1 Mi dicono di parlare di me Dante Raiteri [2009] 2 Mi dicono di parlare di me. Vorrei ma, appena apri bocca, subito c’è qualcuno che ti smonta. Per esempio io avevo l’idea di iniziare così: “Rifacendomi al buon Quevedo, ho incominciato a morire il sei febbraio del millenovecentoventitre…” Mi sembrava spiritoso e originale. Citavo il Quevedo per riconoscergli il diritto di autore. A cena con un vecchio amico venuto in visita si parla di questo. Ha con se la figlia, plurilaureata, che subito mi blocca e, con il garbo dovuto a chi ti ospita, dice: “ Diritto di autore al Quevedo? E tutti coloro che lo hanno affermato prima di lui? Anche gli antichi greci convenivano che si incomincia a morire dal momento della nascita. D’altronde è lapalissiano” Il vocabolo “lapalissiano” mi aprì una finestra. Lapalissiano: proprio come fu definito quanto cantarono – nella famosa battaglia di Pavia contro gli spagnoli – i soldati francesi alla morte, eroica, del loro comandante in capo, il quale: “un quarto d’ora prima di morire era ancora vivo”. Chi può mettere in dubbio l’ovvietà di tale affermazione? Giustamente lapalissiano come: “appena si nasce si comincia a morire”. Però chi si sarebbe reso conto di questa lapalissianeria se i colti non ce lo avessero enunciato? I colti, i quali, non sazi di formulare filosofici enunciati che ci conducono dalla culla alla tomba e oltre, ne conoscono la perfetta cronologia. Sia come sia Quevedo non mi ha deluso: se non è famoso per quell’ovvio dell’incominciare a morire appena nati lo è per la sua vita; mentre Jacques pur avendo vissuto una vita di tutto rispetto è famoso solo per l’involontario contributo dato, post mortem, a definire l’ovvio “lapalissiano”. Il buon Jacques de Chabannes signore di La Palice, striminzito a poche righe di enciclopedia per la sua eroica condotta e per la sua appartenenza a famiglia di coraggiosi militari.Tuttavia famoso anche tra noi incolti solo per quella cantatina stonata dalla soldataglia. Immagino ciascun componente del gruppo cantante seduto sul proprio zaino che, forse, già allora, in favore della grandeur, conteneva il bastone di maresciallo. Dimenticavo: Jacques de Chabannes signore di La Palice aveva da poco assunto il comando delle truppe francesi di Francesco I combattenti contro Carlo V. Tronco l’inopportuno dilungarmi sulle vicende dei transalpini in terra subalpina nella grande piana del nostro grande fiume. Dovrei scrivere di me … Non è facile farlo. Devo dire del fisico o dello spirito? Questo è il problema: dilungarmi, con uno Stradivari alla spalla, sul mio fisico o, sfuggendo al corporale, gettarmi avido sulle conquiste intellettuali? Pensando al teschio scarnito parliamo del corpo tornito. Il fisico, essendo di febbraio, è acquatico. A parte lo zodiaco, la Lomellina è su uno strato di acqua. Figuratevi Frascarolo, lambito pericolosamente 3 dalle piene del Po. Tanta acqua tutto diluisce: anche il calcio. Immaginate i denti di uno che non ha usufruito nell’infanzia di calcio! Beh,visto che lo avete immaginato, inutile che ve ne parli. Le gambe? Grazie a mia madre e a mio padre, dritte come un fuso; l’altezza: da non essere scartato alla visita di leva. Se fossi nato di quell’altura nella Spagna del millenovecentoventitré sarei stato un gigante. Al giorno d’oggi sono verso il nano, essendo tutti i giovani delle pertiche. Almeno quelli che hanno potuto nutrirsi bene. Quasi tutti, direi. Che altro posso dire del fisico? I piedi? Da nuotatore, come diceva, sulle sponde del Tanaro, un vicino di casa più adulto quando cercava di adularmi per suoi fini sessuali. All’epoca avevo abbandonato il Po di Frascarolo per il Tanaro di Alessandria. Ci sarebbe anche il Bormida che si getta nel Tanaro che si getta nel Po, in pochi kilometri, ma non gli ho mai dato importanza se non per andare a farci il bagno. Alla barba del Barbarossa, il poeta valorizza entrambi i fiumi e, tra di loro, fa agitare, sotto la luna, perché si veda, e mugghiare, perché si senta, un fosco bosco di alabarde di uomini e di cavalli su uno dei quali ci doveva essere un mio antenato. Per l’ubicazione dei fiumi, il Barbarossa non ce la fece a conquistare la città detta, illo tempore, della paglia e, forse, consistente nel solo borgo di San Baudolino. Prego prendere con le molle la mia ultima affermazione: è probabile che sia senza fondamento. D’altronde è noto che su Baudolino solo Eco docet! Affermo invece, con sicurezza, che, nella alessandrina paglia, oltre alle nespole maturaron e maturan pittori, poeti, saggisti, romanzieri, politici registi, etc.. Colà son maturato anch’ io. Presunzione elencarmi tra tanta colta gente? Abbonda talmente in giro, la presunzione, che non me la sono fatta mancare. Lo si vedrà meglio nello sviluppo interpretativo del cognome. Su uno dei cavalli del muggente bosco illuminato dalla luna ci stava il m io antenato. Stando a cavallo era un Ritter, uomo a cavallo. Evidentemente aveva deciso di non fuggire dai mal tentati valli, tanto più che a Tortona, già allora, c’erano i fuochi della Lega. Si è imboscato ? Non lo so. Ha sentito il canto di vittoria ergersi nella pia notte? Non mi risulta. In pratica aveva disertato. Magari qualche fanciulla compiacente gli ha dato ospitalità, convincendolo con qualche bottiglia di barbera, prima, e con l’imbottigliamento poi, che è sempre un metter dentro. O era gravemente ferito, e i baudolinensi anziché mangiarselo, per la fame subito per l’assedio, l’hanno curato. O è intervenuto papa Alessandro a 4 concederli la grazia. Sia come sia è rimasto, il mio tedesco avo, nell’alessandrino. Dicono che le lingue le modifichino gli ignoranti a forza di strafalcioni e, gli acculturati sono costretti ad annotare, nei dizionari, le volgari accezioni dei vocaboli che, a quel punto, rimangono codificate per tutti. Va così anche con i nomi stranieri. Eravamo a Ritter siamo poi passati a Reiter e, da Reiter, che si pronunciava Raiter a scriverlo Raiter. Il Fato, che già aveva preso radice, pensò bene di aggiungere una i finale altrimenti l’editrice sarebbe rimasta ER. Ecco come è uscito fuori RAITERI. Il mio avo cavaliere, disertore, o ferito grave, o innamorato, mi aveva assicurato l’avvenire: alla Rai, Radiotelevisione Italiana che, opportunamente e tempestivamente, si era aggiornata da ERI a EIAR a RAI, altrimenti il mio avo avrebbe fallito lo scopo. Spezzettiamo il cognome come si fa in qualsiasi buona analisi : RAI per il lavoro di regista; T per una possibilità che ho sempre ignorato non avendo l’istinto di imporre le cose come fanno in Tv : oltretutto la mia T manca di un pezzo importante come la v, anche se si scrive minuscola. Meglio rimanere alla fantasiosa e libera Radio; ERI: fino a che c’è vita c’è speranza. Può darsi che alla fine l’Edizioni Radio Italiana. qualcosa mi pubblicherà. Dunque: nomen omen. RAI t ERI: nel nome il destino. E per tutti gli altri Raiteri in circolazione? Affari loro. (fine prima puntata) 5 Dovrei fare il riassunto della prima puntata. Penso sia meglio evitare. C’è una seconda e ci saranno terza, quarta, quinta e chissà quante altre. Ho un’esperienza…divertente a proposito di “riassunto delle puntate precedenti”. Un attore amico mio, in quel caso adattatore per la radio di “La luna e i falò” del grande Cesare Pavese, nel riassumere le puntate precedenti all’ultima scrisse ben due cartelle e mezza per una lettura di cinque minuti per una puntata di quindici. Non vorrei ripetere l’errore: e poi, andando a ruota libera riassumere è un po’ difficile. Quindi niente riassunti dinnanzi ai miei occhi. Dei quali occhi ancora non ho parlato, posponendoli ai piedi. Non è per mancanza di riguardo. È che i miei occhi non li ho mai visti. Li conosco solo per quanto mi hanno detto le mie varie metà, senza per altro essere concordi. Chi me li dava verdi, chi me li dava marroni. La discordanza mi incuriosì e un giorno cercai di guardarli allo specchio: forse per il bagliore o forse per la presunzione rimasi accecato. E così non seppi. Mi consola che nessun’altra mia metà abbia scantonato dai due colori: un trino sarebbe stato drammatico anche se perfetto. Che altro sul fisico? I capelli? Ormai bianchi tendenti al grigio ma folti.Quando non mi rapo. In giovane età per volontà paterna poi per decisione mia. In questo non so quanta influenza abbia avuto la lettura dei fascicoli della Nerbini sulla storia dei Savoia specie di Emanuele Filiberto detto Testa di Ferro. C’erano anche tutti gli altri capitani di ventura, nei fascicoli, ma sembra andassero sempre con l’elmo in testa. Anch’io ebbi un elmo, una volta. Consisteva in una immensa e invadente capigliatura. Uno dei tanti capelloni del periodo, breve. Zazzeruto mi capitò di andare a Palazzo Chigi, governando Andreotti, con uno dei suoi collaboratori che intendeva farmi leggere suoi copioni. Entrando nell’androne, alle guardie che mi scrutavano l’amico disse: “ Ha i capelli lunghi ma è con me !” “Va bene “ Risposero in coro le due guardie, e passai. Non corsi dal parrucchiere per entrare a Palazzo, tuttavia mantenere e curare una folta chioma è una gran fatica, per cui taglio a zero. Per la barba, o pizzo o quel che vi pare, che porto dal millenovecentoquantanove è diverso. Io andavo regolarmente dal figaro per curarmela, la barba, ma, a Parigi, un barbiere che non mi poteva avere come cliente, forbici alla mano, mi disse: ” Ma lei si aggiusta la barba da solo o no? “ “ No.” “ Nooo?! È così facile… guardi nello specchio” E mi mostrò l’arte. Dicevo che per la barba è diverso. Lo è perché mentre per i capelli nessun barbiere parigino può insegnarti a tagliarteli da solo, con la barba puoi fare da te e variarla come ti pare, a mesi, a settimana. Anche a giorni. È un gran divertimento, specie guardare la faccia di coloro che ti vedono con diverse architetture barbatiche. 6 Non ho mai giocato a carte, dadi, roulette o altro; ho sempre giocato con barba basette capelli e vestiti. Quando registrai la storia, da me scritta, di un ammirato combattente messicano avevo baffoni e basette che più messicano di così non si poteva essere. Per le venticinque trasmissioni su Federico Garcia Lorca mi erano rimasti i soli basettoni, e irritazione per l’acrimonia con cui un attore aveva espresso opinioni negative sul poeta andaluso. Con me, l’irritazione, poiché non capivo le ragioni di quella svalutazione totale dell’opera di Federico. Mia beata eterna ingenuità: quell’attore frequentava gli stessi romansalotti di altro andaluso, uso ad andare per smarrite alberete in quel di Cadice. Lui sì grande poeta, lui sì meritevole di morte per la sua attività politica. Non già Federico che di politica non si era mai interessato. Tali parole risuonarono in Granada, Alhambra, Patio de los Arrayanes. Da indignarsi. Ma gli amici spagnoli, molto comprensivi, mi dissero che data l’età, del poeta politico, si poteva sorvolare qualunque cosa dicesse. Gli teneva bordone Ian Gibson, biografo di Lorca. Gibson nel suo primo libro sul poeta, che doveva essere una tesi di laurea, aveva affermato – chi sa da chi informato - la stessa cosa; per poi lentamente correggerla fino a dimenticarla nelle innumeri riedizioni dei suoi sempre più voluminosi volumi su Federico. Finché, inaridita la fonte, spadroneggiò sulle storie di altri partecipi alla guerra civile. Alt! Me lo impongo. Sto parlando di altri. Sfioro il pettegolezzo. Potrebbe essere invidia: qualche radichetta c’è sempre. Anche se cerco di non dimostrarlo: “la procesión va por dentro”, direbbero in questo caso gli spagnoli. Hanno uno infinità di citazioni realistiche, proverbi a caterve. Uno per tutti: noi diciamo “mal comune mezzo gaudio” e loro “ mal comun consuelo de tontos”. La cosa curiosa è sapere come mai, dopo avere spadroneggiato per quattro secoli da noi, ci abbiano portato via il proverbio furbo per lasciarci quello…nostro. Si chiacchierava di invidia. Cattiva consigliera madama invidia. Non so che cosa c’entri in questo caso l’invidia, forse la presunzione. Una volta, gentil fanciulla mi accusò di invidia verso altra fanciulla, arrivando a dire che la invidiavo in quanto la concupivo mentr’ella mi respingeva. Non ho riso per educazione. Il verde dei miei occhi lo aveva scoperto la concupita ma respingente fanciulla, al sole, dopo un meritato riposo. Dopo. Queste contaminazioni tra lavoro e piacere non rientrano nelle mie abitudini. Il caso citato era nato fuori dall’ambiente di lavoro radiofonico, tempo prima, in una breve lucrosa avventura come regista di fotoromanzi. Mi tremavan le mani quando firmai l’assegno di oltre un milione di lire, allora! Altro valore il denaro; altra produzione la Lancia. Ma il tempo passa. 7 Le cose evolvono: in su o in giù, ma sempre evoluzione è. Già, invecchiando si rimpiangono i tempi andati come migliori e nessuno sa se sia vero perché i ricordi si alterano e si trasformano: secondo ciascuno. Due persone che abbiano vissuto la stessa esperienza la ricordano in modo diverso. E reincontrandosi con il passare degli anni, si discute se era rosso o se era nero, alto o basso, piacevole o sgradevole. E si passa il tempo. E col tempo uno dei due se ne va e il ricordo della cosa insieme vissuta se ne va con l’amico perduto non avendo alcuno con cui dividerlo. Sto per terminare la seconda puntata e, dato che le manie non si perdono, anche qui ho il pallino di comporre ogni puntata con lo stesso numero di pagine e di righe, così come ogni mio programma radiofonico con più di una puntata aveva la stessa identica durata. In principio i tecnici mi prendevano per i fondelli, ma poi si divertivano ad applicare questa forma di disciplina. L’avevo imparato dagli americani scesi a sacrificarsi per accogliere la nostra ingratitudine. Tagliavano inesorabilmente il programma se oltrepassava il tempo stabilito. Lo sfumavano. Io non mi sfumo perché ho finito la seconda puntata. ( alla terza) 8 Sabato 25 aprile. Le sette e tredici. Fra due minuti la sigla di Radio tre per la lettura e commento delle prime pagine dei giornali. Questa settimana c’è SANSONETTI. Però alle sette e trenta, su Radio Radicale, c’è TARADASH. Che si fa? Entrambi – e quasi mai è così – sono bravi. Fuori il tempo è bello. Non voglio fare torto ad alcuno dei due. Una soluzione sarebbe ascoltare l’ex direttore del Manifesto e, dopo le nove , la replica della letturacommento di Taradash. Solo che, a Radio Radicale , la replica non è mai sicura e quasi sempre non è mai completa. La interrompono quando gli gira, magari per farci risentire per l’ennesima volta una dichiarazione del salvatore, in pectore, di Saddam: l’intramontabile Marco Pannella. E allora? Allora, anzi ora, prima che il tempo si sciupi, risolvo il dubbio con una bella passeggiata. Nel profumo dei pini, vittorioso su quello di aranci e limoni ma soccombente, con il salir del sole, a quello delle nespole. Qui maturano sugli alberi. Grandi estensioni. A volte sotto la protezione di biancastre superfici. Al momento a macchia, tra il verde della vegetazione. A sud, in Almeria, il mare di plastica scende ininterrotto dalle pendici della Sierra de Gádor al Mediterraneo. In quelle sterminate serre si coltiva il coltivabile, contro il limite naturale della stagione. A prodotto medio maturo, braccia di importazione stagionale, lo colgono;lo caricano su autotreni gambuti come bruchi e via per il nord Europa. Questi bruchi, lunghi come processionarie in fila,vengono, a volte, gustosamente schiacciati dai francesi che si vedono rubare il mercato. Ritorno delle antiche liti contadine e dazio per passare in territorio altrui. Tra un pensiero e l’altro giungo al bordo dell’autostrada che fende il verde, ai piedi del Puig - Campana. Mi volgo alla montagna: uno spettacolo. A sinistra Sierra Cortina, in semicerchio centrale Puig-Campana e Ponoch, a destra Sierra de Bernia. Un tempo, padroni assoluti di loro stessi, i monti, avevano concesso, a mezza costa, sufficiente terreno per La Nucía, Polop de la Marina, Callosa d’en Sarrià. Immutato il paesaggio, per secoli, da quando, i così detti nobili, compravano o vendevano borghi e città. Gli abitanti, schiavi del luogo, erano inclusi nel commercio. Finita – almeno ufficialmente - questa forma di asservimento che impediva di abbandonare il luogo di nascita, rimasero, con la storia del passato,il paesaggio e il sole. Già se n’era scritto nei secoli scorsi da illustri viandanti, per gente che non leggeva. Finché il sole di Spagna è stato riscoperto. Non certo dai soldati italiani destinati a combattere per Franco. Venivano dalla guerra di Abissinia - per un posto al sole, - e con le divise d’Affrica, comandati a Teruel a morire di freddo. La dittatura non portò beneficio economico. Il popolo viveva in povertà. Un caffè che da noi costava dieci, qui costava due… 9 Sì, la Spagna, praticamente esentasse, era molto economica e gli avvoltoi del risparmio la preferirono, Franco imperante, quale terra solatia di vacanze. Pensando alle corride, gli ispanisti hanno stabilito che, nel suo perimetro, la Spagna assomiglia alla pelle di toro. Non hanno considerato che solo morto e spellato il toro ha detta somiglianza. Noi italiani, con lo stivale, almeno qualcosa di utile, magari sul didietro di qualcuno, lo possiamo sempre fare. Scherzi della natura. A chi madre, a chi matrigna. Il notevole vantaggio economico attirò; i pini caddero; due milioni di pesete di multa per ogni pino abusivamente abbattuto, non fermò lo sterminio. Lo sterco del diavolo, il denaro, sfondò le saccocce dei costruttori. I quali, senza ritegno, violentarono le falde delle montagne, stuprando i declivi e impregnandoli con il mattone. Perché scrivo lo su scritto? È una specie di mea culpa per aver contribuito, sia pure indirettamente, in quanto di seconda mano, alla situazione. D’altronde non sfuggo alle mode. Si è domandato scusa per le crociate; per lo sterminio degli aborigeni sudamericani effettuata dagli spagnoli diventata “leggenda nera” nella letteratura anglosassone; per le guerre di religione europee: tenute in piedi dall’oro e dall’argento depredato agli aborigeni: benedetti e spediti in cielo; per lo sterminio degli aborigeni chiamati Indiani da Colombo, compiuto dagli invasori europei; per tutti coloro fatti fuori o incarcerati per un diverso pensare, magari circa sole e terra. Sicché mi accodo: perché non domandare scusa,(retorica), per avere acquistato, di seconda mano, una villetta nel declivio, un dì pinoso, del Puig-Campana al mare? Non è che l’acquisto sia granché. Infatti,nella stagione del polline tende al giallo. Colore attribuito dai colorologhi all’invidia. Mi auto invidio ? Ho lasciato il cuore a Firenze e, quando dal grande terrazzo il mar rimiro, il muscolo si intenerisce e palpita nella visione: oltre la distesa verde azzurro grigia del mare c’è la parte più importante della mia vita. Non proprio in linea retta; piuttosto obliqua, direi. Qui siamo all’altezza della Sicilia. Roma è molto più in su, all’altezza di Barcellona . Sì. Migrante fui dal Potanarobormida al Tevere. Ci arrivai alle nove di mattina dopo una faticosa notte su un treno lumaca. Diretto a Via del Babuino, chi ti incontro? Il quizologo ante Mike. Si diceva inventore di “una domanda facile facile”. In verità il giochetto era uscito, in Firenze, dallo zaino di Funaro, sergente americano, responsabile per la radio. Comunque bravissimo nel raccontare le proprie verità, il quizologo nostro avrà una strada a sua nome in Saxa Rubra. Feudo RAI-TV. Si, lo incontro e mi sommerge in un fitto blablabla elogiativo del lavoro svolto a Radio Firenze, quando ci ero arrivato con gli alleati, e per RADIODRAMMA, la mia rivista di arte radiofonica. 10 Guarda caso, le stesse ragioni per cui era stato concordato un colloquio con Sergio Pugliese per una mia eventuale assunzione. Candido come un giglio, con l’ulteriore viatico avuto in quel fortuito mattutino incontro, mi avvio e, superati i controlli, entro nella direzione generale della Rai. Rintoccano le dieci. Ai piani superiori mi ovattano in un salottino. Le ore passano. Lente. Alle tredici la porta si apre. Compare una signora. In mano una lettera. Me la tende. Attende, la signora Della Seta, che la legga. Convenevoli d’uso e poche righe: “Al momento i nostri quadri sono completi.” Sconvolto per il viaggio notturno; per l’inutile attesa; per la delusione cocente? Dir non so. Però la richiesta di essere ricevuto almeno un momento fa breccia. La signora torna dal capo e, da brava segretaria, lo convince a vedermi. Sono ormai le tredici e trenta. Saluti piemontesi e colloquio brevissimo. Dissi : “Ormai sono qui, perché non mi manda per una settimana a via Asiago a realizzare qualche programma ? Se funziono, bene, altrimenti a casa.” Il buon Pugliese baffeggia qualcosa. Alza il telefono per dare disposizioni in merito. Si incavola perché nessuno risponde dall’altra parte del filo, né Dudú La Capria né Franco De Lucchi. La Della Sete, pacificatrice, gli fa presente che data l’ora sono alla mensa. Allora il Capo chiama via Asiago. Vittorio Vecchi, stacanovista, è alla sua scrivania. Pugliese gli dice di me. Forse c’è qualche obbiezione, per una polemica avuta con lui, su Radiodramma. Insensibile, il capo gli dice di mettermi alla prova: da domani per una settimana. Così fu. E la settimana si trasformò in trentacinque anni. Periodo minimo per una ragionevole pensione. (aspettatevi la quarta puntata) 11 Bando alle chiacchiere. Ora vado al grano, come dicono qui. Spiattello pari pari l’elenco dei lavori che ho scritto per la radio. Con una precisazione: quelli trasmessi con prestanome sono più numerosi di quelli andati in onda con il mio nome. I miei ventiquattro lettori alzeranno isolatamente un sopracciglio: “sta a vedere, gli hanno fatto il favore di prestargli il nome, e ora li mette in piazza !” No, l’ingratitudine non è il mio forte. No, non spiazzo alcuno. Ho rispetto delle persone che si cuccarono la metà dei dinderi sacrificando il proprio nome. Mi infiamma la generosità altrui. Ho scritto “persone” in quanto si tratta di ambo i sessi, per la par condicio. E qui sgorga non tanto il problema del “Che fare ?”, bensì del come fare. Una sbirciatina al Devoto-Oli mi ha risolto il problema, ponendomene un altro: circonlocuzioni o perifrasi? Avendo solo intenzioni protettive ho scelto perifrasi. Quindi i titoli prestanomati saranno accennati solo in forma perifrastica. Ai miei trentasei lettori ( c’è l’inflazione ) dirò la ragione che mi ha spinto a ricorrere a prestanome: il 220. Il duecentoventi è un ordine di servizio che, nel secolo scorso, fu emesso in RAI. I dipendenti non potevano scrivere testi per la trasmissione, salvo autorizzazione. Il lato curioso è che la pensata del 220 era degli stessi che da tempo sbolognavano testi con prestanome. Ed ora all’elenco perifrasticizzato: Milena Rizza, giornalista, scrisse un lungo articolo su “Le hanno rubato la terra ed è diventata scrittrice”. Maestra della titolazione, alludeva ad una serie di puntate su un viaggio in Spagna, negli anni cinquanta. Firmato dalla mia seconda metà legale, Ofelia Bistuer y Rivera, di El Grado, Huesca, España, e mia prima prestanome. Avevo scritto di perifrasi, ma ai defunti non si può far danno. Si salta poi a quel famoso prete romagnolo che portò in salvo Garibaldi in fuga dagli eserciti nemici. Il paese è Modigliana. Chi lo firmò? Giuro che non lo ricordo. Ho fatto poi un viaggio in Messico per vedere la gente, i luoghi e le rovine della casa del più famoso guerrigliero dello Stato di Morelos. Sono stato ad Anenecuilco. ( Che fatica farlo pronunciare correttamente agli attori. È semplicissimo. Basta non tentare di dire subito il nome tutto di seguito. Va diviso: Anene/ cuilco. Pronunciato prima separatamente diventa poi semplice dirlo unito.) Questo guerrigliero, mulattiere di professione, mi portò all’altro rivoluzionario, interpretato anche da Wallace Beery. Vidi quel film nella mia giovinezza e rimasi meravigliato di quanto tracannasse quel tipo. Quando mi sono documentato, per scrivere il mio lavoro, ho scoperto che l’uomo era assolutamente astemio. Forse gli sceneggiatori del film visto in gioventù appartenevano alla inventiva corporazione dei giornalisti. Dai rivoluzionari per i diritti umani ai rivoluzionari nel loro campo. Per anni ho meditato sull’autore della “Sinfonia Fantastica”. Ne parlavo con gli amici, uno dei quali, Renato Cominetti , per stimolarmi , mi provocava, sostenendo che quel compositore non fosse granché. 12 Il tempo del pensare mi fu ben ripagato: oltre alle sacre antenne RAI , il lavoro, naturalmente con altro titolo, passò per le paradisiache antenne RSI, e qui con il mio nome. Sì, con altro titolo. Il brevetto del sistema appartiene ai più famosi collaboratori rivistaioli del tempo. La domenica, a Roma, mandavo in onda, dal vivo, un programma locale contenente anche scenette comiche. Gli autori, ormai non li danneggio più anche se lo rivelo, avevano l’abitudine di riciclare, con altro titolo, le stesse scenette, al programma di rivista che andava in onda su rete nazionale nel pomeriggio della stessa domenica. Dopo il compositore, lo scrittore, il poeta. Figura leggendaria della letteratura europea. Espulso dalla sua patria visse in Italia e in Svizzera per poi morire di peste a Missolungi, dove era corso per combattere, con i greci, contro l’invasore turco. Interpretò il personaggio Warner Bentivegna. Bravissimo a recitare talmente vicino al microfono che un minimo movimento della testa avrebbe fatto battere i suoi occhiali sul microfono: punto focale della trasmissione. Detto meglio: l’orecchio dell’ascoltatore. Mariano Rigillo, consigliatomi da Pinotto Fava, era stato interprete del compositore. Non fu soddisfatto l’attore, non lo fu il Raiteri. A quel tempo Mariano aveva marcata cadenza napoletana, e sfuriava al microfono. Riuscii a portarlo verso una recitazione più consona alla mia concezione; disse poi che, costretto a parlare sottovoce, non aveva potuto esprimersi . A chi mi domandava il perché della scelta di un attore con cadenza partenopea, rispondevo che il compositore francese era del sud. Sempre molto accomodante sono stato ! Ho constatato questi meccanismi nell’attore: se ha fiducia nel regista collabora; se non ha fiducia, dice di sì a tutto ma, quando registra, fa di testa sua. Tranne se sa di dover ripetere fino a raggiungere l’interpretazione suggerita. Se si va dal vivo, cioè in diretta, l’attore è padrone. Formato un gruppo mio, lavoravo felicemente. Un solo cenno per capirci. Torniamo ai testi: Il cavaliere della Mancha. In tutti i posti dove siamo stati ( con la mia terza metà legale ) abbiamo trovato piena collaborazione. Il nostro modo di realizzare i programmi era basato su interviste integranti il testo scritto. Cioè: le domande erano per un completamento drammaturgico; gli intervistati: come attori. Dei siti cito solo Alcázar de San Juan. Tuttora incavolatissimi per il luogo di nascita del gabelliere. Per i colti sarebbe nato ad Alcalá de Henares, dove gli hanno attribuito una stupenda casa sempre meta di curiosi. (Non mi spiego come un tizio, con una casa così, girasse la Spagna per raccogliere le gabelle.) La controversia nasce dal fatto che avendogli domandato, in punto di morte, dove fosse nato, si dice abbia risposto : “Ad Alca…’’andandosene, senza terminare, preda ai vermi. Per i castigliani il troncamento suonò Alcalà de Henares, per i mancheghi Alcázar de San Juan. 13 Quante dispute per l’eroico soldato di Lepanto… Comunque astuto, risoluto, coraggioso e con una gran dose di fortuna. Maleficio, invece, per Lorca. Venticinque puntate; stupendo interprete Omero Antonutti. Brevi interviste di testimoni del 1936 , compresa la sorella del poeta, in testa ad ogni trasmissione. Per questo lavoro ebbi la deroga al 220: “purché i diritti di autore andassero alla RAI”. Precedentemente c’era stato “Carreteras verso Lorca ed altro” costruito in sito con la collaborazione del paese, e basato sulla prima celebrazione di Federico permessa dalle autorità. E la Guardia Civil stava sui tetti, e armata, a vigilare sulla grande piazza. Tutto questo a Fuente Vaqueros. Già in pensione ho saccheggiato i libri su Colombo. Non i settemila e più, solo un duecento: tutte congetture, tranne per la Falcetti che in un programma di Biscardi dichiarò che sul navigatore sapeva tutto. Forse gli avrà anche dato le istruzioni per l’uso. Ne sono usciti due lavori: uno per Radio Tre, dieci puntate di mezz’ora; uno per Audiobox, programma multicodice di Pinotto Fava. Al quale Pinotto debbo molto per tutti i programmi che ha accettato. Mentre per il Terzo si tratta di una scrittura piuttosto seria , per Audiobox mi sono un po’ abbandonato al divertimento, alla presa di bavero. Giocai sulle chiacchiere messe in giro, come certezze, su come e perché e quando Colombo avesse inciampato l’America. Spinto dalla mia terza e ultima metà, intervistai i più quotati studiosi spagnoli di Colón. Ci voleva Francesca per vincere la mia timidezza e la nessuna voglia che avevo di importunare i colti. Furono tutti cortesissimi. (sono costretto alla quinta) 14 Se mofaban de mi…pardon, mi sfottevano quando, registrate, tutte le puntate avevano la stessa durata. Naturalmente se misurate sulla stessa macchina.Cambiando macchina poteva esserci uno scarto di una trentina di secondi…a macchine tarate. Questa della taratura è una storia che mi costò una pessima figura e il rifacimento di un programma. Dalla radio svizzera (RSI) erano venute sei bobine della durata di trenta minuti primi ciascuna. Il titolo che l’autore, Magris, aveva dato era “ Passerai per il camino”. I meno giovani capiranno. Le bobine giunte a Giulio Cattaneo, colonna del Terzo programma, furono passate a Rolando Renzoni che mi affidò il compito di trarre un’ora di trasmissione da quelle tre ore. Nelle sedi principali non c’erano spazi liberi e, per realizzare il lavoro, mi mandò alla sede RAI di Ancona. Felici di produrre per una rete nazionale collaborarono con entusiasmo. Non erano previsti attori. Si trattava solo di scegliere brani dalle sei bobine della RSI e costruire un nostro programma. Tutto bene. Tutto rapido. Scartai gli stacchi musicali, Tra dichiarazione e dichiarazione dei sopravvissuti ai campi di sterminio, unico stacco tre secondi di silenzio. Nessuna musica, nessun compositore avrebbe potuto sottolineare la tragedia inclusa nelle parole. Niente è più drammatico del silenzio. Il silenzio della morte. Terminato il lavoro portai a Roma le due bobine, di trenta minuti ciascuna, e che aveva sentito in fase di lavorazione, per ascoltarle con i responsabili di Radiotre. Sorpresa: sotto le voci che dicevano dei campi di sterminio, delle camere a gas, degli aguzzini nazisti s’udivano schizzi di musica, farfugliare di parole. Alla sede di Ancona era successo che, nella macchina usata per registrare, la testina di cancellazione, posta prima di quella di registrazione e non ben tarata, aveva lasciato, sul nastro riutilizzato, strascichi del programma precedentemente inciso. “E non te ne sei accorto?” domanderete. “Nossignori. Quello di cui non mi sono accorto è che il tecnico, anziché mettermi l’ascolto sulla macchina che registrava ( e allora entrambi ce ne saremmo accorti ) me lo aveva dato da quella che mandava la bobina originale della RSI, esente da difetti, e dalla quale sceglievamo i brani da utilizzare, riversandoli sul nastro contenente il famigerato sottofondo.” In una delle sedi principali nessun tecnico si sarebbe sognato di utilizzare un nastro già usato, ma nelle piccole sedi era tutta un’altra faccenda. Se a Roma, il nastro che in montaggio si toglieva dalla bobina, veniva buttato nel cestino, nelle piccole sedi veniva recuperato. Appiccicato pezzo a pezzo, con immensa perdita di tempo, veniva a formare la bobina recuperi. Sulla quale bobina il programma che fosse stato registrato, specie se musicale, risentiva, con percettibili sbalzi di livello, o cambio di colore, sia delle troppe giunte sia della diversa qualità del nastro giuntato. 15 Insomma era una operazione economicamente ed artisticamente controproducente. Sia chiaro che parlo della mia esperienza e del mio tempo. E questa precisazione non vorrei più ripeterla. Così come quella che vado a memoria e non consultando vecchie annotazioni. A proposito di memoria ( sempre che non mi tradisca, essendo femminile): mi pare che questa bischerata del recupero avvenisse anche a Torino, certamente sede a nessuna minore. Ma qui è questione di mentalità. I piemontesi sono tirchi e super risparmiatori. Hanno anche risparmiato le proteste quando Roma, con garbo e delicatezza, gli ha soffiato tutte le cose nate lì: cinema, radio, televisione e rispettiva direzione generale. Ma, come si dice, chi se la cerca se la trova e poi se la tiene. Hanno mandato La Marmora a fare breccia nelle mura vaticane, per annettersi Roma. Non contenti di essersi messi in casa una lupa l’hanno piedistallata facendola capitale. Risultato: hanno sminuito se stessi, i fiorentini e tutti quelli della Gallia Cisalpina, al nord del Rubicone: già storico rivoletto romagnolo. Da quel momento il grido non è più stato “alea iacta est” ma “ Roma Ladrona !” I padani, della padanía ( attenzione a non sbagliare l’accento se non volete sentire gli strilli di Sgarbi) i padani, scrivevo, non sazi con il novello grido, indifferenti alle fatiche passate per l’unione, misero in moto il pensamento, specie nei giorni delle nebbie. Tra un grappino e l’altro, hanno studiato come tamponare quello che considerano il ladrocinio degli schei locali e mettere così in difficoltà la capitale papalina. Dai che ti dai hanno ottenuto, pare per un prossimo futuro, di farla rubare di meno con un marchingegno fiscale. Piú o meno: separare, per il momento, solamente gli incassi. In seguito si vedrà. Forse mi sono depistato. Perdendomi per astrusi sentieri sconosciuti alla audiodrammaturgia, unica cosa in cui sono in grado di parlare. Salvo contestazioni da qualcuno che ne sia più forte . O più forte gridi. A volte, nei miei anni fiorentini, andavo sotto i portici, accanto alla Posta. Colà fiorivano le gridate discussioni politiche. Mi affascinava studiare la loro tecnica di discussione. Non si davano sulla voce, parlavano alternandosi, visibilmente ignorando, il tacente, quanto diceva il parlante. Ore e ore così. Su una cosa sola concordavano, andare a pranzo alla su’ ora. Ahi me! Guarderò fuor di finestra per snebbiarmi di politica. Anzi, meglio: vado in terrazza. Splendida giornata di maggio; terzo giorno dal primo. Famoso primo con tanti discorsi… Non li ho sentiti, come il 25 aprile quando, per il forte richiamo della silente aria aperta, oltre i discorsi, persi anche i commenti di Sansonetti e Taradash. 16 L’aria profuma. La terra più calda attira brezza dal mare.Una distesa immensa che, da un verdolino cinabro , lentamente, tra varie tonalità di azzurro, si tramuta in un grigio all’orizzonte. Respiro profondo; rientro. Allora erano altri tempi in RAI: tuttavia l’episodio anconetano non ebbe per me alcuna conseguenza, se non quella di rifare il programma, a Roma, esattamente come era, escluso il micidiale sottofondo. Sentite come erano diversi i tempi: domenica mattina, programma “Mattinata in casa”. A volte dopo di noi entrava la sede di Napoli e in questo caso bisognava terminare il programma trenta secondi prima per dar tempo all’uccellino della radio di cinguettare quindici secondi per la stazione emittente che lasciava e quindici secondi per la stazione che subentrava. Si trasmetteva in diretta.Verso la fine del programma domando a Baldo Perugini, allora aiuto regista: “Entra Napoli ?” Lui guarda lo stampone ( il foglio schematico di tutte le trasmissioni della giornata) e mi dice che no. Invece era che sì. Morale, passai la linea con ventinove, dico 29 secondi di ritardo. Per questo “disservizio” ebbi una ramanzina dal maestro Grassi e una lettera di richiamo. Altra volta andammo alle quattordici a piazza Venezia per una intervista in strada. C’era silenzio, lontanissimo passò una Vespa. Al ritorno in sede ci fu un consulto con il responsabile della parte tecnica, ingegner Campagna, per decidere se la registrazione, per via della motoretta, potesse o no andare in onda. E non vi dico quando si trattava di tagliare le frasi di un intervistato. Non si poteva tagliarlo lasciandolo gambe all’aria. Nel nostro gergo “tagliarlo a gambe per aria” voleva dire troncare la frase senza che fosse conclusa sia di senso sia di tono. “Così si lavorava, allora, signori miei, oggi abituati solo a tagli gambe all’ aria”. (il seguito alla prossima sesta) 17 Eccoci alla siesta. Pardon, alla sesta. Questa sesta è solo appuntata e non sviluppata e scritta, dopo una lunga interruzione, almeno 79 giorni avbolodoalf. ( AVanti BOcciatura LODO ALFano). Che fiducia puoi dare a chi ti dà notizie ingannandoti nel farti credere che legge su un foglio mentre in realtà legge sul gobbo? A parte il ridicolo di occhiare ogni tanto il foglio per una frazione di secondo. Uno dei due Saviane, per l’età mia il nome mi sfugge, illo tempore, portò scompiglio in tv definendo, su un diffusissimo settimanale, mezzi busti i notiziaristi. Da allora le scrivanie, le seggiole o lo stare in piedi o posare le natiche sul tavolo si sono sprecati finché due dirigenti, al bar, hanno risolto il problema avendolo sotto il culo: la seggiola alta ( devo vedere come si chiama in commercio). Il fatto è che non si trattava di mezzi busti in quanto a mezzo busto ripresi, ma di mentalità. I quaquaraquà della informazione , sempre vivi e vegeti anche se ora sono inquadrati dall’inguine in su. Stamani, 21 luglio ’09, ne ho sentita una bellissima dal riccioluto direttore siculo, che non avendo rivoluzionato in gioventù come avrebbe voluto, è approdato in rai ritrovando con il tempo anche la voce; sta in Rainews24, lo chiamano direttore. Stamani presentava, al solito, un libro. Presente l’autore con il quale interloquiva. Ad un certo punto lo scrittore dice “…non passa lo straniero…” Irrompe il direttore : “È una nota frase della resistenza…” Al nostro colto compagno direttore gli è sorgato dal cuore l’unico “no pasaran” possibile. Quello della “passionaria Ibarruri. Lo scrittore precisa: “È nella canzone del Piave.” Il direttore, così si rivolgono al Corradino, rosso come un gambero cotto: “Hai ragione, hai ragione…” Molti credono di dare valore alle stronzate che dicono se le dicono muovendosi. Questo in tv. In radio con la lettura a più voci di un testo insignificante si pensava ( e si pensa) di valorizzarlo. Tutto l’anno a lesinare sul costo dei programmi, poi giù a spendere in novembre e dicembre. Il fatto è che se la rete risparmiava sul finanziamento annuale, l’anno successivo decurtavano il finanziamento di quanto non avevi speso. Anziché premiarti per il risparmio, ti punivano. Corradino di Svevia , o il Corradino notaio di Padova : entrambi persi nel passato hanno, come erede, il rivoluzionario Corradino Rai News 24. Legge i giornali come si usava nei conventi: mentre i convittori manducavano un frate leggeva. Leggeva il lettore, taceva il convittore. A 18 tale stato sono gli spettatori di Rai News 24. Il nostro svevo legge le sue scelte e ci dà i suoi commenti. Sembra di grande obbiettività. Tanto grande da essere attaccato dai suoi concolorati. Tuttavia quando, per esempio parla del lodo Alfano non dice mai che scade con lo scadere della carica. .Ri-memento: ho usufruito di una lunga siesta prima di riscrivere. Usufruitore finale della siesta è chi se la dorme. Mi è capitato di leggere in internet alcune pagine sulla storia del radiodramma di una autrice della quale non ho annotato il nome. Sembra che il radiodramma sia tale solo quando è supportato da musica originale; si apprende come Aurelio Rozzi fosse consulente musicale a Firenze: con il maestro Colonna era uno dei miei consulenti musicali quando lavoravo alla sede RAI di Roma. Quando mi sono trasferito a Firenze, Rozzi non l’ho mai visto; che “ La guerra dei mondi “ è opera di Orson Welles e tante altre amenità. Inoltre questa documentata autrice della “storia” del radiodramma, non contenta delle proprie travi, rivede le pagliuzze altrui. A Rainews 24 ( e daje ) hanno inventato una nuovo modo tv: dal buco della serratura. Le notizie, anziché dirle allo spettatore, se le raccontano tra di loro. Arrivano anche a dare le spalle. La tv buco della serratura è solo la seconda novità. La prima è la tv movimento: i ciarlanti si fanno riprendere mentre camminano; a volte allungano la mano, che diventa manona, sul muso dello spettatore. Magica invenzione di un filosofo notturno e della sua spalla. Risultato? In quattro e quattrone vi è stata del parlar deambulando gran diffusione. A parte la manona sul muso, che ne dite del dito nell’occhio anche se chi ve lo infila è una bonona che si alza da un invitante divano? Non ho mai capito come sia possibile che ogni giorno le notizie siano in quantità tale da permettere ai giornali di uscire sempre con lo stesso numero di pagine. Dopo diciassette anni, (uno sette ), che ci danno di prima mattina istruzioni per l’uso sempre “velocemente perché ho pochi secondi”, mi permetto di darne una a mia volta: usare il cervello prima di muovere la lingua. L’ultimo dei Moicani (gli aborigeni buoni) potrebbe essere Vespa. Gli altri si sono persi nel tempo, uno nella commissione di vigilanza. Questi aborigeni buoni, questi nostri moicani erano (ed è) rispettosi della lingua in tutti i suoi aspetti. Per esempio non avrebbero mai sostituito asperrimo con 19 “asprissimo” come fece in trasmissione una giornalista. La quale, pervenuta anche alla direzione di una rivista femminile, in ricordo di Asprissimo, la titolò “A“. Spariti i Moicani oggi, in campo, ci sono solo stranieri solo invasori solo guastatori. Stranieri invasori guastatori della lingua, naturalmente. E tutto è nella norma in quanto non vi è limite al possibile. Nessuno rileva alcunché. Al più rilevano qualcuno soffiandogli il posto mentre è in ferie. Forse capitava pure fra i Moicani anche se James Fenimore Cooper non ce lo ha lasciato scritto. Gli italiani, (noi italiani) sono gli unici al mondo che leggono i nomi o le parole straniere con la pronuncia (quando ci riescono) della lingua cui appartengono. Probabilmente è una derivazione atavica. Abituati alle invasioni si sono sempre sforzati di accattivarsi l’invasore adeguandosi a lingua e costumi. L’albergo Palestina a Bagdad, tra le cui mura se ne stavano trincerati i giornalisti trasmettendoci di guerra e magari litigandosi gli operatori, lo pronunciavano Palestain. Proprio l’albergo contro il quale un carro armato americano sparò colpendo a morte Couzo, ( controllare il nome) giornalista spagnolo. Quante polemiche su quella morte! Il noto giudice Garzón si attivò per mettere in galera i carristi, senza riuscirci. A giustificare lo sparo americano contro il Palestina e a chiudere le polemiche sarebbe bastato che la giornalista italiana si fosse ricordata di quando, in diretta, gridò, “sparano anche dal nostro albergo”: il Palestina, appunto. Se ne dimenticò e perciò non lo disse. Ora, felice inviata RAI in USA, ci opiniona sui fatti americani con la lente del Terzo. La botte ridà il vino che ha. ( La SETTIMA fra poco sarà qua ) 20 La settima è un vecchio documento; che sia ospitato alla puntata numero sette non implica che gli siano attribuibili alcuna delle infinite meraviglie che, in ogni parte del pianeta nostro ( su altri non so, i libri in proposito dicono: hic sunt leones), sono significate da questo numero. Il superstizioso mondo antico e il super superstizioso mondo moderno in ginocchio davanti al sette lo hanno dichiarato portentoso, sacro, totale, incommensurabile e, soprattutto, completo. Nei libri di Miti e Simboli valori e significati del sette occupano pagine e pagine. Come già scritto - il documento - con il sette non c’entra. È qui per caso. E poi, tutto sommato non è neanche un documento. Sono appunti che il Raiteri prese in un particolare momento. Forse anche un po’ risibili essendo scritti in terza persona. Come quando uno invece di “voglio dire” sbuffa sotto i baffetti:“diciamo”. Si perdoni dunque l’entrata spudorata nella sacra sfera settale. Ecco l’antico scritto: Partecipazione al XXXII Premio Italia, ( 1980 ) Sostiene il Raiteri che la rigidità burocratica delle norme ( SIAE ) allontani gli scrittori dalla audiodrammaturgia. Dice che se si riesce a creare una costruzione sonora utilizzando "il popolo", la catalogazione del prodotto avviene nella sezione 'cronache sceneggiate': il genere più deprezzato nella scala dei compensi per il diritto di autore. E cita PALIO LIBIDO. 2 luglio, a Roma per decidere sulla realizzazione di un programma, un amico gli fa i complimenti per essere stato scelto da Radio Uno, direttore Giovanni Baldari, per partecipare al Premio Italia con il "Palio di Siena". La notizia è sul CORRIERE DELLA SERA. Inconveniente marginale, racconta il Raiteri, è che lui non lo sapeva, e che non aveva mai realizzato il programma in questione. Un salto in Direzione Generale serve a chiarire tutto. La proposta per un programma sul Palio di Siena era venuta da Paolo Lombardi, senese, della contrada del Liocorno. Quale regista aveva suggerito il nome del Raiteri. Baldari aveva accettato. Però, a causa del solito disguido, il Raiteri non era stato avvisato. Ora lo sapeva. Tutto rimediato. Si passa subito all’azione. Molte chiacchiere con l'incaricata della rete per le modalità di esecuzione. Date perentorie per la registrazione del programma: dal 12 al 16 agosto. Abbastanza logico: Il 15 c’era il Palio di agosto. Fuori da quelle date sarebbe stato un po’ difficile realizzare un programma su: ante durante e post Palio. 3 Luglio, il Raiteri gonfio e tronfio torna in sede a Firenze sicuro che - alla notizia che la Sede avrebbe realizzato un Prix Italia - avrebbero dato fiato alle chiarine. 21 4 Luglio, il capotecnico della sede Rai di Firenze è assai rammaricato di non poter disporre del personale da mandare a Siena per la registrazione. Il regista ha chiesto tre tecnici. Cosa assurda, visto che Silvio Gigli ha sempre fatto tutto quasi da solo. E poi, a chi può interessare un programma sul Palio dopo tutti quelli fatti proprio da un senese? Questa è stata la Botta ma al Raiteri è mancata la Risposta. La domandina non era facile facile. Bisognava saper inventare, come il Senese, che si era fatto considerare autore del programma quiz, in realtà uscito dallo zaino dell’italo-americano Funaro, componente del PWB, settore della guerra psicologica e primo reggitore di Radio Firenze non appena liberata la città. Forse il personale per registrare al Palio c´era, ma, probabilmente, c’erano anche fossi tra il regista e il capotecnico. 5 Luglio, il regista, rammentando un breve periodo di lavoro svolto nella sede Rai di Perugia per una serie sui teatri lirici, pensa di sentire se sono disponibili all'impresa. Risposta positiva. 6 Luglio, siccome per andare a lavorare in trasferta a Perugia il Raiteri deve essere autorizzato dal direttore di sede, all’epoca Piergiorgio Branzi, il regista lo informa di tutto. Il capo ascolta come una statua apollinea. Ringrazia e dice: “Vedremo”. 7 Luglio, Firenze farà la registrazione. Il capotecnico, vedendo meglio la situazione, trova che due tecnici me li può dare subito. Per il terzo tecnico si vedrà. “Gigli però non ha mai creato tanti problemi!” 8 luglio. Nell'ufficio di Ada Maria Terziani, in Roma, avviene finalmente l'incontro con Paolo Lombardi. Il regista gli domanda subito se, come ipotesi di lavoro, c'è qualcosa di più oltre l'elenco degli avvenimenti del Palio ripreso dall'opuscolo dell'ufficio senese del turismo. In effetti la proposta del Lombardi è interamente ed esclusivamente basata su quell’opuscolo propagandistico. In più il Lombardi ha solo il titolo e tutto di sua creazione: Palio Libido. La Terziani lo respinge. Appello al direttore di rete Baldari: lo accetta. In effetti, PALIO LIBIDO, pensa il Raiteri, è un titolo stimolante. O forse no. Più avanti si scopre che anche il capo dei vigili di Siena, su consiglio del sindaco, condiziona la concessione dei permessi di libera circolazione nell'ambito del tracciato in Piazza del Campo, al cambio del titolo. Senza continuare con l'elencazione cronologica sia degli avvenimenti sia degli ostacoli superati per essere in condizione di svolgere un lavoro professionale, si giunge al momento della registrazione. Preso alloggio in una casa del centro, il tecnico e l'aiuto avevano da ridire, perché, ogni giorno, bisognava portare su e giù per le scale tutto il materiale: cavi, microfoni, cavalletti e quant'altro. Non erano assolutamente interessati al lavoro. Erano abituati ad aspettare che il programma passasse 22 dall'aria aperta al chiuso del nastro tramite il microfono piazzato sul cavalletto o, al massimo e non per molto tempo, tenuto in mano. Per cui registrare qua e là, ma già in una sequenza preordinata, non li convinceva assolutamente. C'era il rifiuto istintivo, più che ragionato, di trasformarsi da inerti montatori di apparecchi per registrare, ad esecutori di un piano artistico, con ampia possibilità di decisione, pur seguendo uno schema prestabilito. Per rendere meglio l'idea: come nella commedia dell'arte in cui si lavora su canovaccio, libero l'attore di arricchirlo, pur avendo punti fissi da rispettare. Naturalmente si registrava sia di giorno sia di notte. Per il giorno non vi erano difficoltà burocratiche, osservando l'orario di lavoro. Per la notte ce ne furono molte, perché il tecnico, per contratto, deve osservare da un giorno all'altro di lavoro tot ore di pausa. Per cui se nella notte avvengono cose importanti per Palio Libido ma in quelle ore di pausa...beh, non si possono registrare... Un episodio della notte in ore giuste, capitò con uno dei tecnici, molto religioso e amico personale del sindaco di Firenze La Pira. Un microfono piazzato tipo candid camera alla curva di San Martino aveva captato il parere di un contradaiolo sul cavallo sorteggiato per la sua contrada. Espressioni coloritissime, punteggiate da 'madonna boia' e 'madonna cane'. Insomma, uno specchio vero, la realtà. Il tecnico che, come il regista, ascoltava in cuffia, non disse nulla. Solo quando si convinse che il pezzo registrato sarebbe stato utilizzato per il programma, fece presente al regista che forse era un po' forte, anche se interessante e che forse era opportuno cancellarlo. Il regista disse di no. Quello era l'interloquire vero di molti toscani... Il tecnico non disse altro. Poco più tardi c'era da fare un'altra breve registrazione: la polemica tra due contradaioli e questa volta sui fantini. Il tecnico la registrò. Quando il Raiteri chiese di riascoltare le due registrazioni, si resero conto che la registrazione sui fantini era stata effettuata sopra quella del cavallo. Un errore è un errore. E se è irrimediabile: amen. E poi, i fantini mica vanno pari pari con i cavalli, ci vanno sopra. Per farla breve: su indicazione del regista, i tecnici piazzarono tre microfoni : alla mossa ( dove partono i cavalli); alla curva di San Martino ( dove cadono i cavalli) e al Casato ( ultimo tratto per i cavalli.) Il pubblico che seguiva la corsa commentandola, ripreso dai tre microfoni, realizzò la parte più importante del programma. Mancò solo il microfono della Mossa, perché il tecnico amico di La Pira lo aveva chiuso dopo che il mossiere aveva calato il canapo dando il via ai cavalli. Si giustificò dicendo che Gigli faceva sempre così. Il regista rimediò con diavolerie tecniche. Durata 45 primi. Molto lungo. L’autore della scopiazzatura del depliant del turismo volle che si inserissero anche gli sbandieratori. 23 Non riuscì a capire, il Lombardi, attore, autore, doppiatore, organizzatore, che il rumore degli sbandieratori non era eccessivamente radiofonico. Il testo di spiegazione del programma dell’Ente Turismo che accompagnava il programma non fu tradotto nella lingua ufficiale del Premio Italia. Essendo agosto, traduttore mio non ti conosco. Proprio così. La dott. Terziani disse al Lombardi e al Raiteri che non vi erano traduttori disponibili. La Rai, Radiotelevisione Italiana, non disponeva di un traduttore in agosto! Breve sul serio. Il breve precedente è stato lungo. “Palio Libido” ( il titolo rimase ) non fu sbandierato dalla giuria del PRIX. Neppure segnalato. Days After, motu proprio, il Raiteri, senza il Lombardi nei paraggi, ristrutturò il programma eliminando le parti prevalentemente visive a cominciare dagli sbandieranti. Portato da 45’ a 29’30” QUANDO VINSE IL LIOCORNO tornò in onda. Già, dopo anni e anni senza vincere, quell’anno della registrazione, in quel 1980, la contrada del Liocorno aveva vinto il Palio. Sarà stato un caso. 24 Dalla sette siamo alla otto. Otto: Equilibrio cosmico e rosa dei venti. Di fronte a tanto, poche righe. Un po’ di riposo prima della lunga storia del Bufalo Bill che c’era una volta in America. Prima degli spaghetti western. Si mangerà varie puntate. Le poche righe. A Roma, nel secolo scorso. L’appartenente ad una grande dinastia di giornalisti venne a casa per intervistare Eli Bistuer y Rivera, aragonese e mia seconda moglie, in seguito ad una serie di programmi sulla Spagna trasmessi dalla RAI e che figuravano da lei scritti. A quell’epoca i giornali davano ancora spazio a quanto succedeva in radiofonia. Terminata l’intervista e raccolti i dati per un articolo di giornale che poi ebbe lo strabiliante titolo di “ Le hanno rubato la terra ed è diventata scrittrice”, si fecero quattro chiacchiere in libertà al rinfresco di un buon cuba libre. Tra l’altro si parlò di giornalismo in genere e della scelta delle fotografie per la pubblicazione. A quel punto mi furono poste davanti agli occhi due fotografie della stessa persona. Sembravano due foto tessera, a mezzo busto. Forse erano state tagliate così volutamente. Probabilmente dovevano servire a qualche dimostrazione visto che erano state tratte da una cartella con altro materiale del genere. La prima foto ritraeva l’individuo in atteggiamento che possiamo definire normale; la seconda foto ritraeva lo stesso individuo con un dito alla ricerca delle mucose secche nel naso. La domanda:”Quale, di queste due foto sceglierebbe per la stampa ?” La risposta: “Questa normale!”. “Errore - mi disse Milena Rizza – un giornalista sceglie quella con il dito nel naso.” Lezione rapida e, “diciamo”, conclusiva e onnicomprensiva del giornalismo. Nelle azioni altrui, per la stampa, si cerca prevalentemente lo stonato. Mano alla pazienza per le puntate a venire dove vedremo cose curiose circa gli sceneggiati radiofonici e le malizie degli autori per ridersela alle spalle di chi deve giudicare e accettare i loro copioni. Alla nona. Ho buttato alle ortiche il dizionario dei simboli. Sul nove. E non ci saranno preamboli. 25 Per un attimo mi sono sentito un politico. Ho promesso che non ci sarebbe stato preambolo e invece c’è. Si tratta di risparmiarmi fatica per meglio godermi il riposo della pensione. Dividere “Note su Buffalo Bill” in varie puntate comporterebbe un gran lavoro. Intendo risparmiarmelo e, per automatica par condicio, risparmiare al lettore la noia di leggere le spiegazioni del perché mai quella divisione sarebbe un gran lavoro. Ergo: lo piazzo in rete pari pari, come nona puntatona. Tanto più che il nove è tre volte trino. Come ormai è evidente ho perso pelo e vizio di scrivere tutte le puntate della stessa durata. “Note su Buffalo Bill”, testo trentennale (1979), battuto direttamente su Olivetti 40; diligentemente ribattuto, all’epoca, da una volonterosa dattilografa; passato ai giorni nostri allo scanner ; riletto da un opportuno software in Word, è finalmente pronto per entrare in rete. Chi lo leggerà? Probabilmente chi, accecato Polifemo, alla richiesta di questi, dichiarò di chiamarsi con l’astuto nome che solo la brillante mente di Ulisse poteva escogitare. Risciacquatevi nell’Odissea. ! Mi sta bene un auto colpetto sulle dita con un opportuno bastoncino. Lo tengo a portata di mano per punire ogni mio sprazzo al politico: dire cose non rispondenti al vero. Non sono io che lo piazzo in rete: non lo so fare. Esegue la mia metà, come volgarmente si dice. Per me il mio tutto. Sono venticinque anni di matrimonio. Un record dello stare insieme se si considera che i due precedenti sposalizi sono crollati non molto dopo il fatale settimo anno. Venticinque anni ! E dire che buona parte della nostra vita l’abbiamo passata girovagando per la Spagna, su un camper. Nei pochi metri quadrati che, secondo gli psicologi etc.. dovrebbero aumentare la litigiosità. E dalla litigiosità alla rottura il passo è breve. Un matrimonio, il nostro, da “fin che morte vi separi”. Profezia facile dati i miei ottantasette anni. Dunque, ecco a voi, con i nomi sbianchettati q.b. (quanto basta) e su un immaginario, fantastico rullo di tanti tamburi quanti sono gli strumenti che partecipano alla esecuzione di una sinfonia dell’incommensurabile Berlioz……… NOTE SU BUFFALO BILL