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SERVIZIO SANITARIO REGIONALE
EMILIA-ROMAGNA
Azienda Unità Sanitaria Locale di Rimini
II Convegno Psicologia Area Vasta
Quaderni ASRI
Depressione Pre e Post Partum.
I protagonisti della storia: la madre, il bambino, il padre.
La cultura del nascere insieme.
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a cura di: Dr.ssa Maria Maffia Russo
S t e su ra a cu ra de lla d r. ssa S e re na To m a sso n i;
co lla b o ra zio n e d e lla d r. ssa Miche la Sa lu cci
CONVEGNO PSICOLOGIA AREA VASTA
“Depressione Pre e Post Partum.
I protagonisti della storia: la madre, il bambino, il padre.
La cultura del nascere insieme”
30 OTTOBRE 2009, RIMINI
INDICE
Saluti
Dr. Stefano Busetti, Direttore del Presidio Ospedaliero AUSL Rimini
Presentazione:
Dr.ssa Elena Castelli - Responsabile Programma Regionale per lo sviluppo e
l‟innovazione dell‟area consultori familiari e consultori pediatrici
Introduzione
Dr.ssa Maria Maffia Russo, Direttore Programma di Psicologia, AUSL Rimini
Parte I .......................................................................................................... pag. 15
Relazioni
-
“La donna che ha partorito non stia mai sola”, Dr.ssa Claudia Pancino Dipartimento di Storia, Università Trieste
-
“Depressione post-partum: l‟approccio psicosociale”, Dr.ssa Patrizia Romito –
Dipartimento di Psicologia, Università Trieste
-
“Accompagnare la genitorialità nel percorso nascita: ricerca-intervento sui
fattori di rischio e protezione”, Prof.ssa Fiorella Monti – Dipartimento di
Psicologia, Università di Bologna
-
“Dai piccolini alle mamme: l‟intervento psicologico nella nascita prematura”,
Dr.ssa Elena Bravi – Psicologa, Ospedale Verona
-
“L‟intervento dei padri nella prevenzione della depressione post-partum”,
Dr.ssa Laura Pomicino, Università di Trieste
1
Parte II ......................................................................................................... pag. 54
Tavola Rotonda: “il punto di vista delle altre professioni”
Introduzione del moderatore, Dr.ssa Marisa Bianchin - Psicologa/Psicoterapeuta,
Direttrice di distretto AUSL Ravenna
Interventi:
-
Dr. Paolo Assirelli, Ginecologo, Dir. Consultorio Familiare, AUSL Rimini
-
Dr.ssa Daniela Daniele, Coordinatore percorso nascita Area Vasta
-
Dr. Giuseppe Battagliarin, Dir. U.O. Ostetricia e Ginecologia Ospedale
“Infermi” , AUSL Rimini
-
Dr.ssa Palma Mammolitti, Neonatologa, Ospedale “Infermi” , AUSL Rimini
-
Dr. Massimo Farneti, Dir. Del Servizio materno-infantile, AUSL Cesena
-
Dr. Riccardo Sabatelli, Psichiatra, AUSL Rimini
Parte III ........................................................................................................ pag. 68
Confronto delle esperienze di ricerca e cliniche tra gli psicologi di Area Vasta:
Azienda Rimini, Azienda Forlì, Azienda Cesena.
Parteciperà l‟Azienda USL di Trento
Introduzione del moderatore, Dr. Domenico Grandini – Direttore U.O Psicologia
Azienda Usl Forlì
-
Dr.ssa Lorenza Donati, Psicologa, AUSL Trento
-
Dr.ssa Cristina Belicchi, Psicologa, AUSL Rimini
-
Dr.ssa Antonella Liverani, Psicologa, AUSL Forlì
-
Dr. Fabio Sgrignani, Psicologo, AUSL Cesena
Intervento del Dr Saponaro, Servizio Salute Mentale, Dipendenze Patologiche,
Salute nelle Carceri Regione Emilia Romagna
Allegato: Delibera Regionale 533/2008
2
- II Convegno Psicologia Area Vasta -
Depressione Pre e Post Partum.
I protagonisti della storia: la madre, il bambino, il padre.
La cultura del nascere insieme.
Saluto del Direttore del Presidio Ospedaliero AUSL Rimini
Dott. Stefano Busetti
A nome dell‟Ospedale Infermi e dell‟Azienda USL di Rimini porgo il
benvenuto a tutti i partecipanti.
Questo è il secondo Convegno di Psicologia di Area Vasta e come tale
rappresenta
un
ottimo
esempio
di
quella
stretta
integrazione
professionale ed organizzativa che in Emilia Romagna si sta
perseguendo in diversi settori.
Non mi addentrerò nell‟argomento che tratterete ampiamente durante
questa giornata, mi interessa però cogliere alcuni spunti di riflessione
che la tematica offre oggi a chi, come me, si occupa di organizzazione
dei Servizi Ospedalieri. È già evidente a tutti che gli ospedali moderni
sono diventati sempre più delle “macchine” ad elevatissimo contenuto
tecnologico. L‟ospedale in cui ci troviamo ne è un esempio. Una struttura
ospedaliera così congeniata dà il meglio di sé nelle situazioni acute:
risposte rapide, puntuali e precise.
Non è un caso che la risposta migliore la si ritrova nell‟emergenza; basti
pensare all‟infarto: pochi minuti e il 118 riesce ad andare a prendere la
persona ovunque, la porta in ospedale, dove la si sottopone ad
angioplastica e dopo pochi giorni la si rimanda a casa. Questo è un
esempio della risposta rapida ed efficiente che un ospedale moderno
3
riesce a dare.
Questa spinta tecnologica così estrema, però, a mio avviso fa emergere
delle problematiche:
- Da un lato non sempre questa spinta tecnologica elevata si
concilia con una umanizzazione delle cure;
- dall‟altro, c‟è la specializzazione medica. Gli ospedali da sempre
sono caratterizzati in senso specialistico, ma è chiaro che il
progresso tecnologico frammenta gli interventi in supersettori in cui
i professionisti si occupano solo di sezioni molto specifiche. Il
rischio è quello della frammentazione del processo di cura,
laddove invece occorrerebbe maggiore unitarietà.
In sintesi, un ospedale moderno tecnologico così congeniato e così
efficiente nella risposta all‟emergenza rischia a mio avviso di entrare in
crisi tutte le volte che deve affrontare tematiche, come quella di oggi,
che io assumerei a paradigma di tutte le situazioni in cui i fattori della
buona riuscita della cura sono altri. In particolare sottolineerei:
1. il recupero della dimensione umana della nascita e dei suoi
vissuti;
2. la multidisciplinarità: il concorso di più ruoli professionali dovrebbe
rappresentare lo standard operativo per ottenere un risultato
efficace.
Ecco
che
allora,
per
chi
come
me
si
occupa
soprattutto
dell‟organizzazione, il tema di oggi è particolarmente importante. La
sfida che lancio è la seguente: come può un ospedale moderno,
tecnologico, affrontare il disagio esistenziale, conciliare l‟ospedale
tecnologico con l‟ospedale a misura d‟uomo, di donna e di bambino?
Queste sono le tematiche su cui diventa interessante lavorare ed essere
pronti.
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Il contesto della regione Emilia Romagna:
presentazione della Delibera n. 533 del 2008*
(* si allega la Delibera in fondo alla pubblicazione)
Dr.ssa Elena Castelli
Responsabile Programma Regionale per lo sviluppo e l’innovazione
dell’area consultori familiari e consultori pediatrici
Io vi racconterò come si è arrivati a definire gli obiettivi inseriti in questa
delibera e in particolare la parte relativa ai disturbi emozionali della
donna in gravidanza.
Si è partiti da lontano, si è partiti nel 2000/2004 parlando di puerperio e
allattamento
al
seno
all‟interno
di
un
Progetto
Regionale
di
riorganizzazione dei consultori familiari.
In questo contesto si era osservato che la depressione post-partum era
una delle cause più frequenti dell‟abbandono dell‟allattamento al seno.
Inoltre, dall‟analisi che era stata fatta in quel periodo delle Linee Guida
Internazionali, si era rilevato che il benessere psicofisico della madre era
tra gli elementi principali da prendere in considerazione nell‟assistenza
al puerperio.
Questi risultati sono stati ripresi dalla Commissione Nascita precedente,
nominata nel 2005, la quale aveva recepito l‟elaborato del gruppo
sull‟allattamento al seno come strumento di lavoro per il miglioramento
delle parti assistenziali, ma aveva anche ritenuto indispensabile che la
valutazione del benessere psicofisico della donna diventasse uno degli
elementi da valutare in maniera continua all‟interno dell‟assistenza alla
gravidanza e al puerperio. A tal fine aveva demandato ad un gruppo di
lavoro l‟analisi delle caratteristiche qualitative e quantitative del
fenomeno, ovvero di individuare ed analizzare le modalità di approccio
diagnostico che si erano rivelate più valide, di verificare se e quali erano
gli interventi preventivi e terapeutici più efficaci ed individuare percorsi
assistenziali
da
mettere
in
campo
5
in
ambito
regionale
per
l‟intercettazione e il trattamento delle donne che presentavano un
disturbo di tipo emozionale. Tutto questo al fine di realizzare interventi
mirati ad ottimizzare l‟assessment psicologico della donna durante la
gravidanza ed il puerperio.
Quindi si è proceduto operando un‟analisi di revisione della letteratura e
costituendo un gruppo di lavoro multidisciplinare, con professioni del
Servizio Sociale, dei Servizi Territoriali, del Dipartimento di Salute
Mentale e dei Servizi Ospedalieri.
Le criticità che il gruppo si era trovato dinanzi erano: la rilevazione del
disturbo, gli interventi da mettere in atto e l‟iter assistenziale. Rispetto
all‟iter assistenziale, il gruppo si era chiesto chi e come dovesse cogliere
i sintomi della depressione, come far cadere l‟attenzione sul rilevamento
di tali sintomi, quali fossero le conoscenze e le abilità necessarie per
poter intercettare il fenomeno e chi e come dovesse operare la selezione
dei casi. Cioè quali fossero i casi che potevano già essere trattati nei
Servizi di base, quali dovessero essere invece inviati ad un trattamento
di tipo specialistico e quali fossero le caratteristiche della rete
assistenziale.
Il gruppo ha lavorato molto sull‟ipotesi di screening, ma tutte le analisi
fatte a livello della letteratura avevano portato a far pensare che la storia
naturale della depressione si prestasse male ad una politica di
screening. Quindi il solo utilizzo di un test, tipo l‟EPDS (Scala di
Edimburgo), non era sufficiente ad intercettare appieno il fenomeno; era
necessario affiancarlo ad un colloquio clinico.
Il Gruppo Regionale era arrivato a formulare una proposta: lo stato
emotivo della donna doveva essere oggetto di valutazione da parte dei
professionisti alla stessa stregua degli altri parametri di salute; tutti i
professionisti operanti all‟interno del percorso nascita dovevano essere
in grado di cogliere il disagio e quindi saper distinguere tra i casi che
necessitano di un trattamento solo a livello dei Servizi di Base e quelli
che necessitano di un intervento specialistico.
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La multifattorialità del disturbo emotivo necessitava la presa in carico da
parte di un‟équipe multidisciplinare, presa in carico che poteva anche
avere un risvolto di tipo sociale, non solo sanitario, e coinvolgere anche
la famiglia quando necessario.
In sintesi, il gruppo regionale richiedeva l‟istituzione e la formalizzazione
di un gruppo multidisciplinare aziendale, coordinato da un responsabile
nominato dalla Direzione Generale, che si doveva occupare di
organizzare il percorso di presa in carico in ogni Azienda a partire
dall‟analisi dei dati della realtà locale e dell‟organizzazione delle risorse
presenti nella propria Azienda.
Questo perché in letteratura non si era evidenziato un modello
organizzativo più efficace rispetto agli altri, per cui il gruppo ha pensato
di lasciare molto spazio all‟organizzazione all‟interno delle varie Aziende.
Il percorso di presa in carico doveva essere monitorato nella sua
applicazione attraverso indicatori; era necessario definire un piano di
formazione secondo delle indicazioni regionali che però ancora non ci
sono; sarà compito della prossima commissione nascita individuarle.
La delibera è costituita da 11 obiettivi, l‟obiettivo 5 è relativo al
miglioramento dell‟assistenza ai disturbi emozionali della donna in
gravidanza e ha come obiettivi specifici: la sorveglianza dello stato
emotivo in epoca perinatale, la rilevazione dei diversi aspetti dei disturbi
psichici in tutte le fasi del percorso nascita e la sperimentazione di
interventi di prevenzione e terapeutici che possano completare l‟offerta
di assistenza alla nascita. Le modalità operative riportate dalla delibera
sono:
-la costituzione di questo gruppo multidisciplinare, che comprende sia i
medici di famiglia, il servizio sociale ma anche il dipartimento di salute
mentale per l‟analisi della prassi attuale;
- l‟individuazione delle criticità dell‟attuale iter diagnostico per poi
7
individuare gli strumenti per il superamento delle criticità;
-l‟acquisizione da parte dei professionisti di una preparazione comune
sia sul riconoscimento dei disturbi emozionali in epoca perinatale sia
sulle modalità di presa in carico della donna;
-corsi di formazione sul campo sulla base delle informazioni fornite dalla
commissione nascita.
La delibera individua i seguenti indicatori per la valutazione:
- il numero di professionisti formati al riconoscimento dei disturbi
emozionali;
- il numero di donne avviate ad uno specifico percorso assistenziale;
- le donne ricoverate per psicosi e depressione severa;
- l‟evidenza di un percorso definito per la presa in carico.
Ancora, la delibera prevedeva che le Aziende presentassero alla fine
dell‟anno 2008 un piano di attività sull‟applicazione della delibera stessa
con le azioni che si pensava mettere in atto.
La Regione, a 9 mesi circa dalla presentazione di questi piani di attività,
ha voluto verificare
come queste Aziende si stavano muovendo per
valutare l‟implementazione del percorso. Quindi ha costituito insieme al
CeVEAS un questionario che è stato sottoposto alle Aziende, che
andava ad indagare se era stato fatto quanto previsto dalla delibera. Nel
questionario era chiesto:
- se era stato individuato un progetto specifico rivolto alle donne con
disturbi emozionali;
-
se venisse attuato nell‟Azienda o solo in alcune realtà;
- se era stato definito un modello organizzativo, una popolazione
bersaglio e una modalità di selezione della stessa in base alle
risorse disponibili;
-
se era stato definito un piano di formazione sia per la diagnosi che
per le modalità di comunicazione;
8
-
se era prevista una politica di screening con la somministrazione
di test specifici;
-
se era stato previsto un accompagnamento della donna al 2°
livello, cioè ai professionisti di salute mentale;
-
se erano stati definiti i tempi di attuazione del progetto e se si
riteneva che l‟Azienda era stata in grado di raccogliere gli indicatori
individuati dalla delibera e se ne aveva individuati altri.
Quello che è emerso, dividendo le Aziende delle 3 Aree Vaste, è la
grande disomogeneità tra le Aziende:
- Area Emilia Nord: solo un‟Azienda ha un progetto specifico;
- Area Vasta Centro Sud: tutte le Aziende dicono di avere un
progetto specifico;
- Area Vasta Romagna: tutte tranne una hanno un programma; in
molte province tuttavia risulta molta incertezza sui tempi di
attuazione del progetto.
Uno dei punti critici su cui lavorare è sicuramente il percorso specifico di
accompagnamento della donna, il passaggio al secondo livello.
La nuova commissione nascita che è stata nominata a luglio 2009, e che
a novembre comincerà le proprie attività, avrà l‟incarico di supportare le
Aziende Sanitarie al superamento delle criticità emerse da questa
indagine conoscitiva e alla realizzazione degli obiettivi della delibera. Il
gruppo di lavoro che verrà costituito in questa commissione nascita, oltre
che occuparsi di implementazione, si dovrà occupare di tutta la parte
della Formazione coinvolgendo il Dipartimento di Salute Mentale e i
Servizi Sociali per la preparazione comune, il riconoscimento alla
diagnosi dei disturbi emotivi, le adeguate modalità comunicative e la
presa in carico della coppia mamma e bambino.
9
Introduzione
Dott.ssa Maria Maffia Russo,
Direttore Programma di Psicologia Azienda USL Rimini
Vorrei prima di tutto ringraziare i colleghi di Vasta Romagna: abbiamo
avuto
il
privilegio
di
organizzare
questo
convegno,
momento
fondamentale per condividere pratiche ed esplicitare il contributo della
psicologia alla missione di cura specifica degli ospedali.
Introduco il tema mostrandovi come abbiamo cercato di rappresentare il
problema della nascita in tutte le sue sfaccettature, complicate e
complesse ma sempre suggestive, perché hanno a che fare proprio con
la vita. La cornice entro cui si sviluppa il contributo della psicologia nella
nostra Azienda è il Programma di Psicologia, che ha due compiti: uno di
committenza su quali sono i bisogni delle diverse articolazioni aziendali,
l'altro di governo clinico, per coniugare la complessità dei bisogni
psicologici con le varie aree del Sistema Sanitario -sociale, ospedaliera,
territoriale- mettendo in primo piano l'interdisciplinarietà della pratica,
perché i bisogni dei cittadini richiedono risposte integrate. Il Programma
di Psicologia è coordinato da un Comitato di Programma e organizzato
in sei aree: Infanzia, Adolescenza, Famiglia, Adulti, Ospedale, Salute
Organizzativa. La scelta per target dimostra la trasversalità del lavoro
degli psicologi e garantisce la coniugazione dell'interdisciplinarietà. Gli
strumenti del governo clinico attengono da una parte a rendere esplicita
la specificità della psicologia -costrutto teorico, metodologia, pratica
clinica- attraverso i Protocolli Localmente Concordati, dall'altra al
contributo della psicologia come collettore per il lavoro ad alta
complessità ed interdisciplinarietà, attraverso i Percorsi Integrati.
Vedremo in seguito il lavoro in rete sulla depressione post-partum.
Stiamo delineando un tentativo di sviluppare la professione sui due
aspetti: da una parte l'area della psicologia clinica e di comunità, che
attiene alle tematiche della promozione della salute, della prevenzione,
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della cura e della valutazione dell'efficacia dei trattamenti -fondamentale
per il Sistema Sanitario perché la riduzione delle risorse rende doveroso
mostrare quali sono gli interventi più efficaci e più indicati-, dall'altra
l'area dell'organizzazione dei servizi. Con la delibera 81 sulla sicurezza
nei luoghi di lavoro si fa specificatamente riferimento allo stress lavorocorrelato, quindi a quella quota di rischio sul lavoro che è collegata al
burnout:
stiamo
cercando
di
sviluppare
strumenti
e
paradigmi
interpretativi che possano contribuire a far sì che un'organizzazione,
oltre agli aspetti dell'efficacia e della produttività, possa occuparsi anche
del benessere di chi ci lavora. Sono necessari il monitoraggio e la
manutenzione dei sistemi complessi: il lavoro di rete è faticoso, per cui
va costruito, declinato e monitorato, richiede la definizione di strumenti
specifici, non può essere delegato a volontà e spontaneità. Nella nostra
esperienza abbiamo visto come l'attenzione alla manutenzione permette
di far funzionare la rete, in modo che sia un valore aggiunto per
operatori e utenti e non piuttosto fatica in più. La formazione è l'altro
aspetto importante: nel mestiere di cura oltre all'abilità tecnica c'è la
capacità di accoglienza e di ascolto dei bisogni e dei problemi delle
persone. Tutto questo va sempre coniugato con la ricerca. Questo è lo
sforzo che abbiamo fatto anche per la depressione post-partum.
All'inizio del lavoro sulla depressione post-partum sono emersi alcuni
punti di criticità che hanno imposto un cambiamento di costrutto teorico.
L'esperienza clinica mostra come la nosografia psichiatrica non sia utile
per innescare dei processi di cambiamento e di guarigione, perché la
psichiatria definisce in modo costruttivo il sintomo e non la persona.
Diverse riflessioni spostano l'attenzione sulla collocazione della
depressione post-partum nell'ambito degli eventi stressanti della vita. È
necessario svincolarsi dal modello di riferimento teorico e tecnico e
ascoltare ciò di cui ha bisogno il paziente in quel momento, spostando
l'attenzione dalla classificazione descrittiva alla multifattorialità di un
11
disagio che ha molte sfaccettature. Questo ci permette di creare un
continuum normalità-patologia in cui collocare la crisi, da affrontare
nell'ottica di un bilancio costante fra aree compromesse e risorse
presenti, perché solo l'attivazione di queste ultime può produrre
cambiamento. Nelle ipotesi diagnostiche è indispensabile tenere
presente gli aspetti descrittivi, funzionali, dimensionali e dinamici, legati
al cambiamento. Per coniugare tutti questi aspetti con la depressione
post-partum dobbiamo rendere operativo il modello biopsicosociale,
tenendo conto del contributo che ogni nodo della rete, sia del Sistema
Sanitario che esterno ad esso, può dare perché i fattori di vulnerabilità,
scatenanti, socio-culturali, di aggravamento e di mantenimento possano
essere modificati. A proposito di cultura del parto abbiamo invitato la
dott.ssa Claudia Pancino, storica, che ci mostrerà come la modificazione
della scena del parto ne abbia modificato la cultura stessa. Oggi
indubbiamente un elemento socio-culturale importante riguarda lo
stereotipo della maternità felice ed i modelli di perfezione: nell'incontro
con la donna che sviluppa un disagio vediamo come il modello di madre
esemplare sia connesso alla figura femminile oggi, e come ogni donna
abbia ancora la spinta a voler essere la migliore delle madri, delle mogli,
delle lavoratrici. Alcuni fattori scatenanti riguardano le pratiche cliniche
che avvengono prima, durante e dopo il parto, ad esempio gli aspetti
legati al cesareo inaspettato o alle patologie neonatali. Tra i fattori
aggravanti e di mantenimento abbiamo il ruolo del contesto familiare e
sociale. Se questo circuito è faticoso per la donna in uno o più punti c'è
un forte rischio di sviluppo di depressione post-partum, se si riesce
invece a lavorare in modo integrato possiamo parlare di “maternità
salutare” (Elvira Reale, 2007)1. I consultori familiari possono contribuire
arricchendo la rete di formazione e informazione, ad esempio
1 - Elvira Reale (2007). Prima della depressione. Manuale di prevenzione dedicato alle donne. Franco Angeli.
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introducendo i padri nei corsi di preparazione al parto, ma anche
riducendo lo stereotipo della maternità felice, insegnando anche a
“praticare la debolezza” (Elvira Reale, 2007). La psicologia si occupa di
prevenzione primaria e secondaria, per la ricaduta della depressione
post-partum sulla genitorialità, sulla madre e sul padre: cominciano ad
esserci studi interessanti anche sulla depressione paterna. In ambito
ospedaliero è necessario elicitare e valorizzare le competenze materne,
creando le condizioni perché la maternità sia una “maternità salutare”.
Tali riflessioni saranno approfondite nelle relazioni successive.
In questi 5 anni il Programma di Psicologia ha lavorato molto sulla rete.
Fra le tante teorizzazioni proposte da sociologia, psicologia di comunità,
economia, emergono alcune caratteristiche fondamentali per chi svolge
un mestiere di cura:
- autenticità: capacità di confronto autentico, nel tentativo di mostrare la
fatica e di essere sostegno reciproco; abbiamo sperimentato questi
aspetti nella rete integrata sulla violenza contro le donne, perché quando
ci troviamo di fronte a tematiche pregnanti abbiamo bisogno di “reti
calde”, fatte da persone che si parlano e non da persone che si
trasmettono solo fax;
- funzionalità: le buone pratiche devono essere diffuse e le attività che
coinvolgono molti punti della rete devono essere costantemente
monitorate;
- flessibilità: l'essere capaci di volta in volta di adeguarci ai bisogni della
donna.
C'è una cosa che ci serve in questo: il tempo. Questo è un grosso
problema per il Sistema Sanitario, perché spesso siamo catturati dalla
necessità di rispondere a procedure e richieste che sono importanti e
fondamentali, ma che a volte rischiano di saturare tutto il nostro tempo.
Credo che questa sia una cosa da cui dobbiamo cominciare a difenderci.
Un ultimo aspetto riguarda le popolazioni vulnerabili. I dati dell'ultimo
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Rapporto Nascita della Regione Emilia-Romagna e le esperienze della
pratica clinica ci sollecitano a pensare a progetti specifici per alcune
categorie di donne:
- le adolescenti: le gravidanze nelle minorenni nella nostra regione
rappresentano lo 0,3%;
- le donne con parti prematuri, che creano difficoltà nel neonato e
nella madre;
- le donne madri di bimbi malformati;
- le donne che subiscono violenza: questo è uno dei target che
dobbiamo inserire regolarmente nelle nostre pratiche quando
parliamo di depressione e di stress, perché vediamo nella nostra
esperienza come le donne che vivono una situazione di violenza e
non hanno opportunità di parlarne sviluppino disagio e sintomi;
- le donne immigrate: secondo il Rapporto Nascita il numero delle
donne extracomunitarie che hanno partorito sono passate dal 17 al
24%; su questo abbiamo ancora un grosso lavoro da fare, perché i
fattori di rischio, e quindi i segnali che possono indicarci come
leggerlo, sono ancora poco conosciuti, abbiamo lavorato molto
sulla interculturalità ma ancora poco sulla transculturalità.
L'ultimo tema evidenziato in modo chiaro nel Rapporto Nascita riguarda
il tema delle disuguaglianze: la cittadinanza straniera, la scolarità mediobassa e la condizione di non occupazione risultano significativamente
associate ad una serie di esiti negativi. Questo è ancora un target da
intercettare: consideriamo come su trentaseimila parti (dati regionali
2008) il 62% ha avuto come assistenza alla gravidanza un privato, il
30% il consultorio familiare, il 6% gli ambulatori specialistici ospedalieri.
Quel 30% seguito dai consultori ha a che fare con una buona parte delle
donne che hanno disuguaglianze nella salute. Su questo abbiamo
bisogno di approfondire le nostre tecniche e i nostri approcci, e quindi di
lavorare.
14
Parte I
“La donna che ha partorito non stia mai sola”
Dr.ssa Claudia Pancino
Dipartimento di storia – Università Trieste
Mi sono chiesta cosa potesse essere utile portare della storia delle
donne, del parto, ad un incontro sulla DPP e ho pensato potesse essere
opportuno far luce sulla diversità che io, come cittadina del presente,
vedo tra la società contemporanea e il passato.
Nei testi ostetrici e medici, tra il Cinquecento e l‟inizio Ottocento, non c‟è
traccia di questo disturbo femminile. In altri contesti, quelli che riportano i
processi per infanticidio, vengono menzionati casi di psicosi postpartum.
La prima riflessione è sul ruolo femminile, sul ruolo materno.
Il destino femminile era un destino di maternità. La ragazza era educata
per diventare madre, oggi non è più così. I passaggi di ruolo erano un
tempo molto più semplici a mio avviso, socialmente e individualmente
condivisi all‟interno di una comunità.
Una volta la vita biologica delle donne era scandita dalla presenza di riti,
non solo familiari bensì riti comunitari e sociali. Oggi quei riti sono
scomparsi; si può parlare di forme di ritualità nel presente, ma non
condivise. Quello che cambia sono inoltre i contesti di socialità in cui si
situano la gravidanza, il parto ed il puerperio.
Inizierò parlando di un rito che concludeva il puerperio: “il rito di
purificazione della puerpera”.
Quando ho iniziato a condurre questa ricerca, che mi era stata
commissionata da un gruppo di ricercatori in Francia, ho appreso che in
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francese la purificazione si chiama relevage, che viene dal verbo
relever, “rialzare”.
Riporto una citazione francese: “poiché la maturazione e la nascita del
bambino aveva sconvolto il suo corpo, la madre doveva essere rialzata
dal parto. La cerimonia di purificazione, il relevage, il rialzamento, la
sbarazzava dalla sporcizia del parto e segnava la sua reintegrazione
nello spazio comunitario”.
Anche in Italia e in molti Paesi di area cattolica d‟Europa, 40 giorni dopo
il parto la donna si recava alla chiesa per ricevere la benedizione. Era
questa la prima uscita di casa che, dopo il battesimo del figlio, sanciva la
fine di un periodo, il puerperio, regolato da comportamenti diversi,
codificati nelle diverse tradizioni locali. Tali comportamenti erano
accomunati da molti aspetti: la separazione dalla vita di tutti i giorni caratterizzata dal non uscire di casa-, l‟astensione dai sacramenti, dai
lavori domestici, dai rapporti sessuali con il marito. Inoltre la puerpera
seguiva nei 40 giorni una dieta particolare che aveva spesso un
importante significato simbolico.
In alcune tradizioni le era vietato pettinarsi, cambiarsi d‟abito, cambiare
la biancheria del letto (questo almeno per 8 giorni dopo il parto). Altre
tradizioni volevano poi che la puerpera non venisse mai lasciata sola e
che fosse in compagnia almeno di un‟altra donna (questo per 40 giorni
post-partum). Tantochè, in alcune zone, venivano regolamentate le visite
alla nuova mamma, non raramente consentite alle sole donne e questa
incisione dal titolo “Visita alla puerpera” ne è un esempio.
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Spesso anche i regali potevano essere fatti solo da donne.
Passati i 40 giorni, la donna si recava dunque in chiesa per ricevere la
benedizione, secondo la dizione liturgica, per purificarsi, secondo il
linguaggio comune in molti paesi e lingue, per il relevage in Francia: con
un cero bianco in mano, fermandosi sulla soglia della chiesa, la donna si
recava a ricevere la benedizione del sacerdote che la accompagnava
all‟altare recitando il salmo 23 che è quello che recita – “il Signore è il
mio Pastore e io non manco di nulla”. Una volta benedetta e purificata la
donna tornava alla sua casa e al suo ruolo. In alcuni luoghi l‟attendeva
una festa, talvolta una festa di sole donne.
In molte tradizioni, per questo motivo, la donna non partecipava alla
festa del battesimo del figlio (il bambino veniva battezzato prima di 40
giorni).
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Questo quadro è la “Purificazione della Vergine” di Guido Reni
Quest‟opera invece è la “Candelora” di Berry
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Quelli che descrivo sono tutti segni di un cambiamento di ruolo che
veniva percepito in modo preciso e che veniva sancito da questo rito.
Benché ne parlino molte fonti storiche, anche molto più antiche, molte
tradizioni sono state raccolte dai folcloristi ottocenteschi in un momento
in cui le riforme mediche e sociali avrebbero via via scalfito, fino a quasi
dissolvere, la cultura tradizionale del parto.
Tuttavia, il rito di purificazione continua ad essere, fino almeno a metà
degli anni ‟60 del „900, un momento rituale ampiamente diffuso nelle
zone rurali e nelle città d‟Europa cattolica. Così ne parlano due studiosi
cattolici italiani nel 1970: “Quella tanta inibizione che tanta superstizione
conserva anche ai nostri tempi e che tuttavia viene mantenuta,
prevedeva che la puerpera, recatasi in chiesa con un cero in mano, 40
giorni dopo il parto se ne uscisse dopo essere stata purificata dalla
benedizione sacerdotale con l’acqua santa”.
I documenti sinodali (che venivano scritti dai parroci ai vescovi per
render conto della presenza di superstizioni nella diocesi di loro
competenza) parlano di caratteristiche diverse in alcune zone. Ad
esempio in Puglia la donna doveva uscire a ritroso dalla chiesa, a volte
cambiandosi le scarpe.
Sempre parte della superstizione era il fatto che la donna temeva di
morire e non si accostava ai sacramenti prima di essere purificata
benché, da una ricerca approfondita, risulti che non ci sia mai stato
nessun divieto da parte delle gerarchie in questo senso. Addirittura un
Papa, già nel IX secolo, il Papa Nicola I, aveva proclamato che nulla
vietava alla puerpera di recarsi in chiesa ed accostarsi ai sacramenti.
In altre tradizioni europee, non molto diverse da quelle italiane, si trova il
bacio della puerpera alla pietra dell‟altare (in Francia) o la presenza di
feste che prevedevano anche riti in un certo senso magici a conclusione
della cerimonia di purificazione che, al di là del significato religioso,
19
aveva il compito di togliere la donna da una condizione di impurità e di
pericolo rispetto possibili attacchi da parte di forze maligne (diavoli e
streghe) e di reinserirla nella normale vita quotidiana.
I concetti di purezza e purificazione possono avere significati differenti
nei diversi contesti socioculturali e religiosi. Interpretazioni religiose,
storiche, sociologiche ma anche psicoanalitiche possono essere tutte
evocate dando più o meno risalto all‟uno o all‟altro degli elementi che
caratterizza la particolarità del post parto e della sua conclusione.
Sottolineo che la nascita veniva vissuta come un evento con elevate
potenzialità disgreganti, uno studioso parla addirittura di crisi di tutta la
vita del gruppo oltre che della vita individuale. Un momento in cui i timori
e le inquietudini microsociali si condensavano intorno al momento del
parto.
Infine, dal punto di vista sociologico, la funzione della segregazione del
puerperio tradizionale è quella di garantire alla donna riposo, protezione,
aiuto, al fine di accompagnarla in un passaggio di ruolo e di riammetterla
in comunità attraverso una serie di riti che segnano, tra l‟altro, la
conclusione di un periodo di dipendenza e di bisogno.
Un‟ultima riflessione sul puerperio e sui riti di purificazione: la madre
nella tradizione storica era attesa, dopo il parto, da un
periodo di
protezione, cura che comprendeva la necessità di riprendersi dalle
fatiche del parto, l‟inizio dell‟allattamento, la cessazione delle perdite
post parto. Il puerperio, generalmente di 40 giorni, poteva avere durata
diversa nelle diverse tradizioni; era presente, nella consapevolezza di un
tempo, che potesse essere anche un periodo pericoloso: un proverbio
veneziano di fine „800 dice “la donna da parto per 40 g ha un piede nella
fossa”. Uno simile che si trova dalla Palestina a tutto il Nord Africa viene
riportato da una studiosa parigina dell‟area Magrebina: “la donna che ha
partorito ha per 40 giorni la fossa aperta”.
20
Un altro proverbio veneziano, per quanto riguarda la dieta della
puerpera, recita “la donna deve mangiare molto perché fora un puteo
dentro un veteo”- fuori il bambino deve rientrare un vitello. Quest‟ultimo
proverbio sottolinea la preoccupazione di riempire il vuoto che si è
creato nel ventre, con l‟abbondanza del cibo. Lo si ritrova anche in
Umbria “l‟utero vuoto ha bisogno riempirsi”. Si può dire che lo
svuotamento è sentito come minaccioso per l‟equilibrio individuale: il
rischio di malattie, emorragie, la temuta febbre puerperale, lo si fonde
anche con la paura che forze maligne possano recare danno alla donna.
L‟italiano antico, per indicare la puerpera, usa anche il termina
impagnolata: in alcune regioni, tale termine sta ad indicare il primo
pranzo rituale della puerpera, oppure il piatto su cui veniva servito il
primo piatto alla puerpera. La parola deriverebbe da paglia e, secondo la
mia ipotesi, si riferisce al fatto che era d‟uso chiudere con la paglia le
fessure dei luoghi in cui si trovava la puerpera per non fare entrare spiriti
maligni che potessero danneggiare la donna o il bambino. A Venezia si
temeva l‟arrivo della “strega pagana” che avrebbe potuto stregare la
donna o il bambino.
La donna, superando il parto, ha compiuto una transazione complessa
tra una condizione fisiologica universale ad un linguaggio particolare,
diverso a seconda dei contesti culturali, in cui ha sfiorato la morte per
dare la vita, in cui si è nuovamente compiuto il mistero dell‟umana
generazione, ha partorito il figlio nei liquidi umorali, nel sangue e nel
dolore. Per questo la donna era ritenuta impura dal suo stesso sangue,
oppure perché aveva partecipato in qualche modo alla sacralità della
creazione oppure perché doveva rientrare da un‟avventura di sangue,
sofferenza, grida, di dominio di forze naturali incontrollabili al moderato
governo della vita familiare. Solo un rito poteva sancire il passaggio da
una sfera di un avvenimento ai confini tra natura e società, concludere la
21
violenta esperienza di generazione di un figlio e far rientrare la donna nel
mondo delle leggi degli uomini.
Il rito sociale di reintroduzione della donna nei ritmi della vita quotidiana
avveniva in un contesto di socialità, in un contesto che era quello in cui
la donna aveva partorito.
la “Nascita di S. Anna” del Ghirlandaio
22
Possono essere utili ad ulteriore comprensione anche le
rappresentazioni del feto e dell‟attesa.
23
Nei testi scientifici tra il Cinquecento e l‟Ottocento l‟immagine del feto
era un‟immagine fantastica o schematica, anche se le levatrici sapevano
già come era fatto un feto.
Oggi è tutto profondamente cambiato.
La gravidanza si svolgeva in un contesto di paura che si poteva dire,
mentre oggi questa è negata, le paure sono negate: “non dire così”.
Il bambino rimaneva qualcosa di nascosto fino al parto, alla fine dell‟800
viene rappresentato dai medici come qualcosa di avulso dal contesto del
corpo della madre e questo è l‟inizio della sua personificazione precoce.
La madre oggi vede immagini ecografiche, le vengono comunicati dei
dati in termini di cm, le viene detto “questo è tuo figlio”.
Può essere facile allora che non riconosca il bambino che si ritroverà tra
le braccia, perchè
diverso da quell‟ essere idolatrato attraverso le
immagini mediche.
La madre che scopre oggi con paura e timore di essere incinta viene
invitata a negare i sentimenti e molte persone hanno da dire qualcosa su
quello che avviene nel suo corpo.
Un tempo, il bambino nel ventre veniva rappresentato come qualcosa di
minuscolo che non si capiva cosa fosse, che la madre doveva
accogliere accompagnata dalla comunità di cui faceva parte.
24
“Depressione post-partum: l’approccio
psicosociale”
Dr.ssa Patrizia Romito
Dipartimento di Psicologia – Università Trieste
Io mi situo dal punto di vista del ricercatore; insegno all‟università, faccio
ricerca e quindi ho più prospettiva di questa che non del mondo clinico,
per cui parto da tale approccio.
La depressione post-partum (DPP) è una forma depressiva che sta in
qualche modo tra due fenomeni molto diversi: il cosiddetto baby blues
dei primi giorni dopo la nascita, considerato normale e molto frequente,
e la psicosi che riguarda una minoranza di donne e che ha una
manifestazione violenta e molto inquietante.
La frequenza della DPP varia moltissimo, sia perché le ricerche si
svolgono in Paesi diversi e lo stato di benessere/malessere delle donne
è differente nei vari paesi e nei vari momenti, sia perchè gli strumenti di
valutazione della DPP non sono sempre gli stessi. In letteratura c‟è
accordo di frequenza della depressione intorno al 10-15% nei primi mesi
dopo il parto.
Si sa ancora meno, di preciso, sulla durata della depressione.
I sintomi della DPP, riportati nella letteratura psichiatrica, corrispondono
ai sintomi della depressione in generale; se la depressione in generale è
caratterizzata da mancanza di interesse, piacere e distacco dagli
interessi quotidiani, nel caso della donna che ha avuto un bambino si
concretizza anche nel non provare interesse per il bambino, nel temere
di fargli male e di farsi del male.
Gli
orientamenti
principali
delle
ricerche
in
letteratura
sono:
l‟orientamento biologico, l‟orientamento psicosociale e ricerche di
orientamento misto, non specificato, in cui i ricercatori raccolgono
informazioni in vari ambiti (biologico, psicologico, psicodinamico) senza
25
che ci sia una chiara impostazione teorica.
Fermiamoci un attimo sul modello biologico perché c‟è una grossa
discrepanza tra dati di ricerca scientifici e quanto trasmesso dal senso
comune. Dal punto di vista scientifico, senza negare il ruolo della
biologia nella DPP, non ci sono prove evidenti che ci sia uno squilibrio
ormonale legato alla depressione. Le prove sono inconsistenti e
contraddittorie; tuttavia, il messaggio che viene trasmesso anche nei libri
e nei manuali per future mamme è che lo squilibrio ormonale sia
centrale nel determinare lo stato psicologico delle donne. In realtà forse
una risposta indiretta, molto chiara e critica alla predominanza del
modello ormonale, ci viene dalle ricerche comparative fatte in altri Paesi
che, utilizzando lo stesso protocollo e gli stessi strumenti, dimostrano
che le cause della depressione possono essere molto diverse. Questo ci
riporta al contesto e ci fa dire che certi contesti sono più o meno
favorevoli a una maternità salutare.
Mi permetto di usare come filo conduttore e di riportare le ricerche fatte
durante la mia lunga esperienza. La prima, del 1985, (che è poi stata la
mia tesi di dottorato) è una piccola ricerca dal punto di vista del
campione; la seconda è una ricerca più ampia svolta in Friuli Venezia
Giulia nel 1994-1997; la terza è la più ampia ed è stata effettuata a
Trieste.
Orientamento psicosociale per me è soprattutto una grande attenzione
al contesto. Queste sono tutte ricerche longitudinali, le donne sono state
seguite quindi a distanza nel tempo.
Dalla prima ricerca ho imparato l‟importanza di porre attenzione alla vita
quotidiana. Ero neolaureata, ho fatto un lavoro di rassegna della
letteratura presente, che allora era soprattutto psichiatrica, in cui la DPP
era tradotta nel linguaggio della ricerca: la diagnosi, i soggetti, le variabili
ecc. L‟esperienza delle donne scompariva dentro questo linguaggio. Ho
fatto molte interviste a casa delle donne e questo mi ha permesso di
cogliere qualcosa della loro realtà quotidiana che sicuramente dagli
26
articoli non poteva emergere.
La ricerca successiva, svolta in Friuli, è una ricerca longitudinale
importante perché ampia dal punto di vista del campione. Abbiamo
seguito le donne intervistate subito dopo il parto, 5 mesi, 1 anno e 3 anni
dopo il parto. Questa ricerca, fatta successivamente anche in altri Paesi,
ci ha permesso di dire che i tassi di depressione erano diversi nei diversi
Paesi.
I fattori emersi associati alla depressione sono quelli che riportano anche
altri ricercatori, nulla di sorprendente: l‟età materna è avanzata - a
Trieste, forse ancor più che nel resto d‟Italia, si fanno pochi figli ed in età
avanzata: si potrebbe ipotizzare il tasso di infertilità come fattore di
rischio
-,
problemi
socioeconomici,
disoccupazione
paterna,
insoddisfazione della donna relativa allo status lavorativo, mancanza di
sostegno sociale, gravidanza non desiderata, il bambino ricoverato,
relazione di coppia non buona, conflitti con il partner nella divisione dei
lavori domestici e nelle cure al bambino, depressioni precedenti alla
gravidanza. Quest‟ultimo è un dato che tutti trovano, un fattore di rischio
importante: l‟avere avuto una depressione in gravidanza o prima. Vale la
pena fermarsi un attimo perché viene dato per scontato si tratti di un
indicatore biologico mentre invece non lo sappiamo, sappiamo solo che
la donna era già depressa prima, forse era depressa per gli stessi motivi
contestuali (povertà, conflittualità di coppia ecc). Si tratta di un indicatore
sicuramente forte ma la cui interpretazione va meditata.
Vorrei ricordare che nel corso di questa ricerca non è stato introdotto
l‟indicatore della violenza all‟interno della relazione di coppia, quindi non
sono state fatte alla donna domande in proposito.
27
Fattori associati alla depressione un anno dopo il parto
GHQ>5
Problemi economici
%
No
8
Sì
29 p <0.001
Partner disoccupato
No
Sì
Relazione di coppia
–Molto buona
–Buona
–Abbastanza buona
–Non buona
%
8
23
%
4
9
16
26
p <0.02
p <0.0001
Nello specifico, la tabella sopra mostra come incidano i fattori associati
alla depressione: avere un partner disoccupato fa passare, ad esempio,
il tasso di depressione delle donne dall‟8% al 23%; l‟incremento avviene
anche per problemi economici e in corrispondenza di una non buona
relazione di coppia.
Abbiamo successivamente confrontato i dati oggettivi ai nostri risultati
sulle associazioni tra fattori
di
rischio e depressione con le
interpretazioni che le donne davano. Alle donne che riportavano
sentimenti depressivi si chiedeva : “perché secondo te?”
28
La depressione post-partum : risultati un anno dopo il parto
La depressione : confronto tra
risultati dell’analisi statistica e attribuzioni delle madri
Principali fattori di rischio
madri
Spiegazioni date delle
Cattiva relazione di coppia (RR 5)
(26%)
Problemi economici (RR 3)
(18%)
Assenza di un confidente (RR 2.2)
(12%)
Insoddisfazione prof. (RR 2.2)
(13%)
Cattiva salute bambino (RR 2)
(11%)
Sovraccarico, inadeguatezza
Stanchezza, stress
Insoddisfazione prof.
Prob.relazionali(eccetto partner)
Bambino
Partner
(9%)
Ormoni/carattere
(9%)
Età > 35 anni (RR 3)
(9%)
Depressione precedente (RR 2.6)
(3%)
Solitudine
Lutti
Problemi economici
(2%)
Non so, altro
(5)
Dai dati sui fattori di rischio emerge come, ad esempio, avere una
cattiva relazione di coppia moltiplichi per cinque il rischio di essere
depressa, i problemi economici per tre e così via.
È interessante che le spiegazioni date dalle mamme rispecchiano
tutt‟altra gerarchia: 1)sovraccarico, inadeguatezza; 2) stanchezza-stress;
3)insoddisfazione professionale etc.
Vedete che i problemi relazionali con il partner sono citati solo dal 9%
delle donne, mentre è il fattore di rischio principale secondo le nostre
analisi statistiche. Anche i problemi economici vengono raramente citati
dalle donne come causa di sofferenza; invece, obbiettivamente, i dati ci
dicono che sono molto influenti. I risultati ci mostrano l’importanza dei
fattori legati al contesto sociale e familiare; le madri invece attribuiscono
29
la depressione all’inadeguatezza personale. I dati emersi nelle ricerche
relative alla vita quotidiana suggeriscono che la vita delle donne che
hanno avuto un bambino non è sempre facilissima, il carico domestico è
prevalentemente loro e quando ritornano al lavoro, una parte di donne
non può più riprendere l‟attività professionale a causa dei contratti a
breve termine e dei licenziamenti. Spesso subentrano maggiori problemi
di salute con costi non indifferenti, soprattutto per quanto riguarda la
relazione di coppia.
La transizione alla maternità: i costi per le donne
Peggioramento della
relazione di coppia
Grav.
12 mesi pp
%
Relazione non buona
22
Conflitti lavoro domestico
43
Conflitti cure al bambino
44
Partner come confidente
50
5 mesi pp
%
%
6
14
17
20
-
19
-
71
(Romito e Saurel-Cubizolles, 1997)
i nostri dati Sono in linea con quelli internazionali, e abbastanza
inquietanti: ci dicono ad esempio che le donne che definiscono la loro
relazione non buona passano dal 6% in gravidanza al 22% ad un anno
dal parto. Quelle che citano il partner come confidente passano dal 71%
cinque mesi dopo il parto al 50% un anno dopo il parto: quindi dalla
nascita ai 12 mesi o addirittura ai 3 anni dal parto (ultimo questionario) si
registra maggiore difficoltà nella vita delle donne (scollamento rispetto a
30
quanto riportato in guide e manuali divulgativi).
Nel corso dell‟ultimo studio, realizzato a Trieste nel 2004, abbiamo
indagato la relazione tra depressione e violenza contro le donne, prima
e dopo il parto. Il campione è un po‟ più piccolo, intervistato subito dopo
il parto e a distanza di 7 mesi da questo.
Le
intervistatrici erano state formate anche per rispondere a
problematiche di violenza; lo strumento usato per l‟indagine è diverso
dai precedenti e da questo dipende il tasso di depressione più basso,
tuttavia i fattori associati sono molto simili ai precedenti: di nuovo
problemi economici, il bambino ricoverato, insoddisfazione rispetto
all‟attività lavorativa. Qui troviamo dati chiari: le donne più infelici sono
quelle che vorrebbero lavorare mentre invece stanno a casa e devono
starci o perché hanno perso il lavoro, o perché credono che per il
bambino sia giusto stare a casa. Tutti gli indicatori della relazione di
coppia considerati associati alla depressione: disaccordo della coppia
sulla
gravidanza,
lavoriamo/non
lavoriamo,
disaccordo
sulla
contraccezione prima del parto, disaccordo sulla ripresa dei rapporti
sessuali nel dopo parto (“l’ho fatto ma avrei aspettato ancora un po’”) e
gli indicatori di violenza.
Fattori associati alla depressione 7 mesi dopo il parto
-
Problemi economici
Bambino ricoverato
Insoddisfazione rispetto all‟attività lavorativa
Ansia e depressione precedenti
Relazione di coppia
- Disaccordo nella coppia sulla gravidanza
- Disaccordo nella coppia sulla contraccezione
- Non si sentiva pronta quando ha ripreso i rapporti sessuali
- Relazione di coppia non buona
- Il padre gioca poco col bambino
Violenza
- Violenza psicologica e fisica dal partner
- Violenza psicologica e fisica da altri familiari
- Violenze nell‟infanzia
31
La violenza del partner ma anche degli altri familiari, fisica e psicologica
(soprattutto psicologica per i familiari), risulta in associazione molto forte
con la depressione: dai dati, in particolare la presenza di violenza
moltiplica per 13 il rischio di depressione.
In sintesi, alla domanda -Cosa rende le madri depresse?- possiamo
rispondere: sicuramente abusi e violenze (fattore molto importante che
non consideravamo perché non lo chiedevamo), relazione di coppia non
soddisfacente per vari motivi, insoddisfazione rispetto al ruolo
professionale, problemi di salute del bambino e problemi economici che
ritornano in tutte le ricerche e che sono trascurati nella pratica clinica.
Le ricerche in gravidanza studiano da meno tempo il ruolo della
violenza; sappiamo che la vita di molte donne è attraversata da violenza
e che questo è un fattore di rischio importante per la depressione con
ricadute sui bambini: la possibile presenza di violenza dovrebbe essere
sempre indagata.
In generale, posso suggerire alcuni segnali di allerta rispetto al rischio di
sviluppare depressione dopo il parto per il personale socio-sanitario:
La depressione dopo il parto
Segnali di “allerta” per il personale socio-sanitario
-
Depressione in gravidanza, prima della gravidanza
Ricoveri e congedi malattia in gravidanza
Non aver neanche provato ad allattare (ma attenzione al contesto culturale
ed ospedaliero!)
Valutare come “cattiva” la propria salute e quella del bambino
Grande stanchezza alla dimissione
Desiderio di restare qualche giorno di più in ospedale
Indicatori di disaccordo con il partner (gravidanza, contraccezione,
sessualità), che possono emergere anche durante la visita ginecologica.
32
Ancora due considerazioni prima di concludere. La prima è la citazione
tipica di tutti gli articoli di ricerca internazionali sulla DPP: “la DPP è un
problema di salute pubblica a causa degli effetti sullo sviluppo cognitivo
e sociale del bambino” – in cui la donna non compare affatto.
Il messaggio che arriva ai genitori è piuttosto che la DPP è un problema
per lo sviluppo del bambino. È bene dire che ricerche su DPP e sviluppo
del bambino cominciano ad essere più dettagliate e ci danno un
messaggio più articolato. Sicuramente una mamma depressa è
problematica, non potrà occuparsi con la stessa gioia e disponibilità del
suo bambino. Però il ruolo del materno in queste ricerche è
sproporzionato: occorre considerare anche il padre, i nonni, il contesto
sociale. Recenti ricerche inoltre dimostrano come anche la depressione
paterna può incidere sul benessere del bambino.
L‟ultima
considerazione
riguarda
la
prospettiva
ecologica
(Bronfenbrenner), secondo la quale le persone stanno dentro a dei
microsistemi, ma anche a dei mesosistemi, macrosistemi ecc. (la cultura
della nostra regione, del nostro Paese).
La prospettiva ecologica: gli studi multilivello
Cosa influisce sulla depressione delle madri di bambini piccoli?
Fattori di rischio di depressione individuali :
-
giovane età, non-bianche, non sposate, educazione bassa, scarso reddito
Fattori di rischio di depressione relativi alla posizione delle donne a livello dello Stato :
-
Partecipazione politica delle donne
Autonomia economica delle donne
Lavoro e guadagni
Diritti riproduttivi
Inoltre: Divario tra ricchi e poveri
Articolazione tra fattori individuali e fattori contestuali
Women‟s status and depressive symptoms, Chen et al., Social Science & Medicine, 2005
E‟ veramente interessante considerare che le ultime ricerche ci
permettono di cogliere l‟impatto che hanno questi diversi livelli sul
benessere delle mamme in particolare.
33
“Accompagnare la genitorialità nel percorso nascita:
ricerca-intervento sui fattori di rischio e protezione”
Prof.ssa Fiorella Monti
Dipartimento di Psicologia – Università di Bologna
Io presento i dati di una ricerca, promossa dal Centro Studi per il
benessere e la salute del bambino e dell‟adolescente di Forlì, una
ricerca a cui lavoriamo in molti: i ricercatori della Facoltà di Psicologia di
Bologna, dell‟AUSL di Forlì, dell‟ospedale, della SER.IN.AR, dei comuni
e dei servizi sociali. È una ricerca che coinvolge necessariamente,
perchè ha bisogno, dei collaboratori dell‟Igiene e della Salute Mentale e
dei collaboratori dell‟ospedale, quali ostetriche e medici.
Introduco con alcuni aspetti introduttivi di cornice, già trattati in
precedenza, rispetto alla complessità della maternità, non solo di quella
patologica:
- Si diceva che la maternità si configura come crisi di tutta la vita del
gruppo comunitario e sociale nonostante l‟apporto della tecnica
scientifica, come ha già riferito il Direttore Sanitario.
- E‟ importante sostenere la genitorialità, offrendo spazio alla tecnica,
ma anche “ambientale” ai genitori.
- La maternità va considerata anche sul piano psichico e non solo
come un evento da monitorare.
- E‟ importante dedicare tempo e pazienza all‟ascolto: è necessario
raccogliere e comprendere la soggettività dei genitori.
- Occorre considerare la gravidanza come crisi evolutiva complessa,
portatrice di molte ansie e paure.
- Il lavoro della maternità implica un grande rimaneggiamento degli
34
investimenti, un lavoro che avviene prima della nascita del bambino
nello spazio mentale dei genitori; della madre in particolare, avviene
rispetto alla rappresentazione che ha di sé come madre e del futuro
bambino; successivamente riguarderà il confronto fra il bambino reale
e quello che lei ha sognato, immaginato, anche in base alla propria
storia personale.
- La depressione può essere intesa come perturbazione della funzione
materna, che mette a rischio non solo le interazioni precoci e lo
sviluppo del bambino, ma va anche ad alterare gravemente la
struttura dell‟identità della donna.
Gli effetti della DPP sono molteplici: sul partner, sulla relazione di
coppia, sulle dinamiche familiari, sulla donna in quanto donna e sulla
donna in quanto madre. Gli effetti, tramite la funzione materna,
influenzano le interazioni precoci e lo sviluppo del bambino come
sostengono ricerche in ambito internazionale.
Quindi la madre depressa è una madre presente soprattutto fisicamente:
in gravidanza, la donna con depressione non riesce a fare quel lavoro
detto “il lavoro a maglia” (Soulé, ), cioè a pensare e a progettare il suo
bambino; successivamente sarà quindi una madre presente fisicamente
ma assente psicologicamente.
Rispetto al discorso della prevenzione, il periodo a rischio d‟esordio è
già in gravidanza e perdura 12 mesi successivi al parto. La
responsabilità di tutti gli operatori è quella di comprendere quali sono i
fattori di protezione e di rischio e lavorare su questo per la prevenzione
primaria e secondaria.
L‟importanza degli eventi di vita negativi spesso non viene considerata
abbastanza: anche situazioni avverse che si trovano nella storia della
donna e nel vissuto soggettivo del passato, possono continuare a
pesare sulle sue spalle.
35
Ricerca-intervento sui fattori di rischio e protezione
Dal fatto che ha la metodologia di una ricerca-intervento, deriva la sua
complessità ma anche aspetti di positività secondo me. La ricerca è
stata preceduta da un iniziale periodo di formazione e di incontri regolari
con gli operatori coinvolti.
La prima fase della ricerca consisteva nel reclutamento delle donne
durante il terzo trimestre di gravidanza. Gli psicologi si sono presentati
ad illustrare la ricerca, progetto di intervento che veniva già introdotto e
comunicato dagli operatori dei gruppi nascita, medici.
Sono stati utilizzati diversi strumenti di valutazione: scale sull‟ansia,
scala sulla depressione (EPDS), scala sul supporto sociale, scala sugli
eventi di vita e scala sull‟autostima.
Le donne che accettavano di partecipare alla ricerca – che sono state
348-, compilavano i questionari durante il corso di preparazione alla
nascita o in ambulatorio; successivamente venivano ricontattate dalle
psicologhe per la comunicazione delle valutazioni. Se si individuavano
situazioni di rischio psicosociale o una sintomatologia depressiva, alle
donne venivano offerti percorsi idonei. All‟individuazione del rischio
psicosociale si effettuava l‟invio al Centro Famiglia; in presenza di una
sintomatologia depressiva/ansiosa le donne venivano invece inviate alla
psicologa dell‟ospedale. Qui la psicologa effettuava un colloquio e la
somministrazione
dell‟intervista SCID, ai fini diagnosi. Se veniva
confermata la rilevanza clinica della sintomatologia depressiva, la
psicologa ospedaliera continuava a vedere la donna; in caso di
particolare gravità avveniva il raccordo ai Centri di Salute Mentale.
Nel caso non fosse individuata dalla psicologa la necessità di supporto,
veniva comunque comunicato all‟ostetrica di prestare maggiore
attenzione durante il travaglio e il parto alla donna. Successivamente,
verso il terzo mese dopo il parto, le donne sono state nuovamente
ricontattate e, per 200 di queste, si è ripetuta la precedente procedura.
In caso di bisogno, è stato offerto loro un aiuto anche dopo il parto.
36
L‟ultimo step della ricerca avveniva 11 mesi dopo il parto, vi hanno
partecipato 62 donne.
I dati generali di maggiore interesse sono:
- sul totale delle 348 donne, la percentuale di parti cesarei è pari al
23%;
- 218 hanno ricevuto almeno una visita domiciliare;
- 66 donne sono state inviate al Centro Famiglia;
- il ceto sociale/culturale prevalente è medio-alto, come accade in
genere all‟interno dei corsi di preparazione al parto. Questo solleva la
questione di come poter intercettare altri profili.
Per quanto riguarda la DPP, il 36,6% delle donne in gravidanza ha
indicatori di rischio; la percentuale scende al 25% dopo il parto; questo ci
suggerisce l‟utilità di un intervento preventivo in gravidanza.
La sintomatologia depressiva in gravidanza è maggiore rispetto al post
parto e quindi l‟importanza di intervenire anche prima del parto.
Abbiamo rilevato che allo stato depressivo è sempre associato un livello
d‟ansia, anche se in generale non patologico. In particolare l‟ansia
aumenta in maniera proporzionale alla depressione e viceversa. Questo
può suggerire che, a livelli più significativi di depressione, si associ una
diminuzione progressiva di autostima, in virtù della rappresentazione
cognitivo-percettiva che la donna ha di se stessa.
Maggiori livelli di depressione sono anche correlati ad una maggiore
incidenza di eventi negativi, quali: lutti, precedenti aborti, morti pre e
perinatali. Le donne con depressione, inoltre, hanno, rispetto alle donne
non depresse, maggiore percezione che gli eventi negativi del passato
abbiano ancora un effetto sull‟attualità.
Le donne con depressione si sentono anche meno supportate a livello
sociale delle altre.
La sintomatologia depressiva, sia lieve che più severa, si associa ad un
vissuto psicologico del parto più difficile: le donne hanno un maggior
numero di contatti telefonici dopo il parto e richiedono più visite
37
domiciliari di quelle non depresse; questo può suggerire un maggiore
bisogno di aiuto.
Di seguito alcune riflessioni conclusive:
- I disturbi depressivi e ansiosi sono manifestazioni ugualmente
rilevanti di disagio nel preparto che necessitano di essere
adeguatamente monitorate.
- In gravidanza si evidenzia comunque una prevalenza del disturbo
depressivo rispetto al disturbo d‟ansia (cfr. De Tichey et al., 2005;
Manzano et al., 1997).
- Si evidenzia inoltre, come confermato in letteratura, una maggiore
frequenza del disturbo depressivo in gravidanza rispetto al post
partum.
- Fra i fattori di rischio, ansia di stato e di tratto, autostima, eventi di
vita
significativi
e
rischio
sociale
risultano
associati
alla
depressione in gravidanza confermando i dati attuali della
letteratura.
- L‟assessment prenatale, costituito dall‟utilizzo congiunto del
colloquio psicologico e strumenti self-report, ha consentito di
favorire l‟individuazione delle donne a rischio e ridurre la
sintomatologia.
L‟intervento psicologico, declinatosi attraverso un numero predefinito di
colloqui (da 1 a 5), ha apportato benefici in termini di aumento
dell‟autostima
e
diminuzione
clinicamente
significativa
nella
sintomatologia depressiva.
Il colloquio come strumento terapeutico di prevenzione e di cura
psicologica è di competenza dello psicologo, ma il vissuto soggettivo dei
genitori è competenza di tutti, non solo del personale medico e
paramedico: “non sono i curanti che fanno la cura ma la società”.
38
“Dai piccolini alle mamme: l’intervento psicologico
nella nascita prematura”
Dr.ssa Elena Bravi, Psicologa -Ospedale Verona
Prima di tutto grazie per l‟invito.
Io vi parlerò dell‟intervento psicologico nell‟area della prematurità:
un‟area di inizio della vita molto difficile e particolare, un‟esistenza un po‟
ai limiti dell‟impossibile. Quanto abbiamo già ribadito sulla nascita
fisiologica è utile per introdurre il discorso di quando una nascita è
gravemente prematura oppure patologica.
Io, in quanto psicologa, lavoro come consulente in una Terapia Intensiva
che è neonatale e pediatrica. Oggi parlerò solo dell‟aspetto prenatale,
degli aspetti legati alla prematurità, e non mi addentrerò nella tematica
delle altre malformazioni neonatali, delle malattie metaboliche, delle
gravi patologie cognitive.
Di che cosa parliamo quando parliamo della nascita prematura?
Vediamo chi sono i principali attori di questa vicenda.
Ci sono i genitori. Abbiamo sentito parlare oggi del bambino immaginario
e del bambino reale. Il bambino immaginario è il bambino “San Gemini”
che noi vediamo nella pubblicità di quell‟acqua. Il bambino reale, quando
si tratta di una grave prematurità, somiglia a questi bambini che vediamo
nelle foto (immagini mostrate ma non pubblicabili per vincolo di privacy).
Quindi immaginate che scollamento c‟è tra immaginario e reale in una
madre che ha una gravidanza gravemente prematura. La nascita non è
prematura solo perché avviene prima del tempo, e talvolta molto prima
del tempo: nella prematurità noi dobbiamo distinguere il prematuro di 32
settimane che, per i centri di terapia prenatale, è un prematuro non
preoccupante anche se la madre può avere numerose ansie, dal bimbo
39
prematuro di 25 settimane, talvolta 24 o 23; dato che si alzano sempre di
più le possibilità di sopravvivenza ad epoche gestazionali sempre più
basse.
Quindi la nascita prematura, da un punto di vista psicologico, è una
gravidanza interrotta, un progetto non concluso, tanto che nei racconti
dei genitori si esprimono vissuti di furto ”mi è stato portato via questo
bambino”, “non l’ho più visto”, infatti, a differenza della nascita fisiologica
- dove c‟è un‟immediata ricongiunzione tra la mamma e il bambino - la
nascita prematura avviene quasi sempre da parto cesareo: il bambino
viene
visitato
dal
neonatologo,
trasferito
immediatamente
in
neonatologia e messo in incubatrice, per cui il contatto con la madre non
esiste. Egli non può essere allattato, il bambino ha il sondino nasogastrico per essere alimentato. Tutti questi fattori incidono tantissimo sul
legame di attaccamento. Quindi non è solo il bambino ad essere
prematuro, sono i genitori stessi ad essere prematuri e questo evento si
configura spesso come traumatico a tutti gli effetti, incidendo
profondamente sui progetti familiare, di vita, di coppia e della famiglia. A
questo
si
aggiungono
degli
accadimenti
come
l‟ accanimento
terapeutico: le scelte impossibili rispetto al quando e fino a che punto
rianimare; l‟angoscia di sopravvivenza e l‟essere messo di fronte al limite
sottilissimo tra la vita e la morte. Tutti questi aspetti meriterebbero una
discussione a parte.
E naturalmente tutto ciò comporta un rischio maggiore di depressione.
Tenete presente che quando noi parliamo di una prematurità intorno alle
24 settimane, parliamo di una disabilità del bambino intorno all‟80%,
quindi importantissima.
Dal punto di vista psicologico, c‟è una grossissima angoscia di perdita e
un sentimento di castrazione nei genitori. Alcune mamme dicono “sono
entrata senza pancia e sono uscita senza pancia e senza bambino”,
40
perché la mamma rimane in reparto e il bambino viene trasferito in
neonatologia. La mamma in ostetricia viene presto dimessa e
cominciano dei viaggi infiniti tra la neonatologia e il proprio domicilio: il
latte deve essere tolto e trasportato, viene messo nel sondino. Tutto è
ovviamente molto meccanizzato per la situazione di gravità del bambino,
un bambino intubato.
Un bambino così evoca delle profondissime angosce di morte.
Ricordiamo l‟equivalenza nell‟immaginario materno tra il benessere del
bambino e quanto lui mangia, quanto è tondo, che corrisponde a quanto
è sano e quanto è bello… (la relatrice mostra un‟immagine) voi vedete
questo bambino, è un bambino brutto oggettivamente, ha una pelle
trasparente, è emaciato, spesso sofferente, è un bambino che rimanda
dei vissuti pesantissimi da sopportare. La mamma non sa mai come
avvicinarsi a questo bambino, non sa se toccarlo o se non toccarlo; se lo
tocca e il bambino va in bradicardia può pensare “oddio gli faccio male,
vuol dire che non lo devo toccare”. Il bambino è costantemente
monitorato ed abbiamo degli indicatori di come reagisce, ad esempio, al
contatto con la mamma. Si creano una profondissima ferita narcisistica
ed enormi sensi di colpa nella mamma, una mamma che si sente
fallimentare nel suo progetto: “non ce l’ho fatta a tenerlo, non l’ho portato
avanti”. Le domande sono le più strane, domande alla ricerca della
causa, di una spiegazione ad una nascita così precoce.
La prima visita al bambino è un momento molto atteso, ma allo stesso
tempo molto temuto; il primo a vedere il bambino di solito è il papà,
poiché i neonatologi hanno il primo contatto con lui: la mamma dopo il
cesareo è ancora addormentata o trasferita in ostetricia, non vede il
bambino; ha le descrizioni del papà o, peggio ancora, vede il figlio
attraverso le fotografie fatte con il telefonino. L‟equivalenza del bambino
mostro o del bambino deforme è qualcosa che terrorizza le mamme,
41
tanto che molte dicono “io non lo voglio vedere, mi hanno detto che è a
rischio di vita e io non lo voglio vedere perché se poi mi attacco è ancora
peggio”. Quindi, già il primo contatto con questo bambino si configura
come un aspetto molto difficile. Inoltre è un bambino che non dà nessun
ritorno, non è molto gratificante dal punto di vista emotivo, è un bambino
a volte sedato (se intubato per forza), come morto emotivamente.
Immaginate il vissuto di un genitore a contatto con il vetro
dell‟incubatrice. Descritti in letteratura come vissuti pietrificanti nei
genitori, sono equivalenti ai sentimenti che provano i genitori quando
perdono un figlio. Nei papà c‟è un aspetto particolare che ha a che fare
con lo stupore, con l‟incredulità, ci sono degli evitamenti potenti; anche
quando la mamma riesce a tenere o toccare il bambino, il papà evita
quasi sempre di farlo e la scusa pronta spesso è “ho paura di fargli male,
ho paura di romperlo, ho paura…” e quindi si tira indietro.
Anche nel papà il rischio di depressione è fortemente incrementato
perché vede fallita la sua funzione protettiva sulla coppia madrebambino; spesso aumentano anche i conflitti anche nella coppia. A volte
si verificano veri e propri acting out: padri che lasciano la moglie e il
bambino, che fuggono perché non ce la fanno a sopportare la
situazione. Ma c‟è un altro fattore da considerare: la depressione non
soltanto come conseguenza della prematurità; essa può a sua volta
essere causa di molte prematurità.
Il primo studio che parla dello stress materno, di depressione materna
associata al dato di crescita del bambino è del 1941; nel tempo è stato
approfondito il rapporto tra problemi ostetrici,
nascite premature,
difficoltà prenatali, perinatali. Oggi ci sono articoli a sostegno di come la
depressione prenatale provochi un ritardo di crescita fetale.
Nel campo delle gravidanze patologiche, l‟angoscia della madre è
comunque un comune denominatore, qualunque sia l‟origine, sia come
42
causa che come conseguenza.
In particolare, sulle reazioni emotive alla prematurità, un aspetto che
colpisce sempre molto è quella che viene definita “maternità bianca”,
una forma particolare di depressione materna, detta un tempo la “madre
infermiera”, incarnata cioè da una madre molto efficiente clinicamente,
capace di controllare l‟efficienza del saturimetro, del ventilatore ecc., ma
che è privata di tutti gli aspetti affettivi di relazione con il suo bambino.
Naturalmente esistono fattori di rischio che possono enfatizzare tutte
queste cose: le esperienze precedenti di parti prematuri o precedenti
aborti; se poi la prematurità deriva da processi di fecondazione assistita
implica pensieri e conflitti aggiuntivi; non parliamo delle gravidanze
gemellari in cui c‟è un gemello superstite e uno che muore: i vissuti sono
ancora più particolari.
A volte la madre può sviluppare vissuti molto persecutori sul neonato
che ha delle richieste troppo intense a cui lei sente di non riuscire a far
fronte, di non avere delle risorse per farlo. Il bambino prematuro è anche
poco consolabilie.
Oppure la madre si deprime perché collude con gli aspetti poco vitali e
mortiferi di questo bambino, quindi fa fatica a cogliere la sua
intenzionalità, non riuscendo così a produrre esperienza: questo è ciò
che poi caratterizza la “relazione bianca”, tanto che i bambini poi
diventati grandi sono un po‟ particolari dal punto di vista educativo. Su
questo argomento ci sono numerosi studi.
La percentuale di morte nei bambini prematuri può essere anche molto
elevata; quando poi il bambino prematuro muore, ai vissuti di questa
nascita così difficile si aggiungono tutti i vissuti di angoscia, di
disperazione e spesso di colpa, che sono legati alla morte, con delle
particolarità nei morti gemellari.
Gli stili di attaccamento studiati nelle gravidanze premature sono i più
43
vari, a volte caratterizzati da rifiuto e aggressività nei confronti del
bambino.
All‟inizio c‟è un forte rischio di delega agli operatori (abbastanza
fisiologico in una prima fase tanto tecnicizzata) “io non posso fare nulla,
fanno tutto loro”. Spesso l‟unica consolazione delle madri è che si
possono togliere il latte e farlo mettere nel sondino, una piccola area di
“senso di utilità del seno materno”.
Un altro aspetto è quello della madre intrusiva o tendenzialmente
asincrona, cioè una madre che tende a iperstimolare il proprio bambino,
che non è pronto ad essere stimolato: quasi una reazione a stimolare la
vitalità di un bambino che viene percepito come morto.
Nelle coppie marsupio il profilo interattivo sembra migliorare. Nelle
neonatologie si fa la cosiddetta marsupio terapia o “canguros care”:
consiste nel mettere il neonato prematuro, quando non è intubato, a
contatto con il ventre materno, pelle a pelle, avvolti entrambi da un
panno o da una coperta; essi rimangono così per un tempo
progressivamente crescente. Questo favorisce una ripresa più veloce
del neonato, riduce gli interventi infettivi che possono sopraggiungere
frequentemente nel prematuro e migliora la relazione tra la mamma e il
bambino. In effetti, la relazione tra le “coppie marsupio” rappresenta
spesso un momento di svolta nel sentimento materno e nella descrizione
della madre del suo senso di utilità e del suo diventare finalmente
mamma. Per il neonato si recupera la prima esperienza piacevole, dopo
la sua permanenza in utero, che è il contatto con la madre, sentire il suo
respiro, il suo cuore, dopo una serie di stimolazioni che di positivo hanno
poco.
Vediamo l‟esperienza dalla parte dei bambini. Questi bambini sono
sottoposti sicuramente più a stimolazioni negative che a stimoli positivi
che comunque si tenta di fornire. È la famosa care del bambino
44
prematuro. Le stimolazioni negative hanno a che fare con delle manovre
necessarie per la salute del bambino, ad esempio l‟ambiente stressante,
i monitor che suonano in continuazione e le manovre che provocano
dolore nel prematuro; nonostante oggi si presti molta attenzione al
dolore del prematuro, pensate che fino a 40 anni fa si era convinti che il
bambino prematuro non provasse dolore, per cui venivano praticate
manovre di intubazione e interventi chirurgici senza anestesia. Oggi
invece si è capito che il prematuro ha una sensibilità al dolore molto
aumentata rispetto al bambino a termine e quindi l‟analgesia viene
praticata sempre.
Si presta anche attenzione, come accennato prima, alle stimolazioni
positive; oggi nelle neonatologie si mettono nelle termoculle quei
“cuscinotti” intorno al bambino per accrescere il suo senso di
contenimento; i prematuri hanno quasi sempre la cuffietta in testa e le
scarpette ai piedi, non solo per un problema di temperatura, ma anche
proprio per una sensazione di contenimento e di protezione di cui il
prematuro ha un grandissimo bisogno. Il contatto materno viene
mantenuto attraverso il contatto con le mani delle madri, che possono
entrare nella termoculla molto precocemente, attraverso la possibilità di
mettere il latte materno nel sondino, con la marsupio terapia e con la
possibilità per i genitori di essere assieme vicino alla termoculla del loro
bambino.
Si possono trovare studi sulla salute futura dei bambini ex prematuri.
Un‟attenzione agli operatori che lavorano nelle neonatologie.
Questo lavoro ha un altissimo coinvolgimento umano oltre che la
necessità
di
una
elevatissima
componente
tecnica.
C‟è
un‟identificazione inconscia con i genitori del bambino, soprattutto per gli
operatori che a loro volta sono genitori, un‟identificazione con aspetti
prevalentemente angoscianti, di disperazione, colpa, morte del bambino.
45
Gli interventi di emergenza continui determinano un lavoro ad
elevatissimo stress. Il rischio in queste situazioni è quello di difendersi
eccessivamente dall‟ angoscia, di non sentirsi più, di irrigidirsi troppo:
molto efficienti su un piano tecnico, ma glaciali sul piano umano.
Noi lavoriamo molto sul piano assistenziale con i genitori, con il bambino
e, a livello informativo e assistenziale, anche con gli operatori. Ci sono
per esempio degli aspetti di comunicazione che sono molto difficili e noi
lavoriamo su questi con il gruppo di operatori: per 10 anni abbiamo
condotto un lavoro di gruppo con medici, neonatologi e un gruppo
infermieristico parallelo per 8 anni; adesso abbiamo messo insieme
questi due gruppi e ogni 15 giorni ci incontriamo per discutere dei casi
più complessi, soprattutto da un punto di vista emotivo. La tematica
prevalente negli ultimi tempi è quella delle scelte difficili in neonatologia.
Noi crediamo che il gruppo sia un aspetto fondamentale per reggere lo
stress di queste situazioni, perché migliora la comunicazione, aumenta il
senso di coesione e crea uno spazio mentale dove mettere quelle
angosce che altrimenti rimarrebbero sospese. Naturalmente, a livello
organizzativo, questo ha portato delle modificazioni, per cui abbiamo un
protocollo di accoglimento anche dei genitori alla rianimazione del
bambino.
Sicuramente questo ha prodotto dei buoni risultati soprattutto a livello di
clima del reparto, che è un clima meno difensivo, più portato
all‟attenzione, all‟ascolto e alla comunicazione e quindi più preparato ad
affrontare le sfide che in neonatologia non mancano mai.
46
“L’intervento dei padri nella prevenzione della
depressione post-partum”
Dr.ssa Laura Pomicino,
Psicologa – Università Trieste
Il mio contributo si colloca come ideale prosecuzione dell‟intervento della
prof.ssa Romito, poiché esso si basa proprio sui presupposti teorici da
lei esposti.
Vi presenterò e “racconterò” i dati di uno studio che abbiamo svolto
presso l‟Istituto di Ricerca e Cura dell‟Ospedale “Burlo Garofolo” di
Trieste, lavoro che si è concluso nel 2008 e che aveva come oggetto
l‟intervento con i padri.
Sono numerosi gli interventi di prevenzione della depressione
postnatale, che fino ad oggi sono stati condotti a livello internazionale e
nazionale, con un notevole investimento di risorse.
Purtroppo gli esiti di tali interventi non sono stati favorevoli, in quanto
non è stato possibile dimostrarne l‟efficacia: le donne che ricevevano un
intervento non mostravano nessuna differenza significativa rispetto alle
donne che invece quell‟ intervento non l‟avevano ricevuto. Non è facile
mettere a confronto fra loro i progetti e individuarne limiti e potenzialità,
perché molto diversi l‟uno dall‟altro.
Sicuramente un limite degli interventi realizzati è rappresento dal fatto
che essi sono stati rivolti prevalentemente alle madri, con almeno due
conseguenze negative:
1. concentrarsi solo sulle madri porta ad omettere alcuni fattori di
contesto fondamentali (violenza domestica, soddisfazione lavorativa
della donna ecc); la domanda viene dalla donna e solo in lei si cerca
47
la risposta, creando così un processo circolare che non aiuta;
2. gli studi condotti spesso non sono longitudinali e prendono quindi in
considerazione solo una “fetta” di vita della donna.
La situazione italiana è caratterizzata da mancanza di coerenza. Da una
parte si tende a parlare sempre più di DPP, dall‟altra manca una risposta
sistematica, organizzata e ben strutturata al problema. Le donne che in
Italia si avvicinano alla maternità sono seguite all‟interno di Percorsi
Nascita, che sicuramente rappresentano una risorsa preziosa per loro,
ma che dovrebbero occuparsi della donna in maternità a 360°. La
depressione non viene quasi mai trattata; io conosco l‟esperienza di
Trieste e della DPP non se ne parla quasi mai nei corsi pre-parto.
Ora occupiamoci dei padri. Si inizia a sottolineare sempre più
l‟importanza del ruolo maschile nel promuovere l‟uguaglianza di genere,
è quindi importante coinvolgere i padri anche quando si pensa alla DPP.
Fino ad oggi si è preso in considerazione il ruolo del padre nella
promozione dello sviluppo socioemotivo del bambino; non si è parlato
invece di quanto sia importante e centrale il supporto del partner alla
donna, sia durante la gravidanza che dopo il parto, supporto che deve
essere strumentale ed emotivo.
Quali sono gli ostacoli, riconosciuti anche a livello internazionale, al
coinvolgimento dei padri?
Una difficoltà riguarda il fatto che i papà di oggi non hanno modelli di
riferimento a cui attingere, nel senso che i loro padri non erano quelli che
loro vorrebbero essere. C‟è poca centratura sul concetto di paternità,
perché tutto ciò che ruota intorno all‟evento nascita è legato alla mamma
e i padri vivono un sentimento di estromissione. Forse la difficoltà
centrale è superare il modello tradizionale dell‟uomo “che porta a casa il
48
pane”.
È da sottolineare come, laddove è stato proposto un intervento rivolto ai
padri, la loro adesione è stata molto bassa, è molto difficile coinvolgerli:
questo è il primo obiettivo da porsi.
In Italia, parimenti al panorama internazionale, si tratta di un‟area di
ricerca di recente sviluppo, anche se esistono molti studi che si
concentrano sulla figura paterna.
A Trieste i padri, all‟interno dei Percorsi Nascita, partecipano prima del
parto a tre incontri centrati su aspetti molto pratici, come ad esempio la
gestione delle prime contrazioni della mamma, la preparazione della
borsa per l‟ospedale ecc.
Si parla tanto dei nuovi papà, ma i dati nazionali non evidenziano un
grande cambiamento: le donne hanno sempre il carico maggiore nella
gestione generale della casa e del bambino, mentre i padri prediligono
alcune attività specifiche, soprattutto quelle ludiche e quelle legate ad
aspetti piacevoli. Il cambiamento sicuramente si sta verificando, ma è
molto lento e andrebbe analizzato nel dettaglio.
I fattori che favoriscono il coinvolgimento del papà sono: la presenza di
due o più bambini in famiglia e la madre lavoratrice. Alla luce di tali
fattori, sorge spontanea una domanda: si tratta di un reale cambiamento
o è semplicemente una risposta ad una necessità?
Ricerca: l’intervento dei padri nella prevenzione della depressione postpartum
Si tratta di uno studio sperimentale, controllato e randomizzato, che
aveva un duplice obiettivo:
1. verificare se era possibile lavorare con i papà, capire cosa essi
pensavano al riguardo e se avrebbero partecipato;
49
2. incentivare la comunicazione, il supporto e la partecipazione nella
coppia al fine di raggiungere l‟obiettivo generale dell‟intervento:
promuovere il benessere delle mamme dopo la nascita del bambino.
Il disegno della ricerca.
Da dicembre 2007 ad aprile 2008 ho contattato tutte le mamme che si
sono rivolte con i loro partner all‟Ospedale Infantile “Burlo Garofolo” per
il parto e ho chiesto loro di compilare un questionario in maniera
autonoma. La risposta è stata dell‟85%.
Ho incontrato le mamme e i papà durante la degenza, entro i 2-4 giorni
dal parto, quindi in una situazione “particolare”.
A 6 mesi dal parto li ho ricontattati telefonicamente e ho chiesto loro di
compilare insieme a me un questionario, questa volta telefonico. Il tasso
di risposta si è alzato al 91%.
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L’intervento
Al time 1, ovvero al momento del contatto in ospedale, ho consegnato a
tutti i papà un opuscolo informativo centrato sulle tematiche elencate,
quelle che emergevano da un precedente studio pilota essere centrali
per i papà:
- paura di non saper essere un buon genitore
- allattamento
- reazione di eventuali altri figli
- stanchezza
- gestione dei lavori domestici
- gestione del bambino
- sessualità
- condizione lavorativa della madre
Contestualmente a questo primo incontro, i papà ricevevano un numero
telefonico che potevano utilizzare entro 4 mesi dal parto per chiedere
informazioni, supporto, consigli ecc; veniva anche detto loro che,
qualora non mi avessero contattato, entro 2 mesi l‟avrei fatto io per
accertare che tutto funzionasse bene e per ricordar loro il progetto.
Risposta all’intervento.
Molto positiva, solo in 26 casi non sono riuscita a parlare con i papà, a
volte proprio per impossibilità logistiche legate al lavoro fuori casa.
Questo è un buon traguardo.
Ogni coppia ha ricevuto almeno 2 contatti entro i 4 mesi dal parto e in
molti casi sono stati contattati entrambi i membri della coppia.
Ho individualizzato l‟intervento, in quanto le tematiche trattate in ogni
colloquio telefonico sono state specificatamente modellate per singolo
individuo.
La valutazione dell‟intervento è stata molto positiva sia da parte delle
51
mamme che dei papà: una buona percentuale (il 24% delle madri e il
18% dei padri) ha riconosciuto l‟importanza dell‟opuscolo nell‟influenzare
positivamente la relazione di coppia.
I primi risultati.
Al time 1 non sono state riscontrate differenze significative tra il gruppo
sperimentale e quello di controllo, né per quanto riguarda le
caratteristiche sociodemografiche, né rispetto agli aspetti legati agli
indicatori di salute psicologica.
Per quanto riguarda i papà, un dato significativo riguarda l‟alta
percentuale di risposta negativa alla domanda “pensa che lei nel dopo
parto usufruirà del congedo parentale?”
Risultati a 6 mesi.
Time 2: Le mamme del gruppo sperimentale riportavano minori
sentimenti di tristezza, riconoscevano minori sentimenti di paura o di
ansia legati alla maternità nell‟ultimo mese.
All‟EPDS non sono state rilevate differenze significative, anche se
dall‟andamento dei dati si nota una differenza a favore del gruppo che
ha ricevuto l‟intervento. Per quanto riguarda le preoccupazioni, le
mamme del gruppo di controllo riportano più preoccupazioni e maggiori
sentimenti negativi legati all‟allattamento -tematiche che ho affrontato
per telefono con le donne del gruppo sperimentale, quindi si presume
che questo abbia avuto un effetto-.
Non è stata riscontrata nessuna differenza nella valutazione soggettiva
della relazione con il partner, dopo il parto.
Le mamme del gruppo sperimentale affermano di rivolgersi meno
spesso all‟ostetrica e di avere più fonti di supporto; questo è significativo
secondo noi e forse indica che esse hanno trovato altrove un altro tipo di
52
supporto.
Dall‟analisi multivariata emerge che l‟avere partecipato allo studio ha
fatto sì che le mamme mostrassero con meno frequenza sentimenti
depressivi: lo studio avrebbe dimezzato il rischio di rilevare sentimenti di
tristezza e DPP.
Conclusioni
La strada sembra promettente. Come avrete notato, non ho fatto
accenno ai papà nei risultati; infatti, l‟aspetto curioso di questo lavoro è
che non ho trovato grandi differenze tra i papà nel post parto. È curioso
ed interessante perché io ho parlato e lavorato principalmente con loro,
mentre la differenza la si ritrova nelle madri. Allora forse la strada è
quella giusta: se vogliamo cercare di cambiare il benessere della donna
dopo il parto ed ottenere risultati dobbiamo coinvolgere i partner, che
sono le prime figure a potere fornire supporto .
Si tratta di un intervento soft, non invasivo - in media due telefonate ogni
papà- , a basso costo e facilmente implementabile.
Sarebbe interessante potere estendere il periodo della ricerca e vedere
se gli effetti perdurano.
53
Parte II
Tavola rotonda:
“il punto di vista delle altre professioni: ginecologo,
ostetrica, neonatologo, pediatra, psichiatra”
Introduzione della Dr.ssa Marisa Bianchin, Psicologa/Psicoterapeuta,
Direttrice di distretto- AUSL Ravenna - moderatore
I termini della depressione pre e post-partum: la DPP coinvolge la
madre, il padre, il bambino, i fratelli. La comunità e la cultura del nascere
hanno una forte valenza bioetica e, come qualcuno ha detto,
rappresentano anche una questione di Sanità Pubblica.
Non mi ripeterò, ma voglio sottolineare alcuni dati e rappresentazioni
emersi
questa
mattina:
la
rappresentazione
epidemiologica
del
fenomeno e la rappresentazione di quanto incidono le disuguaglianze
sociali sulla dinamica della salute, sulla gravidanza, sulla maternità e
sulla relazione di coppia.
Apriamo allora con un invito al confronto i diversi professionisti che
compongono la tavola rotonda. Chiederei loro di portare la propria
esperienza, con un focus sugli aspetti dell‟intervento psicologico che
possono essere introdotti e che possono essere migliorati, laddove ci
sono.
Interventi:
Dr. Paolo Assirelli, Ginecologo, Dir. Consultorio Familiare Rimini
Grazie veramente, ci sono stati moltissimi stimoli oggi. A mio parere si
può fare un buon “intervento psicologico” senza essere psicologi,
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facendo leva sulle risorse e sulle doti delle donne, qualità che tutte
possiedono.
Io lavoro prevalentemente con le donne gravide; il grosso rischio per noi
medici è quello di sostituirsi a loro nel prendere le minime decisioni come l‟ assumere o meno una medicina, sollevare o meno pesi ecc togliendo così uno spazio di crescita alla donna: questo è un altro fattore
di rischio per lei, un rischio che siamo noi a darle. Quindi credo che il
nostro compito sia quello di far crescere l‟autostima delle donne.
Ci sono due gruppi di donne gravide che noi vediamo: ci sono quelle che
nella vita hanno il meglio (corsi nascita; gruppi mamma-bambino e
supporto) e quelle che non parlano bene la lingua, donne di altri paesi
che hanno bisogno che il partner parli per loro, donne che non possono
smettere di lavorare ecc. I nostri sforzi devono essere indirizzati verso
quest‟ultimo gruppo, per fare in modo che chi non ha qualcosa, abbia
qualcosa, andando noi da loro e non aspettandoci che loro vengano da
noi. Fare in modo che queste donne, che già pagano un prezzo alto,
abbiano dei servizi (ad es. corsi pre - parto in varie lingue), bastano
piccoli gesti per dare alle donne la sensazione di non essere sole su
questo pianeta.
Io credo che il nostro invio in altri settori debba essere sempre un po‟
accompagnato.
Infine, ritengo importante fare in modo che la donna gravida possa
finalmente essere un po‟ depressa. Oggi si pensa che, se la donna
piange, chissà quanti danni subirà il suo bambino; bisogna togliere alla
donna il peso e l‟aspettativa che debba essere per forza perfetta, che
debba sorridere, non avere crisi: fare in modo che possa essere stanca.
Credo che offrire queste chances possa essere importante.
55
Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
Grazie al dr. Assirelli. Per utilizzare una locuzione che ha riportato la
dr.ssa Russo questa mattina: “rete calda” e non rete liquida, rete che
sostenga e che sia capace di diventare proattiva verso i bisogni delle
persone.
Sentiamo il punto di vista dell‟ostetrica, passo la parola alla dr.ssa
Daniela Daniele per le sue riflessioni.
Dr.ssa Daniela Daniele, Coordinatore percorso nascita Area Vasta
Io sono ormai una vecchia ostetrica e lavoro da moltissimi anni in
consultorio (33 anni), sono “una storica”. Condivido quello che ha detto
Paolo, sto pensando ai nostri corsi di accompagnamento alla nascita:
nell‟ Azienda di Rimini abbiamo un 50% di donne che vi accedono. Dagli
anni passati ad ora c‟è stato un cambiamento. Mentre prima noi
dedicavamo più tempo alle donne, sempre più lo dobbiamo restringere.
Quali sono le donne che accedono? Sono le donne di ceto medio-alto.
Le altre ci mancano. Come arrivare alle donne che non accedono ai
nostri Servizi? Certamente la Delibera di Giunta Regionale, la 533, dice
che è importante - obiettivo 10- raggiungere le donne di basso ceto
sociale; ma non è così semplice.
Vado a spot.
Le donne immigrate. Certamente noi vorremmo lavorare con loro.
All‟inizio le introducevamo nei corsi di accompagnamento alla nascita,
ancora oggi lo facciamo. Io personalmente continuo a dire che o queste
donne conoscono bene l‟italiano oppure le disconfermiamo ancora di
più, le facciamo scappare. Infatti le donne immigrate non vengono ai
corsi, è una grossa fetta di donne che non prepariamo al parto e che non
vediamo nemmeno nel dopo parto.
È una riflessione rispetto a come fare ad accoglierle; il problema è che ci
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vogliono più ostetriche. Noi potremmo pensare di creare dei gruppi per
queste mamme – con ostetrica, psicologo, medico e mediatore culturale
- e siamo convinti che potrebbero funzionare.
È vero, ora in Azienda facciamo i gruppi madre-bambino e abbiamo
incominciato a collaborare con i Centri per le Famiglie, dove essi
verranno svolti. Ma queste attività sono offerte alle stesse donne, a
quelle che già partecipano ai corsi di accompagnamento alla nascita, a
quelle che accedono ai gruppi madre-bambino. Con questo 50% di
donne facciamo un buon lavoro di rete calda, manca però l‟altro 50% e
questo è un input per noi, per andare avanti.
Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
Ringrazio la dr.ssa e rilancio: il tema dell‟organizzazione, dell‟accesso:
quali sono, se ci sono, gli aspetti sul piano psicologico che dovrebbero
essere migliorati? Lo chiedo al dr. Battagliarin.
Dr. Giuseppe Battagliarin, Dir. U.O. Ostetricia e Ginecologia Ospedale
“Infermi” Rimini
Oggi siamo stati immersi nella psiche, adesso entrerà un po‟ di soma
che è anche l‟abbreviazione di somaro, perché di molte cose non sa e
perché tira un carretto che non finisce più.
Oggi gli ospedali sono gravati da una grossa quantità di lavoro, prima la
dr.ssa Russo ha detto una cosa molto importante: il tempo è una
variabile fondamentale, non ci si può dedicare ad una persona, capire i
suoi problemi, se non le si può dedicare un po‟ di tempo. Qualcuno ha
scritto, soprattutto gli anglosassoni, che è nei primi 4 minuti che si fa la
diagnosi ed è vero; ma da quel momento deve iniziare un grosso lavoro
di accoglienza, di ascolto, in mancanza del quale è difficile pensare di
poter fare un intervento che possa essere considerato adeguato. Che
57
cosa penso sia necessario, all‟interno del reparto, per fare prevenzione
in campo psicologico? Sicuramente la formazione, ma sarebbe
importante avere anche una supervisione. Noi dobbiamo avere una
psicologa dedicata, con una certa periodicità. Pensate solo al ritorno in
termini di riduzione del contenzioso: rivolgersi ad una persona e darle un
ascolto ci risparmia tanti ricorsi medico-legali che sappiamo quanto
pesino. Quindi questa è la mia risposta, credo che questo debba far
parte del lavoro.
Sul territorio queste cose si fanno. Anche io ho lavorato per tanti anni
nell‟unica Casa di Maternità che allora c‟era; ho lavorato al Villaggio
della Madre e del Fanciullo, fondato dopo la guerra, dove gli educatori si
occupavano di ragazze ad altissimo rischio (ragazze madri, violentate,
cacciate di casa): esse venivano ospitate durante la gravidanza e
partorivano lì. La continuità nella cura dava un risultato, perchè la
prematurità era un terzo rispetto a quanto ci si attende in soggetti a così
alto rischio.
Sappiamo quali sono i fattori di rischio per la DPP. Ho trovato un lavoro
su internet di un certo Jorgensen, che ne cita altri: ad esempio la
gravidanza non programmata, un precedente aborto o la poliabortività.
Ho letto una frase: “un aborto non è mai niente; è sempre qualcosa, può
essere qualsiasi cosa”, e lo è diventato di più da quando il cinismo di noi
ginecologi ci spinge a far vedere un “battito” a 5-6 settimane di
gravidanza. Noi trasformiamo un aborto spontaneo, che una volta veniva
vissuto come un po‟ più fisiologico, in una perdita importante. Se noi
quell‟ecografia la facessimo a 8-9 settimane, il rischio di aborto con
battito presente sarebbe intorno al 5%, mentre a 4-5 settimane è del
18%, che arriva a toccare il 24% col crescere dell‟età della donna.
Quindi noi diamo, 1 volta su 4, il rischio alla donna di una grossa
sofferenza,
solo
perché
vogliamo
58
farle
vedere
il
battito
così
precocemente.
Altri fattori di rischio: avere pensato di interrompere la gravidanza per
problemi sociali, l‟ allattamento artificiale, qualche malattia insorta
durante la gravidanza. Ecco quindi l‟importanza di avere un certo tipo di
approccio negli ambulatori Gravidanze a Rischio (GAR). Pensate solo al
fatto che una persona arriva e si fa seguire in un posto con scritto GAR:
già questo è un messaggio importante.
Poi ci sono casi di donne che per delle acuzie al momento del ricovero
diventano ad alto rischio di DPP.
Il 60-70% delle gravidanze sono seguite privatamente. E sapete che un
altro fattore di rischio è l‟alto numero di visite prenatali? Noi pensiamo
che una visita sia un vantaggio. Non è vero, è induttore di ansia
maggiore, perché ci si aspetta da essa un referto “lei sta bene e il
bambino sta bene”, ma potrebbe anche non stare bene.
Io ho la fortuna di lavorare con dei neonatologi che prestano molta
attenzione alla care e al rapporto con i genitori e questo è un dato
importante; inoltre loro hanno una psicologa.
Quali sono le persone a rischio:
- Le mamme alle quali viene comunicato che il loro bambino è
malformato e decidono di continuare la gravidanza o di interromperla:
queste sono persone che vanno seguite longitudinalmente.
- La morte endouterina. È partito un progetto multicentrico all‟estero, una
task force che lavora sulla morte endouterina. Noi non abbiamo
quell‟approccio che serve, ancora non facciamo vedere il bambino
deceduto alla madre.
- La nascita prematura.
- Altro rischio è rappresentato dal bambino asfittico, 1 ogni 500 parti - e 1
su 10 diventa paralisi cerebral-: si tratta di una tragedia, di un disastro
per la famiglia e quindi anche queste persone devono essere seguite
59
longitudinalmente con attenzione.
Concludo leggendovi un brano che mi ha colpito dal titolo “Che cos’è
una buona madre”:
Che cosa sia una buona madre lo decidono gli altri, il coro, lo sguardo
che approva oppure che rimprovera, quelli che sanno sempre cosa si fa
e che cosa no, cosa è giusto, saggio e utile, quelli che dicono “è la
natura, è così, devi avere pazienza, assecondare i ritmi, avere
tenerezza, dedicarti.
Se ti senti affondare è perché sei inadeguata; se soffochi è perché non
hai gli strumenti della maturità.
Se i figli non vengono devi rassegnarti e non accanirti, non insistere, si
vede che non eri fatta per essere madre; se non ne hai voluti, devi avere
in fondo qualcosa che non va.
Se non hai vicino nessuno che voglia fare con te un figlio è perché non
l’hai trovato, sei stata troppo esigente, forse sei troppo inquieta.
Se preferisci il lavoro alla casa, cosa pretendi? Se non ci sei mai, cosa
sarà di tuo figlio? Se gli stai sempre addosso, come potrà rendersi
autonomo?
Se ti stanca, sei depressa. Se ti fa impazzire, sei un mostro. Se hai un
padre ingombrante, una madre assente, se sei sopraffatta dalla loro
presenza o se sei orfana, se la maternità non ti invade naturalmente,
spontaneamente come un raggio di luce, se non ti cambi i connotati
rendendoti nutrice solare improvvisamente dedita e paziente, ecco allora
è chiaro che non hai l’istinto giusto, sei inadatta, sei contro natura,
colpevole a pensarci bene.
Sei una cattiva madre”.
Grazie
60
Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
L‟approccio, il care longitudinale, l‟integrazione orizzontale e qualche
riflessione sui percorsi integrati sanitario e sanitario- sociali. Passo la
parola alla dr.ssa Palma Mammoliti, neonatologa.
Dr.ssa Palma Mammolitti, Neonatologa, Ospedale “Infermi” Rimini
Vorrei ringraziare la dr.ssa Bravi che ha reso più chiaro quello che andrò
ad esporre e il dr. Battagliarin che ha già detto gran parte delle cose che
volevo dire e che non ripeterò.
Volevo sottolineare che quando un bambino entra nella nostra Terapia
Intensiva, naturalmente i genitori sono sconvolti da quello che vedono e
noi cerchiamo di aiutarli in tutti i modi. Abbiamo anche una psicologa per
due volte a settimana; anche io sostengo che ci vuole una presenza un
pò più assidua.
Per quanto riguarda sia i punti positivi che quelli negativi, mi ritrovo in
quello che ha detto la dr.ssa Bravi sulla care del neonato prematuro,
ovvero l‟importanza di attuare in tempi molto brevi la marsupio terapia
anche con il bambino intubato e in assistenza respiratoria: noi crediamo
molto in questo approccio e nel sostegno della relazione madrebambino.
Domanda del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
Quali aspetti possono essere migliorati dall‟apporto dello psicologo, se li
rileva?
Dr.ssa Palma Mammolitti
In questo momento segnalo la quantità: la maggiore necessità dello
psicologo in termini di tempo.
61
Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
Visto che abbiamo percorso dal concepimento alla nascita, ora parliamo
con il pediatra e a lui chiedo, dal suo punto di osservazione, una
riflessione su questi temi e quale possa essere l‟apporto dello psicologo,
anche sulla scorta di quello che hanno detto gli altri professionisti.
Dr. Massimo Farneti, Dir. Del Servizio materno-infantile AUSL Cesena
Io faccio un po‟ l‟avvocato del diavolo dei pediatri di famiglia, svolgo la
mia attività in un servizio materno-infantile e sono pediatra di comunità.
Io penso che l‟attenzione del pediatra di famiglia, in merito all‟
individuazione e al sostegno dei disturbi depressivi delle madri, sia un
momento fondamentale. Soprattutto perché l‟intervento di Sanità
Pubblica ha il dovere di cercare di “coprire” la maggior parte degli utenti.
L‟intervento che noi operiamo nel pre-parto ha un limite. Noi seguiamo il
50% delle gravidanze in consultorio. Quindi dobbiamo trovare un
momento di saldatura fra consultorio familiare, nel pre-parto, e sevizi del
post-parto, cercando di utilizzare di più quello strumento universalista
che è il pediatra di famiglia, che segue il 100% dei bambini. Dobbiamo
offrire ai pediatri di famiglia una maggiore attenzione verso questo
universo: devono cioè cominciare ad essere i pediatri dei bambini
all’interno delle famiglie. Per questo ritengo che dare loro qualche
strumento sia importante. Noi abbiamo scelto lo strumento dell‟EPDS,
non in un taglio puramente screenologico, bensì progressivo: “individuo
e seguo nel tempo”.
E penso che a questo punto arrivi il momento degli psicologi;
l‟esperienza dice che è difficile che le madri in difficoltà arrivino da loro,
perché? Perché viene richiesto alle madri di essere brave e belle in
tutto.
Nell‟intervento che abbiamo scelto, il tipo di lavoro che lo psicologo deve
62
fare è principalmente di due tipi :
1. Quello di formare i pediatri di famiglia e quindi dirigere l‟attenzione a
questa area del loro lavoro;
2. Maggiore supervisione.
In questi interventi lo psicologo deve essere pronto ad essere il
consulente diretto dei casi di depressione.
Quello che io vedo nella mia esperienza è che c‟è una buona apertura
nel prendere in carico le situazioni medie, mentre quando ci si trova
nell‟area delle depressioni più gravi noto ancora delle difficoltà. Una
maggiore supervisione potrebbe aiutare nell‟opera di accompagnamento
dei casi più gravi.
Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
E ora la declinazione, le parole dal punto di vista di uno psichiatra
rispetto alla depressione pre e post-partum, rispetto al tema della
persona dentro la famiglia, la quale si trova anche dentro ad una
comunità: il modello ecologico.
Dr. Riccardo Sabatelli, Psichiatra AUSL Rimini
Accordandomi al moderatore, vorrei riprendere l‟aspetto culturale.
Credo che sicuramente le relazioni abbiano indicato la necessità di un
cambiamento culturale da parte delle società occidentali rispetto all‟idea
della maternità. Penso che l‟aspetto della condivisione della maternità
tra i partner della coppia debba essere spinto più in avanti. Questo
chiede da parte dei papà una disponibilità -che spesso non c‟è- e una
capacità particolare nell‟ approcciarsi alla nascita di un figlio: ciò dipende
però anche da un cambiamento delle donne. Ci sono mamme che
tendono a sentire la maternità come qualcosa di esclusivo, invece di
considerarla l‟esito di una relazione di tipo affettivo che si trasforma in
63
una relazione di tipo genitoriale.
Questo come aspetto culturale. Non so se si possa fare, certo è difficile,
ma in qualche modo si impone questo cambiamento.
La posizione dello psichiatra rispetto alla DPP: allo psichiatra spetta il
compito di intervenire in quelle situazioni in cui la patologia è
particolarmente grave. Io personalmente mi sono sempre avvicinato alla
DPP perché ritengo sia una di quelle condizioni di grave sofferenza delle
donne. Il contesto chiede alla donna di essere felice, mentre alcune
donne vivono la maternità con la morte nel cuore. Possiamo immaginare
il dramma che questo comporta.
Mi sono avvicinato alla DPP perché credo sia uno dei pochi momenti in
cui è possibile fare prevenzione primaria sulle madri. La psichiatria
purtroppo si connota per non avere molti strumenti per fare prevenzione
primaria. La cosa su cui abbiamo più certezza è che la condizione di
malattia mentale importante nelle madri determina con molta probabilità
una sofferenza nel bambino, diventato adulto. Credo che tutte le
persone che hanno a cuore l‟idea di Sanità Pubblica non possano
prescindere dal lavorare in direzione della prevenzione primaria,
impegnare gli sforzi dei ricercatori per identificare precocemente le
situazioni di sofferenza.
I pediatri di prima scelta sono a mio avviso l‟elemento cardine, perché lo
psichiatra identifica le forme più gravi nelle prime giornate e non avanti
nel tempo. Quando si ha un bambino, si pensa poco a sé e il contatto
con il medico si riduce a quello con il pediatra.
Due parole sul progetto che stiamo portando avanti in Azienda. Anche
noi, nel collegamento tra ospedale e territorio, rileviamo una discrepanza
tra consulenze ospedaliere e invii al territorio;
inoltre alcuni invii arrivano “da casa”. Quindi ancora ci perdiamo per
strada delle donne che avrebbero bisogno di aiuto.
64
Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
Farei un secondo giro di tavolo.
Il tema degli ostacoli che si frappongono nel formare una rete calda, una
rete integrata, una Sanità orizzontale, riflessione che propongo alla
tavola rotonda. Partirei dall‟ostetrica.
Dr.ssa Daniela Daniele
Nella nostra Azienda da anni abbiamo affrontato un lavoro di rete che
diventa sempre più forte e più strutturato. Volevo rivolgermi al dr.
Sabatelli, che parlava
di
Personalmente
delle
io
ho
pochi casi che arrivano
perplessità
sull‟invio
al SIMAP.
delle
donne,
sull‟accompagno al SIMAP. Le donne fanno fatica ad arrivare al SIMAP
perché è un servizio stigmatizzante,
per cui dovremmo dare
un‟opportunità diversa all‟interno di questo percorso di prevenzione della
depressione. Ad esempio, fare in modo che lo psichiatra arrivi in
consultorio, trovare un luogo neutro per accogliere queste donne.
La cosa importante è sostenere le donne e aiutarle a rendersi conto che
stanno male, che hanno bisogno di essere aiutate. Andare dallo
psicologo è meno stigmatizzante: ecco perché, a volte, il lavoro si
interrompe lì.
Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
Rilancio la parola allo psichiatra. Il tema dello stigma attraversa la
depressione, la donna, l‟uomo, stigma che viene colto come l‟ostacolo
da parte dell‟ostetrica.
Dr. Riccardo Sabatelli
Io credo che la salute mentale si faccia in luoghi che non
necessariamente sono i Servizi. A volte i luoghi sono importanti perché
65
identificano tante cose, ma non necessariamente vanno utilizzati quando
diventano ostacoli. Allora mi viene da pensare, per esempio, che noi
all‟interno dell‟Azienda abbiamo il percorso di dimissione assistita e
abbiamo cominciato ad affiancare l‟apporto dello psichiatra per le
situazioni che lo necessitano. Questo mi sembra in linea, perché noi
l‟intervento lo facciamo all‟interno dei reparti, è difficile che il servizio
psichiatrico possa intervenire in loco. Credo che si possa già partire
così.
Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
Rilancio gli stimoli al dr. Assirelli, il suo punto di vista sugli ostacoli al
percorso integrato.
Dr. Paolo Assirelli
Un ostacolo credo che sia anche nostro: ci deve essere uno spazio,
delle pause comuni per fermarci ed interrogarci sulle donne che
vediamo. Adesso abbiamo cominciato e credo che questa pratica vada
potenziata: fare uno sforzo e fermarci a vedere come abbiamo lavorato.
Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
Grazie dr. Assirelli. La cultura della valutazione, dei processi, degli esiti,
una maggiore attenzione a questo. Passo la parola al dr. Farneti.
Dr. Massimo Farneti
Non c‟è tempo, il tempo. Due sono i punti che possiamo focalizzare
meglio.
Da una parte chi cura le reti: a noi manca chi cura le reti. Un facilitatore
in questi contesti è importante, perché da sole le reti stanno in piedi
poco tempo.
66
Dall‟altra la funzione del pediatra di famiglia - che si sente un po‟
“tuttologo” e fa fatica a delegare parte del suo lavoro e condividerlo
insieme ad altri - : rendersi conto della madre depressa e
accompagnarla verso altri percorsi.
Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
Passo la parola alla dr.ssa Mammoliti
Dr.ssa Palma Mammolitti
Sono d‟accordo con il dr. Assirelli sul fatto che ci vogliono momenti di
incontro, altrimenti non ha senso il nostro lavoro. Ci vogliono più
comunicazione e più risorse.
Commento del moderatore, dr.ssa Marisa Bianchin
La dr.ssa Mammoliti riprende le riflessioni del collega sulla qualità della
comunicazione, sull‟importanza e la difficoltà di stare in relazione: è il
tema della corresponsabilità.
67
Parte III
Confronto delle esperienze di ricerca e cliniche tra gli psicologi di
Area Vasta: Azienda Rimini, Azienda Forlì, Azienda Cesena.
Parteciperà l’Azienda USL di Trento
Dr.ssa Maria Maffia Russo
Questa sessione avrà come moderatore il dr Grandini, direttore dell‟U.O.
di Psicologia di Forlì. Insieme a Marisa Bianchin e Luigi Gualtieri, punti
di riferimento della Psicologia di Area Vasta, abbiamo pensato questa
giornata e, in questa seconda sessione, opereremo un confronto per
vedere la diversità e la ricchezza delle “psicologie ” che si sviluppano in
contesti diversi: infatti è il contesto a imprimere una direzione piuttosto
che un‟altra, una variabile fondamentale per la costruzione e lo sviluppo
professionali.
A questa sessione è stata invitata la dr.ssa Lorenza Donati
dell‟Università di Trento.
Passo la parola al dr. Domenico Grandini che modererà il lavoro di oggi.
Dr. Domenico Grandini
La dr.ssa Russo ha fatto già un “preingresso” sui lavori di oggi
pomeriggio.
Quando parliamo di argomenti come quelli presentati questa mattina,
quello che colpisce è l‟alto livello di complessità che si riflette nei diversi
punti di vista, sicuramente complementari. Ciò porta a riflessioni forti su
come far funzionare la rete: le cerniere tra le varie professionalità per
metterle nella condivisione degli obiettivi e di linguaggi che siano
comprensibili fra di loro. Non sempre questo è fattibile, ma è una sfida
necessaria che non riguarda solo Servizi diversi, ma anche Istituzioni
68
diverse. È dunque importante un approccio multisfacettato per riuscire
ad averne una descrizione più completa possibile e un‟organizzazione la
migliore possibile.
I lavori del pomeriggio vertono intorno alla presentazione di esperienze
che si sono svolte nel territorio di Area Vasta Romagna. Seguiranno tre
interventi: le esperienze di Rimini, Forlì e Cesena, rispettivamente
presentate dalla dr.ssa Cristina Belicchi, dalla dr.ssa Antonella Liverani e
dal dr. Fabio Sgrignani.
Partiamo ora con la dr.ssa Lorenza Donati, psicologa e psicoterapeuta
che ha lavorato anche a Forlì, che ci parlerà della sua esperienza. In
particolare presenterà un lavoro di ricerca, commissionato dal Ministero
della Sanità, sulle strategie di individuazione del rischio della DPP.
Dr.ssa Lorenza Donati, Azienda USL di Trento
Grazie, un saluto a tutti, vi ringrazio per l‟invito. Io vengo dal Trentino,
che è una provincia autonoma; da noi l‟Azienda Sanitaria coincide con il
territorio provinciale. Per cui, quando io parlo di Azienda Sanitaria, parlo
di tutto il territorio del Trentino. Inoltre, come già succede da altre parti,
noi siamo organizzati in U.O. di Psicologia. Nel Trentino ce ne sono due,
io faccio parte di quella che ha come competenza il Trentino del Sud.
Come già accennato dal dr. Grandini, il Ministero della Sanità aveva
assegnato alla nostra Azienda Sanitaria un progetto che ha come titolo
“Elaborazione e sviluppo di iniziative preventive di riconosciuta efficacia
per individuare il rischio di DPP”. Io ero la responsabile scientifica.
Gli obiettivi del progetto erano:
- mettere a punto e valutare l‟appropriatezza organizzativa di un
percorso assistenziale rivolto alla donna in gravidanza e nel
periodo post-parto, finalizzato alla prevenzione e al riconoscimento
tempestivo della DPP;
- fornire agli operatori del Servizio Sanitario degli indicatori
69
prontamente valutabili del rischio di insorgenza della depressione
postnatale nelle donne in gravidanza e nel periodo postparto;
- valutare sul campo l‟efficacia dei trattamenti psicologici prima e
dopo il parto;
- diffondere le conoscenze sul tema della depressione periparto,
sulla appropriatezza dei percorsi di intervento e condividere i
risultati del progetto attraverso alcuni momenti formativi aziendali.
Il progetto è partito formalmente a febbraio 2008, dopo un primo tempo
di revisione sistematica della letteratura e degli strumenti per lo
screening. Abbiamo continuato ad utilizzare l‟EPDS – test più utilizzato e
quindi confrontabile con la letteratura internazionale-, ma abbiamo
anche creato un‟intervista semistrutturata ad hoc; è stato poi introdotto
un nuovo strumento per l‟individuazione della sintomatologia depressiva,
e di questo ringraziamo molto la prof.ssa Monti che ne stava valutando
l‟efficacia della versione italiana e che ci ha coinvolti in questo. Infine è
stata creata una scheda di raccolta di dati ostetrici, perché per noi era
importante soprattutto valutare la correlazione tra tipo di parto ed esiti.
Lo studio di metodo
Si è previsto di studiare le donne in gravidanza e nel postparto, ad
esclusione di quelle che presentavano problematiche psichiatriche o di
tipo psicotico, gravi disturbi di personalità, tossicodipendenza, grave
limitazione della comunicazione verbale o conoscenza della lingua
italiana molto scarsa, eventuali complicanze ostetriche o neonatali gravi.
Le donne potevano entrare in questa ricerca in tre momenti diversi: in
gravidanza alla 10°-12° settimana (primo accesso), alla 28°-30°
settimana (secondo accesso) e al momento del parto (terzo accesso).
Affinché questo lavoro potesse realizzarsi, l‟Azienda Sanitaria ha dato
una borsa di studio a due psicologhe che hanno poi concretamente
seguito il percorso.
70
Ginecologi e ostriche hanno collaborato al reclutamento delle donne
durante il primo accesso; il secondo accesso è avvenuto nei consultori,
in occasione dei corsi di preparazione alla nascita; le psicologhe borsiste
si sono occupate del terzo accesso, andando due volte alla settimana in
reparto per contattare le donne e presentare loro la ricerca.
Alle donne che accettavano di partecipare alla ricerca venivano
somministrati gli strumenti di screening e restituiti i risultati degli stessi.
Se si rilevava un disagio, veniva proposto alla donna un percorso di
psicoterapia breve; all‟interno del percorso di psicoterapia era prevista
anche una valutazione dell‟esito. Se invece le donne risultavano
negative al primo screening, passavano alle fasi successive dello
screening. Naturalmente il terzo livello di accesso alla ricerca non
prevedeva la somministrazione di alcun questionario.
Fasi dello screening: 10°-12° settimana, 28°-30° settimana, 2° mese
dopo la nascita del bambino e, infine, 6°-8° mese.
Per quanto riguarda la valutazione della psicoterapia breve, veniva
proposto un primo colloquio con lo psicologo seguito da altri 4 incontri.
Alle donne in ingresso veniva proposto il CORE OM, uno strumento
validato in italiano che misura l‟ampiezza dello stress psicologico in
maniera trasversale rispetto al tema del benessere, i sintomi e il
funzionamento. Questo strumento veniva utilizzato nel primo colloquio e,
se la donna accettava di intraprendere l‟intero percorso, alla fine del
quarto per valutare se e quanto l‟intervento era stato efficace. Quindi
all‟interno della ricerca, c‟è una ricerca a sé stante sulla valutazione
dell‟intervento nelle diverse fasi.
Le strutture e il personale coinvolti: le strutture ospedaliere della
ginecologia e dell‟ostetricia di Rovereto e i consultori di tutta l‟area, il
servizio formazione, tutti i medici del percorso nascita e il personale.
L‟attività di ricerca vera e propria è incominciata il 3 novembre del 2008,
71
per cui siamo ancora nella fase iniziale.
Lo stato della ricerca al 30 settembre 2009.
Le donne che hanno aderito sono 315, le donne che hanno concluso il
percorso sono 85. L‟età media è di 32 anni, la maggior parte sono
italiane e sposate, le primipare sono il 58%. Per ora vi posso dire che la
media delle donne segnalate per depressione è intorno al 15%,
percentuale conforme ai dati internazionali.
Questi sono i dati relativi al 3° accesso, quello al momento del parto;
ancora non siamo riusciti ad avere dati precisi rispetto al 1° e al 2°
accesso.
Abbiamo notato che è stato difficile coinvolgere le donne al primo
accesso, quello intorno alla 10° settimana, forse perché si tratta di un
momento già estremamente denso di impegni, come l‟ecografia
morfologica e altre visite. Il 2° accesso, rappresentato dai corsi di
preparazione alla nascita, è quello che ha avuto più successo e
maggiore adesione da parte delle signore, forse perché coincide con un
momento in cui le donne hanno “più tempo” e gli operatori si prendono
più tempo. Al 3° accesso, le donne che hanno aderito sono circa la
metà, un dato che ci ha sorpreso.
Le donne hanno apprezzato tantissimo il fatto di poter pensare che
questo servizio ci fosse al di là del fatto che ne avessero bisogno o che
l‟avessero utilizzato; loro sentivano che, qualora avessero avuto
bisogno, avrebbero potuto affidarsi a qualcuno e che esisteva un diritto
di cittadinanza anche per loro, per i loro sentimenti. Questo è il
commento più importante che abbiamo sentito.
La formazione degli operatori
Abbiamo organizzato un primo convegno a metà gennaio, in
corrispondenza dell‟inizio della ricerca; un momento importante per
coinvolgere gli operatori. La formazione sul campo viene realizzata
72
attraverso la discussione di casi clinici che riguardano più figure
professionali (attualmente ci sono quattro gruppi interprofessionali attivi
nella nostra Azienda Sanitaria); inoltre ci sarà un convegno che
organizzerò per la metà del 2010.
Nei corsi di preparazione alla nascita, all‟interno del consultorio e
dell‟U.O. dove lavoro io, abbiamo creato uno spazio dedicato per i futuri
padri, un incontro pensato solo per loro. Ci siamo accorti che, se i futuri
papà hanno un dubbio, una domanda, una perplessità ecc., non ne
parlano se la moglie è presente per paura che si preoccupi. Trovandosi
soli faticano all‟inizio perché un po‟ “inamidati”, ma appena il ghiaccio
viene rotto diventano dei gruppi in cui si lavora moltissimo. Inoltre, su
suggerimento dell‟ostetrica, facciamo dei gruppi anche solo con i futuri
nonni; può sembrare un lusso, ma abbiamo visto che è molto
importante. Non
insegniamo ai nonni a fare i nonni, lo sanno fare
benissimo, però diventa un momento di confronto su come aiutare le
coppie che si apprestano a diventare genitori (nonne che diventano
troppo materne o evitanti).
L‟ultima cosa, ho visto una ricerca dell‟Istituto Superiore di Sanità che
riguarda l‟interruzione volontaria di gravidanza. Si è visto che se a una
donna è concesso il tempo del colloquio, il tempo di pensare e di
riflettere con gli operatori, questo diventa un criterio fondamentale per
riuscire ad abbassare tantissimo le recidività. Per cui “perdere tempo” è
veramente guadagnare tempo, soldi, salute, tempo degli operatori,
tempo di vita per queste persone ecc. Io credo che sia veramente
importante riuscire a sostenere di più. Grazie.
Dr. Domenico Grandini
Grazie dr.ssa Donati, è interessante la ricerca da lei presentata. La parte
finale relativa allo spazio del padre credo che sia una tematica da
73
sottolineare, perché la coppia genitoriale è costituita per il 50% dal
padre.
Riprendiamo le relazioni, invito la dr.ssa Belicchi che ci parlerà di
percorsi integrati della maternità, esperienza svolta presso l‟Azienda di
Rimini
Dr.ssa Cristina Belicchi, Azienda di Rimini
Un saluto a tutti, Io sono la dott.ssa Felici Belicchi Cristina, sono una
psicologa che lavora nel Consultorio dell'Ausl di Rimini e oggi mi è stato
dato il compito di presentarvi alcuni percorsi integrati di tutela della
maternità, messi in campo in questi ultimi anni all'interno dei Servizi
dell'Ausl di Rimini, a cura del Programma di Psicologia.
Tali percorsi sono stati creati proprio in considerazione dell'attenzione
che si è voluta dare alla problematica della maternità e alla
consapevolezza delle conseguenze che eventuali stati di disagio
psichico materno possono determinare
sulla salute della donna, su
quella del bambino e dell'intero nucleo familiare.
Prima di tutto è utile annotare che in tale campo il lavoro dello psicologo
è strettamente connesso con quello degli altri operatori che si occupano
di maternità, quali le ostetriche, i ginecologi, le assistenti sociali, come
d'altro canto si cerca di creare il raccordo anche con altri professionisti
quali i medici di medicina generale, i pediatri di base, i neuropsichiatri
infantili o gli psichiatri, quando necessita.
Le problematiche psicologiche della gravidanza, le depressioni post
partum e le difficoltà relazionali madre - bambino durante il puerperio,
rappresentano priorità per l'intervento di supporto
e di terapia dello
psicologo.
Vi illustrerò adesso
il 1° percorso integrato, quello relativo
specificatamente alla depressione post-partum che si chiama “Lavorare
74
in rete nella ricerca-intervento sulla depressione post partum”, che
è stato avviato dal 2007 ed è tutt'ora in corso. Tale percorso è stato
progettato da un gruppo di lavoro che ha visto riuniti responsabili e
operatori dei vari dipartimenti, moduli, servizi: oltre al Programma di
Psicologia, ha visto coinvolti il Consultorio familiare, l'Unità Operativa di
Ostetricia e Ginecologia, la responsabile del Percorso nascita, il
Dipartimento di Salute mentale, l'Unità operativa di Neonatologia e
quella di Neuropsichiatria.
Lo scopo di tale progetto è proprio quello di poter individuare
precocemente e poi trattare i casi di depressione post-partum.
Il campione a cui fa riferimento è rappresentato dalle donne inserite nel
percorso nascita dell'Azienda Usl di Rimini, che rappresentano circa il
48% circa delle partorienti della nostra Provincia.
Le modalità d'intervento sono rappresentate:
- da un lavoro di formazione/informazione degli operatori, in particolare
le ostetriche
del territorio ed ostetriche, infermiere, puericultrici
ospedaliere,
- da un uso di strumenti di depistaggio sui fattori di rischio,
- dall'individuazione precoce dei sintomi,
- -da
un intervento di sostegno e trattamento psicoterapeutico
tempestivo.
Per quanto riguarda la metodologia, in una prima fase, viene
somministrato da parte delle ostetriche del Consultorio di Rimini e
Riccione un questionario di autovalutazione alle donne, al terzo trimestre
di gravidanza, in occasione della loro frequentazione del corso di
75
preparazione alla nascita, col quale si cerca di rilevare l‟esistenza o
meno di situazioni di rischio depressivo o di problematiche emotive già
in atto.
Il questionario è stato costruito su indicatori che fanno riferimento a
precisi fattori di rischio (su questi indicatori ci ritorneremo tra poco) e la
sua somministrazione avviene con la singola donna, in una dimensione
che la motivi a rispondere con tranquillità e con franchezza alle
domande, sensibilizzandola anche all'utilità di tale strumento nella
rilevazione
di
problematiche
per
le
quali
la
donna
potrebbe
eventualmente ricevere un aiuto. La modalità d'intervento dell'ostetrica,
anche in questa situazione, tende a comunicare alla donna che nel suo
percorso
possono emergere disagi più o meno passeggeri, da
riconoscere come tali e che è importante, possibile ed utile chiedere
aiuto.
Le ostetriche si avvalgono del contributo dello psicologo che segue
questo percorso per elaborare i questionari e per valutare le singole
situazioni, definendole come situazioni di Rischio Assente, oppure di
Lieve Rischio, oppure di Rischio. In entrambe questi ultimi due casi le
ostetriche inviano i nominativi delle donne al Reparto di Ostetricia
dell'Ospedale di Rimini, in più, nelle situazioni di Rischio, alla donna
viene proposta una Valutazione Psicologica ed un eventuale Sostegno
Psicologico già in gravidanza. Nelle situazioni di Rischio che non
necessitano di sostegno viene comunque proposto un Follow-up
psicologico al 3° mese dal parto.
Potrebbe inoltre essere riscontrata, durante il percorso, anche la
presenza di Gravi Disturbi Mentali e in tal caso lo psicologo invia la
donna ad una valutazione psichiatrica per una eventuale presa in carico.
Si passa poi ad una seconda fase, che coinvolge le ostetriche
76
dell'Ospedale di Rimini, le quali utilizzano per le donne partorienti,
durante la loro degenza nel Reparto di Ostetricia, una griglia di
osservazione post-parto, al fine di effettuare un'ulteriore valutazione
relativa allo stato psicologico della donna e alla sua relazione con il
bambino, in base ad altri indicatori di cui vi dirò.
Anche qui ci possono essere situazioni di Rischio Assente, di Lieve
Rischio, oppure di Rischio. In questi due ultimi casi le ostetriche
contattano la psicologa ospedaliera per confrontarsi e/o inviare la donna
alla psicologa del territorio per una sua presa in carico.
Le
situazioni
poi
che
presentano
un
Rischio
Lieve
preparto
accompagnate da un Rischio lieve o un Rischio postparto vengono
inviate ad una valutazione psicologica entro 4-6 settimane dal parto.
Questo può portare ancora o ad un sostegno psicologico/psicoterapia o
un Follow-up psicologico al 3° mese dal parto.
Relativamente agli indicatori rilevati nel Consultorio, attraverso il
questionario di autovalutazione ( durante quindi la prima fase di cui
parlavo prima), troviamo:
- il n° dei figli,
- la percezione del livello di stress, la presenza di eventi di vita
stressanti,
- la presenza o meno di un sostegno emotivo o di un sostegno
pratico,
- l'attività lavorativa,
- il sostegno nella coppia o invece cattive relazioni intraconiugali o
anche assenza del partner,
- il livello di autostima,
- una familiarità di disturbi psichiatrici,
- sintomi premestruali,
- una gravidanza pianificata o invece indesiderata,
- la presenza di sintomi depressivi o ansiosi,
- lo stato civile e lo stato socio-economico.
77
Per quanto riguarda invece gli indicatori della griglia di osservazione
utilizzata in Ospedale, nella seconda fase, è prima di tutto interessante
segnalare come questi indicatori siano stati costruiti in itinere con il
contributo significativo delle ostetriche stesse, al fine proprio di poter
utilizzare uno strumento per loro di facile impiego. Tra questi indicatori
ritroviamo:
- la sintomatologia ansiosa e quella depressiva,
- la tipologia del parto o eventi imprevisti durante il parto,
- l'allattamento al seno,
- eventuali patologie del neonato,
- disturbi del sonno, pianto del neonato,
- modalità consolativa del neonato da parte della mamma,
- tipo
di
relazione
mamma/bambino,
contatto
oculare
madre/bambino,
- la rete sociale e familiare di sostegno.
Per la diagnosi e trattamento della Depressione post-partum gli psicologi
fanno riferimento alle indicazioni inserite nel “Protocollo localmente
concordato sulla depressione post-partum” che prevede quali strumenti
per la diagnosi:
- il colloquio clinico,
- la scala di Edimburgo,
- altri strumenti testistici.
Mentre per il trattamento sono previsti:
- psicoterapia a tempo definito (da 8 a 12 sedute)
- oppure psicoterapia di gruppo (con definizione di numero minimo e
massimo di sedute).
78
Come ho già detto prima, il lavoro che vi ho esposto è strutturato come
ricerca-intervento e quindi ora vi andrò ad esporre i dati della ricerca che
si riferiscono al periodo settembre 2007-dicembre 2008, dove abbiamo
un campione di 197 questionari somministrati dalle ostetriche del
Consultorio e 60 griglie di osservazione delle ostetriche dell'Ospedale. In
Consultorio, in base ai parametri che vi ho esposto prima, è risultato che
103 donne (52%) non presentavano una situazione di rischio (NR), 68
(34%) presentavano una situazione di rischio lieve (RL) e 26 (13%)
presentavano una situazione di rischio (R).
Nello stesso periodo, come già detto, sono state compilate in Ospedale
60 griglie di osservazione alle donne durante la degenza per il parto,
dalle quali è emerso che 49 donne (82%) non presentavano una
situazione di rischio (NR), 8 (13%) presentavano una situazione di
rischio lieve (RL) e 3 (5%) presentavano una situazione di rischio (R).
Sempre all'interno di questo percorso sono state prese in carico dallo
psicologo del Consultorio in quel periodo: nel pre-parto 9 donne (4%) e
nel post-parto 13 donne (6%). Due donne prese in carico dallo psicologo
sono state poi inviate al CSM. Il totale di donne che ha effettuato un
trattamento psicologico è risultato quindi di 24 donne (12%).
In tale percorso, come in tutti gli interventi di psicoterapia o di sostegno
indirizzati agli adulti effettuati dagli psicologi della nostra Azienda, è stato
utilizzato il CORE, che è un sistema di valutazione degli esiti del
trattamento psicologico, composto da un questionario (CORE-OM),
somministrato al paziente nel primo accesso e alle dimissioni, e da due
schede di rilevazione, compilate dal terapeuta, la prima all'inizio e la
seconda alla fine del trattamento.
Il Core è un sistema di valutazione dei trattamenti che permette di
rilevare sia la parte sintomatologica che di funzionamento del paziente,
79
può essere usato in vari tipi di psicoterapie o setting, é adatto a
somministrazioni ripetute e quindi da un lato può servire al singolo
terapeuta per valutare i cambiamenti del paziente nel corso del
trattamento, dall'altro a livello di Servizio per delinearne il profilo, il tipo di
utenza per confrontarlo con altri Servizi e quindi monitorarne la qualità.
Rispetto alla somministrazione di questo strumento sulle pazienti con
DPP, si sono portati ad esempio i dati riferiti a sei donne a cui il
questionario è stato somministrato sia all'inizio che alla fine del
trattamento.
Dati della somministrazione completa
del CORE -OM su pazienti con DPP
Paziente
1
sesso
F
età
24
Servizio
consultorio
data 1°somm/ne benessere problemi funzionamento
10/04/2008
2,25
2,08
1,08
13/03/2008
1,5
1
0,5
08/05/2008
2,25
2,08
1,16
11/09/2008
1,75
0,91
1,08
rischio
0
totale
1,38
tot-R
1,67
0
0,7
0,85
0
1,4
1,7
0,16
0,94
1,1
2
F
38
consultorio
3
F
45
consultorio
4
F
31
consultorio
5
F
36
consultorio
27/05/2008
3,5
3,16
2,75
1,16
2,7
3,03
6
F
36
consultorio
16/10/2008
1,5
2,3
1,83
0
1,65
2
totale
0,58
tot-R
0,71
2
F
3
F
4
F
5
F
data 2°somm/ne benessereproblemi funzionamento rischio
età Servizio
25 consultorio 20/11/2008
0,5
0,83
0,66
0
38 consultorio 19/02/2009
0,75
0,58
0,33
0
0,5
0,58
0,25
0
45 consultorio 26/02/2009
0,5
0,08
0,91
0
32 consultorio 12/03/2009
1
1,3
0,7
0,16
36 consultorio 30/07/2009
6
F
37 consultorio
Paziente sesso
1
F
06/08/2009
1,25
1,6
1
0
0,41
0,5
0,35
0,42
0,4
0,5
0,88
1,03
1,08
1,3
Nella prima parte sono riportati, oltre a sesso, età - luogo e data di
somministrazione, i punteggi relativi ai quattro domini del CORE: il
80
dominio
del
benessere
soggettivo
(4items),
il
dominio
dei
sintomi/problemi (12 items che si riferiscono a sintomi depressivi, sintomi
ansiosi, sintomi fisici ed effetti del trauma), il dominio del funzionamento
(12 items che si riferiscono alle relazioni significative, al funzionamento
generale e sociale), rischio (6 items che si riferiscono ad aspetti auto ed
eterolesivi). C'è poi il totale che corrisponde al punteggio medio di ogni
donna e raffigura il
livello di disagio psicologico al momento della
misurazione, con punteggi maggiori che corrispondono a problemi
maggiori. (Per dare un'idea, i punteggi soglia totali per le popolazioni
cliniche sono risultati essere 1,19 per i maschi e 1,29 per le femmine e
una seconda soglia di 2,50 sia per gli uomini che per le donne demarca
la popolazione clinica affetta da disturbi medio-lievi, dalla popolazione
clinica affetta da disturbi gravi)
Nella seconda parte sono riportati invece i punteggi ottenuti nella
somministrazione del questionario alla fine del trattamento e come
possiamo vedere il confronto tra i due dati ci consente di valutare l'esito
del trattamento e ci dice se il livello di disagio del paziente è diminuito e
in che misura.
81
I RISULTATI GRAFICI DEL CORE-OM
1
2
3
4
5
N. Pazienti in carico
Dopo
6
Prima
Questo grafico ci fa meglio vedere quanto l'intervento psicoterapico o di
sostegno psicologico effettuato su queste sei donne abbia portato ad un
esito positivo, più o meno consistente per ognuna di loro, comunque
significativo e ci sollecita a perseguire questa strada.
Il 2° percorso attivato a tutela della maternità è il “Percorso per madri
con disturbi emotivi”.
L'obiettivo di tale percorso è quello di offrire un trattamento psicologico,
in priorità, per quelle donne che non entrano nel percorso della ricercaintervento di cui vi ho parlato, e per quelle che nei primi sei mesi di
maternità dimostrino un disturbo della sfera emotiva, evidenziando uno
specifico quadro clinico.
Gli strumenti utilizzati sono:
la valutazione dell'eleggibilità ai trattamenti, a cura di uno psicologo
esperto, ed il successivo invio per la presa in carico ad uno psicologo
dell'area consultoriale
82
i trattamenti di elezione, quali la psicoterapia a tempo limitato, con
uno standard di 12 sedute; il sostegno psicologico, anche questo con
uno standard di 12 sedute, e la psicoterapia di gruppo a tempo
definito.
Nel 2008 gli psicologi dell'area consultoriale di Rimini e Riccione hanno
seguito con trattamenti psicoterapici o di sostegno psicologico 26 donne
che presentavano, o in gravidanza o nei primi sei mesi dal parto, disturbi
della sfera emotiva.
Il 3° percorso riguarda invece l' “Accompagnamento alla nascita per
adolescenti e giovani donne”.
All'interno dei nostri Servizi, l'attenzione alle problematiche della
maternità non poteva non tener conto di una maternità particolare che è
quella delle ragazze adolescenti. Si può ben capire quanto una
gravidanza in età adolescenziale, o anche in tarda adolescenza,
rappresenti un evento piuttosto complesso, poiché essa ha luogo in un
momento evolutivo in cui la personalità è ancora in corso di
strutturazione.
Queste
ragazze
si
trovano
ad
affrontare
contemporaneamente due fasi del ciclo vitale, così particolari, e allo
stesso tempo ricche di cambiamenti, come l‟adolescenza e la
gravidanza, e ciò sicuramente può rendere più complesso il processo
che porta alla formazione di un'identità. Contemporaneamente dalle
ricerche emerge che le madri adolescenti hanno una probabilità doppia
di avere una depressione post-partum, rispetto alle madri adulte e ciò
può andare ad incidere più negativamente sulla qualità della relazione
madre - bambino.
Da tutto ciò emerge l'utilità di un intervento precoce che sostenga
psicologicamente l'adolescente nel suo percorso di costruzione del
nuovo ruolo materno, nella delicata fase evolutiva che sta attraversando.
83
Gli obiettivi quindi di questo percorso sono quelli di:
offrire uno spazio di espressione, confronto e condivisione, che aiuti
queste giovani donne ad affrontare la complessità della loro attuale
esperienza
accompagnarle verso la costruzione del loro futuro essere madri,
tenendo conto dei bisogni evolutivi che ancora le caratterizzano.
Gli strumenti sono rappresentati dalla costituzione di un gruppo,
chiamato “Gruppo Primula” condotto congiuntamente da un'ostetrica e
da una psicologa.
La prima esperienza con un gruppo è terminata da qualche mese; si è
rivolta a 10 gravide in età dai 17 ai 22 anni. Il criterio d‟inclusione nel
gruppo è stata la giovane età accompagnata dalla presenza di alcuni
indicatori di rischio relativi alle caratteristiche di personalità e a
problematiche in ambito familiare e sociale. Non è stato preso in
considerazione invece il criterio dell‟epoca gestazionale, come nei corsi
di preparazione al parto per adulte, in quanto nel corso di un anno il
numero delle gravide adolescenti permette di avviare un totale di due
corsi.
Sono stati effettuati nove incontri settimanali di due ore, non strutturati in
modo rigido, cioè non con tematiche predefinite come nei corsi per
gravide adulte, ma alle partecipanti è stato lasciato lo spazio per poter
riportare liberamente vissuti, esperienze, difficoltà, con un'introduzione
molto graduale degli elementi di realtà, relativi al parto, l‟allattamento, la
relazione con il bambino e i cambiamenti di vita conseguenti alla nascita
del figlio. Come già detto, la conduzione è stata congiunta da parte
dell'ostetrica e della psicologa nella prima parte, della durata di circa
un'ora e mezza, mentre poi, per un'altra mezz'ora, l'ostetrica viene
84
lasciata sola a gestire gli esercizi di preparazione al parto. Sono stati
effettuati anche due incontri dopo il parto, sul modello dei corsi per
adulte che però ne prevedono uno, e le due sedute sono state
necessarie per permettere a tutte le ragazze, che hanno partorito in
tempi diversi, di vivere l'esperienza di ritrovarsi insieme con i propri
bambini.
Tale percorso di accompagnamento alla nascita per adolescenti
continuerà con la costituzione di un altro gruppo di gravide che partirà a
metà novembre prossimo e terminerà a marzo successivo.
Una delle prime valutazioni effettuate sull'esperienza riguarda la
constatazione di quanto il gruppo possa avere una funzione di sostegno,
di aiuto che infonde fiducia; la possibilità per queste giovani donne di
esprimere le proprie preoccupazioni, in una circolarità che permette di
specchiarsi, rende meno ansiogeno il percorso e meno incognito il
passaggio verso il cambiamento.
Un ultimo percorso di cui vorrei parlare è il “Percorso di sostegno
psicologico ai familiari del bambino nato pretermine”
attuato
presso l‟U.O. di Terapia Intensiva Neonatale-Neonatologia dell‟Ospedale
“Infermi” di Rimini in collaborazione con il Programma di Psicologia.
In Italia nei reparti di Neonatologia si sono sempre più diffuse le
collaborazioni tra pediatri neonatologi e psicologi al fine di affrontare la
complessità della nascita prematura non solo dal punto di vista fisico,
ma anche da quello psicologico.
Infatti la nascita prematura si configura come un vero e proprio evento
traumatico sia per il bambino che per i genitori e la sua complessità è
tale da richiedere un supporto specifico da parte di un équipe
multidisciplinare.
85
Gli interventi proposti hanno finalità protettive e preventive rispetto al
disagio psicologico e mobilitanti risorse/risposte adattive. Il supporto
psicologico ha lo scopo di offrire uno spazio protetto di ascolto ai
familiari, uno spazio in cui il loro malessere possa essere espresso
liberamente sentendosi capiti, sostenuti, accettati e non giudicati; ciò
può consentire meglio l‟elaborazione dei loro stati emotivi negativi, per
poi riuscire a dare risposte adeguate al loro bambino sofferente, che
spesso è in pericolo di vita, ed è bisognoso di essere accolto e nutrito
non solo dal punto di vista alimentare, ma anche da quello psicologico
ed affettivo.
L'intervento clinico svolto dalla psicologa all'interno dell'U.O. di Terapia
Intensiva Neonatale-Neonatologia dell‟Ospedale “Infermi” di Rimini è
strutturato con:
- Colloqui psicologici di sostegno individuale, di coppia e familiare con i
genitori e con i fratelli di nati pretermine, a seconda delle necessità,
durante il periodo di degenza del neonato
- Gruppi di formazione, discussione, riflessione e supervisione dei casi
per il personale medico-infermieristico che lavora nel reparto
- Raccordo con la fisioterapista che interviene sui neonati ricoverati
anche per un eventuale successivo invio alla U.O. N.P.I. territoriale
Venendo ai dati, vediamo che nel 2008 la psicologa, durante la
degenza, ha preso in carico:
- 45 coppie di genitori
 con 27 ha effettuato un intervento di sostegno di coppia
 con 18 ha effettuato un intervento di aiuto all'elaborazione del
lutto per la morte del nascituro;
- 132 madri per un intervento di sostegno individuale;
- 4 fratellini per un intervento di sostegno relativo all'informazione su
quello che stava accadendo.
86
Dr. Domenico Grandini
Grazie dr.ssa Belicchi, sono emersi molti contenuti interessanti. Andiamo
avanti con i nostri lavori e diamo la parola alla dr.ssa Antonella Liverani
che lavora a Forlì presso il Dipartimento materno-infantile, dove svolge il
lavoro di psicologa. Ci parlerà di disagio emotivo in epoca prenatale,
lavoro svolto a Forlì in questi anni.
Dr.ssa Antonella Liverani, Azienda di Forlì
Io mi collego al lavoro presentato questa mattina dalla prof.ssa Fiorella
Monti e parlerò della ricerca-intervento che si sta ormai concludendo
all‟interno dell‟AUSL di Forlì, cercando di trasferire il lavoro di ricerca alla
clinica.
Si tratta di una ricerca-intervento perché, di fronte a situazioni
evidenziate a rischio o con segni manifesti di disagio dal primo
screening, abbiamo proceduto ad una valutazione di approfondimento
utilizzando la SCID, per la formulazione di una diagnosi secondo i criteri
del DSM IV;
abbiamo quindi offerto uno spazio alla mamma o alla
coppia dove portare liberamente esperienze e vissuto emotivo. Di fronte
a quadri sintomatici che non si contestualizzano all‟interno di quella
condizione fisiologica che rende le madri naturalmente depresse, in
ansia o preoccupate (blues materno), è stato possibile creare dei
percorsi di sostegno psicologico, strutturati nel rispetto dei bisogni
specifici della donna o della coppia, che potessero tener conto di una
lettura dei nuclei di sofferenza, con un focus sulle dinamiche interne alla
madre e su quelle relazionali nel tempo della perinatalità. Gli interventi
hanno visto una forte integrazione con i Servizi socio-sanitari,
ospedalieri e territoriali. Questo dialogo, che gestiamo ormai in modo
consolidato, ci ha permesso di riflettere su eventuali segni di
vulnerabilità e criticità.
87
Di fronte invece a situazioni ad alto rischio, per psicopatologia severa o
per rischio o pregiudizio psicosociale, si avvia una progettualità integrata
con figure professionali multidisciplinari e con servizi di ordine
specialistico. In tal senso si è strutturata un‟unità di valutazione così
composta: capo ostetrica dell‟U.O. di Ostetricia, pediatra dell‟U.O. di
Pediatria e Neonatologia, psicologa, coordinatrice del Percorso Nascita
territoriale, ginecologo e ostetrica territoriale - se la gravidanza è stata
monitorata presso il consultorio Salute Donna-, assistente sociale del
servizio sociale area maternità-puerperio, educatrice del percorso
nascita centro famiglie e del comune - che favorisce la continuità
attraverso visite domiciliari-, referenti dei centri specialistici (psichiatra e
assistente sociale o infermiere del CSM o del SERT che hanno in carico
la situazione).
La concertazione di questi interventi è regolata da protocolli operativi
che il Dipartimento materno-infantile ha stilato con ogni servizio
specialistico coinvolto definendo finalità, tempi e procedure operative.
L‟équipe multidisciplinare interviene per le risposte complesse, dove
scattano l‟emergenza e l‟urgenza. Dobbiamo tenere conto di due ordini
d‟urgenza: clinica e psico-sociale. Questo comporta: una valutazione
multidisciplinare e una presa in carico integrata, un assetto organizzativo
in grado di intervenire in modo interistituzionale, un modello che
contempla la tempestività operativa, uscendo quindi dal modello classico
dell‟ambulatorio con la lista d‟attesa; ciò vale per i diversi tipi di presa in
carico: sociale, psicologica, psichiatrica e anche di osservazione e
monitoraggio, attraverso le visite domiciliari gestite dal gruppo territoriale
del percorso nascita. Riteniamo di essere all‟interno di una operatività
che si è già avviata e che nel contempo ha provveduto anche a definire
accordi e protocolli. Ancora forte ed evidente è la fatica nel tollerare le
smagliature nel sistema, nell‟affrontare le sue stesse fragilità. Un cenno
88
rispetto la compatibilità tra la psichiatria adulta e la psicopatologia
perinatale, dove la dimensione del sé materno è tanto compromessa
quanto bisognosa di essere protetta, rispettata e curata. È importante
riferirsi a modalità differenziate di intervento integrato tra servizi
specialistici; la stessa psichiatria ha assunto un ruolo vincolando il
proprio intervento nel rispetto dei bisogni specifici, dalla consulenza alla
presa in carico al ricovero protetto. In particolare il ricovero viene
strutturato in un‟ottica di tutela e protezione anche del ruolo materno.
Vi porterei dei casi esemplificativi delle tipologie di intervento che
mettiamo in atto.
Il primo caso riguarda una signora, intercettata attraverso la ricercaintervento, che alla prima valutazione testistica aveva ottenuto un
punteggio di 18 all‟EPDS, di 95 e 97 rispettivamente per l‟ansia di stato e
di tratto.
Inizio ad incontrarla al terzo trimestre di gravidanza. Coniugata e
professionalmente occupata come farmacista, la signora è ultimogenita
di 5 fratelli. Il marito è figlio unico. Nel 2005 la prima gravidanza si
interrompe spontaneamente all‟11° settimana, nel 2006 la seconda si
interrompe alla 7° settimana. Segue un intervento all‟utero con
menopausa indotta farmacologicamente per tre mesi. Dalla prima
interruzione di gravidanza si evidenziano segni di depressione reattiva; a
questo proposito la donna dichiara: “avevo un senso di vergogna, mi
sentivo in colpa, piangevo senza motivo e mi sono isolata, mi sono
allontanata dalle amiche, non uscivo più, ogni motivo era valido per
starmene in casa. Di notte non dormivo e sudavo, facevo fatica anche al
lavoro: quell’anno è come se non lo avessi vissuto. Questo malessere si
è protratto fino alla gravidanza successiva, dove ero già convinta che
tutto sarebbe andato male, avevo già fallito ”. Nell‟anamnesi familiare, si
evidenziano nel fratello della signora crisi depressive cicliche, con fasi
89
euforiche e con sporadiche condotte violente.
Durante i primi mesi dell‟attuale gravidanza, il padre della signora, già
affetto da patologia cronica, si è ammalato. Lei si è impegnata nel
prendersi cura di lui, non mostrando preoccupazione alcuna per la sua
gravidanza. In questo periodo fa molta fatica a dormire, ripetuti risvegli
con brutti sogni la lasciano in uno stato di angoscia. Sente una continua
stanchezza ed è spaventata perché dimentica di fare le cose o di averle
già fatte. Manifesta ansia rispetto al pensiero di non essere in grado di
accudire la piccola e vive il terrore di essere sola di fronte alle sue
difficoltà.
Nel colloquio successivo al parto che definisce essere stato una buona
esperienza, si sofferma a parlare del raffreddore della bambina e della
fatica che fa a respirare. La piccola ha 25 giorni e cresce bene. La
signora teme che la piccola abbia problemi neurologici, senza alcun
riferimento che possa ricondurre ad una reale preoccupazione, e
riferisce: “ho paura che non ci sia tutta di testa”. Riporta che di notte
rimane sveglia per vedere se respira.
Ho mantenuto un contatto quindicinale con la paziente e nei nostri
dialoghi ho accolto e compreso le sue ansie ed angosce, che si
traducevano in senso di smarrimento e profonda inadeguatezza, in
condotte di iperprotezione e doverosi impegni. Restituivo questi vissuti
emotivi compresi e mentalizzati, ne parlavamo insieme, recuperando
anche la dimensione di riconoscimento, di gratificazione e di godimento
dell‟esperienza, la rinforzavo. Per il sostegno al puerperio abbiamo
attivato le visite domiciliari che, in questo caso, hanno avuto la
peculiarità di sostenere la madre attraverso un maternage fatto di
rassicurazioni, agendo in termini di rinforzo al recupero delle funzioni
materne. Questo processo permette di ricostruire un ponte tra
l‟esperienza attuale della mamma e il vuoto pieno di paure, ansie,
90
angosce, derivanti dalle sue stesse esperienze primarie. In questo
senso, anche la visita domiciliare assume in sé una valenza terapeutica:
permette di osservare il movimento psichico della madre e valutare i due
possibili versanti verso i quali si orienta, il riemergere o il ripiegamento.
In questi interventi le visite domiciliari si ripetono settimanalmente e si
protraggono ben oltre il mese di vita del bambino.
Man mano che la signora recuperava stabilità, i nostri incontri si sono
diradati; ora la bambina ha 5 mesi e mezzo, hanno iniziato lo
svezzamento, accompagnato ancora dall‟allattamento al seno. Durante
la notte la piccola fa qualche risveglio, mentre la mamma ancora sente il
bisogno di controllarla. La signora afferma di essere un po‟ preoccupata
per il lavoro che riprenderà tra 3 mesi, con orario ridotto; si avverte una
forte preoccupazione per i genitori e anche per il fratello.
Parla del suo rapporto con la bambina e lo definisce buono, si sente in
sintonia con lei. Si avverte ancora una forte ansia anticipatoria, la
signora è consapevole di dover pianificare con grande anticipo ogni suo
cambiamento. Ci si accorda per un colloquio, che avverrà tra circa 2
mesi, per verificare l‟andamento anche in riferimento al suo rientro al
lavoro.
Vi porto secondo caso, gestito nel 2008, che definirei di entità grave, in
cui si è riflettuto insieme all‟équipe multidisciplinare.
Si tratta di un caso di disturbo depressivo maggiore con comportamento
orientato al suicidio, con tentativo agito durante la gravidanza e con una
manifestazione di spunti psicotici dopo il parto. Qui si è proceduto al
ricovero della madre in SPDC per il ripristino della terapia farmacologica
e per la stabilizzazione del quadro sintomatico, intervento non
secondario per la tutela della madre e del neonato. Al contempo, il
ricovero del piccolo in neonatologia per tre ordini di motivi: 1) mantenere
91
un contatto quotidiano madre- bambino: la madre veniva accompagnata
tutti i giorni da un‟infermiera dell‟SPDC a far visita al bimbo, mantenendo
così una continuità del legame; gradualmente veniva affiancata dalle
nostre infermiere per avviare gli accudimenti. Tutto questo nel rispetto
delle possibilità della madre, restituendole speranza, incoraggiando il
suo coinvolgimento e ottimizzando il suo potenziale senza forzarla; 2)
dare
tempo al papà e al contesto parentale per organizzarsi nelle
funzioni
sostitutive
materne
e
nell‟apprendimento
delle
stesse
procedure; 3) organizzare un intervento psicosociale di sostegno e di
osservazione, che potesse garantire una dimissione protetta, sia per la
madre che per il neonato.
Al momento della dimissione il servizio sociale di maternità e puerperio
ha impostato un intervento di sostegno con una educatrice che
quotidianamente, per 4 ore al giorno, affiancava la madre negli
accudimenti del bambino, mentre nelle rimanenti ore della giornata c‟era
la costante presenza del marito che ha potuto usufruire di orario
lavorativo ridotto.
Lo stesso servizio sociale ha mantenuto contatti e verifiche costanti
attraverso le visite domiciliari, i colloqui con la coppia e le osservazioni
dell‟educatrice, oltre a fornire un sostegno economico.
Infine il terzo caso, trattato di recente, è una situazione di disturbo
ansioso-depressivo con tratti fobico-ossessivi molto invalidanti, sia per il
fluire dell‟affettività che per l‟espressione delle capacità cognitive. Si
tratta di un quadro psicopatologico già esistente e farmacologicamente
compensato prima della gravidanza, non conosciuto dal marito. La
sintomatologia si è slatentizzata nell‟immediato post-partum ed è stata
intercettata dal Pronto Soccorso, a cui la donna si è rivolta quando la
bambina aveva 8 giorni, dichiarando di avere pensieri di violenza verso
92
la neonata e di sentire l‟impulso di buttare la bambina dalla finestra.
L‟intervento si è articolato nel ricovero della piccola e della madre presso
la nostra U.O. di Neonatologia, con la partecipazione attiva della
psichiatria per la valutazione, la terapia farmacologica e l‟osservazione
continua.
Noi abbiamo provveduto al sostegno materno attraverso: la vicinanza di
un‟ostetrica che ha curato la sospensione dell‟allattamento materno a
causa dell‟assunzione di farmaci; le infermiere della neonatologia che,
con tatto e assoluta delicatezza, osservavano la funzionalità della madre
negli accudimenti, riservandole interventi diretti solo su bisogno specifico
ed eventualmente su richiesta della madre stessa, infondendole
costante fiducia.
Da parte mia, ho visto tutti i giorni la signora durante la degenza; le ho
offerto uno spazio di ascolto, dove lei stessa potesse portare le sue
angosce e sentire che potevano essere tollerate e comprese, dove
potesse sentire che non c‟era giudizio, bensì legittimazione delle sue
fatiche e dei suoi sforzi. Quelle paure si sono ridimensionate e quegli
affetti violenti e devastanti sono sfumati pian piano. La funzionalità e la
competenza materna si è canalizzata in un processo evolutivo: da una
costante e profonda insicurezza - il poter fare del male alla bambina-, ad
uno stato di sempre maggiore sintonia tra i suoi bisogni, i bisogni della
piccola e il suo dedicarsi, ridimensionando in sé l‟estrema polarizzazione
degli affetti. Inoltre, con il consenso della signora, abbiamo gestito la
sensibilizzazione del marito, sia nel prendere consapevolezza dello stato
di sofferenza della moglie, sia nell‟assumere un ruolo attivo di sostegno
per lei, in quanto anche questo avrebbe avuto una funzione
fondamentale in termini terapeutici.
Vi leggerei una parte di colloquio in tempo di degenza, quando ormai la
signora incominciava a stare meglio:
93
“I pensieri cattivi sono meno; ora vengono ancora per qualche minuto,
mi fanno spaventare, mi torturano, mi chiedo “quando mi vanno via?”.
Spero che mi vadano via sia quando sono con la bimba sia quando sono
da sola; quando vengono e sono con la bambina la prendo, la bacio e le
dico “ti amo tanto, ti amo tanto”. Ora mi sento sicura ed adeguata nel
lavarla, nel vestirla, nel darle da mangiare. Prima della crisi mi sentivo
male, per i pensieri che avevo dentro di me, mi dicevo che io la bambina
non la meritavo, avevo paura a guardarla perché temevo di farle male e
sentivo un impulso forte. Ora riesco a guardarla e le dico “tu sei la mia
vita e non ti faccio niente di male”. Prima mi sentivo tanto giù e sentivo di
non avere la forza per riprendermi. Spero che tutto svanisca e niente
deve rimanere di questi pensieri nella mia testa; ancora ho qualche crisi
di pianto, però riesco a fermarla. Ora penso, “da dove mi sono venuti
questi cattivi pensieri?” E mi rispondo “forse perché ero sola”.
Ora
la
piccola
ha
quasi
tre
mesi.
L‟intervento
di
sostegno
multidisciplinare prosegue e ci vede tutti coinvolti con modalità e intenti
sintonici al recupero materno.
Per concludere, la ricerca-intervento ha rappresentato sicuramente una
strada maestra in termini di stimolo al lavoro, di intercettazione e di
valutazione dei casi, di sensibilizzazione del personale sanitario e
sociale, della capacità di cogliere e di fare una prima valutazione senza
difendersi dietro a banalizzazioni, minimizzazioni o allarmismi. Essa ci
ha anche permesso di lavorare su un campione più ampio e con binari
di accesso anche diversi. Ora, come gruppo operativo del percorso
nascita ospedaliero, territoriale, sociale e sanitario, siamo impegnati in
momenti di formazione e nello sforzo di operare per migliorare il
funzionamento di un lavoro integrato multidisciplinare, sempre più
aderente ai bisogni specifici delle singole situazioni.
Grazie.
94
Dr. Domenico Grandini
Grazie dr.ssa Liverani. Andiamo avanti, invitiamo al tavolo il dr.
Sgrignani: lavora a Cesena nel Consultorio Familiare e ci parlerà della
sua esperienza.
Dr. Fabio Sgrignani, psicologo, Azienda di Cesena
Grazie per avermi invitato e per avermi dato la possibilità di parlare della
nostra esperienza.
Negli anni Novanta, all‟interno del Consultorio
Familiare di Cesena, era stata svolta un‟azione di formazione rivolta
soprattutto alle assistenti sanitarie che effettuavano le visite domiciliari
alle neomamme. In quel periodo, durante l‟azione di formazione svolta
da due colleghe psicologhe, era stata identificata una scheda di
rilevazione del disagio relativa all‟interazione madre-bambino. Tale
scheda era però preposta a cogliere i segnali di disagio e non
specificatamente quelli di depressione. Se ricordo bene, essa veniva
utilizzata durante le visite effettuate nel primo mese e mezzo dopo il
parto. Nel tempo questo tipo di osservazione è stata sostituita da un‟altra
più legata ad elementi di puericultura, invece che a quelli di matrice
relazionale all‟origine della scheda.
Per quanto riguarda gli interventi dedicati effettuati fino a questo
momento, essi sono stati puntiformi e legati a situazioni particolari. Nel
2004, a seguito di incontri di confronto con colleghi, è nata l‟idea di una
formazione più specifica; con l‟aiuto della prof.ssa Fiorella Monti,
abbiamo avviato una formazione per operatori psicologi, assistenti
sanitari e pediatri di libera scelta. In questa occasione abbiamo potuto
osservare
una
cosa
singolare;
le
depressioni
post-partum,
dall‟osservatorio dei pediatri di libera scelta, rappresentavano una
nosografia che possiamo definire “trasparente”: quando li abbiamo
intervistati e chiesto la loro esperienza in proposito, non ricordavano casi
di DPP. Ricordavano casi di psicosi puerperale, ma non di depressione.
95
Sembravano cioè essere tarati per rilevare una forma estrema di
patologia e non il disagio relazionale. Partendo da questa constatazione,
abbiamo deciso di utilizzare l‟EPDS, che si è rilevato essere uno
strumento condiviso nell‟identificare il rischio di DPP.
La scelta che abbiamo fatto credo sia particolare: abbiamo pensato di
creare un gruppo di pediatri che fossero interessati ad utilizzare lo
strumento dell‟EPDS e li abbiamo formati, per oltre un anno, con incontri
e supervisione sui casi. Per me che ero il formatore, è stata
un‟esperienza molto interessante; la riuscita di questa esperienza mi è
stata confermata proprio da uno dei pediatri che, in un‟occasione
successiva, ha detto “mi si è aperto un mondo, una dimensione
completamente nuova”. In altre parole si è aperto il mondo della madre e
della
relazione
tra
madre,
bambino
e
padre,
una
presa
di
consapevolezza rispetto al fatto che ciò rappresentasse un elemento
fondamentale per lo stato di benessere del bambino. I risultati di questa
sperimentazione
sono
stati
approfondimento
pediatrico,
mostrati
durante
regolarmente
le
proposte
giornate
di
dall‟AUSL di
Cesena. Da metà 2006 è stato avviato uno screening della DPP, in base
ad un accordo con i pediatri di libera scelta, attraverso proprio l‟utilizzo
dell‟EPDS durante il bilancio di salute del bambino nel secondo mese.
Ho usato la parola screening anche se, a dire la verità, la ricerca sulla
depressione puerperale non adotta in pieno le caratteristiche di questa
metodologia. Si avvicina più che altro, come diceva il dr. Farneti, al case
finding, a quella ricerca di patologia, attraverso un test di screening, in
pazienti che si rivolgono al medico con sintomi non correlati alla malattia
che viene esplorata dal test. In altre parole, la scala di Edimburgo non
permette una diagnosi di depressione, né permette una valutazione dello
stato mentale della puerpera, ma è utile per indirizzare il professionista
verso il sospetto della depressione.
96
Due parole sul perché abbiamo privilegiato la figura del pediatra: poiché
egli ha in cura il bambino, è in grado di mantenere un legame molto
solido con la famiglia e rappresenta un buon aggancio che ci permette di
monitorare il caso anche a lungo termine.
Abbiamo scelto come soglia di attenzione all‟EPDS un punteggio di 1011; un punteggio pari o superiori a 12 rappresenta la soglia di criticità.
Questi sono i risultati dell’EPDS somministrati negli anni 2006,
2007 e 2008:
Il test è stato eseguito nel 2006 da 498 donne, pari al 42%; nel 2007 da
1064, pari al 57%; nel 2008 da 1453, pari al 79,2% di tutte le donne che
si sono presentate al bilancio di salute con il loro bambino. Quando il
pediatra rilevava, tramite lo strumento citato, una soglia di vulnerabilità,
poteva attivare diverse possibili strategie:
- la prima poteva essere quella di effettuare una rivalutazione periodica,
con colloqui anche con il partner, che abbiamo visto essere nella
maggioranza dei casi abbastanza recettivo all‟invito, probabilmente più
aperto nei confronti di un sanitario rispetto ad una figura psicologica,
forse percepita come più minacciosa. In letteratura è chiarito come le
mamme traggano vantaggio dalla presenza di un supporto esterno che
svolga un‟azione di contenimento emotivo e che possa permetterle di
condividere il ruolo materno.
- l‟altra possibilità era segnalare il disagio al medico curante,
naturalmente d‟accordo con la signora. Veniva inoltre caldeggiato il
rapporto con le ostetriche del consultorio, che spesso erano già state
conosciute dalle donne durante i corsi di preparazione al parto o durante
l‟assistenza alla gravidanza fisiologica. Se le donne erano disponibili,
veniva caldeggiata anche la loro partecipazione ai corsi di massaggio al
neonato che noi organizziamo. Veniva naturalmente proposto il
sostegno domiciliare da parte dell‟assistente sanitario della pediatria di
97
comunità e, nei casi considerati più complessi, si attivava l‟invio allo
psicologo da parte delle ostetriche, delle assistenti sanitarie o del
pediatra.
Nel 2008, sul totale di donne intercettate, 124 presentavano un
punteggio pari o superiore a quella che abbiamo definito essere la soglia
di criticità; di queste, 123 (99,2%) sono state prese in carico con una
rivalutazione periodica da parte del pediatra; 73 hanno attivato un
colloquio diretto con il partner; 10 sono state segnalate al medico
curante, 9 sono state contattate dalle ostetriche, 7 hanno potuto godere
delle visite domiciliari da parte delle assistenti sanitarie, 8 sono state
inviate allo psicologo del consultorio.
È emersa una tendenza da parte dei pediatri, che potrebbe
rappresentare una criticità, a trattenere le prese in carico, una difficoltà
cioè ad attivare il secondo livello rappresentato dall‟assistente sanitario,
dall‟ostetrica e dal ginecologo. Delle 8 donne inviate allo psicologo, 6
hanno rifiutato sentendosi minacciate dall‟invio. Una di queste ha scelto
un terapeuta privato, un‟altra ha preso contatto con me e con lo
psicologo deputato ed è stata presa in carico per una depressione di tipo
medio. Non so perché queste donne preferissero un terapeuta privato,
forse ha inciso la mancanza di conoscenza del percorso specifico
aziendale per le depressioni.
La gravidanza ed il post parto rappresentano un momento di crisi, nel
senso più letterale ed etimologico del termine. La parola crisi deriva dal
greco crino, che significa “separare, bruscamente, con un colpo di
spada”; si tratta quindi di qualche cosa che separa nettamente due
dimensioni dell‟essere femminile: il prima e il dopo parto. Le situazioni
che nella vita hanno questa grossa capacità trasformativa, sono
situazioni ad alta densità emozionale. Forse riesco a spiegarmi meglio
98
se faccio riferimento a un testo, una fiaba: “Alice nel paese delle
Meraviglie”. Sapete certamente il racconto, Alice segue il Bianconiglio, il
Bianconiglio va nella tana, Alice scende nella tana. Successivamente
sperimenta alcune cose: beve una pozione e diventa prima una bambina
piccolissima, poi una bambina enorme – noi potremmo dire una
mamma-, poi ritorna piccolissima, poi ancora enorme e poi, finalmente,
arriva nel Paese delle Meraviglie, dove incontra un personaggio, un
bruco che fuma una sorta di narghilè seduto su un fungo:
“e il bruco domanda ad Alice: e tu, chi sei?
Alice rispose un po’ imbarazzata: - ma, veramente non saprei signore.
Almeno per ora, cioè sta mattina, quando mi sono alzata lo sapevo, ma
da allora credo di essere cambiata diverse volte-.
-Che vorresti dire? - disse il bruco secco- spiegati meglio.
-Temo di non potermi spiegare signore –disse Alice- perché io per prima
non lo so.
- Non capisco.
-Temo di non poter essere più chiara di così -rispose Alice con garboperché , purtroppo, io sono la prima a non capirci più nulla e poi,
cambiando dimensione tante volte in un giorno solo, finisco per
scombussolarmi parecchio.
Macchè! -rispose il bruco-Ma forse a lei non sarà mai capitato -disse Alice- ma quando dovrà
trasformarsi in crisalide, e lo sa che succederà un giorno o l’altro, e poi
in farfalla, io dico che si sentirà un po’ strano, non crede?
- Neanche per sogno- rispose il bruco.
-Si vede che lei la pensa in questo modo -disse Alice- la sola cosa che io
so è che oggi mi sento molto cambiata”.
Ecco, io partirei da questo e cioè dal fatto che Alice non è più in grado di
pensarsi, non è più in grado di rappresentarsi, non sa più che cosa è,
99
non sa più chi è davvero. E quindi va aiutata a percepirsi attraverso
qualcuno, attraverso qualcosa, attraverso una rete di persone che le
rimandino
un‟immagine
considerazione,
ricostruita
possiamo
dire
di
che
sé.
la
Partendo
gravidanza
da
questa
rappresenta
sicuramente un momento particolarmente denso di emozioni, che per
qualche donna rappresenta anche l‟accesso a una dimensione d‟ansia e
di depressione. In alcune donne questa dimensione si può strutturare in
una vera e propria patologia. Sebbene esistano donne che hanno già
problemi psichiatrici pregressi, e quindi la gravidanza può aggravare i
sintomi depressivi, la DPP secondo noi è un disturbo specifico, distinto
dalla diagnosi di depressione. Nella nostra esperienza, la maggior parte
delle donne con sintomi depressivi post parto, e che non ha alle spalle
altri episodi, in genere riesce a superare abbastanza bene la crisi.
Mi piacerebbe inoltre discutere con i colleghi delle depressioni post parto
al maschile, che non sono state trattate. Sarebbe interessante
confrontarci su questo; io faccio corsi di formazione alle coppie nel pre
parto e svolgo degli incontri con i soli padri, mi fa piacere avere sentito
che anche altri lo fanno. Personalmente ho notato che, se i papà hanno
uno spazio nel quale esprimersi, parlano tranquillamente delle loro
angosce, paure, ansie e del loro vissuto.
Noi abbiamo gruppi di formazione per le ostetriche, abbiamo incontri di
équipe periodici tra ostetriche e psicologi, abbiamo svolto una
formazione specifica con le assistenti sanitarie e ne vogliamo proporre
un‟altra rivolta al potere cogliere i segnali di disagio in donne che
provengono da culture diverse. Questa mattina ho sentito anche da altri
colleghi sostenere che le donne straniere rappresentino una criticità. La
difficoltà più grossa che abbiamo è proprio quella di osservare e
riconoscere i segnali di disagio che vengono espressi in culture diverse
dalla nostra, veicolati con modalità simboliche diverse. È molto
100
complesso attivare un sistema di valutazione nosologica dei segnali,
perché difficili da riconoscere come tali.
Un pensiero particolare va allo strettissima collaborazione che hanno le
figure degli psicologi, all‟interno del nostro consultorio, con le ostetriche,
con le quali non solo facciamo incontri di équipe mensili; c‟è anche
un‟organizzazione molto forte, perché svolgiamo insieme i corsi di
preparazione alla nascita e perché noi psicologi offriamo un‟azione di
supervisione per molti casi. Proprio questa capacità di confronto
rappresenta lo strumento di lavoro più interessante che possediamo in
questo ambito, grazie al quale arriva il maggior numero di donne. La
maggior parte delle donne che noi vediamo sono inviate dalle ostetriche.
Concludo parlando dei progetti che noi portiamo avanti. Abbiamo una
progettualità basata su tre punti:
1. il primo è quello di sviluppare ulteriormente la rilevazione tramite
l‟EPDS a lungo termine, effettuando un retest (ora il retest è
costituito dal colloquio diretto con il pediatra);
2. formare degli operatori in grado di saper leggere i segnali predittivi
anche durante la gravidanza; siamo tutti focalizzati sul post parto,
invece mi piacerebbe spostare il focus e istituire tutta una serie di
strumenti che ci permettano un minimo di predittività;
3. lavorare di più con il Dipartimento di Salute Mentale che, mi
dispiace dirlo, risulta un po‟ scisso dalle collaborazioni. È stato
possibile coinvolgerlo solo su pochi casi specifici, particolarmente
gravi, in cui era inevitabile il ricovero in SPDC o nel caso in cui le
donne erano già conosciute dal servizio.
Dr. Domenico Grandini
Grazie dr. Sgrignani, indubbiamente emergono spunti di riflessione.
Abbiamo sentito quattro esperienze, dalle quali emergono obiettivi
comuni, ma anche differenze. Io darei spazio alle domande, se ce ne
101
sono.
Ci sono dei punti di raccordo tra i Servizi che meritano di essere
approfonditi laddove ancora emerge la scissione, come diceva il dr.
Sgrignani.
Domanda da parte di una partecipante: io vorrei fare una riflessione e
forse anche dare uno stimolo a chi si occupa di questo problema. Ho
sentito piacevolmente parlare del puerperio come di quei 40 giorni in cui
la donna ha bisogno di un sostegno particolare da parte della comunità
al femminile. Io ho una formazione sistemica: va bene la donna, va bene
la coppia, ma ribadisco l‟importanza del contesto. Al giorno d‟oggi, ad
esempio, non si può fare a meno dei nonni; quindi, quanto può essere
recuperato dalla famiglia di origine? Il contesto sociale purtroppo non ci
può più riproporre i modelli del passato; forse però la famiglia d‟origine
può essere recuperata veramente come risorsa, perché i nonni
c‟entrano. Al giorno d‟oggi c‟entrano tanto. Io sono psichiatra e non avrei
mai definito depressione quella che voi chiamate depressione; per me la
depressione è una patologia grave, seria e che ha tutta una dimensione
organica particolare che arriva al delirio. Nella DPP, l‟esperienza comune
delle donne è uno stato depressivo che non può prescindere dai
personaggi che si faranno carico dell‟ accudimento del bambino. Mi
piacerebbe che chi studia questi temi allargasse veramente la visuale: il
focus non può essere solo la donna, non può essere solo la coppia,
deve essere qualche cosa di più.
Dr Domenico Grandini
Passiamo alla Regione, al dr. Saponaro. È qui in sostituzione del dr.
Fioritti, che non è potuto essere presente. Il dr. Saponaro lavora in
Regione già da anni ed è un portavoce significativo del Servizio
Regionale.
102
Dr. Saponaro
In qualità di portavoce del Servizio Regionale non vi parlerò degli aspetti
tecnico-professionali, clinici, bensì degli aspetti organizzativi. Ho
concordato questa relazione con il dr. Fioritti, che ci teneva molto ad
essere qui e vi porto i suoi saluti (ricordo che è lui il fautore del
Programma di Psicologia e ha spinto molto in questa direzione).
Leggendo la documentazione che mi è stata fornita dal dr. Fioritti per
potere arricchire la mia relazione, sono rimasto colpito particolarmente
dall‟introduzione che il dr. Fioritti fa all‟opuscolo del programma di
Psicologia dell‟Azienda Usl di Rimini: “la prospettiva psicologica è ormai
diventata inevitabile. I campi di potenziale intervento dello psicologo in
sanità si allargano a dismisura (…). In breve, l’espansione della
domanda di psicologia è evidente e rappresenta una opportunità; ma al
contempo c’è un rischio, un rischio rilevante, che è quello della diluizione
di una figura professionale su aspetti così molteplici e diversi che rischia
di svalutarne le competenze e ridurle al rango di un intervento
aspecifico, di contorno. Soprattutto in questo periodo di preoccupazione
circa la capacità di assicurare livelli generali di assistenza, gli interventi
di contorno, di non sicura validazione, possono essere non apprezzati.
In questo contesto viene in maniera preponderante una grossa
opportunità che è il Programma di Psicologia”. (delibera regionale n.
2011 del 2007, direttiva che viene data alle Aziende Usl per l‟adozione
degli indirizzi in merito alle forme organizzative dei Dipartimenti di Cure
Primarie, Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, Sanità Pubblica,
dove una rilevante novità è sicuramente rappresentata dall‟istituzione del
Programma di Psicologia).
Vorrei leggere queste cinque righe della delibera: “un discorso
particolare merita l’attività di psicologia clinica. Le Aziende devono
dotarsi di un modello organizzativo che dia il necessario coordinamento
103
e che garantisca appropriatezza. Viste le caratteristiche interdisciplinari
e interdipartimentali dell’intervento psicologico nelle Aziende, il modello
che meglio sembra garantire un’appropriatezza e una qualità è quello
del Programma all’interno del Dipartimento di Salute Mentale e
Dipendenze Patologiche”.
Praticamente e senza ombra di dubbio, questo convegno ne è
dimostrazione; la delibera ha attivato un processo virtuoso non ancora
completato: la maggior parte delle Aziende ha istituito il Programma di
Psicologia, due hanno istituito U.O. e due devono ancora formalizzare.
Potremmo dire che il panorama Regionale è completo. Di fatto, a
prescindere dalle forme organizzative, ciò che importa è che il
Programma faccia cose di programma, in particolare: lavorare in staff
con la Direzione Generale nella committenza di tutte le attività ed
interventi inerenti alla professione dello psicologo; occuparsi della tutela
della salute attraverso un‟attenzione non solo ai sintomi, ma anche ad
altri indicatori di disagio, come il profilo comportamentale, oltre che alla
comunicazione sociale, alla prevenzione della salute (…). Quindi il
Programma come luogo di sviluppo delle competenze psicologiche,
come valorizzazione della professionalità e delle competenze dello
psicologo.
Io ritengo che, alla luce delle esperienze fatte in altri settori - cito ad
esempio cosa ha portato il Programma Regionale nel campo delle
dipendenze
patologiche
professionalità,
di
in
risorse
termini
ecc.
-,
organizzativi,
lo
stesso
di
sviluppo
processo
di
verrà
necessariamente sviluppato nelle aziende della Regione. So che esiste
già un gruppo di lavoro regionale, sempre promosso dal Servizio
Regionale, che ha elaborato delle linee forti in merito, anche se ancora
provvisorie, comprendenti una serie di bisogni sanitari e sociosanitari,
bozze in via di definizione sulle disabilità fisiche, malattie croniche ecc. I
104
prodotti riguardano:
-accesso e accoglienza;
-valutazione
all‟équipe
psicodiagnostica,
curante,
refertazione,
consulenza
ad
altre
supporto/consulenza
professionalità/servizi,
consulenza psicologica, supporto psicologico, intervento indiretto,
trattamenti integrati di psicoterapia.
Concludo questo mio brave intervento con un messaggio forte
caldeggiato dal dr. Fioritti: abbiamo passato una fase di avvio, siamo
nella fase di consolidamento, è ora di partire nella “fase matura”. Nel
senso che da programmi aziendali di psicologia, bisogna passare al
Programma Regionale di Psicologia. La dr.ssa Russo ha avuto un ruolo
determinante in questo, non posso non dirlo; molta della spinta che c‟è
oggi in Regione è derivata anche dal suo intervento e quello di altri
psicologi, persone che hanno delineato questo percorso. Non si tratta di
una cosa in divenire, esiste una delibera che dice espressamente che la
Regione si è impegnata e si impegna formalmente a costruire questo
nuovo programma; il convegno di oggi segue tale direzione: quella di
creare risorse, opportunità e professionalità da condividere a livello
regionale all‟interno del Programma.
Dr.ssa Maria Maffia Russo
Ringrazio per l‟attenzione e per il convegno che siamo riusciti ad
organizzare.
Grazie di cuore a tutti.
105
Parte seconda - N. 65
Anno 39
Euro 6,15
20 maggio 2008
DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE 21 aprile
2008, n. 533
Direttiva alle Aziende sanitarie in merito al programma percorso nascita
N. 82
2
20-5-2008 - BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA - PARTE SECONDA - N. 82
DELIBERAZIONI REGIONALI
DELIBERAZIONI DELLA GIUNTA REGIONALE
REGIONE EMILIA-ROMAGNA
DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA REGIONALE 21 aprile 2008, n. 533
Direttiva alle Aziende sanitarie in merito al programma percorso nascita
LA GIUNTA DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
Visti:
– la Legge regionale 27/89 “Norme concernenti la realizzazione di politiche di sostegno alle scelte di procreazione ed agli
impegni di cura verso i figli”;
– la Legge regionale 26/98 “Norme per il parto nelle strutture
ospedaliere, nelle case di maternità e a domicilio”;
– la propria delibera 282/05 del 14 febbraio 2005 “Nomina dei
componenti della Commissione “Percorso nascita” ai sensi
della L.R. 26/98, art. 10”;
– la propria delibera 2464/99 “Legge 31/1/1996, n. 34 art. 3
comma 4. assegnazione alle Aziende USL di finanziamenti
per l’attivazione e la gestione di consultori. Variazione di bilancio”, ed in particolare il progetto: “Promuovere azioni per
realizzare l’umanizzazione del parto, promuovere
l’allattamento al seno nonché pratiche di assistenza alla gravidanza, al parto, al neonato sano dimesso, di provata efficacia”;
– la propria delibera 309/00 “Assistenza distrettuale. Approvazione linee guida di attuazione del Piano sanitario regionale 1999-2001” che annovera, in ambito distrettuale, i due
programmi “salute donna” e “famiglie, infanzia ed età evolutiva”;
– il DPR 7/4/2006 col quale è stato approvato il Piano Sanitario nazionale per il triennio 2006-2008;
– il Piano Sanitario regionale 1999-2001 approvato con delibera consigliare n. 1235 del 22/9/1999;
– la L.R. 29/04 e successive modifiche “Norme generali
sull’organizzazione ed il funzionamento del Servizio Sanitario regionale”;
– la delibera di Giunta regionale n. 1448 dell’1 ottobre 2007 di
proposta all’Assemblea legislativa del Piano sociale e sanitario 2008-2010;
– la propria delibera 2011/07 “Direttiva alle Aziende Sanitarie
per l’adozione dell’atto aziendale di cui all’art. 3 comma 4,
della L.R. 29/04: indirizzi per l’organizzazione dei dipartimenti di cure primarie, di salute mentale e dipendenze patologiche e di sanità pubblica”;
– l’Accordo Stato Regioni dell’1 agosto 2007 sulle linee progettuali per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale 2007 – Linea progettuale 2 “Salute della donna e del neonato”;
valutato che tra gli obiettivi prioritari del Piano Sanitario
nazionale 2006-2008 vi sono:
– il miglioramento dell’assistenza ostetrica e pediatrico/neonatologica nel periodo perinatale, il parto indolore e
l’allattamento materno precoce;
– la riduzione del ricorso al taglio cesareo;
– le campagne di informazione rivolte alle gestanti ed alle puerpere, attraverso i corsi di preparazione al parto ed i servizi
consultoriali;
– la prevenzione del disagio psicologico nel periodo perinatale;
considerato che la proposta di Piano Sociale e Sanitario regionale 2008-2010 indica tra i percorsi assistenziali ad elevata
integrazione l’area materno-infantile, indicando tra le forme di
intervento da sviluppare:
– le azioni promosse dai Consultori familiari in merito
all’informazione e alla consulenza relativamente al tema
della sessualità e della procreazione responsabile, alla tutela
della procreazione stessa e al sistema articolato di prestazioni in grado di fornire il complesso degli interventi afferenti la
gravidanza, la nascita, il puerperio;
– l’individuazione di progetti, interventi e servizi che rafforzino localmente il diritto alla tutela della “buona” nascita;
considerato che la Commissione consultiva tecnico scientifica sul Percorso nascita (di seguito indicata come Commissione
nascita) ha già attuato un approfondimento relativo alla qualità
dell’assistenza alla gravidanza, al parto e al puerperio:
– esaminando gli aspetti relativi alla accoglienza offerta alla
donna nelle differenti strutture sanitarie e alla continuità del
percorso assistenziale;
– monitorando le modalità dei parti avvenuti nelle strutture
ospedaliere pubbliche e private, nelle case di maternità ed a
domicilio;
– individuando i principali criteri per l’elaborazione di protocolli relativi all’attuazione delle più appropriate ed efficaci
modalità organizzative per l’assistenza ostetrica;
– valutando il ricorso ai servizi sanitari da parte delle donne e
dei loro bambini;
– individuando indicatori utili alla descrizione della realtà regionale sul percorso nascita, evidenziando anche le fonti da
cui raccogliere le informazioni necessarie per la loro costruzione;
dato atto che gli obiettivi da perseguire indicati dalla L.R.
26/98 sono ancora attuali, e che le linee strategiche ed attuative
indicate dalla Commissione nascita, in coerenza con tale legge,
si integravano con il Progetto regionale di riorganizzazione dei
Consultori familiari di cui alla propria delibera 2464/99;
considerato che i lavori condotti poi nel periodo 2005 –
2007 attraverso l’analisi degli indicatori, apposite rilevazioni, e
gruppi di esperti dalle Aziende sanitarie hanno permesso alla
Commissione nascita di individuare i seguenti obiettivi per il
Servizio Sanitario regionale:
1) realizzare una razionalizzazione delle metodiche invasive
utilizzate per la diagnosi prenatale di anomalie cromosomiche, mediante l’uso di metodologie finalizzate alla ridefinizione del rischio e all’aumento dell’efficienza della
diagnosi prenatale;
2) predisporre un percorso razionale della diagnostica ecografica delle anomalie morfologiche fetali, ivi inclusa la
possibilità di eseguire gli opportuni approfondimenti diagnostici finalizzati ad una migliore definizione della prognosi e alla offerta di un adeguato e tempestivo counselling alla donna;
3) applicare le linee di indirizzo regionale per la ridefinizione
del ruolo dell’ostetrica e la sua integrazione con le altre figure professionali nell’assistenza al percorso nascita (gravidanza, parto e puerperio), con la costruzione di modelli
assistenziali che vedano al centro la donna e la sua famiglia;
4) promuovere e consolidare l’adozione della linea guida sul
“Controllo del benessere fetale in travaglio di parto” per la
valutazione e la modifica delle prassi assistenziali al travaglio di parto in termini di appropriatezza degli interventi,
di definizione dei ruoli professionali, introducendo criteri
di migliore pratica clinica basati su prove di efficacia;
5) migliorare l’assistenza ai disturbi emozionali della donna
in gravidanza e nel primo anno di vita del bambino anche
sperimentando interventi di prevenzione e terapeutici che
completino l’assistenza al percorso nascita;
6) attuare interventi di supporto alla relazione madre-bambino e di promozione e sostegno all’allattamento al seno;
7) favorire il processo di ascolto dell’opinione delle donne e
delle coppie che hanno accesso ai servizi per il percorso
nascita, mediante l’adozione di strumenti e modalità di indagine specifici;
8) garantire un miglioramento della prassi diagnostico assistenziale in caso di nato morto, evidenziando gli interventi
atti a ridurre la natimortalità e favorire un miglioramento
nella qualità dei dati raccolti e nella comunicazione e degli
interventi di supporto rivolti alle famiglie;
20-5-2008 - BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA - PARTE SECONDA - N. 82
9) garantire un’assistenza qualificata al travaglio e parto fisiologico in ambiente extra-ospedaliero;
10) garantire a tutte le gravide i corsi prenatali “di base” in
quanto interventi educativi a tutela della maternità e sperimentare un’offerta attiva dei corsi di accompagnamento
alla nascita in grado di raggiungere la popolazione svantaggiata;
11) aumentare le conoscenze e l’attenzione dei professionisti e
delle donne al tema “il dolore nel parto”, anche attraverso
sperimentazioni controllate di metodiche farmacologiche
e non farmacologiche;
considerato che per il raggiungimento degli obiettivi sopraccitati la Commissione nascita, di cui alla delibera 282/05,
ha fornito indicazioni a livello regionale, con riferimento alle
evidenze di letteratura, come da allegato alla presente deliberazione (Allegato 1), anche attraverso l’elaborazione dei seguenti
documenti sempre allegati alla presente deliberazione, della
quale costituiscono parte integrante e sostanziale (Allegato 2):
– diagnosi prenatale precoce delle principali anomalie cromosomiche – offerta attiva strutturata;
– linee di indirizzo per l’assistenza ostetrica alla gravidanza, al
parto e al puerperio;
– linea guida “Il controllo del benessere fetale in travaglio di
parto” – Elaborazione ed implementazione della linea guida;
– i disturbi emozionali della donna in gravidanza e nel primo
anno di vita del bambino;
– percorso nascita e qualità percepita: rassegna bibliografica;
– la natimortalità: un programma di analisi e monitoraggio degli eventi mediante audit;
– linee di indirizzo per l’assistenza al travaglio e parto fisiologico in ambiente extra ospedaliero;
e che l’analisi del contesto, la ricognizione delle fonti di dati
esistenti e l’individuazione degli indicatori disponibili è sintetizzata nel Rapporto “Dati di contesto: caratteristiche della popolazione e modalità assistenziali praticate”, ugualmente allegato alla presente deliberazione (Allegato 3);
dato atto che con propria delibera n. 1921 del 10/12/2007
“Linee guida alle Aziende Sanitarie della regione Emilia-Romagna per il controllo del dolore in travaglio di parto” è stato
approvato il documento dal titolo “Il controllo del dolore in travaglio di parto”, elaborato da un apposito gruppo di lavoro della
Commissione, costituito dal Direttore generale Sanità e Politiche sociali con determinazione n. 608 del 10 gennaio 2007;
valutato di altissimo valore il contributo che i lavori della
Commissione nascita portano al miglioramento della qualità
assistenziale del percorso nascita, attraverso lo sviluppo delle
relazioni, del confronto e del lavoro comune tra professionisti,
il riferimento costante alle linee guida e alle esperienze più qualificate del settore;
ritenuto pertanto di adottare i documenti sopra elencati,
quale riferimento per le azioni che le Aziende sanitarie dovranno mettere in atto per qualificare ulteriormente gli interventi rivolti alla donna/coppia e al neonato nel percorso nascita, e le
schede che, per ciascuno degli obiettivi che hanno orientato i lavori della Commissione nascita, riassumono modalità operative e risultati attesi;
valutato che le Aziende sanitarie dovranno definire piani di
attuazione di ciascun obiettivo in cui vengano esplicitate le modalità di implementazione delle linee guida/raccomandazioni e
le relative fasi/tempi di attuazione, sulla base del contesto locale;
ritenuto necessario monitorare l’attuazione delle indicazioni fornite dalla Commissione nascita da parte delle Aziende sanitarie, attraverso gli specifici indicatori individuati;
dato atto che in data 16 gennaio 2008 sono stati illustrati
alla Commissione assembleare IV – Politiche per la salute e Politiche sociali – i risultati dei lavori della Commissione nascita;
dato atto del parere di regolarità amministrativa, espresso
dal Direttore generale Sanità e Politiche sociali, dott. Leonida
Grisendi, ai sensi dell’art. 37, quarto comma, della L.R. 43/01 e
3
successive integrazioni e modificazioni e della deliberazione
della Giunta regionale 450/07;
su proposta dell’Assessore alle Politiche per la salute;
a voti unanimi e palesi, delibera:
1) di approvare i seguenti documenti:
a) diagnosi prenatale precoce delle principali anomalie cromosomiche – offerta attiva strutturata;
b) linee di indirizzo per l’assistenza ostetrica alla gravidanza,
al parto e al puerperio;
c) linea guida “Il controllo del benessere fetale in travaglio di
parto” – Elaborazione ed implementazione della linea guida;
d) i disturbi emozionali della donna in gravidanza e nel primo
anno di vita del bambino;
e) percorso nascita e qualità percepita: rassegna bibliografica;
f) la natimortalità: un programma di analisi e monitoraggio
degli eventi mediante audit;
g) linee di indirizzo per l’assistenza al travaglio e parto fisiologico in ambiente extra ospedaliero;
h) dati di contesto: caratteristiche della popolazione e modalità
assistenziali praticate;
elaborati dalla Commissione nascita quale riferimento per
le azioni che le Aziende sanitarie dovranno mettere in atto per
qualificare ulteriormente gli interventi rivolti alla donna/coppia
e al neonato nel percorso nascita e le schede che illustrano gli
obiettivi qui sotto elencati:
1) realizzare una razionalizzazione delle metodiche invasive
utilizzate per la diagnosi prenatale di anomalie cromosomiche, mediante l’uso di metodologie finalizzate alla ridefinizione del rischio e all’aumento dell’efficienza della
diagnosi prenatale;
2) predisporre un percorso razionale della diagnostica ecografica delle anomalie morfologiche fetali, ivi inclusa la
possibilità di eseguire gli opportuni approfondimenti diagnostici finalizzati ad una migliore definizione della prognosi e alla offerta di un adeguato e tempestivo counselling alla donna;
3) applicare le linee di indirizzo regionale per la ridefinizione
del ruolo dell’ostetrica e la sua integrazione con le altre figure professionali nell’assistenza al percorso nascita (gravidanza, parto e puerperio), con la costruzione di modelli
assistenziali che vedano al centro la donna e la sua famiglia;
4) promuovere e consolidare l’adozione della linea guida sul
“Controllo del benessere fetale in travaglio di parto” per la
valutazione e la modifica delle prassi assistenziali al travaglio di parto in termini di appropriatezza degli interventi,
di definizione dei ruoli professionali, introducendo criteri
di migliore pratica clinica basati su prove di efficacia;
5) migliorare l’assistenza ai disturbi emozionali della donna
in gravidanza e nel primo anno di vita del bambino anche
sperimentando interventi di prevenzione e terapeutici che
completino l’assistenza al percorso nascita;
6) attuare interventi di supporto alla relazione madre-bambino e di promozione e sostegno all’allattamento al seno;
7) favorire il processo di ascolto dell’opinione delle donne e
delle coppie che hanno accesso ai servizi per il percorso
nascita, mediante l’adozione di strumenti e modalità di indagine specifici;
8) garantire un miglioramento della prassi diagnostico assistenziale in caso di nato morto, evidenziando gli interventi
atti a ridurre la natimortalità e favorire un miglioramento
nella qualità dei dati raccolti e nella comunicazione e degli
interventi di supporto rivolti alle famiglie;
9) garantire un’assistenza qualificata al travaglio e parto fisiologico in ambiente extra-ospedaliero;
10) garantire a tutte le gravide i corsi prenatali “di base” in
quanto interventi educativi a tutela della maternità e sperimentare un’offerta attiva dei corsi di accompagnamento
alla nascita in grado di raggiungere la popolazione svantaggiata;
4
20-5-2008 - BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA - PARTE SECONDA - N. 82
11) aumentare le conoscenze e l’attenzione dei professionisti e
delle donne al tema “il dolore nel parto”, anche attraverso
sperimentazioni controllate di metodiche farmacologiche
e non farmacologiche;
allegati, quali parti integranti e sostanziali del presente provvedimento;
2) di stabilire che:
2.1.) entro il 30/6/2008 le Aziende sanitarie effettuino, anche
con il supporto dei coordinatori e componenti dei gruppi
della Commissione nascita, la presentazione ai servizi in teressati dei contenuti della presente direttiva, in sede di
Area Vasta, finalizzati all’analisi ed al confronto delle
singole realtà locali e alla elaborazione di un piano di attuazione degli obiettivi di cui alla premessa;
2.2.) entro il 31/12/2008 le Aziende sanitarie, a conclusione
degli incontri di verifica e confronto anche con i Servizi
regionali competenti, definiscano il Piano di attuazione,
concordato almeno fra le diverse Aziende che insistono
sui singoli ambiti provinciali ed a valenza quindi almeno
provinciale, in cui vengano esplicitati le modalità di implementazione delle linee guida/raccomandazioni indicate nei documenti di riferimento e di attuazione degli
obiettivi, le fasi e i tempi di realizzazione, sulla base del
contesto locale;
3) di prevedere che i piani di cui al punto 2 vengano inviati
alla Direzione generale Sanità e Politiche sociali che provvederà alla loro valutazione, con il contributo dei coordinatori e
componenti dei gruppi della Commissione nascita che hanno
elaborato i singoli documenti, ed avendo a riferimento gli obiettivi individuati dalla proposta di Piano Sociale e Sanitario e la
necessità di garantire una complessiva omogeneità a livello regionale;
4) di pubblicare il presente provvedimento, comprensivo degli
allegati, nel Bollettino Ufficiale della Regione Emilia-Romagna.
(segue allegato fotografato)
Unità Operativa Risorse Intangibili
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II Convegno Psicologia Area Vasta