la Biblioteca di via Senato mensile, anno vi Milano n. 12 – dicembre 2014 SPECIALE ALDO MANUZIO Aldo, imprenditore ma non troppo di giancarlo petrella Aldo, l’astrologia e il duca di Urbino di gianluca montinaro Il grande enigma: Franciscus Columna di massimo gatta Festina lente, l’Ancora e il Delfino di alberto cesare ambesi Aldo alla Biblioteca di via Senato di giancarlo petrella SPECIALE V CENTENARIO DI ALDO MANUZIO la Biblioteca di via Senato mensile, anno vi Milano n. 11 – novembre 2014 BVS: ARTE Elena Schiavi e il sale della terra di luca piva STORIE DI CARTA Fra gli scaffali: librerie da leggere di massimo gatta BVS: ARCHIVIO MARTINI Fra le carte di Giuseppe Martini di giancarlo petrella LIBRO DEL MESE La Comedia di Dante con figure dipinte di gianluca montinaro GUERRA E LETTERATURA Agli inizi del ’900: fra militanza e intervento di marco cimmino la Biblioteca di via Senato – Milano MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO VI – N.12/57 – MILANO, DICEMBRE 2014 Sommario 4 SPECIALE ALDO MANUZIO ALDO, IMPRENDITORE MA NON TROPPO di Giancarlo Petrella 20 SPECIALE ALDO MANUZIO ALDO, L’ASTROLOGIA E IL DUCA DI URBINO di Gianluca Montinaro 32 SPECIALE ALDO MANUZIO IL GRANDE ENIGMA: FRANCISCUS COLUMNA di Massimo Gatta 40 SPECIALE ALDO MANUZIO FESTINA LENTE, L’ANCORA E IL DELFINO di Alberto Cesare Ambesi 45 SPECIALE ALDO MANUZIO ALDO ALLA BIBLIOTECA DI VIA SENATO di Giancarlo Petrella 56 Il libro del mese LIBRI BELLI COME OPERE D’ARTE FRA AVANGUARDIE E LETTERATURA di Luca Pietro Nicoletti 63 Editoria LA COLLEZIONE DI POESIA EINAUDI (1964-2014) di Massimo Gatta 67 La mostra del mese LUCIO DEL PEZZO DA MARCONI di Luca Pietro Nicoletti 68 Sartoria delle parole e delle cose PERCHÉ ESISTONO I LIBRI? PERCHÉ LI SCRIVIAMO? di Daniele Gigli 70 BvS: il ristoro del buon lettore UN COL ALT, FRA LE MONTAGNE di Gianluca Montinaro 72 HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO SI RINGRAZIANO LE AZIENDE CHE SOSTENGONO QUESTA RIVISTA CON LA LORO COMUNICAZIONE Biblioteca di via Senato Redazione Via Senato 14 - 20122 Milano Tel. 02 76215318 - Fax 02 798567 [email protected] [email protected] www.bibliotecadiviasenato.it Direttore responsabile Gianluca Montinaro Servizi Generali Gaudio Saracino Coordinamento pubblicità Ines Lattuada Margherita Savarese Progetto grafico Elena Buffa Fotolito e stampa Galli Thierry, Milano Referenze fotografiche Saporetti Immagine d’Arte - Milano Immagine di copertina Antonio Frasconi, Ritratto di Aldo Manuzio, 1982 (pubblicato in Theodore Low DeVinne, The First Editor Aldus Pius Manutius, Greenwich, Targ Editions), particolare Stampato in Italia © 2014 – Biblioteca di via Senato Edizioni – Tutti i diritti riservati L’Editore si dichiara disponibile a regolare eventuali diritti per immagini o testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte Reg. Trib. di Milano n. 104 del 11/03/2009 Editoriale S e un anno indubbiamente difficile si chiude per la Biblioteca di via Senato, buone prospettive sembra portare il 2015. Lo apriamo (con un pizzico di anticipo) con questo numero speciale della rivista: un semi-monografico su Aldo Manuzio (1450 ca.-1515), in occasione del V centenario della morte. Principe dei tipografi, intellettuale raffinato, creatore di autentiche opere d’arte (come l’Hypnerotomachia Poliphili, da molti definito il più bel libro mai stampato dall’uomo), Manuzio è stato colui che più di chiunque altro, all’alba dell’evo moderno, ha compreso la “potenza” del libro, come veicolo di idee. Una prospettiva di speranza, quindi, per la Biblioteca di via Senato inaugurare questo 2015 insieme a Manuzio. A questi sentimenti positivi si aggiunge, però, anche quello del dolore. Alberto Cesare Ambesi, da due anni collaboratore fisso della nostra pubblicazione, si è spento poche settimane fa, solo tre giorni dopo aver inviato (secondo la puntualità che lo distingueva) il suo articolo per la rivista. Lo pubblichiamo, postumo, e a lui – persona oltremodo schiva e studioso serio – dedichiamo questo numero. Gianluca Montinaro dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 5 SPECIALE ALDO MANUZIO ALDO, IMPRENDITORE MA NON TROPPO Cultura, affari e collezionismo all’insegna dell’Ancora GIANCARLO PETRELLA S eduto su un solenne seggiora un agile libretto da tasca che lone, Federico da Montefeltiene appoggiato verticalmente con un dito tra le pagine, quasi a tro, nel ben noto Ritratto col non voler perdere il segno di una figlio Guidobaldo attribuito, ma privata lettura interrotta per con riserve, a Pedro Berruguete mettersi in posa. Lettori e lettrici circa 1475, è alle prese con la non silenziosi, pronti a esibire il comagevole lettura di un ponderoso pagno di una pratica intima e volume (qui poco importa se a personale, si affacciano con semstampa o piuttosto manoscritto a pre maggiore frequenza nella rigiudicare da quanto di lui ractrattistica del nuovo secolo.1 Coconta Vespasiano da Bisticci) aperto davanti a sé sul leggio. s’è successo? Il responsabile Nel Ritratto di giovane con libro principale di questo cambiamenverde (1502 c.) di Giorgione il to risponde al nome di Aldo Magiovane con abiti cortigiani nuzio (c. 1450-1515), il ben noto stringe in mano un libretto di maestro di humanae litterae e piccole dimensioni con raffinata Sopra: Aldi Manutii Romani precettore privato di giovani legatura verde smeraldo con Grammaticae institutiones graecae, rampolli di nobili casate originaborchia centrale e angoli in oro. novembre 1515, c. 1r. rio di Bassiano, nei pressi di RoÈ sufficiente una sola mano, in- Nella pagina accanto: Pedro ma, che, giunto al fatidico giro di guainata da guanto grigio che la- Berruguete (1450-1504), Federico boa dei quarant’anni, si era affacscia volutamente scoperto un di- da Montefeltro col figlio Guidobaldo ciato, quasi imprevedibilmente, to per poter meglio sfogliare le (c. 1475), Urbino, Galleria nazionale sul palcoscenico dell’editoria per carte, a reggerne il peso. Il volto delle Marche allontanarsene, vent’anni più del lettore è qui tutt’altro che setardi, da indiscusso protagonivero, quasi assorto. Il gentiluomo dipinto da Agno- sta.2 Il mito di Aldo è universalmente legato, ça va lo Bronzino nel Ritratto di giovane uomo con libro da- sans dire, alle cosiddette aldine e al gusto raffinato tabile al 1540 circa guarda dritto negli occhi l’os- di antiquari e bibliofili che ancora ne prolungano servatore e ostenta, come insegna distintiva del l’eco. Edizioni come il Virgilio in ottavo del 1501 o proprio rango, un raffinatissimo abito nero e anco- il Dante del 1502 segnano autentici spartiacque 6 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Decimus Iunius Iuvenalis; Flaccus Aulus Persius, Satirae, agosto 1501, dedica nella storia dell’editoria. La venerazione per l’Hypnerotomachia Polifili rasenta per certi versi il feticismo e l’edizione, da sola, è stata in grado di eclissare ben più significative edizioni partorite dai torchi manuziani, oltre che di irretire lo studio della ben più articolata stagione del libro italiano illustrato del Rinascimento. È necessario sgombrare il terreno da alcuni facili equivoci evidentemente duri a morire, come si evince da recenti saggi di qualche cultore della materia. Aldo è sì l’artefice di un’autentica rivoluzione, correttamente intesa come un processo di cambiamento repentino e irreversibile, nel campo della produzione libraria, ma non possono essergli addebitati meriti o tantomeno finalità che non gli competono. Mi spiego meglio. Ancora si indulge nella leggenda di Manuzio inventore del libro tascabile (le cosiddette aldine, appunto) o, peggio ancora, del libro economico. Entrambe le affermazioni non rispondono al vero. Il libro tascabile, se così vogliamo chiamare il libro nel più maneggevole formato in ottavo, era già ampiamente diffuso nei decenni precedenti. È curioso che ne facesse discreto uso proprio quell’Andrea Torresani da Asola che sarà socio del Manuzio fin dal 1495, per poi divenirne qualche anno più tardi suocero. Un pur superficiale controllo bibliologico conferma che nei trent’anni circa che precedono la famigerata invenzione manuziana del libro portatile risultano già oltre tremila (!) edizioni nell’agile formato in ottavo, una trentina delle quali recano esplicita sottoscrizione «Andreas Torresanus de Asula». In cosa consisteva dunque la novità di Al- dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 7 Decimus Iunius Iuvenalis; Flaccus Aulus Persius, Satirae, agosto 1501, colophon do, evidentemente così forte da apparire, nella storiografia, come una sorta di ‘re-invenzione’ dell’in ottavo? Se altri prima di lui già avevano fatto largo impiego del formato più piccolo, ciò era però per lo più confinato a libri di carattere devozionale e liturgico, come i libri d’ore o i breviari, o scolastico, come grammatiche ed Esopi. L’unica occasione per portare il libro con sé sembrava dunque confinata al rito della preghiera quotidiana o a quello, più laico, dell’apprendimento sostanzialmente mnemonico del latino e del volgare. Aldo intuisce che esiste una fetta importante del mercato sostanzialmente sgombra dalla concorrenza e si getta alla sua conquista. Si trattava di riproporre testi e autori ampiamente noti che già circolavano in numerose edizioni, ma con una veste tale da apparire ora au- tentiche novità. Quello che Aldo vara è sostanzialmente un vero e proprio progetto embrionale di collana – sebbene ufficialmente spetti qualche decennio più tardi al collega Gabriele Giolito l’adozione del termine ormai abituale in campo editoriale – di autori per lo più latini, con qualche prudente concessione sul fronte del volgare. Classici in piccolo formato, liberati dalle pastoie dei commenti marginali sedimentatisi in decenni di edizioni di grande formato, e perciò offerti non più allo studio e alla lettura sul leggio dello studiolo o sul pluteo della biblioteca, ma alla più intima lettura personale, condotta a diretto contatto con le parole dell’autore. Aldo ardisce insomma fornire Virgilio e Cicerone, il Petrarca volgare e Giovenale alla stregua dei breviari e dei libri di preghiere. Una 8 Decimus Iunius Iuvenalis; Flaccus Aulus Persius, Satirae, agosto 1501, c. A2r. sorta di liturgia laica, per un pubblico d’élite che per la prima volta è messo nelle condizioni di consumare i classici lontano dalle aule universitarie o dagli abituali luoghi di studio. Il formato ridotto innesca in qualche modo una sorta di reazione a catena che ha come immediata conseguenza quella di fare del libro a stampa un oggetto ambito, cercato, persino ostentato, che non ha più nulla da invidiare al prodotto manoscritto in termini di appeal. Le ragioni di tale successo vanno anche a quell’inconfondibile carattere corsivo che per la prima volta trasferiva dalla pagina manoscritta al libro a stampa la sensualissima scrittura umanistica corrente, caratterizzata da ductus frettoloso ma aggraziatissi- la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 mo, lieve inclinazione a destra ed eleganti legature fra alcuni gruppi di lettere. Manuzio, evidentemente non soddisfatto dalla possibilità di adottare, nei cosiddetti enchiridia, un carattere romano di corpo più piccolo, ne aveva affidato il disegno all’incisore Francesco Griffo da Bologna. La scelta nasceva da indubbie motivazioni estetico-culturali piuttosto che economiche, come facilmente si intuisce. Se l’obiettivo fosse stato stipare più testo in ogni pagina, riducendo i costi di produzione, non avrebbe avuto senso investire capitali nel disegno e nell’incisione di una nuova polizza di caratteri, tanto più che il corsivo non garantiva maggior risparmio di carta rispetto a un romano di corpo affine. Contrastano infine con le ipotesi di un pragmatismo tutto mercantile anche gli ampi margini bianchi lasciati nella pagina. Dopo un lancio pubblicitario, o piuttosto un sondaggio, nella silografia in apertura delle Epistole di s. Caterina (1500) su cui si è potuta fornire qualche novità ancora su queste pagine (Santa Caterina, Aldo e le origini del corsivo. La misteriosa nascita di un carattere, «la Biblioteca di via Senato», VI, 3, marzo 2014, pp. 21-28), il corsivo faceva il suo esordio ufficiale come carattere di testo, in fedele abbinamento al formato ridotto, nel Virgilio del 1501. Le aldine ostentate nei ritratti per certi versi sono, mi si passi il paragone, anche autentici status symbol. Al pari di certe librerie, che fanno oggi da fondale a tante interviste televisive, vogliono suggerire le condizioni sociali del personaggio e il suo grado di aggiornamento in termini culturali. Il formato ridotto decreta inoltre un’autentica rivoluzione nei modi e nei tempi della pratica di lettura: non più mediata dall’apparato critico e praticabile in circostanze prima impensabili, come, banalmente, quelle del viaggio. Libri da passeggio, dunque, e pertanto destinati a essere aperti, socchiusi, assaggiati, centellinati. Il progetto di quelli che Aldo chiamava i suoi libelli portatiles o, con snobistico grecismo, enchiridia, ossia, alla lettera, ‘che stanno in una mano’, è avviato nei primi mesi del 1501, dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano con un susseguirsi di uscite che ha tutt’ora dell’incredibile. Ad aprile è immessa sul mercato l’edizione in ottavo di Virgilio (ufficialmente dunque prima edizione aldina in ottavo e prima edizione interamente in corsivo, così da giustificare la venerazione dei collezionisti nei confronti di una reliquia culturale). Seguono, a brevissima distanza, Orazio a maggio, Petrarca volgare a luglio, Giovenale e Persio ad agosto, Marziale a dicembre (presente nel fondo antico della Biblioteca di via Senato). I lettori non fanno in tempo a consumare quanto hanno appena comprato che la collana già si arricchisce di un altro classico. A gennaio dell’anno successivo gli amanti della poesia latina possono godere dell’edizione tascabile che cuce assieme Catullo Tibullo e Properzio, mentre i sostenitori della prosa ciceroniana attendono aprile per assaporare le Familiares. Nello stesso mese esce anche Lucano; in piena estate al già fitto catalogo si aggiungono la Commedia (ma col titolo Le terze rime) e Stazio; entro la fine dell’anno anche un doppio Ovidio (Metamorfosi ed Eroidi). Nel 1504 entra a far parte del piano editoriale anche Omero e un anno più tardi il piccolo formato accoglie il primo autentico inedito della letteratura contemporanea, ossia Gli Asolani dell’amico e collaboratore Pietro Bembo, già curatore dell’edizione petrarchesca e dantesca, nella duplice tiratura con e senza la compromettente dedica a Lucrezia Borgia (entrambe presenti nel fondo antico della Biblioteca di via Senato).3 Le pubblicazioni, pur con ritmo meno intenso, si prolungarono sino alle settimane immediatamente precedenti la prematura scomparsa di Aldo avvenuta il 6 febbraio 1515. Nel gennaio di quell’anno fece ancora in tempo a licenziare l’edizione di Lucrezio, indirizzata all’allievo e protettore di un tempo Alberto Pio di Carpi, con la sottoscrizione, ormai consueta, «in aedibus Aldi et Andreae soceri» (edizione presente nel fondo antico della Biblioteca di via Senato). 9 Titus Lucretius Carus, De rerum natura, gennaio 1515, c. 1r. Nonostante l’innegabile successo di vendite, di cui portano testimonianza indiretta i cataloghi del 1503 e del 1513, le nuove edizioni in piccolo formato avevano creato ad Aldo anche non poche apprensioni. Non esiste prova più sincera della fortuna arrisa alle aldine della repentina immissione sul mercato di palesi contraffazioni a opera di una concorrenza sleale e spregiudicata. Ciò vuol dire, da un lato, che il prodotto aveva colto nel segno, dall’altro che esisteva una fascia di pubblico che poteva anche accontentarsi, probabilmente in virtù di un prezzo inferiore, di un’edizione che avesse solo le fattezze dell’originale. Mi sono sempre chiesto se comprando una falsa aldina made in Lio- dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 11 Nella pagina accanto: Dante Alighieri, Le terze rime, agosto 1502, c. a2r. A destra: s. Caterina da Siena, Epistole devotissime, settembre 1500, c. 1r. ne l’acquirente fosse interessato semplicemente al testo o piuttosto all’oggetto, che gli appariva carico del fascino della novità? Non so dire se ci troviamo di fronte al medesimo atteggiamento culturale che induce oggi ad alimentare il mercato dei falsi, al solo scopo di ostentare il prodotto di marca che non si può possedere, ma evidentemente la vicenda andrebbe più attentamente indagata nei suoi risvolti sociologici. In realtà Manuzio era già abituato a essere preso di mira da colleghi disonesti visto che nel 1499, a un anno esatto di distanza dal suo in folio degli Opera omnia di Poliziano, sul mercato era apparsa un’edizione identica che ostentava al colophon la falsissima sottoscrizione Firenze, Leonardo Arigi. L’edizione non era affatto fiorentina, ma era stata prodotta a Brescia, entro i confini della Serenissima, su probabile iniziativa della consorteria locale dei fratelli Britannico, contravvenendo dunque all’esplicito privilegio che impediva a chiunque per i successivi dieci anni di ristampare l’edizione. Quanto alle aldine, già a pochi mesi di distanza dalla loro uscita ufficiale furono impresse a Lione alcune contraffazioni prive di sottoscrizione esplicita che imitavano ad litteram gli originali veneziani nel formato, nella mise en page e persino nel nuovissimo carattere corsivo, grossolanamente imitato («characteribus simillimis nostri»), sottraendo ampie quote di mercato alla produzione manuziana autentica e arrecando gravi danni a chi aveva investito in termini di ricerca e materiali.4 A nulla era valso il privilegio, concesso dal Senato di Venezia in data 23 marzo 1501, di cui Manuzio si era premunito, forse consapevole di quanto sarebbe accaduto. Il privilegio, cosa assolutamente nuova, non tutelava i titoli e i testi pubblicati, ma i due autentici elementi di novità introdotti dall’officina aldina, vale a dire il formato portatile e il carattere. Da qui una nuova supplica rivolta nell’ottobre del 1502 per ottenere maggiori tutele «perché li vengono tolte le sue fatiche et guasto quello che lui conza, come è stato fatto in Bressa, che hanno stampato una de sue opere et falsato, dicendo impressum Florentiae et al presente li sono state contrafacte le sue lettere et mandate a Lione, et cum esse contrafacto i suoi libri et più messoli el nome de esso Aldo et la sua epistola et scripto stampato in Venetia in casa de Aldo Romano, et lì sono molte incorrectione che è vergogna de questa terra et de esso supplicante». La supplica sortì, sul piano giuridico, l’immediato rinnovamento e successiva conferma del privilegio in data 14 novembre, ma, sul piano pratico, non impedì affatto che il mercato fosse inondato dalle false aldine lionesi, in qualche modo riconducibili alla famiglia dei da Gabiano, o 12 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Sopra: Decimus Iunius Iuvenalis; Flaccus Aulus Persius, Satirae, [Lione, s.d.], cc. A1v-A2r: contraffazione lionese dell’originale aldina dell’agosto 1501. Nella pagina a destra: Titus Lucretius Carus, De rerum natura, gennaio 1515, dedica ad Alberto Pio da Carpi dalle fedeli ristampe dei potenti Giunta fiorentini. Aldo provò allora a giocare l’ultima carta, facendo appello direttamente ai suoi fedeli lettori e clienti. Quest’ultimi avrebbero dovuto guardarsi dalle contraffazioni che circolavano fraudolentemente. Ma come riconoscere un’aldina autentica da una taroccata? La risposta, dettagliatissima, in un Monitum in Lugdunenses typographos del 16 marzo 1503 che conteneva l’elenco delle grossolane differenze: l’assenza di datazione topica e cronologica, l’impiego di carta di bassa qualità e persino maleodo- rante («deterior in illis charta et nescio quid grave olens»), mancanza di legatura fra le consonanti e le vocali.5 Il risultato fu peggiore del previsto, perché i Lionesi, che finirono con l’impiegare il Monitum a proprio vantaggio, ripresero a stampare con le suggerite correzioni. Una curiosità, in anteprima da un ampio volume in corso di stampa per i tipi di Olschki. Ancora in pieno Ottocento un collezionista di aldine, il conte Matteo Thun di Trento, è perplesso di fronte a un paio di edizioni presunte aldine e non sa rassegnarsi a essere stato gabbato: dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano «Theophrasto senza data ed editore sembra aldino» e «Catulus Tibulus Propertius Aldo o contraf. aldina senza anno», segna in margine al suo personale catalogo. A dire il vero Aldo era arrivato ai classici latini solo in seconda battuta, optando, in tempi di crisi, per una più appetibile riconversione della propria proposta editoriale fino a quel momento tutta sbilanciata sul fronte della grecità. All’epoca la scelta aveva lasciato di stucco alcuni fidi amici. Giano Lascaris lo accusava apertamente di affarismo. Scipio Forteguerra, scrivendo da Roma nella primavera del 1505, esprimeva la sua ansia per l’improvvisa 13 interruzione delle pubblicazioni in greco. Se fosse dipeso da lui probabilmente avrebbe continuato a stampare i ponderosi e costosissimi in folio di Teocrito e Aristotele che faticavano però a essere venduti, tanto da essere ancora disponibili, pur a prezzo sensibilmente ridotto, persino nel catalogo del 1513. Sfortunatamente Manuzio non aveva però le mani libere nella conduzione dell’azienda, essendo socio di minoranza di una «Societas impressionis librorum» costituita nel 1495 nella quale le quote di maggioranza spettavano al patrizio Pietro Francesco Barbarigo, di famiglia dogale, e al futuro suocero Andrea Torresani da Asola.6 Sono queste le rassicuranti condizioni economiche (ai più meno note) che permisero a un quarantenne precettore 14 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Aristoteles, Opera (in greco), 1495 con poca esperienza nel campo editoriale di avviare nel 1495 l’ambiziosissimo progetto di stampare per la prima volta i testi originali della letteratura e della filosofia greca.7 È questo il terreno nel quale fiorisce, tra il 1495 e il 1498, l’editio princeps di Aristotele in cinque volumi con dedica all’allievo Alberto Pio lasciato a Carpi, presto seguita, fra le altre, dalle edizioni di Museo, Teocrito ed Esiodo, Aristofane, gli Scriptores Astronomici, Dioscoride e importanti strumenti grammaticali e lessicografici per lo studio della lingua greca. La difficoltà di smercio di tali edizioni doveva però aver messo in allarme gli azionisti di maggioranza che dovettero in qualche modo sollecitare l’idealista Aldo ad apportare le dovute modifiche a un piano editoriale al momen- to poco vantaggioso. È nel contesto della crisi economica e politica dei tardi anni Novanta del Quattrocento che maturano dunque le novità testuali e bibliologiche destinate a imporsi nel decennio successivo, nonché alcune occasionali proposte editoriali in palese contrasto rispetto ai reali interessi manuziani. Ragioni di opportunità economica costringono Aldo ad acconsentire nel 1497 alla pubblicazione dell’Epiphyllides in dialecticis dell’aristotelico Lorenzo Maioli (ma nella prefazione rivela il suo originario rifiuto e di aver ceduto solo dietro la rassicurazione, così attuale, che l’opera sarebbe stata adottata dagli studenti del corso). Nel 1499 acconsente alla stampa del Vaticinium poetico di Girolamo Amaseo e soprattutto della Cornucopia di Nicolò Perotti, uno strumento lessicografico nien- dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano t’affatto congeniale al metodo di insegnamento del latino praticato da Manuzio ma all’epoca ancora richiestissima, come documenta la rapida vendita dell’intera tiratura e la necessità di una seconda edizione nel 1513. Manuzio dovette forse digerire contro voglia persino la pubblicazione, sempre nel 1499, della famigerata Hypnerotomachia Poliphili, il romanzo composto in un curioso ibrido di volgare e latino dal domenicano Francesco Colonna (anch’essa presente nel fondo antico della Biblioteca di via Senato in una copia con prestigiosa provenienza della famiglia milanese Archinto e più tardi del bibliofilo inglese Charles Fairfax Murray, a lungo evocato a proposito dell’antiquario Giuseppe Martini il mese scorso). L’edizione, uno dei più affascinanti esempi del libro illustrato del Rinascimento, era stata commissionata e finanziata dall’influente patrizio veronese Leonardo Crasso e non poteva pertanto essere rifiutata, sebbene non corrispondesse certo ai gusti letterari di Aldo. Poco importa, a questo punto, che il prezzo elevato e la bizzarria del testo ne rendessero poi impervia la commercializzazione, tanto da suscitare l’irritazione del finanziatore che a distanza di anni aveva il magazzino ancora pieno delle copie invendute (oggi è uno dei libri meglio conservati, o almeno nient’affatto raro a dispetto del prezzo, tanto che deve esserne giunta sino a noi una buona metà della tiratura a giudicare dalle copie censite solo in biblioteche pubbliche). Manuzio, forse a disagio ma impossibilitato a rifiutare una lauta commenda in tempi di magra, scelse quantomeno di defilarsi, stampando il proprio nome a caratteri minuscoli in fondo a una pagina di correzioni («in aedibus Aldi Manutii accuratissime»). Ad Aldo non restava che sfogarsi, come abitudine, dalle pagine proemiali. Così, a esempio, nella prefazione al Dioscoride del 1499: «Nescio quid sit … quod ex eo tempore quo non paruo meo incommodo et labore renascentibus in Italia bonis 15 litteris quocunque potui modo coepi opem afferre, omnia mihi aduersa nunc hominum perfidia nunc temporum infelicitate contigerint. Nisi id graecorum infortunio adscribendum est. Quod erumnosi futuri sint quicunque ex nostris graecitati opitulantur» («Io non so come avvenga che da quando ho cominciato tutte le circostanze mi siano state contrarie, ora per il malvolere degli uomini, ora per le avversità dei tempi. Salvo che ciò non si debba attribuire a qualche maledizione che pesi sui Greci, che cioè sia disgraziato chiunque di noi cerchi di giovare alla grecità»). La necessità, e le lagnanze di chi investiva di suo nella Societas impressionis librorum, lo costringevano a pubblicare libri che bussassero più facilmente alle porte dei lettori. Da qui, per certi versi, la brusca sterzata verso i classici latini e la più fortunata, in termini di vendite, stagione degli enchiridia. L’amico Lascaris lo aveva intuito e glielo rinfacciava impietosamente: «benché pensiate di resarcire el damno loro cum le cose latine et accusate li tempi … la vera causa de la vostra transmigratione dela Graecia alla Italia asseverano essere lo guadagno, lo quale senza dubio è indecente cosa che sia primo proposito ad homo docto … et che non solamente de le guerre ma molto più de simile imprese per quanto importano sono nervi li dinari». Ossia, ‘Senza dinare nun se cantano messe’! La legge impietosa del mercato già in passato aveva costretto il dotto Manuzio a indossare i panni a lui così poco congeniali del mercante che invita in modo plateale ad acquistare le proprie edizioni. Solo così avrebbe potuto proseguire nell’audace progetto, sulla carta auspicato da tutti, di offrire le opere degli autori greci. Pertanto in apertura dell’Opusculum Musaei de Herone et Leandro (149597) rivolgeva un accorato appello (in greco) ai suoi colti clienti. Vale la pena rileggerlo nella sua interezza: «Accogliete dunque questo libretto, non è però gratis. Datemi anche del denaro, affinchè da parte mia io possa procurarvi tutti i migliori testi della grecità; e veramente se voi darete anch’io darò giacché senza molto denaro mi è impossibile 16 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 stampare. Credete a chi si è posto al cimento rischiando di persona e principalmente a Demostene che così disse “C’è bisogno di denaro, senza di esso non è possibile far nulla di ciò ch’è necessario”. Ho detto questo non perché io sia avido di denaro, al contrario persone cosiffatte mi ripugnano, ma certo senza denaro non si può procurare alcunchè di quanto voi ardentemente desiderate e per cui non senza tregua e con molto affanno e spesa ci affatichiamo».8 In effetti le cose migliorarono con la nuova collana di classici latini e volgari in ottavo e Manuzio poté riprendere la promessa di un tempo, facendo uscire dai suoi torchi, tra il 1501 e il 1515, ancora una ventina di autori greci in lingua originale, tra cui la princeps degli Opera omnia di Platone. L’interesse di Aldo non era affatto rivolto alla massa indistinta dei semialfabetizzati, ma a una ristretta élite di amici, studiosi e colti lettori, esigenti e benestanti, che potevano permettersi edizioni tutt’altro che economiche, a dispetto di facili supposizioni.9 Un altro equivoco duro a morire è infatti quello che abbia introdotto il formato in ottavo per ridurre i prezzi dei libri e raggiungere in tal modo un pubblico più vasto. Se così fosse ben diverse sarebbero state, innanzitutto, le sue scelte testuali: non i classici greco-latini in lingua originale, ma piuttosto autori e testi di larga circolazione che potessero solleticare l’appetito di chi frequentava la piazza e la taverna. Basti un esempio, che reputo esemplificativo. Nel 1499 Manuzio dà alle stampe, con inevitabile cospicuo investimento per un carattere greco corsivo assai minuto, Dioscoride e Nicandro. Nello stesso giro di anni parecchi colleghi si accontentano di raggranellare quattrini stampando e ristampando alla buona un opuscolo di medicina popolare noto col titolo di Cibaldone. Il costoso Dioscoride sarebbe finito, nelle speranze dell’editore, nelle mani di studiosi e medici e sui banchi dell’università contribuendo alla riscoperta della scienza greca. Il Cibaldone invece nelle saccocce di popolani che ne avrebbero consumato le carte leggendo i rimedi per catarri e stipsi. In folio o nel rivoluzionario formato in ottavo, i prodotti con il logo dell’ancora e il delfino non erano affatto a buon mercato, né allora né oggi. Isabella d’Este ne fornisce una testimonianza involontaria allorché rimanda ad Aldo quattro copie impresse su pergamena, lamentando che valevano la metà di quanto richiesto ma che i soci non si accontentavano di una somma inferiore: «li quattro volumi de libri in carta membrana che ne haveti mandati al juditio di ogniuno sono cari dil doppio che non valeno; havemoli restituiti al messo vostro, il qual ha negato esser il vero, ma scusatovi che li compagni vostri non ni voleno mancho». Persino il grecista bolognese Codro Urceo, amico personale di Aldo, aveva di che lamentarsi nel 1498, protestando che avrebbe potuto acquistare addirittura una decina di buoni manoscritti latini con la somma che aveva sborsato per l’Aristotele greco. Difficilmente studenti e artigiani avrebbero potuto dunque accedere a tali edizioni. Né è immaginabile che Aldo, antesignano dei più raffinati imprenditori del ‘made in Italy’ (penso, a esempio, a Marinella di cui ricorrono proprio quest’anno i cento anni dall’apertura nel 1914 del glorioso negozio in piazza Vittoria 287/A), avesse la benché minima intenzione di raggiungere un mercato di massa. Il suo obiettivo era un pubblico esclusivo, che ancora guardava al libro a stampa con un certo sospetto, se non addirittura con una punta di disapprovazione snobistica. Per vincere i residui pregiudizi di chi, alla stregua di Federico da Montefeltro, mai avrebbe affiancato («che se ne sarebbe vergognato») un prodotto industriale ancora relativamente giovane e spesso non immune da errori e carenze estetiche a una copia manoscritta made to order, Aldo doveva elevarne il prestigio, così da competere con il secolare manoscritto e convincere anche una clientela aristocratica ed esigente. Cosa che alla fine gli riuscì be- dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 17 Aristoteles, Opera (in greco), 1495, colophon e privilegio ad Aldo Manuzio nissimo, tramite una rete di amicizie influenti, una ben controllata campagna pubblicitaria diffusa a mezzo di dediche e introduzioni, scelte formali innovative capaci di trasformare definitivamente l’aspetto ancora troppo tradizionale del libro a stampa. Il francese Jean Grolier incarna bene la figura di collezionista sinceramente invaghito delle scelte anche estetiche adottate dall’officina aldina. Non si spiegherebbero altrimenti le oltre centocinquanta edizioni aldine a lui riconducibili, fra cui una quarantina pubblicate da Aldo il Vecchio, alcune delle quali addirittura in copia multipla: quattro dell’edizione di Giovenale del 1501, altrettante del Polifilo, sei della princeps in ottavo di Marziale, cui si aggiungono numerosi esemplari su pergamena, destinati a una clientela ristrettissima. Non c’è perciò da stupirsi che nel 1515 il Musuro dedicasse al Grolier l’edizione postuma della grammatica di Aldo e nel 1521 ancora a lui fosse indirizzata l’edizione di Terenzio a suo tem- po promessagli da Aldo in persona. La produzione manuziana trova definitiva consacrazione nella lista degli acquisti di Francesco I di Francia negli anni Venti del Cinquecento. Tra gli stampati greci che avrebbero dovuto trovare collocazione sugli scaffali della Bibliothèque Royale ben trentuno sono edizioni aldine, sedici delle quali pubblicate da Aldo il Vecchio. Anche questa circolazione presso un pubblico piuttosto facoltoso, propenso più alla conservazione dell’oggetto libro che al suo consumo, ha in qualche modo influito sulla buona conservazione del catalogo editoriale aldino, che sembra conservarsi pressoché integro e in un discreto numero di esemplari. Il mito delle aldine comincia Manuzio ancora vivente (si pensi, appunto, alle contraffazioni) né il fascino del brand sembra aver subito sostanziali contraccolpi. Pur con fisiologiche oscillazioni, l’investimento in titoli manuziani, che diventa autentica mania a partire dal tardo Settecento, si è sempre rivelato 18 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 vantaggioso, garantendo il capitale investito. Mi piace qui citare, un po’ fortuitamente, ancora il caso poco noto del conte Matteo Thun, che nel 1829, a soli diciassette anni, è già sinceramente votato alla causa manuziana, tanto da dichiarare di possederne alcune centinaia ed essere pronto a incrementarne la collezione a suon di scambi. In circa un ventennio Aldo ottenne per il libro, ormai non solo elevato al rango del manoscritto ma pronto a sostituirlo anche nei canoni NOTE 1 Un buona prima lettura sul tema offre NOVELLA MACOLA, Sguardi e scritture. Figure con libro nella ritrattistica italiana della prima metà del Cinquecento, Venezia, Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti, 2007. 2 La bibliografia sul personaggio, che presumibilmente si arricchirà nel prossimo anno, di nuovi contributi, più o meno utili, è sterminata. Il lettore trarrà giovamento da uno scaffaletto quantomeno essenziale che comprende LUIGI BALSAMO, Tecnologia e capitali nella storia del libro, in Studi offerti a Roberto Ridolfi, a cura di Berta Maracchi Biagiarelli e Dennis E. Rhodes, Firenze, Olschki, 1973, pp. 77-94 (ora in Per la storia del libro. Scritti di Luigi Balsamo raccolti in occasione dell’80° compleanno, Firenze, Olschki, 2006, pp. 125); Aldo Manuzio editore: dediche, prefazioni, note ai testi, introduzione di Carlo Dionisotti, testo latino con traduzione e note a cura di Giovanni Orlandi, Milano, Il Polifilo, 1975; LUIGI BALSAMO, Alberto Pio e Aldo Manuzio: editoria a Venezia e Carpi fra ’400 e ’500, in Società, politica e cultura estetici delle classi aristocratiche, la definitiva patente di rispettabilità. Per sé un riconoscimento al limite dell’ammirazione. Uno stuolo di devoti fan delle edizioni aldine che ancora arruola adepti e giustifica le sistematiche celebrazioni. Nel 2039 ricorre il quinto centenario della nascita del collega Michele Tramezzino, prolificissimo editore che per primo importò in Italia la moda del romanzo spagnolo cavalleresco, Amadis de Gaula e suoi discendenti, per intenderci. Dubito che qualcuno vorrà celebrarne la ricorrenza, magari decidendosi a studiarne sul serio la produzione. a Carpi ai tempi di Alberto III Pio, Padova, Antenore, 1981, I, pp. 133-166 (ora in Per la storia del libro. Scritti di Luigi Balsamo raccolti, pp. 27-71); MARTIN LOWRY, Il mondo di Aldo Manuzio. Affari e cultura nella Venezia del Rinascimento, Roma, Il Veltro, 1984; HARRY GEORGE FLETCHER, New Aldine Studies. Documentary essays on the life and work of Aldus Manutius, San Francisco, Rosenthal, 1988; Aldo Manuzio tipografo, 1494-1515, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana 17 giugno-30 luglio 1994. Catalogo a cura di Luciana Bigliazzi – Angela Dillon Bussi – Piero Scapecchi, Firenze, Octavo Cantini, 1994; PIERO SCAPECCHI, Aldo Manuzio: i suoi libri, i suoi amici tra XV e XVI secolo. Libri, biblioteche e guerre in Casentino, Firenze, Octavo Cantini, 1994; CARLO DIONISOTTI, Aldo Manuzio umanista e editore, Milano, Il Polifilo, 1995. 3 CONOR FAHY, Nota sulla stampa dell’edizione aldina del 1505 degli «Asolani» di Pietro Bembo, in CONOR FAHY, Saggi di bibliografia testuale, Padova, Antenore, 1988, pp. 145-154. 4 DAVID J. SHAW, The Lyons counterfeit of Aldus’s italic type: a new chronology, in The Italian book, 1465-1800. Studies presented to Dennis E. Rhodes on his 70h birthday, ed. by D. V. Reidy, London, The British Library, 1993, pp. 117-133; CARLO PULSIONI, I classici italiani di Aldo Manuzio e le loro contraffazioni lionesi, «Critica del testo», 5/2, 2002, pp. 478-487. 5 Aldi Monitum in Lugdunenses typographos, Venezia, 16 marzo 1503 (LUIGI BALSAMO – ALBERTO TINTO, Origini del corsivo nella tipografia italiana del Cinquecento, Milano, il Polifilo, 1967, pp. 25-41: p. 39 nota 20). 6 M. LOWRY, Il mondo di Aldo Manuzio, pp. 99-136. 7 M. LOWRY, Il mondo di Aldo Manuzio, pp. 150 ss.; LUIGI BALSAMO, Aldo Manuzio e la diffusione dei classici greci, in L’eredità greca e l’ellenismo veneziano, a cura di Gino Benzoni, Firenze, Olschki, 2002, pp. 171-188. 8 Aldo Manuzio editore: dediche, prefazioni, note ai testi, I, p. 5; II, p. 197. 9 KLAUS WAGNER, Aldo Manuzio e i prezzi dei suoi libri, «La Bibliofilia», 77, 1975, pp. 77-82. dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 21 SPECIALE ALDO MANUZIO ALDO, L’ASTROLOGIA E IL DUCA DI URBINO Gli Scriptores astronomici veteres alla Biblioteca di via Senato GIANLUCA MONTINARO I l Fondo Antico della BiAuienio paraphraste. Arati eiusdem Phoenomena graece Theonis blioteca di via Senato annocommentaria copiosissima in Arati vera, fra le decine di miPhoenomena graece. Procli Diadogliaia di volumi, numerose aldichi Sphaera graece Procli eiusdem ne. Molte fra esse rare e prezioSphaera, Thoma Linacro Britanse. Come noto non manca no interprete. Il colophon reca, l’Hypnerotomachia Poliphili (dicome data di pubblicazione, il cembre 1499), su cui in questa 1 giugno 1499. Al verso della pasede si è già scritto. Ma non gina del titolo figura invece la manca neppure un’altra ediziodata «Venetiis decimosexto Cane quasi altrettanto preziosa, lendas novem MID» (Venezia, benché sconosciuta ai più: gli 17 ottobre 1499), posta in calce Scriptores astronomici veteres. Sopra: Scriptores Astronomici Veteres, alla lettera dedicatoria di Aldo a Questo libro, pubblicato da Al- rappresentazione dello Zodiaco, Guidobaldo di Montefeltro do Manuzio nel medesimo anno presente negli Astronomica di Marco (1472-1508), duca di Urbino. del Polifilo, è a quest’ultimo le- Manilio. Nella pagina accanto: ritratto Il volume si apre con il cegato, per vari (e ancora oggi per di Aldo Manuzio, tratto dal volume lebre testo dello scrittore latino lo più misteriosi) motivi. di Joseph Cundall, A Brief History Giulio Firmico Materno (IV Il volume, un in-folio di 376 of Wood-Engraving from its Invention sec. d.C.), Astronomicorum (più carte, raccoglie alcuni scritti di (London, Sampson Low, Marston, conosciuto col nome di De natiargomento astrologico di autori & Company, 1895) vitatibus sive matheseos) al quale classici, e da qui la dizione di comodo Scriptores astronomici veteseguono altri scritti più brevi: res. Il vero titolo è invece: Iulii Firmici Astronomi- gli Astronomica di Marco Manilio (I sec. d.C.) e i corum libri octo integri, & emendati, ex Scythicis oris Phoenomena dello scrittore greco Arato di Soli ad nos nuper allati. Marci Manilii astronomicorum (315-240 a.C.) nelle traduzioni latine di Germalibri quinque. Arati Phoenomena Germanico Caesare nico, Cicerone e Postumio Rufio Festo Avienio, e interprete cum commentariis & imaginibus. Arati quindi in greco con il commento di Teone di Aleseiusdem phoenomenon fragmentum Marco. T. C. in- sandria (il tutto preceduto da una biografia di terprete. Arati eiusdem Phoenomena Ruffo Festo Arato, stesa dallo stesso Manuzio); infine si con- 22 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 A sinistra: Raffaello Sanzio (1483-1520), Ritratto di Baldassarre Castiglione, 1515, Lens, Museo del Louvre-Lens. Sotto: Bernardino Loschi (1460-1540), Aldo Manuzio a fianco del principe Alberto III Pio (particolare di affresco), 1510, Carpi, Palazzo dei Principi Pio. Nella pagina accanto: Raffaello Sanzio (1483-1520), Ritratto di Guidobaldo di Montefeltro, 1507, Firenze, Galleria degli Uffizi clude con la Sphaera di Proclo Licio Diadoco (412-485), prima nell’originale greco, poi nella traduzione latina curata da Thomas Linacre. Altra particolarità degli Scriptores astronomici veteres è che sono la prima aldina a presentare un ricco e diffuso apparato iconografico. Le 39 xilografie in buona parte riproducono quelle presenti nell’edizione del Poeticon Astronomicon di Caio Giulio Igino (Venezia, Radtolt, 1482) e dell’Introductorium in astronomiam di Albumasar (Augusta, Radtolt, 1489). Le rimanenti vi si ispirano più o meno liberamente. Importante è però notare che almeno uno dei creatori delle matrici che lavorò agli Scriptores ha pure concorso alle xilografie dell’Hypnerotomachia Poliphili, utilizzando probabilmente i medesimi legni. Per esempio è straordinaria la somiglianza fra la xilografia delle Pleiadi del Polifilo e una xilografia di medesimo soggetto interna al testo di Arato; così come per quella raffigurante la costellazione di Boote. C’è poi un altro aspetto che accomuna gli Scriptores al Polifilo. Entrambe le opere hanno un medesimo dedicatario: Guidobaldo di Montefeltro. Nel primo caso è lo stesso Aldo che si rivolge al duca di Urbino. Nel secondo il finanziatore della stampa, il nobile veronese Leonardo Crasso. Come noto i primi anni di attività della stamperia di Aldo Manuzio furono principalmente dedicati alla ricerca e alla stampa di opere di autori greci. Aldo si sentiva soprattutto uno studioso, un umanista (tanto da giungere a scrivere e pubblicare una grammatica greca). Come altri intellettuali del XV secolo credeva fermamente nella cultura classica, soprattutto in quella greca, e nella ricerca della purezza della lingua come mezzo espressivo di verità e razionalità. Come ricorda in termini concisi ed efficaci Mario Infelise dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 23 la conoscenza della lingua è per Manuzio «preludio alle fatiche e spese gravissime e ai grandi preparativi» intrapresi per mettere in stampa «ogni sorta di libri greci» e per risolvere la miriade di problemi tecnici ed economici che la ostacolavano. Tale scelta non costituiva una fuga nell’erudizione fine a se stessa, ma era dettata dalla situazione politica determinatasi a seguito della discesa del re di Francia Carlo VIII in Italia. Manuzio rivendicava il valore formativo della cultura umanistica in un momento tormentato da «guerre immani che devastano tutta l’Italia e tra breve par che sommoveranno il mondo intero fin dalle fondamenta». Il suo intento è quello di «dedicare la vita al vantaggio dell’umanità» al costo di sacrificare «un’esistenza tranquilla e pacifica» per «una piena di preoccupazioni e di fatiche». […]La conoscenza della letteratura greca per Manuzio era una «necessità» per i giovani e per gli adulti in «tempi tumultuosi e tristi in cui è più comune l’uso delle armi che quello dei libri».2 Da ciò discende, da parte di Aldo, un rispetto assoluto dei testi fatti oggetto di studio e di pubblicazione: il rigore della ricostruzione filologica sottende tutte le edizioni della stamperia aldina. A questo sacro rispetto della perfezione testuale si può far risalire la decisione di pubblicare il testo di Giulio Firmico Materno, a soli due anni di distanza dall’edizione, sempre veneziana, promossa da Simone Bevilacqua. Quest’ultima infatti presentava numerosi errori testuali, dovuti a una curatela approssimativa e affrettata. Aldo si affidò invece al sacerdote veneto (nonché precettore del cardinale Ippolito d’Este), Francesco Negri (14521523), noto per i suoi spiccati interessi filologici ed ermetici e per la perfetta conoscenza del greco antico. Negri, che già aveva dimestichezza con l’opera di Firmico Materno, avendo ritrovato anni prima in Ungheria un codice contenente il testo dei Matheseos, emendò in diversi passaggi le precedenti edizioni, fornendo finalmente una le- zione testuale filologicamente ineccepibile. La soddisfazione di Manuzio per il lavoro intrapreso trapela nella lettera dedicatoria a Guidobaldo di Montefeltro. [Il testo di Giulio Materno] ritorna integro e perfetto in Italia fin dalla terra dei Goti, e torna a rivedere la sua gente e la sua patria. Infatti quello che in precedenza circolava era quanto mai corrotto e mutilo e quasi dimezzato. Gli otto libri dei Matheseos, che occupano quasi la metà del volume, sono stati più volte indicati come il più vasto trattato sull’astrologia dei tempi antichi. Scritta probabilmente, secondo Theodor Mommsen, fra il 335 e il 337 e dedicata al governatore della Campania Egnazio Lolliano Mavorzio, l’opera di Firmico Materno è imbevuta di neoplatonismo. È per questo ascrivibile alla prima parte della vita dell’autore (un avvocato e 24 In alto da sinistra: Scriptores Astronomici Veteres, Indice del volume; Frontespizio delle Institutionum grammaticarum di Aldo Manuzio (Venezia, 1514). Qui sopra: due xilografie dall’Hypnerotomachia Poliphili (dicembre 1499) la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 senatore di origine siracusana), ovvero prima che si convertisse al cristianesimo e concepisse il De errore profanarum religionum (testo datato intorno al 346-350 contenente tesi diametralmente opposte a quelle dei Matheseos). Nelle prime pagine dei Matheseos, Firmico stende una vera apologia morale della astrologia. Egli afferma che l’influenza degli astri si esercita sulla parte divina dell’anima umana e che solo un animo puro e libero da ogni peccato può accostarsi all’astrologia, disciplina che pone in costante contatto con la divinità. È dimostrata poi l’importanza dell’influsso delle stelle nel determinare la vita umana, e la spiegazione della storia del mondo fin dall’età di Saturno alla luce di tale principio. Ma Materno si lascia andare anche a considerazioni sul crepuscolo della sua civiltà e sul diffuso senso di insicurezza dato dalla criminalità, dalla corruzione e dalla decadenza dei dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 25 valori familiari che finora erano stati alla base dell’Impero romano. I restanti libri espongono diverse nozioni tecniche relative alla materia, con uno stile spesso compilatorio che però rende conto della sintesi di una lunga tradizione precedente. I Matheseos, per via della loro esaustività e leggibilità (migliore rispetto, per esempio, al testo di Manilio) continuarono a essere studiati anche in epoca medievale, subendo però mutilazioni e corruzioni testuali sempre maggiori. Da qui l’esigenza sentita da Manuzio di riportare il testo alla “purezza” originale. Di Marco Manilio si sa che visse al tempo degli imperatori Cesare Augusto e Tiberio (nel I libro degli Astronomica sono ricordati la Battaglia di Teutoburgo e il successore di Augusto) ma niente altro si conosce con certezza. La sua opera, gli Astronomica, è un poema didascalico in esametri che ha come modello strutturale il De rerum natura di Lucrezio e come modello ideale i Phoenomena di Arato di Soli (benché Manilio, nel proemio del II libro, dichiari: «racconterò una mia storia, senza nulla dovere a nessun poeta che mi ha preceduto; su un carro solitario solcherò il cielo, con una barca tutta mia fenderò le onde»). Seguace dello stoicismo, Manilio sostiene che stelle e pianeti si muovano secondo un ordine e che i loro influssi condizionino il comportamento e il destino degli uomini: sarebbe la simpatia cosmica a saldare l’universo nelle sue parti e a unire la mente umana alla mente divina, espressione di un tutto organico. Una ratio universale muoverebbe la grande macchina dell’universo, determinando la storia umana. Manilio, nei cinque libri in cui sono divisi gli Astronomica, dopo una iniziale descrizione del cosmo e una esposizione di alcune ipotesi sulla sua origine, analizza le caratteristiche dei segni dello zodiaco e le possibilità offerte dalle loro congiunzioni, descrive il modo di determinare l’oroscopo, analizza le “dodici sorti” sofferman- Ritratto di fantasia di Giulio Firmico Materno (acquaforte, 1820) dosi sul Locus Fortunae e quindi termina esaminando i decani dei segni zodiacali (ogni segno consta di tre unità o decani - di dieci gradi ciascuno - per un totale di 36 decani) e i segni extra-zodiacali. L’opera finisce in modo brusco: si è quindi pensato che sia rimasta incompiuta a causa della morte dell’autore. La lettura degli Astronomica è tutta’altro che agevole: le frasi costruite in modo molto complesso e la larga presenza di neologismi e grecismi, impiegati per spiegare i concetti astratti, rendono l’opera oscura e a tratti incomprensibile. Alcune parti tradiscono però molto chiaramente il sostrato stoico dal quale Manilio trae i concetti fondamentali. Nel V libro, per esempio, paragona l’ordine della natura alla struttura gerarchica della società umana: 26 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Sopra: Scriptores Astronomici Veteres, immagine dal testo di Giulio Firmico Materno. Nella pagina accanto da sinistra: Scriptores astronomici veteres, lettera dedicatoria di Aldo Manuzio a Guidobaldo di Montefeltro; una pagina dagli Scriptores Astronomoci Veteres E come è suddiviso il popolo nelle grandi città, ove i senatori occupano il posto più elevato e il più vicino a questo i cavalieri, e tu potresti vedere i cittadini seguire i cavalieri e il volgo senza qualità i cittadini e poi la folla senza nome, così anche nell’universo c’è una forma di stato fatta dalla natura, che ha creato nel cielo una città. Così come la città degli uomini è basata su una gerarchia fissata dal destino (e quindi non rovesciabile) così anche in cielo tutto è disciplinato da un ordine non sovvertibile. Non si deve quindi cercare di piegare il mondo al nostro volere, peccando di hybris, ma piuttosto piegare il nostro vo- lere alla ratio del cosmo, accentando la realtà. Perché, per Manilio, «nulla vi è di più mirabile, nell’immensità dell’universo, del fatto stesso che tutto debba obbedire a leggi immutabili». Così l’esortazione che rivolge ai lettori, nel proemio del IV libro, diventa quasi un manifesto esistenziale. Liberate i vostri animi, o mortali, alleviate gli affanni, svuotate la vita di tanti, inutili lamenti. I fati reggono il mondo, tutto è determinato da leggi precise, e le lunghe età sono segnate da vicende prestabilite. Nascendo moriamo e la fine dipende dall’inizio. dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano Dei Phoenomena di Arato di Soli (315-240 a.C.), gli Scriptores astronomici veteres forniscono il testo originale in greco con il commento di Teone di Alessandria (335-405) - padre della nota Ipazia - nonché il testo della parziale (poco più di 700 esametri) traduzione latina di Germanico (15 a.C.-19 d.C.), il frammento superstite di 480 versi della traduzione attribuita a Cicerone (106-43 a.C.) e la versione completa parafrasata (il testo raggiunge la lunghezza di ben 1878 esametri!) di Postumio Rufio Sesto Avienio (IV sec.). A differenza di Firmico Materno e di Manilio, su Arato si hanno diverse notizie. Di formazione stoica, si recò a Pella, capitale del regno di Macedonia, su richiesta del re Antigono Gonata (276-239 a.C.). La tradizione biografica (esistono numerose vite tramandate dai manoscritti, oltre all’articolo del lessico della Suda dedicato al poe- 27 ta) riferisce di un suo soggiorno anche ad Antiochia, alla corte di Antioco I Sotere, dove avrebbe prodotto una revisione critica del testo dell’Iliade. Non è dato sapere se Arato sia mai stato ad Alessandria d’Egitto e se, quindi, egli possa essere identificato con quell’Arato cui Teocrito indirizza gli Idilli V e VII. Arato compose inni, epigrammi, elegie, epicedi; ma le preferenze del poeta andarono a temi di matrice scientifica e pseudo-scientifica, come il poema in esametri di argomento medico Iatrikà o i cinque libri di Astrica («Sulle stelle»). Della sua produzione rimangono però solo i 1154 esametri dei Phoenomena. L’opera in realtà non è un originale: è la trasposizione in versi della materia già esposta dal matematico e astronomo Eudosso di Cnido, discepolo di Archita di Taranto e di Platone. Dopo un proemio a Zeus, Arato descrive le costellazioni della zona 28 Hypnerotomachia Poliphili, Il sogno di Polifilo (xilografia, 1499) settentrionale e meridionale, il loro sorgere e tramontare, nonché i circoli che dividono la sfera celeste. La parte conclusiva del poema espone le prognoseis, gli indizi che segnalano le variazioni prossime del tempo, tratti da alcuni fenomeni del mondo naturale e animale. Per la notevole eleganza formale i Phoenomena ebbero grandissimo successo, sia nella Roma tardo-repubblicana e imperiale che in epoca medievale quando rimasero l’unica opera di poesia greca letta e conosciuta in tutta l’Europa occidentale. È infine la Sfera di Proclo Licio Diadoco (412-485) a chiudere il volume. Si tratta di un breve trattato nel quale si rilegge e interpreta la filosofia di Parmenide. Come noto Parmenide pensa l’Essere come una totalità in sé conchiusa: secondo l’interpretazione esposta da Proclo (mutuata da alcuni passi delle Leggi di Platone) l’Essere sarebbe quindi una sfera e il suo pensiero un movimento sferico. Fra i massimi esponenti delle ultime correnti neoplatoniche, Proclo fu uno degli ultimi diadochi dell’Accademia platonica. Dall’età di 25 anni visse quasi sempre ad Atene, dedicandosi allo studio e all’insegnamento. La tradizione ci ha lasciato l’immagine di un uomo molto mori- la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 gerato, che osservava i giorni nefasti degli egiziani, celebrava i noviluni e, ogni anno, si recava a visitare le tombe degli eroi e dei filosofi, offrendo sacrifici espiatori per le anime dei defunti. Scrisse molti inni dedicandoli agli dei greci ma anche a divinità di altri popoli, e per questo venne spesso osteggiato dai cristiani. Gli Scriptores astronomici veteres riportano sia il testo originale in greco della Sfera, che una preziosa traduzione latina approntata dall’umanista inglese Thomas Linacre (1460-1524). Quest’ultimo, medico e letterato, maestro e amico di Erasmo da Rotterdam (che lo ricorda anche nell’Elogio della follia) e Tommaso Moro, aveva conosciuto Aldo in occasione di un lungo soggiorno di studi in Italia (culminato con una laurea in medicina conseguita a Padova), avvenuto fra il 1485 e il 1491. Era entrato in contatto inoltre con Angelo Poliziano ed Ermolao Barbaro, oltre che con Lorenzo il Magnifico e suo figlio Giovanni (il futuro Leone X). Profondo esperto di greco (tanto da insegnarlo a Oxford), Linacre tradusse numerosi testi, per lo più di medicina galenica. Rimangono due sostanziali questioni al quale tentare di fornire una risposta. Perché Aldo si impegnò nella pubblicazione degli Scriptores astronomici veteres? E perché dedicò il libro a Guidobaldo di Montefeltro? Se rispondere in modo definitivo pare, almeno al momento, impossibile si può però affermare, con ragionevole certezza, che la decisione di pubblicare un tal libro e di farlo dedicandolo al duca di Urbino siano due eventi strettamente legati. Come noto Manuzio si sentiva più uno studioso che un editore, più un letterato che un tipografo e un imprenditore. La sua padronanza delle lingue classiche, e del greco in particolare (che era in grado addirittura di parlare in modo perfetto e corrente), lo spingeva ogni giorno di più verso lo studio dei testi antichi, con l’intento di ricostruire dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano le lezioni corrette. Da qui anche il sogno, più volte vagheggiato, di un’accademia dedita completamente allo studio del mondo greco (che avrebbe poi preso corpo, nel 1502, nell’Accademia Aldina). La stamperia, se da un lato garantiva un introito economico e la circolazione delle opere restituite filologicamente alla loro purezza originale, dall’altro era fonte di preoccupazioni molto materiali (problemi inerenti alla stampa, approvvigionamenti, distribuzione dei libri…) che distoglievano Aldo dalla sua primaria vocazione. Avrebbe certo desiderato un mecenate che gli garantisse una sistemazione stabile, consentendogli di concentrarsi sugli amati studi. Nella prefazione alle sue Institutiones grammaticae (1493) rimproverava i potenti e i ricchi di non comportarsi come autentici mecenati. L’aiuto che Manuzio ricevette a più riprese da Alberto Pio, signore di Carpi, non si dimostrò sufficiente: era necessario individuare un altro possibile mecenate, più ricco e potente. È più che lecito supporre che Manuzio pensò, fra i possibili, a Guidobaldo di Montefeltro, figlio del grande Federico, la cui fama di uomo dotto, nonostante la giovane età, aveva da tempo superato i confini del ducato di Urbino. Baldassarre Castiglione ricorda, nel Cortegiano, come Guidobaldo «fosse erede di tutte le virtù paterne e subito con meravigliosa indole cominciò a promettere tanto di sé quanto non parea che fusse licito sperare da uno uom mortale». Guidobaldo, che era stato educato da Ludovico Odasi (altro grande esperto di greco), era già stato il dedicatario di un’opera di carattere scientifico molto importante: la Summa de arithmetica di Luca Pacioli, stampata a Venezia nel 1494 per i tipi di Paganino de’ Paganini. Pacioli nella dedica specificò come, oltre ad avere funzioni di grande utilità pratica, l’aritmetica illumini la strada che porta alla «sacra theologia». Proprio come tutte le opere contenute negli Scriptores astronomici veteres. Mescolando sottili richiami al proprio lavoro e alle condizioni fisiche di Guidobaldo (affetto 29 Hypnerotomachia Poliphili, Triumphus quartus (xilografia, 1499) da una invalidante podagra e dalla impossibilità di avere figli), Aldo rammenta, nella dedica, come gli autori stampati dalla sua tipografia «dopo attente ricerche», siano quasi «richiamati da morte a vita, dopo esser giaciuti malconci e spogli per tanti secoli» e come questo lavoro comporti «aspre fatiche» e «spese». Ricorda poi, citando Socrate, come «con la potenza della virtù e della saggezza, quei vizi che il corpo aveva ricevuto dalla sua mal formazione, la divinità di un animo ben cosciente di sé li ha repressi. Donde si può comprendere come sia da attribuire agli astri ciò che noi subiamo e che tuttavia spetta alla divinità dell’animo il resistervi». Anche Castiglione, scrivendo di Guidobaldo, ebbe a esprimersi in termini consonanti, mettendo in risaltò la sua forza d’animo data dall’instancabile esercizio della virtù. La fortuna in ogni suo disegno tanto gli fu contraria, ch’egli rare volte trasse ad effetto cosa che desiderasse; e benché in esso fosse il consiglio sapientissimo e l’animo invitissimo, parea che ciò che incominciava, e nell’arme o in ogni altra cosa o piccola o grande, sempre male gli succedesse: e di ciò fanno testimonio molte diverse sue calamità, le quali esso con tanto vigor d’animo sempre 30 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Ritratto di Thomas Linacre di autore anonimo (XVI secolo) tollerò, che mai la virtù dalla fortuna non fu superata. Il veronese Leonardo Grassi (il finanziatore della stampa del Polifilo) nella dedicatoria al duca di Urbino, fa riferimento invece solo al noto amore del principe per «le lettere e le virtù» nonché alla sua sterminata cultura, invitandolo a leggere l’opera perché in essa non sono presenti solo «tutti i libri degli antichi, ma anche i misteri stessi della natura»: la sua materia «non è da divulgare alla gente comune, da decantare nei trivi, ma è tratta dal santuario della Filosofia». Grassi scelse di dedicare l’opera a Guidobaldo certo per i noti motivi che legavano la sua famiglia al duca di Urbino ma anche perché a Guidobaldo Manuzio aveva da poco dedicato gli Scriptores Astronomici Veteres (testi che l’autore del Polifilo certo conosceva). Ma in più, da considerare, c’è anche il fatto che Guidobaldo aveva esperienza dei testi neoplatonici e delle pratiche astrologiche. Conosceva le opere dei filosofi greci. Aveva letto Marsilio Ficino. Al consiglio degli astrologi si era rivolto nella speranza di concepire il tanto designato erede. Sui suggerimenti degli astrologi aveva fatto affidamento per pianificare eventi militari ai quali aveva preso parte. Alla corte urbinate, serena e prospera, massima espressione dell’eccellenza umana, in quello scorcio di fine secolo, guardavano in molti colmi di fiducia. Certo Leonardo Crasso. Di sicuro Aldo Manuzio, nella speranza divenisse proprio Guidobaldo il suo mecenate. Ecco quindi perché dedicargli, a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, due opere - gli Scriptores Astonomici Veteres e il Polifilo - che attingono la loro sapienza dal medesimo humus culturale. Lo stesso humus nel quale era cresciuto Guidobaldo e di cui quotidianamente si nutriva Urbino, «città in forma di palazzo». Sfogliando gli Scriptores astronomici veteres si matura un’impressione di “enciclopedismo”. Questo libro così denso ha infatti un’anima “conclusiva”. Come se Aldo avesse voluto raccogliere in un unico tomo non solo i quattro testi cardine dell’astrologia antica ma anche tutto ciò che di importante avevano suscitato, come per gemmazione: le traduzioni, i commenti, le raffigurazioni grafiche. Come se avesse voluto dare prova del suo valore intellettuale, dando forma, attraverso la stampa di un libro (o meglio due, se si considera il Polifilo facente parte del medesimo itinerario), di un progetto culturale teso a rinnovare il mondo partendo dalle idee. Idee che Guidobaldo, principe di rara virtù, avrebbe dovuto trasformare in realtà. NOTE 1 Vedi «la Biblioteca di via Senato», n. 1, gennaio 2011 e n. 3, marzo 2011. 2 M. Infelise, «Aldo Manuzio il Vecchio» in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Treccani, n. 69, 2007. dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 33 SPECIALE ALDO MANUZIO IL GRANDE ENIGMA: FRANCISCUS COLUMNA Nel nome di Aldo Manuzio l’estremo omaggio di Charles Nodier MASSIMO GATTA I l 27 gennaio del 1844 doveva essere una di quelle fredde e plumbee mattine invernali che solo Parigi sa offrire. Insieme a Honoré de Balzac e a Tony Johannot il corteo funebre era composto, oltre che dalla moglie e dall’amatissima figlia Marie, da librai antiquari, editori, rilegatori, bibliofili e bibliomani, sodali di un culto esoterico e assoluto: l’amore per i libri antichi. Ora uno di loro, l’ancor giovane Charles Nodier (64 anni) aveva svoltato l’angolo per sempre e si avviava al Père-Lachaise, la più famosa dimora al mondo di grandi spiriti. Nodier (Besançon 29 aprile 1780 – Parigi 27 gennaio 1844), una manciata d’anni prima (1833) era stato nominato Accademico di Francia, succedendo sul seggio numero 25 a Jean-Louis Laya; egli aveva anche ricoperto, fin dal 1824, la carica di bibliotecario della Bibliothèque de l’Arsenal del conte d’Artois, il futuro Carlo x di Francia, fondando dieci anni dopo (1834) il celebre «Bulletin du Bibliophile». L’uomo che molti ora piangevano aveva anche istituito all’interno dell’Arsenal un celebre salon litteraire, il “Cenacolo”, dove si promuoveva il nascente movimento romantico francese, e i vari Dumas, Lamartine, Hugo, de Musset, Sainte-Beuve, de Vigny vi si davano appuntamento. Insomma una grave perdita per la letteratura francese di metà Ottocento: Il 27 gennaio del 1844, un mesto corteo di bibliofili e di intellettuali accompagnò al Père-Lachaise le spoglie mortali di Charles Nodier, scrittore, giornalista, membro dell’Académie Française, e direttore della Biblioteca de l’Arsenal. Seguivano il feretro Honoré de Balzac e Tony Johannot, Hetzel e Grenier, Techener, Duplessis e una folta rappresentanza di librai antiquari e accaniti bibliomani affaetti dall’inguaribile morbo che l’illustre scomparso aveva definito con il nome di monomanie du maroquin. Del resto era stato lo stesso scrittore a sovrapporre il “corpo” immortale dell’amato libro antico al “corpo” mortale del “buon Théodore”, il protagonista del suo racconto forse più celebre, Le Bibliomane (1831) ponendovi alla fine questo epitaffio, ripreso in parte da quello di Benjamin Franklin: Ci-gît / sous sa reliure de bois, / un exemplaire infolio / de la meilleure édition / de l’homme, / écrit 34 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 dans une langue de l’age d’or / que le monde ne comprend plus. / C’est aujourd’hui / un bouquin / gâté, / maculé, / mouillé, dépareillé, / imparfait du frontispice, / piqué des vers, / et fort endommagé de pourriture. / On n’ose attendre pour lui / les honneurs tardifs / et inutiles / de la réimpression. Com’era d’uso in quel secolo le celebri raccolte bibliografiche private, dopo la morte dei collezionisti, venivano messe all’asta, sovente corredate da sontuosi e documentati cataloghi di vendita. Anche la sceltissima, benché “petite bibliothèque”, di Nodier seguì il medesimo destino, segno della volontà di rimettere nel maremagnum bibliografico opere raccolte con grande e tenace passione e che potevano, attraverso la vendita, approdare in nuove, non meno appassionate, private biblioteche. Così pochi mesi dopo la morte di No- dier, la sua preziosa raccolta di libri antichi, 2234 opere suddivise in 5 tematiche principali e in molteplici sottosezioni, tra il 27 aprile e l’11 maggio del 1844 venne dispersa al numero 6 di Place de l’Oratoire. Furono necessarie ben dodici tornate d’asta prima che tutti i volumi raccolti dallo scrittore e bibliografo francese approdassero in altre mani. Fu il libraio-editore J. Téchener, insieme al commissaire-priseur Husson, ad occuparsi dell’incanto, del quale ci resta il prezioso benché “modesto cataloghetto” (Mario Scognamiglio). Infatti Nodier, da esperto bibliografo e appassionato bibliofilo, aveva provveduto tempo prima a redigere personalmente una importante opera bibliografica, rimasta inedita, e pubblicata da Téchener solo in occasione della morte dello scrittore. Questo volume, di mitica rarità, oltre alla descrizione bibliografica dei volumi della sua collezione, conte- dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano neva una serie di dotte e curiose notazioni redatte dallo stesso Nodier rappresentando in tal modo, oltre che la sua opera più voluminosa, anche il compendio della sua scienza bibliografica. Per la verità quest’ultima vendita all’asta era stata preceduta, anni prima, da altre due vendite (1823 e 1826), non corredate però da cataloghi; mentre quelle del 1827 (399 articoli) e del 1829 (917 articoli) saranno documentate dai due rari cataloghi pubblicati per l’occasione. In quel caso, però, le note non erano di mano dello scrittore; mentre le note al primo catalogo del 1827 erano in effetti riproduzioni di appunti privati che Nodier apponeva sui margini dei propri libri. Tra i preziosi volumi della sua ricca collezione, che ora veniva dispersa, spiccava quello che è unanimemente considerato il più importante volume del tardo Umanesimo italiano, l’Hypneroto- 35 machia Poliphili, stampato a Venezia mense decembri 1499, in ædibus Aldi Manutii; un collegamento quasi scontato tra l’erudito bibliofilo e scrittore francese e il principe degli stampatori italiani di ogni tempo, Aldo Manuzio. Un libro “irregolare, torbido e allucinato” (Giuseppe Billanovich), nonché “bizzarro e confuso nelle invenzioni, arduo nel lessico, intricato nella sintassi” (Giovanni Pozzi) ma di straordinaria bellezza, che Nodier possedeva in una copia particolarmente pregiata, rilegata in pieno marocchino rosso da Duru, come lo stesso bibliofilo giustamente sottolineava nella sua nota al catalogo: Exemplaire presque grand papier, d’une conservation admirable, sauf quelques réparations aux marges inférieurs d’un petit nombre de feullets, et parfaitement relié en maroquin. 36 In effetti l’incontro tra Nodier e lo stampatore di Bassano (che è bene ricordare “considerò con malumore quello che noi oggi riteniamo il suo capolavoro tipografico” (Giovanni Pozzi)) era avvenuto giusto dieci anni prima, e proprio grazie al volume forse più celebre stampato da Manuzio. Nel 1834, infatti, lo stesso anno nel quale Nodier fonda il «Bulletin du Bibliophile», proprio sul numero 7 di quel periodico lo scrittore pubblicava l’articolo De quelques Livres satiriques et de leur Clef, dove prendeva in esame, tra gli altri, il Polifilo di Manuzio (nell’occasione indicato però come Le Songe de Polyphile). L’anno successivo, sul numero 15 di maggio sempre del «Bulletin», sarà invece la volta di un suo articolo-recensione alla seconda edizione degli Annales manuziani del Renouard; la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 infine nel numero 21 del «Bulletin» del novembre 1835 scriveva ancora intorno al Polifilo di Manuzio, nell’ambito dei “folli letterari” o “eccentrici”. In questa seconda occasione Nodier attribuiva al frate Francesco Colonna la paternità del più misterioso volume mai apparso in Europa e sul quale si è pubblicato una abnorme quantità di studi e saggi. Proprio il supposto autore del Polifilo, Francesco Colonna, tornerà nella vita intellettuale ed erudita di Nodier l’anno prima della prematura morte, quando in ottobre pubblica sul «Bulletin de l’Ami des Arts», il suo estremo omaggio allo stampatore veneziano, edito postumo in volume nel 1844, appunto il Franciscus Columna. Sembra davvero emblematico che l’ultimo racconto di questo poligrafo e scrittore, nato però dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano come entomologo, e in seguito autore di molteplici lavori di filologia e linguistica, di bibliografia, bibliofilia e tipografia che riuscì a padroneggiare come pochi, fosse dedicato a Manuzio e al suo libro più misterioso. Ad uno sguardo più attento, però, si comprende meglio come l’universo tipografico, soprattutto la protostampa, abbia fortemente condizionato la sua visione del mondo. Al 1830 risale infatti uno degli scritti nodieriani più emblematici e rivelatori in tal senso, dove lo scrittore francese metteva in stretto rapporto la stampa ad un possibile perfezionamento dell’uomo e della civiltà, non lontano dalla posizione che fu di Nicolas de Chamfort, quella “civiltà perfezionata” che non a caso Leonardo Sciascia prenderà a modello per battezzare la celebre prima Collana editoriale della Sellerio, da lui creata e diretta. Lo scritto di Nodier, De la perfectibilité de l’homme, et de l’influence de l’imprimerie sur la civilisation, fin dall’inizio prendeva a modello quell’âge d’or della civiltà occidentale da lui identificata col Medioevo dei codici miniati e dei manoscritti, e dove il Quattrocento della protostampa veniva identificata come l’inizio della barbarie, il tutto inserito in una vera e propria visione filosofica negativa e 37 disincantata; come se quel libro ideale da lui ricercato (materialmente e moralmente), definito e costruito, non appartenesse ormai più al dominio della cosa impressa, come se un buon libro non fosse più per Nodier un prodotto industriale ma un simbolo di un’anima (Didier Barrière). Lo scrittore sembra chiedersi, criticamente, quanto la produzione “Industriale” di libri (in fondo anche l’invenzione gutenberghiana dei caratteri mobili sposta, per Nodier, la tipografia su un piano industriale) obbedisca più alle leggi economiche che non all’evoluzione della letteratura (e alla civiltà dell’uomo): […] Il est vrai que ses idées fondamentales sont dominées par la nostalgie de certaines périodes mytiques: le XVI siècle et ses grands imprimeurs, le Moyen Age et ses riches manuscrits…Plus généralement, nostalgie d’un âge d’or (quoi qu’il en dise), en comparaison duquel l’age de l’imprimerie est synonyme de barbarie. In effetti tale destino sembra in un certo senso collimare con lo stile peculiare di Nodier in ambito bibliografico. Ai suoi occhi, infatti, la bibliografia non era solo la scienza del titolo esatto di un li- 38 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 bro, della sua data precisa, del formato e della rilegatura. Ognuno degli antichi e pregiati volumi che conservava sui propri scaffali, infatti, era un tesoro nuovo e diventava per lui l’occasione per delicate riflessioni, originali ma anche filosofiche. Cosa avrà dunque “letto” Nodier nel Polifilo manuziano tanto da indurlo a dedicargli articoli preparatori e un racconto altrettanto misterioso e, biograficamente, estremo? Charles Nodier è autore abbastanza conosciuto in Italia dove ad esempio Le Bibliomane è stato pubblicato in varie edizioni. Di certo meno fortunato è il Franciscus Columna, il “racconto commovente” ricordato dall’amico Gerard de Nerval, e che solo di recente ha ricevuto una certa attenzione critica e una prima traduzione italiana. Nodier fu un esploratore inesausto della letteratura misteriosa e insondabile che poggia sull’oscuro, sul sogno, sul complesso anagrammarsi del mon- do, tutto ciò anche grazie alla sua professione di bibliotecario e alla sua bibliofilia passionale e totale. Anche la sua lingua è molto personale, come in quest’ultimo racconto, legata com’è ai suoi interessi di linguista, di attento studioso della tradizione letteraria francese ma anche di fine raccoglitore di antichi testi sulle facezie, le etimologie, il patois, i poeti maccheronici e burleschi. E proprio la vicinanza linguistica di Francesco Colonna, supposto autore del Polifilo, con i poeti maccheronici (Teofilo Folengo) o dialettali (Ruzzante) spiega forse l’interesse di Nodier per quell’opera ardua e magmatica dell’Umanesimo italiano. Giustamente Pietro Citati così inquadrava Nodier, in un secolo peraltro simmetrico a queste esigenze intellettuali: Charles Nodier diventò uno dei più appassionati bibliotecari e bibliofili del suo tempo. Sperava di scovare tutti i libri degni di essere conservati e di custodirli nei suoi scaffali come dei pesci giapponesi in un acquario, come degli uccelli esotici in dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano una grande voliera. Amava i volumi rari: l’editio princeps della Hypnerotomachia Poliphili e l’esemplare dell’Imitazione di Cristo annotato da Rousseau: le raccolte delle facezie infernali, le storie dei vampiri, le elucubrazioni dei pazzi, le monografie sulle società segrete, i libri che hanno bisogno di una chiave, gli autori illustri nascosti dietro un anagramma […] leggeva i cabalisti e gli alchimisti, Swedenborg e Saint-Martin; gli stessi libri che, qualche anno dopo, avrebbero acceso la curiosità di Gérard de Nerval. All’ombra delle grandi biblioteche, tra i codici e i libri rari, crescono qualche volta le più strane creature d’aria. Forse fu davvero un “sogno nel sogno”, anzi un triplice sogno, tormentato e tormentoso, quest’ultimo estremo di Nodier, complice la figura mitizzata della bellissima figlia Marie alla quale venne immolata, con la vendita all’asta del 1829, la ricca biblioteca dello scrittore per poter fornire alla giovane una dote adeguata; “sogno” come fu quello di Francesco per Polia, sogno romanzesco che, come in Leopardi, prometteva di non distruggere l’oggetto amato. Insomma un “Polifilo autobiografico”, così come ben rilevato da Giovanni Fazzini a chiusura del suo scritto. Certamente un soffuso legame sembra unire il protagonista, Polifilo, anche alla filosofia tipografica manuziana, così ben rappresentata dalla sua marca tipografica, l’àncora col delfino. Una riflessione di Edgar Wind sul carattere di Polifilo sembra condurci verso questa simmetria di intenti. Scrive Wind: […] l’eroe del Polifilo è guidato con prudenti allettamenti verso i più riposti arcani, imparando lungo il cammino a unire la 39 prudenza all’audacia. Cos’altro era, infine, quell’àncora e quel delfino sinuoso se non la rappresentazione iconografica della prudenza (àncora) e dell’audacia (delfino)? o meglio, come ormai universalmente noto e non solo in ambito antiquario, Festina lente, “affrettati lentamente”, in una visione unitaria di perfezione: Il marchio tipografico di Aldo Manuzio, un delfino attorcigliato intorno a un’ancora, che Erasmo proponeva come emblema della massima Festina lente, può anche raffigurare lo spirito di perfezione, quest’arte di vivere nella quale il movimento e la costanza si conciliano. Cosa in verità ebbe in mente Nodier scegliendo proprio la vicenda di Polifilo e di Polia per testimoniare i propri fantasmi interiori non lo sapremo mai; resta il fatto che tra i tanti possibili spunti letterari, Nodier, questo straordinario erudito, abbia preso a modello, nel suo congedo dalla vita, proprio uno dei più misteriosi ed arcani libri della letteratura di ogni tempo; il volume più rappresentativo e conosciuto uscito dalla stamperia veneziana di Aldo Manuzio, e nello stesso tempo, e paradossalmente, quello da lui meno amato. (*) Questo scritto costituisce la nota finale a Charles Nodier, Franciscus Columna, trad. it. di Giovanni Fazzini, contributi di Gianluca Montinaro e Giovanni Fazzini, a cura di Massimo Gatta, Macerata, Biblohaus, 2015, pubblicato in occasione del V centenario della morte di Aldo Manuzio. Si ringrazia l’editore per averne autorizzato la pubblicazione in questa sede. dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 41 SPECIALE ALDO MANUZIO FESTINA LENTE, L’ANCORA E IL DELFINO Un’opinabile interpretazione di una preziosa marca tipografica ALBERTO CESARE AMBESI L’ immagine è nota: rappresenta un delfino, che, con un movimento discendente, si attorciglia a un’ancora. Figura da sempre celeberrima fra i bibliofili, poiché immaginata da Aldo Manuzio a emblema delle sue preziose edizioni. Parimenti conosciuto è il significato attribuibile a tale marchio tipografico, comprendente anche il nome di Aldus. Si potrebbe asserire, infatti, di primo acchito, che nell’insieme grafico si trovi racchiuso un muto ma trasparente richiamo alla esortazione festina lente (“affrettati lentamente”) attribuita da Svetonio ad Augusto: audacia e circospezione, rapidità e ponderatezza, perfino congiunzione e coincidenza degli opposti e altro ancora, quando si vada con la memoria a ulteriori, similari raffigurazioni: una lince bendata, una vela attaccata a una colonna, un tartaruga sovrastata da una vela e così via. Non appare perciò pleonastico A sinistra: Antonio Frasconi, Ritratto di Aldo Manuzio, 1982 (pubblicato in Theodore Low DeVinne, The First Editor Aldus Pius Manutius, Greenwich, Targ Editions). Sopra: la celebre “ancora con il Delfino”, il marchio della stamperia di Aldo Manuzio in una marca tipografica che si sia riscontrato che nell’Hypnerotomachia Poliphili, l’opera capolavoro edita da Aldo Manuzio, siano enumerabili almeno ottanta illustrazioni che si presentano come varianti figurative del motto che qui c’interessa e ci coinvolge. Chiaro. Chiarissimo. Forse fin troppo, volendo considerare con una certa attenzione le frequentazioni di Manuzio entro e fuori la sua Nea Academia (1502): da Pietro Bembo a Erasmo da Rotterdam, da Giovanni Pico della Mirandola al grecista Marco Musuro. Investiremo dunque il sigillo tipografico aldino di sottintesi significati neoplatonici, ancorché trasparenti? Risposta affermativa per metà, giacché proprio il motto festina lente ci suggerisce di procedere con «audace prudenza» entro il regno della simbologia. Quivi, difatti, può accadere che, di analogia in analogia, si presuma di aver conseguito chissà quale illuminazione interpretativa dopo aver stabilito, per esempio, che l’episodio biblico dell’agnello (o montone) sacrificato da Abramo al posto del proprio figlio, non sia già la rievocazione di un barbarico rito primordiale, ma bensì un allegorico racconto che raccomanderebbe d’avere umiltà e innocenza, affinché 42 la preghiera salga al Signore. Ora, a parte la lapalissiana constatazione che, in siffatto brano, non risultano innocenti né il Dio che avrebbe messo alla prova il capostipite d’Israele, né il suo angelo, né Abramo stesso, resta d’altro canto certo che, nel prosieguo, ci si dovrà bene intendere sul significato da attribuire a ogni vocabolo o espressione. Se non altro, a titolo convenzionale e per evitare fraintendimenti o equivoci, a proposito dei concetti di emblema, simbolo e allegoria, per altro ricorrenti in qualunque discorso iconologico che si soffermi sul valore di una determinata figurazione. la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Vediamo allora, prima di riaccostarci al delfino e all’ancora manuziane, di avvicinarci alla terna d’immagini e di idee che si è qui sopra enunciata ed enumerata. Sintetica precisazione che si dimostrerà più che utile, fra breve. Primo elemento da considerare: l’emblema (dal greco emblema, ciò che è inserito, dal verbo emballo, introduco, immetto), ovvero raffigurazione di un’idea, servendosi o delle arti figurative o della parola scritta. Si può asserire che l’emblematismo fu un tipico prodotto della nostra cultura occidentale cinquecentesca, tanto in ambito letterario, quanto nell’ambito dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano della grafica e con una graduale chiarificazione rispetto ai caratteri maggiormente “ermetici” del simbolo e dell’allegoria. Secondo e basilare principio da esaminare: il simbolo (dal greco simbolon, contrassegno, motto d’ordine o di riconoscimento, segno di cosa che avverrà, presagio e augurio). Fondante segnacolo allusivo, mediante il quale si raffrontano, s’interpretano e si unificano i fenomeni della Natura e le sfaccettate realtà del Soprannaturale, fino e pervenire - stando ad alcune testimonianze - alla percezione intuitiva dell’Altrove Assoluto. In linea di massima, il simbolo non può non distinguersi dall’emblema e dall’allegoria, in quanto racchiude in sé uno sprone di natura essenzialmente anagogica, pur prestandosi - anzi ispirando - plurime e differenziate interpretazioni; una prova in più che l’innervatura dell’Universo è di per sé simbolica e come tale non è rappresentazione che si possa trovare ovunque, se non ricorrendo a grossolane falsificazioni. Da rammentarsi, inoltre, che la viva e palpitante presenza del simbolo può dirsi comunque presente in tutte le massime creazioni delle arti: nell’alveo musicale e in quello architettonico, primariamente, nelle espressioni letterarie, oltre che nelle ideazioni figurative, come è ovvio. Ed eccoci, infine, davanti all’ enigma, bello e sottile, costituito dall’allegoria (dal greco allegoria, da allegoreo, prova, rappresentazione figurata, testimonianza palese). È questo un paradossale strumento cognitivo. Ha sempre una specifica e suggestiva connotazione, ma cela puntualmente un significato autre, completamente autre, pur non essendovi antitesi fra il suo senso palese e il senso nascosto. Da ciò, la comprendibile tentazione di confondere l’allegorico con il metaforico, indipendentemente dal linguaggio usato. Complicazione tutt’altro che disutile, quando si rifletta sulla parallela constatazione che un’allegoria figurativa, o un discorso di genere allegorico, possono inglobare uno o più simboli, per cui sembrerà, a volte, che l’una dimensione trascolori nell’altra, a dispetto di ogni logica distinzione 43 A sinistra: l’ancora con il delfino continuò a essere la marca tipografica della stamperia, anche dopo la morte di Aldo. Sopra: Ritratto di Aldo Manuzio (vignetta di metà Ottocento) proponibile in sede di filosofia dell’arte. Ma procediamo oltre. Anzi, ritorniamo al nostro spunto iniziale ponendoci il più semplice dei quesiti: la marca tipografica voluta da Aldo Manuzio quali “valori” illustra di là dalla sua connotazione emblematica? Mitologia e psicologia del profondo, iconologia e semiotica concorrono nel mormorarci che sono per prime le fonti classiche (Orazio, Odi, I, 35; Ovidio, Fasti, II, 79-118; Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, IXX, 20-34 ) a suggerirci che il delfino è l’immagine, anche fonica, dell’elemento che meglio guizza tra le “acque superiori” e le “acque inferiori” (fra l’ultravioletto psichico e l’infrarosso), per cui converrà che sia evocato, figurativamente, dalla sua proiezione nel cielo boreale e, musicalmente, dal poema sinfoni- 44 Marca aldina co La mer di Claude Debussy (1862-1918). Nella accezione astronomica, infatti, collocandosi tale costellazione come emergente, fra la tarda estate e l’autunno, essa mostra come possano raccogliersi nascostamente frutti o messi che le costellazioni maggiori ignorano: come se si indagasse sulla sapienza disseminata dal conte della Mirandola, laddove, nelle diverse sue opere, riconobbe (o attribuì) a Zoroastro la virtù dell’intelletto virile, a Pitagora la saggezza, piena e profonda, e a Parmenide la capacità di rappresentare i poteri della Sfera intelligibile. Un gioco di rinvii e di rapporti che nulla ha perso di validità, quando si consideri che esso potrebbe formularsi anche nell’ambito della problematica cosmologica e della logica algebrica. Discorso analogico che ci condurrebbe entro un orizzonte che qui non possiamo contemplare. la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Per converso, ma non per avverso, risulta indubbio che il delfino che abbiamo scorto muoversi fra i tre schizzi sinfonici de La Mer (“Dall’alba al mezzogiorno sul mare”, “Giuoco delle onde” e “Dialogo del vento e del mare”), ci aiuta a meglio comprendere come la sua presenza entro la costruzione del marchio di Manuzio debba riguardarsi come una sorta di omaggio al vario spettacolo della Natura, e ai suoi aspetti più profondi, tanto che la sua discesa a spirale - e non appaia un paradosso - rinvia al passo che si trova nel Vangelo copto di Tommaso (IV sec.) laddove è detto: «Se vi domanderanno: qual è il segno del Padre vostro che è in voi? Risponderete: il movimento e il riposo». Movimento e riposo (espansione e contrazione) di tutti gli ospiti effimeri di questo Universo manifesto, in conformità con la teoria cosmologica che ipotizza, a sua volta, la ricorsività di uno o più universi ciclici, ma mutazioni, altresì, che forse - non sono condannate ad ancorarsi a una sola brana. Già, perché è parimenti verosimile, accettando quest’ottica, che quivi l’immagine dell’àncora non sia né il richiamo a un fattore psicologicamente ritardante né un’allusiva illustrazione di un elemento di mistica salvezza, come supponeva San Paolo nell’Epistola agli Ebei (6,19). In essa si dovrà piuttosto vedere, a nostro sommesso avviso, e nella fattispecie grafica ed editoriale, un disegno che, in modo traslato, invita a sognare l’approdo a rive lontane. Un desiderio intellettivo che è anche sul punto d’indurre matematica e geometria a conquistare le equazioni non lineari e la prospettiva geometrica (anamorfosi comprese, peraltro), alla stregua della grammatica musicale di inizio Cinquecento che, tramite la pratica dei ricercare e delle fantasie sugli strumenti da tasto, si stava accingendo ad avventurarsi nel vasto oceano della fuga, per lo più strumentale, e dei sontuosi e stereofonici cori battenti della “scuola” dei Gabrieli, perfetta risonanza compositiva dell’Hypnerotomachia Poliphili. dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 45 SPECIALE ALDO MANUZIO ALDO ALLA BIBLIOTECA DI VIA SENATO Per un primo catalogo delle edizioni aldine presso la BvS GIANCARLO PETRELLA A ll’alba delle celebrazioni del quinto centenario della scomparsa di Aldo Manuzio - sarebbe eccessivo dire quasi a inaugurarle, ma certo esaudendo un voto espresso dal più valido studioso di Aldo - , si offre qui il non disprezzabile catalogo delle edizioni prodotte da Aldo il Vecchio e dai suoi eredi conservate presso la Biblioteca di via Senato. Testimonianza del fascino che Aldo ancora esercita, tale catalogo risponde, forse con irreparabile ritardo, all’invito di Martin Lowry a portare avanti «l’indagine presso biblioteche che possiedono collezioni di ridotta entità, alcune delle quali non ancora pienamente investigate» perché non passi «chissà quanto tempo prima che si possano portare alla luce queste tracce che riguardano il fascino che Aldo promana sui contemporanei, sui loro successori, su noi stessi». La proposta, lungimirante se non preveggente, di un catalogo degli esemplari aldini della BvS risale a una decina di anni fa. Ne accennai anche, distrattamente, a Luigi Balsamo, all’epoca collaboratore del trimestrale «L’Erasmo» di cui l’attuale rivista ha raccolto l’eredità. Non se ne fece nulla. Un catalogo, qualunque esso sia, ha il merito di fissare una volta per tutte l’immagine e la consistenza di una collezione a una certa data, prima di inevitabili dispersioni. È la fotografia scattata in un momento di quiete. Non sempre i libri, come le persone, possono goderne. Oggi per censire quegli esemplari, registrati nel catalogo informatico della BvS, mi sono anche avvalso di alcuni faticosi appunti raccolti negli anni e in margine al catalogo della mostra petrarchesca Libri mei peculiares del 2005.1 L’elenco che segue offre lo spaccato di una collezione privata tutt’altro che ‘di ridotta entità’. Raccoglie infatti 46 delle 131 edizioni stampate Aldo vivente, più di un terzo dell’intera produzione di Aldo il Vecchio (alcune addirittura in due esemplari, se con varianti, come la ben nota edizione de Gli Asolani del 1505).2 A queste si aggiungono (e qui si registrano: schede n° 47-78) una trentina di edizioni firmate dal Torresani e dagli eredi di Aldo o risalenti semNOTE 1 GIANCARLO PETRELLA, ‘Libri mei peculiares’. Petrarca e le sue letture nella Biblioteca di via Senato. Catalogo della mostra, Milano, Biblioteca di Via Senato Edizioni, 2005. 2 PIERO SCAPECCHI, Annali delle edizioni di Aldo Manuzio, in Serie delle edizioni aldine per ordine cronologico ed alfabetico, Bologna, Arnaldo Forni editore, 2013, pp. XVII-XXX. 46 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 pre al 1515 ma di pochi mesi successive alla scomparsa di Aldo avvenuta il 6 febbraio di quell’anno. Infine, il fondo antico della BvS comprende circa 110 edizioni stampate da Paolo e Aldo Manuzio il giovane di cui si offrirà il catalogo nel numero successivo della rivista assieme all’indice dei possessori e delle provenienze dell’intero catalogo. Alcuni esemplari, già segnalati alla macchia, confessano infatti provenienze illustri, a conferma di un pubblico di collezionisti di rango, tra cui le nobili famiglie milanesi degli Speciano e degli Archinto, l’umanista tedesco Johannes Reuchlin, Ludovico Antonio Muratori, parecchi bibliofili d’Oltremanica, tra cui Richard Heber e Fairfax Murray. Assai interessante infine, ma qui solo accennabile, il discorso sulle tracce di lettura e consultazione di questi esemplari, alcuni dei quali furono impiegati non solo come amena lettura ma come strumenti di studio e collazione, come lasciano intendere appunti e fitte postille marginali e interlineari. Abbreviazioni bibliografiche: AHMANSON-MURPHY: The Aldine Press Catalogue of the Ahmanson-Murphy Collection of Books by or Relating to the Press in the Library of the University of California, Los Angeles Incorporating Works Recorded Elsewhere, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 2001 PETRELLA: GIANCARLO PETRELLA,‘Libri mei peculiares’. Petrarca e le sue letture nella Biblioteca di via Senato. Catalogo della mostra, Milano, Biblioteca di Via Senato Edizioni, 2005 SCAPECCHI: PIERO SCAPECCHI, Annali delle edizioni di Aldo Manuzio, in Serie delle edizioni aldine per ordine cronologico ed alfabetico, Bologna, Arnaldo Forni editore, 2013, pp. XVII-XXX RENOUARD: ANTOINE-AUGUSTIN RENOUARD, Annales de l’imprimerie des Aldes, Paris, J. Renouard, 18342 1. THEOCRITUS, Idyllia (con Hesiodus, Opera et dies, Theogonia [et alia]), febbraio 1495 [1496]. In folio, cc. [140]. Renouard 5-3; BMC V, p. 554; Ahmanson-Murphy 7; Scapecchi 7; ISTC it00144000. Milano, BvS: legatura firmata Drechsler (Vienna). 2. IAMBLICHUS, De mysteriis Aegyptiorum, settembre 1497. In folio, cc. [186]. Renouard 13-6; BMC V, p. 557; Ahmanson-Murphy 15; Scapecchi 16; ISTC ij00216000. Milano, BvS. Esemplare con timbro di provenienza «Bibliotheca Heberiana» da identificarsi con la straordinaria collezione del filologo e maniacale bibliofilo inglese Richard Heber (1773-1833) sul quale si veda ovviamente Seymour de Ricci, English collectors of books and manuscripts (1530-1930) and their marks of ownership, Cambridge, University Press, 1930, pp. 102-104 e la scheda relativa in A catalogue of books printed in the fifteenth century now in the Bodleian Library, by Alan Coates et alii, VI, Oxford, University Press, 2005, p. 2875. La biblioteca è ricostruibile attraverso gli oltre dieci cataloghi dell’infinita asta londinese Bibliotheca Heberiana: Catalogue of the library of the late Richard Heber esq., London, Sotheby, 18341837. 3. ANGELO POLIZIANO, Opera, luglio 1498. In folio, cc. [452]. Renouard 17-4; BMC V, p. 559; Ahmanson-Murphy 26; Scapecchi 27; ISTC ip00886000. Milano, BvS: legatura di area tedesca coeva in piena pelle di scrofa con impressioni a secco su piatti di legno; tracce di fermagli. 4. ARISTOPHANES, Aristophanus Komodiai Ennea (Aristophanis Comoediae Novem), 15 luglio 1498. In folio, cc. [348]. Renouard 16-3; GW 2333; BMC V, p. 559; Ahmanson-Murphy 25; Scapecchi 26; ISTC ia00958000. Milano, BvS: legatura otto-novecentesca a firma «Levasseur ainé». 5. MARCUS MUSURUS (a cura di), Epistolai diaphoron philosophon, rhetoron, sophiston, hex pros tois eikosi (Epistolae diversorum philosophorum oratorum rhetorum sex & viginti), 1499. 4°, cc. [266], [138]. GW 9367; BMC V, p. 560; Renouard 18-1; Ahmanson-Murphy 30; Scapecchi 31; ISTC ie00064000. Milano, BvS. dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 6. Scriptores astronomici (Firmicus Maternus Iulius, Astronomicorum libri octo; Marcus Manilius, Astronomicorum libri quinque; Aratus, Phaenomena [et alia]), giugno, ottobre 1499. In folio, cc. [184] [192]; ill. Renouard 20-3; GW 9981; BMC V, p. 560; Ahmanson-Murphy 34; Scapecchi 35; ISTC if00191000. Milano, BvS. Nota di possesso al frontespizio «Specianus», che rimanda a un membro della nobile famiglia milanese degli Speciano. Non è possibile identificare a quale degli Speciano rimandi, se al capostipite Giovanni Battista († 1545) o a qualcuno dei suoi discendenti, tra cui Cesare (1539-1607), vescovo di Novara e Cremona, nunzio apostolico presso la corona di Spagna e l’imperatore Rodolfo II. Anni fa individuai una copia della Cosmographia di Sebastian Münster (ora Milano, Biblioteca Braidense, OO XII 47) appartenuta alla stessa famiglia (G. PETRELLA, Libri proibiti e inquisizione a Milano nel secondo Cinquecento. Un esemplare espurgato de La Cosmografia di Sebastian Münster, in G. PETRELLA, Uomini, torchi e libri nel Rinascimento, Udine, Forum, 2007, pp. 310-336). 7. FRANCESCO COLONNA, Hypnerotomachia Poliphili, dicembre 1499. In folio, cc. 234, ill. Renouard 21-5; GW 7223; BMC V, p. 561; Ahmanson-Murphy 35; Scapecchi 36; ISTC ic00767000. Milano, BvS: ex libris del patrizio milanese Carlo Archinto (1669-1732), la cui collezione andò dispersa nell’Ottocento (Catalogue d’une petite collection de livres rares et précieux, imprimés et manuscripts, provenant de la bibliothèque de feu monsieur le comte Archinto de Milan, Paris, L. Potier, 1863). Esemplare poi giunto alla collezione del preraffaellita Charles Fairfax Murray (1849-1919). A c. a1 la parola «Saneque» è stata corretta in «Sanequam» con l’aiuto di un timbro come in molti esemplari. 8. s. CATERINA DA SIENA, Epistole devotissime, settembre 1500. In folio, cc. [10] i-ccccxiiii [1]. Renouard 23-2; BMC V, p. 562; GW 6222; Ahmanson-Murphy 36; Scapecchi 38; ISTC ic00281000. Milano, BvS. 9. Poetae christiani veteres, vol. I, Prudentii poetae Opera, gennaio 1501. 4°, cc. [234]. Renouard 24-26; Scapecchi 40; Edit16 CNCE 47 36115. Milano, BvS. 10. DECIMUS IUNIUS IUVENALIS; FLACCUS AULUS PERSIUS, Satirae, agosto 1501. 8°, cc. [78]. Renouard 29-6; Ahmanson-Murphy 36, 44; Petrella 31; Scapecchi 46; Edit16 CNCE 36104. Milano, BvS: esemplare con sottolineature, postille, segni di paragrafo e iniziali rosse e blu in tutto il volume. A carta A2r iniziale miniata in oro su fondo verde. Legatura alle armi in marocchino rosso con motto «Je maintiendrai. Tria juncta in uno» che rimanda molto probabilmente a James Harris, 1st Earl of Malmesbury (1746-1820); filettatura e fregi ai piatti e al dorso; tagli dorati; risguardi in carta marmorizzata. Milano, BvS: esemplare della ristampa con stessa data 1501 ma [1515?], con marca aldina e sottoscrizione «in aedibus Aldi et Andreae soceri» (Scapecchi 46). Esemplare con fitte postille marginali cinque-seicentesche. Legatura settecentesca in pergamena rigida con titolo manoscritto al dorso. 11. MARCUS VALERIUS MARTIALIS, Epigrammata, dicembre 1501. 8°, cc. [192]. Renouard 30-7; Ahmanson-Murphy 47; Scapecchi 47; Edit16 CNCE 36108. Milano, BvS: legatura a firma C. Smith, privo dell’ultima carta bianca. 12. GAIUS VALERIUS CATULLUS; ALBIUS TIBULLUS; SEXTUS PROPERTIUS, Carmina, gennaio 1502. 8°, cc. [44] [36] [70] [2]. Renouard 39-16; Ahmanson-Murphy 52; Petrella 34; Scapecchi 54; Edit 16 CNCE 10356. Milano, BvS: esemplare con refuso «Propetius» al titolo e variante erronea (primo stato) «Benedicti filio» invece di «Leonardi filio» nella prefazione di Aldo. Nota di possesso «Henry de Cepole» cui rimandano anche un paio di altre edizioni italiane registrate in MARIE F. VIALLON, Catalogue du Fonds italien XVI [XVII] siècle Auguste Boullier de la Bibliothèque Municipale de Roanne, Saint-Étienne, Pubblications de L’Université de Saint-Étienne, 1995 [1997], pp. 21, 211. Sottolineature a testo e tracce di sporadiche postille marginali lavate del sec. XVI. Foglietto sciolto con note manoscritte di contenuto bibliografico, firmate 48 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 A.T. (sec. XVIII). Legatura ottocentesca in marocchino rosso con filettatura in oro ai piatti, fregi e titolo in oro al dorso; tagli dorati; risguardi in carta marmorizzata. 13. STEPHANUS BYZANTINUS, Stephanos Peripoleon (Stephanus de urbibus), gennaio, marzo 1502. In folio, cc. [80]. Renouard 38-15; Ahmanson-Murphy 53; Scapecchi 55; Edit16 CNCE 36142. Milano, BvS. 14. MARCUS ANNAEUS LUCANUS, Pharsalia, aprile 1502. 8°, cc. [140]. Renouard 33-3; Ahmanson-Murphy 56; Scapecchi 58; Edit16 CNCE 36129. Milano, BvS. 15. THUCYDIDES, Historiae, maggio 1502. In folio, cc. [124]. Renouard 33-4; Ahmanson-Murphy 57; Scapecchi 59; Edit16 CNCE 55824. Milano, BvS: al foglio di guardia anteriore nota manoscritta «Anno Domini 1533 Benedictione Dei conservantur familiae Dionysius Capnion junior Waiblingense» che rimanda al nipote dell’umanista tedesco Johannes Reuchlin (1455-1522), che la ebbe probabilmente proprio dallo zio. Legatura coeva di area tedesca in pelle di scrofa con impressioni a secco e due fermagli. 16. Poetae christiani veteres, vol. II, Sedulii mirabilium diuinorum libri quatuor, giugno 1502. 4°, cc. [293]. Renouard 24-26; Scapecchi 60; Edit16 CNCE 36115. Milano, BvS. 17. DANTE ALIGHIERI, Le terze rime, agosto 1502. 8°, cc. [244]. Renouard 34-5; Ahmanson-Murphy 59; Scapecchi 62; Edit16 CNCE 1144. Milano, BvS: esemplare privo della marca con ancora aldina all’ultima carta H4v (variante C: Edit16 CNCE 1144); iniziali rubricate; tagli dorati e cesellati. 18. HERODOTUS, Erodotou logoi ennea oiper epikalountai Mousai (Herodoti libri novem quibus musarum indita sunt nomina), settembre 1502. In folio, cc. [140]. Renouard 35-8; Ahmanson-Murphy 62; Scapecchi 64; Edit16 CNCE 22655. Milano, BvS: postille di mano coeva. 19. PUBLIUS NASO OVIDIUS, Metamorphoseon libri quindecim, ottobre 1502. 8°, cc. [64] [204]. Renouard 37-12; Ahmanson-Murphy 66; Scapecchi 68; Edit16 CNCE 55826. Milano, BvS. 20. VALERIUS MAXIMUS, Dictorum et factorum memorabilium libri novem, ottobre 1502. 8°, cc. [212]. Renouard 36-10; Ahmanson-Murphy 65, 71; Scapecchi 67; Edit16 CNCE 36147. Milano, BvS: esemplare con il fascicolo A contenente 8 carte, cioè variante A con 212 cc. Legatura settecentesca in mezza pelle e pergamena con tassello in marocchino rosso al dorso. Milano, BvS: esemplare con il fascicolo A contenente 12 carte, cioè variante B con 216 cc. 21. PUBLIUS PAPINIUS STATIUS, Sylvarum libri quinque; Thebaidos libri duodecim; Achilleidos duo, agosto, novembre 1502. 8°, cc. [40] [256]. Renouard 35-7; Ahmanson-Murphy 61; Petrella 32; Scapecchi 63; Edit16 CNCE 36141. Milano, BvS: esemplare con nota di possesso (XVI sec.) di un membro della famiglia fiorentina dei Pandolfini «Ian(n)octij petri philippi De pandulphinis». Legatura coeva in piena pelle decorata a secco con tagli dorati e cesellati; fogli di guardia da codice pergamenaceo con tracce di scrittura gotica. 22. AMMONIUS, Hypomnena eis to peri hermeneias Aristotelous (Ammonii Hermei commentaria in librum peri Hermenias), giugno 1503. In folio, cc. [144]. Renouard 40-4; Ahmanson-Murphy 76; Scapecchi 76; Edit16 CNCE 1595. Milano, BvS: privo delle carte bianche H4, L4. 23. GIOVANNI BESSARIONE, In calumniatorem Platonis, giugno 1503. In folio, cc. [8] 112. Renouard 40-5; Ahmanson-Murphy 75; Scapecchi 77; Edit16 CNCE 5644. Milano, BvS. 24. Poetae christiani veteres, vol. III, Gregorii dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano episcopi Nazanzeni Carmina, giugno 1504. 4°, cc. [234]. Renouard 46-4; Ahmanson-Murphy 84; Scapecchi 85; Edit16 CNCE 36115. Milano, BvS. 25. DEMOSTHENES, Demosthenous Logoi duo kai exekonta (Demosthenis Orationes duae & sexaginta), novembre 1504. In folio, 2 parti, pp. [28] 320; [288] [8]. Renouard 47-7; Ahmanson-Murphy 87; Scapecchi 88; Edit16 CNCE 16732. Milano, BvS. 26. QUINTUS SMYRNAEUS, Kointou Kalabrou Paraleipomenon Omerou biblia tessareskaideka. Quinti Calabri Derelictorum ab Homero libri quatuordecim, [1504-1505]. 8°, cc. [172]. Renouard 261-14; Ahmanson-Murphy 95; Scapecchi 89; Edit16 CNCE 36102. Milano, BvS. 27. PIETRO BEMBO, Gli Asolani, marzo 1505. 4°, cc. [98]. Renouard 48-1; Ahmanson-Murphy 88; Scapecchi 90; Edit16 CNCE 4986. Milano, BvS (esemplare con errata corrige ma senza dedica a Lucrezia Borgia). Milano, BvS (esemplare del I stato con dedica a Lucrezia Borgia ed errata corrige). 28. GIOVANNI AURELIO AUGURELLI, Carmina, aprile 1505. 8°, cc. [128]. Renouard 49-2; Ahmanson-Murphy 89; Scapecchi 91; Edit16 CNCE 3381. Milano, BvS. 29. GIOVANNI PONTANO, Opera, maggioagosto 1505. 8°, cc. [242]. Renouard 49-4; Ahmanson-Murphy 91; Scapecchi 93; Edit16 CNCE 36164. Milano, BvS. 30. AESOPUS, Vita et fabellae Aesopi cum interpretatione latina, ottobre 1505. In folio, pp. [140] [68]. Renouard 49-6; Ahmanson-Murphy 93; Scapecchi 95; Edit16 CNCE 334. Milano, BvS. 49 31. EURIPIDES, Hecuba et Iphigenia in Aulide Euripidis tragoediae in Latinum tralatae Erasmo Roterodamo interprete. Eiusdem Ode de laudibus Britanniae, regisque Henrici septimi, ac regnorum liberorum eius. Eiusdem Ode de senectutis incommodis, dicembre 1507. 8°, cc. [80]. Renouard 51-1; Ahmanson-Murphy 96; Scapecchi 97; Edit16 CNCE 18374. Milano, BvS: tracce di espurgazione (il nome di Erasmo alle prime due carte è cassato e più tardi riscritto a penna); legatura ottocentesca a firma François Bozerian le Jeune. 32. CAECILIUS SECUNDUS GAIUS PLINIUS, Epistolarum libri decem, novembre 1508. 8°, pp. [24] 525 [3]. Renouard 53-3; Ahmanson-Murphy 100; Scapecchi 100; Edit16 CNCE 37420. Milano, BvS. 33. FLACCUS QUINTUS HORATIUS, Poemata, marzo 1509. 8°, pp. [48] 310 [2]. Renouard 56-2; Ahmanson-Murphy 102; Petrella 38; Scapecchi 103; Edit16 CNCE 22679. Milano, BvS: esemplare con numerose postille marginali, privo delle carte bianche a8 e x4. Legatura settecentesca in pelle con fregi in oro e due tasselli al dorso; risguardi in carta marmorizzata; taglio dorato; tracce di restauri marginali. 34. CRISPUS GAIUS SALLUSTIUS, De coniuratione Catilinae; De bello Iugurthino; Orationes, aprile 1509. 8°, pp. [16] 279 [1]. Renouard 57-3; Ahmanson-Murphy 103; Petrella 39; Scapecchi 104; Edit16 CNCE 37431. Milano, BvS: esemplare con fitte postille (sei-settecentesche) marginali e interlineari. Ex libris di Édmé Hermitte (s. XX) al risguardo anteriore, di cui rintraccio almeno un’altra aldina (Orazio 1555) presso la ben nota Ahmanson-Murphy Collection. Nota «Versaille 1846 Lemazurier» al primo foglio di guardia. Legatura ottocentesca in mezza pelle e carta verde; carta marmorizzata ai risguardi e al primo foglio di guardia; titolo in oro al dorso. 35. COSTANTINUS LASCARIS, De octo partibus orationis (et alia), ottobre 1512. 4°, cc. [274] [20]. 50 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Renouard 58-1; Ahmanson-Murphy 105; Scapecchi 108 (ma con attribuzione a Janus Lascaris); Edit16 CNCE 36173. Milano, BvS: legatura cinquecentesca tedesca in pelle di scrofa con impressioni a secco. 36. ERCOLE e TITO VESPASIANO STROZZI, Strozii poetae pater et filius, gennaio 1513. 8°, cc. [8] 99 [1] 152. Renouard 65-10; Ahmanson-Murphy 110; Scapecchi 111; Edit16 CNCE 37457. Milano, BvS. 37. Oratores graeci (Logoi toutoni ton retoron, Aiskinou, Lysiou, Alkidamantos ... Orationes horum rhetorum Aeschinis, Lysiae, Alcidamantis ... ), aprile-maggio 1513. In folio, cc. [2] pp. 197 [3]; pp. 163 [1]. Renouard 60-2; Ahmanson-Murphy 112; Scapecchi 114; Edit16 CNCE 37441. Milano, BvS: esemplare con nota di dedica datata 1821. 38. NICCOLÒ PEROTTI, Cornucopiae sive linguae latinae commentarii, settembre-novembre 1513. In folio, cc. 372. Renouard 63-6; Ahmanson-Murphy 115; Scapecchi 117; Edit16 CNCE 37444. Milano, BvS. 39. GIOVANNI PONTANO, Opera, 1513. 8°, cc. 255 [1]. Renouard 63-7; Ahmanson-Murphy 109; Scapecchi 109; Edit16 CNCE 36456. Milano, BvS: legatura cinquecentesca in pelle. 40. SUIDAS, Suida. Soyida. To men paron biblion, Soyida. Hoi de syntaxamenoi toyto, andres sophoi (Lexicon), febbraio 1514. In folio, cc. [392]. Renouard 70-11; Ahmanson-Murphy 119; Scapecchi 120; Edit16 CNCE 37492. Milano, BvS: esemplare con ex libris Leonis S. Olschki, mutilo dell’ultima carta. 41. MARCUS TULLIUS CICERO, Rhetoricorum ad Herennium libri, marzo 1514. 4°, cc. [6] 245 [3]. Renouard 65-1; Ahmanson-Murphy 120; Scapecchi 121; Edit16 CNCE 1997. Milano, BvS: legatura coeva in pelle, piatti decorati in oro, tagli dorati e cesellati, con due fermagli. 42. Scriptores rei rusticae, maggio 1514. 4°, cc. [34] 308. Renouard 66-2; Ahmanson-Murphy 141; Scapecchi 122; Edit16 CNCE 37471. 43. MARCUS FABIUS QUINTILIANUS, Institutionum oratoriarum libri XII, agosto 1514. 4°, cc. [4] 230. Renouard 68-5; Ahmanson-Murphy 124; Scapecchi 125; Edit16 CNCE 54150. Milano, BvS. 44. VALERIUS MAXIMUS, Exempla quatuor et viginti nuper inventa ante caput de ominibus, ottobre 1514. 8°, cc. 216. Renouard 69-9; Ahmanson-Murphy 128; Scapecchi 129; Edit16 CNCE 37496. Milano, BvS: esemplare postillato. 45. ALDO MANUZIO, Institutionum grammaticarum libri quatuor, dicembre 1514. 4°, cc. [214]. Renouard 69-10; Ahmanson-Murphy 129; Scapecchi 130; Edit16 CNCE 37481. Milano, BvS: esemplare privo delle cc. aa-bb8 cc4 contenenti l’Appendice e l’Introductio ad hebraicam linguam. 46. TITUS LUCRETIUS CARUS, De rerum natura, gennaio 1515. 8°, cc. [8] 125 [3]. Renouard 74-11; Ahmanson-Murphy 130; Scapecchi 109; Edit16 CNCE 37499. Milano, BvS: nota di possesso di Francesco Bocchi, forse da identificarsi con il letterato fiorentino intimo di Lorenzo Salviati (1548-1613/1618) sul quale si veda la voce a cura di Silvana Menchi, in Dizionario Biografico degli Italiani, XI, pp. 72-74. Eredi di Aldo il Vecchio (6 febbraio 1515-1529): 47. GAIUS VALERIUS CATULLUS; ALBIUS TIBULLUS; SEXTUS PROPERTIUS, Carmina, marzo 1515. 8°, cc. 148 [2]. Renouard 70-1; Ahmanson-Murphy 131; Edit16 CNCE 10358. Milano, BvS. 48. LUCIUS CAECILIUS FIRMIANUS LACTANTIUS, Divinarum institutionum libri [et alia], aprile dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 1515. 8°, 2 parti, cc. [16] 348 [12]; [4] 48. Renouard 70-2; Ahmanson-Murphy 132; Edit16 CNCE 45472. Milano, BvS; opera presente in BvS anche con un secondo esemplare. 49. MARCUS ANNAEUS LUCANUS, Pharsalia, luglio 1515. 8°, cc. 137 [3]. Renouard 72-6; Ahmanson-Murphy 135; Petrella 43; Edit16 CNCE 37522. Milano, BvS: legatura settecentesca in piena pelle con tagli dorati e cesellati. 50. DANTE ALIGHIERI, Dante col sito, et forma dell’inferno tratta dalla istessa descrittione del poeta, agosto 1515. 8°, cc. [2] 244 [4], ill. Renouard 73-8; Ahmanson-Murphy 136; Edit16 CNCE 1150. Milano, BvS; opera presente in BvS anche con un secondo esemplare. 51. AULUS GELLIUS, Noctium Atticarum libri undeviginti, settembre 1515. 8°, cc. [32] 289 [51]. Renouard 73-9; Ahmanson-Murphy 138; Edit16 CNCE 20605. Milano, BvS: esemplare con variante «duerniorem» invece di «duernionem» al colophon (c. V4r). Legatura in piena pergamena rigida con titolo manoscritto al dorso. Tagli dorati e cesellati. 52. PUBLIUS OVIDIUS NASO, Heroidum epistolae; Amorum libri III; De arte amandi libri III; De remedio amoris libri II [et alia]; Fastorum libri VI; Tristium libri V [et alia]; Metamorphoseon libri XV, maggio 1515, gennaio-febbraio 1516. 8°, 3 parti, cc. [16] 172 [10]; [48] 204; [22] 223 [1]. Renouard 72-3, 78-9, 78-10; Ahmanson-Murphy 133, 141, 142; Edit16 CNCE 47168. Milano, BvS. 53. LUDOVICO RICCHIERI, Sicuti antiquarum lectionum commentarios concinnarat olim Vindex Ceselius, ita nunc eosdem per incuriam interceptos reparavit Lodovicus Caelius Rhodiginus, in corporis unam velut molem aggestis primum linguae utrisque floribus … , febbraio 1516. In folio, pp. [40] 862 [6]. Renouard 79-11; Ahmanson-Murphy 143; Edit16 CNCE 47593. 51 Milano, BvS: esemplare con nota di provenienza del Collegio dei Gesuiti di Firenze e armorial bookplate «Ex Libris Liechtensteinianis» riconducibile ai Principi del Liechtenstein. 54. LUCIANUS, Opuscula Erasmo Roterodamo interprete, maggio 1516. 8°, cc. 236 [2]. Edit16 CNCE 36166. Milano, BvS: legatura seicentesca in piena pergamena semirigida con titolo manoscritto al dorso. 55. GAIUS SUETONIUS TRANQUILLUS, In hoc volumine haec continentur C. Suetonij Tranquilli XII Caesares; Sexti Aurelij Victoris a d. Caesare Augusto usque ad Theodosium excerpta; Eutropij de gestis Romanorum lib. X; Pauli Diaconi libri VIII ad Eutropij historiam additi, agosto 1516. 8°, cc. [32] 320. Renouard 77-5; Ahmanson-Murphy 147; Edit16 CNCE 53872. Milano, BvS. 56. LUCIUS ANNAEUS SENECA, Tragoediae, ottobre 1517. 8°, cc. [4] 207 [5]. Renouard 80-4; Ahmanson-Murphy 155; Edit16 CNCE 37581. Milano, BvS. 57. DECIMUS MAGNUS AUSONIUS, Opera, novembre 1517. 8°, cc. 107 [1]. Renouard 80-7; Ahmanson-Murphy 158; Edit16 CNCE 3482. Milano, BvS: legatura coeva con tagli cesellati. 58. MUSAEUS GRAMMATICUS, Mousaiou Poiemation ta kath’Hero kai Leandron. Orpheos argonautika. Tou autou hymnoi Orpheos peri lithon (Musaei opusculum de Herone & Leandro. Orphei argonautica. Eiusdem hymni. Orpheus de lapidibus), novembre 1517. 8°, cc. 80. Renouard 81-8; Ahmanson-Murphy 159; Edit16 CNCE 37563. Milano, BvS. 59. AESCHYLUS, Aischyloy Tragodiai (Aeschyli tragoediae sex), febbraio 1518. 8°, cc. 113 [1]. Renouard 85-9; Ahmanson-Murphy 164; Edit16 CNCE 328. Milano, BvS. 60. GIOVANNI GIOVIANO PONTANO, Amorum 52 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 libri II [et alia], febbraio 1518. 8°, cc. 170 [2]. Renouard 85-10; Ahmanson-Murphy 165; Edit16 CNCE 37595. Milano, BvS. 61. CAECILIUS SECUNDUS PLINIUS, Epistolarum libri X, giugno 1518. 8°, pp. [56] 525 [3]. Renouard 82-1; Ahmanson-Murphy 166; Edit16 CNCE 37589. Milano, BvS: legatura in pelle coeva con impressioni a secco. 62. POMPONIUS MELA, Pomponius Mela Iulius Solinus Itinerarium Antonini Aug. Vibius Sequester P. Victor de regionibus urbis Romae Dionysius Afer de situ orbis Prisciano interprete, ottobre 1518. 8°, cc. 233 [3]. Renouard 83-6; Ahmanson-Murphy 171; Petrella 44; Edit16 CNCE 46864. Milano, BvS: legatura moderna in marocchino verde con fregi in oro a imitazione di stile aldino (firmata Sangorski & Sutcliffe, London); titolo in oro al dorso; risguardi in carta marmorizzata policroma; ex libris «John Lowe e G.R. Airth». 63. Scriptores Historiae Augustae, agosto 1519. 8°, cc. [8] 422 [2]. Renouard 87-8; Ahmanson-Murphy 181; Edit16 CNCE 17204. Milano, BvS: nota di possesso datata di Ludovico Antonio Muratori al foglio di guardia anteriore («Ludovici Ant. Muratori 1693»); legatura ottocentesca in piena pergamena rigida. Ancora impressa in oro al piatto anteriore. Milano, BvS: armorial bookplate «Syston Park», che rimanda alla biblioteca della residenza della famiglia Thorold, avviata da Sir John Thorold (1734-1815) e proseguita da Sir John Hayford Thorold (17731831) (Catalogue of an important portion of the extensive and valuable library of the late Sir John Hayford Thorold, London, Dryden Press, 1884; S. de Ricci, English collectors, pp. 159-160; A catalogue of books printed in the fifteenth century now in the Bodleian Library, VI, p. 2924); ex libris «Carolus Jacobus Stuart Baronettus» da identificarsi con lo stesso Charles Jacob Stuart (1824-1901) cui rimandano altre edizioni aldine in biblioteche d’Oltreoceano (Ahmanson- Murphy 250, 283). 64. GIOVANNI GIOVIANO PONTANO, Opera omnia soluta oratione composita; De Aspiratione libri duo [et alia]; Centum Ptolemaei sententiae ad Syrum Fratrem a Pontano e graeco in latinum tralatae atque expositae Eiusdem Pontani libri XIIII de reb. Coelestibus, giugno 1518; aprile 1519; settembre 1519. 4°, 3 parti, cc. [4] [327] [1]; 318; 301 [19]. Renouard 82-3, 87-6, 87-7; Ahmanson-Murphy 168, 178, 183; Edit16 CNCE 47484. Milano, BvS. 65. LUCIUS APULEIUS, Metamorphoseos [et alia], 1521. 8°, cc. 266 [28]. Renouard 91-8; Petrella 47; Ahmanson-Murphy 202; Edit16 CNCE 2231. Milano, BvS: legatura ottocentesca in mezzo marocchino rosso con titolo impresso in oro al dorso; taglio spruzzato di rosso; risguardi in carta marmorizzata; ex libris Yardley. 66. GAIUS SUETONIUS TRANQUILLUS, In hoc volumine haec continentur C. Suetonij Tranquilli XII Caesares; Sexti Aurelij Victoris a d. Caesare Augusto usque ad Theodosium excerpta; Eutropij de gestis Romanorum lib. X; Pauli Diaconi libri VIII ad Eutropij historiam additi, maggio 1521. 8°, cc. [60] 320. Renouard 91-7; Ahmanson-Murphy 201; Petrella 46; Edit16 CNCE 37658. Milano, BvS: legatura in marocchino scuro con stemma araldico (scudo con 6 oche sorretto da un leone e un grifone rampanti) impresso in oro al piatto anteriore e titolo in oro al dorso; tagli dorati; risguardi e fogli di guardia in carta decorata su fondo dorato; ex libris araldico ottocentesco «P. de la Morandière», la cui collezione è dispersa sul mercato antiquario e di cui si rintracciano con frequenza disiecta membra, parecchi dei quali già della biblioteca du Plessis; nota di possesso (XVI sec.) al frontespizio e al verso dell’ultima carta (G. Alberganti). 67. FRANCESCO PETRARCA, Canzoniere; Trionfi, luglio 1521. 8°, cc. 184 [24]. Renouard 92-12; Ahmanson-Murphy 206; Petrella 6; Edit16 CNCE 37648. Milano, BvS: ex libris Thomas Westwood probabil- dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano mente da ricondursi al poeta e bibliografo inglese Thomas Westwood (1814–1888); legatura settecentesca in piena pelle scura con ai piatti duplice cornice dorata a filetti e a secco, piccoli fregi a secco negli angoli e riquadro al centro; al dorso filetti, fregi e titolo in oro; unghiatura con fregio a secco; taglio dorato; risguardi in seta. 68. TITUS MACCIUS PLAUTUS, Comoediae, luglio 1522. 4°, cc. [14] 284. Renouard 94-2; Ahmanson-Murphy 211; Edit16 CNCE 37687. Milano, BvS: legatura parigina ottocentesca a firma Gruel. 69. LUCIANUS, Loukianou Dialogoi kai alla polla syngrammata hon elenchos estin en tais ephexes selisi (Luciani Dialogi et alia multa opera quorum index est in proximis paginis), ottobre 1522. In folio, pp. [10] 572 [2]. Renouard 95-4; Ahmanson-Murphy 213; Edit16 CNCE 37673. Milano, BvS: nota di possesso «Joaquim Soares de Lima 1763», postille marginali. 70. PETRUS ALCYONIUS, Petri Alcyonii medices legatus de exsilio, novembre 1522. 4°, cc. [70]. Renouard 95-6; Ahmanson-Murphy 215; Edit16 CNCE 859. Milano, BvS: legatura ottocentesca in marocchino a firma Bozerian le jeune. 71. GIOVANNI BOCCACCIO, Il Decamerone, novembre 1522. 4°, cc. 317 [9]. Renouard 95-5; Ahmanson-Murphy 214; Edit16 CNCE 6258. Milano, BvS. 72. QUINTUS ASCONIUS PAEDIANUS, Expositio in IIII orationes M. Tullii Ciceronis contra C. Verrem [et alia], dicembre 1522. 8°, cc. [12] 283 [1]. Renouard 96-8; Ahmanson-Murphy 216; Edit16 CNCE 3254. Milano, BvS. 73. CLAUDIUS CLAUDIANUS, Opera, marzo 1523. 8°, cc. 176. Renouard 96-1; Ahmanson-Murphy 218; Edit16 CNCE 12668. Milano, BvS. 53 74. ALDO MANUZIO, Aldi Pii Manutii Institutionum grammaticarum libri quatuor. Erasmi Roterodami opusculum de octo orationis partium constructione, luglio 1523. 4°, cc. [8] 204 [4]. Renouard 98-7; Ahmanson-Murphy 224; Edit16 CNCE 46706. Milano, BvS. 75. HOMERUS, Opera (in greco), aprile 1524. 8°, 2 voll., cc. [56] 277 [1]; 251 [1]. Renouard 98-1; Ahmanson-Murphy 226; Petrella 50; Edit16 CNCE 22952. Milano, BvS: nota di possesso in entrambi i volumi «M. Crackanthorpe». Primo volume con legatura settecentesca a imitazione aldina in pelle con filettatura e impressioni in oro al dorso; taglio rosso; risguardi in carta marmorizzata a pettinatura diritta. Secondo volume in legatura settecentesca a imitazione aldina in pelle con filettatura e impressioni in oro al dorso; due tasselli al dorso; marca di Aldo impressa in oro; taglio azzurro; risguardi in carta marmorizzata caillouté. 76. PRISCIANUS CAESARIENSIS, Libri omnes, maggio 1527. 4°, cc. [14] 299 [3]. Renouard 103-2; Ahmanson-Murphy 243; Edit16 CNCE 47512. Milano, BvS; opera presente in BvS anche con un secondo esemplare. 77. BALDASSARRE CASTIGLIONE, Il libro del cortegiano, aprile 1528. In folio, cc. [122]. Renouard 105-3; Ahmanson-Murphy 252; Edit16 CNCE 10055. Milano, BvS. 78. AMBROSIUS AURELIUS THEODOSIUS MACROBIUS, In Somnium Scipionis ex Ciceronis VI libro de Rep. eruditissima explanatio. Eiusdem Saturnaliorum libri VII. Censorinus De die natali, aprile 1528. 8°, cc. [16] 322 [2]. Renouard 105-2; Ahmanson-Murphy 251; Petrella 52; Edit16 CNCE 37753. Milano, BvS: sottolineature a testo e occasionali postille marginali di mano cinquecentesca; legatura coeva in pergamena floscia con tracce di bindelle e titolo manoscritto al dorso; frammenti di codice pergamenaceo di riuso nella legatura. 56 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 57 Il libro del mese Libri belli come opere d’arte fra avanguardie e letteratura L’avventura di Gualtieri di San Lazzaro fra l’Italia e Parigi LUCA PIETRO NICOLETTI S ono molto affezionato al nome di Gualtieri di San Lazzaro (Catania 1904Parigi 1974), personaggio tanto affascinante quanto sfuggente che sembrava destinato a restare in un denso cono d’ombra. Per anni ho rincorso questa figura cercando di radunare i frammenti di una storia che sembrava non volersi ricomporre, di cui affioravano piccoli tasselli che, una volta riuniti, non facevano mai un insieme coerente: da una parte c’erano le sue memorie raccolte in un volume, da prendere con tutte le cautele necessarie coi libri autobiografici, dall’altra una bibliografia che non si completava e i brandelli di un epistolario che con molta fatica è stato ricomposto. Per molti anni, dunque, San Lazzaro A sinistra: copertina di XXe Siecle, disegno di Joan Miro. A destra dall’alto: Gualtieri di San Lazzaro in una fotografia degli anni Settanta; pieghevole mostra dell’opera grafica di Kandinsky alla Galleria del Cavallino di Venezia ha accompagnato il mio cammino, fra entusiasmi e scoraggiamenti, ma con l’idea che la sua storia costituisse una pedina tutt’altro che secondaria nella storia della cultura dei decenni centrali del Novecento. Fino a quando non cominciai ad occuparmene, egli era una figura dai contorni leggendari, di cui si sapeva pochissimo (talvolta nemmeno gli estremi anagrafici) e a cui non si era disposti a riconoscere quel ruolo “cerniera” nei rapporti fra Italia e Francia di cui era fra i protagonisti. È questa la storia di cui ho ricomposto i frammenti in un quadro organico in Gualtieri di San Lazzaro. Scritti e incontri di un editore d’arte a Parigi (Macerata, Quodlibet 2014), con l’ambizione di ricostruire, attraverso i modi della biografia intellettuale, uno snodo dei rapporti fra Italia e Francia fra arte, critica, letteratura ed editoria. Si trattava di una storia che affondava le proprie radici negli anni più vivi del XX secolo, in una delle capitali della modernità: Parigi. Quando vi approda per la 58 prima volta, poco più che ventenne nel 1924, Gualtieri di San Lazzaro sogna di fare lo scrittore. Era arrivato lì come corrispondente per un giornale italiano, ma soprattutto con il desiderio di trovare una propria dimensione in un ambiente meno provinciale dell’Italia degli anni Venti. Eppure, in tenerissima età, anche Roma era stata generosa con lui, quando frequenta il Caffè Aragno insieme ad Orio Vergani ed Ercole Patti: è qui che conosce Cardarelli e incontra Pirandello. Ma soprattutto, è qui che lo nota Anton Giulio Bragaglia, che decide di pubblicare due suoi racconti sulle sue “Cronache d’attualità”, quando è ancora poco più che adolescente, nel 1921. Era la prima volta che un suo cimento letterario aveva una sede a stampa, per la quale aveva già scelto di non firmarsi con il proprio nome d’anagrafe, Giuseppe Papa, ma con questo pseudonimo “araldico”, misterioso quanto molti aspetti della sua carriera: stando a un racconto tardo, infatti, Gualtieri e San Lazzaro erano i due paesi della bassa padana che era riuscito a raggiungere in due tentativi di fuga giovanili dalla città di Parma, dove allora risiedeva. A quei due paesi, dunque, sarebbe rimasto legato quel desiderio di libertà che lo avrebbe poi portato a Parigi. Ma qui, presto, la sua vita avrebbe avuto una svolta del tutto inaspettata. Sulla sua strada, in- la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Dall’alto: copertina di Parigi era viva, disegno di Domenico Cantatore; copertina di Laglio e la rosa, collage di Franco Gentilini fatti, non incontra le muse della letteratura, ma Leopold Zborowsky, il mercante d’arte che aveva protetto Amedeo Modi- gliani, morto nel 1920. Dopo un primo tentativo di istradarlo sul mercato dell’arte, questi deciderà infatti di affidargli la direzione di una rivista d’arte e letteratura: nascevano così, come una prosecuzione francese della rivista di Bragaglia, le “Chroniques du jour”. Il primo numero della nuova rivista, infatti, figurava come settimo anno di edizione, come se riprendessero lì le sei annate della defunta rivista romana. Ma presto, anche “Chroniques” avrebbe avuto un destino diverso: accanto alla rivista nascono infatti le edizioni d’arte, in cui San Lazzaro si butta a capofitto con l’idea che anche un libro, come la pittura o la scultura, possa essere un’opera d’arte. Un’impresa non facile, come racconta in un breve scritto apparso sul “Bollettino della Galleria del Milione” nel 1934 (e qui riproposto), in cui però troverà una fidata controparte italiana in Giovanni Scheiwiller. È con questo spirito che nel 1938 arriva a immaginare una nuova rivista di grande formato, “XXe Siècle”, nella quale ha l’intuizione di inserire delle litografie originali fatte da artisti moderni: oltre all’informazione e alla critica, dunque, la rivista diventava un oggetto da collezione che permetteva, a prezzi modici, di acquistare i grandi nomi dell’arte moderna. Ecco quindi succedersi, su quelle pagine, i nomi di Matisse, Magnelli, Arp, Pevsner e tutti i maggiori maestri dell’a- dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano vanguardia parigina. A inaugurare la serie di grafiche rilegate nella rivista, oltretutto, sono sei xilografie di Kandinsky, che deciderà di dare un generoso patrocinio all’attività del giovane siciliano, e persino Picasso, negli anni Cinquanta, acconsentirà a fare una litografia per un numero della rivista. Tutti artisti, questi, di cui San Lazzaro aveva guadagnato la stima e l’amicizia. San Lazzaro si era fatto l’idea che l’arte dovesse essere un momento di grande libertà espressiva: avrebbe voluto che le parole uscissero dalla sua penna con la stessa facilità con cui il colore scendeva dal pennello dei pittori. Invidiava, forse, questa libertà a cui gli scrittori arrivavano con meno facilità, e che per gli editori, fra limti e scadenze, diventava quasi un miraggio. Non aveva tuttavia rinun- ciato alla propria vena letteraria. Il primo “XXe Siècle” sopravive solo per quattro numeri: nel 1939, quando già soffiano venti di guerra, è costretto a chiudere. Nel 1943, poi, dovrà addirittura abbandonare Parigi e tornare a Roma insieme alla prima moglie, una donna ebrea lituana. Non sono tuttavia anni inoperosi: San Lazzaro si accorge che una stagione leggendaria si sta per chiudere, e che anche il mondo di Montparnasse, per chi sarebbe sopravvissuto al conflitto, non sarebbe più stato lo stesso. Lontano dalla Ville Lumière comincia a scrivere le proprie memorie in terza persona: ma in queste, come racconta all’amico Raffaele Carrieri, egli è solo un testimone che, malcelato sotto le mentite spoglie di tale Silvio, editore a Parigi, assiste a un mondo in cui LUCA PIETRO NICOLETTI, “GUALTIERI DI SAN LAZZARO. SCRITTI E INCONTRI DI UN EDITORE D’ARTE A PARIGI”, Macerata, Quodlibet, 2014 sta di lusso «XXe Siècle», da lui fondata nel 1938, ebbero un’incidenza non trascurabile sulla diffusione dell’arte francese e italiana, facendo del loro direttore una decisiva figura cerniera negli scambi fra i due versanti delle Alpi. Alle opere d’arte, scrisse, preferì collezionare l’amicizia degli artisti, divenendo sodale, se non intimo, di Picasso, Matisse, Chagall, Fontana e Capogrossi. Tutto questo trovava nella letteratura uno sbocco na- ditore e scrittore d’arte, Gualtieri di San Lazzaro (Catania 1904- Parigi 1974) ha vissuto da testimone diretto la stagione più vivace dell’avanguardia artistica parigina, a cui ha dato, per un cinquantennio, il suo contributo attraverso l’editoria d’arte di pregio. Le edizioni «Chroniques du Jour» e la mitica rivi- E 59 Picasso, Matisse e Soutine non sono giganti dell’arte moderna ma persone che si conoscono e si frequentano tutti i giorni. In questo senso capisce, come recita il titolo del romanzo, che allora davvero Parigi era viva come non lo sarà più. Con quel libro, per San Lazzaro comincia come una doppia vita: in Francia rimane l’editore di una delle riviste più belle che si trovino sul mercato; in Italia, invece, punta ad affermarsi come scrittore. È Orio Vergani, infatti, a pubblicare il romanzo con Garzanti nel 1948. Ed era stato lui, l’anno precedente, ad averlo obbligato a radunare alcuni suoi articoli di costume scritti negli anni di guerra in un volume, edito sempre da Garzanti, anch’esso con un titolo lapidario: Parigi era morta. Ma la vita di San Lazzaro era turale: scrittore fine e acuto osservatore dei costumi, la sua attività letteraria restituisce una vivace testimonianza di quando, come recita il suo libro più famoso, Parigi era viva. Questo libro traccia per la prima volta la biografia intellettuale di San Lazzaro, restituendo la sinopia della fitta rete di rapporti intessuta con le sue due patrie (di nascita e d’adozione) che, disse, considerava due province della stessa nazione. 60 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Copertina di XXe Siecle, disegno di Hans Arp destinata a dividersi ancora: a Roma sente l’attrazione di tornare a Parigi, dove rientra nel 1949. Continua a tenere rapporti stretti con l’Italia. Ora i collezionisti, dalla penisola, gli scrivono chiedendogli di procurare loro opere dei maestri moderni. A fare queste richieste, oltretutto, sono alcuni dei più grandi collezionisti italiani del Novecento: Jucker, Mattioli, Jesi e, per un certo periodo e per il tramite di Cesare Zavattini, anche Vittorio De Si- ca. In lui trova un fidato punto d’appoggio anche uno dei più importanti galleristi italiani del Novecento: il veneziano Carlo Cardazzo. Nel 1951 decide che i tempi sono maturi per riprendere l’avventura di “XXe Siècle”, con una veste nuova. Gli artisti che aveva difeso fin dagli anni Trenta, ora, tornano a disegnare ciascuno una copertina per la rivista: ecco allora Picasso donare un disegno da riprodurre sul piatto della rivista su un vivacissimo fondo giallo, o Arp preparare un orologio, addirittura Mirò consigliare il colore del numero illustrato da lui, con l’idea che, esposti come dei quadri, dovesse esserci una certa armonia cromatica fra i singoli numeri. A questi seguiranno, poi gli italiani Lucio Fontana, Giuseppe Capogrossi e Franco Gentilini, amici di lunga data e, insieme ad Alberto Magnelli e Serge Poliakoff fra le persone a lui più vicine. Si stava apprestando un decennio di esperienze entusiasmanti, sebbene San Lazzaro fosse cosciente che quello era davvero il crepuscolo di una stagione favolosa. Per questo, dopo poco meno di vent’anni, decide di riscrivere il suo libro più importante, Parigi era viva, facendone una nuova edizione per Mondadori (1966): Parigi non era morta con l’invasione dei tedeschi, ma con l’arrivo della Pop Art alla Biennale di Venezia. La nostalgia che lo colse allora non lo avrebbe più abbandonato, facendo anzi da basso continuo degli scritti di quegli anni, fino agli ultimi romanzi, pubblicati entrambi dalla Galleria del Naviglio: L’aglio e la rosa (1971) e L’uomo meraviglioso (1972). Lo scrittore e l’editore, però, non erano per lui attività separate. Lo aveva intuito bene Giuseppe Marchiori, che lo ricordò osservando come non fosse semplicemente un critico militante: «la sua era un’azione critica e affettiva insieme, basata sull’impegno morale e perseguita sino al dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano raggiungimento della notorietà, con fedele costanza, poiché ogni scelta era motivata e confermata soltanto dopo una lunga serie di confronti e di esami. […] Fra i molti artisti italiani, le scelte del cuore erano per Marini e Magnelli […]. Marini da Milano e Magnelli da Meudon, guardavano al piccolo, taciturno siciliano come a un amico fedele, a un uomo che non lasciava perdere una sola occasione per scrivere o far scrivere di loro e per esporne le opere». UN ARTICOLO RARO DI GUALTIERI DI SAN LAZZARO L’articolo seguente uscì sul “Bollettino della Galleria del Milione” con il titolo redazionale Un editore italiano a Parigi: Gualtieri di San Lazzaro, nel 1934 L e Chroniques du Jour furono fondate nel 1925 con pochi soldi dati da Zborowski. Fui costretto però a simulare che si trattava d’una vecchia rivista italiana che riprendeva in Francia le sue pubblicazioni, sicché si cominciò con una grossa bugia. La rivista (prima serie, copertina arancione) portò per il mondi il nome e l’opera di Modigliani. Ricevevo in quegli anni lettere di collezionisti che mi supplicavano di procurar loro dei Modi. Nulla m’era più facile, però non mi è mai riuscito di vendere un quadro con profitto: abilità questa, che non ho mai posseduto. Con Zborowski, al quale, se non fossi ingrato, dovrei una certa riconoscenza, non ho mai potuto far nulla di serio. Quando, nel 1927, cominciai a stampare libri, con mezzi di fortuna, da molti mesi ormai incontrandoci ci guardavamo con occhi biechi. Mi rimproverava di non far gran caso alle sue poesie; io non potevo perdonargli di aver fatto pubblicare da un russo, capitato allora a Parigi, una grande monografia di Modiglioni per la quale avevo lavorato due anni, raccogliendo le fotografie e decidendo con garbo Zborowski ad anticipare i fondi richiesti dall’edizioni. Un critico italiano (non si tratta di Lionello venturi) doveva scrivere il testo. Gli feci dire da un amico comune di venire a Parigi: Zborowski aveva promesso di rimborsagli o di anticipargli le spese di viaggio. Il critico italiano non si decideva. Pensammo allora di rivolgerci ad André Salmon che aveva pubblicato nelle Chroniques du Jour il più bell’articolo che sia mai apparso su Modiglioni. Quando tutto fu pronto, Zborowski, forse per piacere a un ministro che gli aveva raccomandato l’editore russo, mi mise da parte. (Nel frattempo, per tranquillizzare un po’ la sua coscienza, m’aveva ordinato un Kisling con testo di André Salmon). Povero Zborowski. Non rimangono di lui che i superbi ritratti fattigli da Modiglioni, dove appare qual’e- 61 ra, un uomo di razza, attivo ma inoperoso, e soprattutto un sadico dell’improvvisazione. Nel 1927-28 il libro d’arte era ancora considerato come un manuale, e doveva essere tetro e noioso. Con Dufy, il Darain e soprattutto l’Henry Matisse ( che ottenne un successo unico negli annali dell’edizione d’arte francese) mi è parso di fare della monografia non un oggetto di studio ma di godimento. Il libro, secondo me, doveva entusiasmare, come una bella esposizione. Mi hanno riferito che Paul Guillaume avrebbe detto a Bignou d’uno dei miei volumi: «ce n’est pas français», e che Mignon avrebbe risposto: «c’est pour ça que c’est bien». Tutto andava meglio quando l’arte moderna non aveva che qualche centinaio di difensori. Ma dopo il salvamento del franco operato da Poincaré, poco a poco le cose cominciarono a guastarsi. I turisti non andavano più al Louvre perché non c’era nulla da comprare; gli autocarri delle agenzie di viaggio ostruivano il traffico di Rue la Boetie e di Rue de Seine. I mercanti di quadri e gli artisti si arricchivano. Sulle tele finissime colori di prima qualità e i mercanti non lesinavano sulle cornici. In quegli anni mi parve interessante stabilire qualche classifica, all’americana, per sapere dove andavano a finire i miei libri: il 70% partiva per l’estero (l’America del Nord veniva in testa con il 40%) il 30% si vendeva in Francia: 25% a Parigi e 5% in 62 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Copertina di XXe Siecle, disegno di Pablo Picasso provincia. Il 20% dei libri comprati dalle librerie parigine era rivenduto a stranieri di passaggio o domiciliati nella capitale francese. La stessa classifica fatta oggi darebbe i risultati seguenti: estero 5%, Parigi 5%, provincia 1%. Ossia 89% dei libri stampati oggi su artisti di grande notorietà, rimarrebbe negli scaffali, in attesa di tempi migliori. Altra statistica: 80% dei volumi era acquistato da artisti giovani, il 5% dalle biblioteche, il 10% dagli amatori. Si grida tanto oggi contro quell’epoca, e da tanti imbecilli, che mi vien voglia di commemorarla, rammaricandomi che non sia più. Si tirano in ballo tutte le corbellerie fatte in quegli anni di “prosperità”, come se le corbellerie fossero finalmente finite e non siano invece proprio quelle che resistono di più. Alle follie della prosperità sono successe le follie della crisi. Ma si dimentica invece metodicamente tutto quello che è stato fatto di bello e di buono. Per quanto mi riguarda non trovo nulla a rimproverare a quei dieci anni in cui era il pubblico che pagava le spese di un’edizione, e non l’artista. Il quegli anni eravamo “editori”, mestiere onorabile e lucrativo, mentre oggi se vogliamo continuare a vivere nell’ambiente che ci piace, dobbiamo, conformandoci alle nuove esigenze, diventare quasi agenti di pubblicità, alla ricerca continua di “conti d’autore”. Dieci anni di entusiasmo e di discussioni, di azioni e non di parole. Oggi si ritorna, a Parigi, alle conferenze, ai manifesti, alle polemiche, alle “eterne battaglie”, a tutto quel fradiciume di prima della guerra. Ma in compenso non si combina nulla, non si vende più un quadro senza protezioni politiche, non si pubblica più un libro se l’editore non è garantito, almeno in parte. Ho ancora nel cassetto i contratti per l’edizione americana e inglese d’una storia dell’Arte Europea, in 10 volumi tipo Flandre, con 8000 illustrazioni. Questa collezione non si farà mai. L’anno scorso per esaurire i due libri più importanti su cinque apparsi sul mercato d’arte francese: Sculpteurs d’Aujoud’hui e Dix Années d’Art en Italie ho dovuto inviare 250 kg. di lettere. Ma che gli amici non si allarmino. Domani escono Les Vagabondages Heraldiques di Kurt Seligmann e Pierre Courthion. dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 63 Editoria La Collezione di poesia Einaudi (1964-2014) Compie 50 anni la dama bianca della poesia italiana MASSIMO GATTA Timida, un po’ più in là sopra il mio treno, stava leggendo, con gli occhi riversi sopra un piccolo libro della ‘bianca’ […]. C inquant’anni e davvero non li dimostra, neanche un capello fuori posto, sempre elegante, raffinata, snella. Un dama colta amante della poesia, e come potrebbe essere diversamente. “Una sera del 1964, dopo diversi incontri, Bruno Munari presentò a Giulio Einaudi la versione finale della copertina destinata alla nuova collana di poesia. L’editore la approvò, ma volle aggiungervi il breve tratto a penna che ancora oggi, a due terzi di pagina, separa l’intestazione vera e propria (nome dell’autore, titolo dell’opera, logo dello struzzo) dal testo poetico sottostante […]”1. Non è certamente la prima Collana italiana dedicata alla poesia, essendo quella di Neri Pozza nata nel 1953 “sotto il segno dell’autore vicentino e so- (Alessandro Fo) dale Barolini […]”2, o quella di Garzanti che, pur se non ufficialmente come Collana, inizia nel 1957 con Le ceneri di Gramsci di Pasolini3 o la celebre mondadoriana “Lo Specchio” degli anni Quaranta4; per non parlare della decana “Fenice poesia” fondata da Guanda (Ugo Guandalini) a Parma nel 19395. Purtuttavia la Collezione bianca creata dal genio grafico di Munari e dal fiuto indiscutibile di Giulio Einaudi, è certamente la più riconoscibile e iconograficamente pregnante, o meglio 64 “una tra le più originali partiture tipografiche del dopoguerra – frutto di una attenzione verso il libro inteso al contempo come progetto e oggetto”.6 Einaudi forse intuì che bisognava “far uscire” la poesia (il testo) fuori dal libro, inteso come supporto paratestuale, e ciò fu possibile stampando in copertina alcuni versi della raccolta che veniva pubblicata. Un dentro-fuori poetico-tipografico che superava il rigido schema della copertina illustrata o muta, siamo nel 1964 e l’intuizione appare di estrema modernità al punto che in 50 anni non è mai stata messa in discussione nei tanti restyling che altre Collane einaudiane (e non solo einaudiane) hanno subito. Era un gesto simbolicamente for- la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 te: la poesia all’esterno, condivisibile subito dal lettore fin dalla copertina che in genere “sigilla” il testo, lo protegge e in fondo lo esclude da una immediata fruizione. L’incursione in uno spazio relativamente recente7 del paratesto editoriale come la copertina8, utilizzata non come semplice e accattivante attributo esornativo del volume (con illustrazioni, disegni, foto o altra iconografia), o all’opposto come sobrio involucro (copertina tipografica con autore, titolo, editore), ma come vero e proprio veicolo testuale, fu indubbiamente una novità assoluta. Quello che fino ad allora era stata l’area principale del paratesto, il frontespizio9, ve- niva ora retrocesso a luogo secondario e “muto” del libro. Fu questa “azione poetica” a suggerire, forse, la pubblicazione a fine anni Novanta di un librino celebrativo della Collana10, con un bello scritto introduttivo del poeta Valerio Magrelli, e che riuniva, semplicemente impaginate e ristampate, sessanta copertine della collezione, (da La fine del Titanic di H.M. Enzensberger a La ballata del vecchio marinaio di S.T. Coleridge), cioè a dire sessanta poeti storici pubblicati in questa collezione, da Anna Achmatova a William Butler Yeats in una ipotetica e personale quadreria poetica senza tempo. Il primo titolo della collezione bianca (settembre 1964) fu- dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano rono le Poesie di Fëdor Tjutčev, traduzione di Tommaso Landolfi e prefazione del grande slavista Angelo Maria Ripellino; l’ultimo titolo ad oggi11, il numero 423, è l’opera poetica completa di Giovanni Raboni, una produzione che si è attestata sugli 8/9 titoli l’anno. In questi 50 anni di vita editoriale e poetica la Collana einaudiana attesta il feroce ottimismo per un genere che, almeno dal punto di vista economico-editoriale, non ha avuto in Italia un grande supporto di lettori; la crisi generale dell’editoria ha nel settore della poesia uno dei suoi vertici assoluti ed è di pochi giorni fa l’appello rivolto all’imprenditore Luca Cordero di Montezemolo perché salvi dal rischio chiusura, coi suoi denari, la longeva e benemerita rivista «Poesia» di Nicola NOTE 1 Valerio Magrelli (a cura di), Poesie in prima pagina. 60 copertine della «Collana Bianca», Torino, Einaudi, s.d. (1997?), senza numerazione di pagina. Edizione f.c. Vedi anche Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, Roma-Napoli, Theoria, 1991 e ristampa Torino, Einaudi, 2007. 2 Gian Carlo Ferretti, Giulia Iannuzzi, Poesia (Neri Pozza), in Id., Storie di uomini e libri. L’editoria letteraria italiana attraverso le sue collane, Roma, minimum fax, 2014, pp. 172-177 [173]. 3 Id., Poesia (Garzanti), in Id., Storie di uomini e libri. L’editoria letteraria italiana attraverso le sue collane, cit., pp. 198204 [199]. Crocetti. La collezione einaudiana, pur avendo pubblicato grandi classici della poesia di ogni tempo, dalla fine degli anni Ottanta si è maggiormente concentrata sulla poesia contemporanea rappresentando, spesso, un ideale “cantiere” per le nuove voci della poe- 4 Id., Lo Specchio, in Id., Storie di uomini e libri. L’editoria letteraria italiana attraverso le sue collane, cit., pp. 85-92 [85]. 5 Id., Fenice, in Id., Storie di uomini e libri. L’editoria letteraria italiana attraverso le sue collane, cit., pp. 81-84 [81]. 6 Valerio Magrelli, in Poesie in prima pagina. 60 copertine della «Collana Bianca», cit., corsivo mio. 7 Inizi dell’Ottocento. 8 Cfr. sull’argomento almeno il classico Gérard Genette, Soglie. I dintorni del testo, a cura di Camilla Maria Cederna, Torino, Einaudi, 1989. 9 Non è casuale, infatti, che in biblioteconomia la catalogazione del volume viene realizzata basandosi sui dati presenti sul frontespizio, non su quelli in co- 65 sia, fin dagli inizi una collezione non di tendenza dove “[…] nomi italiani di prima importanza senza legami di scuola si trovano affiancati ad autori classici e moderni delle letterature mondiali, facendo della collana una elitaria universale di poesia che arriva ai giorni nostri in buona salute”.12 Così in occasione dei 50 anni l’Einaudi ha voluto omaggiare i suoi tanti amici ed estimatori con un analogo raffinato librino, stampato fuori commercio in 19.500 copie13, che raccoglie 50 poesie inedite di poeti italiani contemporanei, da Balestrini a Viviani. Ulteriore testimonianza, editoriale, grafica e culturale, del ruolo centrale nel contesto editoriale non solo italiano della casa editrice fondata nel lontano 1933 da Giulio Einaudi. pertina. 10 Poesie in prima pagina. 60 copertine della «Collana Bianca», cit. 11 Ottobre 2014. 12 Gian Carlo Ferretti, Giulia Iannuzzi, Collezione di poesia, in Id., Storie di uomini e libri. L’editoria letteraria italiana attraverso le sue collane, pp. 211-217 [211], corsivo nel testo. Si rimanda a questo capitolo che costituisce, ad oggi, la più ampia analisi storico-letteraria della Collezione di poesia einaudiana. Dello studioso segnalo anche, sull’argomento, Storia dell’editoria letteraria in Italia, 19452003, Torino, Einaudi, 2004. 13 50 anni di Bianca 1964-2014, con una nota introduttiva non firmata, Torino, Einaudi, 2014. dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano 67 La mostra del mese Lucio Del Pezzo da Marconi Il costruttore di quadri moderni LUCA PIETRO NICOLETTI N el 2002 Lea Vergine osservava che l’opera di Del Pezzo sottolineava «una dimensione tardo romantica della comunicazione visiva». Un meccanismo surrealista, se si vuole, che si nutriva però di altri stimoli, dalla cultura popolare degli ex-voto alla riscoperta, nel corso degli anni Sessanta, della Metafisica e di altre esperienze dell’arte italiana fra le due guerre. Le sue nature morte con oggetti dialogano all’indietro con altre “vite silenti” della prima metà del secolo, ma gli danno nuova vita con un uso del colore che non ha precedenti. Del Pezzo, oltretutto, non rinunciava al lavoro artigianale, costruendo pazientemente uno per volta i singoli elementi con cui sarebbe andato poi a realizzare i propri quadri o le proprie forme tridimensionali: la base, insomma, di un alfabeto da montare secondo una logica di variazioni e di percezioni illusorie, fra parti in rilievo ed elementi soltanto dipinti che obbligano il fruitore a un approccio ravvicinato che distingue il reale dall’illusione, gli oggetti veri da quelli dipinti. Proprio su questo si basa Sagittarius, la mostra proposta dalla Fondazione Marconi che rimette in scena una sua mostra del 1969. A introdurla, come allora, è Tommaso Trini. Del Pezzo aveva già superato il «costruttore di quadri», come era stato definito nel 1965: i Sagittarius, scriveva Trini, sono «sculture da combinare. Dopo aver oggettualizzato gli elementi figurali del suo discorso, Del Pezzo li affida allo spazio e all’intervento esterno; possibilità ludiche e combinatorie erano presenti in molta produzione di questi anni recenti, adesso sono esplicitamente dichiarate. A noi di penetrare attivamente e non senza sospetto nelle relazioni possibili tra quegli LUCIO DEL PEZZO. SAGITTARIUS Testi di Tommaso Trini MILANO, FONDAZIONE MARCONI 11 novembre 2014 10 gennaio 2015 elementi: i birilli, le sfere, le piramidi, le scatole, i cilindri, le folgori attendono di rientrare nell’ordine dei rapporti formali». Rispetto al quadro che diventa uno stipo pieno di oggetti, insomma, Del Pezzo si è espanso alla dimensione ambientale, all’installazione che compartecipa all’ambiente della galleria: in questo modo ha dato consistenza concreta ai fulmini, agli Zig-zag, a dato solidità alla linea e l’ha collocata nello spazio. Sta al fruitore interagire con gli oggetti, attraversarli, guardarli da vicino e da lontano, seguire le indicazioni date dalla traiettoria dei segni. Eppure in tutto questo, Trini ritrovava allora qualcosa di “neoclassico”: «Del Pezzo s’inventa neoclassico prima ancora che i vari super-realismi accolgano nei loro schemi linguistici il revival stilistico, vedi Lichtenstein e certa pop inglese. Del neoclassicismo condivide e pratica l’antistoricità: non c’è possibile recupero dell’umanesimo come natura (e dunque, conseguentemente, nessuna regressione all’infanzia, come si è detto a proposito del suo mondo apparentemente giocoso). Se prima la cultura era per lui archeologia, adesso è razionalità nell’ordine geometrico e decorativo: ordine astorico, razionalità falsa». 68 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 Sartoria delle parole e delle cose Perché esistono i libri? Perché li scriviamo? Chiarire gli strumenti del pensiero: la sfida della letteratura DANIELE GIGLI «D opo il 1848 venne osservato, in Germania, che qualcuno pensava. Era necessario delimitare questa perniciosa attività, ai pensanti fu dato un uovo di porcellana con l’etichetta “erudizione”, e man mano essi furono resi inabili alla vita attiva, o ad alcun contatto con la vita in genere. La letteratura fu permessa solo come oggetto di studio. E il suo studio fu così calcolato da allontanare la mente dello studioso dalla letteratura e attirarla entro il vuoto» (Ezra Pound, Opere scelte, Mondadori, Milano 2005, p. 926). Parole chiare, parole dure e spesse come pietre. Parole con cui Ezra Pound, già avviato a diventare il «vecchio Ez», certifica – siamo nel 1927, l’articolo è Come bisogna leggere, il giornale che ospita l’articolo è il «New York Herald Tribune Books» – quell’avvilimento della parola e del suo fine che pochi anni prima aveva espresso luminosamente nello Hugh Selwyn Mauberley. «Perché esistono i libri?» (p. 926), si chiede Pound, e perché li studiamo come li studiamo? E se per rispondere alla seconda domanda possiamo accusare «le forze della superstizione, della consuetudine» (p. 924), per cui «la gente considera la letteratura come qualcosa di molto più fiacco e fluttuante e impreciso della matematica», della prima – sostiene il nostro – possiamo dire che semplicemente «non è stata mai posta» (p. 926). Ma se qualcuno volesse porsela, che cosa potrebbe riEzra Pound (1885-1972), in una foto del 1963 dicembre 2014 – la Biblioteca di via Senato Milano spondere? Se quel qualcuno, per esempio, fosse proprio il vecchio Ez? «Mi pare si possa decisamente sostenere che la funzione della letteratura come energia umana degna di ricompensa è precisamente quella di incoraggiare, come fa in effetti, l’umanità a continuare a vivere; di liberare l’animo dalla tensione e nutrirlo, dico decisamente come nutrimento di energia» (p. 927). È un compito alto, per sua natura sovversivo, perché contesta e contrasta l’ammorbidimento del significato, la sua cristallizzazione abitudinaria. Un compito che «può preoccupare gli amanti dell’ordine», allo stesso modo in cui «spesso li preoccupa la buona letteratura» (p. 927). Per questo il potere odia la letteratura ma ama gli eruditi: perché gli eruditi ammirano e fanno ammirare monumenti dai quali non imparano e non desiderano imparare. Per loro la letteratura non è metodo, non è fuoco di conoscenza, è decoro culturale, perciò – sempre – sterile, anche quando tenta di figliare. Per Pound, al contrario, la funzione sociale della letteratura, la funzione che essa ha «nello stato, nella comunità, nella repubblica, nella res publica […] non è la coercizione o la persuasione per via emotiva, né l’intimidire o il forzare la gente all’accettazione di un dato complesso, o di sei dati complessi di opinioni, in contrasto a un altro dato complesso (o mezza dozzina di complessi) di opinioni» (pp. 927-928). Non è, insomma, l’asservimento a un sistema di pensiero, ma al contrario «riguarda la chiarezza e il vigore di “qualsivoglia” pensiero e opinione. Riguarda la preservazione della pulizia stessa degli strumenti, la salute della sostanza stessa del pensiero». Riguarda, cioè, la possibilità stessa dell’uomo di essere uomo, cioè a un tempo uno e comunità: «l’individuo non può pensare e comunicare il suo pensiero, il reggitore o il legislatore non può agire e redigere le sue leggi, senza le parole, e la solidità e la validità di queste parole sono affidate alla cura dei maledetti e 69 disprezzati litterati». Disprezzati, s’intenda, spesso a ragione, perché a chi tanto è stato dato, tanto sarà chiesto. E, sottolinea ancora Pound, «quando il loro lavoro degenera – e con ciò non voglio dire quando esprimono pensieri indecorosi – ma quando il loro stesso strumento: l’essenza stessa della loro opera, l’applicazione della parola alla cosa, si corrompe, cioè diventa torbido o inesatto, o eccessivo e rigonfio, allora tutto il meccanismo del pensiero e dell’ordine sociali e individuali va in malora» (p.928). È questa, per Pound, «una lezione della storia» che «non s’è ancora imparata per metà» (p. 928). Vogliamo impararla da lui? Da tutti quelli come lui? 70 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 BvS: il ristoro del buon lettore Un Col Alt, fra le montagne Grande cucina a 2000 metri, con vista sui Monti Pallidi GIANLUCA MONTINARO L e Dolomiti. Cosa nascondano non si conosce. Cosa siano davvero è un enigma. Un’atmosfera arcana sembra avvolgerle. Uno stato di sospensione sembra aleggiare su esse. Le vette dei Monti Pallidi, scenario delle leggende ladine e della complessa saga del popolo dei Fanes, dominano le valli e rapiscono lo spirito di coloro che le amano. «Non assomigliano veramente a torri, non a castelli né a chiese in rovina, ma solo a se stesse, così come sono, con le frane bianche, le fessure, le cenge ghiaiose, gli spigoli senza fine a strapiombo piegati fuori nel vuoto». Uno spettacolo immenso, solo da contemplare. Come fa Barnabo, il protagonista del primo romanzo di Dino Buzzati, Barnabo delle montagne, di cui la Biblioteca di via Senato possiede una copia della prima edizione (Milano-Roma; Treves, Treccani, Tumminelli; 1933). Per mirarle e rimirarle si sarebbe certo recato sulla più bella terrazza delle Dolomiti: quella del rifugio Col Alt, giusto a 2000 metri, sopra Corvara, in Alta Badia. Qui, ove il silenzio in inverno è rotto solo dal suono delle lamine dello sci che tagliano il manto bianco, avrebbe goduto di uno Rifugio Col Alt Corvara in Badia (Bz) Tel. 0471/836324 spettacolo senza pari. Qui «si sente come non mai la vicinanza delle montagne, con i loro valloni deserti, con le gole tenebrose, con i crolli improvvisi di sassi, con le mille antichissime storie e tutte le altre cose che nessuno potrà dire mai». Approdo sicuro per sciatori e scalatori il rifugio Col Alt è un unicum nel mondo della ristorazione d’alta quota. L’intraprendente Fabio Targhetta, insieme a sua moglie Karin, ne ha fatto un locale elegante. Dalla cucina, guidata dal giovane Enrico Vespani, escono pietanze d’alta scuola. In nulla mancano: né nella sostanza, né nel gusto, né negli accostamenti, né nel rispetto della tradizione, né nell’approccio innovativo, né nell’estetica del piatto. Come i complessi spaghetti cav. Cocco con sal- siccia, puntarelle condite e briciole di pucia o le più “semplici” (solo in apparenza) tagliatelle all’uovo con ragù di cervo. Come il gustoso canederlo al formaggio grigio con insalatina di cavolo o lo straordinario, e sottilmente provocatorio, cheeseburger di capriolo con patate fritte e salsa BBQ: ovvero come rendere un famigerato cibo da fast food un piatto di raffinata cucina. Ottimo abbinamento a queste pietanze potrebbe essere un Barthenau Vigna S. Urbano di Hofstätter: un Pinot Noir di razza. Borgognone nello spirito. Altoatesino nel carattere. I sentori di amarena e lampone, e la raffinata speziatura, esplodono al naso mentre in bocca il vino presenta tannini soffici e integrati, una caratteristica mineralità legata al mondo del carbone nonché una acidità lineare e bilanciata. Un bicchiere ancora, guardando lo splendido e arcano panorama. Eppoi non resta che rimettersi gli sci. Nel frattempo il sole d’inverno inizia a calare, dietro le Conturines. Tutto si tinge nell’ora dell’enrosadira. E ai più attenti, fra cui sicuramente Barnabo, può capitare di vedere, alto nel cielo, il volteggio lieve della magica Siriola… BEVI RESPONSABILMENTE IL PRIMO CREMAMARO BEVILO GHIACCIATO. 72 HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2014 ALBERTO C. AMBESI Alberto Cesare Ambesi (1931-2014), scrittore e saggista, ha insegnato storia dell’arte e semiotica all’International College of Sciences and Arts e all’Istituto Europeo del Design. Fra le sue opere si ricordano qui: Oceanic Art (1970), L’enigma dei Rosacroce (1990), Atlantide e Le Società esoteriche (1994), Il panteismo (2000), Scienze, Arti e Alchimia (riedizione ampliata e rinnovata di un precedente saggio, Hermatena, Riola, 2007) e le particolari monografie Nella luce di Mani (2007) e Il Labirinto (2008). È stato critico musicale del quotidiano «L’Italia» e ha collaborato alle pagine culturali de «La Stampa». MASSIMO GATTA Massimo Gatta (1959) ricopre l’incarico, dal 2001, di bibliotecario presso la Biblioteca d’Ateneo dell’Università degli Studi del Molise dove ha organizzato diverse mostre bibliografiche dedicate a editori, editoria aziendale e aspetti paratestuali del libro (ex libris). Collabora alla pagina domenicale de «Il Sole 24 Ore» e al periodico «Charta». È direttore editoriale della casa editrice Biblohaus di Macerata specializzata in bibliografia, bibliofilia e “libri sui libri” (books about books), e fa parte del comitato direttivo del periodico «Cantieri». Numerose sono le sue pubblicazioni e i suoi articoli. DANIELE GIGLI Daniele Gigli (Torino, 1978) lavora nella conservazione dei beni culturali come archivista documentalista. Studioso e amante di T.S. Eliot, ne ha curato alcune traduzioni, tra cui quelle di The Hollow Men (2010) e Ash-Wednesday (2013). Ha pubblicato le plaquette Fisiognomica (2003) e Presenze (2008) e sta attualmente lavorando al libro Fuoco unanime. Scrive di poesia e filosofia su «Studi cattolici» e sul quotidiano on-line «Il sussidiario». GIANLUCA MONTINARO Gianluca Montinaro (Milano, 1979) è docente a contratto presso l’università IULM di Milano. Storico delle idee, si interessa ai rapporti fra pensiero politico e utopia legati alla nascita del mondo moderno. Collabora alle pagine culturali del quotidiano «il Giornale». Fra le sue monografie si ricordano: Lettere di Guidobaldo II della Rovere (2000); Il carteggio di Guidobaldo II della Rovere e Fabio Barignani (2006); L’epistolario di Ludovico Agostini (2006); Fra Urbino e Firenze: politica e diplomazia nel tramonto dei della Rovere (2009); Ludovico Agostini, lettere inedite (2012); Martin Lutero (2013). LUCA PIETRO NICOLETTI Luca Pietro Nicoletti, storico dell’arte, si interessa di arte e critica del Secondo Novecento in Italia e in Francia. Ha pubblicato: Gualtieri di San Lazzaro. Scritti e incontri di un editore italiano a Parigi (Macerata 2013). GIANCARLO PETRELLA Giancarlo Petrella (1974) è docente a contratto di discipline del libro presso l’Università Cattolica di Milano-Brescia. Nel 2013 ha conseguito l’abilitazione per la I fascia di insegnamento di Scienze del libro e del documento. È autore di numerose monografie fra cui: L’officina del geografo; Uomini, torchi e libri nel Rinascimento; La Pronosticatio di Johannes Lichtenberger; Gli incunaboli della biblioteca del Seminario Patriarcale di Venezia (2010); L’oro di Dongo ovvero per una storia del patrimonio librario del convento dei Frati Minori di Santa Maria del Fiume (2012). Collabora con «Il Giornale di Brescia» e la «Domenica del Sole24ore». www.xenotoy.com l’amico interattivo di tutti i bambini Nei migliori negozi di giocattoli! Giocheria e Toys Center