora i cacciatori isolati o in gruppi a contendere gli animali selvatici ai predatori naturali. In quei tempi l’uomo stava realizzando la più straordinaria delle rivoluzioni, quella della produzione animale: non aggredisce più il branco per annientare le pecore, come avevano fatto gli antenati, lasciandosi poi andare a consumi smodati prima di ritrovarsi nuovamente affamati; l’uomo ha compreso che è più conveniente proteggere le prede dai predatori concorrenti, sacrificando i soli animali necessari alla sussistenza, alla quale erano destinati i capi più vecchi e quelli più deboli per salvaguardare le capacità riproduttive. Pecore e capre, docili, hanno subito la nuova protezione e si sono sottomesse in un rapporto che verrà indicato con il termine allevamento. Gli stessi cacciatori non si nutrono solo di carne, ma sanno apprezzare anche i vegetali, che le colline della Mezzaluna producono in abbondanza; sono per lo più cereali che i raccoglitori hanno imparato ad abbrustolire per poi macinarli sfregando un piccolo sasso rotondo su di uno più grande dalla forma concava: un mulino in potenza. Per raccogliere i cereali, che si presentano 35 in appezzamenti ampi, resi fitti dalla naturale distribuzione dei semi, basta impugnare una mascella animale a mo’ di falcetto. Per sopravvivere occorreva conservare latte e cereali. Il problema è stato risolto subito per il latte, che è stato trasformato in formaggio e per i cereali, per i quali sono stati costruiti dei pozzi rivestiti di argilla e ben coperti all’interno delle capanne nei villaggi. Erano maturate le condizioni per fare diventare sedentario l’uomo e per indurlo a pensare all’organizzazione, che andrà a sostituire i villaggi con le città, definendone le relative gerarchie, mentre i territori circostanti venivano inseriti nel nuovo ordine. È nata così l’agricoltura mediterranea che ha tratto origine dal Medio Oriente con l’introduzione in Sicilia di cinque specie animali (pecora, capra, cane, suino, bovino) e di sette specie vegetali (frumento, orzo, pisello, cece, lenticchia, veccia e lino). Ma il fenomeno centrale della rivoluzione agricola è costituito dall’addomesticamento degli animali, che ha sconvolto il precedente sistema agro-alimentare; la nascita della società agricola ha comportato dei cambiamenti consistenti del comportamento dell’uomo, obbligandolo a sostituire gli attrezzi che servivano per procurarsi il cibo con i mezzi tecnici per produrlo, e a fermarsi sul territorio, dove ha costruito i centri abitati e ha imparato a plasmare i vasi fittili e la ceramica. Altri cambiamenti sono avvenuti in modo autonomo, come la formazione e lo sviluppo delle città, la cui influenza sull’agricoltura è sempre stata notevole; sull’agricoltura e sulla pastorizia si sono retti i primi sistemi alimentari; l’uomo ha incominciato a coltivare la terra e ad allevare il bestiame senza che, tra le due atti- 36 vità, vi fosse un nesso: gli agricoltori non coltivano la terra per alimentare gli animali che si nutrivano con il pascolo sulle terre povere e nelle foreste; l’allevamento non si è integrato con l’agricoltura, ma si è mosso per conto suo. Con l’attività pastorale gli animali hanno trasformato i foraggi che l’uomo non avrebbe potuto utilizzare direttamente. È lo stesso sistema agro-pastorale che sopravvive ancora in ampie zone della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia, dove il pastore custodisce il gregge, munge le pecore, trasforma il latte e vende il formaggio eccedente i consumi familiari. La testimonianza di quanto è avvenuto la si ritrova nella varietà dei formaggi ovicaprini a pasta dura esistenti in Sicilia e nel Mezzogiorno d’Italia e nel largo uso di ingredienti (peperoncino, pepe, zafferano ecc.). Se allargassimo il discorso, potremmo dire che il ricco, vario e prestigioso patrimonio di prodotti tipici italiani è tale perché la storia d’Europa ha assegnato, prima alla Sicilia e poi al Paese, il compito di filtrare il sistema produzione-consumo del Medio Oriente nella fase di passaggio all’Europa e perché ha dato vita fin da allora a un operoso e straordinario laboratorio alimentare, da cui sono nati gli alimenti e i cibi tipici e, più tardi, la gastronomia. Non è poco! Nelle economie agro-pastorali, la popolazione è autosufficiente; si coltivano i campi e si alleva il bestiame a fini alimentari e, analogamente, ci si comporta con gli altri manufatti utili senza che ci siano scambi. Solo quando la produzione di beni raggiunge quantità e varietà superiori al fabbisogno familiare ha origine il baratto e quindi si crea la precondizione essenziale per l’organizzazione del commercio. 37 Quando agricoltura e allevamento sono arrivati in Sicilia, l’umanità nell’Europa del sud si nutriva prelevando gli alimenti dagli ecosistemi naturali di animali selvaggi o di essenze vegetali selvatiche; tutto questo è andato avanti per 3 milioni di anni circa ed è proseguito fino a 10 mila anni fa. Il fatto più importante tra l’avvento dell’uomo e la nascita dell’agricoltura è stato la scoperta del fuoco che ha permesso di passare dagli alimenti crudi a quelli cotti, obbligando, inoltre, l’uomo a dotarsi di recipienti per la cottura attraverso l’acqua (la bollitura). Inoltre, la cottura ha permesso di assemblare ingredienti diversi creando nuovi gusti. Con la scoperta del fuoco gli alimenti si sono diversificati in tre tipi: crudi, cotti e fermentati; i primi erano quelli naturali, i secondi avevano un contenuto culturale che si completava nel terzo, che comprende anche i derivati, come i formaggi. È correndo dietro al suo nutrimento che l’uomo ha perfezionato la sua abilità e ha costruito armi ed oggetti utili dando consistenza alla cultura e alla società. Nel periodo preagricolo, inoltre, l’uomo si è emancipato sotto il profilo biologico, dotandosi di contenuti culturali e sociali; la caccia ai grossi animali lo ha socializzato, come ha fatto la cucina con i consumi. Il fuoco è diventato il centro della vita dei gruppi di uomini. Con l’età della pietra e con la bassa densità di popolazione, si era aperto un periodo di abbondanza alimentare, non dissimile da quella del paradiso terrestre (otto mila anni avanti Cristo gli uomini sulla terra erano compresi tra gli 8 e i 15 milioni; intorno all’anno zero erano già tra i 240 milioni e i 350 milioni). 38 Quando è apparsa l’agricoltura, l’uomo ha selezionato le essenze vegetali più utili e ha addomesticato gli animali più disponibili, in primis pecore e capre, senza più attingere agli ecosistemi naturali, ma ha costruito gli ecosistemi artificiali. L’agricoltura e l’allevamento, per concludere sull’argomento, hanno costituito un momento di rottura sostanziale nell’emancipazione dell’uomo. Se la raccolta e la caccia permettevano la provvista diretta, l’agricoltura implicava un approvvigionamento differito, avendo bisogno di impiegare sementi, lavoro, controllo dello spazio, presenza stabile. L’uomo ha accettato di rischiare ciò che possedeva supponendo di poterne ricavare di più; era una scommessa perché i frutti dell’agricoltura rimanevano condizionati dal clima e dagli animali selvatici. Il passaggio dell’agricoltura ha fatto cambiare mentalità all’uomo ponendogli dei nuovi problemi e contribuendo alla sua emancipazione e ad assicurargli nuovi vantaggi. 7. I mezzi di trasporto Dal Medio Oriente agricoltura ed allevamento erano destinati a diffondersi rapidamente attraverso i mezzi di trasporto allora disponibili. È universalmente riconosciuto che i primi mezzi di trasporto furono galleggianti, sospinti dalle gambe e dalle braccia dell’uomo o dalle correnti. Sulla terra, invece, il primo veicolo fu la slitta, formata allora da due pali incrociati e uniti tra loro, che è rimasta in uso fino alla scoperta della ruota, del modo di fissare l’as- 39 se del carro e di fare girare solo le ruote per ridurre lo sforzo da traino. Le prime imbarcazioni furono ricavate da tronchi scavati nel mezzo, che l’uomo ha realizzato dopo averne notato il galleggiamento ed essersi accorto dell’esistenza delle correnti marine. Prima ancora l’uomo si era servito di un tronco per tenersi a galla aggrappato ai rami e muovendo le gambe per farlo procedere fino a che ha deciso di scavarne l’interno per renderlo più confortevole. Un ulteriore progresso è stato conquistato con la zattera, ricavata legando con fibre vegetali tronchi di medie dimensioni. Fu con questi mezzi che l’uomo fin dalle origini ha privilegiato le vie d’acqua per passare, con rozze imbarcazioni, da una sponda all’altra dei fiumi o per navigare sui laghi trasportando frutti o piccoli animali e, infine, misurandosi con le correnti marine. I primi traffici marittimi furono sollecitati dalla volontà di commerciare tutto ciò che era trasportabile e scambiabile. I primi a costruire navi furono gli egiziani, che attinsero il legname in Libano, senza diventare mai grandi navigatori, ma limitandosi per lo più a spostarsi lungo il corso del Nilo. Alcune navi che due mila anni prima di Cristo si erano spostate nel Mediterraneo, sono raffigurate sulle pareti di un antico tempio tebano; avevano un solo albero a delta, vele di forma quadrata, due file di rematori che stavano in piedi e un timone. Non è escluso che questi battelli fossero in uso ai fenici pur battendo bandiera egiziana. Questi ultimi furono abili navigatori, commercianti e artigiani, tanto da essere considerati la prima potenza marittima dell’antichità. 40 41 I Greci, che privilegiavano i proprietari fondiari, consideravano i mercanti una classe inferiore. Prima di Salamina (480 a.C.), i Fenici avevano toccato tutte le sponde del Mediterraneo e avevano varcato le colonne d’Ercole fondando colonie a Malta, in Sicilia, in Sardegna, in Spagna (Cadice), in Francia (Marsiglia) e sulle coste africane. 8. Alcune conclusioni La società agricola era destinata a diffondersi rapidamente dopo avere raggiunto un livello organizzativo superiore. Le pecore e le capre, addomesticate in Medio Oriente, sono andate ben presto oltre i confini originari, diffondendosi verso ovest e raggiungendo l’intera Europa, dove erano sconosciute, arrivando a sud fino agli altipiani etiopici ad est fino all’India. Non è agevole arrivare a conoscere tempi e modi dei passaggi specie di quelli iniziali per quanto sia certo che sono avvenuti prevalentemente per mare, prima ancora che i Fenici dominassero il Mediterraneo. È bene precisare che le condizioni ambientali delle coste siciliane e di altre isole erano favorite per allevare gli ovicaprini e non lo erano meno per i cereali, essendo aride e pietrose. Pertanto non vi erano ostacoli al passaggio dell’allevamento sulle coste siciliane per via d’acqua, ancora prima che i Fenici sviluppassero la cantieristica navale. Il mare Mediterraneo, grazie alla sua posizione tra Africa, Asia ed Europa, alla facilità delle comunicazioni e dei rapporti umani 42 ha assistito allo svolgersi degli eventi storici dell’area che fu la culla della civiltà occidentale. Tra questi, i più importanti furono quelli più antichi e meno noti, quelli che hanno riguardato i primi contatti dei popoli medio-orientali con le genti centro-mediterranee, avvenuti probabilmente con zattere, che non avevano bisogno di spinte, ma solo di correnti favorevoli. È questo il periodo nel quale sono arrivati gli ovini in Sicilia e ha avuto inizio la produzione del Pecorino Siciliano, dei cereali e dei legumi. Quindi la Sicilia, anche per la sua dimensione territoriale può essere considerata il filtro del sistema produzioneconsumo medio-orientale nella fase di passaggio all’Europa. Per avere un parere scientificamente corretto sugli avvenimenti preistorici e protostorici ne abbiamo chiesto conferma al Prof. P. Betta, il quale ha curato la stesura del Capito Secondo. 43 CAPITOLO SECONDO Paolo Betta* L’origine geografica, culturale e storica della produzione dei formaggi pecorino e caprino della Sicilia 1. L’uomo e la Terra: la “rivoluzione neolitica” Può apparire un discorso ripetitivo di concetti ormai logorati dalla consuetudine degli studi condotti nel tempo e, quindi, ritenuti ormai entrati nei contenuti del bagaglio culturale di ciascuno, ma è certo che l’agire logico dell’uomo – che si configura sempre in un agire culturale – non è stato casuale ed improvviso, ma si è maturato, consolidato ed evoluto in un incerto lasso di tempo, nel corso del quale si è realizzato, e si realizza continuamente, il progresso della cultura corrispondente al momento più favorevole per l’emergere di un comportamento sociale progredito nei confronti d’un recente passato, che si riflette sempre sullo spazio vissuto. Momento esplosivo, tuttavia, nel corso del quale l’uomo giunse spontaneamente ad esprimere il concetto nuovo di essere, maturato dalla coscienza di sé, e scaturito come opposizione esperienziale del non essere. * Titolare della cattedra di Storia della geografia e delle esplorazioni nell’Università degli Studi di Parma. 45 Cioè di tutto ciò che si proponeva e si propone esterno all’io (distinguendosi da esso per natura, forma, composizione ed azione), originando, in tal modo, un principio di cultura, in quanto il soggetto (io) divenne l’attivo agente ed interprete soggettivo di una particolare capacità dello spirito, espressiva del libero arbi trio, il quale, in sintesi, può essere identificato in una manifestazione comportamentale dell’uomo da intendersi come autodeter minazione, prerogativa mai evidenziata nelle precedenti culture. Inizialmente la coscienza di sé era priva ancora di radici, poiché l’origine della cultura è sempre qualcosa di talmente distinto e diverso da ciò che costituisce il mondo di natura e le leggi che lo governano, da proporsi come evento causativo razionale irrepetibile nella storia dell’evoluzione umana, trovando la propria determinazione dialettica d’avvio del fenomeno evolutivo culturale, relativamente ad un particolare e ben definito momento d’apertura, riguardante le relazioni vitali dell’uomo sulla Terra, con la Terra stessa. Infatti l’io, autodeterminatosi, interagì, fin dalle fasi iniziali del suo complesso manifestarsi comportamentale, con le forze evolutive biologiche, così da costituire un intreccio di correlazioni multidirezionate e complesse, le quali tesero a diramarsi e ad interessare spazi non sempre ben definiti, inducendo al sorgere di società organizzate ed in fase di progresso. Furono per l’appunto questi spazi che, proprio in quanto caratterizzati da non costanti situazioni climatiche e/o pedologiche, cioè derivanti da possibilità ambientali diversificate sullo spazio e nel tempo e verificatesi nell’interagire di complesse situazioni geografiche e fisiche, indotte dalla concomitanza di cause e di fenomeni d’origine naturale, diedero luogo al costituirsi di differenti habitat 46 strutturati entro i cui orizzonti e nelle cui estensioni l’uomo ha saputo diversamente inserirsi, avendo modo di esprimere i caratteri della propria personalità individuale e collettiva o sociale via via maturata sotto l’egida dell’ambiente vissuto, quantunque ancora in fieri, con azioni e comportamenti di disturbo sul naturale evolversi delle cose e dei fatti del mondo. In questo modo l’uomo fu in grado di evidenziare le sue particolari doti dell’intelligenza e della comprensione, nascoste anche a se stesso per tutta la durata dei lunghi millenni evolutivi del Paleolitico: era ancora d’oscurantismo per la coscienza umana in formazione. Infatti, la coscienza umana permaneva comunque nel dominio della forze che interferirono sul disordine dell’origine, ossia del caos primordiale, denunciando in tutta la loro pienezza i caratteri d’una natura fanciulla ancora, in fase emergente, la quale, perciò, risultava pressoché totalmente dominata dall’azione delle sole forze creative che erano guida all’evoluzione della Terra nelle sue componenti fisiche e biologiche, impedendole di essere arbitra di sé, così da inserirla nel gioco infinito della mescolanza e della separazione e differenziazione delle cose che erano e che sono. Entro queste strutture compositive d’origine la mente umana non era tuttavia ancora riuscita a penetrare ed orientarsi, in modo da porre un ordine, seguendo una logica di pensiero, poiché mancava sia delle capacità di giudizio, sia del libero arbitrio. Poco si può affermare con certezza, mancando di una sicura documentazione al riguardo, su come nacquero e si manifestarono le prime espressioni culturali dell’agire sociale ed economico umano che consentirono il superamento della semplice ed ance- 47 strale cultura paleolitica e della successiva cultura epipaleolitica o mesolitica, anch’essa fondamentalmente impostata sulla caccia, sulla pesca e sulla semplice raccolta di frutti, erbe e radici a crescita spontanea; per quanto non mancassero manifestazioni evolutive, come l’addomesticamento del cane, ad esempio. Tutte espressioni dell’insorgere di una fase iniziale dell’attivismo paraeconomico umano, certamente manifestativo della semplicità del vivere allora imperante sugli spazi indistinti e, quindi, a struttura e organizzazione naturale, ma abitati dalla prima umanità. Spazi nei quali, tuttavia già erano presenti gli iniziali segni di perseveranti sforzi evolutivi dell’uomo, teso a superare il carattere dell’animalità ancora dominante. Di come, cioè, l’uomo lentamente maturò, in sé, spontaneamente, quelle forze e quelle capacità, latenti della sua personalità in formazione, che lo portarono ad acquisire il senso d’un conoscere mai prima di allora rivelato né immaginato. Anche perché lo spazio terrestre si prospettava essenzialmente, in quei lontanissimi tempi della preistoria, come spazio assolutamente anonimo, sebbene si rivelasse alla percezione come composito, anisotropo e discontinuo, ma esistente in sé, antecedentemente e al di fuori dell’uomo, ed obbediente ad una seriazione di forze scaturite dal mondo-ambiente. Forze, quest’ultime, che formavano un insieme ordinativo di espressioni e di grandezze fisiche e biologiche soggette ad interscambi continui1. L’uscire e il destarsi della mente dell’uomo dalle nebbie fumose del sonno della prima infanzia ed il suo aprirsi all’analisi P. B ETTA, Le basi geografiche di formazione della civiltà europea, Parma, Ed. Zara, 1986, pp. 93-98. 1 48 intellettiva e razionale di un mondo-ambiente che, quasi d’improvviso, si propose alla mente come non io o alterità, apportatrice di confronto conoscitivo per l’io soggettivo il quale conteneva in sé ed esprimeva la personalità maturata d’ogni singolo uomo, diede inizio al grandioso periodo culturale – successivamente denominato Epipaleolitico o Neolitico – nel corso del quale l’uomo, sempre più conscio di sé, si propose con la forza di sog getto agente e seppe organizzare le esperienze del passato e, sotto la loro spinta, riuscì a liberarsi, seppure gradualmente, dalle pastoie dell’ignoranza a cui si collegava l’insorgere delle paure al manifestarsi degli eventi e dei fenomeni naturali caratterizzanti il mondo-ambiente. Eventi e fenomeni di cui la mente umana non sapeva offrire spiegazioni razionali sulle cause del loro manifestarsi. Fu così che l’uomo giunse gradualmente alla formulazione di primitivi modelli spaziali, rappresentativi di alcune risposte attive e responsabili indirizzate ad un’organizzazione pensata del mondo-ambiente2. Si ebbero, allora, le prime alterazioni e trasformazioni degli spazi naturali vissuti in territori agiti dall’uomo, divenuto operatore, e via via sottratti alle forze d’azione geofisiche e biologiche, d’origine interna ed esterna alla Terra. Il vivere dell’uomo non fu più, da allora, l’espressione della supina sottomissione alle forze del mondo-ambiente (sebbene l’origine e la fenomenologia degli eventi rimanesse sostanzialmente inspiegabile alla mente umana), ma si indirizzò alla ricer- “...la reazione di un organismo ad un dato stimolo dipende assai spesso dalla storia di questo organismo…” [esperienza acquisita] (B. RUSSELL, Analisi della mente, Firenze, Giunti-Barbèra, 1967, p. 66). 2 49 ca dei possibili legami causativi (se esistenti) che potessero essere ascritti all’analisi condotta dalla nascente logica dettata dall’emergere e dal consolidarsi di un pensiero etno-antropologico e naturalista, in grado di pervenire a spiegazioni razionali dei fenomeni percepiti nei continui rapporti di vita con il mondo-ambiente, le cui diverse componenti formative si proponevano, alla percezione sensoriale, nella loro concretezza. Era la diretta conseguenza, in qualche modo giustificativa, secondo il rapporto di causa/effetto, delle risposte comportamentali dell’uomo al manifestarsi dei fenomeni naturali, percepiti in forma di eventi. Le cause di codesta evoluzione comportamentale dell’uomo, decisamente rivelatosi più sensibile alla vita, furono individuate, in un primo tempo, seppure in modo ancora fumoso, nell’insorgere, entro la coscienza umana, di un sentimento e di una ideologia di partecipazione diretta al vivere, manifestata, nel concreto, mediante un simbolismo espressivo del valore – riconosciuto fondamentale già nel Paleolitico superiore e nel successivo Epipaleolitico o Mesolitico – della “fecondità”, da cui derivava il concetto stesso di nascita e di vita. Simbolismo che venne identificato nella figura della donna, la quale venne poi divinizzata e proiettata, nel sorgente mito, come Madre universale (fig. 1), essendo riconosciuta e definita “Madre Terra”. Espressione ripresa spontaneamente anche nell’antica simbologia religiosa andinoperuviana della Pachamama 3. Fu, quindi, la cultura acquisita dall’uomo nell’esperienze della Al riguardo si rimanda a: P. BETTA, La scoperta e la conquista del Perù, Pàtron, Bologna, 1995, p. 115. 3 50 Figura 2 - Statuetta femminile simboleggiante la «fecondità». 51 quotidianità del vivere lo spazio, che portò alla formulazione concettuale e all’apprendimento soggettivo della coesistenza e coerenza di possibili legami di stretta relazione reciproca fra l’uomo e la Terra, quali membri di un tutto inscindibile, sebbene distinguibile nelle sue parti costitutive, ed assoggettato a continui mutamenti comportamentali ed evolutivi, sia d’ordine attivo che passivo, positivi e/o negativi, sempre in atto, sullo spazio e nel tempo. Il passaggio dalla cultura mesolitica o epipaleolitica alla successiva cultura neolitica rappresentò un momento cruciale per l’umanità in costante fase d’evoluzione culturale, principalmente perché identificò e distinse il recente valore e il significato conoscitivo e psicologico acquisito del rapporto uomo/Terra, rivoluzionando il proprio comportamento verso lo spazio, tanto che l’uomo mutò il suo comportamento da parassita della Terra a organizzatore del suolo 4. In tal modo lo spazio naturale venne trasformato in territorio ed inserito in una dimensione temporale nuova: quella della storia. Fu nel Neolitico, infatti, che l’uomo si affacciò alla storia, recepita come attivismo vitale; ossia come espressione vivace e progressista dell’intelletto e della coscienza umana; e intesa in forma di vita nuova, volta alla ricerca d’una motivazione razionale dell’agire sulla Terra, in modo da giungere a giustificare i diversi perché della vita, relazionando le possibili risposte alla ricerca di come la vita umana dovesse o potesse organizzarsi in riferimento al mondo-ambiente circostante, nella necessità d’impostare continue relazioni d’interdipendenza attive e vivaci. 4 E. H YAMS, Soil and Civilization, Londra, Thames & Hudson, 1952. 52 2. Il diffondersi del Neolitico nell’area mediterranea Originatosi nella regione dell’Asia anteriore comprendente la Mesopotamia5, la Siria, la Giordania e la Palestina, tutte terre nelle quali si sono ritrovati i primi sicuri indizi di facies culturali agricole, impostate sulle coltivazioni e sull’addomesticazione e sulla pratica dell’allevamento di alcuni animali (R. HEINE -GELDERN¸ 1951), il processo evolutivo culturale che portò alla rivoluzione agricola del Neolitico, iniziò, all’incirca, fra il XII e il X millennio a.C. e favorì l’accendersi di sempre nuovi rapporti d’interdipendenza fra l’uomo e l’ambiente naturale, definiti dal manifestarsi e consolidarsi quasi improvviso di particolari “concetti sociali” mai prima d’allora evidenziati nella quotidianità della vita. Secondo alcuni autori6 il nascere e l’affermarsi del fenomeno agricolo trova la sua causa nell’instaurarsi d’un particolare stadio climatico innescato dal riscaldamento graduale che interessò tutto il Pianeta e segnò la fine del Pleistocene e l’inizio del successivo Olocene 7. Il fenomeno ebbe la sua più evidente manifestazione La regione mesopotamica è percorsa dai fiumi Tigri ed Eufrate, i due grandi fiumi che assistettero al nascere, al progredire ed al consolidarsi delle prime società umane strutturate. 6 F. Rittatore-Vonwiller... [et al.], 1969; D.R. HUGHES - D.R.BROTHWILL, 1970; C.T. SMITH, 1974; S. PIGGOTT, 1971, V. GORDON-CHILDE, 1979. 7 L’origine climatica del fenomeno non trova concorde M. PINNA (1988) il quale sostiene quanto segue: “[...] Oggi possiamo dire tuttavia che questa tesi dell’inaridimento del clima come causa fondamentale dell’origine dell’attività agricola è assurda, per varie ragioni. Anzitutto quell’invenzione avvenne quando l’Era glaciale si era appena conclusa (o forse non lo era ancora del tutto), onde le terre del Vicino Oriente avevano ancora un clima più fresco e più umido di oggi, se pur meno che alla fine di massima espansione dei ghiacci. Infatti in tutta la documentazione in 5 53 nello scioglimento e nel definitivo ritiro, verso più alte latitudini, della fronte dei grandi ghiacciai settentrionali baltici, che si erano formati ed avevano ricoperto gran parte dell’Europa e dell’Asia durante la fase glaciale del Würm IV. Questo insieme di fenomeni fisico-climatici concatenati fu la causa che provocò, fra l’altro, il costante inaridimento delle regioni dell’Asia anteriore prima ricordate e l’evolversi ed il mutarsi in pre-deserto e in deserto, intercalato da aree verdeggianti, le oasi, le quali divennero, nel tempo, sempre più rade e ristrette, in analogia con il fenomeno che interessò le regioni del Nord-Africa, poste immediatamente a sud del Mediterraneo (regioni pre-sahariane e sahariane). A ciò fece seguito la totale alterazione delle componenti biologiche, faunistiche e floristiche del primitivo habitat e l’originarsi di nuove formazioni costitutive di ecosistemi endemici, ridotti rispetto alle precedenti, sia per estensione che per composizione delle specie vegetali ed animali partecipanti, dando luogo alla costituzione di ecosistemi di oasi. L’immediata conseguenza, a livello umano, fu l’insorgere ed il manifestarsi di uno squilibrio, sempre più accentuato, fra le necessità alimentari delle popolazioni, allora in fase di crescita demografica, e l’entità delle risorse, affermando il valore del rapporto Risorse/Popolazione, la cui entità tendeva sempre più a divenire <1. Ciò spinse la popolazione umana ad impostare strategie diverse e innovative, al fine di soddisfare agli immediati ed impellenti bisogni alimentari. nostro possesso riguardante le condizioni climatiche prevalenti nel periodo di passaggio tra Pleistocene e Olocene non ci sono indizi d’un inaridimento del clima del Vicino Oriente [...]”. 54 Il luogo d’origine del fenomeno agricolo, verificatosi nel Neolitico, coincise con quelle aree naturali del Vicino Oriente nelle quali è stata accertata l’esistenza di alcuni capostipiti dei principali cereali di larga coltura (frumento, orzo, segale 8) e dove la documentazione archeologica ha evidenziato anche la presenza delle forme selvatiche di ovini e di caprini, successivamente addomesticati e quindi allevati e selezionati dall’uomo in età coincidente alla coltivazione dei vegetali o in tempi immediatamente successivi. Esula dal discorso in atto indagare ulteriormente sul modo di manifestazione del fenomeno che portò alla rivoluzione neoliti ca 9; ciò che qui interessa maggiormente è, infatti, esaminare le modalità secondo le quali la cultura neolitica della coltivazione e dell’allevamento e addomesticamento degli animali, uscendo dalle regioni geografiche che ne videro l’iniziale affermarsi ed il successivo progredire, si espanse nell’area mediterranea, interessando fortemente le isole e in special modo la Sicilia, la cui posizione geografica la proponeva come “regione centrale del Mediterraneo”. L’isola, infatti, è situata a circa metà distanza fra la costa orientale del Mediterraneo (Siria, antica Fenicia, Libano) e la vasta penisola sud-occidentale iberica che chiude il mare alle correnti dell’Oceano Atlantico, lasciando solamente aperto lo stretto cana- A. DE C ANDOLLE, Origine des plantes cultivée, Paris, Librerie Germer Balliere, 1883; P. B ETTA, Ecologia, classificazione, miglioramento genetico, costituzione morfologi ca e fisiologia dell’accrescimento e sviluppo di: Triticum vulgare, Oriza sativa, Zea mais, Ordeum vulgare, Secale cereale e Avena sativa, Milano, Vita e Pensiero, 1964. 9 Riguardo al modo d’attuazione dell’agricoltura si rimanda a F. GIUSTI , La nascita dell’agricoltura, Roma, Donzelli Editore, 1996; G. F ORNI, Gli albori dell’agricoltura, Roma, Reda, 1990. 8 55 le marittimo naturale di separazione fra Europa, a nord, e Africa, a sud, (Stretto di Gibilterra). Certamente, dopo il Cane 10, i primi animali ad essere addomesticati ed allevati dall’uomo furono gli Ovini ed i Caprini, anche perché animali di indole più mansueta di altri e fortemente inclini a instaurare facili rapporti di dipendenza con l’uomo. Il fenomeno agricolo del Neolitico si espanse, quasi sospinto da forze naturali, dalle regioni d’origine dell’Asia anteriore, all’Africa ed all’Europa, seguendo alcune particolari vie e sostenuto da diverse tecniche. Le direzioni delle vie seguite e la natura delle tecniche adottate sono state dedotte dall’esame analitico delle testimonianze che l’archeologia ha saputo trarre dagli oggetti materiali sopravvissuti in gran numero nelle aree interessate da tale fenomeno, ordinandoli in base all’età presunta, calcolata con metodo scientifico (radio carboni o C14). È stato così possibile giungere ad individuare e definire, per quanto riguarda la diffusione in Europa della cultura neolitica, tre principali direttrici d’espansione. La prima di queste, certamente la maggiore, risulta aver raggiunto la regione del medio Danubio provenendo dall’Anatolia, dopo aver interessato il mare Egeo e le sue isole e risalito il corridoio naturale Morava-Vadar (circa 8.000-7.000 a.C.). È infatti da questa via che prese origine, in tempi successivi (circa 5.000 anni a.C.) la cultura danubiana (5.000-4.000 circa a.C.) che penetrò e si espanse interessando in tempi successivi l’Europa centro-settentrionale e occidentale. Altre due vie di penetrazione in Europa del Neolitico d’origine 10 Il Cane fu addomesticato già nel Paleolitico superiore. 56 medio-orientale hanno invece interessato il Mediterraneo. Una di queste induce a ritenere che la diffusione dell’agricoltura sia avvenuta prendendo origine dalla regione orientale della Siria settentrionale, e, dopo aver raggiunto l’Anatolia meridionale, abbia seguito la via di mare congiungente le grandi isole del Mediterraneo occidentale: Cipro, Creta e la Sicilia, per approdare nella regione calabro-pugliese della penisola Italiana. Quanto alla seconda via mediterranea di diffusione neolitica, questa, dopo aver raggiunto ed essersi estesa ad interessare tutta la valle del Nilo (7.000-6.000 a.C.), avrebbe seguito l’itinerario africano, percorrendo le regioni dell’Africa settentrionale in piena fase di desertificazione, ma ancora parzialmente verdeggianti, e, dopo aver attraversato lo stretto canale marino che separa la costa dell’Africa dell’attuale Marocco, dall’Europa sud-occidentale (Gibilterra), sarebbe penetrata nella regione iberica, interessandola al fenomeno, per poi superare i Pirenei con un ramo occidentale diretto alle Isole britanniche dove formò la cultura di Windmill Hill (4.000-3000 circa a.C.), mentre un secondo ramo meridionale si diresse alla regione alpina e a quella appenninica dando origine alla cultura di Almeria (5.000-4.000 circa a.C.). L’agricoltura, così giunta e diffusa in Europa, differenziava negli aspetti tecnologici e nell’espressione produttiva. Infatti, mentre il Neolitico orientale aveva una impostazione basata prevalentemente sulla pratica delle coltivazioni (cerealicoltura domi nante), con scarsa attenzione all’allevamento animale, il quale, tuttavia, era specificamente rivolto ai bovini, nella corrente neolitica meridionale (mediterranea) prevaleva la pastorizia, rivolta 57 all’allevamento di ovini e di caprini 11. Accettando i valori proposti da un recente studio (A. AMMERMANN - C.L. CAVALLI S FORZA, 1988) la diffusione dell’agricoltura nelle diverse regioni dell’Europa avvenne con una velocità media calcolata in 25 km per generazione e con una duplice modalità: quella demica e quella cultu rale 12. La pratica dell’addomesticazione e dell’allevamento, per quanto non tutti gli autori concordino, si sviluppò in epoca pressoché contemporanea a quella della coltivazione, se non addirittura la precedette (F. GIUSTI, p. 40). Comunque, alcuni ritrovamenti in siti archeologici hanno avvalorata l’ipotesi che l’addomesticamento e il successivo allevamento di alcuni animali, principalmente ovini e caprini, e la coltivazione dei principali cereali siano state attività economico-produttive certamente contemporanee o quasi, anche per il fatto che la pratica agricola, unitamente all’allevamento animale, garantivano, alle prime comunità neolitiche, una buona riserva di carne e di granaglie da utilizzare nei periodi di scarsa raccolta e di scarsa cacciagione, evitando così la carestia e la fame. Inoltre, l’allevamento consentiva l’utilizzo di sottoprodotti di grande impiego, come pelli, lana e, posteriormente, del latte e dei suoi derivati: formaggi e latticello. Secondo S. PIGGOTT (p. 44), l’allevamento ovino e caprino rappresentò il primo passo di superamento di una economia primitiva impostata sulla caccia e sulla raccolta. 12 L.C. C AVALLI SFORZA, Geni, popoli e lingue, Milano, Adelphi, 1996, p,157. 11 58 3. Il Neolitico in Sicilia Non è dato di conoscere con certezza quale sia stata la via di propagazione seguita dalla cultura neolitica medio-orientale per raggiungere la Sicilia e diffondersi nell’isola e consolidarsi. Tuttavia, in considerazione della particolare natura geografica della Sicilia, definita da un chiaro e deciso carattere d’isolamento, che, specialmente all’inizio dell’epoca neolitica, poneva l’isola ai margini estremi occidentale dell’orizzonte mediterraneo, è possibile avanzare l’ipotesi del formarsi d’una o più comunità neolitiche di provenienza dalla Siria settentrionale e dalla vicina regione della Cilicia, nell’Anatolia meridionale, situata a sud dei monti Tauri, a cui attribuire la diffusione, via mare, del Neolitico e la formazione di insediamenti non autoctoni. Ciò è testimoniato anche dai caratteri e dalla distribuzione di reperti d’antichi insediamenti di grotta o di tracce di insediamenti in villaggi di capanne, rinvenuti in prevalenza lungo la costa di sud-est della Sicilia. Questi reperti costituirebbero, infatti, i relitti dei più antichi siti archeologici indicativi della presenza di una facies cultu rale neolitica, propria dell’isola, ma ancora delineata dai caratteri che ne testimoniano l’evidente primordiale origine asiatica. Le genti neolitiche medio-orientali, indotte sia dall’insorgere interno d’una crescente necessità di soddisfare agli aumentati bisogni alimentari, che non potevano più essere adeguatamente appagati a causa del fatto che le risorse alimentari naturali offerte dalle regioni d’origine erano ormai divenute insufficienti, quindi non più atte a bilanciare le richieste della popolazione, sia a motivo della continua crescita demografica, sia, infine, in 59 conseguenza dei mutamenti climatici sopravvenuti, ai quali era dovuto l’inaridimento progressivo di vaste aree prima a fertile pascolo naturale, entrarono in una intensa fase migratoria, finalizzata al conseguimento di un adeguato bilancio di corresponsione fra i bisogni e la limitatezza dei beni atti alla sopravvivenza13 . Ciò le sospinse a muoversi, in gruppi familiari anche numerosi, alla ricerca di nuovi spazi abitabili, dai caratteri climatici più favorevoli all’espletamento della pastorizia, perché più ricchi di acque e con maggiori risorse naturali che li proponevano più adatti all’allevamento di ovini e di caprini, in quanto dotati di freschi pascoli spontanei, più numerosi, vasti e fecondi di quelli ormai residuali dei luoghi d’origine, abbandonati perché in fase di progressiva desertificazione. I gruppi di neolitici migranti avrebbero raggiunto, navigando su rozze zattere sulle quali era trasportato anche il loro bestiame ovino e caprino, le isole del Mediterraneo orientale, Cipro, Creta e le Eolie, formanti, nel loro insieme, come un ponte naturale di contatto e di comunicazione fra l’Oriente asiatico e l’Occidente mediterraneo europeo. Quindi, dopo aver raggiunto il Peloponneso, trascinati dalle correnti litoranee del Mediterraneo, che, scorrendo con movimento antiorario, lambiscono le coste settentrionali dell’Africa, della Siria e dell’Anatolia asiatica, e sospinti dalla brezze e dai venti di sud-est, con pecore e capre al seguito approdarono sulle coste ioniche della Sicilia, che si proponevano disabitate, ma ospitali e si consolidarono, maturando nel tempo espressioni culturali tipi- F.G. P ERROUX , “L’Univers économique et sociale, in Encyclopedie française, tome IX. 13 60 che del sistema di vita nomadica o semisedentaria proprie dei pastori-allevatori. Questa via migratoria, secondo alcuni autori (sebbene il fenomeno non sia ancora del tutto confermato nel suo manifestarsi), non è considerata l’unica. Infatti, alcuni nuclei neolitici, provenendo dalla valle del Nilo, dove ebbero modo di affermarsi e di consolidarsi, avrebbe percorso, via terra, la regione costiera subsahariana, nella quale, a causa del mutamento climatico in atto, si affermava sempre più il deserto, anche a seguito del costante e progressivo prosciugamento delle uadi, gli antichi fiumi che, in tempi precedenti solcavano le pianure verdeggianti, ma ora desertiche, del Sahara, e, dopo aver attraversato il non ampio braccio di mare libico prospiciente la Sicilia, sospinti anche dalle controcorrenti che si originano entro l’area del golfo della Sirte, le quali si spostano anch’esse con moto antiorario, raggiunsero le isole di Malta e di Gozo, da dove avrebbero continuata la navigazione fina ad approdare sulle coste sud-orientali della Sicilia. Qui giunti, i gruppi neolitici in migrazione colonizzarono con la loro presenza e i loro animali (pecore e capre) le aree apparentemente più favorevoli all’insediamento stabile, formando gruppi familiari di pastori-allevatori. Indagini archeologiche condotte nella regione nord-occidentale della Sicilia hanno portato alla luce relitti di siti neolitici, di età certamente più recente dei siti sud-orientali, la cui formazione, anche sulla base dei caratteri culturali distintivi da essi evidenziati, è stato possibile attribuire ad una cultura neolitica pastorale, qui certamente presente ed affermata. Si tratta certamente di siti costruiti durante una fase di colonizzazione indiretta subita 61 dalla regione di nord-ovest. Infatti, questi relitti di siti abitati, per quanto sempre di decisa antica origine orientale, si propongono con evidenti caratteri che ne attestano la loro successiva derivazione continentale europea, databile ad un’età posteriore di circa un millennio rispetto agli insediamenti dell’area orientale della Sicilia, precedentemente citati. I coloni neolitici che abitarono la regione nord-occidentale della Sicilia sarebbero giunti nell’isola sospinti dal manifestarsi di un fenomeno di riflusso migratorio, derivando dal distacco, avvenuto verso il III millennio a.C., di alcuni gruppi di popolazioni neolitiche iberiche che avevano saputo maturare, in modo spontaneo ed indipendente, la cultura di Almeria – successivamente estesasi, come accennato, anche alla regione europea delle Alpi e dell’Appennino – prevalentemente pastorale. Questa cultura si era spontaneamente originata, seguendo una propria evoluzione interna, attuatasi, circa 4000-3000 anni a.C., nell’Iberia orientale, e costituiva un ramo secondario dell’originario flusso migratorio di genti di stirpe mediterranea provenienti dal Vicino Oriente 14, pervenuto in Europa dopo aver percorso l’intera costa settentrionale dell’Africa e aver superato il ristretto istmo di mare che si frappone fra l’Atlantico ed il Mediterraneo (Stretto di Gibilterra). Giunti sul continente, dopo essersi affermati e stabilizzati lungo la sezione costiera orientale della Penisola iberica, per cause ancora oscure, forse dipendenti da una forte crescita demografica, uno o più gruppi di questi neolitici, divenuti Iberi, si distaccò dalla comunità che frattanto si era formata e, abbandonati i terri- 14 C. T. S MITH, Geografia storica d’Europa, Bari, Laterza, 1974, p. 28. 62 tori di nuovo insediamento, avrebbe intrapresa una seconda fase migratoria, sempre condotta per via di mare, ma, questa volta, con direzione a levante, cioè a ritroso, e, dopo aver navigato fortunosamente, in balia delle onde, dei venti e delle tempeste, il bacino occidentale del Mediterraneo, e aver raggiunto, in un primo tempo, la Sardegna15, che servì come ponte “[...] a quelle popolazioni che dall’Oriente si erano stabilite nella penisola iberica [...]”16, si stabilirono nell’isola, affermandosi con insediamenti a villaggio, scegliendo con preferenza le regioni interne, perché qui trovarono vallate più fresche e ricche di pascoli e riparate dai venti salsi del mare. E, mentre alcuni gruppi familiari avrebbero dato origine a formazioni autoctone di pastori-allevatori, altri gruppi, proseguendo la migrazione, sempre via mare, approdarono, infine, sulle coste nord-occidentali della Sicilia, occupandole e diffondendosi lungo le regioni costiere, fertili ed accoglienti, fino a raggiungere la piana dell’attuale Conca d’Oro. Sono questi i Sikani, di cui parla T UCIDIDE (St.,VI, 2), e li dice giunti dalla regione del fiume Sikanòs dell’Iberia, e a cui fa cenno anche ERODOTO (St.,VII, 170) (fig. 3). Tutte le genti portatrici della cultura neolitica in Sicilia sono state riconosciute in popolazioni nomadi o seminomadi, ma mai sedentarie, perché formate da pastori-allevatori, appartenenti ad una antica stirpe di etnia pre-indoeuropea, detta mediteranea 17, giunte dalla Siria, come prima regione di dispersione. Esse si dif- F. PULLÈ, Italia genti e favelle, vol. I, Torino, F.lli Bocca, 1927 A. M. RADMILLI, Guida alla preistoria italiana, Firenze, Sansoni, 1978, p. XXIII. 17 V. Gordon Childe, Preistoria della società europea, Firenze, Sansoni, 1962, p. 62; P. MESSERI, Paleontologia umana, Fir enze, Ed Scuola Universitaria, 1978, pp. 256-257. 15 16 63 fusero successivamente e s’insediarono, già in età tardo paleolitica e mesolitica, anche in Africa, stabilendosi lungo la fertile valle del Nilo e nelle ridenti e vicine oasi predesertiche. Già da lungo tempo in possesso di alcune tecniche agricole, pur non trascurando di rivolgersi alla coltivazione di cereali, essi tendevano in particolar modo all’attività della pratica pastorale, cioè alla pratica dell’addomesticazione e dell’allevamento di ovini e di caprini. Si deve, infatti, a queste genti, appartenenti all’ancestrale ceppo neolitico proveniente, in origine, dalle regioni dei monti Zagros e dell’Armenia, che erano pure le regioni d’origine degli ovini e dei caprini, se la pecora e la capra, già in piena fase evolutiva indirizzata alla costituzione delle razze ovine e caprine attuali, giunsero e si affermarono in Sicilia e nelle altre isole del Mediterraneo, acclimandosi, tanto da interessarle in modo pressoché totale; specialmente là dove erano le condizioni climatiche e pedologiche più confacenti all’attività pastorale, non più solamente indirizzata alla fornitura di carne, ma, già in quei lontani tempi (5.000 anni a.C. circa) ormai già volta, principalmente, alla produzione del latte e suoi derivati, specialmente dei formaggi, e della lana18. Questi antichi pionieri neolitici invasero e si impadronirono della Sicilia, sovrapponendosi ai precedenti abitatori, genti paleolitiche e mesolitiche residuali disperse sull’isola, ed erano identificati, secondo la tradizione, a quanto riferiscono E RODOTO e TUCIDIDE, nei mitici Lestrigoni, forse d’origine pelasgica (cioè provenienti, via mare, dalle isole e dalle terre bagnate dal mar Egeo), È noto che il vello della peccora è un’acquisizione dovuta a selezione indotta dal l’uomo. 18 64 Figura 3 - Le probabili vie di migra zione seguite dai pastori-allevatori neolitici provenienti dal Vicino Medio Oriente. 65 che s’insediarono stabilmente lungo l’ampia e fertile regione costiera del sud-est, estesa dalle falde meridionali dell’Etna al mar Ionio. La regione si presentava ricca di acque, per la presenza dei fiumi Simeto, il quale bagna le falde vulcaniche meridionali per poi scaricare le sue correnti nel mare, Alcantara e Anapo, i cui alvei solcano la regione meridionale della pianura. I pastori-allevatori neolitici erano formati da un popolo certamente barbaro e violento e dedito alla rapina, che abitava, inizialmente, le caverne dell’isola abbandonate o sottratte ai precedenti abitatori, divenendo autoctoni della Sicilia. Essi furono noti ai popoli delle isole e delle terre bagnate dal Mediterraneo orientale, con i quali vennero certamente a contatto durante gli scambi economici e culturali avvenuti nel corso dei millenni iniziali della storia dell’area mediterranea orientale, sotto l’etimo di Sikani, popolo che la tradizione riteneva autoctono dell’isola. I Sikani si distinguevano principalmente per l’isolamento geografico della loro terra sul quale fondavano i caratteri della loro economia, prevalentemente pastorale, perché mancante di segni di formazione e di coltivazione dei campi, nonostante la fertilità della terra abitata. Nulla si conosce con certezza del popolo dei Sikani; solo vaghe notizie sono giunte al riguardo, quindi rimane un’etnia ancora avvolta nel mistero delle loro origini e pertanto entrano a far parte della geografia mitica (come intesa da L. DARDEL 1998), il cui discorso si rifà agli iniziali tempi “eroici” della formazione storica e culturale delle società umane. Ecco, allora, che dei Sikani s’impadronisce la letteratura, con OMERO, lasciandoli però nel mito della loro origine. Solo così, infatti, il poeta 66 poté evidenziare razionalmente, seppure in modo ancora certamente controverso, i rapporti iterativi di fondo e di stretta connessione fra l’immaginario geografico, che non era certamente proposto come semplice fantasia di menti impreparate al conoscere, ma esprimeva la possibilità, offerta all’intelletto, di pervenire all’idea del reale nella totalità delle possibili apparenze che ne distinguono i caratteri, derivanti dall’intuizione soggettiva delle cose e dei fatti concreti. Questi, tuttavia, trovano una loro giustificazione non nella razionalità d’una logica esplicativa, bensì nel narrato mitologico. Infatti, è proprio nel narrato mitologico che i fatti inerenti l’uomo ed il suo mondo trovano sempre una giustificazione apprezzabile. Ulisse ed i suoi sventurati compagni, come narra Omero, giungono in Sicilia dove incontrano i mitici Ciclopi: Di là navigammo avanti, sconvolti nel cuore e dei Ciclopi alla terra, ingiusti e violenti, venimmo, i quali fidando nei numi immortali, non piantano piante di loro mano, non arano, ma inseminati e inarati là tutto nasce, grano, orzo, viti, che portano il vino nei grappoli, e a loro li gonfia la pioggia di Zeus [Odissea, IX, 105 – 111] Il racconto omerico dell’incontro di Ulisse con i mitici Ciclopi, al di là di una lettura superficiale, conferma il fatto che la Sicilia, antecedentemente alla colonizzazione fenicia e greca, era abitata da una popolazione di pastori allevatori di pecore e di capre, i quali già erano in possesso delle tecniche di utilizzazione del latte nella preparazione di “caci” o “formaggi pecorini”. 67 Entrati nell’antro, osservammo ogni cosa; dal peso dei caci i graticci piegavano ... ... tutti i boccali traboccavano di siero, e i secchi e i vasi nei quali mungeva ... ...Seduto, quindi, mungeva le pecore e le capre belanti, ognuna per ordine, e cacciò sotto a tutte i lattonzoli. E subito cagliò una metà del candido latte e , rappreso, lo mise nei canestri intrecciati metà nei boccali lo tenne, per averne da prendere e bere, che gli facesse da cena... [Odissea, IX, 212-213; 228-229; 245-249] I barbari ed inospitali Ciclopi 19, “...mortali, forniti di parola...” 20 , come li dice ESIODO, se emendati dal mito, possono essere rap- presentativi degli antichi Sikani abitatori della Sicilia neolitica, ancora oscurata nel buio conoscitivo della protostoria, quando la favola facilmente nascondeva la realtà delle cose, o parte di essa, lasciando vagare la mente dell’uomo negli infiniti spazi della fantasia creativa; quegli spazi di un non mondo che appartengono al dominio dell’immaginato, cioè alla sfera del virtuale21. La mancanza di una approfondita ricerca archeologica, estesa all’intero territorio siculo, rende arduo affrontare il discorso riguardante l’evoluzione culturale e sociale della popolazione della Sicilia preistorica, e, pertanto, non consente neppure di sfumare le ombre che ne avvolgono e ne oscurano gli avvenimenti. 19 20 21 A. FERRARI , Dizionario di mitologia latina, Torino, UTET, 1999. ESIODO, Catalogo, fr. 34. P. BETTA, Il paesaggio fra reale ed immaginativo, Parma, Maccari, 1997. 68 Non rimane, quindi, che riferirsi al mito, nelle cui incerte ombre è possibile inserire la presenza dei Ciclopi, di Polifemo e dei suoi compagni, come lui pastori di pecore e di capre, e riconoscere in essi i primissimi, lontani abitatori neolitici della Sicilia. Il mito, infatti, è tendenzialmente considerato una storia vera, dato che cerca di svelare, mediante un discorso originale, fondato nel dominio del fantastico, come si sia formulato, nella mente umana, un possibile concetto giustificativo del reale delle cose che appartengono al mondo. Pertanto, il mito è creazione di un modello giustificativo del l’attività dell’uomo, legato al sentimento di appartenenza ad una etnia partecipe di un territorio vissuto, e si propone come dimen sione nascosta esperienziale d’unione psichica dell’uomo con il mondo del suo vissuto, che la memoria ha saputo tramandare, pur deformando il vero della realtà delle cose che sono state e che sono nella loro consistenza antropologica, seguendo un’interpretazione decisamente funzionalistica, legata, cioè, al ricordo, seppur vago, di accadimenti ormai superati, ma ancora vivi nella coscienza. Ossia, il mito è il ricordo collettivo appartenente al vissuto di un popolo, della presa di coscienza di una umanità in fieri, avvenuta in un ambiente nuovo, del quale tutto è sconosciuto all’io collettivo. E l’io si trova, quindi, a dover ricostruire la passata esperienza del vivere, ossia, l’apparente concretezza, valida anche nell’oggi, di un passato, quale motivo causativo di mutamento e di progresso culturale. Non dovrebbe recare scandalo, allora, al lettore, l’identificazione raffigurativa dei mitici Ciclopi, barbari e crudeli, allevatori di pecore e di capre, p erciò in possesso della cultura neoliti- 69 ca, con i colonizzatori mediterranei, giunti dal mare, che si trovarono d’improvviso soli in una terra sconosciuta, dove persino la realtà dei luoghi era celata nel rimbombo dei moti vulcanici che salivano dall’imo della montagna, elevata al cielo, dalla cui cima uscivano getti di fiamme, sassi infuocati e fumo ardente. Pastori-allevatori furono, quindi, i neolitici giunti in Sicilia, già in possesso delle tecniche per la lavorazione del latte e la produzione di “caci”. I coloni neolitici, in millenni di vita pressoché isolata, divennero gli abitatori autoctoni della Sicilia e seppero conseguire un certo grado culturale che consentì loro di organizzarsi in comuni tà complesse, economicamente indirizzate all’allevamento ovino e caprino, e, nel contempo, adattarsi ad alcune pratiche di coltivazione, insediandosi in villaggi fortificati. Gli abitatori della Sicilia, come ricorda anche DIODORO SICULO, furono conosciuti nell’area mediterranea con la denominazione di “Sikani”, onde il nome di Sikanìa con il quale OMERO (Odissea, XXIV, 307) e lo storico ERODOTO (Storie, VII, 170) indicano l’isola. I Sikani, quindi, rappresentarono a lungo un popolo di pastori di greggi e di allevatori di ovini e di caprini, isolati, nel loro ristretto contesto ambientale, dalle vicende che motivarono il nascere e il progredire dei vicini popoli mediterranei: Minoici, Micenei, Fenici e Greci, i quali, in successivi millenni, si susseguirono l’un l’altro nel dominio economico e politico del Mediterraneo (talas socrazia), coinvolgendo nel loro contesto politico, sociale ed economico anche la Sicilia, la cui posizione geografica la poneva al centro degli interessi del commercio mediterraneo, favorendone la successiva uscita dal suo iniziale isolamento. Infatti, verso la 70 Figura 4 - Gli insediamenti e la composizione etnica della Sicilia proto storica. 71 metà del II millennio a.C. (1600?), come testimonia ERODOTO (Sto rie, VII, 170), la Sicilia certamente aveva già aperto relazioni con Creta22 e con la cultura minoica, portatrice delle tecnologie di lavorazione del rame. Infatti, dice ERODOTO che Minosse23 , il potente re cretese, figlio di Zeus, giunse nell’isola alla ricerca di Dedalo, e qui vi trovò la morte nella città di Càmico per mano del re dei Sikani Kokalo, che lo aveva ospitato. Attorno al 1200 a.C. la Sicilia subì l’invasione di un popolo proveniente dalla penisola italica, i Siculi. Un popolo dotato di tecnologie più avanzate dei Sikani, che contemplavano l’uso del rame e l’impiego del cavallo. I Siculi, guidati, secondo la tradizione storica, da Siculo, figlio del re italico Italo, migrarono nella Sicilia orientale (mutando il nome dell’isola in quello di Sikelìa) sostituendosi agli antichi Sikani che avevano abbandonate quelle terre, a causa delle violente eruzioni dell’Etna, e, sospinti con le armi dai Siculi, erano andati ad occupare le regioni centrali dell’isola, aride e quasi spopolate, fermandosi ai confini delle terre abitate dagli Elimi. Questi ultimi costituivano un popolo formatosi, secondo la leggenda, da un gruppo di Troiani che, sotto la guida di Elimo, figlio naturale del re di Troia Anchise, fuggendo per mare dalla loro città distrutta dagli Achei, raggiunse la Sicilia occi- 22 C’è un’isola, Creta, in mezzo al livido mare, bella e ricca, cinta dall’onde, e là uomini innumerevoli, senza fine, e novanta città … [OMERO, Odissea, XIX, 172-174.] Minosse, che era il più regale di tutti i sovrani mortali e regnava su moltissimi uomini dei paesi vicini, avendo lo scettro di Zeus … [ESIODO , Catalogo delle donne, 68] 23 72 dentale e si sostituì alle popolazioni indigene. A seguito di questi fatti l’isola, alla fine del secondo millennio, risultò suddivisa fra tre etnie: i Siculi che abitavano la regione orientale, più fertile e ricca; i Sikani, stabilitisi al centro; gli Elimi insediati nella regione occidentale della Sicilia (fig. 4). È all’influenza reciproca di queste tre etnie conviventi sull’isola, che può attribuirsi il superamento del primo neolitico siculo e la fondazione di città fortificate. 4. Micenei, Fenici e Greci in Sicilia L’isola Sikanìe, per la sua posizione geografica sulla via marittima di passaggio fra il bacino orientale e quello occidentale del Mediterraneo, proprio in posizione mediana tra la penisola italica e l’Africa settentrionale, ha quindi conosciuto genti provenienti da tutte le terre bagnate dall’antico mare Mediterraneo, evidenziando così l’importanza della sua posizione geografica di centralità mediterranea e di attrazione. Infatti, viaggiatori, mercanti cretesi, micenei, fenici, punici e greci e popoli migranti, alla ricerca di nuove terre da colonizzare, hanno contribuito all’evoluzione culturale e sociale dell’isola, preparandola alla storia, con la sua umanità divenuta sempre più ricca e vivace. Che la Sicilia abbia subito, in età protostorica, una certa influenza minoica e soprattutto micenea è dimostrato, principalmente, dal centro di Pantaleo, sul fiume Anapo. In questa località, le rovine di un grande edificio, le cui forme architettoniche richiamano quelle dei palazzi dell’antica Micene, testimoniano il concretizzarsi di rapporti stabili fra la Sicilia e l’oriente egeo 73 dominato dalla presenza delle forze achee. Di quel popolo guerriero, di stirpe indoeuropea, proveniente dal nord dei Balcani, che seppe distruggere la potenza troiana e cretese, per imporre la propria lingua, la proprio raffinata cultura e il proprio spirito critico. Gli Achei, infatti, ebbero la forza e la capacità di sostituirsi a Creta, dopo averla distrutta (1400 circa a.C.), nel dominio del Mediterraneo orientale e centrale, spingendosi, con i loro commerci, sulle coste della Fenicia, dell’Egitto e raggiungendo, verso occidente, la Sicilia, all’epoca considerata ancora l’estremo lembo occidentale del mondo conosciuto. Tuttavia, la presenza micenea in Sicilia non portò a grandi turbamenti negli equilibri dei rapporti fra i pastori-allevatori autoctoni, in fase di superamento della loro primitiva cultura, e l’ambiente; specialmente nei riguardi dell’economia dell’isola, se non, forse, per aver dato un maggiore impulso iniziale alla pratica delle coltivazioni cerealicole, nonostante la pastorizia abbia sempre conservata la preminenza sui territori occupati. La civiltà micenea, quindi, alla pari della civiltà minoica che la precedette, non si rivelò di particolare influenza sul progresso della Sicilia, se non fosse per il fatto di averla inserita in un contesto geografico in fase espansionistica economica, politica, culturale e conoscitiva, sostenuta da quell’insieme di vicende storiche che potarono, in tempi successivi, prima al declino mercantile e politico fenicio, precedente a quello ellenico, sul Mediterraneo, soprattutto sul bacino orientale e sulle terre gravitanti attorno a questo antico mare. I Fenici, conosciuti nell’area mediterranea, prima dell’avvento dei Greci, con la denominazione da loro stessi attribuitasi, come popolo unitario, di Cannanei (S. MOSCATI, 1999), poi di Sidoni o 74 Tiri, entrarono in contatto con i Sikani nel corso dell’espansionismo commerciale mediterraneo che ne contraddistinse, fin dal loro apparire sulla scena del mondo, il loro sistema di vita, in certo modo ad essi imposto dalla natura geografica della loro terra, prevalentemente montuosa e boscosa, di navigatori e di mercanti esploratori di regioni ancora ignote agli uomini, perché ancora poste al di là dell’orizzonte conosciuto e si erano creata la fama di... ... navigatori famosi, furfanti, cianfrusaglie infinite nella nave nera portando [O MERO, Odissea, XIV, 415-416] ...giungendo in ogni paese e creandosi ovunque fama ed acquistando potenza, tanto da suggerire alle genti il senso della loro forza: Tiro tu dicevi: io sono una nave di perfetta bellezza. In mezzo al mare è il tuo dominio ... [EZECHIELE, 27, 3-5] Fra le terre raggiunte era la Sicilia che subì la colonizzazione fenicia, dapprima solamente mercantile con la fondazione di fondachi o empori commerciali, ma, successivamente, anche agricola ed industriale, sia per le necessità sempre sentite dai Fenici di utilizzare i prodotti agricoli dell’isola, tanto scarsi e ricercati nella loro terra d’origine, sia per riempire le cambuse delle loro navi e prepararle ai lunghi viaggi per mari anche parzialmente ignoti, alla ricerca di nuovi mercati. Specialmente nei momenti iniziali che segnarono i primi approcci con la Sicilia, gli insediamenti fenici si proposero come 75 luoghi costieri e isolati e generalmente situati su promontori prospicienti il mare e ricchi di acque sorgive, per poi trasferirsi in modo pacifico, all’arrivo dei Greci, nell’estrema regione nordoccidentale dell’isola. Gli insediamenti fenici in Sicilia, richiamavano, nella loro strutturazione, quelli della terra d’origine, la Fenicia, come evidenzia specialmente l’insediamento di Mozia (fig. 1), all’epoca situato su una piccola penisola protesa nel mare ed oggi separata dalla costa da un brevissimo e basso fondale. I contatti fra Fenici e Sicilioti furono essenzialmente di natura commerciale, come ricorda TUCIDIDE (Storie, VI, 2) e come è anche comprovato da alcuni reperti archeologici di diverse epoche, ma di provenienza insulare, benché nulla sia riferito dalle fonti storiche scritte per quel che riguarda la natura e i tipi di prodotti agricoli siculi oggetto di scambio. Tuttavia, è possibile affermare la sicura esistenza di un intenso traffico di prodotti caseari, tipici della Sicilia, come il formaggio pecorino, che rappresentava la base della produzione caratteristica dovuta all’allevamento ovino e caprino, fortemente esteso nella Sikanie. L’attività casearia, infatti, costituiva una delle produzioni peculiari utilizzate per il rifornimento delle navi fenicie dirette verso le più lontane colonie, come quelle fondate sulle coste atlantiche dell’Iberia, oltre i Pilastri di Melkar (Stretto di Gibilterra), dove erano numerosi empori, fra i quali primeggiava Cadice, nella regione sud-orientale della penisola iberica. Lo scambio commerciale di caci o formaggi pecorini siculi, doveva essere piuttosto ingente se ARCHESTRATO DI GELA (330 a.C.), nel suo poema didascalico Hedypàtheia, nel quale narra di un viaggio gastronomico, cantò un elogio dei caci siciliani, definen- 76 Figura 5 - Un gregge di pecore al pa scolo libero. 77 doli famosi e rinomati formaggi, tipici della regione sud-orientale della Sicilia, bagnata dal mar Ionio, e, soprattutto, più famosi dei formaggi di Creta, l’isola dove, ai tempi delle origini, la capra Amaltea allattò Zeus neonato e dove il centauro Chirone fece cagliare il latte per alimentare il futuro re dell’Olimpo. Fra il nono e l’ottavo secolo a.C. le popolazioni indigene della Sicilia (Siculi, Sikani, Elimi) furono sopraffatte da due distinte ondate di immigrati provenienti dalla Ionia. Erano coloni Greci che, agli inizi della fase espansionistica coloniale degli antichi Elleni, avvenuta durante il periodo definito medioevo ellenico, affrontarono gli sconosciuti mari dell’ovest e del nord dell’Egeo, narrati solo dal mito, per fondare delle colonie. I Greci, giunti in vista delle coste ioniche della Sicilia, approdarono sulle regioni sud-orientali dell’isola, ed entrarono in contatto con i nativi, ancora strettamente legati alla loro cultura pastorale d’origine che abitavano, per lo più, in piccoli villaggi con popolazione non superiore a un migliaio di persone. Lo scontro culturale che contrappose i nuovi venuti con gli autoctoni fu certamente violento, dato anche il dislivello tecnologico che li distingueva e li separava e certamente non si risolse in una coabitazione pacifica; anzi, le etnie siciliote furono sottomesse con la forza dagli invasori e ridotte allo stato servile e costrette a coltivare le terre ormai occupate dai nuovi venuti. Solamente una piccola frazione di autoctoni, ritiratisi nell’interno della Sicilia e nelle regioni più aspre dell’isola, conservò la propria antica cultura di pastori-allevatori, rimanendo sostanzialmente passivi di fronte alla realtà storica del momento vissuto. I primi coloni greci giunti in Sicilia avevano superato, già da 78 lungo tempo, la fase economica della semplice pastorizia, anche da essi vissuta nei lontani tempi protostorici, ed erano divenuti esperti agricoltori. Essi occuparono, innanzitutto, le terre rivierasche più fertili e le pianure interne irrigue dell’isola, e vi fondarono delle città, ad imitazione delle poleis della madrepatria. Queste poleis gravitavano generalmente sulle grandi vie marittime già percorse dai commerci minoici e, principalmente, fenici e ne ereditarono le funzioni commerciali, scambiando i prodotti dell’agricoltura siciliana e dell’industria casearia locale – basata quasi esclusivamente sulla lavorazione del latte di pecore e di capre, che acquistò grande fama nell’area del mare Egeo, superando la notorietà conseguita degli stessi formaggi pecorini greci – con prodotti diversi, provenienti sia dalla Grecia e dalle isole, che dai mercati orientali e mediterranei dei Fenici, come la porpora di Tiro e l’argento, l’oro e le sete di Sidone, che da quelli di provenienza dall’Africa settentrionale dell’area punica o cartaginese, costituiti da avorio e lane e tappeti dell’Iberia e ambra da Cadice, sia, infine, del ferro che le navi dei mercanti etruschi trasportavano direttamente dalle miniere dell’isola d’Elba. In seguito a questi fatti, la Sicilia, sotto la dominazione colonialista degli Elleni, venne inserita nel discorso storico, culturale ed economico che investì l’intera area mediterranea, senza però perdere totalmente i propri caratteri etnici e culturali, e la tradizione del proprio artigianato agricolo, il quale, sebbene ancora tradizionalmente basato sulla pratica pastorale, volto alla produzione di carne e lana, ma soprattutto di formaggi pecorini e caprini, aveva saputo emergere e proporsi all’attenzione e conquistare i mercati dell’intera area mediterranea. 79 ... e Roma Poi venne Roma, il cui discorso occupazionale delle terre di Sicilia s’aprì riproponendo le metodologie delle precedenti occupazioni coloniali fenicia e greca. I nuovi “padroni” si divisero le terre sicule e le introdussero nel discorso economico europeo e mondiale di Roma, la quale necessitava, soprattutto, di grandi quantità di grano e di altri prodotti agricoli, principalmente di carni fresche di agnello e di capretto, assai richieste, oltre che di ulteriori prodotti primari dell’attività dell’allevamento ovino e caprino, provenienti in particolare dalla piana alluvionale e vulcanica di Catana (Catania), la più fertile area agricola di tutta la Sicilia, dove, in un’ampia e fresca valle, ricoperta di grasse erbe e di fiori 24, sorgeva il centro agricolo e culturale di Hybla. Fra i prodotti di esportazione siculi erano soprattutto quelli caseari: i caci siciliani, la cui domanda sul mercato di Roma era grandissima; infatti, i formaggi pecorini provenienti dalla Sicilia erano preferiti persino a quelli ricavati dal latte di produzione dell’allevamento locale. Per tanto l’allevamento di pecore e di capre e la produzione di caci o formaggi pecorini, connessa alla tradizione atavica della pratica casearia, ereditata dai pastori neolitici dell’antica isola Sikanie (pratica casearia che rappresentava uno dei principali aspetti della pastorizia seminomade), principalmente della regione costiera di sud-est, dove emergeva per antichità, il centro di 24 “Hyblaeis apibus florem depasta salicti, … [VIRGILIO, Egloga I, 55] 80 Siracusa, colonia di fondazione corinzia risalente al 734 a.C., eretta sui resti di siti del primo Neolitico, rimase consolidata negli usi zootecnici familiari delle genti indigene dell’isola, quasi fosse il segno di una tradizione culturale antica quanto antica era la stessa isola Sikanie. Ciò impedì che la produzione artigianale del formaggio pecorino siciliano, sia pure limitata a livello di famiglia pastorale, anche, sotto il dominio coloniale di Roma, aveva saputo conquistare il pur ridotto mercato caseario urbano dell’epoca, “...dove trovò sviluppo e storia...” 25. Così il formaggio pecorino prodotto in Sicilia seppe conservare integre nei secoli, fino ai giorni nostri, i propri caratteri organolettici, quasi a simboleggiare, in essi, il significato economico e il valore alimentare che il cacio siciliano, quale risultato tecnicoproduttivo d’una tipica espressione autoctona delle capacità di lavorazione casearia e artigianale del latte ovino e caprino d’allevamento insulare, acquisita in millenni di vita pastorale dalle genti di Sicilia, poté superare, nei vasti silenzi e nell’isolamento di aprichi pascoli verdeggianti, i successivi e numerosi inghippi della storia vissuta dall’isola, indotti da invasioni subite di popoli diversi, da guerre che sconvolsero l’isola e dalle diatribe umane. Bibliografia ACQUARO, Cartagine. I Fenici alla scoperta del Mediterraneo, Roma, Newton Compton, 2.a ed., 1988. Atlante di archeologia, Torino, UTET, 1996. 25 S. 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STRABONE, Geografia. L’Italia, libri V-VI, Milano, Rizzoli, 1988. TREVISAN L., TONGIORGI E., La Terra, Torino, UTET, 1958. 83 CAPITOLO TERZO Fausto Cantarelli* Azioni e prospettive 1. Dalla Sicilia alla Gallia I formaggi hanno rivestito nell’alimentazione dei tempi passati un ruolo decisivo, che si è espresso nella rap ida diffusione del sistema pastorale e nella sua tenuta fino ai giorni nostri. La storia del Pecorino Siciliano è la storia della prima industria agraria europ ea; anche gli Etruschi e i Romani, popoli di pastori, hanno ap prezzato subito questo formaggio riproponendolo nella penisola e consumandolo in abbondanza. Anche nei nuovi territori la trasformazione del latte è avvenuta con criteri analoghi a quelli della Sicilia di allora, che non sono dissimili da quelli di oggi: il latte munto alla sera veniva trasformato la mattina successiva facendolo cagliare con l’aggiunta del latice di fico o di fiori di cardo, di cartamo tintorio, di aceto o di caglio estratto dallo stomaco degli agnelli. * Titolare della cattedra di Economia agro-alimentare e docente di marketing alimentare nell’Università degli Studi di Parma. 85 Presso i Romani si cominciarono a distinguere i formaggi a lunga conservazione, da quelli da consumare freschi e da altri ancora che erano pressati (caseus manus pressus). I formaggi più pregiati erano: il Velabrano, un formaggio affumicato, molto quotato all’epoca di Marziale; il formaggio Vestino, prodotto nell’Italia Centrale; il formaggio Trebulano della Sabina. Viene poi citato quello famoso fatto a piramide di Sarsina, località ricca di latte, allora umbra ed oggi in Romagna. Vi erano poi le enormi forme di caseus lunensis che arrivavano a pesare più di kg 300 e molti altri, inclusi alcuni importati da diverse parti dell’impero. Si può ben dire che gran parte della produzione casearia europea affondi le radici in Sicilia, la prima provincia di Roma, dove i Romani erano arrivati poco prima delle guerre puniche (241 a.C.). Dalla Sicilia l’arte casearia si è diffusa ovunque arrivassero le legioni grazie a una cultura superiore a quella dei vinti. I Romani hanno migliorato con il tempo le tecniche casearie, traendo profitto dalle conquiste di nuovi territori, da cui hanno appreso usi e costumi; Cesare osserva che i Germani si nutrivano di latte, formaggio e carne; anche Tacito cita il formaggio come loro alimento usuale. Anche i Greci erano gran mangiatori di formaggi perché, non disponendo di molti alimenti, si rifacevano sul latte di pecora e di capra; anzi questi ultimi sono rimasti anche nei secoli successivi le principali risorse della dieta di quel paese. Fin qui la storia antica della prima industria alimentare realizzata dall’uomo; ma c’è di più: con un suo editto Carlo 86 Magno, che era un formidabile consumatore di formaggi, nel 812, ne ha regolamentato il mercato in Europa. Ancora alla fine del primo millennio il latte era considerato un prodotto secondario dell’agricoltura destinato alla sussistenza, non diversamente da quanto avviene ancora oggi in molti luoghi della Sicilia e del Mezzogiorno, dove è diffuso il mercato diretto per la parte eccedentaria i consumi familiari. Nel Medio Evo si differenziarono le zone tipiche dei formaggi a seconda che provenissero da latte bovino (al nord) e ovi-caprino (al sud). Infine nell’età moderna, dopo l’unificazione d’Italia, l’industria del nord ha incominciato ad appropriarsi dell’arte casearia, dando l’avvio alla costruzione delle grandi imprese lombarde. Ha iniziato Pietro Locatelli (1860) a Ballabio Inferiore, seguito da Pietro Polenghi a Codogno (1870) ecc. Tralasciando le complesse vicende della formazione dei diversi assetti industriali per regione e l’evoluzione delle tecniche, i formaggi si sono moltiplicati tanto che, già nel 1885 ne esistevano una cinquantina con produzioni limitate ai luoghi d’origine come il grana lodigiano, il gorgonzola, il quartirolo, la crescenza, l’uso monte, il bitto, in Lombardia; la fontina, il bra, il castelmagno, in piemonte; l’asiago, il montasio, il verrena, il tolminotto, in Veneto; il parmigiano-reggiano in Emilia; il pecorino grossetano e il pecorino romano in Italia Centrale; il caciocavallo, la mozzarella e il provolone in Italia Meridionale; i pecorini e i canestrati in Sicilia; il fiore sardo, il bacellone e la fresa in Sardegna. Le produzioni erano sempre correlate alle necessità locali. 87 Nel 1880, Antonio Zazzera, staccatosi da Polenghi, ha iniziato a imitare nel nord i formaggi meridionali, incominciando con il provolone dolce; visto il successo dell’iniziativa, si è fatto lo stesso anche con quelli svizzeri (Andrea Ponti nel 1822). Analogamente per il Pecorino Romano, l’aumento di domanda degli emigrati ha suggerito alla Latteria Soresinese di imitare quella produzione e alla Sardegna di sostituire il tradizionale Fiore Sardo con il Pecorino Romano, mentre il Pecorino Siciliano rimaneva semp re ancorato all’isola e al consumo interno. In questo modo sono saltati molti degli equilibri storici, nei quali ogni area consumava il proprio formaggio e ha incominciato a farsi avanti il mercato che diventerà sempre più ampio e più dinamico, specie dopo essersi ampliato dopo l’ultimo conflitto mondiale. Arrivati ai tempi nostri, dobbiamo constatare che i formaggi delle aree umide del centro e del nord Europa premono sui confini nazionali facendo una concorrenza spietata agli ottimi formaggi tipici italiani, penalizzati dalla mancata organizzazione degli allevatori-produttori. Nei mercati dinamici, nei quali l’offerta è costantemente superiore alla domanda e le vendite richiedono organizzazione e sostegno, non esistono formaggi tanto buoni che si vendano da soli e nei quali viene penalizzato nel prezzo chi si presenta al mercato senza essere opportunamente sostenuto. È per questo motivo che i prezzi più alti nei supermercati italiani vengono riconosciuti ai formaggi francesi, e non a quelli italiani. Dei dieci formaggi a maggiore prezzo sette sono francesi e tra questi sei si trovano ai primi posti. 88 Lire/hg 1 - Roquefort - Francia ................................................................................ 5.050 2 - Aperifrais - porzioni di formaggio con aromi per aperitivi prodotto in Francia ........................ 4.330 3 - Formaggio con noci - Francia ....................................................... 3.560 4 - Caprino - Francia ..................................................................................... 2.870 5 - Cantadou - formaggio francese con erbe aromatiche ............................................................................... 2.730 6 - Rondele - formaggio francese aromatizzato ....................... 2.680 7 - Parmigiano-Reggiano - Italia ........................................................... 2.660 8 - Caprice des Dieux - Francia ........................................................... 2.500 9 - Mozzarella di Bufala Campana - Italia..................................... 2.490 10 - Fontina Valdostana - Italia ................................................................ 2.430 2. Il contesto Quale sarà il futuro rapporto dell’uomo con i formaggi tipici? In una società immersa nella cultura del superfluo, analisi e previsioni diventano complesse e gli esiti incerti. Non possiamo chiudere gli occhi tuttavia davanti al grande capitale internazionale che continua a sfornare prodotti “innovati” e “appiattiti” e a rivolgersi alla globalizzazione con strategie puntuali e mirate, apparse con il self-service, poi continuate con la grande distribuzione, le norme igienico-sanitarie, le certificazioni, il franchising e, buoni ultimi, gli organismi geneticamente modificati (Ogm); né possiamo ignorare la preminenza del capitale familiare, nelle aree mediterranee dell’Ue, con produzioni polverizzate, bassi volumi d’offerta e domanda locale, in armonia con cultura, tradizione e 89 qualità. Nel primo caso, gli alimenti standardizzati a prezzi ridotti e ad alto contenuto di servizi aggiunti e incorporati percorrono con disinvoltura itinerari senza confini, mentre, nel secondo, non riescono a trovare risposte favorevoli per costi e prezzi alti (la qualità però è migliore) per carenze organizzative e per dimensione locale. Il modello produzione-consumo alimentare italiano, che rientra per gran parte in questo secondo contesto, oggi è accreditato di un’immagine suggestiva, che viene apprezzata dagli slogan dei concorrenti (“dieta mediterranea” o “stile italiano a tavola”), ma non dai ricavi delle aziende; eppure sono questi prodotti di alta qualità delle piccole e piccolissime imprese ad avere tenuto alto il pregio e l’immagine degli alimenti della grande industria, dando corpo a uno standard nazionale superiore. Risulta evidente da questa sommaria analisi che, nonostante il pregio indiscusso, le prospettive per l’economia agro-alimentare italiana non sono delle migliori; pur tuttavia il sistema fino ad ora ha retto bene, nonostante che molti economisti l’avessero dato per spacciato da anni, da quando cioè si è affacciato all’orizzonte il mercato globale (a dire il vero, in ambito alimentare il mercato globale riguarda più le commodities degli alimenti); l’opposizione ha avuto esito fortunato perché le abitudini alimentari, da noi più radicate che altrove, hanno tenuto bene, contrastando l’ingresso in Italia di alimenti estranei al nostro costume. È bene ricordare però che le abitudini alimentari offrono resistenze nei tempi brevi, non nei tempi lunghi, come dimostrano le rivoluzioni del neolitico e gli alimenti nuovi arrivati a suo tempo dalle Americhe. 90 I prossimi anni saranno decisivi e con esisti che dipenderanno più dalle nostre azioni, carenti per il passato, che dalla pressione altrui; l’emancipazione della piccola e media impresa, agricola e industriale, richiede, molto coraggio e grande lungimiranza. In proposito è importante la tempestività con cui i produttori sapranno cogliere segnali promettenti, tra cui segnaliamo la nascita dell’”Osservatorio Internazionale per la valorizzazione dei prodotti tipici dei paesi mediterranei dell’Ue”, per iniziativa dell’Unione Nazionale delle Camere di Commercio (è stato nominato un Comitato promotore e stanziato un primo finanziamento); il marketing di settore con il 2001, anno dedicato ai formaggi tipici italiani, con il 2002 per i salumi ecc.; infine, la rete interuniversitaria per la formazione in marketing agro-alimentare con l’intento di avere un’unica metodologia nazionale, che eviterebbe le troppe fantasie ed estemporaneità oggi presenti sul territorio. Se questa triade testimonia l’esistenza di una volontà e costituisce l’avvio di un’azione strategica a favore degli alimenti tipici e, di riflesso, anche di altri, non dobbiamo dimenticare un’altra prospettiva di tutto rilievo: il turismo. Infatti, l’espansione di questa attività è fatto consolidato; iniziata negli anni Sessanta, ha visto triplicare gli arrivi internazionali in un ventennio (1960-1980), quintuplicati (654 milioni) in 35 anni (1995) e presentare ancora oggi un trend positivo, che ha permesso all’organizzazione mondiale del turismo (Omt) di prevedere un ulteriore raddoppio degli arrivi nel 2010 (un miliardo di arrivi) con un aumento medio annuo del 4,3%. In questo modo, il peso della componente turistica, nel con- 91 testo dell’economia mondiale, è destinata a crescere fino a raggiungere il primo posto tra le attività industriali e a sviluppare un indotto ampio e complesso (trasporto, agroindustria ecc.); il fatturato, che, nel 1995, ha fatto registrare entrate nel mondo per 400 miliardi di $ Usa, aumenterà a un ritmo di quasi il 7% all’anno. L’Italia è destinata a trarre benefici ulteriori dall’espansione dell’attività turistica, accrescendo il suo ruolo grazie alla storia, alle testimonianze monumentali e artistiche, alle diverse espressioni del paesaggio, al Mediterraneo, su cui si affaccia in gran parte ecc. ... e alla peculiarità degli alimenti e delle gastronomie. Per questi e altri motivi, il Paese, che ha ricevuto in passato una domanda turistica tra le più alte nel mondo, continuerà ad espanderla anche se il ritmo sarà inferiore a quello di altri territori, oggi ancora scoperti (Asia dell’Est e Oceano Pacifico). Il richiamo a questa prospettiva è d’obbligo per l’Italia perché può essere l’occasione per potenziare, con la difesa della parte più debole del nostro sistema agro-alimentare, l’immagine del modello italico, garantendogli non solo la sopravvivenza, ma anche l’espansione; ne conseguirebbe nuovo sviluppo della nostra economia con maggiore armonia e migliore distribuzione sul territorio, rendendo possibile al Paese vivere nel benessere senza rinunciare a storia, cultura e tradizione, e preservando alle future generazioni la prima gastronomia del mondo e gli alimenti di pregio su cui si regge. Le esperienze anche rilevanti, che l’Italia ha condotto in ambito turistico sono state spesso frutto di improvvisazione, ma nel momento in cui il Paese assegna a questa attività un ruolo portante, occorre fare qualcosa di più: una strategia, e questa, a 92 MOZIA – Fondata dai Fenici nell’VIII sec. a.C. nell’isola di S. Pantaleo, divenne avamposto cartaginese nell’Isola e fu distrutta dai Siracusani nel 397 a.C. Importanti scavi hanno messo in luce interessanti tracce dell’anti ca città. Nel fotogramma l’intera isola e, in alto, la strada sommersa di col legamento alla terraferma. In alto a sinistra l’estremità dell’isola S. Maria (fotografia della Società Generale Riprese Aeree). 93 sua volta, richiede il ricorso alle innovazioni, alle interazioni alimento-turismo, alle sinergie ecc. Però non sono tutte rose e fiori. All’orizzonte incombe un pericolo, che minaccia in qualche misura uomo e ambiente; si tratta degli Ogm, che si stanno diffondendo rapidamente e solo ora incominciano a trovare qualche resistenza anche nelle zona d’origine (Usa); sono alimenti nuovi, frutto dell’ingegneria genetica, prodotti da poche industrie della chimica internazionale, che vorrebbero acquisire l’oligopolio dell’alimentazione mondiale non senza qualche rischio per l’ambiente e i consumatori; oggi la Ue ne ha vietato la produzione per il consumo ed è in attesa di esprimere un parere sul loro futuro. È evidente, nel contesto globale, il tentativo da parte di chi non ha sensibilità storico-culturale, di scalzare usi e costumi dell’area mediterranea e di altri territori tradizionalisti per sostituirli con altri più appiattiti e più convenienti, approfittando della capacità delle multinazionali del Nuovo Mondo di espandere il benessere generale più di quanto riescano a fare le tradizionali microeconomie locali; in linea con questa ipotesi, che punta al profitto, potrebbero scomparire dal nostro costume alimentare abitudini e cibi storici per mancata competitività. Per contrastare l’ipotesi, che sarebbe di grave danno per l’economia del Paese, basterà sviluppare finalmente azioni finalizzate agli obiettivi. È bene chiarire, in proposito, che neppure gli americani sono ancora certi della supremazia della loro proposta alimentare, se diamo retta ai giudizi benevoli che rivolgono alla nostra tavola, alle manifestazioni di disaccordo sempre più frequenti 94 ERICE – A quota 750 m sulla vetta del monte Erice, in posizione dominan te su un vasto panorama in giro d’orizzonte, sorge l’abitato di Erice che è sede della scuola internazionale E. Maiorana. Città antichissima degli Elimi fu cartaginese, romana, bizantina e normanna. Ha un bellissimo e ben conservato impianto medioevale. Nel fotogramma la forma triangolare dell’abitato e le verdeggianti pendici circostanti (fotografia della Società Generale Riprese Aeree). 95 nei confronti della loro, all’inizio di crisi che ha colpito Coca Cola ecc.; lo stesso prof. A. Goldberg dell’Università di Harvard, padre dell’agribusiness e fondatore dell’”International Food and Agribusiness Management Association” (Iama), venuto di recente in Italia, non ha rinunciato ad esprimere pareri favorevoli sul sistema agro-alimentare italiano, condizionandone i futuri successi alla capacità dei produttori di accentuare l’immagine della qualità e di espandere i mercati, traguardi accessibili con la concentrazione dell’offerta, con adeguati supporti mercantili e con una più diffusa cultura alimentare. È quello che si sta cercando di fare ed è il messaggio che gli economisti agro-alimentari più lungimiranti hanno trasmesso da tempo. 3. Il marketing Passando ad esaminare alcune situazioni più vicine alla operatività e, quindi, al marketing, e rimanendo aderenti alla logica di risanare la precarietà attuale dei formaggi tipici italiani, i sostanziali principi strategici riguardano, innanzitutto l’organizzazione dei produttori per concentrare l’offerta e per fare la promozione, senza delle quali i prezzi non potrebbero recuperare terreno; rimangono, inoltre, da definire l’area dove recuperare i segmenti di domanda, gli itinerari commerciali da privilegiare e il marketing comunicazionale da applicare. Andiamo con ordine. La polverizzazione dell’offerta del Pecorino Siciliano è molto alta con la conseguenza, di fronte alla concentrazione della domanda, di ridurre il potere contrattua- 96 S. FLAVIA SOLUNTO – Centro famoso e di antica storia perché sede della città di Solus (oggi Solunto) fondata dai Fenici nel sec. VIII a.C. Sul monte omonimo scavi recenti hanno messo in luce l’impianto urbanistico della vecchia città. Nel fotogramma il parco archeologico è in alto, in basso l’a bitato di S. Flavia e Porticello con il porto peschereccio (fotografia della Società Generale Riprese Aeree). 97 le dei produttori e di fare loro accettare dei prezzi mortificanti, che non coprono neppure i costi reali. Il rigetto di questa situazione avvilente comporta la ricostruzione dei caseifici, nel caso si voglia raggiungere la produzione associata, oppure l’aggregazione dell’offerta degli attuali caseifici; nel primo caso sono necessari capitali consistenti e tempi lunghi, nel secondo si può procedere più speditamente. Si accompagna a questa prima operazione anche la definizione dello standard della forma del Pecorino Siciliano, che oggi si presenta con dimensioni differenti. La scelta dovrebbe orientarsi su una delle forme presenti con maggiore frequenza per ridurre gli interventi modificatori. In secondo luogo, una volta raggiunti questi primi obiettivi, resta da disegnare la strategia operativa, che si esprime con tre azioni. La prima riguarda la definizione dell’area di mercato, che comprenderà quella di consumo abituale con l’aggiunta di una seconda area, contigua o distanziata, per assicurare che l’offerta rimanga comunque costantemente inferiore alla domanda in modo che risulti evidente il grado di rarità del formaggio. Inoltre, poiché l’entità del prezzo è l’obiettivo principale, occorre determinare quali saranno i segmenti della futura domanda al nuovo prezzo e scegliere gli strumenti comunicazionali più idonei a raggiungerli, compatibilmente con i costi da sostenere. La produzione attuale di Pecorino Siciliano è di circa q 70.000, che portano la disponibilità media per ogni siciliano da kg 1,4 rispetto a una disponibilità media nazionale di formaggi di kg 18,52 (1995). Naturalmente in Sicilia vengono prodotti altri for- 98 maggi e altri ancora vengono importati nell’isola per cui la disponibilità complessiva è molto superiore. Le modeste disponibilità di formaggi di latte bovino e di latte ovi-caprino in Sicilia incoraggia l’azione di trascinamento del prezzo del Pecorino Siciliano nei confronti dei prezzi degli altri formaggi dell’isola, quelli bovini compresi. Paiono allora opportuni l’uso dello slogan: “Dal mito alla storia” e le azioni conseguenti. L’attenzione va rivolta, quindi, all’immagine del formaggio in modo che il consumatore, avvicinandosi al prodotto, sappia che acquista non soltanto dei contenuti energetici ed organolettici, ma, oltre a questi, anche tutto ciò che quel prodotto rappresenta per i consumatori abituali e straordinari. È bene sottolineare l’aspetto, non sempre noto, per il quale un bene non viene acquistato per quello che è, ma per ciò che rappresenta; se non fosse così non si giustificherebbero i prezzi dello Champagne e di altri prodotti di pregio che il prestigio riesce a tenere alti. Fare immagine in Italia significa riferirsi alla storia, in armonia con i suggerimenti avanzati nel Primo Capitolo del presente fascicolo; l’Italia è ricca di avvenimenti e di personaggi delle diverse epoche storiche, i quali potrebbero essere di grande aiuto per valorizzare formaggi e altri alimenti tipici, che pure sono storici. Va allontanata, invece, l’idea del riferimento al folklore, ad imitazione di ciò che fanno i francesi, perché gli italiani non hanno mostrato la stessa disinvoltura nella recitazione e nell’uso di abiti d’epoca e, quindi, non sono riusciti ad essere altrettanto efficaci. È inutile proseguire su questa via; la storia, inve- 99 ce, a cominciare dalle origini, pone il Paese e i prodotti alimentari della tradizione in una luce molto favorevole, essendosi comportata l’Italia, tra l’altro, come il primo e più autorevole laboratorio alimentare che ha filtrato il modello produzioneconsumo del Medio Oriente, che è la culla della civiltà occidentale. In questa immagine, che per il Pecorino Siciliano abbiamo sintetizzato nelle parole “dal mito alla storia”, ci sono preistoria, protostoria e storia... e c’è la cultura, quella cultura alimentare, di cui si sente tanto la mancanza, quando invece dovrebbe essere coltivata molto di più di quanto non si sia fatto; il riferimento alla storia ha carattere dinamico, cioè tiene conto degli avvenimenti che hanno coinvolto direttamente o indirettamente i formaggi mutandone immagine e caratteri. Per costruire un’immagine, che sia valida per gli obiettivi che si intendono raggiungere, ogni riferimento è utile purché riguardi avvenimenti o personaggi che abbiano avuto qualche rapporto con il prodotto. Il Pecorino di Filiano, per esempio, potendo avvalersi di un castello federiciano in zona, quello di Lagopesole, può benissimo collegarsi alla storia di questo grande uomo di cultura e di stato e alle vicende che l’hanno visto protagonista in loco. Arrivati a questo punto, interviene il marketing che è analisi, ideazione e azione. Escludendo per il momento l’analisi, che è in corso di attuazione, e soffermandoci all’ideazione, è stata confermata la scelta storica, concepita in linea con quanto è stato scritto nei paragrafi precedenti, presentando il Pecorino Siciliano, formaggio pro- 100 dotto e consumato in tutta l’isola, tra i prodotti entrati nel Vecchio Continente attraverso la Sicilia “porta alimentare d’Europa”. L’idea, che ha consistenti basi preistoriche, protostoriche e storiche, inserisce a buon diritto la Sicilia, che è al centro del Mediterraneo, nell’itinerario del neolitico, riguardante le radici della stessa civiltà occidentale con un coinvolgimento di ampio significato scientifico, tecnico-storico e suggestivo. L’espansione socio-economico-culturale del Vecchio Continente trova i suoi presupposti nel neolitico del Medio Oriente, la cui influenza è stata fedelmente esportata per via d’acqua e di terra (non a caso la cucina aristocratica italiana dalle origini al Rinascimento ha fatto largo uso di spezie medio-orientali): la prima è quella che ha trovato sulla propria rotta la Sicilia prima di raggiungere, attraverso il Mediterraneo occidentale, Sardegna, Francia e Spagna; la seconda corrisponde a due corridoi più accidentati del primo: quello balcanico-danubiano, che ha interessato l’Europa dell’Est, e quello africano-iberico nella parte occidentale. Vorremmo aggiungere che l’idea, che nasce dai formaggi, risulta troppo suggestiva e utile per essere limitata alla sola promozione casearia. Al di là di questa considerazione, che non spetta a noi commentare, la stessa idea è destinata a trovare un’eccezionale cassa di risonanza nel corso del 2001, che sarà dichiarato ”anno dei formaggi tipici italiani”. Fra l’altro intendiamo allargare questo approccio siciliano – e siamo già al lavoro – disegnando il tracciato delle strade dei formaggi in Europa, completando cioè le fasi delle colonizzazioni in Sicilia e quelle successive nel Mezzogiorno d’Italia: i Fenici ad Occidente (Mozia, Solunto e 101 Panormo); i Greci ad Oriente (Naxos, Zanclea, Lentini, Catania, Siracusa, Megara-Hyblaca, Selinunte, Gela e Agrigento) e in Italia Meridionale. “L’Italia rappresenta il fulcro della grecità d’Occidente, l’area centrale di riferimento per i moti che si svolgono da un capo all’altro del Mediterraneo” ha scritto S. Moscati. Nel golfo di Napoli, area lontana, ma in posizione strategica sulla via dei metalli, la colonia più antica è sorta a Ischia, seguita da Cuma, Partenope e Poestum; nel golfo di Taranto, più accessibile del precedente ai greci, le prime colonie furono Sibari, Crotone, Metaponto, Taranto, Locri. I popoli prevenienti dal Mediterraneo Orientale (Fenici e Greci) hanno costituito il fenomeno determinante dell’VIII secolo a.C., che darà inizio alla storia. La colonizzazione viene dopo un lungo periodo di frequentazione delle coste italiane da parte di mercanti provenienti dalle aree orientali. La concentrazione in Italia delle testimonianze precoloniali rientra in un periodo in cui la circolazione via mare era sempre più assidua. Il processo di reazione delle popolazioni italiche di fronte ai colonizzatori si è sviluppato specialmente nel V e nel VI secolo a.C.; Roma all’inizio, era solo una città in espansione. La Sicilia è rimasta per lungo tempo al di fuori dell’influenza romana finché si è verificato il primo scontro tra Roma e Cartagine (264 a.C.); con la fine delle guerre puniche uscirà completato il dominio delle aree mediterranee da parte di Roma. A questo punto l’area casearia siciliana e del Mezzogiorno conquisterà l’Urbe e da qui ripartirà per espandersi in Europa. L’anno dei formaggi tipici italiani racconterà la storia casearia 102 PALERMO – La sua fondazione risale all’VIII sec. A.C. ad opera dei Fenici (Panormus = tutto porto) che sul litorale nord-occidentale dell’isola fonda rono altre due colonie a Solus (Solunto) ed a Mozia. Nella storia millenaria della città e del suo governo si sono succeduti Cartaginesi, Romani, Bizan tini, Saraceni, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Borboni. Insorse per la libertà più volte e nel 1860 venne annessa all’Italia. Nell’ultima guerra subì gravi danneggiamenti. Dal 1947 è la capitale della Regione e conta oggi più di 700.000 abitanti. Nel fotogramma è rappresentato il Centro Storico ed il suo ampliamento nella città ottocentesca (fotografia della So cietà Generale Riprese Aeree). 103 nelle diverse regioni mediterranee, la Sicilia in testa, presentando una nuova immagine dei formaggi, divenuti l’espressione più significativa della protocultura europea, che la storia dei singoli territori enfatizzerà con le testimonianze disponibili attraverso la communication mix, che è la combinazione di pubblicità, direct marketing, sales promotion, propaganda, sponsorizzazioni ecc. Siamo di fronte alla comunicazione di settore, non d’impresa, che è troppo debole per poterla assumere a tutela di prodotti che hanno bisogno di raggiungere prezzi adeguati ai sacrifici che richiedono. In queste condizioni, l’obiettivo consiste nel raggiungere questi livelli di prezzo e nel renderli stabili, puntando sugli elementi, storico-culturali e d’immagine appunto, per migliorare la posizione di mercato. Nonostante il ruolo rivestito dal Pecorino Siciliano in Europa, quale porta d’ingresso degli ovini e dei caprini, dell’arte casearia e delle coltivazioni cerealicole e leguminose, nessun riconoscimento in tal senso è mai stato chiesto né riconosciuto. Nel momento in cui ci preoccupiamo di valorizzare il formaggio dell’isola, la strada principale da seguire non può che essere quella del ripristino delle verità storiche, nonostante le oggettive difficoltà di risalire a tempi tanto lontani. Questa tesi, qualora fosse accettata, sarebbe destinata a sconvolgere il pacifico contesto, nel quale non è mai stato riconosciuto alla Sicilia alcun merito in campo lattiero-caseario, offrendo una nuova chiave di lettura all’intero nostro passato con l’isola nel ruolo di terra di origine dell’intera vicenda alimentare europea. Poiché gli allevamenti e le coltivazioni citati hanno trovato in Europa l’habitat adatto e sono diventati tutti ingredienti di fondo 104 della cucina continentale, trovano spiegazione per questa via la ricchezza e il prestigio del patrimonio di prodotti tipici dell’Italia e la gastronomia, considerata la prima nel mondo. Questi traguardi, qualora fossero raggiunti, dovrebbero essere accreditati alla Sicilia per diritto di nascita, avendo l’isola messo in opera il citato primo laboratorio alimentare d’Europa. Non è un caso che la prima testimonianza scritta dell’arte casearia nella storia del mondo sia quella omerica di Polifemo, che si comportava nella Sicilia orientale, come fanno ancora oggi i pastori dell’isola. Fu dall’origine che il territorio italiano si è diversificato: - a nord ha prevalso il modello che ebbe origine sulle rive del Danubio e che si è caratterizzato per l’allevamento bovino (l’area di questa civiltà, che ha interessato l’Italia Settentrionale, si è differenziata per l’intensità colturale e degli allevamenti e, in parte, per le grandi superfici agricole); - a sud è rimasto operante il modello mediterraneo, caratterizzato da un’agricoltura debole, nella quale prevale spesso il sistema agro-pastorale con l’allevamento ovino. Le strutture agrarie e i sistemi agricoli, nati nel neolitico, non sono molto cambiati e si ritrovano spesso nell’impostazione dell’agricoltura italiana di oggi, specie in Sicilia e nel Mezzogiorno. La strategia aziendale o di comparto nei riguardi del mercato è il motore dell’attività economica e si esprime in modo implicito ed esplicito: il primo consiste nel complesso delle decisioni dei diversi settori funzionali e raramente rappresenta la strategia più efficace; il secondo si realizza tramite processi pianificati. Nel caso dei formaggi tipici, la strategia si limita alla scelta del modo con cui possono competere sul mercato, realizzando l’o- 105 biettivo prezzo che garantisce la continuità produttiva in posizione di stabilità e di distacco dalla concorrenza. Tutto questo si può realizzare soltanto assicurando un vantaggio competitivo coerente con il mercato in cui si opera. La parola d’ordine di un marketing strategico applicato ai formaggi tipici è: “dare al consumatore qualcosa di più della concorrenza a compenso del maggiore prezzo richiesto”. La strategia è triplice: offrire prodotti analoghi a quelli della concorrenza a prezzi minori; offrire prodotti analoghi a quelli della concorrenza aventi in più un vantaggio significativo (qualità e immagine per i formaggi tipici italiani); rivolgersi a un segmento di mercato, grazie ai prezzi ridotti o ai maggiori vantaggi di prodotto. In tutti i casi la strategia mira ad elevare il rapporto costi benefici del consumatore. Se la strategia è quella della qualità, letta in termini di immagine, come nel nostro caso, occorre seguire la via della segmentazione e della diversificazione del prodotto, verificando la presenza dei determinanti; questi sono: orientamento dei consumatori verso la qualità, alta capacità di spesa, presenza di elementi di differenziazione, alte barriere all’entrata di nuovi concorrenti, massimo livello qualitativo, massima efficienza di marketing, alto valore d’immagine. Nel contesto attuale della società italiana, il ricorso alla strategia di qualità è coerente con la capacità di acquisto del consumatore, che tende a spostarla verso il cibo-soddisfazione e verso la dotazione in servizi. A livello operativo non si presentano particolari problemi a 106 una strategia di qualità, purché si indaghi sulla propensione al consumo per segmenti di popolazione. La domanda del consumatore riguarda sempre il problema che vuole risolvere: lo Champagne risolve un problema di rappresentanza in particolari momenti felici della vita dell’uomo perché per questo è stato proposto; l’imballaggio in materiale resistente al forno a microonde permette di usare questo strumento con facilità ecc. Il concetto di marketing mix fa riferimento a quattro elementi (prodotto, prezzo, posizione, promozione). È compito della politica di comunicazione trasferire il grado di qualità al consumatore potenziale. La pubblicità soddisfa l’esigenza conoscitiva, cioè fa sapere al consumatore che ciò che desidera è presente nel bene, e l’esigenza emotiva, indicando il modo con il quale il carattere desiderato è presente. La pianificazione del marketing mix non può essere attuata – nel caso dei formaggi tipici a maggiore ragione –, se non si tiene conto della politica dei prezzi; infatti, ogni vantaggio competitivo può essere annullato da un prezzo eccessivo rispetto a quelli della concorrenza. È per questo motivo che il prodotto alimentare della grande industria riesce al massimo ad eguagliare il prezzo del prodotto tipico, non a superarlo. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il vantaggio competitivo comporta dei costi e che il consumatore è condizionato dal rapporto costi/benefici. Se il consumatore si comportasse in modo da ottimizzare i benefici, dovrebbe sommare i valori del prodotto in senso stretto, quello dei servizi incorporati e aggiunti e quello proveniente dall’immagine, confrontando il valore complessivo con i costi totali, che 107 corrispondono alla somma di quelli finanziari, di quelli dipendenti dall’uso e psicologici secondo lo schema proposto da Kotler-Bliemel. La domanda è rivolta a soddisfare l’esigenza di chi la esercita e dipende dalla differenza prevedibile tra la situazione a posteriori e quella a priori; il modello considera il prodotto come il mezzo per risolvere il problema e quindi, ritiene la decisione dell’acquisto non dipendente dal bene in senso stretto. Dopo di che, essendo aumentati la capacità di spesa del consumatore e, in parallelo, la qualità alimentare e i prezzi, le scelte strategiche, nel contesto attuale, sono le seguenti: - mantenere il livello qualitativo, abbassando i prezzi rispetto alla concorrenza; - elevare la qualità, mantenendo i prezzi della concorrenza (strategia di differenziazione); - rivalutare la qualità restaurando l’immagine dei beni tradizionali e recuperando i prezzi che erano stati svalutati dall’incuria del passato. Quest’ultima scelta strategica interessa il Pecorino Siciliano, gli altri formaggi e gli altri prodotti tipici, ridimensionati nei prezzi negli ultimi decenni per mancato adeguamento alle esigenze dei nuovi mercati dinamici. In questo caso la ripresa dei prezzi dipenderà dal restauro dell’immagine che il ricorso alla storia potrebbe rendere possibile in tempi brevi e che le strategie operative, tra cui il 2001, anno dei formaggi tipici italiani, dovrebbero enfatizzare. Le piccole e medie aziende si distinguono dalle altre per la produzione di alimenti con accentuate particolarità e destinati a 108 mercati ristretti. La strategia diventa per forza quella della segmentazione, essendo non facile competere sugli stessi mercati con le grandi imprese. Nel caso in cui ci fosse, come alle volte c’è stata, flessione nei segmenti tradizionali interni, provocata dal distacco dai modelli di consumo tradizionali sul mercato originario, oggi verrebbero in soccorso il turismo e il commercio elettronico. Tutto questo presuppone sempre e comunque la discesa in campo dei produttori organizzati con corrispondente concentrazione dell’offerta, accompagnata da strategie mercantili che sappiano trarre vantaggio dalla nuova immagine dei formaggi tipici, laddove per immagine si considera l’insieme combinato di tutte le azioni organizzative ed operative capaci di affrontare e risolvere finalmente i gravi problemi in cui si dibattono da tempo formaggi e altre tipicità. 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