[L’INTERVISTA] DI ANGELO MONTONATI E Come è strutturato il corso? «Dura cinque settimane ed è tutto in italiano, una vera full immersion. Equivale a due crediti per la laurea ad Harvard, non è una vacanza ma uno studio con scampoli di vacanza. Impegna per una media di cinque ore al giorno per cinque o sei giorni alla settimana. Io cerco di dividere le cinque ore in modo da dare agli studenti la possibilità di inserirsi nella cultura locale, per cui metà delle lezioni si svolge in aula, mentre per l’altra metà diamo ai giovani compiti specifici: andare in giro e interagire con i contadini, con la gente del mercato, oppure chiedere informazioni su un monumento. Quest’anno i miei ragazzi hanno redatto una Guida turistica per gli studenti america- lvira Di Fabio, oriunda italiana, gestisce l’insegnamento della lingua italiana nella prestigiosa università americana di Harvard. Molto attiva nelle comunità di insegnanti della nostra lingua nel New England, ha offerto numerosi laboratori e cantieri di aggiornamento professionale e per questo il Governo italiano le ha conferito l’onorificenza di Dama della Stella della solidarietà. Si dice che l’italiano stia diventando la quarta lingua degli Usa. Lei che ne pensa? «Secondo la mia esperienza», precisa Elvira, «dopo lo spagnolo e il francese l’italiano è la terza lingua romanza che sta emergendo da noi. E per quanto siano piccole l’Italia e la popolazione che ne parla la lingua, sono moltissi- ELVIRA, E HARVARD IMPARA L’ITALIANO Parla l’oriunda che nella più prestigiosa università Usa “ ” Dario Fo e Franca Rame hanno offerto il gelato ai nostri studenti, per loro questo aveva dell’incredibile 36 LUGLIO 2007 CLUB3 mi i ragazzi americani che vorrebbero imparare l’italiano, perché il vostro Paese offre una straordinaria ricchezza nel campo della storia dell’arte, della moda, della cucina e anche dell’industria. Uno dei miei studenti, che ha finito gli studi di Italianistica e Letteratura tradizionale, ora lavora in Cina nella filiale di un’impresa di tessuti del padre. Qualche settimana fa mi ha chiamato e gli ho chiesto in che modo può usufruire laggiù della formazione che gli abbiamo dato. Lui ha ammesso che l’utilizzo è scarso, ma siccome in Cina il design per le confezioni viene dall’Italia, ogni due o tre mesi lui arriva qui per parlare con gli stilisti. Quindi si tratta della conoscenza della lingua ma anche, tramite la lingua, della cultura e della storia del popolo italiano». Quando ha cominciato a tenere in Italia questi corsi per studenti americani? «Cinque anni fa in Calabria, a San Demetrio Corone in provincia di Cosenza. Ho scelto questa comunità grazie a una persona del luogo, perché è importante avere sul posto qualcuno che ti agevola. Nel nostro caso era Michelangelo La Luna, allora un nostro dottorando e che ora insegna Italianistica in un’università americana. Poiché lui aveva già fonda- to in paese una scuola, abbiamo deciso di portarvi un gruppo di studenti della Harvard University. Abbiamo scelto San Demetrio Corone perché quasi nessuno conosce l’inglese e poi la zona offre una prospettiva dell’Italia diversa da quella usuale: è un punto di incrocio di varie culture, tra cui quella albanese. Qui infatti si installò nel 1460 una comunità albanese, che seguì Skanderbeg per sfuggire all’occupazione ottomana. I nostri studenti possono così venire a contatto con una cultura che si è mantenuta attraverso i secoli». L’anno dopo è stata la volta di Forlì... «In quella città», spiega Elvira, «abbiamo offerto un corso di teatro, grazie alla collaborazione di un collega, Walter Valeri, che ha un cantiere teatrale per i giovani e insegna ad Harvard, e insieme abbiamo allestito uno spettacolo sul Mistero buffo di Dario Fo e la moglie Franca Rame, che abbiamo anche conosciuto di persona perché hanno una casa a Cesena. Hanno servito un gelato ai nostri studenti, per loro questo aveva dell’incredibile…». Quindi la voglia di imparare l’italiano non riguarda solo figli o nipoti di italiani… «Quest’anno la maggior parte degli studenti erano americani, e soltanto due oriun- diffonde la nostra lingua. Con la scusa della cucina di italiani hanno intenzione di specializzarsi in Italianistica. Gli altri studiano Scienze politiche, Storia dell’arte, Musica, vogliono accostarsi all’italiano per un arricchimento personale o per una precisa circostanza. C’è un ragazzo che studia Astrofisica, gli ho indicato il laboratorio del Gran Sasso. Lui studiava l’italiano per la cucina, quando ha saputo dell’esistenza di questo laboratorio ha deciso di continuare». Dopo la Romagna, Elvira approda in Abruzzo, regione dove è nato suo marito Rocco. «Ho scelto Vasto», dice, «perché possiede tutte le qualità che cercavo: non volevo stare vicino a un centro molto grande, perché quando i ragazzi vanno a Roma, Firenze o Venezia difficilmente parlano italiano, sono subito attorniati da personale che parla inglese. Ma non volevo neppure un piccolo paese remoto da cui fosse difficile uscire per un week-end. È poi vero che mio marito è abruzzese, di Lettomanoppello, in provincia di Pescara, a un’ora da Vasto». ni. Ad Harvard abbiamo una pubblicazione, Let’s go (Andiamo!), e noi qui abbiamo scritto un opuscolo intitolato Andiamo a Vasto». Lei parla di bar, di ristoranti. Perché tanto interesse per la cucina? «Perché è importante conoscere come la cucina forma un popolo. In questo contesto ci siamo concentrati sulla cucina abruzzese, particolarmente quella delle zone vicine al mare, ma abbiamo trascorso anche un fine settimana nel Parco nazionale della Maiella, cibandoci come la gente di montagna. Abbiamo iniziato il corso con quattro giorni nelle Marche, a Fermo, dove i ragazzi sono stati ospiti di famiglie in cui hanno mangiato piatti tipici locali. Poi siamo stati quattro giorni in Calabria, a San Demetrio Corone, e abbiamo avuto un conferenziere siciliano che ci ha preparato il cuscus di Trapani. Come dicevo anche agli studenti, il nostro non è un corso di cucina, ma un corso in cui cerchiamo di dare loro una conoscenza che va dal pane alla musica, dalla pizza alla danza». 왎 “ ” Un conferenziere siciliano ci ha preparato il cuscus. La conoscenza va dalla pizza alla danza CLUB3 37 LUGLIO 2007