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LA TV E L’INFORMAZIONE ALIMENTARE:
ALLARMISMO SENZA INFORMAZIONE
di Pino Nazio (Sociologo della Comunicazione e giornalista)
LA VICENDA DELLA MOZZARELLA DI BUFALA:
E’ UNA BUFALA!
E’ solo l’ultimo caso in ordine di tempo. Dopo il vino al metanolo, l’eccesso di toluene nel latte, la
mucca pazza e l’influenza aviaria, le farine nocive è scoppiato il caso della mozzarella di bufala nel
casertano. Lo schema è lo stesso per ogni emergenza alimentare: si parte da un fatto di cronaca
circoscritto, la notizia rimbalza sui media che l’amplificano, tra la gente si diffonde un senso di
insicurezza e di paura con l’immancabile calo di vendite del prodotto.
Passano alcuni mesi, l’allarme rientra e i consumi tornano ai livelli precedenti.
Alla fine della fiera, i consumatori non hanno acquisito nessuna informazione in più per orientarsi
verso un corretto stile di vita alimentare.
E’ il tema controverso del discorso alimentare nella programmazione televisiva italiana.
La televisione di casa nostra ha superato i cinquant’anni di storia e il tema del cibo è stato proposto
in due modi differenti. Dalle origini fino agli anni ’80, il cibo, le ricette, la dieta, erano argomenti
che non avevano spazio nei palinsesti. Con l’avvento della neotelevisione c’è stata l’introduzione
massiccia della cucina e delle tematiche alimentari all’interno dei programmi televisivi.
Ma senza che a questo sia corrisposta una crescita nella conoscenza e nella crescita delle
competenze dei telespettatori. Anzi.
Il discorso alimentare si muove su due binari, entrambi pericolosi: l’allarmismo e la
spettacolarizzazione.
BSE E AVIARIA, E L’AUDIENCE VA...
I media tendono a drammatizzare i fatti o, addirittura ad ignorarli. Il nuovo millennio sembrava aver
portato con sé una nuova maledizione, per settimane, la mucca pazza è stata al centro
dell’attenzione dei media. Al numero dei bovini risultati positivi al test della BSE non
corrispondeva il numero complessivo degli animali allevati, parametro necessario ad una
valutazione razionale del rischio. Ad esempio, per i 292 animali che fino al del marzo 2003, in
Germania, erano risultati positivi al test, ce n’erano 14,5 milioni sani: una percentuale del 0,002%.
In Svizzera, nello stesso periodo, su 1.600.000 bovini, 452 erano malati: lo 0,03%.
L’amplificazione, aiuta le vendite –di copie come di audience– e i mezzi più allarmistici trascinano
anche quelli più moderati, più seri.
Questo dato affonda nella struttura stessa del mercato dei media, dove, da una parte, le inchieste
giornalistiche approfondite, faticose, sono rare e dall’altra, la rincorsa sul terreno dell’audience
facile porta a semplificare la comunicazione, ad appiattire i messaggi. Certo, spesso i giornalisti
cercano le affermazioni degli esperti; ma spesso non tengono conto del loro valore scientifico
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quanto della loro vendibilità televisiva. Io stesso, lo scorso anno, impegnato come autore in un
programma di servizio del mattino televisivo, dovendomi occupare di influenza aviaria, mi sono
visto rifiutare la partecipazione ad un ospite che ci era stato presentato come uno dei massimi
esperti (se non il massimo esperto) di volatili selvatici, perchè si sospettava essere balbuziente. Gli
esperti che vanno in tv spesso sono i più fotogenici, quelli raggiungibili nel momento del bisogno.
Nulla a che vedere con la loro reale competenza scientifica. Lo stesso discorso si può estendere ai
nutrizionisti.
Del resto non si può gettare la croce addosso ai metodi di selezione degli esperti, quando un exministro della salute Ministro, in tema di mucca pazza, tuoni con aria indignata frasi del tipo:
“Aspettiamo dagli scienziati di avere certezze!”.
Questo scetticismo è lo stesso che ha indotto nella gente la convinzione che l'influenza aviaria si
trasformerà sicuramente in una devastante epidemia, provocando milioni di malati e migliaia di
morti. Ma la tv ha provato a spiegare in modo puntuale e capillare come si diffonde il virus? Se può
trasmettersi alle persone? Quali siano le misure di protezione individuale e collettiva da adottare?
In pochi l’hanno fatto.
SICUREZZA ALIMENTARE L’ITALIA A LIVELLI MINIMI FIDUCIA
In compenso si sono diffusi falsi luoghi comuni come quello che voleva che il rischio maggiore ci
fosse negli allevamenti rurali.
I dati dell'epidemia dicono esattamente il contrario. In Lombardia a fronte di 72 i focolai di
influenza individuati negli allevamenti industriali ci sono stati solo 4 casi in tutti gli altri 17.000
allevamenti lombardi rurali e/o biologici..
L’escalation delle notizie è sintomatica di una impostazione poco scientifica.
Così, se ad agosto del 2005 giornali e tv annunciavano “In primavera il virus dei polli in Italia”, ai
primi di ottobre si pronosticava “Entro una settimana l’influenza aviaria in Italia”, per diventare
pochi giorni dopo questa notizia: “Il virus è già arrivato, ma è a bassa patogenicità”. Due settimane
dopo, alla fine di ottobre, i media titolavano “Il virus colpirà l’Italia in gennaio o in febbraio”.
Notizie contraddittorie, un bombardamento mediatico durato più di tre mesi. E per un virus
annunciato, il famigerato H5N1, se ne subito diffuso uno tra i consumatori: il virus della psicosi da
influenza aviaria, che ha colpito drammaticamente i consumi solo nel nostro Paese.
Tutto questo a dispetto delle rassicurazioni di come il virus non si trasmetta consumando carne, ma
solo entrando in contatto con animali infetti, nonostante si dica che l’Italia non importa prodotti
avicoli dalle zone colpite dall’influenza aviaria.
Ma la televisione aldilà dei servizi più o meno corretti scientificamente aggiunge al commento le
immagini. Così un tg che propone uomini con delle tute che ricordano quelle di Chernobyl, del
disastro nucleare, che portano via carcasse di volatili, o che espezionano un allevamento, diffondo
necessariamente la paura. E la paura, per definizione, è irrazionale. La paura è indotta da quello che
si vede e prefigura quello che non si vede.
Ma a orientare i consumi non è solo una paura irrazionale.
C’è una diffusa convinzione tra la gente che qualcuno -per fini economici- nasconda la verità. C’è
una diffidenza ancestrale, dovuta episodi gravissimi.
Basta ricordare la vicenda del vino al metanolo che –in quel caso si- provocò dei morti.
C’è uno scetticismo di fondo del consumatore italiano.
Lo rivela un sondaggio realizzato per conto della Commissione europea su un campione di 8.870
persone in sei stati diversi, di cui 2006 in Italia.
Solo il 37% degli italiani considera molto sicuro mangiare frutta e verdure fresche e appena il 28%
dice si senza preoccupazione alla carne bovina biologica. Il livello di fiducia scende al 24% per le
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uova e al 20% per la carne di maiale e pollo, per poi affondare al 13% nel caso delle salsicce e al
10% per i prodotti a basso contenuto di grassi.
Dai dati sui cibi considerati sicuri, emerge che l' Italia e' il Paese in cui si registra in assoluto il
minor livello di fiducia.
Emerge un profondo pessimismo sull'andamento della sicurezza degli alimenti e per il 39% c’è un
calo dei livelli di sicurezza.
La sfiducia sulla sicurezza si estende anche alle istituzioni e agli organismi ai quali vengono affidati
i controlli. Solo il 4% degli italiani pensa che in caso di una crisi legata a prodotti alimentari i
politici direbbero la verità.
RICETTE, DIETE E STILI DI VITA SECONDO LA TV
Abbiamo parlato dell’allarmismo dei media, in particolare della tv, e passiamo all’altro grande
filone che riguarda la comunicazione attorno all’alimentazione: la spettacolarizzazione. Il primo
Rapporto sull’informazione alimentare, commissionato dal ministero per le Attività Produttive al
Dipartimento di sociologia e comunicazione dell’Università la Sapienza di Roma, si è basato sul
monitoraggio di cinque mesi di quotidiani, periodici e televisioni ed integrato da un ciclo di focus
group con i consumatori,
Dalla ricerca emerge che la quantità delle informazioni agroalimentari veicolate dai media è molto
alta ma la qualità è scarsa, fermandosi spesso ad un livello superficiale delle notizie.
La maggior parte delle informazioni alimentari trasmessa in televisione è, infatti, diffusa per il 20
per cento da programmi di intrattenimento e spesso per questo spettacolarizzata, mentre solo l’8 per
cento viene trattata dai telegiornali. Diverso il discorso per i quotidiani che offrono un’informazione
più obiettiva e ragionata e gli argomenti maggiormente affrontati sono la qualità e la sicurezza dei
prodotti e notizie sui cicli produttivi.
Sul fronte dei consumatori emerge interesse ed attenzione per le tematiche agroalimentari, ma ben il
38 per cento si dichiara per niente soddisfatto dell’informazione offerta attualmente dai media.
Da alcuni anni la cucina è entrata nei palinsesti, non risparmiando alcuna fascia oraria. Ovviamente
c’è una prevalenze per le collocazioni a cavallo del pranzo –come “La prova del cuoco, la heatparde del Tg 2, o “Gusto” del Tg 5- ma un passaggio a un cuoco non si nega a nessuna ora.
Il fenomeno più rilevante è proprio il programma condotto da Antonella Clerici, interamente
incentrato sul meccanismo della competizione fra due concorrenti. Alla “La prova del cuoco” ci si
sfida sulla creazione di piatti prelibati, alla ricerca del maggior numero di voti da parte del pubblico
presente in studio.
Ma se la finalità del gioco è la vittoria, se i meccanismi che regolano il programma sono finalizzati
alla conquista dell’ascolto, come si può pretendere che vengano veicolati messaggi di corretta
informazione alimentare?
E questo discorso vale per i due grandi padroni della tv –Rai e Mediaset- che da sole assorbono
quasi il 90 per cento dell’audience, ma che non risparmia i piccoli network o le tv locali: tutte
invase da programmi-fotocopia incentrati ossessivamente sul tema della cucina e della gastronomia.
Questa frenesia gastronomica è basata su ricette e piatti personali, spesso complicati, nella maggior
parte dei casi ipercalorici e ricchi di condimenti, molto lontano da qualunque sensata regola
dietetica. A volte la ricetta viene proposta con il commento di nutrizionisti, scelti con il meccanismo
della telegenicità, nella maggior parte dei casi confinati in un ruolo marginale.
Se sono veri gli allarmi che il ministero della salute lancia periodicamente sui rischi del sovrappeso,
sul terribile cocktail di iperalimentazione e sedentarietà, bisogna dire che la televisione è il luogo
principale dove si consuma questo cocktail, e che ha sui bambini gli effetti più percolosi.
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La televisione ti vuole magra
Gli stimoli socio-culturali come fonte di molti disturbi del comportamento alimentare
di Elisabetta Liverani, pubblicato sul n. 5, ottobre 2002 a pagina 3.
I disturbi del comportamento alimentare hanno sicuramente cause complesse e richiedono la
compresenza di fattori, diversi da individuo ad individuo, che possono essere esattamente chiariti
solo in seguito ad un lavoro psicoterapeutico. È comunque importante valutare l'importanza che
hanno gli stimoli socio culturali, cui un individuo è quotidianamente esposto, nello sviluppo e nella
frequenza della malattia. Analizzando il contatto fra diversi modelli culturali di bellezza, è possibile
individuare la mania di magrezza che impera nella società occidentale come una delle cause
responsabile del diffondersi in questa dei disturbi del comportamento alimentare.
Molto interessante è lo studio condotto nel maggio 1999 da Anna Becker (un'antropologa
dell'Harvard Medical School) sul cambiamento di attitudini verso il cibo e l'ideale corporeo degli
adolescenti delle isole Fiji' (Figi) negli ultimi dieci anni. Nel piccolo arcipelago limitrofo alla
Nuova Zelanda per tradizione si è sempre apprezzato un fisico massiccio e "rotondeggiante" e non
si riscontrava presenza di disturbi del comportamento alimentare. Da quando nel 1995 fu impiantata
la stazione televisiva che trasmesse da subito i programmi più seguiti negli USA e in Europa, nei
quali i protagonisti appaiono tutti magri e slanciati, mentre i personaggi obesi ricoprono ruoli
negativi o marginali, si osservò l'aumento della frequenza di diete nonché di anoressia e bulimia; nel
1998 la Becker ha rilevato, dopo aver intervistato un campione considerevole di ragazze
adolescenti, che il 74% di esse dichiarava di percepire il proprio corpo come "troppo robusto e
grasso" e di voler dimagrire e che il 15% ricorreva a vomito autoindotto per controllare il peso. I
ricercatori dell'Harvard Medical School collegarono la comparsa di tali disturbi con le immagini ed
i valori veicolati dai programmi televisivi occidentali, imperniati sull'ideale estetico della magrezza.
Anche studi su immigrati provenienti da Paesi come i Carabi, Egitto, Cina, Bangladesh, che
promuovono una corporeità "abbondante" e robusta, espressione, in questi paesi poveri, di salute e
opulenza, presentano risultati simili e cioè un aumento dell'incidenza di disturbi dell'alimentazione
se vengono in contatto con culture occidentali. È il caso dello studio condotto da Nasser nel 1986,
che sottopose ad indagine due gruppi di studentesse universitarie arabe, l'uno residente a Londra,
l'altro al Cairo. Non riscontrò alcun caso di anoressia, ma ben 12 di bulimia nel gruppo londinesi
che aveva acquisito abitudini occidentali.
il paragone fatto da Anna Becker tra la colonizzazione mediatica degli anni novanta e l'arrivo degli
esploratori inglesi alla fine del secolo scorso: essi portarono con sé il morbillo ed altre malattie
sconosciute agli indigeni, recando loro tanti danni, così la televisione oggi, con i suoi canoni estetici
sta mietendo tante vittime in una popolazione prima immune da preoccupazioni di dieta.
EDUCARE GLI EDUCATORI
Questi studi sottolineano l'importanza ed in alcuni casi la dannosità degli stimoli cui il nostro
cervello è sottoposto ogni giorno (immagini, spot pubblicitari, programmi televisivi) e di cui
difficilmente la popolazione (sempre e tutta esposta) abbia difficoltà ad individuare.
CHE FARE?
FORMAZIONE, INFORMAZIONE, TUTTO E’ SERVIZIO PUBBLICO
È ampiamente riconosciuto che i media non solo sono fonte di notizie ma svolgono un ruolo nel
portare i rischi all’attenzione dell’opinione pubblica creando un senso di urgenza e di richiesta di
informazioni attorno ad essi.
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La comunicazione di informazioni risulta quindi un processo indispensabile per contribuire ai
processi di presa di coscienza del cittadino nei confronti delle minacce alla salute (ed all’ambiente)
e di aiuto all’acquisizione di comportamenti efficaci nei confronti dei rischi che incontra in tutto
l’arco della vita, nelle sue diverse articolazioni. E che, quindi, comunicare, per coloro che si
occupano di salute, non può risolversi con messaggi lanciati attraverso i mass media o con opuscoli
e volantini, ma deve prevedere l’impiego corretto degli strumenti della formazione e della
promozione della salute per creare una diffusa cultura della sicurezza, a partire dalle giovani
generazioni e dalle fasce più a rischio della popolazione.
La percezione del rischio ha, infatti, come riconosciuto dalla WHO, un diretto impatto sul benessere
dei cittadini per quanto concerne la componente psicologica, con la possibilità di effetti
psicosomatici in grado di causare danni fisici rilevabili. Inoltre, nel campo dell’alimentazione, solo
divulgando all’interno della popolazione consapevolezza e pratiche di buon comportamento
alimentare, si possono valorizzare tutti gli investimenti che gli imprenditori e le autorità di controllo
effettuano in tecnologia, rispetto della catena del freddo, controlli, ecc… nelle fasi della produzione,
trasformazione, commercializzazione, trasporto e vendita degli alimenti.
I giornalisti non sono educatori o almeno questo non è il loro ruolo prioritario. Con questa
prospettiva, non stupisce che l’attuale stile di comunicazione raramente risulta utile alla
comunicazione del rischio, risultando spesso addirittura dannoso. I media, infatti, tendono a
focalizzare i dubbi, le incertezze ed i conflitti, raramente legittimando le fonti che vengono spesso
messe tutte sullo stesso piano.
Prima polli, uova e maiali alla diossina. Poi la mucca pazza. Sullo sfondo la battaglia contro le
piante geneticamente modificate ed un ripetersi di crisi legate agli alimenti: dal Sudan I, colorante
vietato, impiegato per rendere più rosso il peperoncino, sino alle più recenti paure innescate
dall'epidemia dell'influenza aviaria in Asia o dalle contaminazioni dell’ITX.
Questa catena ininterrotta di allarmi alimentari, non attribuibile ad un peggioramento delle
produzioni agro-alimentari bensì ad una accresciuta attenzione da parte della società ed alla
evoluzione delle tecniche analitiche da parte dei laboratori di controllo, ha catalizzato l’attenzione
dei mass media e dell’opinione pubblica europea e nazionale, con complesse ripercussioni sulla
percezione dei rischi associati alla produzione degli alimenti.
L’incertezza dei dati scientifici, che ha creato e crea divisioni e spaccature tra gli esperti, e la
mancanza di strategie di comunicazione definite, portando spesso ad una politicizzazione del
dibattito, è stata più volte indicata come uno dei fattori in grado di influenzare la percezione del
rischio.
In un Paese come il nostro, caratterizzato da produzioni tipiche di qualità, legate al territorio e alle
tradizioni che in molti casi hanno saputo stare al passo con i tempi e con le mutate esigenze dei
cittadini rappresentando un punto di contatto tra salute, cultura, territorio e gusto, la percezione del
rischio rappresenta anche un importante determinante economico.
È in tale contesto che nasce la necessità di un approccio multidisciplinare alla tematiche della
sicurezza alimentare con la finalità di fornire informazioni corrette al cittadino mediante una
uniformità di messaggi, che tengano conto delle evidenze scientifiche, da parte dei diversi
professionisti che operano all’interno del sistema sanitario, diventando un punto di riferimento
credibile ed affidabile anche per coloro che si occupano di informazione.
In questo scenario, la collaborazione con la rete della ristorazione è fondamentale per la salute.
Ovviamente abbiamo altre iniziative in corso.Abbiamo cominciato a promuovere la corretta
alimentazione nelle scuole, e sono state avviate massicce campagne sugli stili di vita salutari in
televisione e sulla stampa. Abbiamo iniziato con il fumo, andremo avanti con l’alimentazione. Ma
anche queste hanno un valore limitato senza una capillare azione di convincimento e di educazione
a mangiar sano.
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Piano di Comunicazione per la Sicurezza Alimentare
GdL 6
Il Piano 2002-2004 sulla Sicurezza Alimentare ha previsto l’attivazione di un
Gruppo di Lavoro sulla Comunicazione del Rischio, per dare concretezza alle indicazioni
contenute nel Regolamento (CE) N. 178/2002 che, a sua volta, recepisce
e applica i contenuti del Libro Bianco per la Sicurezza Alimentare della CE
(2000). La comunicazione, infatti, rappresenta un punto critico nell’analisi del rischio,
fondamentale e indispensabile per orientare la fiducia del cittadino nelle
Autorità e, pertanto, rendere efficaci le azioni di prevenzione e di riduzione del rischio
correlato al consumo degli alimenti.
Esso è stato predisposto tenendo in considerazione sia le indicazioni contenute
nella Legge 150 del 7 giugno 2000 (GU n.136 del 13.6.2000), che disciplina le attività
di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni, sia le
linee d’indirizzo del Dipartimento di Prevenzione Regionale. In particolare:
1. i soggetti della comunicazione sono rappresentati dalle Istituzioni o dai
suoi operatori, depositari di dati e conoscenze in materia di rischio da alimentazione
“scorretta” in termini di pericolo nutrizionale, microbiologico
e chimico;
2. l’oggetto della comunicazione è, comunque, sempre il rischio alimentare
per cui diventano informazioni tutte le attività che lo circoscrivono, espletate
sia a livello pubblico che privato: generalmente, esse attengono la gestione
del rischio stesso sul territorio regionale e le correlazioni di questo
con gli altri sistemi, nazionali ed internazionali, definiti;
3. i destinatari sono i politici, gli operatori del Piano, le strutture di appartenenza,
il cittadino (come individuo e come associazioni). Ad oggi, vi è stata
una certa tendenza a “consegnare” all’esterno i risultati del proprio lavoro.
La direzione del Piano è, invece, quella di spendere la “ricchezza” di
cui si è in possesso, nella logica del “fai e fai vedere”, così come è stabilito
nelle norme che definiscono e fanno praticare la Politica della Qualità.
Comunque, è fuori discussione che, in questo contesto, è da tenere in considerazione
l’ordine delle priorità, cioè l’iter che deve seguire la notizia,
nel rispetto dei criteri etici che il progetto ha inteso perseguire;
4. gli strumenti sono quelli usuali: comunicati stampa, conferenze stampa,
convegni, seminari e tavole rotonde, fiere e manifestazioni, web e
newsletter, campagne pubblicitarie. Da un lato, le indagini sulla percezione
del rischio nella popolazione del Veneto, condotte secondo la metodologia
delle scienze sociali ed avviate nell’ambito delle attività del GdL6,
dovrebbero consentire la caratterizzazione dei target di riferimento e
l’impiego degli strumenti divulgativi più idonei. D’altro canto, si ritiene
indispensabile operare con doveroso equilibrio (bilancio tra la quantità e la
qualità delle risorse disponibili e i benefici desiderati) al fine di non compromettere
un rapporto di fiducia, tra istituzioni e consumatore, che in
questa fase è in via di definizione e di consolidamento.
Si ritiene sia possibile costruire un “kit d’informazioni”, costituita da un
pacchetto di notizie di carattere sia politico che tecnico-scientifico adattate
e aggiornate secondo la tipologia dell’evento, da portare in varie manifestazioni,
anche locali (rafforzamento dell’appartenenza e della volontà di
avvicinamento delle Istituzioni al consumatore);
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Salute, progetto di informazione della Commissione
Si tratta di un'iniziativa multimediale gestita dall'Unione europea di radiodiffusione
Markos Kyprianou, commissario europeo responsabile per la salute e la tutela dei consumatori, ha
lanciato oggi a Bruxelles il progetto "Piattaforma europea di informazione sanitaria", o "La Salute
in Europa". Co-finanziato con 1,4 milioni di euro dal programma di sanità pubblica dell'Unione
europea, questo sistema di informazione sanitaria è gestito dall'Unione europea di radiodiffusione
(UER).
Si tratta di un progetto multimediale che ha lo scopo di creare una rete di emittenti radiotelevisive
pubbliche e di altri media in tutta Europa, e di stimolare lo scambio di servizi giornalistici, inclusi
documentari televisivi, trasmissioni radio e articoli su stampa e Internet, relativi a tematiche
sanitarie.
"È necessario migliorare la qualità e la diffusione delle informazioni sulle questioni relative alla
salute in Europa", ha dichiarato il commissario Kyprianou. "Il partenariato con i canali radio e
televisivi di tutta Europa, attraverso l'Unione europea di radiodiffusione, permetterà di tenere
informati i cittadini, e in particolare i pazienti e gli operatori sanitari, sulle questioni di salute
pubblica che presentano una dimensione europea".
"La Salute in Europa" si basa su un continuo scambio di servizi giornalistici in tema di salute e
medicina prodotti dai canali televisivi per le loro rubriche specializzate. I servizi sono offerti
gratuitamente agli organismi partecipanti. La banca dei temi disponibili viene costantemente
rinnovata.
"La Salute in Europa" è nello stesso tempo: - una serie di documentari TV (8x52'), prodotti da un
consorzio di televisioni pubbliche di tutta Europa; - una serie di documentari radio (18x20'); - una
serie di animazioni destinate ad essere diffuse sui siti Internet degli organismi partecipanti; - una
rete di professionisti che lavorano alla realizzazione di trasmissioni sulla salute.
Al progetto partecipano le principali emittenti pubbliche di dieci paesi europei: ARD (Germania),
CT (Repubblica ceca), France2 (Francia), RTBF (Belgio), YLE (Finlandia), TVP (Polonia), ERT
(Grecia), RAI (Italia), ORF (Austria), Radio Prague (Repubblica ceca), Radio Netherlands, Radio
France International. Tutti gli altri membri dell' Unione europea di radiodiffusione sono invitati a
partecipare.
TVE (Spagna), RTE (Irlanda), RTP (Portogallo), DR (Danimarca), SVT (Svezia), LRT (Lituania),
RTM (Marocco), TV Channel "Russia", AVRO (Paesi Bassi), MTV (Ungheria), RTVSLO
(Slovenia), HRT (Croazia) e un certo numero di emittenti radiofoniche pubbliche hanno già
espresso un forte interessamento.
Interessi propri dei media
Per arrivare al punto: l’Aids è il rischio «addormentato» della corrispondenza mediale, la BSE è
quello amplificato, ma la cosa più pericolosa rimane ancora il traffico stradale. È naturale che per i
giornalisti, che non dispongono di una formazione scientifica, tecnica e medica e che si trovano
confrontati con affermazioni di esperti, sia difficile svolgere la comunicazione dei rischi in maniera
da permettere al pubblico una valutazione reale dei rischi. Ma spesso gli interessi personali di
giornalisti e imprenditori dei media sono corresponsabili del modo in cui i rischi vengono
drammatizzati fino all’isteria nei media o di come vengano minimizzati o messi a tacere.
2 febbraio 2006
Le campagne pubblicitarie
campagna “Conosciamo i nostri polli!” (quando per la prima volta era venuto alla ribalta dei media
il problema dell’influenza aviaria nei Paesi del Sud-Est asiatico) e patrocinata dai Ministeri delle
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Politiche Agricole e Forestali e della Salute. La nuova campagna punta sulla televisione per
veicolare un messaggio che rassicuri la generalità dei consumatori. Nasce così la pubblicità “Pollo
Italiano. Vai a pollo sicuro”, realizzata dall’agenzia Young&Rubicam di Roma, in onda a partire
dalla metà di ottobre sulle principali reti televisive.
Lo spot mette scena, in maniera semplice e divertente, gli aspetti e le figure professionali che
costituiscono la forza dell’avicoltura italiana. Nel filmato una donna, dopo aver acquistato una
confezione di pollo intero, viene accompagnata dal supermercato alla propria casa da tutte quelle
persone della filiera (dall’allevatore al distributore, dall’addetto alla lavorazione al veterinario)
impegnate quotidianamente ad offrire carni sicure e di qualità. Una curiosità: lo spot costituisce
anche la prima occasione per mostrare il nuovo logo istituzionale dell’UNA. Il rosso della cresta di
gallo stilizzata e la lettera U di colore verde (la N e la A sono invece nere), il tutto su fondo bianco,
richiamano ulteriormente l’italianità dei prodotti avicoli.
Le partecipazioni televisive
E a proposito di tv, vanno anche ricordate le numerose partecipazioni dei rappresentanti
dell’associazione a trasmissioni tv, che rafforzano il ruolo dell’UNA come punto di riferimento per
gli organi d’informazione. Sono interventi diretti al grande pubblico, trasmessi all’interno dei più
importanti telegiornali o dei più popolari programmi di approfondimento/intrattenimento.
L’obiettivo è sempre lo stesso: riaffermare la sicurezza della carne di pollo, mettere in luce i plus
principali dell’avicoltura italiana (autosufficienza produttiva, rigidi controlli) e denunciare le
conseguenze negative sul settore provocate dallo scorretto bombardamento mediatico.
Basti pensare a “Domenica In”, a “Mi Manda Raitre”, a “Matrix”, il programma in seconda serata
di Enrico Mentana e in onda su Canale 5, che ospita i vicepresidenti Amadori e Veronesi. Oppure al
rivale “Porta a Porta”, condotto da Bruno Vespa, che in due puntate dedicate all’alimentazione dà ai
vertici dell’UNA l’opportunità di evidenziare le qualità del pollame nazionale in termini di
sicurezza, virtù nutrizionali e convenienza economica. Assai importante, poi, lo speciale di oltre
mezz’ora che “Uno Mattina” (Raiuno) dedica all’influenza aviaria. In quell’occasione il presidente
dell’UNA e gli altri ospiti, come Ilaria Capua (responsabile del Centro di Referenza Nazionale
sull’Influenza Aviaria) e Donato Greco (direttore del Centro per il Controllo delle Malattie al
Ministero della Salute), ribadiscono come gli italiani non corrano alcun pericolo di ammalarsi di
un’influenza di cui ancora non esiste nemmeno il virus; tanto meno consumando carne di pollame.
Una presenza costante, fatta complessivamente di oltre 30 interventi, all’interno di trasmissioni che,
per contenuti e orari, si rivolgono a pubblici differenti. In questo modo i punti di forza della filiera
avicola italiana entrano nelle case degli italiani, grazie anche alle parole dei conduttori, tutti
concordemente sostenitori della sicurezza e della bontà del pollo di casa nostra: da Luca Giurato a
Giancarlo Magalli, da Andrea Vianello ad Antonella Clerici.
Senza dimenticare l’intervista all’oncologo ed ex ministro della Salute, Umberto Veronesi, apparsa
sul Corriere della Sera del 30 ottobre, e l’esempio di Muraro, della giornalista e consumerista Anna
Bartolini e di Donato Greco, che in diretta a “Mi manda Raitre” si gustano tranquillamente un uovo
crudo.
PROMUOVERE LA CORRETTA ALIMENTAZIONE NELLE SCUOLE, AVVIARE MASSICCE
CAMPAGNE D’INFORMAZIONE SUI MEDIA SUGLI STILI DI VITA SALUTARI
E sappiamo anche quanto pochi siano, in Tv e sulla stampa, gli spazi dedicati ad una educazione
alimentare corretta ed obiettiva, che vada realmente a vantaggio del cittadino, rispondendo alle
numerose domande che egli si pone riguardo ai cibi e al modo migliore di utilizzarli nella pratica
quotidiana.
Stando così le cose è un vero peccato che almeno una parte del prezioso "tempo televisivo" sprecato
in trasmissioni diseducative di questo genere non sia invece impiegato utilmente per dare vita a
programmi che, oltre ad essere attraenti e ben fatti (gli autori televisivi bravi e fantasiosi non
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mancano di certo), siano anche capaci di comunicare -divertendo- nozioni utili per una migliore
conoscenza del valore nutritivo e del valore calorico dei vari cibi e delle loro diverse combinazioni
in ricette adatte alla normalità della vita di tutti i giorni.
E magari, perché no?, anche con puntuali riferimenti alle giuste porzioni da consigliare, in relazione
all’una o all’altra preparazione gastronomica.
Di queste "giuste" porzioni il consumatore comune non ha, per lo più, la minima idea: la loro
conoscenza sarebbe invece utilissima per capire come e quanto mangiare per stare meglio. Di
questa opinione ha dimostrato di essere anche il Ministro Sirchia, che ha tanto a cuore il problema
da avere creato, per l’identificazione delle porzioni, una apposita commissione di esperti: iniziativa
certamente lodevole, ma in un certo senso anche superflua, considerato che sia le Società italiane di
nutrizione sia l’INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) hanno già da
tempo dedicato la massima attenzione a questo problema, definendo l’entità delle "porzioni
standard nella alimentazione italiana" fin dalla messa a punto dei LARN del 1996 e della revisione
1997 delle "Linee Guida per una sana alimentazione italiana".
Questo delle porzioni non è certo un aspetto secondario, considerato che gli studiosi sono tutti
d’accordo sul fatto che l’epidemia di obesità che ha investito il mondo occidentale (USA in testa)
sia fortemente favorita dall’abitudine a proporre -e quindi a consumare- megaporzioni di cibi ad alta
densità energetica.
L'opinione generale del mondo scientifico è che ci sia urgente necessità di intervenire contro questa
cattiva abitudine, imparando a moderare le quantità di consumo di tali cibi e incoraggiando, al
contrario, la adozione di porzioni più abbondanti dei prodotti a minore densità energetica, come
ortaggi e frutta.
Ebbene, ciò che deve essere sottolineato è che anche il dilagare delle trasmissioni gastronomiche
prive di controllo scientifico delle quali stiamo parlando, serve a promuovere il concetto che sia
lecito e "normale" concedersi senza remore piatti di cibi ipercalorici in realtà ben poco accettabili.
Se di questo problema si prendesse veramente coscienza, si potrebbe fare di più e di meglio, senza
mortificare lo spettacolo, ma seguendo criteri più utili ad una migliore conoscenza degli alimenti e
della nutrizione.
Ad esempio, ci si potrebbe concentrare su strategie culinarie che insegnino una migliore gestione
degli avanzi di cucina, che spieghino come preparare ricette gustose con un limitato uso dei
condimenti grassi, che ricordino e raccomandino l’uso sapiente delle spezie, che propagandino
ricette capaci di valorizzare prodotti mediterranei senza costruire ogni volta il "piatto della
domenica"; in una parola, che facciano capire come sia possibile realizzare una buona
alimentazione con piatti piacevoli e in linea con le raccomandazioni del mondo medico.
Trasmissioni di questo tipo costituirebbero anche una ottima occasione per smitizzare molti luoghi
comuni che ancora circolano diffusamente e rendere più note tutte quelle indicazioni corrette sul
come alimentarsi bene che il consumatore potrebbe già e in buona parte trovare nel testo di quelle
utilissime Linee Guida alimentari già ricordate, che sono state volute dall’INRAN e dal Ministero
delle Politiche Agricole e che sono state redatte, nella loro revisione 2003, da un gruppo di studio
che include gran parte dei maggiori esperti italiani.
Eppure, queste Linee Guida, destinate proprio al consumatore finale, e che trattano appunto i temi
che stanno a cuore a tutti, dai medici alla gente comune (il problema del peso corporeo; della varietà
delle scelte alimentari; del come alimentarsi in gravidanza, in menopausa o nella terza età; delle
bevande alcoliche e del sale; della sicurezza alimentare in casa, ecc.), rappresentando un patrimonio
di consigli e nozioni che andrebbe meglio utilizzato a vantaggio di tutti, non sono purtroppo ancora
conosciute e sfruttate come meriterebbero.
In ogni caso, per concludere, va detto che l’auspicata inversione di tendenza televisiva rappresenta
per ora solo una speranza e un’illusione, mentre la realtà della situazione attuale è quella descritta
all’inizio.
Eppure sarebbe molto utile e importante, anche nel nostro Paese, che si conoscessero meglio e si
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utilizzassero con maggior buon senso tanto i nostri alimenti quanto la tipicità della nostra cultura
gastronomica regionale, senza per questo rinnegare la buona cucina e le nostre tradizioni, ma anzi
valorizzandole ed esaltandole.
Non resta quindi che sperare che gli eccessi attuali si attenuino e che il buon senso riesca a
prevalere.
Una alimentazione migliore, infatti, reca vantaggi a tutti, sia sul piano della salute che su quello
della spesa del singolo e della collettività. Per ora, però, di segnali positivi in questa direzione se ne
avvertono francamente ben pochi, anche da parte di chi deve istituzionalmente fare servizio
pubblico.
Forse, proprio una maggiore capacità critica e una più decisa presa di posizione da parte dei
consumatori –che sono poi in ultima analisi i bersagli e le vittime della comunicazione poco
corretta- potrebbero essere gli elementi decisivi per migliorare un quadro attualmente davvero poco
confortante.
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