NEWSLETTER 48-2008
NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO
RICERCA USA: PESCHE, MELE, PEPERONI E
DOLCI, TRA I DODICI CIBI PIÙ A RISCHIO DI PESTICIDI.
Pesche, Mele, Peperoni Dolci, Sedano, Nocepesca, Fragole, Ciliegie, Lattuga, Uva di
importazione, Pere, Spinaci, Patate.
Questa la lista di alimenti più a rischio pesticidi riportata dopo migliaia di test condotti dall'U.S.
Department of Agriculture e dalla Food and Drug Administration, e i risultati inquadrano i
prodotti più inquinati e quelli più puri in relazione alla quantità di pesticidi che contengono.
L'Environmental Working Group (Gruppo di Lavoro per l’Ambiente),
che ha organizzato i dati e composto un breve sunto semplificato dal
rapporto, si augura che la diffusione di queste informazioni riesca a
sensibilizzare la popolazione e a metterla in guardia sui problemi legati
all'uso dei pesticidi inquinanti. E' importante sottolineare che la
classifica dei prodotti nella lista, che mette in cima quelli che
contengono più pesticidi, contiene un messaggio chiaro: lavate bene
frutta e verdura prima di consumarli. Ma, secondo il sito www.Healthnews.com, che riporta i
risultati dell’indagine, c'è un altro messaggio: iniziate a pensare di comprare cibi biologici che
non usano pesticidi per la crescita.
Nella sua analisi la Environmental Working Group include molti tipi di cibi comuni. Se si è detto
già di pulire bene i cibi, è importante aggiungere di farlo sotto dell'acqua corrente che può
essere fredda o tiepida, ma mai calda.
Le verdure con buccia dura, come le carote, le mele, e i cocomeri devono essere strofinate con
una spazzola, e in particolare le mele e i cetrioli devono essere pelati perché la buccia porosa
tende a conservare molti batteri. Inoltre, nelle verdure verdi come la lattuga e gli spinaci
vanno tolte attentamente le foglie che raccolgono la maggior parte dei pesticidi impiegati.
(da Bioagricultura Notizie – dicembre 2008)
CLIMA. INTESA RAGGIUNTA. BARROSO: OBIETTIVI NON NEGOZIABILI
C'è l'intesa, che scontenta l'Italia, sulle energie rinnovabili. Inserita nel documento la clausola
che prevede una revisione della direttiva nel 2014, come proposto dall'Italia. Se ne riparlerà
giovedì al vertice dei capi di Stato.
La Direttiva impone obiettivi vincolanti per ogni Paese europeo per produrre il 20% dell'energia
primaria da fonti rinnovabili entro il 2020. Ogni paese dovrà definire un obiettivo nazionale
dettagliato per investire in fonti alternative, nel settore della
produzione di elettricità, calore, e nei trasporti.
L'obiettivo di raggiungere una quota del 10% di biocarburanti al
2020 è stato indebolito. Nel documento di compromesso è stata
inserita la clausola di revisione della direttiva nel 2014, chiesta
dall'Italia come indicato lunedì dal ministro Scajola.
Lo sviluppo delle fonti rinnovabili è uno dei pilastri del pacchetto su clima ed energia, che sarà
oggetto del vertice dei capi di Stato e di governo di giovedì e venerdì.
Gli obiettivi del pacchetto "non sono negoziabili", sottolinea il presidente della Commissione
Ue, Josè Manuel Barroso, spiegando che è comunque necessario garantire un'equa
distribuzione dei costi del pacchetto tramite la flessibilità. Non sarebbe giusto per l'Unione
europea, ha sottolineato, "annacquare" le ambizioni del pacchetto soprattutto ora che gli Usa,
con Obama, si stanno avvicinando alle posizioni della Ue. "Questo è un test della credibilità,
spero che i leader europei siano più ambiziosi dei loro ministri finanziari", ha concluso Barroso,
che insisterà su un piano che valga l'1,5% del Pil europeo, pari a 200 miliardi di euro.
La clausola di revisione riguarda sostanzialmente i meccanismi di cooperazione fra Stati con
riferimento ai progetti comuni e alla possibilità di trasferire quote di rinnovabili da un Paese
all'altro. Il negoziato ha anche inserito una norma che consente di conteggiare, anche solo in
parte, l'energia prodotta da fonti rinnovabili, ma non ancora consumata per la mancanza di
connessione, in Paesi terzi, in particolare quelli della sponda sud del Mediterraneo. L'Italia
strappa così la possibilità di rivedere nel 2014 gli obiettivi per le energie rinnovabili.
Lunedì il ministro delle Attività economiche Claudio Scajola, cita il Corriere della Sera, aveva
detto: "Abbiamo fatto progressi giganteschi, grazie al forte pressing del governo. Dobbiamo
augurarci che la forte credibilità del presidente Berlusconi consenta di mantenere questo
risultato".
L'accordo è stato salutato con favore da Greenpeace che in un comunicato spiega come si sia
raggiunto "un accordo storico". Secondo l'associazione "l'accordo è un raggio di luce tra le
fosche posizioni da medioevo espresse da alcuni Paesi, tra cui l'Italia".
(da Bollettino Bio Greenplanet – dicembre 2008)
AUSTRIA. CRESCE L’INTERESSE PER LA MODA BIOLOGICA
Aumenta la domanda di abbigliamento che impiega cotone biologico.
Le grandi catene di abbigliamento come H&M e C&A, si adeguano alle
richieste del mercato e offrono sempre di più prodotti di cotone non trattato
biologico o certificato fairtrade, afferma l'ICE.
L´obiettivo di H&M per il 2009 è di aumentare a livello globale la quantità di
cotone biologico utilizzata per la produzione di abbigliamento, da 3000 a
4500 tonnellate, mentre C&A mira a decuplicare il numero di capi prodotti
con cotone biologico; attualmente il marchio commercializza 12,5 milioni di
capi di abbigliamento della linea biologica in 16 Paesi europei ed è uno dei più
importanti acquirenti di fibre biologiche nel mondo.
Secondo l'ICE ben l’85 % dei consumatori sarebbe disposto a pagare di più per abbigliamento
prodotto nel rispetto dell´ambiente e in condizioni di lavoro giuste per gli operai.
(da Bollettino Bio Greenplanet – dicembre 2008)
PRESENZA DI OGM NEL MAIS DELLE ALTURE DEL MESSICO
Ricercatori americani, messicani e olandesi dell’Università nazionale autonoma del Messico
(UNAM), hanno dimostrato la presenza di geni provenienti da OGM tra le coltivazioni di mais
criollo (nativo) nello Stato di Oaxaca, nel Sud del Paese.
Lo studio dell’Unam, coordinato dalla professoressa Alvarez-Buylla,
dimostra la presenza di mais OGM in 3 campi sui 23 analizzati a
Oaxaca in diversi prelievi dal 2001 al 2004.
Si sta cercando di capire come il mais OGM possa essere arrivato
nelle alture messicane. La prima ipotesi è che alcuni contadini
abbiano importato illegalmente sementi transgeniche, ma vi sono
forti sospetti anche sulla Pioneer, multinazionale che distribuisce
sementi ibridi ai piccoli agricoltori messicani attraverso programmi di aiuti governativi.
Alcune analisi infatti evidenziano che partite di semi della Pioneer sono state contaminate da
mais transgenico, e che la Monsanto è riuscita ad impedirne l’etichettatura indicante la
presenza di OGM. Ciò che preoccupa gli autori dello studio sono i progetti dell’industria
farmaceutica, che puntano a sfruttare la biomassa del mais e utilizzarla come bioreagente al
fine di creare vaccini o anticoagulanti.
Alvarez-Buylla spiega: “Visti gli incidenti già verificatisi negli Stati Uniti, nel momento in cui si
ha difficoltà a separare questi bioreagenti dagli ogm, si rischia di trasformare il mais
contaminato in scarti dell’industria farmaceutica, azzerando la sua vocazione alimentare”.
Un pericolo da sventare, se si pensa che il Messico è riconosciuto come centro d'origine del
mais.
(da Bioagricultura Notizie – dicembre 2008)
CHI NON CONSUMA È UN DISFATTISTA
Il governo diffonderà in ogni casa un opuscolo di rieducazione del consumatore.
Per indurlo a spendere di nuovo
Perché il consumatore non consuma più? Con tutto il bendidio disponibile?
Il governo ha individuato nella scadente qualità del consumatore italiano le
radici del problema. Squattrinato, svogliato, disfattista, sovente di malumore,
è l'anello debole di un sistema perfetto che non merita di essere rovinato
dall'ingratitudine.
Allo scopo, il governo diffonderà in ogni casa un opuscolo di rieducazione del
consumatore. Vediamo i punti principali:
Mancanza di soldi È il pretesto al quale il consumatore ricorre più frequentemente. Tipico
degli avari, va affrontato con una radicale psicoterapia che induca il paziente a riflettere. Al
termine del trattamento, il consumatore sarà ugualmente povero, ma nei primi due giorni del
mese spenderà tutto lo stipendio in puttanate, ricevendo una lettera di congratulazioni della
Confcommercio che lo aiuterà, nei restanti 28 giorni, ad affrontare la fame, il freddo e l'assedio
dei creditori con il sorriso sulle labbra e la coscienza pulita.
Calendarizzazione Come mai è sempre la quarta settimana del mese quella che fa segnare il
crollo dei consumi? Il problema dipende dalla pessima programmazione delle famiglie.
Il governo suggerisce di spalmare l'indigenza sull'intero mese, con un sistema a scaglioni: la
popolazione verrà divisa in quattro gruppi, ognuno dei quali dovrà rimanere senza soldi in
settimane diverse. Lo sgradevole effetto 'quarta settimana', continuo pretesto per la
propaganda disfattista dell'opposizione, non avrà più ragione di essere.
Pessimismo Per il governo è proprio questo il problema più grave. Uno che già è povero,
come fa a non capire che il suo umore torvo non fa che peggiorare la situazione? L'opuscolo
del ministero del Welfare, stilato dagli psicologi del Centro Studi Bicchiere Mezzo Pieno,
suggerisce di formare, sul modello americano, dei gruppi di autocoscienza per debitori
anonimi. Seduti in circolo, leggeranno a turno le rispettive buste-paga, scoprendone l'evidente
lato comico. La lettura dei mutui sarà effettuata da un animatore.
Panchine La riqualificazione delle panchine è urgente. Verranno concesse in comodato
gratuito ai senzatetto, che in cambio ne dovranno curare il decoro ripitturandole ogni
primavera. Nei comuni leghisti dovranno ripitturarle, usando la lingua al posto del pennello,
troppo costoso.
Verranno suddivise in panchina a una stella, con cacca di piccioni e cani randagi nei dintorni
che mordono il dormiente; a due stelle, senza cacca di piccioni e nelle vicinanze di cassonetti
dei rifiuti per un rapido spuntino; a tre stelle, con retino per catturare i piccioni e vecchia
padella per cucinarli; e infine categoria lusso, con sistema antincendio per mitigare gli effetti
dei raid nazisti.
Alimentazione Le ricette della nonna aiutano a riconsiderare il valore di un'alimentazione
sobria e sana. Per esempio le croste di pane, se lasciate in ammollo nel bicchiere della
dentiera, al mattino avranno formato un gustosissimo impasto già premasticato e molto
digeribile. Tra le ricette suggerite dagli chef governativi: i popolarissimi 'macché' della
tradizione napoletana, piatto tipico che deve il suo nome al fatto che se uno chiede "hai
mangiato?", l'altro risponde "macché".
La pasta alle erbe, spaghetti crudi infilzati nelle aiuole dei giardini pubblici per insaporirli. La
saporitissima lepre investita, scrostata dall'asfalto con un raschietto e servita fredda. Gli
involtini alla veterinaria, squisiti bocconi di carne per cani, ideali per avere un pelo sempre
lucido. I deliziosi petti di pollo scaduti, che non necessitano condimento perché il sapore è già
molto caratterizzato. Infine, come dessert, la raffinata granita della nostalgia, ottenuta
scongelando il freezer e sminuzzando i pezzi di ghiaccio impregnati degli odori dei cibi dei mesi
precedenti.
(da L’Espresso – Opinioni di Michele Serra - 28 novembre 2008)
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IL CLIMA, LA CRISI DELL'ECONOMIA E QUELLA DELLE IDEE
Con i tempi che corrono, era difficile aspettarsi di meglio.
L'accordo sul clima approvato dal vertice UE di Bruxelles del 12 dicembre e in
corso di ratifica da parte del Parlamento europeo, fa i conti con la crisi
economica (e quindi con l'impossibilità a far pagare tutto e subito alle aziende
industriali) ma certamente conferma l'Europa come continente vigile e attivo
sulla questione ambientale. L'accordo sarebbe anche potuto saltare.
L'orgoglioso impegno del francese Sarkozy e del portoghese Barroso lo hanno
tenuto in piedi e gli americani - che attendono per il prossimo mese le prime mosse in materia
di Barack Obama - il giorno dopo hanno dovuto riconoscere che "l'Europa dà il buon esempio".
Il nocciolo - al di là dei quattro pilastri dell'accordo rappresentati dalla direttiva ETS (Emission
Trade System//Scambio di Quote di Emissione) sulle emissioni industriali, dalla direttiva Effort
Sharing (Condivisione degli Sforzi) sulle emissioni non industriali, dal finanziamento di 12
impianti per la "cattura" del CO2 e infine dallo sviluppo delle energie rinnovabili - è questo:
entro il 2020 l'Unione Europea ridurrà del 20% gas serra e consumo di energia, aumentando
contemporaneamente del 20 per cento le energie rinovabili.
L'Italia, che aveva una posizione di difesa del suo apparato industriale valida forse nel breve
periodo (e quindi anche a fini elettorali) ma miope sul medio e lungo periodo, ha ottenuto
qualcosa grazie alle grandi paure derivanti dalla crisi economica presenti in tutta Europa (la
concorrenza spietata delle nuove potenze economiche, che non stanno a guardare la
compatibilità ambientale dello sviluppo, pone in difficoltà l'industria europea), ma alla fine non
è uscita vincente.
Contrariamente alla posizione italiana, infatti, chi non rispetterà la diminuzione annuale delle
emissioni prevista dall'accordo per i singoli Paesi, dovrà pagare una penalità. In generale,
comunque, ci pare che l'allarme ambientale coincidente con la crisi dell'economia ponga un
problema di idee, di soluzioni nuove, di uno sviluppo diverso.
Aspettando Obama, che su questo tema si è espresso ampiamente creando attese che presto
potremo verificare, è evidente che proprio in America la crisi delle idee è forte, peggiore di
quella economica, anzi è una delle maggiori cause di quest'ultima. Quello che è avvenuto
sabato a Detroit, capitale americana dell'automobile, è, oltre che stucchevole, una chiara
conferma della crisi delle idee che sta travolgendo l'America: sabato a Detroit, nella chiesa
principale della città, Greater Grace, si è svolta una manifestazione religiosa, una messa, in cui
i SUV di General Motors, Ford e Chrysler sono stati portati fino all'altare.
Non un'utilitaria, un'auto ecologica, qualcosa che guardi al futuro, no, proprio i SUV, dentro un
tempio. Ci sembra il canto del cigno di un'industria che produce inquinamento e spreco per
soddisfare una voglia di apparire che uccide la necessità di essere.
Antonio Felice – Redazione Greenplanet
(da Bollettino Bio Greenplanet – dicembre 2008)
BOOM DEI CIBI BIOLOGICI: IL NORDEST È LEADER CON 456 AZIENDE
E 18MILA ETTARI
Il Nordest
aziende e
Costano il
aumento i
è l'area dove il "naturale" si commercializza maggiormente. Controlli a tappeto in
mercati, irregolarità quasi scomparse In Veneto cresce la "fame" di cibi biologici
30 per cento più degli alimenti tradizionali ma sono sempre più richiesti, in forte
prodotti per l'infanzia; Nel settore dei vini spiccano le aree del Prosecco e di Lison.
I dati di vendita inchiodano i consumi, la borsa della spesa è sempre
più povera: rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente i
consumi di prodotti freschi e surgelati sono scesi almeno dello 0.3
per cento. Ma se la crisi è servita, c’è comunque un alimento che non
vacilla. Anzi, forte delle disgrazie di ortaggi, pane e pasta, alza
prepotentemente la testa. È il trionfo del biologico che, pur costando
dal 20 al 30 per cento in più degli altri alimenti, è salito di un timido,
ma solido 5,1 per cento.
Per gli alimenti destinati all’infanzia l’aumento dal 2006 è stato
addirittura del 32 per cento, del 18 delle bio-bevande analcoliche e del 15 per il riso e la pasta.
A testimoniare che per proteggere la salute si è comunque disposti ad allargare i cordoni della
borsa.
E adesso che anche la carne sta vivendo un momento difficile legato alla presenza di diossina
nella carne suina proveniente dall'Irlanda, si parla di produzione biologica anche per quanto
riguarda questo prodotto: nella Bassa Padovana c'è addirittura un allevatore bovino che
produce carne biologica, confezionata in vaschette con atmosfera protetta.
Il Veneto è la regione in Italia che con il biologico ha il rapporto più felice, è quella che lo
commercializza maggiormente, è l'unica ad avere una catena di negozi dedicata e anche
qualche ristorante. Evidentemente il biologico convince un certo pubblico molto più degli
alimenti tradizionali, da un sondaggio emerge infatti che tre italiani su 5 lo consumano in modo
saltuario e uno su 6 invece ne è un "seguace convinto". I motivi che fanno orientare il
consumatore verso questi prodotti sono diversi: il 79 per cento li sceglie perchè è certo diano
maggior sicurezza e garanzie, il 50 per cento è sicuro siano cibi più salutari e il 19 invece è
convinto siano anche più buoni.
Sul biologico, onor del vero, si è detto un po' di tutto e non mancano neppure i detrattori. Tra
questi coloro che temono di essere gabbati: quante volte si sente dire che il prodotto spacciato
per biologico altro non è che un ortaggio coltivato in modo del tutto normale, al quale il
rivenditore ha dato una patina di "vissuto"?
«Ignoro il numero delle persone che riempiono di terra l'insalata per spacciarla per biologica,
certamente esistono, come ci saranno operatori che truffano in qualsiasi altro settore del
commercio - spiega Roberto Pinton, rappresentante per l'Italia dell'IFOAM, Federazione
internazionale dei movimenti dell'agricoltura biologica – posso solo dire che al MAAP (il
mercato ortofrutticolo) di Padova, per esempio, dove esiste uno stand biologico, ci sono
controlli a tappeto, 35 negli ultimi 5 anni e non è mai è stato trovato nulla di anomalo.
Oltretutto si fanno controlli anche in campagna: sulle foglie degli alberi da frutta o alla base
degli alberi dove le concentrazioni di sostanze proibite, se presenti, dovrebbero essere più
elevate».
Gli organismi di controllo sono autorizzati dal ministero delle Politiche agricole e accreditati, a
loro volta sono controllati dalle Regioni e in mezzo a questa "filiera del controllo" ci sono i
supermercati, che hanno tutto l'interesse a che il prodotto venduto sia conforme, e il
subfornitore. «Un grossista milanese che vende molto nel Veneto racconta che fa ogni anno
qualcosa come mille analisi, per un costo di 150 mila euro - continua Pinton - E non è un caso
limite, tutti coloro che vogliono vendere biologico devono controllare quello che immettono nel
mercato».
Irregolarità? Certo, qualcuna ce n'è, l'1,2 per cento sul prodotto posto in vendita, contro il 7
per cento del tradizionale. «Le aziende del biologico subiscono ispezioni 63 volte più di quelle
del mercato tradizionale - sottolinea Pinton - Almeno una volta l'anno per organismo di
controllo e visto che gli enti sono diversi i controlli sono decine. Inoltre oltre il 10 per cento
delle aziende fa analisi chimiche proprie». Ma se il Veneto non svetta per superficie destinata
alle coltivazioni, 18mila ettari, un quarto dei quali concentrati nel veronese, è però la regione
che ha maggior rilievo in Italia per la trasformazione e il commerciale - con 456 imprese nel
2006, praticamente un'impresa agricola ogni due - e anche per il consumo.
Nel Veneto hanno sede 146 negozi specializzati, di fatto un punto vendita ogni 31mila abitanti,
una frequenza doppia rispetto a quella della Lombardia. E tra le aree coltivate spicca per entità
il comparto vitivinicolo, il 20 per cento del totale, con le aree di eccellenza del Lison
Pramaggiore, l'area di coltivazione biologica delle viti maggiore al mondo, del Prosecco
Conegliano-Valdobbiadene e delle DOC veronesi. Il Veneto è oltretutto l'unica regione in Italia
che ha promosso l'uso del prodotto biologico anche attraverso la ristorazione collettiva, e che
con una legge del 2002 ha stato previsto l'obbligo dell'utilizzo quotidiano di prodotti biologici
nelle mense pre-scolastiche e scolastiche, negli ospedali e nelle comunità.
Ad oggi sono 74 i comuni che hanno attivato mense biologiche, mentre restano un po' indietro
gli ospedali. In questo ambito un esempio positivo arriva dall'ospedale di Legnago, nel
veronese, che ha varato tra i primi in Italia un menu tutto "bio".
L'Azienda ospedaliera ha sopportato i maggiori costi del menu biologico (che si scosta da un
minimo del 48 per cento in più per la pasta a un massimo del 182 per cento per la carne)
attingendo a finanziamenti previsti dalla legge Finanziaria che, attribuendo valore preminente
alla qualità, invita le istituzioni pubbliche che gestiscono mense scolastiche e ospedaliere a
introdurre nelle diete giornaliere prodotti biologici, tipici e tradizionali.
(da Il Gazzettino – edizione del 14.12.2008)
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PRO E CONTRO – FATTI E OPINIONI SULLA ZOOTECNIA DEI NOSTRI
GIORNI
Leggiamo……e riflettiamo su:
IL MALAFFARE DI MAIALE PAZZO di Ferdinando Camon
Ed ecco arrivare dall’Irlanda i maiali avvelenati, hanno una quantità di diossina pari da 80 a
200 volte il tollerabile. La causa: hanno mangiato mangimi asciugati in una macchina dov’eran
finiti oli combustibili.
Da Oltremanica era già venuta la «mucca pazza»: ci dev’essere qualcosa che non va, da quelle
parti, una costante mancanza di controllo sugli alimenti.
Quando venne la «mucca pazza», ci fu una corsa all’informazione sui metodi di allevamento
delle mucche in Occidente, e scoprimmo cose orripilanti…………continua cliccando QUI
SI TRATTA DI ZOOTECNIA MODERNA di Giovanni Bittante
Io stimo e rispetto Ferdinando Camon, e condivido il senso del suo intervento dell’altro ieri.
Condivido meno, invece, la lettera dello stesso.
Non intendo fare il difensore d’ufficio dell’allevamento intensivo, ma proporre alcune riflessioni
sull’argomento. Siamo portati a idealizzare le condizioni di allevamento degli animali secondo
natura, ma sono proprio così idilliache?
Ricordo, durante una mia permanenza in un college americano, una studentessa di nome Anne
che era molto triste…………continua cliccando QUI
LA ZOOTECNIA BIOLOGICA E’ UNA REALTA’ di Franco Zecchinato
Colgo l’occasione dell’autorevole intervento del prof. Bittante, direttore del Dipartimento di
Scienze Animali dell’Università di Padova, su Il Mattino di Padova di sabato 13/12, per alcune
considerazioni sul tema zootecnia e modello di allevamento animale “sostenibile”.
Argomento particolarmente attuale per via delle carni suine alla diossina di origine irlandese,
stavolta, ma tutti ormai hanno capito che questo è solo l’ennesimo episodio di una lunga serie
di follie, che minano alla radice i sistemi economici locali e la fiducia degli acquirenti.
L’allevamento industriale, cioè la “fabbrica” di carni e derivati totalmente staccata dall’azienda
agricola, ha forse garantito negli ultimi decenni una disponibilità alimentare senza precedenti
per una discreta parte della popolazione mondiale…………continua cliccando QUI
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I SOLDI FANNO LA FELICITÀ?
Leonardo Becchetti, presidente del Comitato Etico di Banca Etica dal 2005, è professore di
economia politica all’università di Tor Vergata ed esperto di finanza, commercio equo e
solidale, ma è anche soprattutto di "economia della felicità".
Nei suoi studi ha intrecciato il rapporto fra l’economia e l’essere felici, evidenziando come, a
partire dal dopoguerra, benché sia aumentato il reddito procapite, sia diminuita il numero di
persone che si dichiaravano felici. Becchetti è stato ospite il mese scorso della trasmissione di
Serena Dandini Parla con me.
Nei venti minuti dell’intervista Becchetti affronta diverse tematiche della finanza etica
spiegando come ad esempio la Banca Etica non ha investito su Lehman Brothers: erano stati
considerati dalle loro analisi sociali poco affidabili, a differenza dalle altre banche che invece
hanno voluto azzardare.
Becchetti ha parlato il tema del microcredito (che è una versione etica del subprime) così come
è stato pensato da Yunus, il “banchiere dei poveri”, già premio Nobel per la pace, sottolineando
come questo strumento sia necessario per creare sviluppo creando un legame fra chi ha
denaro ma non idee e che ha idee ma non denaro.
Becchetti inoltre ha recentemente pubblicato un libro dal titolo Il voto nel portafoglio.
Cambiare consumo e risparmiare per cambiare l’economia. Il libro, edito da Il Margine, spiega
come, in un’epoca in cui la sfiducia verso la politica è massima e sempre meno votano, il
mezzo più efficace per far valere la propria volontà, per determinare dal basso le scelte dei
potenti, sia quello di usare in maniera coscienziosa (e spesso anche più economica) il proprio
portafoglio.
(da Ecopolis Newsletter – dicembre 2008)
ALBERO DI NATALE IN PIAZZA DUOMO A MILANO
Ce n'è voluto a portarti fin qui che proprio non ci volevi venire.
Stavi troppo bene tra quelle montagne del Trentino dove eri nato e
cresciuto così tanto che con la tua altezza di quaranta metri
dominavi tutti i tuoi fratelli nella grande famiglia della foresta.
Ti hanno dovuto sradicare con le ruspe tanto le tue radici erano
avvinghiate a quella terra. E poi, prima di partire per il triste
viaggio verso la metropoli, anche la neve che cadeva e cadeva è
venuta in tuo aiuto quasi da averla vinta sugli uomini.
Ma, come fosse una guerra, il ministro della Difesa La Russa ha
dato ordine ai carabinieri di intervenire e così ti hanno portato in
catene in questa grande piazza, ti hanno agghindato con migliaia
di lampadine che lo stesso ministro, tronfio per la vittoria, ha
acceso.
Adesso ai tuoi piedi, al posto del tappeto morbido di muschio,
hanno piazzato spietate pubblicità di banche e cellulari, che poi
sono loro che hanno deciso il tuo destino.
Addio vegliardo dei boschi, ti chiedo perdono per i miei simili che hanno compiuto questo
misfatto.
(da Promiseland News – dicembre 2008)
FARRO NELLO SPORT? 28 ATLETI LO SPERIMENTANO
L'Azienda Agricola Monterosso di San Lorenzo in Campo (PU), in collaborazione con
Federazione Italiana di Atletica Leggera avvia la sperimentazione dell'alimentazione di 28
sportivi con specialità a base di farro.
L'Azienda marchigiana, che da oltre 100 anni coltiva con passione nei suoi
terreni, la varietà di farro più antica e nobile, noto come Farro delle Marche,
in collaborazione con il dott. Pompeo D'Ambrosio, medico fiduciario FIDAL
(Federazione Italiana di Atletica Leggera), ha avviato uno studio per
verificare l'efficacia delle specialità a base di farro nell'alimentazione dello
sportivo.
A questo proposito sono stati individuati 28 atleti di diverse discipline, che si allenano 4 o più
volte la settimana che per un periodo di tre mesi si alimenteranno con pasta prodotta
dall'azienda per almeno 5 dei 14 pasti principali della settimana.
Tra gli atleti che parteciperanno alla sperimentazione spiccano per gli eccellenti risultati:
Benedetta Ceccarelli, primatista italiana dei 400 ostacoli, e tra le migliori al mondo nella
specialità; Elisabetta Cusma, primatista italiana indoor degli 800 metri, sesta ai Campionati del
Mondo Indoor del 2008, semifinalista olimpica a Pechino; Piergiorgio Conti, più volte campione
del mondo ed europeo di duathlon.
"Siamo molto soddisfatti - spiega Lea Luzi, proprietaria della Monterosso - che il Dott.
D'Ambrosio abbia scelto la nostra pasta biologica per questa sperimentazione.
Sono tanti i motivi per utilizzare la pasta di farro: è ricca di isoflavoni e vitamina A, C ed E ad
elevata attività antiossidante, ha un contenuto di fibre 10 volte superiore alla comune pasta di
grano, è ricca di calcio, almeno il doppio di quello contenuto nel pane o nella pasta di semola.
Inoltre, la pasta prodotta con farina macinata a pietra, trafilata al bronzo ed essiccata a bassa
temperatura, è facilmente digeribile".
"Nel mare magnum delle scelte gastronomiche, la preferenza va data a un monopiatto a base
di carboidrati complessi, ad alto valore nutritivo, ricco di fibre, facilmente digeribile", è il
commento del medico. "Le specialità a base di farro, in particolare la pasta corta, rispondono
perfettamente a tutti questi requisiti. Costituiscono l'alimento ideale sia per chi fa sport a
livello agonistico, sia per coloro che utilizzano il movimento come momento fondamentale nella
prevenzione delle malattie cardiovascolari e nella strategia terapeutica del diabete.
Il farro non ha un indice glicemico elevato: possiamo affermare che le diete a basso IG in
generale migliorano il controllo glicemico. Questo fa sì che la pasta di farro possa essere
considerata a tutti gli effetti l'alimento ideale dell' atleta e di chi, in senso lato, voglia
contribuire, con una corretta alimentazione, a mantenere integro il proprio organismo".
(da Bollettino Bio Greenplanet – dicembre 2008)
FEDERBIO PIÙ FORTE. ENTRANO QUATTRO NUOVE ASSOCIAZIONI DI
PRODUTTORI
Accolte le richieste di adesione de il Coordinamento toscano produttori biologici,
l'Agribiopiemonte, l'Associazione veneta dei produttori biologici e l'Associazione sarda dei
produttori biologici.
Con le nuove adesioni, si legge in un comunicato, FederBio
"afferma il suo ruolo di punto di riferimento anche per i produttori".
Tra i soci produttori biologici sono infatti già presenti dieci
organizzazioni attive in tutto il territorio nazionale ed "espressione
trasversale dell'intera base produttiva italiana".
Per il presidente Carnemolla si tratta di un "ingresso massiccio" che
"testimonia la necessità della parte di gran lunga maggioritaria degli agricoltori biologici di un
punto di riferimento organizzativo e di una rappresentanza unitaria, fuori da vecchi schemi e
divisioni ideologiche o sindacali". Ed è proprio l'organizzazione sul territorio uno dei punti di
sviluppo di FederBio che "intende impegnarsi e investire risorse per il rafforzamento delle
organizzazioni presenti nel territorio, rafforzando contemporaneamente la rete delle
associazioni e la loro rappresentanza sulle questioni rilevanti a dimensione nazionale".
L'attività dell'organizzazione, anticipa Carnemolla, già nei prossimi giorni prevede un confronto
tra i soci su sviluppo rurale, organizzazione dei servizi e delle reti commerciali, relazioni di
filiera e ricerca, temi, secondo il presidente, "senza dubbio prioritari".
(da Bollettino Bio Greenplanet – dicembre 2008)
IL BIOLOGICO NON PUÒ FARE A MENO DEL RAME
La Commissione Europea, su sollecitazione di alcuni stati membri e di
associazioni ambientaliste, ha messo in discussione la scorsa settimana la
possibilità di utilizzare ancora negli anni a venire il rame nella difesa delle
colture biologiche e convenzionali.
Il motivo della proposta risiede nella tossicità del rame verso gli organismi
terricoli, soprattutto dopo anni di accumulo, in vigneti e frutteti. Il biologico
ha bisogno del rame, non potendo utilizzare altri fitofarmaci concessi
all’agricoltura convenzionale.
Per fermare la decisione ed avere il tempo di formulare proposte alternative basate su analisi
concrete dello stato dei terreni, l’ AIAB - Associazione Italiana Agricoltura Biologica, assieme al
centro di sperimentazione di Laimburg e all’Istituto Agrario di San Michele all'Adige, ha fatto
pressione presso il Ministero della Salute e dell'Agricoltura.
Con una lettera, contenente dettagliate spiegazioni, l’AIAB e i due istituti, si sono rivolti al
Ministero affinché non si arrivi a votare la "fine dell'utilizzo del rame" ma piuttosto si ragioni
su una generale limitazione, ad esempio portando l'attuale limite in vigore per il biologico
(6kg/ha/anno, anche meglio su media di 5 anni) a tutta l'agricoltura. Richieste analoghe sono
state presentate dalla Regione Emilia Romagna e dalla Coldiretti.
Nel frattempo, in Germania e in altri paesi europei si sta cercando di portare il limite per il
rame a 3kg/ha/anno, cosa che metterebbe nei guai i produttori mediterranei. Nell’area del
mediterraneo, infatti, c'è la maggior presenza di fruttiferi e vite, che necessitano
maggiormente di rame per la difesa delle colture. A gennaio la Commissione Europea
analizzerà di nuovo la questione. Aiab si augura che la delegazione italiana prenda in seria
considerazione le proposte formulate ed abbia l'energia per confrontarsi con gli altri Stati
membri.
(da Bioagricultura Notizie – dicembre 2008)
ACQUA PUBBLICA: BENE COMUNE, E NON DELLE AZIENDE
Domenica 30 novembre, il Gazzettino riportava, a pagina 11, un articolo inerente la vendita
dell’acqua in Veneto: “Guerra della minerale…”.
In otto colonne documentatissime e correlate di tabelle comparative, il presidente di
Mineracqua in persona, il sig. Fortuna, ci ha illustrato dettagliatamente tutti gli escamotage e i
tentativi intrapresi dalle ditte che prelevano, imbottigliano e vendono l’acqua in Veneto per
ridurre da 3 euro a 1 euro al metro cubo il costo dell’acqua che dal 1° gennaio 2007 la regione
Veneto pretende.
Già dal titolo “La Regione Veneto pretende 10 milioni dalle aziende”, poi in
tutto l’articolo, il Gazzettino si fa portavoce acritico di Mineracqua, senza
dare minimamente voce a chi in regione o nella cittadinanza può difendere la
legge e spiegarne i motivi. Sembra quasi un inserto a pagamento delle
industrie delle acque minerali.
Come cittadini e associazioni che da anni si impegnano a promuovere l’uso
potabile dell’acqua pubblica, bene di tutti come l’aria e la terra, da tutelare,
valorizzare e promuoverne l’uso, protestiamo vivamente con il Gazzettino per
questo spot di Mineracqua.
Se c’è una legge regionale che regolamenta l’attività delle aziende che commercializzano
l’acqua, bene di tutti, e se perfino nella citata Finanziaria 2008 vi è l’articolo 39 che detta
azioni a salvaguardia delle risorse idriche, è perché da anni in tutto il mondo e in particolare in
Veneto e a Padova, tanti cittadini e associazioni si sono resi conto di come il bene pubblico
venga letteralmente “svenduto” per l’interesse dei pochi, (andiamo a vedere il fatturato
di queste aziende) e a discapito dei più, con seri danni per le falde e l’ambiente.
Questi stessi cittadini e associazioni promuovono da anni ormai, nelle piazze e nelle scuole,
petizioni, informazioni e progetti di legge a tutela dell’acqua come bene comune.
Un bene comune che ora viene messo in forse, visto che il 6 agosto scorso il Parlamento
italiano ha votato un articolo di legge (l’articolo 23 bis della legge numero 133/2008) che
spalanca la via alla privatizzazione dell'acqua pubblica, affidando “il conferimento della
gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in
qualunque forma costituite …”
E se il consumo delle acque in bottiglia è calato del 4%, oltre alla crisi, è dovuto anche a
questa nuova cultura e consapevolezza diffusa, per cui a casa, nei parchi, a scuola, nei
ristoranti, si beve sempre più acqua pubblica, controllata, sempre fresca, igienica e a costo
quasi zero.
Lo sappiamo che la bellissima e accattivante pubblicità delle acque minerali (con Messner, Del
Piero, uccellini, sole e fiori…) è potentissima ed accattivante, e ben più persuasiva delle nostre
campagne, ma se in Regione e a Roma ci sono norme che almeno fanno pagare alle ditte un
minimo costo per il commercio dell’acqua, vuol dire che i politici sanno di contare su un vasto
appoggio diffuso e speriamo non si facciano lusingare dalla lobby di Mineracqua.
E se noi in Veneto siamo stati i precursori coraggiosi di un bene comune, estendiamo ora
anche alle altre Regioni questa nostra determinazione.
M.I.R. - Movimento Internazionale della Riconciliazione
(da Ecopolis Newsletter – dicembre 2008)
LA REGIONE LAZIO PROMUOVE I FARMERS’ MARKET CON IL BIO.
La Regione lancia i 'Farmers' Market'', i mercati degli agricoltori del Lazio.
E' stata approvata infatti dal Consiglio regionale, a larga maggioranza, la legge per gli
''Interventi regionali per la promozione dei mercati riservati alla vendita diretta da parte degli
imprenditori agricoli''.
Il primo Farmers’ Market di Roma sarà aperto il 20 e il 21 dicembre a Ponte Testaccio, Largo
Giovanni Battista Marzi, dove saranno venduti anche prodotti bio delle aziende socie di AIAB.
''Gia' 36 piccoli comuni hanno chiesto di poter aderire'' ha anticipato l'assessore all'Agricoltura,
Daniela Valentini, la quale ha ricordato anche che così si istituisce una vera e propria rete di
produzione e vendita. I mercati degli agricoltori del Lazio avranno un logo uniforme, campagne
di comunicazione, uno spazio all'interno del portale web della Regione e - soprattutto contributi economici per la loro istituzione.
A creare i Farmers' Market laziali potranno essere direttamente gli stessi imprenditori agricoli,
singoli o associati, oppure i singoli comuni; Nella formazione della graduatoria per accedere ai
finanziamenti, per espressa disposizione di legge, si attribuirà un maggior punteggio ai progetti
di avvio di mercati agricoli caratterizzati dalla vendita di prodotti ottenuti da agricoltura
biologica, dall'adozione di tecniche di riduzione degli imballaggi e dall'utilizzo di materiali
riciclati o riciclabili.
E' prevista, nei mercati degli agricoltori, esclusivamente la vendita di proprie produzioni da
parte di aziende agricole con sede nel territorio del comune in cui il mercato è istituito o
autorizzato. Nel caso dei centri con meno di 5 mila abitanti potranno essere presenti anche i
banchi delle aziende dei comuni limitrofi, se poi il capoluogo di provincia avrà avviato il proprio
Farmers' Market, ad esso saranno ammessi tutti i produttori provinciali.
Una percentuale di contributo regionale sarà poi destinata all'avvio di mercati agricoli di
prodotti biologici nelle città di Roma, Latina, Frosinone, Viterbo e Rieti.
Tra le norme approvate anche una disposizione per assegnare contributi ai comuni che
prevedano l'utilizzo nelle mense scolastiche di prodotti ortofrutticoli provenienti da imprenditori
agricoli professionali che operano nei mercati riservati alla vendita diretta.
(da Bioagricultura Notizie – dicembre 2008)
e terminiamo in bellezza, con uno speciale Menu Natalizio, tutto vegetariano, per
mantenerVi in forma e……vicini alla Natura (Clicca QUI per visualizzare il Menu)
Buon Natale a tutti Voi
dalla Newsletter de El Tamiso !
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