G 2010 I U G N O SERVIZIO SANITARIO REGIONALE EMILIA-ROMAGNA Azienda Unità Sanitaria Locale di Rimini II Convegno Psicologia Area Vasta Quaderni ASRI Depressione Pre e Post Partum. I protagonisti della storia: la madre, il bambino, il padre. La cultura del nascere insieme. 129 a cura di: Dr.ssa Maria Maffia Russo S t e su ra a cu ra de lla d r. ssa S e re na To m a sso n i; co lla b o ra zio n e d e lla d r. ssa Miche la Sa lu cci CONVEGNO PSICOLOGIA AREA VASTA “Depressione Pre e Post Partum. I protagonisti della storia: la madre, il bambino, il padre. La cultura del nascere insieme” 30 OTTOBRE 2009, RIMINI INDICE Saluti Dr. Stefano Busetti, Direttore del Presidio Ospedaliero AUSL Rimini Presentazione: Dr.ssa Elena Castelli - Responsabile Programma Regionale per lo sviluppo e l‟innovazione dell‟area consultori familiari e consultori pediatrici Introduzione Dr.ssa Maria Maffia Russo, Direttore Programma di Psicologia, AUSL Rimini Parte I .......................................................................................................... pag. 15 Relazioni - “La donna che ha partorito non stia mai sola”, Dr.ssa Claudia Pancino Dipartimento di Storia, Università Trieste - “Depressione post-partum: l‟approccio psicosociale”, Dr.ssa Patrizia Romito – Dipartimento di Psicologia, Università Trieste - “Accompagnare la genitorialità nel percorso nascita: ricerca-intervento sui fattori di rischio e protezione”, Prof.ssa Fiorella Monti – Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna - “Dai piccolini alle mamme: l‟intervento psicologico nella nascita prematura”, Dr.ssa Elena Bravi – Psicologa, Ospedale Verona - “L‟intervento dei padri nella prevenzione della depressione post-partum”, Dr.ssa Laura Pomicino, Università di Trieste 1 Parte II ......................................................................................................... pag. 54 Tavola Rotonda: “il punto di vista delle altre professioni” Introduzione del moderatore, Dr.ssa Marisa Bianchin - Psicologa/Psicoterapeuta, Direttrice di distretto AUSL Ravenna Interventi: - Dr. Paolo Assirelli, Ginecologo, Dir. Consultorio Familiare, AUSL Rimini - Dr.ssa Daniela Daniele, Coordinatore percorso nascita Area Vasta - Dr. Giuseppe Battagliarin, Dir. U.O. Ostetricia e Ginecologia Ospedale “Infermi” , AUSL Rimini - Dr.ssa Palma Mammolitti, Neonatologa, Ospedale “Infermi” , AUSL Rimini - Dr. Massimo Farneti, Dir. Del Servizio materno-infantile, AUSL Cesena - Dr. Riccardo Sabatelli, Psichiatra, AUSL Rimini Parte III ........................................................................................................ pag. 68 Confronto delle esperienze di ricerca e cliniche tra gli psicologi di Area Vasta: Azienda Rimini, Azienda Forlì, Azienda Cesena. Parteciperà l‟Azienda USL di Trento Introduzione del moderatore, Dr. Domenico Grandini – Direttore U.O Psicologia Azienda Usl Forlì - Dr.ssa Lorenza Donati, Psicologa, AUSL Trento - Dr.ssa Cristina Belicchi, Psicologa, AUSL Rimini - Dr.ssa Antonella Liverani, Psicologa, AUSL Forlì - Dr. Fabio Sgrignani, Psicologo, AUSL Cesena Intervento del Dr Saponaro, Servizio Salute Mentale, Dipendenze Patologiche, Salute nelle Carceri Regione Emilia Romagna Allegato: Delibera Regionale 533/2008 2 - II Convegno Psicologia Area Vasta - Depressione Pre e Post Partum. I protagonisti della storia: la madre, il bambino, il padre. La cultura del nascere insieme. Saluto del Direttore del Presidio Ospedaliero AUSL Rimini Dott. Stefano Busetti A nome dell‟Ospedale Infermi e dell‟Azienda USL di Rimini porgo il benvenuto a tutti i partecipanti. Questo è il secondo Convegno di Psicologia di Area Vasta e come tale rappresenta un ottimo esempio di quella stretta integrazione professionale ed organizzativa che in Emilia Romagna si sta perseguendo in diversi settori. Non mi addentrerò nell‟argomento che tratterete ampiamente durante questa giornata, mi interessa però cogliere alcuni spunti di riflessione che la tematica offre oggi a chi, come me, si occupa di organizzazione dei Servizi Ospedalieri. È già evidente a tutti che gli ospedali moderni sono diventati sempre più delle “macchine” ad elevatissimo contenuto tecnologico. L‟ospedale in cui ci troviamo ne è un esempio. Una struttura ospedaliera così congeniata dà il meglio di sé nelle situazioni acute: risposte rapide, puntuali e precise. Non è un caso che la risposta migliore la si ritrova nell‟emergenza; basti pensare all‟infarto: pochi minuti e il 118 riesce ad andare a prendere la persona ovunque, la porta in ospedale, dove la si sottopone ad angioplastica e dopo pochi giorni la si rimanda a casa. Questo è un esempio della risposta rapida ed efficiente che un ospedale moderno 3 riesce a dare. Questa spinta tecnologica così estrema, però, a mio avviso fa emergere delle problematiche: - Da un lato non sempre questa spinta tecnologica elevata si concilia con una umanizzazione delle cure; - dall‟altro, c‟è la specializzazione medica. Gli ospedali da sempre sono caratterizzati in senso specialistico, ma è chiaro che il progresso tecnologico frammenta gli interventi in supersettori in cui i professionisti si occupano solo di sezioni molto specifiche. Il rischio è quello della frammentazione del processo di cura, laddove invece occorrerebbe maggiore unitarietà. In sintesi, un ospedale moderno tecnologico così congeniato e così efficiente nella risposta all‟emergenza rischia a mio avviso di entrare in crisi tutte le volte che deve affrontare tematiche, come quella di oggi, che io assumerei a paradigma di tutte le situazioni in cui i fattori della buona riuscita della cura sono altri. In particolare sottolineerei: 1. il recupero della dimensione umana della nascita e dei suoi vissuti; 2. la multidisciplinarità: il concorso di più ruoli professionali dovrebbe rappresentare lo standard operativo per ottenere un risultato efficace. Ecco che allora, per chi come me si occupa soprattutto dell‟organizzazione, il tema di oggi è particolarmente importante. La sfida che lancio è la seguente: come può un ospedale moderno, tecnologico, affrontare il disagio esistenziale, conciliare l‟ospedale tecnologico con l‟ospedale a misura d‟uomo, di donna e di bambino? Queste sono le tematiche su cui diventa interessante lavorare ed essere pronti. 4 Il contesto della regione Emilia Romagna: presentazione della Delibera n. 533 del 2008* (* si allega la Delibera in fondo alla pubblicazione) Dr.ssa Elena Castelli Responsabile Programma Regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’area consultori familiari e consultori pediatrici Io vi racconterò come si è arrivati a definire gli obiettivi inseriti in questa delibera e in particolare la parte relativa ai disturbi emozionali della donna in gravidanza. Si è partiti da lontano, si è partiti nel 2000/2004 parlando di puerperio e allattamento al seno all‟interno di un Progetto Regionale di riorganizzazione dei consultori familiari. In questo contesto si era osservato che la depressione post-partum era una delle cause più frequenti dell‟abbandono dell‟allattamento al seno. Inoltre, dall‟analisi che era stata fatta in quel periodo delle Linee Guida Internazionali, si era rilevato che il benessere psicofisico della madre era tra gli elementi principali da prendere in considerazione nell‟assistenza al puerperio. Questi risultati sono stati ripresi dalla Commissione Nascita precedente, nominata nel 2005, la quale aveva recepito l‟elaborato del gruppo sull‟allattamento al seno come strumento di lavoro per il miglioramento delle parti assistenziali, ma aveva anche ritenuto indispensabile che la valutazione del benessere psicofisico della donna diventasse uno degli elementi da valutare in maniera continua all‟interno dell‟assistenza alla gravidanza e al puerperio. A tal fine aveva demandato ad un gruppo di lavoro l‟analisi delle caratteristiche qualitative e quantitative del fenomeno, ovvero di individuare ed analizzare le modalità di approccio diagnostico che si erano rivelate più valide, di verificare se e quali erano gli interventi preventivi e terapeutici più efficaci ed individuare percorsi assistenziali da mettere in campo 5 in ambito regionale per l‟intercettazione e il trattamento delle donne che presentavano un disturbo di tipo emozionale. Tutto questo al fine di realizzare interventi mirati ad ottimizzare l‟assessment psicologico della donna durante la gravidanza ed il puerperio. Quindi si è proceduto operando un‟analisi di revisione della letteratura e costituendo un gruppo di lavoro multidisciplinare, con professioni del Servizio Sociale, dei Servizi Territoriali, del Dipartimento di Salute Mentale e dei Servizi Ospedalieri. Le criticità che il gruppo si era trovato dinanzi erano: la rilevazione del disturbo, gli interventi da mettere in atto e l‟iter assistenziale. Rispetto all‟iter assistenziale, il gruppo si era chiesto chi e come dovesse cogliere i sintomi della depressione, come far cadere l‟attenzione sul rilevamento di tali sintomi, quali fossero le conoscenze e le abilità necessarie per poter intercettare il fenomeno e chi e come dovesse operare la selezione dei casi. Cioè quali fossero i casi che potevano già essere trattati nei Servizi di base, quali dovessero essere invece inviati ad un trattamento di tipo specialistico e quali fossero le caratteristiche della rete assistenziale. Il gruppo ha lavorato molto sull‟ipotesi di screening, ma tutte le analisi fatte a livello della letteratura avevano portato a far pensare che la storia naturale della depressione si prestasse male ad una politica di screening. Quindi il solo utilizzo di un test, tipo l‟EPDS (Scala di Edimburgo), non era sufficiente ad intercettare appieno il fenomeno; era necessario affiancarlo ad un colloquio clinico. Il Gruppo Regionale era arrivato a formulare una proposta: lo stato emotivo della donna doveva essere oggetto di valutazione da parte dei professionisti alla stessa stregua degli altri parametri di salute; tutti i professionisti operanti all‟interno del percorso nascita dovevano essere in grado di cogliere il disagio e quindi saper distinguere tra i casi che necessitano di un trattamento solo a livello dei Servizi di Base e quelli che necessitano di un intervento specialistico. 6 La multifattorialità del disturbo emotivo necessitava la presa in carico da parte di un‟équipe multidisciplinare, presa in carico che poteva anche avere un risvolto di tipo sociale, non solo sanitario, e coinvolgere anche la famiglia quando necessario. In sintesi, il gruppo regionale richiedeva l‟istituzione e la formalizzazione di un gruppo multidisciplinare aziendale, coordinato da un responsabile nominato dalla Direzione Generale, che si doveva occupare di organizzare il percorso di presa in carico in ogni Azienda a partire dall‟analisi dei dati della realtà locale e dell‟organizzazione delle risorse presenti nella propria Azienda. Questo perché in letteratura non si era evidenziato un modello organizzativo più efficace rispetto agli altri, per cui il gruppo ha pensato di lasciare molto spazio all‟organizzazione all‟interno delle varie Aziende. Il percorso di presa in carico doveva essere monitorato nella sua applicazione attraverso indicatori; era necessario definire un piano di formazione secondo delle indicazioni regionali che però ancora non ci sono; sarà compito della prossima commissione nascita individuarle. La delibera è costituita da 11 obiettivi, l‟obiettivo 5 è relativo al miglioramento dell‟assistenza ai disturbi emozionali della donna in gravidanza e ha come obiettivi specifici: la sorveglianza dello stato emotivo in epoca perinatale, la rilevazione dei diversi aspetti dei disturbi psichici in tutte le fasi del percorso nascita e la sperimentazione di interventi di prevenzione e terapeutici che possano completare l‟offerta di assistenza alla nascita. Le modalità operative riportate dalla delibera sono: -la costituzione di questo gruppo multidisciplinare, che comprende sia i medici di famiglia, il servizio sociale ma anche il dipartimento di salute mentale per l‟analisi della prassi attuale; - l‟individuazione delle criticità dell‟attuale iter diagnostico per poi 7 individuare gli strumenti per il superamento delle criticità; -l‟acquisizione da parte dei professionisti di una preparazione comune sia sul riconoscimento dei disturbi emozionali in epoca perinatale sia sulle modalità di presa in carico della donna; -corsi di formazione sul campo sulla base delle informazioni fornite dalla commissione nascita. La delibera individua i seguenti indicatori per la valutazione: - il numero di professionisti formati al riconoscimento dei disturbi emozionali; - il numero di donne avviate ad uno specifico percorso assistenziale; - le donne ricoverate per psicosi e depressione severa; - l‟evidenza di un percorso definito per la presa in carico. Ancora, la delibera prevedeva che le Aziende presentassero alla fine dell‟anno 2008 un piano di attività sull‟applicazione della delibera stessa con le azioni che si pensava mettere in atto. La Regione, a 9 mesi circa dalla presentazione di questi piani di attività, ha voluto verificare come queste Aziende si stavano muovendo per valutare l‟implementazione del percorso. Quindi ha costituito insieme al CeVEAS un questionario che è stato sottoposto alle Aziende, che andava ad indagare se era stato fatto quanto previsto dalla delibera. Nel questionario era chiesto: - se era stato individuato un progetto specifico rivolto alle donne con disturbi emozionali; - se venisse attuato nell‟Azienda o solo in alcune realtà; - se era stato definito un modello organizzativo, una popolazione bersaglio e una modalità di selezione della stessa in base alle risorse disponibili; - se era stato definito un piano di formazione sia per la diagnosi che per le modalità di comunicazione; 8 - se era prevista una politica di screening con la somministrazione di test specifici; - se era stato previsto un accompagnamento della donna al 2° livello, cioè ai professionisti di salute mentale; - se erano stati definiti i tempi di attuazione del progetto e se si riteneva che l‟Azienda era stata in grado di raccogliere gli indicatori individuati dalla delibera e se ne aveva individuati altri. Quello che è emerso, dividendo le Aziende delle 3 Aree Vaste, è la grande disomogeneità tra le Aziende: - Area Emilia Nord: solo un‟Azienda ha un progetto specifico; - Area Vasta Centro Sud: tutte le Aziende dicono di avere un progetto specifico; - Area Vasta Romagna: tutte tranne una hanno un programma; in molte province tuttavia risulta molta incertezza sui tempi di attuazione del progetto. Uno dei punti critici su cui lavorare è sicuramente il percorso specifico di accompagnamento della donna, il passaggio al secondo livello. La nuova commissione nascita che è stata nominata a luglio 2009, e che a novembre comincerà le proprie attività, avrà l‟incarico di supportare le Aziende Sanitarie al superamento delle criticità emerse da questa indagine conoscitiva e alla realizzazione degli obiettivi della delibera. Il gruppo di lavoro che verrà costituito in questa commissione nascita, oltre che occuparsi di implementazione, si dovrà occupare di tutta la parte della Formazione coinvolgendo il Dipartimento di Salute Mentale e i Servizi Sociali per la preparazione comune, il riconoscimento alla diagnosi dei disturbi emotivi, le adeguate modalità comunicative e la presa in carico della coppia mamma e bambino. 9 Introduzione Dott.ssa Maria Maffia Russo, Direttore Programma di Psicologia Azienda USL Rimini Vorrei prima di tutto ringraziare i colleghi di Vasta Romagna: abbiamo avuto il privilegio di organizzare questo convegno, momento fondamentale per condividere pratiche ed esplicitare il contributo della psicologia alla missione di cura specifica degli ospedali. Introduco il tema mostrandovi come abbiamo cercato di rappresentare il problema della nascita in tutte le sue sfaccettature, complicate e complesse ma sempre suggestive, perché hanno a che fare proprio con la vita. La cornice entro cui si sviluppa il contributo della psicologia nella nostra Azienda è il Programma di Psicologia, che ha due compiti: uno di committenza su quali sono i bisogni delle diverse articolazioni aziendali, l'altro di governo clinico, per coniugare la complessità dei bisogni psicologici con le varie aree del Sistema Sanitario -sociale, ospedaliera, territoriale- mettendo in primo piano l'interdisciplinarietà della pratica, perché i bisogni dei cittadini richiedono risposte integrate. Il Programma di Psicologia è coordinato da un Comitato di Programma e organizzato in sei aree: Infanzia, Adolescenza, Famiglia, Adulti, Ospedale, Salute Organizzativa. La scelta per target dimostra la trasversalità del lavoro degli psicologi e garantisce la coniugazione dell'interdisciplinarietà. Gli strumenti del governo clinico attengono da una parte a rendere esplicita la specificità della psicologia -costrutto teorico, metodologia, pratica clinica- attraverso i Protocolli Localmente Concordati, dall'altra al contributo della psicologia come collettore per il lavoro ad alta complessità ed interdisciplinarietà, attraverso i Percorsi Integrati. Vedremo in seguito il lavoro in rete sulla depressione post-partum. Stiamo delineando un tentativo di sviluppare la professione sui due aspetti: da una parte l'area della psicologia clinica e di comunità, che attiene alle tematiche della promozione della salute, della prevenzione, 10 della cura e della valutazione dell'efficacia dei trattamenti -fondamentale per il Sistema Sanitario perché la riduzione delle risorse rende doveroso mostrare quali sono gli interventi più efficaci e più indicati-, dall'altra l'area dell'organizzazione dei servizi. Con la delibera 81 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro si fa specificatamente riferimento allo stress lavorocorrelato, quindi a quella quota di rischio sul lavoro che è collegata al burnout: stiamo cercando di sviluppare strumenti e paradigmi interpretativi che possano contribuire a far sì che un'organizzazione, oltre agli aspetti dell'efficacia e della produttività, possa occuparsi anche del benessere di chi ci lavora. Sono necessari il monitoraggio e la manutenzione dei sistemi complessi: il lavoro di rete è faticoso, per cui va costruito, declinato e monitorato, richiede la definizione di strumenti specifici, non può essere delegato a volontà e spontaneità. Nella nostra esperienza abbiamo visto come l'attenzione alla manutenzione permette di far funzionare la rete, in modo che sia un valore aggiunto per operatori e utenti e non piuttosto fatica in più. La formazione è l'altro aspetto importante: nel mestiere di cura oltre all'abilità tecnica c'è la capacità di accoglienza e di ascolto dei bisogni e dei problemi delle persone. Tutto questo va sempre coniugato con la ricerca. Questo è lo sforzo che abbiamo fatto anche per la depressione post-partum. All'inizio del lavoro sulla depressione post-partum sono emersi alcuni punti di criticità che hanno imposto un cambiamento di costrutto teorico. L'esperienza clinica mostra come la nosografia psichiatrica non sia utile per innescare dei processi di cambiamento e di guarigione, perché la psichiatria definisce in modo costruttivo il sintomo e non la persona. Diverse riflessioni spostano l'attenzione sulla collocazione della depressione post-partum nell'ambito degli eventi stressanti della vita. È necessario svincolarsi dal modello di riferimento teorico e tecnico e ascoltare ciò di cui ha bisogno il paziente in quel momento, spostando l'attenzione dalla classificazione descrittiva alla multifattorialità di un 11 disagio che ha molte sfaccettature. Questo ci permette di creare un continuum normalità-patologia in cui collocare la crisi, da affrontare nell'ottica di un bilancio costante fra aree compromesse e risorse presenti, perché solo l'attivazione di queste ultime può produrre cambiamento. Nelle ipotesi diagnostiche è indispensabile tenere presente gli aspetti descrittivi, funzionali, dimensionali e dinamici, legati al cambiamento. Per coniugare tutti questi aspetti con la depressione post-partum dobbiamo rendere operativo il modello biopsicosociale, tenendo conto del contributo che ogni nodo della rete, sia del Sistema Sanitario che esterno ad esso, può dare perché i fattori di vulnerabilità, scatenanti, socio-culturali, di aggravamento e di mantenimento possano essere modificati. A proposito di cultura del parto abbiamo invitato la dott.ssa Claudia Pancino, storica, che ci mostrerà come la modificazione della scena del parto ne abbia modificato la cultura stessa. Oggi indubbiamente un elemento socio-culturale importante riguarda lo stereotipo della maternità felice ed i modelli di perfezione: nell'incontro con la donna che sviluppa un disagio vediamo come il modello di madre esemplare sia connesso alla figura femminile oggi, e come ogni donna abbia ancora la spinta a voler essere la migliore delle madri, delle mogli, delle lavoratrici. Alcuni fattori scatenanti riguardano le pratiche cliniche che avvengono prima, durante e dopo il parto, ad esempio gli aspetti legati al cesareo inaspettato o alle patologie neonatali. Tra i fattori aggravanti e di mantenimento abbiamo il ruolo del contesto familiare e sociale. Se questo circuito è faticoso per la donna in uno o più punti c'è un forte rischio di sviluppo di depressione post-partum, se si riesce invece a lavorare in modo integrato possiamo parlare di “maternità salutare” (Elvira Reale, 2007)1. I consultori familiari possono contribuire arricchendo la rete di formazione e informazione, ad esempio 1 - Elvira Reale (2007). Prima della depressione. Manuale di prevenzione dedicato alle donne. Franco Angeli. 12 introducendo i padri nei corsi di preparazione al parto, ma anche riducendo lo stereotipo della maternità felice, insegnando anche a “praticare la debolezza” (Elvira Reale, 2007). La psicologia si occupa di prevenzione primaria e secondaria, per la ricaduta della depressione post-partum sulla genitorialità, sulla madre e sul padre: cominciano ad esserci studi interessanti anche sulla depressione paterna. In ambito ospedaliero è necessario elicitare e valorizzare le competenze materne, creando le condizioni perché la maternità sia una “maternità salutare”. Tali riflessioni saranno approfondite nelle relazioni successive. In questi 5 anni il Programma di Psicologia ha lavorato molto sulla rete. Fra le tante teorizzazioni proposte da sociologia, psicologia di comunità, economia, emergono alcune caratteristiche fondamentali per chi svolge un mestiere di cura: - autenticità: capacità di confronto autentico, nel tentativo di mostrare la fatica e di essere sostegno reciproco; abbiamo sperimentato questi aspetti nella rete integrata sulla violenza contro le donne, perché quando ci troviamo di fronte a tematiche pregnanti abbiamo bisogno di “reti calde”, fatte da persone che si parlano e non da persone che si trasmettono solo fax; - funzionalità: le buone pratiche devono essere diffuse e le attività che coinvolgono molti punti della rete devono essere costantemente monitorate; - flessibilità: l'essere capaci di volta in volta di adeguarci ai bisogni della donna. C'è una cosa che ci serve in questo: il tempo. Questo è un grosso problema per il Sistema Sanitario, perché spesso siamo catturati dalla necessità di rispondere a procedure e richieste che sono importanti e fondamentali, ma che a volte rischiano di saturare tutto il nostro tempo. Credo che questa sia una cosa da cui dobbiamo cominciare a difenderci. Un ultimo aspetto riguarda le popolazioni vulnerabili. I dati dell'ultimo 13 Rapporto Nascita della Regione Emilia-Romagna e le esperienze della pratica clinica ci sollecitano a pensare a progetti specifici per alcune categorie di donne: - le adolescenti: le gravidanze nelle minorenni nella nostra regione rappresentano lo 0,3%; - le donne con parti prematuri, che creano difficoltà nel neonato e nella madre; - le donne madri di bimbi malformati; - le donne che subiscono violenza: questo è uno dei target che dobbiamo inserire regolarmente nelle nostre pratiche quando parliamo di depressione e di stress, perché vediamo nella nostra esperienza come le donne che vivono una situazione di violenza e non hanno opportunità di parlarne sviluppino disagio e sintomi; - le donne immigrate: secondo il Rapporto Nascita il numero delle donne extracomunitarie che hanno partorito sono passate dal 17 al 24%; su questo abbiamo ancora un grosso lavoro da fare, perché i fattori di rischio, e quindi i segnali che possono indicarci come leggerlo, sono ancora poco conosciuti, abbiamo lavorato molto sulla interculturalità ma ancora poco sulla transculturalità. L'ultimo tema evidenziato in modo chiaro nel Rapporto Nascita riguarda il tema delle disuguaglianze: la cittadinanza straniera, la scolarità mediobassa e la condizione di non occupazione risultano significativamente associate ad una serie di esiti negativi. Questo è ancora un target da intercettare: consideriamo come su trentaseimila parti (dati regionali 2008) il 62% ha avuto come assistenza alla gravidanza un privato, il 30% il consultorio familiare, il 6% gli ambulatori specialistici ospedalieri. Quel 30% seguito dai consultori ha a che fare con una buona parte delle donne che hanno disuguaglianze nella salute. Su questo abbiamo bisogno di approfondire le nostre tecniche e i nostri approcci, e quindi di lavorare. 14 Parte I “La donna che ha partorito non stia mai sola” Dr.ssa Claudia Pancino Dipartimento di storia – Università Trieste Mi sono chiesta cosa potesse essere utile portare della storia delle donne, del parto, ad un incontro sulla DPP e ho pensato potesse essere opportuno far luce sulla diversità che io, come cittadina del presente, vedo tra la società contemporanea e il passato. Nei testi ostetrici e medici, tra il Cinquecento e l‟inizio Ottocento, non c‟è traccia di questo disturbo femminile. In altri contesti, quelli che riportano i processi per infanticidio, vengono menzionati casi di psicosi postpartum. La prima riflessione è sul ruolo femminile, sul ruolo materno. Il destino femminile era un destino di maternità. La ragazza era educata per diventare madre, oggi non è più così. I passaggi di ruolo erano un tempo molto più semplici a mio avviso, socialmente e individualmente condivisi all‟interno di una comunità. Una volta la vita biologica delle donne era scandita dalla presenza di riti, non solo familiari bensì riti comunitari e sociali. Oggi quei riti sono scomparsi; si può parlare di forme di ritualità nel presente, ma non condivise. Quello che cambia sono inoltre i contesti di socialità in cui si situano la gravidanza, il parto ed il puerperio. Inizierò parlando di un rito che concludeva il puerperio: “il rito di purificazione della puerpera”. Quando ho iniziato a condurre questa ricerca, che mi era stata commissionata da un gruppo di ricercatori in Francia, ho appreso che in 15 francese la purificazione si chiama relevage, che viene dal verbo relever, “rialzare”. Riporto una citazione francese: “poiché la maturazione e la nascita del bambino aveva sconvolto il suo corpo, la madre doveva essere rialzata dal parto. La cerimonia di purificazione, il relevage, il rialzamento, la sbarazzava dalla sporcizia del parto e segnava la sua reintegrazione nello spazio comunitario”. Anche in Italia e in molti Paesi di area cattolica d‟Europa, 40 giorni dopo il parto la donna si recava alla chiesa per ricevere la benedizione. Era questa la prima uscita di casa che, dopo il battesimo del figlio, sanciva la fine di un periodo, il puerperio, regolato da comportamenti diversi, codificati nelle diverse tradizioni locali. Tali comportamenti erano accomunati da molti aspetti: la separazione dalla vita di tutti i giorni caratterizzata dal non uscire di casa-, l‟astensione dai sacramenti, dai lavori domestici, dai rapporti sessuali con il marito. Inoltre la puerpera seguiva nei 40 giorni una dieta particolare che aveva spesso un importante significato simbolico. In alcune tradizioni le era vietato pettinarsi, cambiarsi d‟abito, cambiare la biancheria del letto (questo almeno per 8 giorni dopo il parto). Altre tradizioni volevano poi che la puerpera non venisse mai lasciata sola e che fosse in compagnia almeno di un‟altra donna (questo per 40 giorni post-partum). Tantochè, in alcune zone, venivano regolamentate le visite alla nuova mamma, non raramente consentite alle sole donne e questa incisione dal titolo “Visita alla puerpera” ne è un esempio. 16 Spesso anche i regali potevano essere fatti solo da donne. Passati i 40 giorni, la donna si recava dunque in chiesa per ricevere la benedizione, secondo la dizione liturgica, per purificarsi, secondo il linguaggio comune in molti paesi e lingue, per il relevage in Francia: con un cero bianco in mano, fermandosi sulla soglia della chiesa, la donna si recava a ricevere la benedizione del sacerdote che la accompagnava all‟altare recitando il salmo 23 che è quello che recita – “il Signore è il mio Pastore e io non manco di nulla”. Una volta benedetta e purificata la donna tornava alla sua casa e al suo ruolo. In alcuni luoghi l‟attendeva una festa, talvolta una festa di sole donne. In molte tradizioni, per questo motivo, la donna non partecipava alla festa del battesimo del figlio (il bambino veniva battezzato prima di 40 giorni). 17 Questo quadro è la “Purificazione della Vergine” di Guido Reni Quest‟opera invece è la “Candelora” di Berry 18 Quelli che descrivo sono tutti segni di un cambiamento di ruolo che veniva percepito in modo preciso e che veniva sancito da questo rito. Benché ne parlino molte fonti storiche, anche molto più antiche, molte tradizioni sono state raccolte dai folcloristi ottocenteschi in un momento in cui le riforme mediche e sociali avrebbero via via scalfito, fino a quasi dissolvere, la cultura tradizionale del parto. Tuttavia, il rito di purificazione continua ad essere, fino almeno a metà degli anni ‟60 del „900, un momento rituale ampiamente diffuso nelle zone rurali e nelle città d‟Europa cattolica. Così ne parlano due studiosi cattolici italiani nel 1970: “Quella tanta inibizione che tanta superstizione conserva anche ai nostri tempi e che tuttavia viene mantenuta, prevedeva che la puerpera, recatasi in chiesa con un cero in mano, 40 giorni dopo il parto se ne uscisse dopo essere stata purificata dalla benedizione sacerdotale con l’acqua santa”. I documenti sinodali (che venivano scritti dai parroci ai vescovi per render conto della presenza di superstizioni nella diocesi di loro competenza) parlano di caratteristiche diverse in alcune zone. Ad esempio in Puglia la donna doveva uscire a ritroso dalla chiesa, a volte cambiandosi le scarpe. Sempre parte della superstizione era il fatto che la donna temeva di morire e non si accostava ai sacramenti prima di essere purificata benché, da una ricerca approfondita, risulti che non ci sia mai stato nessun divieto da parte delle gerarchie in questo senso. Addirittura un Papa, già nel IX secolo, il Papa Nicola I, aveva proclamato che nulla vietava alla puerpera di recarsi in chiesa ed accostarsi ai sacramenti. In altre tradizioni europee, non molto diverse da quelle italiane, si trova il bacio della puerpera alla pietra dell‟altare (in Francia) o la presenza di feste che prevedevano anche riti in un certo senso magici a conclusione della cerimonia di purificazione che, al di là del significato religioso, 19 aveva il compito di togliere la donna da una condizione di impurità e di pericolo rispetto possibili attacchi da parte di forze maligne (diavoli e streghe) e di reinserirla nella normale vita quotidiana. I concetti di purezza e purificazione possono avere significati differenti nei diversi contesti socioculturali e religiosi. Interpretazioni religiose, storiche, sociologiche ma anche psicoanalitiche possono essere tutte evocate dando più o meno risalto all‟uno o all‟altro degli elementi che caratterizza la particolarità del post parto e della sua conclusione. Sottolineo che la nascita veniva vissuta come un evento con elevate potenzialità disgreganti, uno studioso parla addirittura di crisi di tutta la vita del gruppo oltre che della vita individuale. Un momento in cui i timori e le inquietudini microsociali si condensavano intorno al momento del parto. Infine, dal punto di vista sociologico, la funzione della segregazione del puerperio tradizionale è quella di garantire alla donna riposo, protezione, aiuto, al fine di accompagnarla in un passaggio di ruolo e di riammetterla in comunità attraverso una serie di riti che segnano, tra l‟altro, la conclusione di un periodo di dipendenza e di bisogno. Un‟ultima riflessione sul puerperio e sui riti di purificazione: la madre nella tradizione storica era attesa, dopo il parto, da un periodo di protezione, cura che comprendeva la necessità di riprendersi dalle fatiche del parto, l‟inizio dell‟allattamento, la cessazione delle perdite post parto. Il puerperio, generalmente di 40 giorni, poteva avere durata diversa nelle diverse tradizioni; era presente, nella consapevolezza di un tempo, che potesse essere anche un periodo pericoloso: un proverbio veneziano di fine „800 dice “la donna da parto per 40 g ha un piede nella fossa”. Uno simile che si trova dalla Palestina a tutto il Nord Africa viene riportato da una studiosa parigina dell‟area Magrebina: “la donna che ha partorito ha per 40 giorni la fossa aperta”. 20 Un altro proverbio veneziano, per quanto riguarda la dieta della puerpera, recita “la donna deve mangiare molto perché fora un puteo dentro un veteo”- fuori il bambino deve rientrare un vitello. Quest‟ultimo proverbio sottolinea la preoccupazione di riempire il vuoto che si è creato nel ventre, con l‟abbondanza del cibo. Lo si ritrova anche in Umbria “l‟utero vuoto ha bisogno riempirsi”. Si può dire che lo svuotamento è sentito come minaccioso per l‟equilibrio individuale: il rischio di malattie, emorragie, la temuta febbre puerperale, lo si fonde anche con la paura che forze maligne possano recare danno alla donna. L‟italiano antico, per indicare la puerpera, usa anche il termina impagnolata: in alcune regioni, tale termine sta ad indicare il primo pranzo rituale della puerpera, oppure il piatto su cui veniva servito il primo piatto alla puerpera. La parola deriverebbe da paglia e, secondo la mia ipotesi, si riferisce al fatto che era d‟uso chiudere con la paglia le fessure dei luoghi in cui si trovava la puerpera per non fare entrare spiriti maligni che potessero danneggiare la donna o il bambino. A Venezia si temeva l‟arrivo della “strega pagana” che avrebbe potuto stregare la donna o il bambino. La donna, superando il parto, ha compiuto una transazione complessa tra una condizione fisiologica universale ad un linguaggio particolare, diverso a seconda dei contesti culturali, in cui ha sfiorato la morte per dare la vita, in cui si è nuovamente compiuto il mistero dell‟umana generazione, ha partorito il figlio nei liquidi umorali, nel sangue e nel dolore. Per questo la donna era ritenuta impura dal suo stesso sangue, oppure perché aveva partecipato in qualche modo alla sacralità della creazione oppure perché doveva rientrare da un‟avventura di sangue, sofferenza, grida, di dominio di forze naturali incontrollabili al moderato governo della vita familiare. Solo un rito poteva sancire il passaggio da una sfera di un avvenimento ai confini tra natura e società, concludere la 21 violenta esperienza di generazione di un figlio e far rientrare la donna nel mondo delle leggi degli uomini. Il rito sociale di reintroduzione della donna nei ritmi della vita quotidiana avveniva in un contesto di socialità, in un contesto che era quello in cui la donna aveva partorito. la “Nascita di S. Anna” del Ghirlandaio 22 Possono essere utili ad ulteriore comprensione anche le rappresentazioni del feto e dell‟attesa. 23 Nei testi scientifici tra il Cinquecento e l‟Ottocento l‟immagine del feto era un‟immagine fantastica o schematica, anche se le levatrici sapevano già come era fatto un feto. Oggi è tutto profondamente cambiato. La gravidanza si svolgeva in un contesto di paura che si poteva dire, mentre oggi questa è negata, le paure sono negate: “non dire così”. Il bambino rimaneva qualcosa di nascosto fino al parto, alla fine dell‟800 viene rappresentato dai medici come qualcosa di avulso dal contesto del corpo della madre e questo è l‟inizio della sua personificazione precoce. La madre oggi vede immagini ecografiche, le vengono comunicati dei dati in termini di cm, le viene detto “questo è tuo figlio”. Può essere facile allora che non riconosca il bambino che si ritroverà tra le braccia, perchè diverso da quell‟ essere idolatrato attraverso le immagini mediche. La madre che scopre oggi con paura e timore di essere incinta viene invitata a negare i sentimenti e molte persone hanno da dire qualcosa su quello che avviene nel suo corpo. Un tempo, il bambino nel ventre veniva rappresentato come qualcosa di minuscolo che non si capiva cosa fosse, che la madre doveva accogliere accompagnata dalla comunità di cui faceva parte. 24 “Depressione post-partum: l’approccio psicosociale” Dr.ssa Patrizia Romito Dipartimento di Psicologia – Università Trieste Io mi situo dal punto di vista del ricercatore; insegno all‟università, faccio ricerca e quindi ho più prospettiva di questa che non del mondo clinico, per cui parto da tale approccio. La depressione post-partum (DPP) è una forma depressiva che sta in qualche modo tra due fenomeni molto diversi: il cosiddetto baby blues dei primi giorni dopo la nascita, considerato normale e molto frequente, e la psicosi che riguarda una minoranza di donne e che ha una manifestazione violenta e molto inquietante. La frequenza della DPP varia moltissimo, sia perché le ricerche si svolgono in Paesi diversi e lo stato di benessere/malessere delle donne è differente nei vari paesi e nei vari momenti, sia perchè gli strumenti di valutazione della DPP non sono sempre gli stessi. In letteratura c‟è accordo di frequenza della depressione intorno al 10-15% nei primi mesi dopo il parto. Si sa ancora meno, di preciso, sulla durata della depressione. I sintomi della DPP, riportati nella letteratura psichiatrica, corrispondono ai sintomi della depressione in generale; se la depressione in generale è caratterizzata da mancanza di interesse, piacere e distacco dagli interessi quotidiani, nel caso della donna che ha avuto un bambino si concretizza anche nel non provare interesse per il bambino, nel temere di fargli male e di farsi del male. Gli orientamenti principali delle ricerche in letteratura sono: l‟orientamento biologico, l‟orientamento psicosociale e ricerche di orientamento misto, non specificato, in cui i ricercatori raccolgono informazioni in vari ambiti (biologico, psicologico, psicodinamico) senza 25 che ci sia una chiara impostazione teorica. Fermiamoci un attimo sul modello biologico perché c‟è una grossa discrepanza tra dati di ricerca scientifici e quanto trasmesso dal senso comune. Dal punto di vista scientifico, senza negare il ruolo della biologia nella DPP, non ci sono prove evidenti che ci sia uno squilibrio ormonale legato alla depressione. Le prove sono inconsistenti e contraddittorie; tuttavia, il messaggio che viene trasmesso anche nei libri e nei manuali per future mamme è che lo squilibrio ormonale sia centrale nel determinare lo stato psicologico delle donne. In realtà forse una risposta indiretta, molto chiara e critica alla predominanza del modello ormonale, ci viene dalle ricerche comparative fatte in altri Paesi che, utilizzando lo stesso protocollo e gli stessi strumenti, dimostrano che le cause della depressione possono essere molto diverse. Questo ci riporta al contesto e ci fa dire che certi contesti sono più o meno favorevoli a una maternità salutare. Mi permetto di usare come filo conduttore e di riportare le ricerche fatte durante la mia lunga esperienza. La prima, del 1985, (che è poi stata la mia tesi di dottorato) è una piccola ricerca dal punto di vista del campione; la seconda è una ricerca più ampia svolta in Friuli Venezia Giulia nel 1994-1997; la terza è la più ampia ed è stata effettuata a Trieste. Orientamento psicosociale per me è soprattutto una grande attenzione al contesto. Queste sono tutte ricerche longitudinali, le donne sono state seguite quindi a distanza nel tempo. Dalla prima ricerca ho imparato l‟importanza di porre attenzione alla vita quotidiana. Ero neolaureata, ho fatto un lavoro di rassegna della letteratura presente, che allora era soprattutto psichiatrica, in cui la DPP era tradotta nel linguaggio della ricerca: la diagnosi, i soggetti, le variabili ecc. L‟esperienza delle donne scompariva dentro questo linguaggio. Ho fatto molte interviste a casa delle donne e questo mi ha permesso di cogliere qualcosa della loro realtà quotidiana che sicuramente dagli 26 articoli non poteva emergere. La ricerca successiva, svolta in Friuli, è una ricerca longitudinale importante perché ampia dal punto di vista del campione. Abbiamo seguito le donne intervistate subito dopo il parto, 5 mesi, 1 anno e 3 anni dopo il parto. Questa ricerca, fatta successivamente anche in altri Paesi, ci ha permesso di dire che i tassi di depressione erano diversi nei diversi Paesi. I fattori emersi associati alla depressione sono quelli che riportano anche altri ricercatori, nulla di sorprendente: l‟età materna è avanzata - a Trieste, forse ancor più che nel resto d‟Italia, si fanno pochi figli ed in età avanzata: si potrebbe ipotizzare il tasso di infertilità come fattore di rischio -, problemi socioeconomici, disoccupazione paterna, insoddisfazione della donna relativa allo status lavorativo, mancanza di sostegno sociale, gravidanza non desiderata, il bambino ricoverato, relazione di coppia non buona, conflitti con il partner nella divisione dei lavori domestici e nelle cure al bambino, depressioni precedenti alla gravidanza. Quest‟ultimo è un dato che tutti trovano, un fattore di rischio importante: l‟avere avuto una depressione in gravidanza o prima. Vale la pena fermarsi un attimo perché viene dato per scontato si tratti di un indicatore biologico mentre invece non lo sappiamo, sappiamo solo che la donna era già depressa prima, forse era depressa per gli stessi motivi contestuali (povertà, conflittualità di coppia ecc). Si tratta di un indicatore sicuramente forte ma la cui interpretazione va meditata. Vorrei ricordare che nel corso di questa ricerca non è stato introdotto l‟indicatore della violenza all‟interno della relazione di coppia, quindi non sono state fatte alla donna domande in proposito. 27 Fattori associati alla depressione un anno dopo il parto GHQ>5 Problemi economici % No 8 Sì 29 p <0.001 Partner disoccupato No Sì Relazione di coppia –Molto buona –Buona –Abbastanza buona –Non buona % 8 23 % 4 9 16 26 p <0.02 p <0.0001 Nello specifico, la tabella sopra mostra come incidano i fattori associati alla depressione: avere un partner disoccupato fa passare, ad esempio, il tasso di depressione delle donne dall‟8% al 23%; l‟incremento avviene anche per problemi economici e in corrispondenza di una non buona relazione di coppia. Abbiamo successivamente confrontato i dati oggettivi ai nostri risultati sulle associazioni tra fattori di rischio e depressione con le interpretazioni che le donne davano. Alle donne che riportavano sentimenti depressivi si chiedeva : “perché secondo te?” 28 La depressione post-partum : risultati un anno dopo il parto La depressione : confronto tra risultati dell’analisi statistica e attribuzioni delle madri Principali fattori di rischio madri Spiegazioni date delle Cattiva relazione di coppia (RR 5) (26%) Problemi economici (RR 3) (18%) Assenza di un confidente (RR 2.2) (12%) Insoddisfazione prof. (RR 2.2) (13%) Cattiva salute bambino (RR 2) (11%) Sovraccarico, inadeguatezza Stanchezza, stress Insoddisfazione prof. Prob.relazionali(eccetto partner) Bambino Partner (9%) Ormoni/carattere (9%) Età > 35 anni (RR 3) (9%) Depressione precedente (RR 2.6) (3%) Solitudine Lutti Problemi economici (2%) Non so, altro (5) Dai dati sui fattori di rischio emerge come, ad esempio, avere una cattiva relazione di coppia moltiplichi per cinque il rischio di essere depressa, i problemi economici per tre e così via. È interessante che le spiegazioni date dalle mamme rispecchiano tutt‟altra gerarchia: 1)sovraccarico, inadeguatezza; 2) stanchezza-stress; 3)insoddisfazione professionale etc. Vedete che i problemi relazionali con il partner sono citati solo dal 9% delle donne, mentre è il fattore di rischio principale secondo le nostre analisi statistiche. Anche i problemi economici vengono raramente citati dalle donne come causa di sofferenza; invece, obbiettivamente, i dati ci dicono che sono molto influenti. I risultati ci mostrano l’importanza dei fattori legati al contesto sociale e familiare; le madri invece attribuiscono 29 la depressione all’inadeguatezza personale. I dati emersi nelle ricerche relative alla vita quotidiana suggeriscono che la vita delle donne che hanno avuto un bambino non è sempre facilissima, il carico domestico è prevalentemente loro e quando ritornano al lavoro, una parte di donne non può più riprendere l‟attività professionale a causa dei contratti a breve termine e dei licenziamenti. Spesso subentrano maggiori problemi di salute con costi non indifferenti, soprattutto per quanto riguarda la relazione di coppia. La transizione alla maternità: i costi per le donne Peggioramento della relazione di coppia Grav. 12 mesi pp % Relazione non buona 22 Conflitti lavoro domestico 43 Conflitti cure al bambino 44 Partner come confidente 50 5 mesi pp % % 6 14 17 20 - 19 - 71 (Romito e Saurel-Cubizolles, 1997) i nostri dati Sono in linea con quelli internazionali, e abbastanza inquietanti: ci dicono ad esempio che le donne che definiscono la loro relazione non buona passano dal 6% in gravidanza al 22% ad un anno dal parto. Quelle che citano il partner come confidente passano dal 71% cinque mesi dopo il parto al 50% un anno dopo il parto: quindi dalla nascita ai 12 mesi o addirittura ai 3 anni dal parto (ultimo questionario) si registra maggiore difficoltà nella vita delle donne (scollamento rispetto a 30 quanto riportato in guide e manuali divulgativi). Nel corso dell‟ultimo studio, realizzato a Trieste nel 2004, abbiamo indagato la relazione tra depressione e violenza contro le donne, prima e dopo il parto. Il campione è un po‟ più piccolo, intervistato subito dopo il parto e a distanza di 7 mesi da questo. Le intervistatrici erano state formate anche per rispondere a problematiche di violenza; lo strumento usato per l‟indagine è diverso dai precedenti e da questo dipende il tasso di depressione più basso, tuttavia i fattori associati sono molto simili ai precedenti: di nuovo problemi economici, il bambino ricoverato, insoddisfazione rispetto all‟attività lavorativa. Qui troviamo dati chiari: le donne più infelici sono quelle che vorrebbero lavorare mentre invece stanno a casa e devono starci o perché hanno perso il lavoro, o perché credono che per il bambino sia giusto stare a casa. Tutti gli indicatori della relazione di coppia considerati associati alla depressione: disaccordo della coppia sulla gravidanza, lavoriamo/non lavoriamo, disaccordo sulla contraccezione prima del parto, disaccordo sulla ripresa dei rapporti sessuali nel dopo parto (“l’ho fatto ma avrei aspettato ancora un po’”) e gli indicatori di violenza. Fattori associati alla depressione 7 mesi dopo il parto - Problemi economici Bambino ricoverato Insoddisfazione rispetto all‟attività lavorativa Ansia e depressione precedenti Relazione di coppia - Disaccordo nella coppia sulla gravidanza - Disaccordo nella coppia sulla contraccezione - Non si sentiva pronta quando ha ripreso i rapporti sessuali - Relazione di coppia non buona - Il padre gioca poco col bambino Violenza - Violenza psicologica e fisica dal partner - Violenza psicologica e fisica da altri familiari - Violenze nell‟infanzia 31 La violenza del partner ma anche degli altri familiari, fisica e psicologica (soprattutto psicologica per i familiari), risulta in associazione molto forte con la depressione: dai dati, in particolare la presenza di violenza moltiplica per 13 il rischio di depressione. In sintesi, alla domanda -Cosa rende le madri depresse?- possiamo rispondere: sicuramente abusi e violenze (fattore molto importante che non consideravamo perché non lo chiedevamo), relazione di coppia non soddisfacente per vari motivi, insoddisfazione rispetto al ruolo professionale, problemi di salute del bambino e problemi economici che ritornano in tutte le ricerche e che sono trascurati nella pratica clinica. Le ricerche in gravidanza studiano da meno tempo il ruolo della violenza; sappiamo che la vita di molte donne è attraversata da violenza e che questo è un fattore di rischio importante per la depressione con ricadute sui bambini: la possibile presenza di violenza dovrebbe essere sempre indagata. In generale, posso suggerire alcuni segnali di allerta rispetto al rischio di sviluppare depressione dopo il parto per il personale socio-sanitario: La depressione dopo il parto Segnali di “allerta” per il personale socio-sanitario - Depressione in gravidanza, prima della gravidanza Ricoveri e congedi malattia in gravidanza Non aver neanche provato ad allattare (ma attenzione al contesto culturale ed ospedaliero!) Valutare come “cattiva” la propria salute e quella del bambino Grande stanchezza alla dimissione Desiderio di restare qualche giorno di più in ospedale Indicatori di disaccordo con il partner (gravidanza, contraccezione, sessualità), che possono emergere anche durante la visita ginecologica. 32 Ancora due considerazioni prima di concludere. La prima è la citazione tipica di tutti gli articoli di ricerca internazionali sulla DPP: “la DPP è un problema di salute pubblica a causa degli effetti sullo sviluppo cognitivo e sociale del bambino” – in cui la donna non compare affatto. Il messaggio che arriva ai genitori è piuttosto che la DPP è un problema per lo sviluppo del bambino. È bene dire che ricerche su DPP e sviluppo del bambino cominciano ad essere più dettagliate e ci danno un messaggio più articolato. Sicuramente una mamma depressa è problematica, non potrà occuparsi con la stessa gioia e disponibilità del suo bambino. Però il ruolo del materno in queste ricerche è sproporzionato: occorre considerare anche il padre, i nonni, il contesto sociale. Recenti ricerche inoltre dimostrano come anche la depressione paterna può incidere sul benessere del bambino. L‟ultima considerazione riguarda la prospettiva ecologica (Bronfenbrenner), secondo la quale le persone stanno dentro a dei microsistemi, ma anche a dei mesosistemi, macrosistemi ecc. (la cultura della nostra regione, del nostro Paese). La prospettiva ecologica: gli studi multilivello Cosa influisce sulla depressione delle madri di bambini piccoli? Fattori di rischio di depressione individuali : - giovane età, non-bianche, non sposate, educazione bassa, scarso reddito Fattori di rischio di depressione relativi alla posizione delle donne a livello dello Stato : - Partecipazione politica delle donne Autonomia economica delle donne Lavoro e guadagni Diritti riproduttivi Inoltre: Divario tra ricchi e poveri Articolazione tra fattori individuali e fattori contestuali Women‟s status and depressive symptoms, Chen et al., Social Science & Medicine, 2005 E‟ veramente interessante considerare che le ultime ricerche ci permettono di cogliere l‟impatto che hanno questi diversi livelli sul benessere delle mamme in particolare. 33 “Accompagnare la genitorialità nel percorso nascita: ricerca-intervento sui fattori di rischio e protezione” Prof.ssa Fiorella Monti Dipartimento di Psicologia – Università di Bologna Io presento i dati di una ricerca, promossa dal Centro Studi per il benessere e la salute del bambino e dell‟adolescente di Forlì, una ricerca a cui lavoriamo in molti: i ricercatori della Facoltà di Psicologia di Bologna, dell‟AUSL di Forlì, dell‟ospedale, della SER.IN.AR, dei comuni e dei servizi sociali. È una ricerca che coinvolge necessariamente, perchè ha bisogno, dei collaboratori dell‟Igiene e della Salute Mentale e dei collaboratori dell‟ospedale, quali ostetriche e medici. Introduco con alcuni aspetti introduttivi di cornice, già trattati in precedenza, rispetto alla complessità della maternità, non solo di quella patologica: - Si diceva che la maternità si configura come crisi di tutta la vita del gruppo comunitario e sociale nonostante l‟apporto della tecnica scientifica, come ha già riferito il Direttore Sanitario. - E‟ importante sostenere la genitorialità, offrendo spazio alla tecnica, ma anche “ambientale” ai genitori. - La maternità va considerata anche sul piano psichico e non solo come un evento da monitorare. - E‟ importante dedicare tempo e pazienza all‟ascolto: è necessario raccogliere e comprendere la soggettività dei genitori. - Occorre considerare la gravidanza come crisi evolutiva complessa, portatrice di molte ansie e paure. - Il lavoro della maternità implica un grande rimaneggiamento degli 34 investimenti, un lavoro che avviene prima della nascita del bambino nello spazio mentale dei genitori; della madre in particolare, avviene rispetto alla rappresentazione che ha di sé come madre e del futuro bambino; successivamente riguarderà il confronto fra il bambino reale e quello che lei ha sognato, immaginato, anche in base alla propria storia personale. - La depressione può essere intesa come perturbazione della funzione materna, che mette a rischio non solo le interazioni precoci e lo sviluppo del bambino, ma va anche ad alterare gravemente la struttura dell‟identità della donna. Gli effetti della DPP sono molteplici: sul partner, sulla relazione di coppia, sulle dinamiche familiari, sulla donna in quanto donna e sulla donna in quanto madre. Gli effetti, tramite la funzione materna, influenzano le interazioni precoci e lo sviluppo del bambino come sostengono ricerche in ambito internazionale. Quindi la madre depressa è una madre presente soprattutto fisicamente: in gravidanza, la donna con depressione non riesce a fare quel lavoro detto “il lavoro a maglia” (Soulé, ), cioè a pensare e a progettare il suo bambino; successivamente sarà quindi una madre presente fisicamente ma assente psicologicamente. Rispetto al discorso della prevenzione, il periodo a rischio d‟esordio è già in gravidanza e perdura 12 mesi successivi al parto. La responsabilità di tutti gli operatori è quella di comprendere quali sono i fattori di protezione e di rischio e lavorare su questo per la prevenzione primaria e secondaria. L‟importanza degli eventi di vita negativi spesso non viene considerata abbastanza: anche situazioni avverse che si trovano nella storia della donna e nel vissuto soggettivo del passato, possono continuare a pesare sulle sue spalle. 35 Ricerca-intervento sui fattori di rischio e protezione Dal fatto che ha la metodologia di una ricerca-intervento, deriva la sua complessità ma anche aspetti di positività secondo me. La ricerca è stata preceduta da un iniziale periodo di formazione e di incontri regolari con gli operatori coinvolti. La prima fase della ricerca consisteva nel reclutamento delle donne durante il terzo trimestre di gravidanza. Gli psicologi si sono presentati ad illustrare la ricerca, progetto di intervento che veniva già introdotto e comunicato dagli operatori dei gruppi nascita, medici. Sono stati utilizzati diversi strumenti di valutazione: scale sull‟ansia, scala sulla depressione (EPDS), scala sul supporto sociale, scala sugli eventi di vita e scala sull‟autostima. Le donne che accettavano di partecipare alla ricerca – che sono state 348-, compilavano i questionari durante il corso di preparazione alla nascita o in ambulatorio; successivamente venivano ricontattate dalle psicologhe per la comunicazione delle valutazioni. Se si individuavano situazioni di rischio psicosociale o una sintomatologia depressiva, alle donne venivano offerti percorsi idonei. All‟individuazione del rischio psicosociale si effettuava l‟invio al Centro Famiglia; in presenza di una sintomatologia depressiva/ansiosa le donne venivano invece inviate alla psicologa dell‟ospedale. Qui la psicologa effettuava un colloquio e la somministrazione dell‟intervista SCID, ai fini diagnosi. Se veniva confermata la rilevanza clinica della sintomatologia depressiva, la psicologa ospedaliera continuava a vedere la donna; in caso di particolare gravità avveniva il raccordo ai Centri di Salute Mentale. Nel caso non fosse individuata dalla psicologa la necessità di supporto, veniva comunque comunicato all‟ostetrica di prestare maggiore attenzione durante il travaglio e il parto alla donna. Successivamente, verso il terzo mese dopo il parto, le donne sono state nuovamente ricontattate e, per 200 di queste, si è ripetuta la precedente procedura. In caso di bisogno, è stato offerto loro un aiuto anche dopo il parto. 36 L‟ultimo step della ricerca avveniva 11 mesi dopo il parto, vi hanno partecipato 62 donne. I dati generali di maggiore interesse sono: - sul totale delle 348 donne, la percentuale di parti cesarei è pari al 23%; - 218 hanno ricevuto almeno una visita domiciliare; - 66 donne sono state inviate al Centro Famiglia; - il ceto sociale/culturale prevalente è medio-alto, come accade in genere all‟interno dei corsi di preparazione al parto. Questo solleva la questione di come poter intercettare altri profili. Per quanto riguarda la DPP, il 36,6% delle donne in gravidanza ha indicatori di rischio; la percentuale scende al 25% dopo il parto; questo ci suggerisce l‟utilità di un intervento preventivo in gravidanza. La sintomatologia depressiva in gravidanza è maggiore rispetto al post parto e quindi l‟importanza di intervenire anche prima del parto. Abbiamo rilevato che allo stato depressivo è sempre associato un livello d‟ansia, anche se in generale non patologico. In particolare l‟ansia aumenta in maniera proporzionale alla depressione e viceversa. Questo può suggerire che, a livelli più significativi di depressione, si associ una diminuzione progressiva di autostima, in virtù della rappresentazione cognitivo-percettiva che la donna ha di se stessa. Maggiori livelli di depressione sono anche correlati ad una maggiore incidenza di eventi negativi, quali: lutti, precedenti aborti, morti pre e perinatali. Le donne con depressione, inoltre, hanno, rispetto alle donne non depresse, maggiore percezione che gli eventi negativi del passato abbiano ancora un effetto sull‟attualità. Le donne con depressione si sentono anche meno supportate a livello sociale delle altre. La sintomatologia depressiva, sia lieve che più severa, si associa ad un vissuto psicologico del parto più difficile: le donne hanno un maggior numero di contatti telefonici dopo il parto e richiedono più visite 37 domiciliari di quelle non depresse; questo può suggerire un maggiore bisogno di aiuto. Di seguito alcune riflessioni conclusive: - I disturbi depressivi e ansiosi sono manifestazioni ugualmente rilevanti di disagio nel preparto che necessitano di essere adeguatamente monitorate. - In gravidanza si evidenzia comunque una prevalenza del disturbo depressivo rispetto al disturbo d‟ansia (cfr. De Tichey et al., 2005; Manzano et al., 1997). - Si evidenzia inoltre, come confermato in letteratura, una maggiore frequenza del disturbo depressivo in gravidanza rispetto al post partum. - Fra i fattori di rischio, ansia di stato e di tratto, autostima, eventi di vita significativi e rischio sociale risultano associati alla depressione in gravidanza confermando i dati attuali della letteratura. - L‟assessment prenatale, costituito dall‟utilizzo congiunto del colloquio psicologico e strumenti self-report, ha consentito di favorire l‟individuazione delle donne a rischio e ridurre la sintomatologia. L‟intervento psicologico, declinatosi attraverso un numero predefinito di colloqui (da 1 a 5), ha apportato benefici in termini di aumento dell‟autostima e diminuzione clinicamente significativa nella sintomatologia depressiva. Il colloquio come strumento terapeutico di prevenzione e di cura psicologica è di competenza dello psicologo, ma il vissuto soggettivo dei genitori è competenza di tutti, non solo del personale medico e paramedico: “non sono i curanti che fanno la cura ma la società”. 38 “Dai piccolini alle mamme: l’intervento psicologico nella nascita prematura” Dr.ssa Elena Bravi, Psicologa -Ospedale Verona Prima di tutto grazie per l‟invito. Io vi parlerò dell‟intervento psicologico nell‟area della prematurità: un‟area di inizio della vita molto difficile e particolare, un‟esistenza un po‟ ai limiti dell‟impossibile. Quanto abbiamo già ribadito sulla nascita fisiologica è utile per introdurre il discorso di quando una nascita è gravemente prematura oppure patologica. Io, in quanto psicologa, lavoro come consulente in una Terapia Intensiva che è neonatale e pediatrica. Oggi parlerò solo dell‟aspetto prenatale, degli aspetti legati alla prematurità, e non mi addentrerò nella tematica delle altre malformazioni neonatali, delle malattie metaboliche, delle gravi patologie cognitive. Di che cosa parliamo quando parliamo della nascita prematura? Vediamo chi sono i principali attori di questa vicenda. Ci sono i genitori. Abbiamo sentito parlare oggi del bambino immaginario e del bambino reale. Il bambino immaginario è il bambino “San Gemini” che noi vediamo nella pubblicità di quell‟acqua. Il bambino reale, quando si tratta di una grave prematurità, somiglia a questi bambini che vediamo nelle foto (immagini mostrate ma non pubblicabili per vincolo di privacy). Quindi immaginate che scollamento c‟è tra immaginario e reale in una madre che ha una gravidanza gravemente prematura. La nascita non è prematura solo perché avviene prima del tempo, e talvolta molto prima del tempo: nella prematurità noi dobbiamo distinguere il prematuro di 32 settimane che, per i centri di terapia prenatale, è un prematuro non preoccupante anche se la madre può avere numerose ansie, dal bimbo 39 prematuro di 25 settimane, talvolta 24 o 23; dato che si alzano sempre di più le possibilità di sopravvivenza ad epoche gestazionali sempre più basse. Quindi la nascita prematura, da un punto di vista psicologico, è una gravidanza interrotta, un progetto non concluso, tanto che nei racconti dei genitori si esprimono vissuti di furto ”mi è stato portato via questo bambino”, “non l’ho più visto”, infatti, a differenza della nascita fisiologica - dove c‟è un‟immediata ricongiunzione tra la mamma e il bambino - la nascita prematura avviene quasi sempre da parto cesareo: il bambino viene visitato dal neonatologo, trasferito immediatamente in neonatologia e messo in incubatrice, per cui il contatto con la madre non esiste. Egli non può essere allattato, il bambino ha il sondino nasogastrico per essere alimentato. Tutti questi fattori incidono tantissimo sul legame di attaccamento. Quindi non è solo il bambino ad essere prematuro, sono i genitori stessi ad essere prematuri e questo evento si configura spesso come traumatico a tutti gli effetti, incidendo profondamente sui progetti familiare, di vita, di coppia e della famiglia. A questo si aggiungono degli accadimenti come l‟ accanimento terapeutico: le scelte impossibili rispetto al quando e fino a che punto rianimare; l‟angoscia di sopravvivenza e l‟essere messo di fronte al limite sottilissimo tra la vita e la morte. Tutti questi aspetti meriterebbero una discussione a parte. E naturalmente tutto ciò comporta un rischio maggiore di depressione. Tenete presente che quando noi parliamo di una prematurità intorno alle 24 settimane, parliamo di una disabilità del bambino intorno all‟80%, quindi importantissima. Dal punto di vista psicologico, c‟è una grossissima angoscia di perdita e un sentimento di castrazione nei genitori. Alcune mamme dicono “sono entrata senza pancia e sono uscita senza pancia e senza bambino”, 40 perché la mamma rimane in reparto e il bambino viene trasferito in neonatologia. La mamma in ostetricia viene presto dimessa e cominciano dei viaggi infiniti tra la neonatologia e il proprio domicilio: il latte deve essere tolto e trasportato, viene messo nel sondino. Tutto è ovviamente molto meccanizzato per la situazione di gravità del bambino, un bambino intubato. Un bambino così evoca delle profondissime angosce di morte. Ricordiamo l‟equivalenza nell‟immaginario materno tra il benessere del bambino e quanto lui mangia, quanto è tondo, che corrisponde a quanto è sano e quanto è bello… (la relatrice mostra un‟immagine) voi vedete questo bambino, è un bambino brutto oggettivamente, ha una pelle trasparente, è emaciato, spesso sofferente, è un bambino che rimanda dei vissuti pesantissimi da sopportare. La mamma non sa mai come avvicinarsi a questo bambino, non sa se toccarlo o se non toccarlo; se lo tocca e il bambino va in bradicardia può pensare “oddio gli faccio male, vuol dire che non lo devo toccare”. Il bambino è costantemente monitorato ed abbiamo degli indicatori di come reagisce, ad esempio, al contatto con la mamma. Si creano una profondissima ferita narcisistica ed enormi sensi di colpa nella mamma, una mamma che si sente fallimentare nel suo progetto: “non ce l’ho fatta a tenerlo, non l’ho portato avanti”. Le domande sono le più strane, domande alla ricerca della causa, di una spiegazione ad una nascita così precoce. La prima visita al bambino è un momento molto atteso, ma allo stesso tempo molto temuto; il primo a vedere il bambino di solito è il papà, poiché i neonatologi hanno il primo contatto con lui: la mamma dopo il cesareo è ancora addormentata o trasferita in ostetricia, non vede il bambino; ha le descrizioni del papà o, peggio ancora, vede il figlio attraverso le fotografie fatte con il telefonino. L‟equivalenza del bambino mostro o del bambino deforme è qualcosa che terrorizza le mamme, 41 tanto che molte dicono “io non lo voglio vedere, mi hanno detto che è a rischio di vita e io non lo voglio vedere perché se poi mi attacco è ancora peggio”. Quindi, già il primo contatto con questo bambino si configura come un aspetto molto difficile. Inoltre è un bambino che non dà nessun ritorno, non è molto gratificante dal punto di vista emotivo, è un bambino a volte sedato (se intubato per forza), come morto emotivamente. Immaginate il vissuto di un genitore a contatto con il vetro dell‟incubatrice. Descritti in letteratura come vissuti pietrificanti nei genitori, sono equivalenti ai sentimenti che provano i genitori quando perdono un figlio. Nei papà c‟è un aspetto particolare che ha a che fare con lo stupore, con l‟incredulità, ci sono degli evitamenti potenti; anche quando la mamma riesce a tenere o toccare il bambino, il papà evita quasi sempre di farlo e la scusa pronta spesso è “ho paura di fargli male, ho paura di romperlo, ho paura…” e quindi si tira indietro. Anche nel papà il rischio di depressione è fortemente incrementato perché vede fallita la sua funzione protettiva sulla coppia madrebambino; spesso aumentano anche i conflitti anche nella coppia. A volte si verificano veri e propri acting out: padri che lasciano la moglie e il bambino, che fuggono perché non ce la fanno a sopportare la situazione. Ma c‟è un altro fattore da considerare: la depressione non soltanto come conseguenza della prematurità; essa può a sua volta essere causa di molte prematurità. Il primo studio che parla dello stress materno, di depressione materna associata al dato di crescita del bambino è del 1941; nel tempo è stato approfondito il rapporto tra problemi ostetrici, nascite premature, difficoltà prenatali, perinatali. Oggi ci sono articoli a sostegno di come la depressione prenatale provochi un ritardo di crescita fetale. Nel campo delle gravidanze patologiche, l‟angoscia della madre è comunque un comune denominatore, qualunque sia l‟origine, sia come 42 causa che come conseguenza. In particolare, sulle reazioni emotive alla prematurità, un aspetto che colpisce sempre molto è quella che viene definita “maternità bianca”, una forma particolare di depressione materna, detta un tempo la “madre infermiera”, incarnata cioè da una madre molto efficiente clinicamente, capace di controllare l‟efficienza del saturimetro, del ventilatore ecc., ma che è privata di tutti gli aspetti affettivi di relazione con il suo bambino. Naturalmente esistono fattori di rischio che possono enfatizzare tutte queste cose: le esperienze precedenti di parti prematuri o precedenti aborti; se poi la prematurità deriva da processi di fecondazione assistita implica pensieri e conflitti aggiuntivi; non parliamo delle gravidanze gemellari in cui c‟è un gemello superstite e uno che muore: i vissuti sono ancora più particolari. A volte la madre può sviluppare vissuti molto persecutori sul neonato che ha delle richieste troppo intense a cui lei sente di non riuscire a far fronte, di non avere delle risorse per farlo. Il bambino prematuro è anche poco consolabilie. Oppure la madre si deprime perché collude con gli aspetti poco vitali e mortiferi di questo bambino, quindi fa fatica a cogliere la sua intenzionalità, non riuscendo così a produrre esperienza: questo è ciò che poi caratterizza la “relazione bianca”, tanto che i bambini poi diventati grandi sono un po‟ particolari dal punto di vista educativo. Su questo argomento ci sono numerosi studi. La percentuale di morte nei bambini prematuri può essere anche molto elevata; quando poi il bambino prematuro muore, ai vissuti di questa nascita così difficile si aggiungono tutti i vissuti di angoscia, di disperazione e spesso di colpa, che sono legati alla morte, con delle particolarità nei morti gemellari. Gli stili di attaccamento studiati nelle gravidanze premature sono i più 43 vari, a volte caratterizzati da rifiuto e aggressività nei confronti del bambino. All‟inizio c‟è un forte rischio di delega agli operatori (abbastanza fisiologico in una prima fase tanto tecnicizzata) “io non posso fare nulla, fanno tutto loro”. Spesso l‟unica consolazione delle madri è che si possono togliere il latte e farlo mettere nel sondino, una piccola area di “senso di utilità del seno materno”. Un altro aspetto è quello della madre intrusiva o tendenzialmente asincrona, cioè una madre che tende a iperstimolare il proprio bambino, che non è pronto ad essere stimolato: quasi una reazione a stimolare la vitalità di un bambino che viene percepito come morto. Nelle coppie marsupio il profilo interattivo sembra migliorare. Nelle neonatologie si fa la cosiddetta marsupio terapia o “canguros care”: consiste nel mettere il neonato prematuro, quando non è intubato, a contatto con il ventre materno, pelle a pelle, avvolti entrambi da un panno o da una coperta; essi rimangono così per un tempo progressivamente crescente. Questo favorisce una ripresa più veloce del neonato, riduce gli interventi infettivi che possono sopraggiungere frequentemente nel prematuro e migliora la relazione tra la mamma e il bambino. In effetti, la relazione tra le “coppie marsupio” rappresenta spesso un momento di svolta nel sentimento materno e nella descrizione della madre del suo senso di utilità e del suo diventare finalmente mamma. Per il neonato si recupera la prima esperienza piacevole, dopo la sua permanenza in utero, che è il contatto con la madre, sentire il suo respiro, il suo cuore, dopo una serie di stimolazioni che di positivo hanno poco. Vediamo l‟esperienza dalla parte dei bambini. Questi bambini sono sottoposti sicuramente più a stimolazioni negative che a stimoli positivi che comunque si tenta di fornire. È la famosa care del bambino 44 prematuro. Le stimolazioni negative hanno a che fare con delle manovre necessarie per la salute del bambino, ad esempio l‟ambiente stressante, i monitor che suonano in continuazione e le manovre che provocano dolore nel prematuro; nonostante oggi si presti molta attenzione al dolore del prematuro, pensate che fino a 40 anni fa si era convinti che il bambino prematuro non provasse dolore, per cui venivano praticate manovre di intubazione e interventi chirurgici senza anestesia. Oggi invece si è capito che il prematuro ha una sensibilità al dolore molto aumentata rispetto al bambino a termine e quindi l‟analgesia viene praticata sempre. Si presta anche attenzione, come accennato prima, alle stimolazioni positive; oggi nelle neonatologie si mettono nelle termoculle quei “cuscinotti” intorno al bambino per accrescere il suo senso di contenimento; i prematuri hanno quasi sempre la cuffietta in testa e le scarpette ai piedi, non solo per un problema di temperatura, ma anche proprio per una sensazione di contenimento e di protezione di cui il prematuro ha un grandissimo bisogno. Il contatto materno viene mantenuto attraverso il contatto con le mani delle madri, che possono entrare nella termoculla molto precocemente, attraverso la possibilità di mettere il latte materno nel sondino, con la marsupio terapia e con la possibilità per i genitori di essere assieme vicino alla termoculla del loro bambino. Si possono trovare studi sulla salute futura dei bambini ex prematuri. Un‟attenzione agli operatori che lavorano nelle neonatologie. Questo lavoro ha un altissimo coinvolgimento umano oltre che la necessità di una elevatissima componente tecnica. C‟è un‟identificazione inconscia con i genitori del bambino, soprattutto per gli operatori che a loro volta sono genitori, un‟identificazione con aspetti prevalentemente angoscianti, di disperazione, colpa, morte del bambino. 45 Gli interventi di emergenza continui determinano un lavoro ad elevatissimo stress. Il rischio in queste situazioni è quello di difendersi eccessivamente dall‟ angoscia, di non sentirsi più, di irrigidirsi troppo: molto efficienti su un piano tecnico, ma glaciali sul piano umano. Noi lavoriamo molto sul piano assistenziale con i genitori, con il bambino e, a livello informativo e assistenziale, anche con gli operatori. Ci sono per esempio degli aspetti di comunicazione che sono molto difficili e noi lavoriamo su questi con il gruppo di operatori: per 10 anni abbiamo condotto un lavoro di gruppo con medici, neonatologi e un gruppo infermieristico parallelo per 8 anni; adesso abbiamo messo insieme questi due gruppi e ogni 15 giorni ci incontriamo per discutere dei casi più complessi, soprattutto da un punto di vista emotivo. La tematica prevalente negli ultimi tempi è quella delle scelte difficili in neonatologia. Noi crediamo che il gruppo sia un aspetto fondamentale per reggere lo stress di queste situazioni, perché migliora la comunicazione, aumenta il senso di coesione e crea uno spazio mentale dove mettere quelle angosce che altrimenti rimarrebbero sospese. Naturalmente, a livello organizzativo, questo ha portato delle modificazioni, per cui abbiamo un protocollo di accoglimento anche dei genitori alla rianimazione del bambino. Sicuramente questo ha prodotto dei buoni risultati soprattutto a livello di clima del reparto, che è un clima meno difensivo, più portato all‟attenzione, all‟ascolto e alla comunicazione e quindi più preparato ad affrontare le sfide che in neonatologia non mancano mai. 46 “L’intervento dei padri nella prevenzione della depressione post-partum” Dr.ssa Laura Pomicino, Psicologa – Università Trieste Il mio contributo si colloca come ideale prosecuzione dell‟intervento della prof.ssa Romito, poiché esso si basa proprio sui presupposti teorici da lei esposti. Vi presenterò e “racconterò” i dati di uno studio che abbiamo svolto presso l‟Istituto di Ricerca e Cura dell‟Ospedale “Burlo Garofolo” di Trieste, lavoro che si è concluso nel 2008 e che aveva come oggetto l‟intervento con i padri. Sono numerosi gli interventi di prevenzione della depressione postnatale, che fino ad oggi sono stati condotti a livello internazionale e nazionale, con un notevole investimento di risorse. Purtroppo gli esiti di tali interventi non sono stati favorevoli, in quanto non è stato possibile dimostrarne l‟efficacia: le donne che ricevevano un intervento non mostravano nessuna differenza significativa rispetto alle donne che invece quell‟ intervento non l‟avevano ricevuto. Non è facile mettere a confronto fra loro i progetti e individuarne limiti e potenzialità, perché molto diversi l‟uno dall‟altro. Sicuramente un limite degli interventi realizzati è rappresento dal fatto che essi sono stati rivolti prevalentemente alle madri, con almeno due conseguenze negative: 1. concentrarsi solo sulle madri porta ad omettere alcuni fattori di contesto fondamentali (violenza domestica, soddisfazione lavorativa della donna ecc); la domanda viene dalla donna e solo in lei si cerca 47 la risposta, creando così un processo circolare che non aiuta; 2. gli studi condotti spesso non sono longitudinali e prendono quindi in considerazione solo una “fetta” di vita della donna. La situazione italiana è caratterizzata da mancanza di coerenza. Da una parte si tende a parlare sempre più di DPP, dall‟altra manca una risposta sistematica, organizzata e ben strutturata al problema. Le donne che in Italia si avvicinano alla maternità sono seguite all‟interno di Percorsi Nascita, che sicuramente rappresentano una risorsa preziosa per loro, ma che dovrebbero occuparsi della donna in maternità a 360°. La depressione non viene quasi mai trattata; io conosco l‟esperienza di Trieste e della DPP non se ne parla quasi mai nei corsi pre-parto. Ora occupiamoci dei padri. Si inizia a sottolineare sempre più l‟importanza del ruolo maschile nel promuovere l‟uguaglianza di genere, è quindi importante coinvolgere i padri anche quando si pensa alla DPP. Fino ad oggi si è preso in considerazione il ruolo del padre nella promozione dello sviluppo socioemotivo del bambino; non si è parlato invece di quanto sia importante e centrale il supporto del partner alla donna, sia durante la gravidanza che dopo il parto, supporto che deve essere strumentale ed emotivo. Quali sono gli ostacoli, riconosciuti anche a livello internazionale, al coinvolgimento dei padri? Una difficoltà riguarda il fatto che i papà di oggi non hanno modelli di riferimento a cui attingere, nel senso che i loro padri non erano quelli che loro vorrebbero essere. C‟è poca centratura sul concetto di paternità, perché tutto ciò che ruota intorno all‟evento nascita è legato alla mamma e i padri vivono un sentimento di estromissione. Forse la difficoltà centrale è superare il modello tradizionale dell‟uomo “che porta a casa il 48 pane”. È da sottolineare come, laddove è stato proposto un intervento rivolto ai padri, la loro adesione è stata molto bassa, è molto difficile coinvolgerli: questo è il primo obiettivo da porsi. In Italia, parimenti al panorama internazionale, si tratta di un‟area di ricerca di recente sviluppo, anche se esistono molti studi che si concentrano sulla figura paterna. A Trieste i padri, all‟interno dei Percorsi Nascita, partecipano prima del parto a tre incontri centrati su aspetti molto pratici, come ad esempio la gestione delle prime contrazioni della mamma, la preparazione della borsa per l‟ospedale ecc. Si parla tanto dei nuovi papà, ma i dati nazionali non evidenziano un grande cambiamento: le donne hanno sempre il carico maggiore nella gestione generale della casa e del bambino, mentre i padri prediligono alcune attività specifiche, soprattutto quelle ludiche e quelle legate ad aspetti piacevoli. Il cambiamento sicuramente si sta verificando, ma è molto lento e andrebbe analizzato nel dettaglio. I fattori che favoriscono il coinvolgimento del papà sono: la presenza di due o più bambini in famiglia e la madre lavoratrice. Alla luce di tali fattori, sorge spontanea una domanda: si tratta di un reale cambiamento o è semplicemente una risposta ad una necessità? Ricerca: l’intervento dei padri nella prevenzione della depressione postpartum Si tratta di uno studio sperimentale, controllato e randomizzato, che aveva un duplice obiettivo: 1. verificare se era possibile lavorare con i papà, capire cosa essi pensavano al riguardo e se avrebbero partecipato; 49 2. incentivare la comunicazione, il supporto e la partecipazione nella coppia al fine di raggiungere l‟obiettivo generale dell‟intervento: promuovere il benessere delle mamme dopo la nascita del bambino. Il disegno della ricerca. Da dicembre 2007 ad aprile 2008 ho contattato tutte le mamme che si sono rivolte con i loro partner all‟Ospedale Infantile “Burlo Garofolo” per il parto e ho chiesto loro di compilare un questionario in maniera autonoma. La risposta è stata dell‟85%. Ho incontrato le mamme e i papà durante la degenza, entro i 2-4 giorni dal parto, quindi in una situazione “particolare”. A 6 mesi dal parto li ho ricontattati telefonicamente e ho chiesto loro di compilare insieme a me un questionario, questa volta telefonico. Il tasso di risposta si è alzato al 91%. 50 L’intervento Al time 1, ovvero al momento del contatto in ospedale, ho consegnato a tutti i papà un opuscolo informativo centrato sulle tematiche elencate, quelle che emergevano da un precedente studio pilota essere centrali per i papà: - paura di non saper essere un buon genitore - allattamento - reazione di eventuali altri figli - stanchezza - gestione dei lavori domestici - gestione del bambino - sessualità - condizione lavorativa della madre Contestualmente a questo primo incontro, i papà ricevevano un numero telefonico che potevano utilizzare entro 4 mesi dal parto per chiedere informazioni, supporto, consigli ecc; veniva anche detto loro che, qualora non mi avessero contattato, entro 2 mesi l‟avrei fatto io per accertare che tutto funzionasse bene e per ricordar loro il progetto. Risposta all’intervento. Molto positiva, solo in 26 casi non sono riuscita a parlare con i papà, a volte proprio per impossibilità logistiche legate al lavoro fuori casa. Questo è un buon traguardo. Ogni coppia ha ricevuto almeno 2 contatti entro i 4 mesi dal parto e in molti casi sono stati contattati entrambi i membri della coppia. Ho individualizzato l‟intervento, in quanto le tematiche trattate in ogni colloquio telefonico sono state specificatamente modellate per singolo individuo. La valutazione dell‟intervento è stata molto positiva sia da parte delle 51 mamme che dei papà: una buona percentuale (il 24% delle madri e il 18% dei padri) ha riconosciuto l‟importanza dell‟opuscolo nell‟influenzare positivamente la relazione di coppia. I primi risultati. Al time 1 non sono state riscontrate differenze significative tra il gruppo sperimentale e quello di controllo, né per quanto riguarda le caratteristiche sociodemografiche, né rispetto agli aspetti legati agli indicatori di salute psicologica. Per quanto riguarda i papà, un dato significativo riguarda l‟alta percentuale di risposta negativa alla domanda “pensa che lei nel dopo parto usufruirà del congedo parentale?” Risultati a 6 mesi. Time 2: Le mamme del gruppo sperimentale riportavano minori sentimenti di tristezza, riconoscevano minori sentimenti di paura o di ansia legati alla maternità nell‟ultimo mese. All‟EPDS non sono state rilevate differenze significative, anche se dall‟andamento dei dati si nota una differenza a favore del gruppo che ha ricevuto l‟intervento. Per quanto riguarda le preoccupazioni, le mamme del gruppo di controllo riportano più preoccupazioni e maggiori sentimenti negativi legati all‟allattamento -tematiche che ho affrontato per telefono con le donne del gruppo sperimentale, quindi si presume che questo abbia avuto un effetto-. Non è stata riscontrata nessuna differenza nella valutazione soggettiva della relazione con il partner, dopo il parto. Le mamme del gruppo sperimentale affermano di rivolgersi meno spesso all‟ostetrica e di avere più fonti di supporto; questo è significativo secondo noi e forse indica che esse hanno trovato altrove un altro tipo di 52 supporto. Dall‟analisi multivariata emerge che l‟avere partecipato allo studio ha fatto sì che le mamme mostrassero con meno frequenza sentimenti depressivi: lo studio avrebbe dimezzato il rischio di rilevare sentimenti di tristezza e DPP. Conclusioni La strada sembra promettente. Come avrete notato, non ho fatto accenno ai papà nei risultati; infatti, l‟aspetto curioso di questo lavoro è che non ho trovato grandi differenze tra i papà nel post parto. È curioso ed interessante perché io ho parlato e lavorato principalmente con loro, mentre la differenza la si ritrova nelle madri. Allora forse la strada è quella giusta: se vogliamo cercare di cambiare il benessere della donna dopo il parto ed ottenere risultati dobbiamo coinvolgere i partner, che sono le prime figure a potere fornire supporto . Si tratta di un intervento soft, non invasivo - in media due telefonate ogni papà- , a basso costo e facilmente implementabile. Sarebbe interessante potere estendere il periodo della ricerca e vedere se gli effetti perdurano. 53 Parte II Tavola rotonda: “il punto di vista delle altre professioni: ginecologo, ostetrica, neonatologo, pediatra, psichiatra” Introduzione della Dr.ssa Marisa Bianchin, Psicologa/Psicoterapeuta, Direttrice di distretto- AUSL Ravenna - moderatore I termini della depressione pre e post-partum: la DPP coinvolge la madre, il padre, il bambino, i fratelli. La comunità e la cultura del nascere hanno una forte valenza bioetica e, come qualcuno ha detto, rappresentano anche una questione di Sanità Pubblica. Non mi ripeterò, ma voglio sottolineare alcuni dati e rappresentazioni emersi questa mattina: la rappresentazione epidemiologica del fenomeno e la rappresentazione di quanto incidono le disuguaglianze sociali sulla dinamica della salute, sulla gravidanza, sulla maternità e sulla relazione di coppia. Apriamo allora con un invito al confronto i diversi professionisti che compongono la tavola rotonda. Chiederei loro di portare la propria esperienza, con un focus sugli aspetti dell‟intervento psicologico che possono essere introdotti e che possono essere migliorati, laddove ci sono. Interventi: Dr. Paolo Assirelli, Ginecologo, Dir. Consultorio Familiare Rimini Grazie veramente, ci sono stati moltissimi stimoli oggi. A mio parere si può fare un buon “intervento psicologico” senza essere psicologi, 54 facendo leva sulle risorse e sulle doti delle donne, qualità che tutte possiedono. Io lavoro prevalentemente con le donne gravide; il grosso rischio per noi medici è quello di sostituirsi a loro nel prendere le minime decisioni come l‟ assumere o meno una medicina, sollevare o meno pesi ecc togliendo così uno spazio di crescita alla donna: questo è un altro fattore di rischio per lei, un rischio che siamo noi a darle. Quindi credo che il nostro compito sia quello di far crescere l‟autostima delle donne. Ci sono due gruppi di donne gravide che noi vediamo: ci sono quelle che nella vita hanno il meglio (corsi nascita; gruppi mamma-bambino e supporto) e quelle che non parlano bene la lingua, donne di altri paesi che hanno bisogno che il partner parli per loro, donne che non possono smettere di lavorare ecc. I nostri sforzi devono essere indirizzati verso quest‟ultimo gruppo, per fare in modo che chi non ha qualcosa, abbia qualcosa, andando noi da loro e non aspettandoci che loro vengano da noi. Fare in modo che queste donne, che già pagano un prezzo alto, abbiano dei servizi (ad es. corsi pre - parto in varie lingue), bastano piccoli gesti per dare alle donne la sensazione di non essere sole su questo pianeta. Io credo che il nostro invio in altri settori debba essere sempre un po‟ accompagnato. Infine, ritengo importante fare in modo che la donna gravida possa finalmente essere un po‟ depressa. Oggi si pensa che, se la donna piange, chissà quanti danni subirà il suo bambino; bisogna togliere alla donna il peso e l‟aspettativa che debba essere per forza perfetta, che debba sorridere, non avere crisi: fare in modo che possa essere stanca. Credo che offrire queste chances possa essere importante. 55 Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin Grazie al dr. Assirelli. Per utilizzare una locuzione che ha riportato la dr.ssa Russo questa mattina: “rete calda” e non rete liquida, rete che sostenga e che sia capace di diventare proattiva verso i bisogni delle persone. Sentiamo il punto di vista dell‟ostetrica, passo la parola alla dr.ssa Daniela Daniele per le sue riflessioni. Dr.ssa Daniela Daniele, Coordinatore percorso nascita Area Vasta Io sono ormai una vecchia ostetrica e lavoro da moltissimi anni in consultorio (33 anni), sono “una storica”. Condivido quello che ha detto Paolo, sto pensando ai nostri corsi di accompagnamento alla nascita: nell‟ Azienda di Rimini abbiamo un 50% di donne che vi accedono. Dagli anni passati ad ora c‟è stato un cambiamento. Mentre prima noi dedicavamo più tempo alle donne, sempre più lo dobbiamo restringere. Quali sono le donne che accedono? Sono le donne di ceto medio-alto. Le altre ci mancano. Come arrivare alle donne che non accedono ai nostri Servizi? Certamente la Delibera di Giunta Regionale, la 533, dice che è importante - obiettivo 10- raggiungere le donne di basso ceto sociale; ma non è così semplice. Vado a spot. Le donne immigrate. Certamente noi vorremmo lavorare con loro. All‟inizio le introducevamo nei corsi di accompagnamento alla nascita, ancora oggi lo facciamo. Io personalmente continuo a dire che o queste donne conoscono bene l‟italiano oppure le disconfermiamo ancora di più, le facciamo scappare. Infatti le donne immigrate non vengono ai corsi, è una grossa fetta di donne che non prepariamo al parto e che non vediamo nemmeno nel dopo parto. È una riflessione rispetto a come fare ad accoglierle; il problema è che ci 56 vogliono più ostetriche. Noi potremmo pensare di creare dei gruppi per queste mamme – con ostetrica, psicologo, medico e mediatore culturale - e siamo convinti che potrebbero funzionare. È vero, ora in Azienda facciamo i gruppi madre-bambino e abbiamo incominciato a collaborare con i Centri per le Famiglie, dove essi verranno svolti. Ma queste attività sono offerte alle stesse donne, a quelle che già partecipano ai corsi di accompagnamento alla nascita, a quelle che accedono ai gruppi madre-bambino. Con questo 50% di donne facciamo un buon lavoro di rete calda, manca però l‟altro 50% e questo è un input per noi, per andare avanti. Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin Ringrazio la dr.ssa e rilancio: il tema dell‟organizzazione, dell‟accesso: quali sono, se ci sono, gli aspetti sul piano psicologico che dovrebbero essere migliorati? Lo chiedo al dr. Battagliarin. Dr. Giuseppe Battagliarin, Dir. U.O. Ostetricia e Ginecologia Ospedale “Infermi” Rimini Oggi siamo stati immersi nella psiche, adesso entrerà un po‟ di soma che è anche l‟abbreviazione di somaro, perché di molte cose non sa e perché tira un carretto che non finisce più. Oggi gli ospedali sono gravati da una grossa quantità di lavoro, prima la dr.ssa Russo ha detto una cosa molto importante: il tempo è una variabile fondamentale, non ci si può dedicare ad una persona, capire i suoi problemi, se non le si può dedicare un po‟ di tempo. Qualcuno ha scritto, soprattutto gli anglosassoni, che è nei primi 4 minuti che si fa la diagnosi ed è vero; ma da quel momento deve iniziare un grosso lavoro di accoglienza, di ascolto, in mancanza del quale è difficile pensare di poter fare un intervento che possa essere considerato adeguato. Che 57 cosa penso sia necessario, all‟interno del reparto, per fare prevenzione in campo psicologico? Sicuramente la formazione, ma sarebbe importante avere anche una supervisione. Noi dobbiamo avere una psicologa dedicata, con una certa periodicità. Pensate solo al ritorno in termini di riduzione del contenzioso: rivolgersi ad una persona e darle un ascolto ci risparmia tanti ricorsi medico-legali che sappiamo quanto pesino. Quindi questa è la mia risposta, credo che questo debba far parte del lavoro. Sul territorio queste cose si fanno. Anche io ho lavorato per tanti anni nell‟unica Casa di Maternità che allora c‟era; ho lavorato al Villaggio della Madre e del Fanciullo, fondato dopo la guerra, dove gli educatori si occupavano di ragazze ad altissimo rischio (ragazze madri, violentate, cacciate di casa): esse venivano ospitate durante la gravidanza e partorivano lì. La continuità nella cura dava un risultato, perchè la prematurità era un terzo rispetto a quanto ci si attende in soggetti a così alto rischio. Sappiamo quali sono i fattori di rischio per la DPP. Ho trovato un lavoro su internet di un certo Jorgensen, che ne cita altri: ad esempio la gravidanza non programmata, un precedente aborto o la poliabortività. Ho letto una frase: “un aborto non è mai niente; è sempre qualcosa, può essere qualsiasi cosa”, e lo è diventato di più da quando il cinismo di noi ginecologi ci spinge a far vedere un “battito” a 5-6 settimane di gravidanza. Noi trasformiamo un aborto spontaneo, che una volta veniva vissuto come un po‟ più fisiologico, in una perdita importante. Se noi quell‟ecografia la facessimo a 8-9 settimane, il rischio di aborto con battito presente sarebbe intorno al 5%, mentre a 4-5 settimane è del 18%, che arriva a toccare il 24% col crescere dell‟età della donna. Quindi noi diamo, 1 volta su 4, il rischio alla donna di una grossa sofferenza, solo perché vogliamo 58 farle vedere il battito così precocemente. Altri fattori di rischio: avere pensato di interrompere la gravidanza per problemi sociali, l‟ allattamento artificiale, qualche malattia insorta durante la gravidanza. Ecco quindi l‟importanza di avere un certo tipo di approccio negli ambulatori Gravidanze a Rischio (GAR). Pensate solo al fatto che una persona arriva e si fa seguire in un posto con scritto GAR: già questo è un messaggio importante. Poi ci sono casi di donne che per delle acuzie al momento del ricovero diventano ad alto rischio di DPP. Il 60-70% delle gravidanze sono seguite privatamente. E sapete che un altro fattore di rischio è l‟alto numero di visite prenatali? Noi pensiamo che una visita sia un vantaggio. Non è vero, è induttore di ansia maggiore, perché ci si aspetta da essa un referto “lei sta bene e il bambino sta bene”, ma potrebbe anche non stare bene. Io ho la fortuna di lavorare con dei neonatologi che prestano molta attenzione alla care e al rapporto con i genitori e questo è un dato importante; inoltre loro hanno una psicologa. Quali sono le persone a rischio: - Le mamme alle quali viene comunicato che il loro bambino è malformato e decidono di continuare la gravidanza o di interromperla: queste sono persone che vanno seguite longitudinalmente. - La morte endouterina. È partito un progetto multicentrico all‟estero, una task force che lavora sulla morte endouterina. Noi non abbiamo quell‟approccio che serve, ancora non facciamo vedere il bambino deceduto alla madre. - La nascita prematura. - Altro rischio è rappresentato dal bambino asfittico, 1 ogni 500 parti - e 1 su 10 diventa paralisi cerebral-: si tratta di una tragedia, di un disastro per la famiglia e quindi anche queste persone devono essere seguite 59 longitudinalmente con attenzione. Concludo leggendovi un brano che mi ha colpito dal titolo “Che cos’è una buona madre”: Che cosa sia una buona madre lo decidono gli altri, il coro, lo sguardo che approva oppure che rimprovera, quelli che sanno sempre cosa si fa e che cosa no, cosa è giusto, saggio e utile, quelli che dicono “è la natura, è così, devi avere pazienza, assecondare i ritmi, avere tenerezza, dedicarti. Se ti senti affondare è perché sei inadeguata; se soffochi è perché non hai gli strumenti della maturità. Se i figli non vengono devi rassegnarti e non accanirti, non insistere, si vede che non eri fatta per essere madre; se non ne hai voluti, devi avere in fondo qualcosa che non va. Se non hai vicino nessuno che voglia fare con te un figlio è perché non l’hai trovato, sei stata troppo esigente, forse sei troppo inquieta. Se preferisci il lavoro alla casa, cosa pretendi? Se non ci sei mai, cosa sarà di tuo figlio? Se gli stai sempre addosso, come potrà rendersi autonomo? Se ti stanca, sei depressa. Se ti fa impazzire, sei un mostro. Se hai un padre ingombrante, una madre assente, se sei sopraffatta dalla loro presenza o se sei orfana, se la maternità non ti invade naturalmente, spontaneamente come un raggio di luce, se non ti cambi i connotati rendendoti nutrice solare improvvisamente dedita e paziente, ecco allora è chiaro che non hai l’istinto giusto, sei inadatta, sei contro natura, colpevole a pensarci bene. Sei una cattiva madre”. Grazie 60 Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin L‟approccio, il care longitudinale, l‟integrazione orizzontale e qualche riflessione sui percorsi integrati sanitario e sanitario- sociali. Passo la parola alla dr.ssa Palma Mammoliti, neonatologa. Dr.ssa Palma Mammolitti, Neonatologa, Ospedale “Infermi” Rimini Vorrei ringraziare la dr.ssa Bravi che ha reso più chiaro quello che andrò ad esporre e il dr. Battagliarin che ha già detto gran parte delle cose che volevo dire e che non ripeterò. Volevo sottolineare che quando un bambino entra nella nostra Terapia Intensiva, naturalmente i genitori sono sconvolti da quello che vedono e noi cerchiamo di aiutarli in tutti i modi. Abbiamo anche una psicologa per due volte a settimana; anche io sostengo che ci vuole una presenza un pò più assidua. Per quanto riguarda sia i punti positivi che quelli negativi, mi ritrovo in quello che ha detto la dr.ssa Bravi sulla care del neonato prematuro, ovvero l‟importanza di attuare in tempi molto brevi la marsupio terapia anche con il bambino intubato e in assistenza respiratoria: noi crediamo molto in questo approccio e nel sostegno della relazione madrebambino. Domanda del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin Quali aspetti possono essere migliorati dall‟apporto dello psicologo, se li rileva? Dr.ssa Palma Mammolitti In questo momento segnalo la quantità: la maggiore necessità dello psicologo in termini di tempo. 61 Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin Visto che abbiamo percorso dal concepimento alla nascita, ora parliamo con il pediatra e a lui chiedo, dal suo punto di osservazione, una riflessione su questi temi e quale possa essere l‟apporto dello psicologo, anche sulla scorta di quello che hanno detto gli altri professionisti. Dr. Massimo Farneti, Dir. Del Servizio materno-infantile AUSL Cesena Io faccio un po‟ l‟avvocato del diavolo dei pediatri di famiglia, svolgo la mia attività in un servizio materno-infantile e sono pediatra di comunità. Io penso che l‟attenzione del pediatra di famiglia, in merito all‟ individuazione e al sostegno dei disturbi depressivi delle madri, sia un momento fondamentale. Soprattutto perché l‟intervento di Sanità Pubblica ha il dovere di cercare di “coprire” la maggior parte degli utenti. L‟intervento che noi operiamo nel pre-parto ha un limite. Noi seguiamo il 50% delle gravidanze in consultorio. Quindi dobbiamo trovare un momento di saldatura fra consultorio familiare, nel pre-parto, e sevizi del post-parto, cercando di utilizzare di più quello strumento universalista che è il pediatra di famiglia, che segue il 100% dei bambini. Dobbiamo offrire ai pediatri di famiglia una maggiore attenzione verso questo universo: devono cioè cominciare ad essere i pediatri dei bambini all’interno delle famiglie. Per questo ritengo che dare loro qualche strumento sia importante. Noi abbiamo scelto lo strumento dell‟EPDS, non in un taglio puramente screenologico, bensì progressivo: “individuo e seguo nel tempo”. E penso che a questo punto arrivi il momento degli psicologi; l‟esperienza dice che è difficile che le madri in difficoltà arrivino da loro, perché? Perché viene richiesto alle madri di essere brave e belle in tutto. Nell‟intervento che abbiamo scelto, il tipo di lavoro che lo psicologo deve 62 fare è principalmente di due tipi : 1. Quello di formare i pediatri di famiglia e quindi dirigere l‟attenzione a questa area del loro lavoro; 2. Maggiore supervisione. In questi interventi lo psicologo deve essere pronto ad essere il consulente diretto dei casi di depressione. Quello che io vedo nella mia esperienza è che c‟è una buona apertura nel prendere in carico le situazioni medie, mentre quando ci si trova nell‟area delle depressioni più gravi noto ancora delle difficoltà. Una maggiore supervisione potrebbe aiutare nell‟opera di accompagnamento dei casi più gravi. Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin E ora la declinazione, le parole dal punto di vista di uno psichiatra rispetto alla depressione pre e post-partum, rispetto al tema della persona dentro la famiglia, la quale si trova anche dentro ad una comunità: il modello ecologico. Dr. Riccardo Sabatelli, Psichiatra AUSL Rimini Accordandomi al moderatore, vorrei riprendere l‟aspetto culturale. Credo che sicuramente le relazioni abbiano indicato la necessità di un cambiamento culturale da parte delle società occidentali rispetto all‟idea della maternità. Penso che l‟aspetto della condivisione della maternità tra i partner della coppia debba essere spinto più in avanti. Questo chiede da parte dei papà una disponibilità -che spesso non c‟è- e una capacità particolare nell‟ approcciarsi alla nascita di un figlio: ciò dipende però anche da un cambiamento delle donne. Ci sono mamme che tendono a sentire la maternità come qualcosa di esclusivo, invece di considerarla l‟esito di una relazione di tipo affettivo che si trasforma in 63 una relazione di tipo genitoriale. Questo come aspetto culturale. Non so se si possa fare, certo è difficile, ma in qualche modo si impone questo cambiamento. La posizione dello psichiatra rispetto alla DPP: allo psichiatra spetta il compito di intervenire in quelle situazioni in cui la patologia è particolarmente grave. Io personalmente mi sono sempre avvicinato alla DPP perché ritengo sia una di quelle condizioni di grave sofferenza delle donne. Il contesto chiede alla donna di essere felice, mentre alcune donne vivono la maternità con la morte nel cuore. Possiamo immaginare il dramma che questo comporta. Mi sono avvicinato alla DPP perché credo sia uno dei pochi momenti in cui è possibile fare prevenzione primaria sulle madri. La psichiatria purtroppo si connota per non avere molti strumenti per fare prevenzione primaria. La cosa su cui abbiamo più certezza è che la condizione di malattia mentale importante nelle madri determina con molta probabilità una sofferenza nel bambino, diventato adulto. Credo che tutte le persone che hanno a cuore l‟idea di Sanità Pubblica non possano prescindere dal lavorare in direzione della prevenzione primaria, impegnare gli sforzi dei ricercatori per identificare precocemente le situazioni di sofferenza. I pediatri di prima scelta sono a mio avviso l‟elemento cardine, perché lo psichiatra identifica le forme più gravi nelle prime giornate e non avanti nel tempo. Quando si ha un bambino, si pensa poco a sé e il contatto con il medico si riduce a quello con il pediatra. Due parole sul progetto che stiamo portando avanti in Azienda. Anche noi, nel collegamento tra ospedale e territorio, rileviamo una discrepanza tra consulenze ospedaliere e invii al territorio; inoltre alcuni invii arrivano “da casa”. Quindi ancora ci perdiamo per strada delle donne che avrebbero bisogno di aiuto. 64 Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin Farei un secondo giro di tavolo. Il tema degli ostacoli che si frappongono nel formare una rete calda, una rete integrata, una Sanità orizzontale, riflessione che propongo alla tavola rotonda. Partirei dall‟ostetrica. Dr.ssa Daniela Daniele Nella nostra Azienda da anni abbiamo affrontato un lavoro di rete che diventa sempre più forte e più strutturato. Volevo rivolgermi al dr. Sabatelli, che parlava di Personalmente delle io ho pochi casi che arrivano perplessità sull‟invio al SIMAP. delle donne, sull‟accompagno al SIMAP. Le donne fanno fatica ad arrivare al SIMAP perché è un servizio stigmatizzante, per cui dovremmo dare un‟opportunità diversa all‟interno di questo percorso di prevenzione della depressione. Ad esempio, fare in modo che lo psichiatra arrivi in consultorio, trovare un luogo neutro per accogliere queste donne. La cosa importante è sostenere le donne e aiutarle a rendersi conto che stanno male, che hanno bisogno di essere aiutate. Andare dallo psicologo è meno stigmatizzante: ecco perché, a volte, il lavoro si interrompe lì. Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin Rilancio la parola allo psichiatra. Il tema dello stigma attraversa la depressione, la donna, l‟uomo, stigma che viene colto come l‟ostacolo da parte dell‟ostetrica. Dr. Riccardo Sabatelli Io credo che la salute mentale si faccia in luoghi che non necessariamente sono i Servizi. A volte i luoghi sono importanti perché 65 identificano tante cose, ma non necessariamente vanno utilizzati quando diventano ostacoli. Allora mi viene da pensare, per esempio, che noi all‟interno dell‟Azienda abbiamo il percorso di dimissione assistita e abbiamo cominciato ad affiancare l‟apporto dello psichiatra per le situazioni che lo necessitano. Questo mi sembra in linea, perché noi l‟intervento lo facciamo all‟interno dei reparti, è difficile che il servizio psichiatrico possa intervenire in loco. Credo che si possa già partire così. Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin Rilancio gli stimoli al dr. Assirelli, il suo punto di vista sugli ostacoli al percorso integrato. Dr. Paolo Assirelli Un ostacolo credo che sia anche nostro: ci deve essere uno spazio, delle pause comuni per fermarci ed interrogarci sulle donne che vediamo. Adesso abbiamo cominciato e credo che questa pratica vada potenziata: fare uno sforzo e fermarci a vedere come abbiamo lavorato. Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin Grazie dr. Assirelli. La cultura della valutazione, dei processi, degli esiti, una maggiore attenzione a questo. Passo la parola al dr. Farneti. Dr. Massimo Farneti Non c‟è tempo, il tempo. Due sono i punti che possiamo focalizzare meglio. Da una parte chi cura le reti: a noi manca chi cura le reti. Un facilitatore in questi contesti è importante, perché da sole le reti stanno in piedi poco tempo. 66 Dall‟altra la funzione del pediatra di famiglia - che si sente un po‟ “tuttologo” e fa fatica a delegare parte del suo lavoro e condividerlo insieme ad altri - : rendersi conto della madre depressa e accompagnarla verso altri percorsi. Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin Passo la parola alla dr.ssa Mammoliti Dr.ssa Palma Mammolitti Sono d‟accordo con il dr. Assirelli sul fatto che ci vogliono momenti di incontro, altrimenti non ha senso il nostro lavoro. Ci vogliono più comunicazione e più risorse. Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin La dr.ssa Mammoliti riprende le riflessioni del collega sulla qualità della comunicazione, sull‟importanza e la difficoltà di stare in relazione: è il tema della corresponsabilità. 67 Parte III Confronto delle esperienze di ricerca e cliniche tra gli psicologi di Area Vasta: Azienda Rimini, Azienda Forlì, Azienda Cesena. Parteciperà l’Azienda USL di Trento Dr.ssa Maria Maffia Russo Questa sessione avrà come moderatore il dr Grandini, direttore dell‟U.O. di Psicologia di Forlì. Insieme a Marisa Bianchin e Luigi Gualtieri, punti di riferimento della Psicologia di Area Vasta, abbiamo pensato questa giornata e, in questa seconda sessione, opereremo un confronto per vedere la diversità e la ricchezza delle “psicologie ” che si sviluppano in contesti diversi: infatti è il contesto a imprimere una direzione piuttosto che un‟altra, una variabile fondamentale per la costruzione e lo sviluppo professionali. A questa sessione è stata invitata la dr.ssa Lorenza Donati dell‟Università di Trento. Passo la parola al dr. Domenico Grandini che modererà il lavoro di oggi. Dr. Domenico Grandini La dr.ssa Russo ha fatto già un “preingresso” sui lavori di oggi pomeriggio. Quando parliamo di argomenti come quelli presentati questa mattina, quello che colpisce è l‟alto livello di complessità che si riflette nei diversi punti di vista, sicuramente complementari. Ciò porta a riflessioni forti su come far funzionare la rete: le cerniere tra le varie professionalità per metterle nella condivisione degli obiettivi e di linguaggi che siano comprensibili fra di loro. Non sempre questo è fattibile, ma è una sfida necessaria che non riguarda solo Servizi diversi, ma anche Istituzioni 68 diverse. È dunque importante un approccio multisfacettato per riuscire ad averne una descrizione più completa possibile e un‟organizzazione la migliore possibile. I lavori del pomeriggio vertono intorno alla presentazione di esperienze che si sono svolte nel territorio di Area Vasta Romagna. Seguiranno tre interventi: le esperienze di Rimini, Forlì e Cesena, rispettivamente presentate dalla dr.ssa Cristina Belicchi, dalla dr.ssa Antonella Liverani e dal dr. Fabio Sgrignani. Partiamo ora con la dr.ssa Lorenza Donati, psicologa e psicoterapeuta che ha lavorato anche a Forlì, che ci parlerà della sua esperienza. In particolare presenterà un lavoro di ricerca, commissionato dal Ministero della Sanità, sulle strategie di individuazione del rischio della DPP. Dr.ssa Lorenza Donati, Azienda USL di Trento Grazie, un saluto a tutti, vi ringrazio per l‟invito. Io vengo dal Trentino, che è una provincia autonoma; da noi l‟Azienda Sanitaria coincide con il territorio provinciale. Per cui, quando io parlo di Azienda Sanitaria, parlo di tutto il territorio del Trentino. Inoltre, come già succede da altre parti, noi siamo organizzati in U.O. di Psicologia. Nel Trentino ce ne sono due, io faccio parte di quella che ha come competenza il Trentino del Sud. Come già accennato dal dr. Grandini, il Ministero della Sanità aveva assegnato alla nostra Azienda Sanitaria un progetto che ha come titolo “Elaborazione e sviluppo di iniziative preventive di riconosciuta efficacia per individuare il rischio di DPP”. Io ero la responsabile scientifica. Gli obiettivi del progetto erano: - mettere a punto e valutare l‟appropriatezza organizzativa di un percorso assistenziale rivolto alla donna in gravidanza e nel periodo post-parto, finalizzato alla prevenzione e al riconoscimento tempestivo della DPP; - fornire agli operatori del Servizio Sanitario degli indicatori 69 prontamente valutabili del rischio di insorgenza della depressione postnatale nelle donne in gravidanza e nel periodo postparto; - valutare sul campo l‟efficacia dei trattamenti psicologici prima e dopo il parto; - diffondere le conoscenze sul tema della depressione periparto, sulla appropriatezza dei percorsi di intervento e condividere i risultati del progetto attraverso alcuni momenti formativi aziendali. Il progetto è partito formalmente a febbraio 2008, dopo un primo tempo di revisione sistematica della letteratura e degli strumenti per lo screening. Abbiamo continuato ad utilizzare l‟EPDS – test più utilizzato e quindi confrontabile con la letteratura internazionale-, ma abbiamo anche creato un‟intervista semistrutturata ad hoc; è stato poi introdotto un nuovo strumento per l‟individuazione della sintomatologia depressiva, e di questo ringraziamo molto la prof.ssa Monti che ne stava valutando l‟efficacia della versione italiana e che ci ha coinvolti in questo. Infine è stata creata una scheda di raccolta di dati ostetrici, perché per noi era importante soprattutto valutare la correlazione tra tipo di parto ed esiti. Lo studio di metodo Si è previsto di studiare le donne in gravidanza e nel postparto, ad esclusione di quelle che presentavano problematiche psichiatriche o di tipo psicotico, gravi disturbi di personalità, tossicodipendenza, grave limitazione della comunicazione verbale o conoscenza della lingua italiana molto scarsa, eventuali complicanze ostetriche o neonatali gravi. Le donne potevano entrare in questa ricerca in tre momenti diversi: in gravidanza alla 10°-12° settimana (primo accesso), alla 28°-30° settimana (secondo accesso) e al momento del parto (terzo accesso). Affinché questo lavoro potesse realizzarsi, l‟Azienda Sanitaria ha dato una borsa di studio a due psicologhe che hanno poi concretamente seguito il percorso. 70 Ginecologi e ostriche hanno collaborato al reclutamento delle donne durante il primo accesso; il secondo accesso è avvenuto nei consultori, in occasione dei corsi di preparazione alla nascita; le psicologhe borsiste si sono occupate del terzo accesso, andando due volte alla settimana in reparto per contattare le donne e presentare loro la ricerca. Alle donne che accettavano di partecipare alla ricerca venivano somministrati gli strumenti di screening e restituiti i risultati degli stessi. Se si rilevava un disagio, veniva proposto alla donna un percorso di psicoterapia breve; all‟interno del percorso di psicoterapia era prevista anche una valutazione dell‟esito. Se invece le donne risultavano negative al primo screening, passavano alle fasi successive dello screening. Naturalmente il terzo livello di accesso alla ricerca non prevedeva la somministrazione di alcun questionario. Fasi dello screening: 10°-12° settimana, 28°-30° settimana, 2° mese dopo la nascita del bambino e, infine, 6°-8° mese. Per quanto riguarda la valutazione della psicoterapia breve, veniva proposto un primo colloquio con lo psicologo seguito da altri 4 incontri. Alle donne in ingresso veniva proposto il CORE OM, uno strumento validato in italiano che misura l‟ampiezza dello stress psicologico in maniera trasversale rispetto al tema del benessere, i sintomi e il funzionamento. Questo strumento veniva utilizzato nel primo colloquio e, se la donna accettava di intraprendere l‟intero percorso, alla fine del quarto per valutare se e quanto l‟intervento era stato efficace. Quindi all‟interno della ricerca, c‟è una ricerca a sé stante sulla valutazione dell‟intervento nelle diverse fasi. Le strutture e il personale coinvolti: le strutture ospedaliere della ginecologia e dell‟ostetricia di Rovereto e i consultori di tutta l‟area, il servizio formazione, tutti i medici del percorso nascita e il personale. L‟attività di ricerca vera e propria è incominciata il 3 novembre del 2008, 71 per cui siamo ancora nella fase iniziale. Lo stato della ricerca al 30 settembre 2009. Le donne che hanno aderito sono 315, le donne che hanno concluso il percorso sono 85. L‟età media è di 32 anni, la maggior parte sono italiane e sposate, le primipare sono il 58%. Per ora vi posso dire che la media delle donne segnalate per depressione è intorno al 15%, percentuale conforme ai dati internazionali. Questi sono i dati relativi al 3° accesso, quello al momento del parto; ancora non siamo riusciti ad avere dati precisi rispetto al 1° e al 2° accesso. Abbiamo notato che è stato difficile coinvolgere le donne al primo accesso, quello intorno alla 10° settimana, forse perché si tratta di un momento già estremamente denso di impegni, come l‟ecografia morfologica e altre visite. Il 2° accesso, rappresentato dai corsi di preparazione alla nascita, è quello che ha avuto più successo e maggiore adesione da parte delle signore, forse perché coincide con un momento in cui le donne hanno “più tempo” e gli operatori si prendono più tempo. Al 3° accesso, le donne che hanno aderito sono circa la metà, un dato che ci ha sorpreso. Le donne hanno apprezzato tantissimo il fatto di poter pensare che questo servizio ci fosse al di là del fatto che ne avessero bisogno o che l‟avessero utilizzato; loro sentivano che, qualora avessero avuto bisogno, avrebbero potuto affidarsi a qualcuno e che esisteva un diritto di cittadinanza anche per loro, per i loro sentimenti. Questo è il commento più importante che abbiamo sentito. La formazione degli operatori Abbiamo organizzato un primo convegno a metà gennaio, in corrispondenza dell‟inizio della ricerca; un momento importante per coinvolgere gli operatori. La formazione sul campo viene realizzata 72 attraverso la discussione di casi clinici che riguardano più figure professionali (attualmente ci sono quattro gruppi interprofessionali attivi nella nostra Azienda Sanitaria); inoltre ci sarà un convegno che organizzerò per la metà del 2010. Nei corsi di preparazione alla nascita, all‟interno del consultorio e dell‟U.O. dove lavoro io, abbiamo creato uno spazio dedicato per i futuri padri, un incontro pensato solo per loro. Ci siamo accorti che, se i futuri papà hanno un dubbio, una domanda, una perplessità ecc., non ne parlano se la moglie è presente per paura che si preoccupi. Trovandosi soli faticano all‟inizio perché un po‟ “inamidati”, ma appena il ghiaccio viene rotto diventano dei gruppi in cui si lavora moltissimo. Inoltre, su suggerimento dell‟ostetrica, facciamo dei gruppi anche solo con i futuri nonni; può sembrare un lusso, ma abbiamo visto che è molto importante. Non insegniamo ai nonni a fare i nonni, lo sanno fare benissimo, però diventa un momento di confronto su come aiutare le coppie che si apprestano a diventare genitori (nonne che diventano troppo materne o evitanti). L‟ultima cosa, ho visto una ricerca dell‟Istituto Superiore di Sanità che riguarda l‟interruzione volontaria di gravidanza. Si è visto che se a una donna è concesso il tempo del colloquio, il tempo di pensare e di riflettere con gli operatori, questo diventa un criterio fondamentale per riuscire ad abbassare tantissimo le recidività. Per cui “perdere tempo” è veramente guadagnare tempo, soldi, salute, tempo degli operatori, tempo di vita per queste persone ecc. Io credo che sia veramente importante riuscire a sostenere di più. Grazie. Dr. Domenico Grandini Grazie dr.ssa Donati, è interessante la ricerca da lei presentata. La parte finale relativa allo spazio del padre credo che sia una tematica da 73 sottolineare, perché la coppia genitoriale è costituita per il 50% dal padre. Riprendiamo le relazioni, invito la dr.ssa Belicchi che ci parlerà di percorsi integrati della maternità, esperienza svolta presso l‟Azienda di Rimini Dr.ssa Cristina Belicchi, Azienda di Rimini Un saluto a tutti, Io sono la dott.ssa Felici Belicchi Cristina, sono una psicologa che lavora nel Consultorio dell'Ausl di Rimini e oggi mi è stato dato il compito di presentarvi alcuni percorsi integrati di tutela della maternità, messi in campo in questi ultimi anni all'interno dei Servizi dell'Ausl di Rimini, a cura del Programma di Psicologia. Tali percorsi sono stati creati proprio in considerazione dell'attenzione che si è voluta dare alla problematica della maternità e alla consapevolezza delle conseguenze che eventuali stati di disagio psichico materno possono determinare sulla salute della donna, su quella del bambino e dell'intero nucleo familiare. Prima di tutto è utile annotare che in tale campo il lavoro dello psicologo è strettamente connesso con quello degli altri operatori che si occupano di maternità, quali le ostetriche, i ginecologi, le assistenti sociali, come d'altro canto si cerca di creare il raccordo anche con altri professionisti quali i medici di medicina generale, i pediatri di base, i neuropsichiatri infantili o gli psichiatri, quando necessita. Le problematiche psicologiche della gravidanza, le depressioni post partum e le difficoltà relazionali madre - bambino durante il puerperio, rappresentano priorità per l'intervento di supporto e di terapia dello psicologo. Vi illustrerò adesso il 1° percorso integrato, quello relativo specificatamente alla depressione post-partum che si chiama “Lavorare 74 in rete nella ricerca-intervento sulla depressione post partum”, che è stato avviato dal 2007 ed è tutt'ora in corso. Tale percorso è stato progettato da un gruppo di lavoro che ha visto riuniti responsabili e operatori dei vari dipartimenti, moduli, servizi: oltre al Programma di Psicologia, ha visto coinvolti il Consultorio familiare, l'Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia, la responsabile del Percorso nascita, il Dipartimento di Salute mentale, l'Unità operativa di Neonatologia e quella di Neuropsichiatria. Lo scopo di tale progetto è proprio quello di poter individuare precocemente e poi trattare i casi di depressione post-partum. Il campione a cui fa riferimento è rappresentato dalle donne inserite nel percorso nascita dell'Azienda Usl di Rimini, che rappresentano circa il 48% circa delle partorienti della nostra Provincia. Le modalità d'intervento sono rappresentate: - da un lavoro di formazione/informazione degli operatori, in particolare le ostetriche del territorio ed ostetriche, infermiere, puericultrici ospedaliere, - da un uso di strumenti di depistaggio sui fattori di rischio, - dall'individuazione precoce dei sintomi, - -da un intervento di sostegno e trattamento psicoterapeutico tempestivo. Per quanto riguarda la metodologia, in una prima fase, viene somministrato da parte delle ostetriche del Consultorio di Rimini e Riccione un questionario di autovalutazione alle donne, al terzo trimestre di gravidanza, in occasione della loro frequentazione del corso di 75 preparazione alla nascita, col quale si cerca di rilevare l‟esistenza o meno di situazioni di rischio depressivo o di problematiche emotive già in atto. Il questionario è stato costruito su indicatori che fanno riferimento a precisi fattori di rischio (su questi indicatori ci ritorneremo tra poco) e la sua somministrazione avviene con la singola donna, in una dimensione che la motivi a rispondere con tranquillità e con franchezza alle domande, sensibilizzandola anche all'utilità di tale strumento nella rilevazione di problematiche per le quali la donna potrebbe eventualmente ricevere un aiuto. La modalità d'intervento dell'ostetrica, anche in questa situazione, tende a comunicare alla donna che nel suo percorso possono emergere disagi più o meno passeggeri, da riconoscere come tali e che è importante, possibile ed utile chiedere aiuto. Le ostetriche si avvalgono del contributo dello psicologo che segue questo percorso per elaborare i questionari e per valutare le singole situazioni, definendole come situazioni di Rischio Assente, oppure di Lieve Rischio, oppure di Rischio. In entrambe questi ultimi due casi le ostetriche inviano i nominativi delle donne al Reparto di Ostetricia dell'Ospedale di Rimini, in più, nelle situazioni di Rischio, alla donna viene proposta una Valutazione Psicologica ed un eventuale Sostegno Psicologico già in gravidanza. Nelle situazioni di Rischio che non necessitano di sostegno viene comunque proposto un Follow-up psicologico al 3° mese dal parto. Potrebbe inoltre essere riscontrata, durante il percorso, anche la presenza di Gravi Disturbi Mentali e in tal caso lo psicologo invia la donna ad una valutazione psichiatrica per una eventuale presa in carico. Si passa poi ad una seconda fase, che coinvolge le ostetriche 76 dell'Ospedale di Rimini, le quali utilizzano per le donne partorienti, durante la loro degenza nel Reparto di Ostetricia, una griglia di osservazione post-parto, al fine di effettuare un'ulteriore valutazione relativa allo stato psicologico della donna e alla sua relazione con il bambino, in base ad altri indicatori di cui vi dirò. Anche qui ci possono essere situazioni di Rischio Assente, di Lieve Rischio, oppure di Rischio. In questi due ultimi casi le ostetriche contattano la psicologa ospedaliera per confrontarsi e/o inviare la donna alla psicologa del territorio per una sua presa in carico. Le situazioni poi che presentano un Rischio Lieve preparto accompagnate da un Rischio lieve o un Rischio postparto vengono inviate ad una valutazione psicologica entro 4-6 settimane dal parto. Questo può portare ancora o ad un sostegno psicologico/psicoterapia o un Follow-up psicologico al 3° mese dal parto. Relativamente agli indicatori rilevati nel Consultorio, attraverso il questionario di autovalutazione ( durante quindi la prima fase di cui parlavo prima), troviamo: - il n° dei figli, - la percezione del livello di stress, la presenza di eventi di vita stressanti, - la presenza o meno di un sostegno emotivo o di un sostegno pratico, - l'attività lavorativa, - il sostegno nella coppia o invece cattive relazioni intraconiugali o anche assenza del partner, - il livello di autostima, - una familiarità di disturbi psichiatrici, - sintomi premestruali, - una gravidanza pianificata o invece indesiderata, - la presenza di sintomi depressivi o ansiosi, - lo stato civile e lo stato socio-economico. 77 Per quanto riguarda invece gli indicatori della griglia di osservazione utilizzata in Ospedale, nella seconda fase, è prima di tutto interessante segnalare come questi indicatori siano stati costruiti in itinere con il contributo significativo delle ostetriche stesse, al fine proprio di poter utilizzare uno strumento per loro di facile impiego. Tra questi indicatori ritroviamo: - la sintomatologia ansiosa e quella depressiva, - la tipologia del parto o eventi imprevisti durante il parto, - l'allattamento al seno, - eventuali patologie del neonato, - disturbi del sonno, pianto del neonato, - modalità consolativa del neonato da parte della mamma, - tipo di relazione mamma/bambino, contatto oculare madre/bambino, - la rete sociale e familiare di sostegno. Per la diagnosi e trattamento della Depressione post-partum gli psicologi fanno riferimento alle indicazioni inserite nel “Protocollo localmente concordato sulla depressione post-partum” che prevede quali strumenti per la diagnosi: - il colloquio clinico, - la scala di Edimburgo, - altri strumenti testistici. Mentre per il trattamento sono previsti: - psicoterapia a tempo definito (da 8 a 12 sedute) - oppure psicoterapia di gruppo (con definizione di numero minimo e massimo di sedute). 78 Come ho già detto prima, il lavoro che vi ho esposto è strutturato come ricerca-intervento e quindi ora vi andrò ad esporre i dati della ricerca che si riferiscono al periodo settembre 2007-dicembre 2008, dove abbiamo un campione di 197 questionari somministrati dalle ostetriche del Consultorio e 60 griglie di osservazione delle ostetriche dell'Ospedale. In Consultorio, in base ai parametri che vi ho esposto prima, è risultato che 103 donne (52%) non presentavano una situazione di rischio (NR), 68 (34%) presentavano una situazione di rischio lieve (RL) e 26 (13%) presentavano una situazione di rischio (R). Nello stesso periodo, come già detto, sono state compilate in Ospedale 60 griglie di osservazione alle donne durante la degenza per il parto, dalle quali è emerso che 49 donne (82%) non presentavano una situazione di rischio (NR), 8 (13%) presentavano una situazione di rischio lieve (RL) e 3 (5%) presentavano una situazione di rischio (R). Sempre all'interno di questo percorso sono state prese in carico dallo psicologo del Consultorio in quel periodo: nel pre-parto 9 donne (4%) e nel post-parto 13 donne (6%). Due donne prese in carico dallo psicologo sono state poi inviate al CSM. Il totale di donne che ha effettuato un trattamento psicologico è risultato quindi di 24 donne (12%). In tale percorso, come in tutti gli interventi di psicoterapia o di sostegno indirizzati agli adulti effettuati dagli psicologi della nostra Azienda, è stato utilizzato il CORE, che è un sistema di valutazione degli esiti del trattamento psicologico, composto da un questionario (CORE-OM), somministrato al paziente nel primo accesso e alle dimissioni, e da due schede di rilevazione, compilate dal terapeuta, la prima all'inizio e la seconda alla fine del trattamento. Il Core è un sistema di valutazione dei trattamenti che permette di rilevare sia la parte sintomatologica che di funzionamento del paziente, 79 può essere usato in vari tipi di psicoterapie o setting, é adatto a somministrazioni ripetute e quindi da un lato può servire al singolo terapeuta per valutare i cambiamenti del paziente nel corso del trattamento, dall'altro a livello di Servizio per delinearne il profilo, il tipo di utenza per confrontarlo con altri Servizi e quindi monitorarne la qualità. Rispetto alla somministrazione di questo strumento sulle pazienti con DPP, si sono portati ad esempio i dati riferiti a sei donne a cui il questionario è stato somministrato sia all'inizio che alla fine del trattamento. Dati della somministrazione completa del CORE -OM su pazienti con DPP Paziente 1 sesso F età 24 Servizio consultorio data 1°somm/ne benessere problemi funzionamento 10/04/2008 2,25 2,08 1,08 13/03/2008 1,5 1 0,5 08/05/2008 2,25 2,08 1,16 11/09/2008 1,75 0,91 1,08 rischio 0 totale 1,38 tot-R 1,67 0 0,7 0,85 0 1,4 1,7 0,16 0,94 1,1 2 F 38 consultorio 3 F 45 consultorio 4 F 31 consultorio 5 F 36 consultorio 27/05/2008 3,5 3,16 2,75 1,16 2,7 3,03 6 F 36 consultorio 16/10/2008 1,5 2,3 1,83 0 1,65 2 totale 0,58 tot-R 0,71 2 F 3 F 4 F 5 F data 2°somm/ne benessereproblemi funzionamento rischio età Servizio 25 consultorio 20/11/2008 0,5 0,83 0,66 0 38 consultorio 19/02/2009 0,75 0,58 0,33 0 0,5 0,58 0,25 0 45 consultorio 26/02/2009 0,5 0,08 0,91 0 32 consultorio 12/03/2009 1 1,3 0,7 0,16 36 consultorio 30/07/2009 6 F 37 consultorio Paziente sesso 1 F 06/08/2009 1,25 1,6 1 0 0,41 0,5 0,35 0,42 0,4 0,5 0,88 1,03 1,08 1,3 Nella prima parte sono riportati, oltre a sesso, età - luogo e data di somministrazione, i punteggi relativi ai quattro domini del CORE: il 80 dominio del benessere soggettivo (4items), il dominio dei sintomi/problemi (12 items che si riferiscono a sintomi depressivi, sintomi ansiosi, sintomi fisici ed effetti del trauma), il dominio del funzionamento (12 items che si riferiscono alle relazioni significative, al funzionamento generale e sociale), rischio (6 items che si riferiscono ad aspetti auto ed eterolesivi). C'è poi il totale che corrisponde al punteggio medio di ogni donna e raffigura il livello di disagio psicologico al momento della misurazione, con punteggi maggiori che corrispondono a problemi maggiori. (Per dare un'idea, i punteggi soglia totali per le popolazioni cliniche sono risultati essere 1,19 per i maschi e 1,29 per le femmine e una seconda soglia di 2,50 sia per gli uomini che per le donne demarca la popolazione clinica affetta da disturbi medio-lievi, dalla popolazione clinica affetta da disturbi gravi) Nella seconda parte sono riportati invece i punteggi ottenuti nella somministrazione del questionario alla fine del trattamento e come possiamo vedere il confronto tra i due dati ci consente di valutare l'esito del trattamento e ci dice se il livello di disagio del paziente è diminuito e in che misura. 81 I RISULTATI GRAFICI DEL CORE-OM 1 2 3 4 5 N. Pazienti in carico Dopo 6 Prima Questo grafico ci fa meglio vedere quanto l'intervento psicoterapico o di sostegno psicologico effettuato su queste sei donne abbia portato ad un esito positivo, più o meno consistente per ognuna di loro, comunque significativo e ci sollecita a perseguire questa strada. Il 2° percorso attivato a tutela della maternità è il “Percorso per madri con disturbi emotivi”. L'obiettivo di tale percorso è quello di offrire un trattamento psicologico, in priorità, per quelle donne che non entrano nel percorso della ricercaintervento di cui vi ho parlato, e per quelle che nei primi sei mesi di maternità dimostrino un disturbo della sfera emotiva, evidenziando uno specifico quadro clinico. Gli strumenti utilizzati sono: la valutazione dell'eleggibilità ai trattamenti, a cura di uno psicologo esperto, ed il successivo invio per la presa in carico ad uno psicologo dell'area consultoriale 82 i trattamenti di elezione, quali la psicoterapia a tempo limitato, con uno standard di 12 sedute; il sostegno psicologico, anche questo con uno standard di 12 sedute, e la psicoterapia di gruppo a tempo definito. Nel 2008 gli psicologi dell'area consultoriale di Rimini e Riccione hanno seguito con trattamenti psicoterapici o di sostegno psicologico 26 donne che presentavano, o in gravidanza o nei primi sei mesi dal parto, disturbi della sfera emotiva. Il 3° percorso riguarda invece l' “Accompagnamento alla nascita per adolescenti e giovani donne”. All'interno dei nostri Servizi, l'attenzione alle problematiche della maternità non poteva non tener conto di una maternità particolare che è quella delle ragazze adolescenti. Si può ben capire quanto una gravidanza in età adolescenziale, o anche in tarda adolescenza, rappresenti un evento piuttosto complesso, poiché essa ha luogo in un momento evolutivo in cui la personalità è ancora in corso di strutturazione. Queste ragazze si trovano ad affrontare contemporaneamente due fasi del ciclo vitale, così particolari, e allo stesso tempo ricche di cambiamenti, come l‟adolescenza e la gravidanza, e ciò sicuramente può rendere più complesso il processo che porta alla formazione di un'identità. Contemporaneamente dalle ricerche emerge che le madri adolescenti hanno una probabilità doppia di avere una depressione post-partum, rispetto alle madri adulte e ciò può andare ad incidere più negativamente sulla qualità della relazione madre - bambino. Da tutto ciò emerge l'utilità di un intervento precoce che sostenga psicologicamente l'adolescente nel suo percorso di costruzione del nuovo ruolo materno, nella delicata fase evolutiva che sta attraversando. 83 Gli obiettivi quindi di questo percorso sono quelli di: offrire uno spazio di espressione, confronto e condivisione, che aiuti queste giovani donne ad affrontare la complessità della loro attuale esperienza accompagnarle verso la costruzione del loro futuro essere madri, tenendo conto dei bisogni evolutivi che ancora le caratterizzano. Gli strumenti sono rappresentati dalla costituzione di un gruppo, chiamato “Gruppo Primula” condotto congiuntamente da un'ostetrica e da una psicologa. La prima esperienza con un gruppo è terminata da qualche mese; si è rivolta a 10 gravide in età dai 17 ai 22 anni. Il criterio d‟inclusione nel gruppo è stata la giovane età accompagnata dalla presenza di alcuni indicatori di rischio relativi alle caratteristiche di personalità e a problematiche in ambito familiare e sociale. Non è stato preso in considerazione invece il criterio dell‟epoca gestazionale, come nei corsi di preparazione al parto per adulte, in quanto nel corso di un anno il numero delle gravide adolescenti permette di avviare un totale di due corsi. Sono stati effettuati nove incontri settimanali di due ore, non strutturati in modo rigido, cioè non con tematiche predefinite come nei corsi per gravide adulte, ma alle partecipanti è stato lasciato lo spazio per poter riportare liberamente vissuti, esperienze, difficoltà, con un'introduzione molto graduale degli elementi di realtà, relativi al parto, l‟allattamento, la relazione con il bambino e i cambiamenti di vita conseguenti alla nascita del figlio. Come già detto, la conduzione è stata congiunta da parte dell'ostetrica e della psicologa nella prima parte, della durata di circa un'ora e mezza, mentre poi, per un'altra mezz'ora, l'ostetrica viene 84 lasciata sola a gestire gli esercizi di preparazione al parto. Sono stati effettuati anche due incontri dopo il parto, sul modello dei corsi per adulte che però ne prevedono uno, e le due sedute sono state necessarie per permettere a tutte le ragazze, che hanno partorito in tempi diversi, di vivere l'esperienza di ritrovarsi insieme con i propri bambini. Tale percorso di accompagnamento alla nascita per adolescenti continuerà con la costituzione di un altro gruppo di gravide che partirà a metà novembre prossimo e terminerà a marzo successivo. Una delle prime valutazioni effettuate sull'esperienza riguarda la constatazione di quanto il gruppo possa avere una funzione di sostegno, di aiuto che infonde fiducia; la possibilità per queste giovani donne di esprimere le proprie preoccupazioni, in una circolarità che permette di specchiarsi, rende meno ansiogeno il percorso e meno incognito il passaggio verso il cambiamento. Un ultimo percorso di cui vorrei parlare è il “Percorso di sostegno psicologico ai familiari del bambino nato pretermine” attuato presso l‟U.O. di Terapia Intensiva Neonatale-Neonatologia dell‟Ospedale “Infermi” di Rimini in collaborazione con il Programma di Psicologia. In Italia nei reparti di Neonatologia si sono sempre più diffuse le collaborazioni tra pediatri neonatologi e psicologi al fine di affrontare la complessità della nascita prematura non solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello psicologico. Infatti la nascita prematura si configura come un vero e proprio evento traumatico sia per il bambino che per i genitori e la sua complessità è tale da richiedere un supporto specifico da parte di un équipe multidisciplinare. 85 Gli interventi proposti hanno finalità protettive e preventive rispetto al disagio psicologico e mobilitanti risorse/risposte adattive. Il supporto psicologico ha lo scopo di offrire uno spazio protetto di ascolto ai familiari, uno spazio in cui il loro malessere possa essere espresso liberamente sentendosi capiti, sostenuti, accettati e non giudicati; ciò può consentire meglio l‟elaborazione dei loro stati emotivi negativi, per poi riuscire a dare risposte adeguate al loro bambino sofferente, che spesso è in pericolo di vita, ed è bisognoso di essere accolto e nutrito non solo dal punto di vista alimentare, ma anche da quello psicologico ed affettivo. L'intervento clinico svolto dalla psicologa all'interno dell'U.O. di Terapia Intensiva Neonatale-Neonatologia dell‟Ospedale “Infermi” di Rimini è strutturato con: - Colloqui psicologici di sostegno individuale, di coppia e familiare con i genitori e con i fratelli di nati pretermine, a seconda delle necessità, durante il periodo di degenza del neonato - Gruppi di formazione, discussione, riflessione e supervisione dei casi per il personale medico-infermieristico che lavora nel reparto - Raccordo con la fisioterapista che interviene sui neonati ricoverati anche per un eventuale successivo invio alla U.O. N.P.I. territoriale Venendo ai dati, vediamo che nel 2008 la psicologa, durante la degenza, ha preso in carico: - 45 coppie di genitori con 27 ha effettuato un intervento di sostegno di coppia con 18 ha effettuato un intervento di aiuto all'elaborazione del lutto per la morte del nascituro; - 132 madri per un intervento di sostegno individuale; - 4 fratellini per un intervento di sostegno relativo all'informazione su quello che stava accadendo. 86 Dr. Domenico Grandini Grazie dr.ssa Belicchi, sono emersi molti contenuti interessanti. Andiamo avanti con i nostri lavori e diamo la parola alla dr.ssa Antonella Liverani che lavora a Forlì presso il Dipartimento materno-infantile, dove svolge il lavoro di psicologa. Ci parlerà di disagio emotivo in epoca prenatale, lavoro svolto a Forlì in questi anni. Dr.ssa Antonella Liverani, Azienda di Forlì Io mi collego al lavoro presentato questa mattina dalla prof.ssa Fiorella Monti e parlerò della ricerca-intervento che si sta ormai concludendo all‟interno dell‟AUSL di Forlì, cercando di trasferire il lavoro di ricerca alla clinica. Si tratta di una ricerca-intervento perché, di fronte a situazioni evidenziate a rischio o con segni manifesti di disagio dal primo screening, abbiamo proceduto ad una valutazione di approfondimento utilizzando la SCID, per la formulazione di una diagnosi secondo i criteri del DSM IV; abbiamo quindi offerto uno spazio alla mamma o alla coppia dove portare liberamente esperienze e vissuto emotivo. Di fronte a quadri sintomatici che non si contestualizzano all‟interno di quella condizione fisiologica che rende le madri naturalmente depresse, in ansia o preoccupate (blues materno), è stato possibile creare dei percorsi di sostegno psicologico, strutturati nel rispetto dei bisogni specifici della donna o della coppia, che potessero tener conto di una lettura dei nuclei di sofferenza, con un focus sulle dinamiche interne alla madre e su quelle relazionali nel tempo della perinatalità. Gli interventi hanno visto una forte integrazione con i Servizi socio-sanitari, ospedalieri e territoriali. Questo dialogo, che gestiamo ormai in modo consolidato, ci ha permesso di riflettere su eventuali segni di vulnerabilità e criticità. 87 Di fronte invece a situazioni ad alto rischio, per psicopatologia severa o per rischio o pregiudizio psicosociale, si avvia una progettualità integrata con figure professionali multidisciplinari e con servizi di ordine specialistico. In tal senso si è strutturata un‟unità di valutazione così composta: capo ostetrica dell‟U.O. di Ostetricia, pediatra dell‟U.O. di Pediatria e Neonatologia, psicologa, coordinatrice del Percorso Nascita territoriale, ginecologo e ostetrica territoriale - se la gravidanza è stata monitorata presso il consultorio Salute Donna-, assistente sociale del servizio sociale area maternità-puerperio, educatrice del percorso nascita centro famiglie e del comune - che favorisce la continuità attraverso visite domiciliari-, referenti dei centri specialistici (psichiatra e assistente sociale o infermiere del CSM o del SERT che hanno in carico la situazione). La concertazione di questi interventi è regolata da protocolli operativi che il Dipartimento materno-infantile ha stilato con ogni servizio specialistico coinvolto definendo finalità, tempi e procedure operative. L‟équipe multidisciplinare interviene per le risposte complesse, dove scattano l‟emergenza e l‟urgenza. Dobbiamo tenere conto di due ordini d‟urgenza: clinica e psico-sociale. Questo comporta: una valutazione multidisciplinare e una presa in carico integrata, un assetto organizzativo in grado di intervenire in modo interistituzionale, un modello che contempla la tempestività operativa, uscendo quindi dal modello classico dell‟ambulatorio con la lista d‟attesa; ciò vale per i diversi tipi di presa in carico: sociale, psicologica, psichiatrica e anche di osservazione e monitoraggio, attraverso le visite domiciliari gestite dal gruppo territoriale del percorso nascita. Riteniamo di essere all‟interno di una operatività che si è già avviata e che nel contempo ha provveduto anche a definire accordi e protocolli. Ancora forte ed evidente è la fatica nel tollerare le smagliature nel sistema, nell‟affrontare le sue stesse fragilità. Un cenno 88 rispetto la compatibilità tra la psichiatria adulta e la psicopatologia perinatale, dove la dimensione del sé materno è tanto compromessa quanto bisognosa di essere protetta, rispettata e curata. È importante riferirsi a modalità differenziate di intervento integrato tra servizi specialistici; la stessa psichiatria ha assunto un ruolo vincolando il proprio intervento nel rispetto dei bisogni specifici, dalla consulenza alla presa in carico al ricovero protetto. In particolare il ricovero viene strutturato in un‟ottica di tutela e protezione anche del ruolo materno. Vi porterei dei casi esemplificativi delle tipologie di intervento che mettiamo in atto. Il primo caso riguarda una signora, intercettata attraverso la ricercaintervento, che alla prima valutazione testistica aveva ottenuto un punteggio di 18 all‟EPDS, di 95 e 97 rispettivamente per l‟ansia di stato e di tratto. Inizio ad incontrarla al terzo trimestre di gravidanza. Coniugata e professionalmente occupata come farmacista, la signora è ultimogenita di 5 fratelli. Il marito è figlio unico. Nel 2005 la prima gravidanza si interrompe spontaneamente all‟11° settimana, nel 2006 la seconda si interrompe alla 7° settimana. Segue un intervento all‟utero con menopausa indotta farmacologicamente per tre mesi. Dalla prima interruzione di gravidanza si evidenziano segni di depressione reattiva; a questo proposito la donna dichiara: “avevo un senso di vergogna, mi sentivo in colpa, piangevo senza motivo e mi sono isolata, mi sono allontanata dalle amiche, non uscivo più, ogni motivo era valido per starmene in casa. Di notte non dormivo e sudavo, facevo fatica anche al lavoro: quell’anno è come se non lo avessi vissuto. Questo malessere si è protratto fino alla gravidanza successiva, dove ero già convinta che tutto sarebbe andato male, avevo già fallito ”. Nell‟anamnesi familiare, si evidenziano nel fratello della signora crisi depressive cicliche, con fasi 89 euforiche e con sporadiche condotte violente. Durante i primi mesi dell‟attuale gravidanza, il padre della signora, già affetto da patologia cronica, si è ammalato. Lei si è impegnata nel prendersi cura di lui, non mostrando preoccupazione alcuna per la sua gravidanza. In questo periodo fa molta fatica a dormire, ripetuti risvegli con brutti sogni la lasciano in uno stato di angoscia. Sente una continua stanchezza ed è spaventata perché dimentica di fare le cose o di averle già fatte. Manifesta ansia rispetto al pensiero di non essere in grado di accudire la piccola e vive il terrore di essere sola di fronte alle sue difficoltà. Nel colloquio successivo al parto che definisce essere stato una buona esperienza, si sofferma a parlare del raffreddore della bambina e della fatica che fa a respirare. La piccola ha 25 giorni e cresce bene. La signora teme che la piccola abbia problemi neurologici, senza alcun riferimento che possa ricondurre ad una reale preoccupazione, e riferisce: “ho paura che non ci sia tutta di testa”. Riporta che di notte rimane sveglia per vedere se respira. Ho mantenuto un contatto quindicinale con la paziente e nei nostri dialoghi ho accolto e compreso le sue ansie ed angosce, che si traducevano in senso di smarrimento e profonda inadeguatezza, in condotte di iperprotezione e doverosi impegni. Restituivo questi vissuti emotivi compresi e mentalizzati, ne parlavamo insieme, recuperando anche la dimensione di riconoscimento, di gratificazione e di godimento dell‟esperienza, la rinforzavo. Per il sostegno al puerperio abbiamo attivato le visite domiciliari che, in questo caso, hanno avuto la peculiarità di sostenere la madre attraverso un maternage fatto di rassicurazioni, agendo in termini di rinforzo al recupero delle funzioni materne. Questo processo permette di ricostruire un ponte tra l‟esperienza attuale della mamma e il vuoto pieno di paure, ansie, 90 angosce, derivanti dalle sue stesse esperienze primarie. In questo senso, anche la visita domiciliare assume in sé una valenza terapeutica: permette di osservare il movimento psichico della madre e valutare i due possibili versanti verso i quali si orienta, il riemergere o il ripiegamento. In questi interventi le visite domiciliari si ripetono settimanalmente e si protraggono ben oltre il mese di vita del bambino. Man mano che la signora recuperava stabilità, i nostri incontri si sono diradati; ora la bambina ha 5 mesi e mezzo, hanno iniziato lo svezzamento, accompagnato ancora dall‟allattamento al seno. Durante la notte la piccola fa qualche risveglio, mentre la mamma ancora sente il bisogno di controllarla. La signora afferma di essere un po‟ preoccupata per il lavoro che riprenderà tra 3 mesi, con orario ridotto; si avverte una forte preoccupazione per i genitori e anche per il fratello. Parla del suo rapporto con la bambina e lo definisce buono, si sente in sintonia con lei. Si avverte ancora una forte ansia anticipatoria, la signora è consapevole di dover pianificare con grande anticipo ogni suo cambiamento. Ci si accorda per un colloquio, che avverrà tra circa 2 mesi, per verificare l‟andamento anche in riferimento al suo rientro al lavoro. Vi porto secondo caso, gestito nel 2008, che definirei di entità grave, in cui si è riflettuto insieme all‟équipe multidisciplinare. Si tratta di un caso di disturbo depressivo maggiore con comportamento orientato al suicidio, con tentativo agito durante la gravidanza e con una manifestazione di spunti psicotici dopo il parto. Qui si è proceduto al ricovero della madre in SPDC per il ripristino della terapia farmacologica e per la stabilizzazione del quadro sintomatico, intervento non secondario per la tutela della madre e del neonato. Al contempo, il ricovero del piccolo in neonatologia per tre ordini di motivi: 1) mantenere 91 un contatto quotidiano madre- bambino: la madre veniva accompagnata tutti i giorni da un‟infermiera dell‟SPDC a far visita al bimbo, mantenendo così una continuità del legame; gradualmente veniva affiancata dalle nostre infermiere per avviare gli accudimenti. Tutto questo nel rispetto delle possibilità della madre, restituendole speranza, incoraggiando il suo coinvolgimento e ottimizzando il suo potenziale senza forzarla; 2) dare tempo al papà e al contesto parentale per organizzarsi nelle funzioni sostitutive materne e nell‟apprendimento delle stesse procedure; 3) organizzare un intervento psicosociale di sostegno e di osservazione, che potesse garantire una dimissione protetta, sia per la madre che per il neonato. Al momento della dimissione il servizio sociale di maternità e puerperio ha impostato un intervento di sostegno con una educatrice che quotidianamente, per 4 ore al giorno, affiancava la madre negli accudimenti del bambino, mentre nelle rimanenti ore della giornata c‟era la costante presenza del marito che ha potuto usufruire di orario lavorativo ridotto. Lo stesso servizio sociale ha mantenuto contatti e verifiche costanti attraverso le visite domiciliari, i colloqui con la coppia e le osservazioni dell‟educatrice, oltre a fornire un sostegno economico. Infine il terzo caso, trattato di recente, è una situazione di disturbo ansioso-depressivo con tratti fobico-ossessivi molto invalidanti, sia per il fluire dell‟affettività che per l‟espressione delle capacità cognitive. Si tratta di un quadro psicopatologico già esistente e farmacologicamente compensato prima della gravidanza, non conosciuto dal marito. La sintomatologia si è slatentizzata nell‟immediato post-partum ed è stata intercettata dal Pronto Soccorso, a cui la donna si è rivolta quando la bambina aveva 8 giorni, dichiarando di avere pensieri di violenza verso 92 la neonata e di sentire l‟impulso di buttare la bambina dalla finestra. L‟intervento si è articolato nel ricovero della piccola e della madre presso la nostra U.O. di Neonatologia, con la partecipazione attiva della psichiatria per la valutazione, la terapia farmacologica e l‟osservazione continua. Noi abbiamo provveduto al sostegno materno attraverso: la vicinanza di un‟ostetrica che ha curato la sospensione dell‟allattamento materno a causa dell‟assunzione di farmaci; le infermiere della neonatologia che, con tatto e assoluta delicatezza, osservavano la funzionalità della madre negli accudimenti, riservandole interventi diretti solo su bisogno specifico ed eventualmente su richiesta della madre stessa, infondendole costante fiducia. Da parte mia, ho visto tutti i giorni la signora durante la degenza; le ho offerto uno spazio di ascolto, dove lei stessa potesse portare le sue angosce e sentire che potevano essere tollerate e comprese, dove potesse sentire che non c‟era giudizio, bensì legittimazione delle sue fatiche e dei suoi sforzi. Quelle paure si sono ridimensionate e quegli affetti violenti e devastanti sono sfumati pian piano. La funzionalità e la competenza materna si è canalizzata in un processo evolutivo: da una costante e profonda insicurezza - il poter fare del male alla bambina-, ad uno stato di sempre maggiore sintonia tra i suoi bisogni, i bisogni della piccola e il suo dedicarsi, ridimensionando in sé l‟estrema polarizzazione degli affetti. Inoltre, con il consenso della signora, abbiamo gestito la sensibilizzazione del marito, sia nel prendere consapevolezza dello stato di sofferenza della moglie, sia nell‟assumere un ruolo attivo di sostegno per lei, in quanto anche questo avrebbe avuto una funzione fondamentale in termini terapeutici. Vi leggerei una parte di colloquio in tempo di degenza, quando ormai la signora incominciava a stare meglio: 93 “I pensieri cattivi sono meno; ora vengono ancora per qualche minuto, mi fanno spaventare, mi torturano, mi chiedo “quando mi vanno via?”. Spero che mi vadano via sia quando sono con la bimba sia quando sono da sola; quando vengono e sono con la bambina la prendo, la bacio e le dico “ti amo tanto, ti amo tanto”. Ora mi sento sicura ed adeguata nel lavarla, nel vestirla, nel darle da mangiare. Prima della crisi mi sentivo male, per i pensieri che avevo dentro di me, mi dicevo che io la bambina non la meritavo, avevo paura a guardarla perché temevo di farle male e sentivo un impulso forte. Ora riesco a guardarla e le dico “tu sei la mia vita e non ti faccio niente di male”. Prima mi sentivo tanto giù e sentivo di non avere la forza per riprendermi. Spero che tutto svanisca e niente deve rimanere di questi pensieri nella mia testa; ancora ho qualche crisi di pianto, però riesco a fermarla. Ora penso, “da dove mi sono venuti questi cattivi pensieri?” E mi rispondo “forse perché ero sola”. Ora la piccola ha quasi tre mesi. L‟intervento di sostegno multidisciplinare prosegue e ci vede tutti coinvolti con modalità e intenti sintonici al recupero materno. Per concludere, la ricerca-intervento ha rappresentato sicuramente una strada maestra in termini di stimolo al lavoro, di intercettazione e di valutazione dei casi, di sensibilizzazione del personale sanitario e sociale, della capacità di cogliere e di fare una prima valutazione senza difendersi dietro a banalizzazioni, minimizzazioni o allarmismi. Essa ci ha anche permesso di lavorare su un campione più ampio e con binari di accesso anche diversi. Ora, come gruppo operativo del percorso nascita ospedaliero, territoriale, sociale e sanitario, siamo impegnati in momenti di formazione e nello sforzo di operare per migliorare il funzionamento di un lavoro integrato multidisciplinare, sempre più aderente ai bisogni specifici delle singole situazioni. Grazie. 94 Dr. Domenico Grandini Grazie dr.ssa Liverani. Andiamo avanti, invitiamo al tavolo il dr. Sgrignani: lavora a Cesena nel Consultorio Familiare e ci parlerà della sua esperienza. Dr. Fabio Sgrignani, psicologo, Azienda di Cesena Grazie per avermi invitato e per avermi dato la possibilità di parlare della nostra esperienza. Negli anni Novanta, all‟interno del Consultorio Familiare di Cesena, era stata svolta un‟azione di formazione rivolta soprattutto alle assistenti sanitarie che effettuavano le visite domiciliari alle neomamme. In quel periodo, durante l‟azione di formazione svolta da due colleghe psicologhe, era stata identificata una scheda di rilevazione del disagio relativa all‟interazione madre-bambino. Tale scheda era però preposta a cogliere i segnali di disagio e non specificatamente quelli di depressione. Se ricordo bene, essa veniva utilizzata durante le visite effettuate nel primo mese e mezzo dopo il parto. Nel tempo questo tipo di osservazione è stata sostituita da un‟altra più legata ad elementi di puericultura, invece che a quelli di matrice relazionale all‟origine della scheda. Per quanto riguarda gli interventi dedicati effettuati fino a questo momento, essi sono stati puntiformi e legati a situazioni particolari. Nel 2004, a seguito di incontri di confronto con colleghi, è nata l‟idea di una formazione più specifica; con l‟aiuto della prof.ssa Fiorella Monti, abbiamo avviato una formazione per operatori psicologi, assistenti sanitari e pediatri di libera scelta. In questa occasione abbiamo potuto osservare una cosa singolare; le depressioni post-partum, dall‟osservatorio dei pediatri di libera scelta, rappresentavano una nosografia che possiamo definire “trasparente”: quando li abbiamo intervistati e chiesto la loro esperienza in proposito, non ricordavano casi di DPP. Ricordavano casi di psicosi puerperale, ma non di depressione. 95 Sembravano cioè essere tarati per rilevare una forma estrema di patologia e non il disagio relazionale. Partendo da questa constatazione, abbiamo deciso di utilizzare l‟EPDS, che si è rilevato essere uno strumento condiviso nell‟identificare il rischio di DPP. La scelta che abbiamo fatto credo sia particolare: abbiamo pensato di creare un gruppo di pediatri che fossero interessati ad utilizzare lo strumento dell‟EPDS e li abbiamo formati, per oltre un anno, con incontri e supervisione sui casi. Per me che ero il formatore, è stata un‟esperienza molto interessante; la riuscita di questa esperienza mi è stata confermata proprio da uno dei pediatri che, in un‟occasione successiva, ha detto “mi si è aperto un mondo, una dimensione completamente nuova”. In altre parole si è aperto il mondo della madre e della relazione tra madre, bambino e padre, una presa di consapevolezza rispetto al fatto che ciò rappresentasse un elemento fondamentale per lo stato di benessere del bambino. I risultati di questa sperimentazione sono stati approfondimento pediatrico, mostrati durante regolarmente le proposte giornate di dall‟AUSL di Cesena. Da metà 2006 è stato avviato uno screening della DPP, in base ad un accordo con i pediatri di libera scelta, attraverso proprio l‟utilizzo dell‟EPDS durante il bilancio di salute del bambino nel secondo mese. Ho usato la parola screening anche se, a dire la verità, la ricerca sulla depressione puerperale non adotta in pieno le caratteristiche di questa metodologia. Si avvicina più che altro, come diceva il dr. Farneti, al case finding, a quella ricerca di patologia, attraverso un test di screening, in pazienti che si rivolgono al medico con sintomi non correlati alla malattia che viene esplorata dal test. In altre parole, la scala di Edimburgo non permette una diagnosi di depressione, né permette una valutazione dello stato mentale della puerpera, ma è utile per indirizzare il professionista verso il sospetto della depressione. 96 Due parole sul perché abbiamo privilegiato la figura del pediatra: poiché egli ha in cura il bambino, è in grado di mantenere un legame molto solido con la famiglia e rappresenta un buon aggancio che ci permette di monitorare il caso anche a lungo termine. Abbiamo scelto come soglia di attenzione all‟EPDS un punteggio di 1011; un punteggio pari o superiori a 12 rappresenta la soglia di criticità. Questi sono i risultati dell’EPDS somministrati negli anni 2006, 2007 e 2008: Il test è stato eseguito nel 2006 da 498 donne, pari al 42%; nel 2007 da 1064, pari al 57%; nel 2008 da 1453, pari al 79,2% di tutte le donne che si sono presentate al bilancio di salute con il loro bambino. Quando il pediatra rilevava, tramite lo strumento citato, una soglia di vulnerabilità, poteva attivare diverse possibili strategie: - la prima poteva essere quella di effettuare una rivalutazione periodica, con colloqui anche con il partner, che abbiamo visto essere nella maggioranza dei casi abbastanza recettivo all‟invito, probabilmente più aperto nei confronti di un sanitario rispetto ad una figura psicologica, forse percepita come più minacciosa. In letteratura è chiarito come le mamme traggano vantaggio dalla presenza di un supporto esterno che svolga un‟azione di contenimento emotivo e che possa permetterle di condividere il ruolo materno. - l‟altra possibilità era segnalare il disagio al medico curante, naturalmente d‟accordo con la signora. Veniva inoltre caldeggiato il rapporto con le ostetriche del consultorio, che spesso erano già state conosciute dalle donne durante i corsi di preparazione al parto o durante l‟assistenza alla gravidanza fisiologica. Se le donne erano disponibili, veniva caldeggiata anche la loro partecipazione ai corsi di massaggio al neonato che noi organizziamo. Veniva naturalmente proposto il sostegno domiciliare da parte dell‟assistente sanitario della pediatria di 97 comunità e, nei casi considerati più complessi, si attivava l‟invio allo psicologo da parte delle ostetriche, delle assistenti sanitarie o del pediatra. Nel 2008, sul totale di donne intercettate, 124 presentavano un punteggio pari o superiore a quella che abbiamo definito essere la soglia di criticità; di queste, 123 (99,2%) sono state prese in carico con una rivalutazione periodica da parte del pediatra; 73 hanno attivato un colloquio diretto con il partner; 10 sono state segnalate al medico curante, 9 sono state contattate dalle ostetriche, 7 hanno potuto godere delle visite domiciliari da parte delle assistenti sanitarie, 8 sono state inviate allo psicologo del consultorio. È emersa una tendenza da parte dei pediatri, che potrebbe rappresentare una criticità, a trattenere le prese in carico, una difficoltà cioè ad attivare il secondo livello rappresentato dall‟assistente sanitario, dall‟ostetrica e dal ginecologo. Delle 8 donne inviate allo psicologo, 6 hanno rifiutato sentendosi minacciate dall‟invio. Una di queste ha scelto un terapeuta privato, un‟altra ha preso contatto con me e con lo psicologo deputato ed è stata presa in carico per una depressione di tipo medio. Non so perché queste donne preferissero un terapeuta privato, forse ha inciso la mancanza di conoscenza del percorso specifico aziendale per le depressioni. La gravidanza ed il post parto rappresentano un momento di crisi, nel senso più letterale ed etimologico del termine. La parola crisi deriva dal greco crino, che significa “separare, bruscamente, con un colpo di spada”; si tratta quindi di qualche cosa che separa nettamente due dimensioni dell‟essere femminile: il prima e il dopo parto. Le situazioni che nella vita hanno questa grossa capacità trasformativa, sono situazioni ad alta densità emozionale. Forse riesco a spiegarmi meglio 98 se faccio riferimento a un testo, una fiaba: “Alice nel paese delle Meraviglie”. Sapete certamente il racconto, Alice segue il Bianconiglio, il Bianconiglio va nella tana, Alice scende nella tana. Successivamente sperimenta alcune cose: beve una pozione e diventa prima una bambina piccolissima, poi una bambina enorme – noi potremmo dire una mamma-, poi ritorna piccolissima, poi ancora enorme e poi, finalmente, arriva nel Paese delle Meraviglie, dove incontra un personaggio, un bruco che fuma una sorta di narghilè seduto su un fungo: “e il bruco domanda ad Alice: e tu, chi sei? Alice rispose un po’ imbarazzata: - ma, veramente non saprei signore. Almeno per ora, cioè sta mattina, quando mi sono alzata lo sapevo, ma da allora credo di essere cambiata diverse volte-. -Che vorresti dire? - disse il bruco secco- spiegati meglio. -Temo di non potermi spiegare signore –disse Alice- perché io per prima non lo so. - Non capisco. -Temo di non poter essere più chiara di così -rispose Alice con garboperché , purtroppo, io sono la prima a non capirci più nulla e poi, cambiando dimensione tante volte in un giorno solo, finisco per scombussolarmi parecchio. Macchè! -rispose il bruco-Ma forse a lei non sarà mai capitato -disse Alice- ma quando dovrà trasformarsi in crisalide, e lo sa che succederà un giorno o l’altro, e poi in farfalla, io dico che si sentirà un po’ strano, non crede? - Neanche per sogno- rispose il bruco. -Si vede che lei la pensa in questo modo -disse Alice- la sola cosa che io so è che oggi mi sento molto cambiata”. Ecco, io partirei da questo e cioè dal fatto che Alice non è più in grado di pensarsi, non è più in grado di rappresentarsi, non sa più che cosa è, 99 non sa più chi è davvero. E quindi va aiutata a percepirsi attraverso qualcuno, attraverso qualcosa, attraverso una rete di persone che le rimandino un‟immagine considerazione, ricostruita possiamo dire di che sé. la Partendo gravidanza da questa rappresenta sicuramente un momento particolarmente denso di emozioni, che per qualche donna rappresenta anche l‟accesso a una dimensione d‟ansia e di depressione. In alcune donne questa dimensione si può strutturare in una vera e propria patologia. Sebbene esistano donne che hanno già problemi psichiatrici pregressi, e quindi la gravidanza può aggravare i sintomi depressivi, la DPP secondo noi è un disturbo specifico, distinto dalla diagnosi di depressione. Nella nostra esperienza, la maggior parte delle donne con sintomi depressivi post parto, e che non ha alle spalle altri episodi, in genere riesce a superare abbastanza bene la crisi. Mi piacerebbe inoltre discutere con i colleghi delle depressioni post parto al maschile, che non sono state trattate. Sarebbe interessante confrontarci su questo; io faccio corsi di formazione alle coppie nel pre parto e svolgo degli incontri con i soli padri, mi fa piacere avere sentito che anche altri lo fanno. Personalmente ho notato che, se i papà hanno uno spazio nel quale esprimersi, parlano tranquillamente delle loro angosce, paure, ansie e del loro vissuto. Noi abbiamo gruppi di formazione per le ostetriche, abbiamo incontri di équipe periodici tra ostetriche e psicologi, abbiamo svolto una formazione specifica con le assistenti sanitarie e ne vogliamo proporre un‟altra rivolta al potere cogliere i segnali di disagio in donne che provengono da culture diverse. Questa mattina ho sentito anche da altri colleghi sostenere che le donne straniere rappresentino una criticità. La difficoltà più grossa che abbiamo è proprio quella di osservare e riconoscere i segnali di disagio che vengono espressi in culture diverse dalla nostra, veicolati con modalità simboliche diverse. È molto 100 complesso attivare un sistema di valutazione nosologica dei segnali, perché difficili da riconoscere come tali. Un pensiero particolare va allo strettissima collaborazione che hanno le figure degli psicologi, all‟interno del nostro consultorio, con le ostetriche, con le quali non solo facciamo incontri di équipe mensili; c‟è anche un‟organizzazione molto forte, perché svolgiamo insieme i corsi di preparazione alla nascita e perché noi psicologi offriamo un‟azione di supervisione per molti casi. Proprio questa capacità di confronto rappresenta lo strumento di lavoro più interessante che possediamo in questo ambito, grazie al quale arriva il maggior numero di donne. La maggior parte delle donne che noi vediamo sono inviate dalle ostetriche. Concludo parlando dei progetti che noi portiamo avanti. Abbiamo una progettualità basata su tre punti: 1. il primo è quello di sviluppare ulteriormente la rilevazione tramite l‟EPDS a lungo termine, effettuando un retest (ora il retest è costituito dal colloquio diretto con il pediatra); 2. formare degli operatori in grado di saper leggere i segnali predittivi anche durante la gravidanza; siamo tutti focalizzati sul post parto, invece mi piacerebbe spostare il focus e istituire tutta una serie di strumenti che ci permettano un minimo di predittività; 3. lavorare di più con il Dipartimento di Salute Mentale che, mi dispiace dirlo, risulta un po‟ scisso dalle collaborazioni. È stato possibile coinvolgerlo solo su pochi casi specifici, particolarmente gravi, in cui era inevitabile il ricovero in SPDC o nel caso in cui le donne erano già conosciute dal servizio. Dr. Domenico Grandini Grazie dr. Sgrignani, indubbiamente emergono spunti di riflessione. Abbiamo sentito quattro esperienze, dalle quali emergono obiettivi comuni, ma anche differenze. Io darei spazio alle domande, se ce ne 101 sono. Ci sono dei punti di raccordo tra i Servizi che meritano di essere approfonditi laddove ancora emerge la scissione, come diceva il dr. Sgrignani. Domanda da parte di una partecipante: io vorrei fare una riflessione e forse anche dare uno stimolo a chi si occupa di questo problema. Ho sentito piacevolmente parlare del puerperio come di quei 40 giorni in cui la donna ha bisogno di un sostegno particolare da parte della comunità al femminile. Io ho una formazione sistemica: va bene la donna, va bene la coppia, ma ribadisco l‟importanza del contesto. Al giorno d‟oggi, ad esempio, non si può fare a meno dei nonni; quindi, quanto può essere recuperato dalla famiglia di origine? Il contesto sociale purtroppo non ci può più riproporre i modelli del passato; forse però la famiglia d‟origine può essere recuperata veramente come risorsa, perché i nonni c‟entrano. Al giorno d‟oggi c‟entrano tanto. Io sono psichiatra e non avrei mai definito depressione quella che voi chiamate depressione; per me la depressione è una patologia grave, seria e che ha tutta una dimensione organica particolare che arriva al delirio. Nella DPP, l‟esperienza comune delle donne è uno stato depressivo che non può prescindere dai personaggi che si faranno carico dell‟ accudimento del bambino. Mi piacerebbe che chi studia questi temi allargasse veramente la visuale: il focus non può essere solo la donna, non può essere solo la coppia, deve essere qualche cosa di più. Dr Domenico Grandini Passiamo alla Regione, al dr. Saponaro. È qui in sostituzione del dr. Fioritti, che non è potuto essere presente. Il dr. Saponaro lavora in Regione già da anni ed è un portavoce significativo del Servizio Regionale. 102 Dr. Saponaro In qualità di portavoce del Servizio Regionale non vi parlerò degli aspetti tecnico-professionali, clinici, bensì degli aspetti organizzativi. Ho concordato questa relazione con il dr. Fioritti, che ci teneva molto ad essere qui e vi porto i suoi saluti (ricordo che è lui il fautore del Programma di Psicologia e ha spinto molto in questa direzione). Leggendo la documentazione che mi è stata fornita dal dr. Fioritti per potere arricchire la mia relazione, sono rimasto colpito particolarmente dall‟introduzione che il dr. Fioritti fa all‟opuscolo del programma di Psicologia dell‟Azienda Usl di Rimini: “la prospettiva psicologica è ormai diventata inevitabile. I campi di potenziale intervento dello psicologo in sanità si allargano a dismisura (…). In breve, l’espansione della domanda di psicologia è evidente e rappresenta una opportunità; ma al contempo c’è un rischio, un rischio rilevante, che è quello della diluizione di una figura professionale su aspetti così molteplici e diversi che rischia di svalutarne le competenze e ridurle al rango di un intervento aspecifico, di contorno. Soprattutto in questo periodo di preoccupazione circa la capacità di assicurare livelli generali di assistenza, gli interventi di contorno, di non sicura validazione, possono essere non apprezzati. In questo contesto viene in maniera preponderante una grossa opportunità che è il Programma di Psicologia”. (delibera regionale n. 2011 del 2007, direttiva che viene data alle Aziende Usl per l‟adozione degli indirizzi in merito alle forme organizzative dei Dipartimenti di Cure Primarie, Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, Sanità Pubblica, dove una rilevante novità è sicuramente rappresentata dall‟istituzione del Programma di Psicologia). Vorrei leggere queste cinque righe della delibera: “un discorso particolare merita l’attività di psicologia clinica. Le Aziende devono dotarsi di un modello organizzativo che dia il necessario coordinamento 103 e che garantisca appropriatezza. Viste le caratteristiche interdisciplinari e interdipartimentali dell’intervento psicologico nelle Aziende, il modello che meglio sembra garantire un’appropriatezza e una qualità è quello del Programma all’interno del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche”. Praticamente e senza ombra di dubbio, questo convegno ne è dimostrazione; la delibera ha attivato un processo virtuoso non ancora completato: la maggior parte delle Aziende ha istituito il Programma di Psicologia, due hanno istituito U.O. e due devono ancora formalizzare. Potremmo dire che il panorama Regionale è completo. Di fatto, a prescindere dalle forme organizzative, ciò che importa è che il Programma faccia cose di programma, in particolare: lavorare in staff con la Direzione Generale nella committenza di tutte le attività ed interventi inerenti alla professione dello psicologo; occuparsi della tutela della salute attraverso un‟attenzione non solo ai sintomi, ma anche ad altri indicatori di disagio, come il profilo comportamentale, oltre che alla comunicazione sociale, alla prevenzione della salute (…). Quindi il Programma come luogo di sviluppo delle competenze psicologiche, come valorizzazione della professionalità e delle competenze dello psicologo. Io ritengo che, alla luce delle esperienze fatte in altri settori - cito ad esempio cosa ha portato il Programma Regionale nel campo delle dipendenze patologiche professionalità, di in risorse termini ecc. -, organizzativi, lo stesso di sviluppo processo di verrà necessariamente sviluppato nelle aziende della Regione. So che esiste già un gruppo di lavoro regionale, sempre promosso dal Servizio Regionale, che ha elaborato delle linee forti in merito, anche se ancora provvisorie, comprendenti una serie di bisogni sanitari e sociosanitari, bozze in via di definizione sulle disabilità fisiche, malattie croniche ecc. I 104 prodotti riguardano: -accesso e accoglienza; -valutazione all‟équipe psicodiagnostica, curante, refertazione, consulenza ad altre supporto/consulenza professionalità/servizi, consulenza psicologica, supporto psicologico, intervento indiretto, trattamenti integrati di psicoterapia. Concludo questo mio brave intervento con un messaggio forte caldeggiato dal dr. Fioritti: abbiamo passato una fase di avvio, siamo nella fase di consolidamento, è ora di partire nella “fase matura”. Nel senso che da programmi aziendali di psicologia, bisogna passare al Programma Regionale di Psicologia. La dr.ssa Russo ha avuto un ruolo determinante in questo, non posso non dirlo; molta della spinta che c‟è oggi in Regione è derivata anche dal suo intervento e quello di altri psicologi, persone che hanno delineato questo percorso. Non si tratta di una cosa in divenire, esiste una delibera che dice espressamente che la Regione si è impegnata e si impegna formalmente a costruire questo nuovo programma; il convegno di oggi segue tale direzione: quella di creare risorse, opportunità e professionalità da condividere a livello regionale all‟interno del Programma. Dr.ssa Maria Maffia Russo Ringrazio per l‟attenzione e per il convegno che siamo riusciti ad organizzare. Grazie di cuore a tutti. 105 Parte seconda - N. 65 Anno 39 Euro 6,15 20 maggio 2008 DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE 21 aprile 2008, n. 533 Direttiva alle Aziende sanitarie in merito al programma percorso nascita N. 82 2 20-5-2008 - BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA - PARTE SECONDA - N. 82 DELIBERAZIONI REGIONALI DELIBERAZIONI DELLA GIUNTA REGIONALE REGIONE EMILIA-ROMAGNA DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE 21 aprile 2008, n. 533 Direttiva alle Aziende sanitarie in merito al programma percorso nascita LA GIUNTA DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA Visti: – la Legge regionale 27/89 “Norme concernenti la realizzazione di politiche di sostegno alle scelte di procreazione ed agli impegni di cura verso i figli”; – la Legge regionale 26/98 “Norme per il parto nelle strutture ospedaliere, nelle case di maternità e a domicilio”; – la propria delibera 282/05 del 14 febbraio 2005 “Nomina dei componenti della Commissione “Percorso nascita” ai sensi della L.R. 26/98, art. 10”; – la propria delibera 2464/99 “Legge 31/1/1996, n. 34 art. 3 comma 4. assegnazione alle Aziende USL di finanziamenti per l’attivazione e la gestione di consultori. Variazione di bilancio”, ed in particolare il progetto: “Promuovere azioni per realizzare l’umanizzazione del parto, promuovere l’allattamento al seno nonché pratiche di assistenza alla gravidanza, al parto, al neonato sano dimesso, di provata efficacia”; – la propria delibera 309/00 “Assistenza distrettuale. Approvazione linee guida di attuazione del Piano sanitario regionale 1999-2001” che annovera, in ambito distrettuale, i due programmi “salute donna” e “famiglie, infanzia ed età evolutiva”; – il DPR 7/4/2006 col quale è stato approvato il Piano Sanitario nazionale per il triennio 2006-2008; – il Piano Sanitario regionale 1999-2001 approvato con delibera consigliare n. 1235 del 22/9/1999; – la L.R. 29/04 e successive modifiche “Norme generali sull’organizzazione ed il funzionamento del Servizio Sanitario regionale”; – la delibera di Giunta regionale n. 1448 dell’1 ottobre 2007 di proposta all’Assemblea legislativa del Piano sociale e sanitario 2008-2010; – la propria delibera 2011/07 “Direttiva alle Aziende Sanitarie per l’adozione dell’atto aziendale di cui all’art. 3 comma 4, della L.R. 29/04: indirizzi per l’organizzazione dei dipartimenti di cure primarie, di salute mentale e dipendenze patologiche e di sanità pubblica”; – l’Accordo Stato Regioni dell’1 agosto 2007 sulle linee progettuali per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale 2007 – Linea progettuale 2 “Salute della donna e del neonato”; valutato che tra gli obiettivi prioritari del Piano Sanitario nazionale 2006-2008 vi sono: – il miglioramento dell’assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica nel periodo perinatale, il parto indolore e l’allattamento materno precoce; – la riduzione del ricorso al taglio cesareo; – le campagne di informazione rivolte alle gestanti ed alle puerpere, attraverso i corsi di preparazione al parto ed i servizi consultoriali; – la prevenzione del disagio psicologico nel periodo perinatale; considerato che la proposta di Piano Sociale e Sanitario regionale 2008-2010 indica tra i percorsi assistenziali ad elevata integrazione l’area materno-infantile, indicando tra le forme di intervento da sviluppare: – le azioni promosse dai Consultori familiari in merito all’informazione e alla consulenza relativamente al tema della sessualità e della procreazione responsabile, alla tutela della procreazione stessa e al sistema articolato di prestazioni in grado di fornire il complesso degli interventi afferenti la gravidanza, la nascita, il puerperio; – l’individuazione di progetti, interventi e servizi che rafforzino localmente il diritto alla tutela della “buona” nascita; considerato che la Commissione consultiva tecnico scientifica sul Percorso nascita (di seguito indicata come Commissione nascita) ha già attuato un approfondimento relativo alla qualità dell’assistenza alla gravidanza, al parto e al puerperio: – esaminando gli aspetti relativi alla accoglienza offerta alla donna nelle differenti strutture sanitarie e alla continuità del percorso assistenziale; – monitorando le modalità dei parti avvenuti nelle strutture ospedaliere pubbliche e private, nelle case di maternità ed a domicilio; – individuando i principali criteri per l’elaborazione di protocolli relativi all’attuazione delle più appropriate ed efficaci modalità organizzative per l’assistenza ostetrica; – valutando il ricorso ai servizi sanitari da parte delle donne e dei loro bambini; – individuando indicatori utili alla descrizione della realtà regionale sul percorso nascita, evidenziando anche le fonti da cui raccogliere le informazioni necessarie per la loro costruzione; dato atto che gli obiettivi da perseguire indicati dalla L.R. 26/98 sono ancora attuali, e che le linee strategiche ed attuative indicate dalla Commissione nascita, in coerenza con tale legge, si integravano con il Progetto regionale di riorganizzazione dei Consultori familiari di cui alla propria delibera 2464/99; considerato che i lavori condotti poi nel periodo 2005 – 2007 attraverso l’analisi degli indicatori, apposite rilevazioni, e gruppi di esperti dalle Aziende sanitarie hanno permesso alla Commissione nascita di individuare i seguenti obiettivi per il Servizio Sanitario regionale: 1) realizzare una razionalizzazione delle metodiche invasive utilizzate per la diagnosi prenatale di anomalie cromosomiche, mediante l’uso di metodologie finalizzate alla ridefinizione del rischio e all’aumento dell’efficienza della diagnosi prenatale; 2) predisporre un percorso razionale della diagnostica ecografica delle anomalie morfologiche fetali, ivi inclusa la possibilità di eseguire gli opportuni approfondimenti diagnostici finalizzati ad una migliore definizione della prognosi e alla offerta di un adeguato e tempestivo counselling alla donna; 3) applicare le linee di indirizzo regionale per la ridefinizione del ruolo dell’ostetrica e la sua integrazione con le altre figure professionali nell’assistenza al percorso nascita (gravidanza, parto e puerperio), con la costruzione di modelli assistenziali che vedano al centro la donna e la sua famiglia; 4) promuovere e consolidare l’adozione della linea guida sul “Controllo del benessere fetale in travaglio di parto” per la valutazione e la modifica delle prassi assistenziali al travaglio di parto in termini di appropriatezza degli interventi, di definizione dei ruoli professionali, introducendo criteri di migliore pratica clinica basati su prove di efficacia; 5) migliorare l’assistenza ai disturbi emozionali della donna in gravidanza e nel primo anno di vita del bambino anche sperimentando interventi di prevenzione e terapeutici che completino l’assistenza al percorso nascita; 6) attuare interventi di supporto alla relazione madre-bambino e di promozione e sostegno all’allattamento al seno; 7) favorire il processo di ascolto dell’opinione delle donne e delle coppie che hanno accesso ai servizi per il percorso nascita, mediante l’adozione di strumenti e modalità di indagine specifici; 8) garantire un miglioramento della prassi diagnostico assistenziale in caso di nato morto, evidenziando gli interventi atti a ridurre la natimortalità e favorire un miglioramento nella qualità dei dati raccolti e nella comunicazione e degli interventi di supporto rivolti alle famiglie; 20-5-2008 - BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA - PARTE SECONDA - N. 82 9) garantire un’assistenza qualificata al travaglio e parto fisiologico in ambiente extra-ospedaliero; 10) garantire a tutte le gravide i corsi prenatali “di base” in quanto interventi educativi a tutela della maternità e sperimentare un’offerta attiva dei corsi di accompagnamento alla nascita in grado di raggiungere la popolazione svantaggiata; 11) aumentare le conoscenze e l’attenzione dei professionisti e delle donne al tema “il dolore nel parto”, anche attraverso sperimentazioni controllate di metodiche farmacologiche e non farmacologiche; considerato che per il raggiungimento degli obiettivi sopraccitati la Commissione nascita, di cui alla delibera 282/05, ha fornito indicazioni a livello regionale, con riferimento alle evidenze di letteratura, come da allegato alla presente deliberazione (Allegato 1), anche attraverso l’elaborazione dei seguenti documenti sempre allegati alla presente deliberazione, della quale costituiscono parte integrante e sostanziale (Allegato 2): – diagnosi prenatale precoce delle principali anomalie cromosomiche – offerta attiva strutturata; – linee di indirizzo per l’assistenza ostetrica alla gravidanza, al parto e al puerperio; – linea guida “Il controllo del benessere fetale in travaglio di parto” – Elaborazione ed implementazione della linea guida; – i disturbi emozionali della donna in gravidanza e nel primo anno di vita del bambino; – percorso nascita e qualità percepita: rassegna bibliografica; – la natimortalità: un programma di analisi e monitoraggio degli eventi mediante audit; – linee di indirizzo per l’assistenza al travaglio e parto fisiologico in ambiente extra ospedaliero; e che l’analisi del contesto, la ricognizione delle fonti di dati esistenti e l’individuazione degli indicatori disponibili è sintetizzata nel Rapporto “Dati di contesto: caratteristiche della popolazione e modalità assistenziali praticate”, ugualmente allegato alla presente deliberazione (Allegato 3); dato atto che con propria delibera n. 1921 del 10/12/2007 “Linee guida alle Aziende Sanitarie della regione Emilia-Romagna per il controllo del dolore in travaglio di parto” è stato approvato il documento dal titolo “Il controllo del dolore in travaglio di parto”, elaborato da un apposito gruppo di lavoro della Commissione, costituito dal Direttore generale Sanità e Politiche sociali con determinazione n. 608 del 10 gennaio 2007; valutato di altissimo valore il contributo che i lavori della Commissione nascita portano al miglioramento della qualità assistenziale del percorso nascita, attraverso lo sviluppo delle relazioni, del confronto e del lavoro comune tra professionisti, il riferimento costante alle linee guida e alle esperienze più qualificate del settore; ritenuto pertanto di adottare i documenti sopra elencati, quale riferimento per le azioni che le Aziende sanitarie dovranno mettere in atto per qualificare ulteriormente gli interventi rivolti alla donna/coppia e al neonato nel percorso nascita, e le schede che, per ciascuno degli obiettivi che hanno orientato i lavori della Commissione nascita, riassumono modalità operative e risultati attesi; valutato che le Aziende sanitarie dovranno definire piani di attuazione di ciascun obiettivo in cui vengano esplicitate le modalità di implementazione delle linee guida/raccomandazioni e le relative fasi/tempi di attuazione, sulla base del contesto locale; ritenuto necessario monitorare l’attuazione delle indicazioni fornite dalla Commissione nascita da parte delle Aziende sanitarie, attraverso gli specifici indicatori individuati; dato atto che in data 16 gennaio 2008 sono stati illustrati alla Commissione assembleare IV – Politiche per la salute e Politiche sociali – i risultati dei lavori della Commissione nascita; dato atto del parere di regolarità amministrativa, espresso dal Direttore generale Sanità e Politiche sociali, dott. Leonida Grisendi, ai sensi dell’art. 37, quarto comma, della L.R. 43/01 e 3 successive integrazioni e modificazioni e della deliberazione della Giunta regionale 450/07; su proposta dell’Assessore alle Politiche per la salute; a voti unanimi e palesi, delibera: 1) di approvare i seguenti documenti: a) diagnosi prenatale precoce delle principali anomalie cromosomiche – offerta attiva strutturata; b) linee di indirizzo per l’assistenza ostetrica alla gravidanza, al parto e al puerperio; c) linea guida “Il controllo del benessere fetale in travaglio di parto” – Elaborazione ed implementazione della linea guida; d) i disturbi emozionali della donna in gravidanza e nel primo anno di vita del bambino; e) percorso nascita e qualità percepita: rassegna bibliografica; f) la natimortalità: un programma di analisi e monitoraggio degli eventi mediante audit; g) linee di indirizzo per l’assistenza al travaglio e parto fisiologico in ambiente extra ospedaliero; h) dati di contesto: caratteristiche della popolazione e modalità assistenziali praticate; elaborati dalla Commissione nascita quale riferimento per le azioni che le Aziende sanitarie dovranno mettere in atto per qualificare ulteriormente gli interventi rivolti alla donna/coppia e al neonato nel percorso nascita e le schede che illustrano gli obiettivi qui sotto elencati: 1) realizzare una razionalizzazione delle metodiche invasive utilizzate per la diagnosi prenatale di anomalie cromosomiche, mediante l’uso di metodologie finalizzate alla ridefinizione del rischio e all’aumento dell’efficienza della diagnosi prenatale; 2) predisporre un percorso razionale della diagnostica ecografica delle anomalie morfologiche fetali, ivi inclusa la possibilità di eseguire gli opportuni approfondimenti diagnostici finalizzati ad una migliore definizione della prognosi e alla offerta di un adeguato e tempestivo counselling alla donna; 3) applicare le linee di indirizzo regionale per la ridefinizione del ruolo dell’ostetrica e la sua integrazione con le altre figure professionali nell’assistenza al percorso nascita (gravidanza, parto e puerperio), con la costruzione di modelli assistenziali che vedano al centro la donna e la sua famiglia; 4) promuovere e consolidare l’adozione della linea guida sul “Controllo del benessere fetale in travaglio di parto” per la valutazione e la modifica delle prassi assistenziali al travaglio di parto in termini di appropriatezza degli interventi, di definizione dei ruoli professionali, introducendo criteri di migliore pratica clinica basati su prove di efficacia; 5) migliorare l’assistenza ai disturbi emozionali della donna in gravidanza e nel primo anno di vita del bambino anche sperimentando interventi di prevenzione e terapeutici che completino l’assistenza al percorso nascita; 6) attuare interventi di supporto alla relazione madre-bambino e di promozione e sostegno all’allattamento al seno; 7) favorire il processo di ascolto dell’opinione delle donne e delle coppie che hanno accesso ai servizi per il percorso nascita, mediante l’adozione di strumenti e modalità di indagine specifici; 8) garantire un miglioramento della prassi diagnostico assistenziale in caso di nato morto, evidenziando gli interventi atti a ridurre la natimortalità e favorire un miglioramento nella qualità dei dati raccolti e nella comunicazione e degli interventi di supporto rivolti alle famiglie; 9) garantire un’assistenza qualificata al travaglio e parto fisiologico in ambiente extra-ospedaliero; 10) garantire a tutte le gravide i corsi prenatali “di base” in quanto interventi educativi a tutela della maternità e sperimentare un’offerta attiva dei corsi di accompagnamento alla nascita in grado di raggiungere la popolazione svantaggiata; 4 20-5-2008 - BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA - PARTE SECONDA - N. 82 11) aumentare le conoscenze e l’attenzione dei professionisti e delle donne al tema “il dolore nel parto”, anche attraverso sperimentazioni controllate di metodiche farmacologiche e non farmacologiche; allegati, quali parti integranti e sostanziali del presente provvedimento; 2) di stabilire che: 2.1.) entro il 30/6/2008 le Aziende sanitarie effettuino, anche con il supporto dei coordinatori e componenti dei gruppi della Commissione nascita, la presentazione ai servizi in teressati dei contenuti della presente direttiva, in sede di Area Vasta, finalizzati all’analisi ed al confronto delle singole realtà locali e alla elaborazione di un piano di attuazione degli obiettivi di cui alla premessa; 2.2.) entro il 31/12/2008 le Aziende sanitarie, a conclusione degli incontri di verifica e confronto anche con i Servizi regionali competenti, definiscano il Piano di attuazione, concordato almeno fra le diverse Aziende che insistono sui singoli ambiti provinciali ed a valenza quindi almeno provinciale, in cui vengano esplicitati le modalità di implementazione delle linee guida/raccomandazioni indicate nei documenti di riferimento e di attuazione degli obiettivi, le fasi e i tempi di realizzazione, sulla base del contesto locale; 3) di prevedere che i piani di cui al punto 2 vengano inviati alla Direzione generale Sanità e Politiche sociali che provvederà alla loro valutazione, con il contributo dei coordinatori e componenti dei gruppi della Commissione nascita che hanno elaborato i singoli documenti, ed avendo a riferimento gli obiettivi individuati dalla proposta di Piano Sociale e Sanitario e la necessità di garantire una complessiva omogeneità a livello regionale; 4) di pubblicare il presente provvedimento, comprensivo degli allegati, nel Bollettino Ufficiale della Regione Emilia-Romagna. (segue allegato fotografato) Unità Operativa Risorse Intangibili via Flaminia, 76, 47900 Rimini 0541.304909 0541.304907 www.risorse-intangibili.it [email protected]