La VOCE ANNO XVI N°4
dicembre 2013
PAGINA 1 - 21
L’operazione propagandistica di Simone Cristicchi e della lobby degli "esuli"
La sera di Ferragosto 2013 RaiUno ha mandato in onda il concerto-tributo di Simone Cristicchi a Sergio Endrigo. Lo spettacolo conteneva tra l’altro un monologo, recitato dopo la canzone
"1947", che dipinge a tinte fosche gli "jugoslavi occupatori" delle case degli italiani esuli da Istria e Dalmazia. Si trattava di una anticipazione dello spettacolo "Magazzino 18" che Cristicchi sta
lanciando adesso (fine 2013) in pompa magna e con la evidente e potente sponsorizzazione della "lobby degli esuli".
Questa operazione, molto più politica che musicale o teatrale, innanzitutto tradisce ed insulta la memoria di Sergio Endrigo, che nella sua vita personale ed artistica si ispirò sempre
all’internazionalismo ed alla fratellanza tra i popoli delle due sponde dell’Adriatico.
Il Presidente del Comitato provinciale ANPI di Viterbo, Silvio Antonini, è intervenuto inviando una lettera personale a Cristicchi, che paradossalmente risulta iscritto all’ANPI. Ne
sono seguite la risposta del cantante ed una replica più dura del segretario di CNJ-onlus, Andrea Martocchia, alla quale Cristicchi si è rifiutato di rispondere.
Leggo il vostro scambio di messaggi con Silvio Antonini dell’ANPI di Viterbo. Forse non sono esattamente vostro coetaneo, in quanto classe 1969, ma in compenso sono romano anch’io, e da
una ventina di anni mi trovo ad occuparmi di questioni jugoslave, tanto da essere segretario di una associazione di amicizia, di scambi culturali e di impegno per una corretta informazione,
denominata Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS. Temo perciò di essere tenuto a scrivere alcune parole anch’io, benché veramente di malavoglia, vista la circostanza.
Gli italiani, hai ragione, conoscono ben poco della loro storia, figuriamoci della storia dei popoli vicini.
Generalmente, purtroppo, non solo sono ignoranti - il che non è una colpa - ma coprono la propria ignoranza con atteggiamenti saccenti, e questo, si, li rende veramente colpevoli. Un altro
difetto facilmente riscontrabile è che tendono troppo spesso ad autoassolversi: in fondo in fondo, sono sempre "brava gente", no? Le colpe le hanno sempre gli altri: allora tedeschi o jugoslavi,
oggi rumeni o albanesi.
Il tuo spettacolo "Magazzino 18" non è uno spettacolo sulla Jugoslavia comunista, né sulla Resistenza, eppure contiene un attacco preciso contro la Jugoslavia partigiana, uscita da una guerra
infame che non erano stati gli jugoslavi a volere. La Jugoslavia esce da quella guerra come paese unito e pacifico, programmaticamente avviato ad essere mosaico di popoli, lingue e culture: un
paese cioè non "nazionale", come l’Italia, bensì "multinazionale" (oltreché internazionalista: promotore del Movimento dei Non Allineati).
Nel tuo monologo c’è pertanto innanzitutto un errore concettuale, di principio: i partigiani jugoslavi, liberando vasti territori - inclusa l’Istria, e la stessa Trieste - dal mostro nazifascista, non
intendevano usurparli ai legittimi proprietari, ma viceversa unirli a una nuova struttura statuale e sociale che fosse patria per tutti quelli che vi abitavano, purché ovviamente non ostili al nuovo
Stato: ça va sans dire. Tant’è vero che circa 30mila autoctoni di lingua italiana decisero di rimanere. Hai mai sentito parlare dei "rimasti"? Forse valeva la pena che tu raccontassi anche la loro
vicenda, che per un iscritto all’ANPI dovrebbe avere degli aspetti ancor più interessanti della vicenda degli "esuli".
Quello spirito di fratellanza internazionalista per il quale anche tanti italiani combatterono al fianco dei partigiani jugoslavi, e che li spinse non solo a rimanere in quella che diventava la
Jugoslavia, ma a contribuire entusiasticamente alla sua formazione, lo puoi ritrovare ad esempio nella storia personale e nelle pagine di Eros Sequi, grande italianissimo scrittore ed intellettuale,
sconosciuto agli italiani:
« Ora, eccomi qui, a scrivere da mattina a sera. Prepariamo il "Nostro Giornale" e "Lottare", prepariamo traduzioni ed opuscoli, volantini ed appelli... Sono commosso e contento. Ho scoperto il
mio mondo... Ho saputo anche che cos’è l’Istria, dove la popolazione croata soffriva sotto l’oppressione degli imperialisti italiani ed oggi combatte la sua rivoluzione per esser libera
nazionalmente e socialmente. Vorrei che tutti gli italiani sapessero che queste terre appartengono di diritto alla Jugoslavia; vorrei che tutti gli italiani fossero giusti e amati per la loro giustizia.
Vorrei che sempre più grande fosse l’affluire dei miei connazionali tra le file del movimento di liberazione. E so che solo pochi non risponderebbero, se l’appello della verità giungesse fino a
loro... Sarebbe bello se anche l’Adriatico fosse un lago, sulle cui sponde lavorassero in pace e in concordia uomini fratelli. Ma so che la fratellanza stringerà almeno italiani e croati e tutti gli
jugoslavi nel paese nuovo che andiamo creando con lotta e sacrifici... » (Monti di Kukuljani, 31 luglio 1944. Da "Eravamo in tanti", diario della sua esperienza di combattente partigiano).
L’abbandono di Istria e Dalmazia di gran parte della popolazione di lingua italiana, anche quella non compromessa con il nazifascismo, per la Jugoslavia federativa e socialista fu percepito come
una sconfitta, e non come una vittoria. Viceversa, ci fu una precisa volontà da parte dei ricostituiti poteri italiani, a che gli italiani di Istria e Dalmazia venissero via, allo scopo di delegittimare la
nuova struttura statale che si andava formando oltre Adriatico. Hai mai sentito parlare di Radio Venezia Giulia, la radio messa su dai servizi segreti italiani per fare pressione psicologica sugli
italiani di Pola, di Fiume, eccetera, perché andassero via? Lo sai che quelli che rimanevano erano bollati come "italiani sbagliati", e non certo da parte jugoslava? Ci sono tante cose da sapere, se
solo interessa andarle a cercare. E sugli esuli istriani e dalmati, oltre a tutti i libri opportunamente menzionati da Silvio, ed anziché appoggiarti ai contatti selettivi di Jan Bernas, potresti dare
almeno un’occhiata al testo "Esuli a Trieste. Bonifica nazionale e rafforzamento dell’italianità sul confine orientale", di Sandi Volk (KappaVu Edizioni, Udine 2004), che è un autentico esperto
della problematica degli "esuli"... Perché di cose da dire ce ne sarebbero molte altre, nemmeno riassumibili qui: lo sai che gran parte degli "esuli" non erano nemmeno autoctoni, ma "regnicoli"
(veri e propri "coloni")? Lo sai che non andarono via solo italiani, ma anche tanti croati e sloveni, vuoi per ragioni politiche, vuoi per ben più generali necessità economiche? Lo sai, infatti, che
cosa è stata l’emigrazione dai piccoli centri verso le grandi città nell’immediato dopoguerra, in tutta Italia e in tutta la Jugoslavia? Lo sai che cosa vuol dire "optanti"?
Esistono ignoranze che determinano vere e proprie colpe. In ogni attività, anche in quella artistica, si tratta di sentire o non sentire la responsabilità delle proprie scelte. Da ogni canzone di Sergio
Endrigo trapela il senso forte della responsabilità: perché, lui, era veramente un cantante impegnato, nel senso pieno e bello del termine, un senso che in questa Italia è andato perduto. Non fu
mai un opportunista, né nelle scelte di vita né in quelle artistiche: comunista e ateo, gli stava cordialmente antipatico tutto l’apparato massmediatico - antipatia ricambiata, tant’è vero che negli
ultimi anni fu veramente dimenticato dal teatrino dominante, televisivo e non. Quale Sergio Endrigo vogliamo ricordare? Il Sergio Endrigo che cantava in lingua serbocroata con Arsen Dedic, e
vinceva festival della canzone jugoslavi, il Sergio Endrigo che cantava la Resistenza tradita dagli opportunisti di turno (La ballata dell’ex), il Sergio Endrigo che ricordava con nostalgia la sua
città come metafora di tutti gli abbandoni... Oppure un Sergio Endrigo immaginario, un Sergio Endrigo inventato, di comodo, revanscista e rancoroso contro gli "usurpatori della propria terra"?
Non credo che Sergio Endrigo, che è stato gettato nel dimenticatoio per anni in quanto cantante "scomodo", avrebbe mai approvato di essere strumentalizzato a fini di revanscismo antipartigiano.
Era meglio nessuna carriera, per lui, che una carriera sulla cresta dell’onda della lobby "vincente" di turno.
Chiudo su Tito e Pertini. La percezione che alcuni italiani originari di Istria e Dalmazia possono avere avuto guardando il nostro amato presidente che rendeva omaggio all’amato presidente
degli jugoslavi, è solo ed esclusivamente una loro percezione. Per la stragrande maggioranza degli italiani quel gesto è stato un gesto di fratellanza e di pace, il suggello di due vite parallele da
partigiani, ispirati ai valori della fratellanza tra i popoli. Per noi antifascisti quel gesto fa grande onore a Pertini, più ancora che a Tito.
Andrea Martocchia
segretario, CNJ-onlus
La VOCE ANNO XVI N°4
dicembre 2013
PAGINA 2 - 22
“MAGAZZINO 18”:
CLAUDIA CERNIGOI REPLICA A CRISTICCHI E OLIVA SU
RADIO TRE
Simone Cristicchi ha recentemente “lanciato” lo spettacolo teatrale Magazzino 18“,
incentrato sulle vicende degli italiani di Istria e Dalmazia. Come lo stesso artista va
ribadendo in continuazione in ogni sede possibile, con lo spettacolo egli non si prefigge
in alcun modo di ricostruire i fatti storici, ma “soprattutto di dare emozioni al
pubblico“… Ed è proprio questo il problema.
“Magazzino 18” è una operazione demagogica, costruita per presentare questioni
complesse in maniera ipersemplificata, suscitando sentimenti forti e netti nello
spettatore attraverso le più tradizionali e rozze ricette dell’arte didascalica e della
propaganda. Cristicchi usa un misto di satira – per sbeffeggiare con sarcasmo gli
ideali e le azioni degli antifascisti, inclusi gli operai monfalconesi che si trasferirono in
Jugoslavia nella speranza di costruire un futuro migliore – e di horror – calcando sul
tema, alluso e nient’affatto chiarito, delle “foibe” – senza ovviamente disdegnare di
mettere al centro della scena i bambini in quanto oggetto di compassione per
eccellenza.
“Magazzino 18” vuole veicolare un messaggio preciso: la piéce dipinge il movimento
partigiano jugoslavo, guidato da Tito, come un’orda di violenti impegnati in una
operazione di “pulizia etnica”, finalizzata a realizzare una “grande” Jugoslavia; i
comunisti secondo Cristicchi sono gli usurpatori delle case degli italiani di Istria e
Dalmazia. Si tratta di tesi grossolanamente false, mutuate pari pari dalla propaganda
anticomunista e antijugoslava della destra. Su questi temi, ed in attesa di poter
presentare una recensione critico-storica più puntuale del testo teatrale in esame,
invitiamo i lettori ad esempio a leggere il saggio di Sandi Volk L’ESODO –
STRUMENTALIZZAZIONE E REALTA’, che riteniamo fondamentale per chi voglia
conoscere davvero qualcosa di serio sull’argomento.
In merito a “Magazzino 18”, nel corso della trasmissione radiofonica “Fahrenheit”, in
onda venerdì 1/11/2013 alle ore 15 su RadioTre, con Cristicchi ha interloquito
criticamente la nostra collaboratrice Claudia Cernigoi, che ha avuto così occasione
anche di rintuzzare alle pesanti inesattezze di Gianni Oliva, anch’egli ospite. [...]
La redazione di Diecifebbraio.info, 13 novembre 2013
marx21
La VOCE ANNO XVI N°4
dicembre 2013
PAGINA 3 - 23
“Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa”
9 Ottobre 2013
di Vladimiro Giacché
Anticipazione da Vladimiro Giacché, Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, Imprimatur editore, 2013, pp. 304, in libreria dal 9 ottobre.
(riproduciamo per gentile concessione dell’editore le pp. 149-157 del testo)
Guai ai vinti: la criminalizzazione della RDT
La liquidazione pratica della RDT procedette in maniera parallela alla sua demonizzazione ideologica. Il documento forse più significativo della criminalizzazione della RDT è rappresentato dal
discorso tenuto il primo luglio 1991 dal ministro della giustizia Klaus Kinkel, già presidente dal 1979 dal 1982 del servizio segreto della RFT (il Bundesnachrichtendienst, BND), al primo
forum del ministero federale della giustizia. Eccone un passo: “ Per quanto riguarda la cosiddetta RDT e il suo governo, non si trattava neppure di uno Stato indipendente. Questa cosiddetta
RDT non è mai stata riconosciuta dal punto di vista del diritto internazionale. Esisteva una Germania unica (einheitlich), una parte della quale era occupata da una banda di criminali. Tuttavia
non era possibile, per determinate ragioni, procedere penalmente contro questi criminali, ma questo non cambia di una virgola il fatto che c’era un’unica Germania, che ovviamente in essa vigeva
un unico diritto e che esso attendeva di poter essere applicato ai criminali”.
La mostruosità storica e giuridica di questo passo meriterebbe un commento approfondito. Basterà, di passaggio, ricordare che la RDT era uno Stato riconosciuto non soltanto dall’ONU e da
numerosissimi altri Stati, ma di fatto anche dalla stessa RFT, sin dal Trattato sui principi del 1972. E che il capo della “ banda di criminali” di cui parla Kinkel era stato in visita di Stato nella
Repubblica Federale non più tardi che nel 1987, quando era stato ricevuto con tutti gli onori da Helmut Kohl. Fu del resto lo stesso Günter Gaus, che ricoprì per anni l’incarico di responsabile
della rappresentanza permanente della RFT nella Repubblica Democratica Tedesca, a dichiarare: “ è insensato fare come se la RDT fosse una provincia che si era separata dalla Repubblica
Federale. C’erano due Stati tedeschi, tra loro indipendenti, riconosciuti da tutto il mondo”. (...)
Questa sconcertante dichiarazione di Kinkel non sfuggì a Honecker, il quale negli appunti stesi in carcere e pubblicati postumi ne evidenziò la logica conseguenza: “ la criminalizzazione dello
Stato che fu la Repubblica Democratica conduce ad un vero bando sociale della massa dei cittadini della RDT. Chi ha partecipato alla costruzione di questo ‘Stato di non-diritto’ (Unrechtsstaat)
sarà ‘legittimamente’ cacciato dal suo posto. Operaio, contadino, insegnante o artista, dovrà prendere atto del fatto che la sua espulsione dall’amministrazione, dall’insegnamento, dal teatro o dal
laboratorio è ‘legale’”. Come vedremo, questa previsione a tinte fosche non si rivelerà troppo lontana dal vero.
Ma Kinkel fece un ulteriore grave passo pochi mesi dopo. Nel suo discorso di saluto al 15° congresso dei giudici tedeschi, il 23 settembre dello stesso anno, affermò testualmente: "conto sulla
giustizia tedesca. Si deve riuscire a delegittimare il sistema della SED".
In questa esortazione è evidente la clamorosa violazione dell’indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo (ossia uno dei fondamenti dello stato di diritto), e assieme la teorizzazione
esplicita di un utilizzo politico della giustizia: in questo modo di fatto Kinkel si rende colpevole proprio di quello di cui accusava la RDT.
L’osservazione che Honecker in carcere fa con riferimento al procedimento che lo riguarda può quindi essere in qualche modo generalizzata: “ con questo processo viene fatto quello che si
rimprovera a noi. Ci si sbarazza dell’avversario politico utilizzando gli strumenti del diritto penale, ma ovviamente secondo i principi dello Stato di diritto”.
La giustizia del vincitore: i processi politici
A questa esortazione di Kinkel, purtroppo, una parte della giustizia federale rispose positivamente, anziché rispedirla al mittente. Nel corso degli anni furono aperti procedimenti penali nei
confronti di circa 105 mila cittadini della RDT, in genere finiti nel nulla (ma che spesso ebbero un effetto devastante sulla carriera e sull’esistenza stessa degli interessati). In effetti, finirono sotto
processo “ soltanto” 1.332 persone (127 delle quali furono coinvolte in più di un processo). Risultarono condannate a pene variabili 759 persone (48 delle quali a pene detentive), si ebbero 293
assoluzioni e 364 processi furono interrotti per morte dell’imputato o per altri motivi.
Questo poté avvenire in forza di una sostanziale violazione del Trattato sull’unificazione e di ulteriori forzature della legge. In realtà fu adoperato surrettiziamente il diritto della RFT per giudicare
l’operato di persone che avevano agito in ottemperanza alle leggi della RDT (in particolare guardie di confine, giudici e alti esponenti politici). Furono aperti ex novo procedimenti (mentre in
base al Trattato la RFT avrebbe dovuto proseguire e portare a termine soltanto procedimenti già iniziati prima del 3 ottobre 1990). Per poter coinvolgere anche i più alti esponenti politici nei
processi si inventò un presunto “ ordine di sparare” a chi provasse a violare la frontiera impartito dagli alti comandi (mentre i soldati si limitavano a seguire le procedure – analoghe a quelle in
uso nell’esercito della RFT - previste in caso di oltrepassamento illegale del confine o di ingresso non autorizzato in una zona militare, come del resto ammise in una sentenza del 1996 anche la
Corte costituzionale federale). (...)
Il parlamento emanò tre successive leggi per prolungare i termini della prescrizione, e alla fine si giunse a considerare i quasi 41 anni della RDT come periodo di sospensione del decorso della
prescrizione! Anche se in questo caso l’effetto pratico fu trascurabile (i procedimenti che si poterono effettivamente aprire e portare a termine in questo modo furono pochissimi), l’effetto mediatico
e l’obiettivo di porre sul banco degli accusati l’intera storia della RDT fu conseguito.
Si trattò di fatto di processi esemplari, e più precisamente di “ processi di rappresentanza”, in cui il procedimento penale era finalizzato a “ delegittimare” postumamente, proprio come aveva
richiesto Kinkel, la Repubblica Democratica Tedesca. Per quanto numerosi e gravi siano le responsabilità di Honecker nei suoi quasi 20 anni alla guida della RDT (in particolare l’assoluta
sordità nei confronti della domanda di democratizzazione che veniva dalla società e l’ostinato rifiuto di cambiare rotta nella politica economica), è difficile non riconoscere delle ragioni nella sua
denuncia del carattere politico del processo cui era sottoposto: “ ci sono soltanto due possibilità: o i signori politici della RFT hanno consapevolmente, liberamente e addirittura volentieri cercato
di avere rapporti con un assassino, o essi adesso consentono che un innocente sia accusato di omicidio. Nessuna di queste due alternative va a loro onore. Ma non ne esiste una terza... Il vero
obiettivo politico di questo processo è l’intenzione di screditare la RDT e con essa il socialismo. Evidentemente, la sconfitta della RDT e del socialismo in Germania e in Europa per loro non è
sufficiente... La vittoria dell’economia di mercato (come oggi si usa eufemisticamente definire il capitalismo) deve essere totale e totale deve essere la sconfitta del socialismo. Si vuole, come
Hitler un tempo ebbe a dire davanti a Stalingrado, ‘che questo nemico non si riprenda mai più’. I capitalisti tedeschi hanno sempre avuto la tendenza alla totalità”.
In effetti in qualche caso questa “ tendenza alla totalità”, questa furia liquidatoria nei confronti della RDT è giunta sino al punto di sconfinare nella adesione e giustificazione di quello che in
Germania c’era prima della RDT stessa.
Quando Honecker nel 1992 fu estradato dalla Russia di Eltsin (a tal fine i medici russi produssero un certificato falso, che nascondeva la gravità del cancro al fegato di cui Honecker soffriva),
venne rinchiuso in Germania nel carcere di Moabit, lo stesso in cui lo avevano rinchiuso i nazisti, per attività sovversiva nel Terzo Reich (durante il nazismo Honecker scontò 10 anni di carcere).
E chi predispose l’atto di accusa pensò bene di riprendere letteralmente, senza modificarli in alcun modo, stralci dell’atto di accusa formulato a suo tempo dalla Gestapo.
Cosicché nel curriculum vitae di Honecker allegato agli atti del processo si trovano queste frasi: “ l’attività svolta [da Honecker] per l’organizzazione giovanile del partito comunista era illegale.
Pertanto egli fu arrestato a Berlino il 4 dicembre 1935, per sospetta preparazione di attività di alto tradimento”.
Quando l’ex capo delle forze armate della RDT, Heinz Kessler, fu portato davanti a un tribunale tedesco federale - con l’accusa, anche nel suo caso, di aver dato l’“ ordine di sparare” alla frontiera
- non mancarono commenti sarcastici sul fatto che questo generale tedesco aveva disertato l’esercito tedesco; e in effetti lo aveva fatto: nel 1941, quando aveva abbandonato l’esercito di Hitler per
unirsi all’armata rossa.
Ma il caso più estremo riguarda Erich Mielke, l’ex capo del potentissimo ministero per la sicurezza dello Stato (meglio noto come Stasi) – in definitiva colui che nella RDT ricopriva lo stesso
incarico che nella RFT aveva ricoperto Kinkel. Per Mielke non si trovò di meglio che condannarlo per l’omicidio di due poliziotti nel 1931. In questo caso si riprese il fascicolo processuale
aperto sotto il nazismo, che aveva portato nel 1935 alla decapitazione in carcere di un altro comunista, Max Matern. A Mielke negli anni Novanta andò meglio: fu condannato a 6 anni, ma fu
scarcerato nel 1995 per motivi di salute (aveva 88 anni), dopo aver passato in carcere complessivamente 5 anni.
Gerhard Schürer, l’ex capo della pianificazione della RDT, nelle sue memorie scrive: “ è per me incomprensibile che il massacro di 15 donne e bambini italiani [la strage di Caiazzo, N.d.A.] da
parte del criminale di guerra Lehnigk- Emden durante la seconda guerra mondiale in base al diritto tedesco sia un reato prescritto, mentre l’atto di un giovane comunista, che – anche nel caso in
cui egli l’abbia davvero commesso – deve essere spiegato con la situazione dell’epoca, prossima alla guerra civile, ancora dopo 64 anni viene perseguito e la pena implacabilmente comminata”.
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La VOCE ANNO XVI N°4
Erich HONECKER "Appunti dal carcere"
Prezzo di copertina: euro 8,00
Prefazione di Margot HONECKER
Introduzione di Alessio ARENA
Gli avvenimenti del 1989, che condussero alla caduta del
Muro di Berlino e alla fine delle esperienze socialiste
nell’Europa orientale, sono spesso oggetto di attenzione e
rivisitazioni ad opera dei media. Di quei fatti viene proposta
un’immagine mitica e stereotipata: quella della vittoria della
libertà e della democrazia sul totalitarismo e del crollo
ineluttabile di un modello economico fallimentare. La politica
del presidente sovietico Gorbacëv viene descritta come
l’estremo, disperato tentativo di salvare ciò che non poteva
essere salvato, di democratizzare un regime intrinsecamente
incompatibile con la libert&agre;.
In queste pagine redatte in carcere tra il 1992 e il 1993 e
ultimate durante il breve periodo di esilio in Cile prima della
morte, Erich Honecker propone una lettura assai diversa degli
eventi.
Con franchezza e lucidità, esse ripercorrono gli eventi che
condussero all’annessione della Germania orientale socialista
alla Repubblica Federale guidata da Helmut Kohl, rivalutando
anche il ruolo svolto dalla dirigenza sovietica e da Gorbacëv,
vero e proprio demolitore consapevole e volontario del
socialismo reale. La riflessione sui fatti offre a Honecker
l’occasione per rivendicare i successi del “primo Stato socialista
sorto sul suolo tedesco”, trarre un bilancio di quell’esperienza e
proporre spunti di analisi per comprenderne i limiti e le
carenze. Un documento fondamentale – proposto per la prima
volta al pubblico italiano e introdotto da uno scritto di Margot
Honecker – per comprendere meglio la recente storia d’Europa
e del mondo e per preparare più consapevolmente il socialismo
del XXI secolo.
Erich Honecker (1912-1994) milita sin da giovane nelle fila
del Partito Comunista di Germania (KPD). Condannato nel
1937 a dieci anni di reclusione per la sua attività di resistenza
al nazismo, riesce a evadere dal carcere solo due mesi prima
della fine della II Guerra Mondiale. Dirigente del Partito
Socialista Unificato di Germania (SED), la formazione politica
egemone nella Repubblica Democratica Tedesca, viene
nominato segretario generale del Partito nel 1971 e, due anni
dopo, Presidente del Consiglio di Stato. Costretto alle
dimissioni ed espulso dal Partito nel 1989 per la sua
opposizione alla “svolta” gorbacioviana, viene incarcerato e
processato dalle autorità della Repubblica Federale di Germania
nel 1992, in seguito all’annessione della RDT. Nel corso del
processo pronuncia un accorato discorso di autodifesa,
smascherando il carattere politico del procedimento. A seguito
dell’interruzione del giudizio, motivata dal suo grave stato di
salute, espatria in Cile, dove muore alcuni mesi dopo.
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Kosovo, flashback : due illuminanti articoli di Jürgen Elsässer
risalenti al 2004
FreiTag, 26.1 1 .2004
Il nostro uomo, un guerriero
di Dio
Un informatore del BND era tra quelli che hanno tirato i fili
del pogrom antiserbo in Kosov o
di Jürgen Elsässer
Il 1 7 e 1 8 marzo del 2004 si è v erificato in Kosov o un
pogrom in piena regola contro i serbi ed altri non-albanesi, la
peggiore esplosione di v iolenza av v enuta dalla fine della
guerra nell’estate del 1 999. Ci sono state 1 9 persone uccise
(in un primo momento si parlav a perfino di 31 v ittime) e
circa 1 000 feriti, oltre a 30 monasteri/chiese ortodosse e 500
case serbe demolite, e 4500 non-albanesi cacciati v ia.
dicembre 2013
PAGINA 4 - 24
junge Welt (Berlino), 24.11.2004
La scorsa settimana sul notiziario ZDF-Heute [della seconda
rete telev isiv a tedesca, ndT] un agente al soldo dei serv izi
segreti tedeschi (BND) ha ammesso di essere stato tra i
principali artefici dell’”incendio” di marzo [2004]. Si tratta di
Samedin Xhezairi che nell’esercito clandestino albanese UCK
operav a con il nome di battaglia “comandante Hodza”.
L’uomo ha combattuto nel 1 999 nella 1 7 1 .brigata dell’
UCK contro i serbi. Dopo che questa guerra del 1 999 con
l’aiuto della NATO è stata v inta, Xhezairi ha passato la
frontiera ed ha preso parte nella primav era del 2001 alla 1 1
2. brigata nell’insurrezione dell’UCK in Macedonia. Lì ha
comandato un’unità composta da altri stranieri, guerrieri di
Dio, nella regione di Tetov o. Quando nel giugno 2001
quest’unità è stata accerchiata dall’esercito macedone v icino
ad Aracinov o, l’esercito degli USA l’ha sciolta. Con Xhezairi e
i suoi mudjaheddin si sono salv ati altri 1 7 consiglieri militari
statunitensi.
Xhezairi – come mostrano i documenti della NATO resi
pubblici dalla ZDF - attualmente è coordinatore di una rete
segreta composta da appartenenti del formalmente sciolto
UCK che oggi operano nel Corpo di Protezione del Kosov o e
nella Polizia kosov ara, dunque nelle organizzazioni
riconosciute dalla amministrazione ONU (UNMIK) e dalle
truppe d’occupazione dirette dalla NATO (KFOR). Mediante
questa rete è stato sobillato il pogrom di marzo. Xhezairi
stesso ha dato ordini ai terroristi a Prizren e Urosev ac. Ma la
NATO sospetta allo stesso tempo che egli abbia buoni
contatti con AlQaida e con Hezbollah.
Anche se le forze mercenarie di Pullach [sede del BND, ndT]
av rebbero agito nella sommossa antiserba senza consultarsi
con i loro mandanti, rimane però un’altra accusa, confermata
da tre testimoni. Il BND av rebbe sorv egliato le conv
ersazioni telefoniche dell’uomo e perciò prima del pogrom era
a conoscenza del progetto. Perchè da Pullach non hanno
informato le truppe di protezione della KFOR in Kosov o o
almeno il contingente delle forze armate tedesche stanziato lì?
Forse perchè al gov erno federale tedesco sta bene se i serbi v
engono cacciati v ia e il nodo kosov aro si può così
finalmente sciogliere, senza proteste da parte di minoranze
noiose, alla v ecchia maniera tedesca – “la Serbia dev e
morire“ [nell’originale:“Serbien muß sterbien” - lo slogan in
rima forzata che indicav a l’intenzione delle forze occupanti
austriache e tedesche nei confronti della Serbia nella Prima e
nella Seconda Guerra Mondiale, ndT]. Il ministro della difesa
Peter Struck si è già più v olte espresso per una “soluzione
della questione dello status”, come se lo status della Prov
incia [di Kosov o e Metohija] nella Risoluzione ONU 1 244
non fosse già del tutto chiarito – lì è attestata palesemente la
sua appartenenza alla Serbia-Montenegro secondo il diritto
internazionale. L’amico di partito di Struck, il presidente del
SPD Franz Müntefering, a fine agosto 2004 ha preso
posizione molto esplicitamente “che il Kosov o è in grado di
essere uno Stato indipendente”. Anche la attiv ista per la
politica estera della SPD Uta Zapf si è subito entusiasmata
sulla questione dell’”indipendenza kosov ara”: “Un tale Stato
sov rano sarà poi incorporato nelle strutture europee”. La più
insolente proposta è v enuta dalla FDP che ha caldeggiato
l’annessione del Kosov o alla UE. Il territorio dov rebbe
essere ceduto all’”Europa” come “amministrazione fiduciaria”,
è scritto nella proposta che il deputato FDP Rainer Stinner ha
lanciato nell’aprile 2004. “La sov ranità del Kosov o
passerebbe poi all’Europa”. Stinner ha detto alla redazione del
portale internet german-foreign-policy.com che dopo
l’annessione “un capo europeo si occuperà della politica estera
e di difesa” del Kosov o. Questo lav oro potrebbe forse farlo
l’eterno traffichino Guido Westerw elle. O forse si dov rebbe
lasciare la piccola repubblichetta musulmana sotto la
protezione della nuov a nazione membro dell’UE, la Turchia?
Le proposte sono tante. Il fatto però è che i serbi danno
ancora fastidio. Ma per questo abbiamo gente come Xhezairi.
Agenti con il passaporto
diplomatico
Il servizio segreto tedesco e la distruzione della Jugoslavia (II).
Le guerre in Bosnia e in Kosovo
di Jürgen Elsässer
Nella guerra fratricida bosniaca dal 1992 fino al 1995 i servizi
segreti tedeschi (BND) hanno appoggiato i croati e i musulmani
che strapparono la Repubblica federata di Bosnia dalla
Jugoslavia per fondare un proprio Stato.
La trasmissione della rete ARD “Monitor” ha riferito nel
febbraio 1997 che il servizio segreto tedesco ha fornito dal
1992 "almeno cinque“ convogli di munizioni camuffati da aiuto
umanitario all’enclave occidentale di Bihac.
Responsabile ne era peraltro il capo di tutto lo spionaggio del
sud-est dei servizi segreti tedeschi, un impiegato di nome
Smidt, pseudonimo Sandmann. Il Referat 12 D a lui
sottoposto dirigeva tutti gli agenti nei Balcani. Alcuni di loro
avrebbero usato la loro posizione come collaboratori della
missione di osservatori dell’UE nei territori in crisi (European
Community Monitoring Commission – ECMC) dal 1991 per lo
spionaggio e per il contrabbando d’armi. Il capo tedesco della
delegazione della ECMC, Cristof von Bezold, in base ad una
testimonianza affidabile, avrebbe accompagnato personalmente
trasporti d’armi, i quali figuravano come fossero state delle
forniture di latte in polvere. La sua immunità diplomatica gli
garantiva per questo una illimitata libertà di muoversi. Il
Ministero degli Esteri ha confermato che Von Bezold ha
lavorato anche per i servizi segreti tedeschi, tuttavia ha
dichiarato che egli ha "ufficialmente garantito" di non aver
intrapreso altre attività al di fuori del suo contratto ufficiale con
l’ECMC. Anche Peter Strauss, collaboratore di Bezold presso la
ECMC a Zagabria, ha partecipato al contrabbando di soldi e
munizioni a favore di musulmani.
Mentre in Bosnia erano i servizi USA a condurre i giochi, il
dominio degli agenti tedeschi oltre alla Croazia [confrontare la
parte I di questa serie: http://it.groups.yahoo.com/group/crjmailinglist/message/4067 ] era soprattutto in Kosovo. Sotto il
titolo “How Germany back ed KLA” – “Come la Germania ha
appoggiato l’UCK” (KLA – Kosovo Liberation Army – è il
sinonimo per l’UCK nei media in lingua inglese) il settimanale
inglese The European presentava un’indagine a fine settembre
1998. Lì si affermava che i servizi segreti civili e militari erano
coinvolti nell’addestramento e nell’armamento dei ribelli per
cementare l’influenza tedesca nei Balcani e per tenere sotto
controllo il problema dei profughi. Per questo motivo si
sarebbe giunti “ad una seria rottura tra il BND e la CIA”, si
diceva facendo riferimento a diplomatici francesi. Il giornale ha
poi scritto: “La formazione dell’UCK nel 1996 coincise con la
nomina di Hansjoerg Geiger come nuovo capo del BND.
Una delle sue prime decisioni operative è stata l’istituzione di
una tra le più grandi rappresentanze regionali del BND a Tirana
(...). Agenti BND lavoravano strettamente con i capi dello Shik,
i servizi segreti albanesi (...).
Uomini del BND avevano il compito di trovare reclute per la
struttura di comando dell’UCK." Una informazione simile è
stata riferita dalla ARD nella trasmissione “Monitor”: “Dal
1990 il governo federale cura buoni rapporti con i servizi segreti
albanesi. Equipaggiamento militare del valore di due milioni di
marchi tedeschi è stato mandato nelle zone albanesi in crisi. Le
forniture militari sono giunte in parte ai ribelli dell’UCK.” Un
collaboratore del servizio militare di protezione ha detto a
“Monitor” che l’azione è stata voluta “da molto in alto”. Bill
Foxton, capo dell’ufficio degli osservatori OSCE alla frontiera
tra l’Albania e il Kosovo, ha “scoperto per la prima volta a fine
giugno 1998 che l’UCK è improvvisamente in uniforme, e
precisamente in uniforme tedesca da campo. In sostanziale
continuità le accuse di parte serba, secondo cui l’addestramento
della guerriglia avrebbe avuto luogo anche sullo stesso territorio
tedesco.
[traduzioni di M. Jov anov ic Pisani, rev . di A.M. per CNJonlus]
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