PROLOGO Museo del Cairo, Egitto. Inaugurazione del museo. 20:00. Le urla squarciarono il silenzio della notte. Ajnis estrasse la pistola puntandola verso un folto gruppo di turisti che correvano a destra e a manca. <<Bloccateli!>> ordinò alle guardie armate che sorvegliavano l’ingresso della sala 22 al secondo piano del museo. Ajnis si mosse verso l’interno della sala tenendo la pistola ben stretta tra le mani e la testa bassa per puntare attraverso il mirino. Quella pistola gli era stata data quando fu ingaggiato dalla polizia egiziana del Cairo dopo anni di servizio nel corpo militare di Luxor. Adesso non era in servizio, ma la pistola l’aveva ugualmente. “Affari segreti del governo” si diceva mentre percorreva l’ingresso della sala, cercando di ritenersi fortunato, cercando di pensare che quello che stava per trovare non era reale, non poteva essere reale. “Sono implicato in segreti affari di governo”. Le guardie armate avevano bloccato i turisti che si erano trovati sulla scena del reato e cercavano di recingere quelli che, attratti e incuriositi dalle urla, si accalcavano sbirciando davanti l’ingresso della sala e lungo tutto il corridoio. -1- Ajnis passò lento e silenzioso accanto alla statua di Anubi, Dio e giudice dei morti, dalla testa di sciacallo. Un brivido lo percorse passando accanto a quella statua. La gamba sinistra in avanti, il busto ben equilibrato e robusto tipico dei modelli idealizzati greci, la mano destra avanzata a sorreggere un lungo bastone in oro 18 carati; la statua del dio sembrava volergli impedire l’accesso con quei suoi occhi enigmatici e colore della pece. Si sentiva già abbastanza agitato per quello che si aspettava di trovare, per il fatto che reggeva quella pistola che non usava più da molto tempo; e si sentiva tremare quasi le gambe a dover passare accanto al giudice dei morti, quando magari, da un momento all’altro, ne avrebbe trovato uno… Improvvisamente Ajnis si bloccò e le braccia gli caddero lungo il corpo, inerti. Sapeva che poteva succedere, ma adesso non credeva ai suoi occhi, era una scena agghiacciante ed era ancora più agghiacciante il fatto che altre persone l’avessero visto. Ripose la pistola e uscì correndo dalla sala. I turisti bloccavano l’ingresso; non sarebbe stato facile fare più in fretta possibile. <<Non fate entrare nessuno. Che nessuno veda>> gridò alle guardie che bloccavano l’ingresso da ambo i lati della sala 22, mentre si buttava tra la folla. Sentì pesante il suo stesso passo che ad ogni gran falcata gli spingeva le vesti su e giù lungo la pelle del collo e delle braccia. -2- Estrasse nuovamente la pistola e allora sì che si aprirono le acque: la folla gli lasciò una lunga, larga via che si apriva verso il corridoio che portava a tutte le alee della parte sinistra dell’edificio. Percorse il freddo corridoio mentre altri turisti si accasciavano contro le pareti alla vista della sua pistola che teneva ancora in mano. Un rivolo di sudore freddo gli imperlò leggermente la fronte mentre il sangue che gli fluiva sempre più velocemente al cervello gli procurava strani mancamenti di visuale. Girò l’angolo e prese le scale saltando più gradini che poteva; sotto di lui vedeva parte della sala 42 dove turisti francesi ammiravano la pala votiva di Narmer (3100 ca. a.C.), proveniente da Hieraconpolis, realizzata per celebrare l'unificazione del Basso e dell'Alto Egitto. Finalmente il primo piano si aprì davanti ai suoi occhi: la sala centrale, e le alee destre e sinistre. Ajnis si tuffò attraverso un gruppo di turisti giapponesi e si trovò a correre nell’immensa sala d’ingresso. Il museo era stato inaugurato quella sera dopo un lungo periodo di ricostruzione di una parte dell’edificio dovuta ad un crollo. Non c’era modo migliore per compiere un simile delitto in pubblico. Un’opportunità da non lasciarsi scappare per mettere in cattiva luce il governo e il suo modo di sbrigare le faccende. -3- Ajnis sapeva che il governo taceva su certe notizie per soli motivi di lucro, ma dubitava che non pensasse anche solo minimamente al suo popolo. Gran parte del paese aveva bisogno di soldi per sfamare la popolazione e proteggere le opere d’arte. In effetti tutto si collegava al turismo. Ajnis correva, correva a più non posso, mentre il sudore gli imperlava il viso, e tutti si stupivano nel vederlo così affannato, pensavano a chissà quale cosa fosse potuta accadere. Già in fondo alla gigantesca sala vedeva la statua di Amenofi III e sua moglie Ty. All’ingresso, finalmente, vide Gamal El-Asmar capo del governo e proprietario del Museo Egizio del Cairo. C’erano persone importanti, alcune che Ajnis non conosceva, erano tutti in smoking e alcuni anche in morbidi abiti drappeggianti con turbanti, cappucci e scialli che mantengono fresco il corpo e proteggono il capo dalla sabbia. Tipici abiti dei nomadi e dei cammellieri. El-Asmar lo vide correre affannato verso di lui e il sorriso sparì dal suo volto. Era un uomo dalle spalle larghe, basso e tarchiato. Ajnis afferrò il capo del governo per le braccia respirando a pieni polmoni. -4- <<È successo, signore>> disse tra un sospiro e l’altro <<è successo>> ripeté come se una volta non fosse sufficiente. El-Asmar esitò qualche momento come se quello che aveva appena sentito, che aveva pensato appena aveva visto Ajnis correre verso di lui, fosse solo fantasia, uno scherzo dell’immaginazione, un brutto pensiero. Il bicchiere di champagne che stringeva tra le mani prese a tremare. <<Ci sono testimoni?>> <<Li ho fatti accerchiare>> Il capo del governo tremò convulsamente e il bicchiere gli cadde infrangendosi al suolo e rovesciando il liquido. I cocci si sparsero così fragorosamente che solo allora Ajnis si accorse che nella sala era calato un afoso silenzio. Gamal El-Asmar aveva spalancato gli occhi, mentre le eleganti persone che lo circondavano in un ampio semicerchio, sconoscendo la lingua, restavano impassibili in ascolto delle sillabe per loro senza alcun nesso. Un rumore assordante piombò come un avvoltoio sulla sua preda con le zanne delle zampe ben aperte e spalancate sulle alee del museo. Ajnis adesso sentiva le urla anche da lì. Dovevano agire in fretta. -5- 1 Plaza de Toros Monumental, Madrid. Maria D’Aragona stava seduta sull’ala destra dell’arena della Plaza de Toros, con le gambe accavallate e il viso sorretto dalle mani; il bloc-notes aperto sul ventre e una penna nella mano sinistra. Maria era un’apprendista archeologa italiana. Aveva lunghi capelli dorati a boccoli qua e là su una spalla rilucenti al calore del sole mattutino e molleggianti alla fresca brezza aspra sapor mandarino, occhi castani e una bella pelle abbronzata tipica dell’Italia del sud. L’avevano chiamata in Spagna per recuperare un’antica scultura appartenente al periodo della fondazione di Roma, che il governo italiano voleva assolutamente vantare in uno dei suoi musei nazionali. La statua l’aveva recuperata e spedita, ma lei aveva preferito restare in Spagna ancora per qualche periodo: a convincerla il fatto che le avevano offerto un piccolo lavoro ben pagato. Il capo di una rete televisiva spagnola le aveva chiesto di stilare un breve resoconto delle tradizioni spagnole, in modo positivo ovviamente, che poi sarebbe stato trascritto sul Bodegón, giornale scientifico specializzato nel risolvere i misteri -7- di tutto il mondo, e sul quale si sarebbe dovuto fare un articolo giornalistico per un documentario spagnolo. Quel giorno si era convinta ad andare a vedere la corrida, cosa che non aveva mai fatto e non avrebbe mai voluto fare se non per una ragione precisa: esprimere più adeguatamente tutto il disprezzo che provava per quelle futili prove di forza contro animali innocenti. Maria si era però documentata con scrupolosità sull’argomento. Prese il bloc-notes e cominciò a scrivere, tralasciando per il momento gli aspetti più sgradevoli: “La corrida moderna nacque nel XVIII secolo nella regione meridionale della Spagna chiamata Andalusia. Madrid e Siviglia sono considerate i centri principali della corrida in Spagna…” Fissò l’arena: il toro scorrazzava avanti e indietro il velo rosso del Caballeros senza tregua, senza sosta, innalzando lievi grovigli si sabbia che poi a mo’ di velo semitrasparente si ricongiungeva con il suolo sabbioso. Poi un suono basso e prolungato le incise i timpani interrompendo il suo pensiero che già si stava perdendo tra nuvole cotonate d’arancio e tiepido profumo di terra arsa. Prese di fretta la borsa ed estrasse il cellulare osservando il numero sullo schermo: chi la stava chiamando non era certo uno spagnolo o un italiano. Il prefisso era straniero. <<Pronto?>> chiese mentre una ola di persone scattavano dai loro posti esultando per il torero che era appena montato sulla groppa dell’animale dopo che questo l’aveva incornato. -8- <<Signorina D’Aragona?>> chiese una voce roca dall’altra parte dell’apparecchio <<abbiamo bisogno del suo aiuto>>. <<Chi è?>> <<È qualcuno che ha bisogno di essere salvato>> Maria non capiva cosa l’uomo le stesse dicendo: pensava che il sole cocente le avesse dato alla testa. <<Sono Ajnis, restauratore e proprietario della biblioteca nazionale del Museo del Cairo. La chiamo dall’Egitto>> aveva continuato Ajnis con la voce che cominciava a tremare. Maria non aveva mai avuto contatti con egiziani, tanto meno con persone importanti. <<Deve venire qui immediatamente. Mi sono permesso di prenotarle un volo per domani alle 16:00 all’aeroporto di Madrid-Barajas; è un diretto. Arriverà all’aeroporto del CairoHeliopolis per le 15:00>> <<Cosa? Io non so nemmeno chi lei sia>> disse Maria alzando la voce per cercare di sovrastare le urla degli spettatori. <<So di prenderla alla sprovvista, ma la prego, la supplico di aiutarci>> <<Aiutare lei e chi altri?>> <<Il governo ha messo in grave pericolo la propria posizione. Se la cosa si venisse a sapere il turismo cesserebbe e la popolazione finirebbe nella più totale e completa povertà…>> -9- Ajnis cominciò a perdere fiato e capì che le sue chiacchiere erano inutili. Quella donna voleva sapere troppo, e per il momento non poteva rivelarle ogni cosa. Ormai però era la sua unica speranza di salvezza: meno persone sapevano e meglio era. Ormai le aveva detto troppo e non poteva tirarsi indietro. Maria esitò per qualche momento: non capiva se quello che l’egiziano le stava dicendo era reale o una presa in giro. <<E mi dica: come fa a sapere cosa fa o non fa il governo?>> chiese in tono sarcastico. <<Sono stato incastrato, ma la prego, la prego di credermi. Ormai non c’è più tempo. Potrebbero uccidermi da un momento all’altro!>> La sua voce era così ansante e affaticata che sembrava stesse correndo in quell’istante una corsa frenetica e senza sosta. Maria si sentì passare una scarica elettrica lungo tutta la colonna vertebrale: <<Chi la vuole uccidere?>> <<A circa 20 Km dalla città del Cairo inizia il deserto arabico>> disse Ajnis cercando di mantenere la calma <<Cerchi un cammelliere. Avrò cinque cammelli bianchi, per non destar sospetti. La prego si segni questi indirizzi>> <<Destare l’interruppe. sospetti? Cammelliere?>> ma già Ajnis <<La prego!>> disse quasi gridando. Poi cercò di controllarsi. L’ansia, la pressione e la soffocante aria pesante del suo respiro erano percepibili anche dall’altra parte del ricevitore del - 10 - telefono. <<La prego>> emise tremando per controllare l’irrequietezza. <<D’accordo>> sussurrò la donna mentre una signora alla sua destra girò il viso verso di lei con la bocca spalancata in un grido di sussulto, notando con ambiguità che Maria non stava esultando seguendo la folla. L’uomo dettò una serie di informazioni stradali, vie e indicazioni per trovare il posto. Poi Ajnis la salutò frettoloso augurandole di prendere la giusta decisione e staccò la conversazione. La donna fissò il cellulare mentre la chiamata terminava e il numero spariva dal display. Si alzò, mise carta e penna nella borsa, e uscì dalla Plaza de Toros. Adesso le urla erano lontane, anche se le rimbombavano leggermente nelle orecchie. Rilesse di nuovo il numero che l’aveva appena chiamata: Egitto! Doveva andare? L’Egitto era sempre stato la sua passione; era stata questa terra di faraoni, maledizioni e leggende a portarla sulla via dell’archeologia. “Ma sì” si disse “una scusa per fare un viaggio”. - 11 - 2 Maria stava seduta sul sedile posteriore del taxi che la stava portando alla sua residenza spagnola, con lo sguardo perso nel vuoto oltre il finestrino aperto per cercare di arieggiare l’interno. Fuori c’erano almeno trentacinque gradi e dentro i mezzi di trasporto non era certo meglio. Stava ancora pensando a quella chiamata: Ajnis, restauratore e proprietario della Biblioteca Nazionale del Cairo aveva chiesto aiuto a lei. Aiuto per cosa? Aveva anche parlato di uccisioni. Domani sarebbe andata in aeroporto e lì avrebbe verificato se c’era davvero un volo prenotato a suo nome. Il taxi procedeva dritto per la strada fiancheggiata da alte palme mentre il tassista ascoltava musica spagnola a tutto volume. Dallo specchietto Maria intravide un altro taxi con a bordo un passeggero interamente nascosto da veli neri. Pareva un tipico uomo del deserto: copricapo, lunga tunica, velo su parte del volto; a distinguerlo, due singolari disegni realizzati con inchiostro nero, sotto gli occhi. I disegni erano uguali e uno opposto all’altro; rappresentavano due avvoltoi con le ali piegate verso il basso, il corpo frontale e il volto di profilo. Si capiva a colpo d’occhio che era un simbolo egizio. - 12 - Maria riconobbe quel simbolo: era il disegno, in nero, del pettorale egizio proveniente dalla tomba del faraone Tutankhamon della XVIII dinastia. L’uomo alzò gli occhi verso di lei, e Maria tornò subito a concentrarsi sulla telefonata. Il taxi svoltò verso una stradella asfaltata e penetrò all’interno di un grosso portone: Avila. La città della Spagna centrale, capoluogo della provincia omonima, compresa nella regione di Castiglia-León; a nordovest di Madrid. Il taxi percorse strette vie e viottoli, tipici in quelle città medievali, e si fermò sotto un grande edificio: il Castello Fuerte Ventura. Il castello era stato costruito circa un secolo prima da un nobile spagnolo e adesso era proprietà di Pedro Los Agnos, che aveva ospitato Maria. Pedro offriva soggiorno ad archeologi di tutto il mondo, infatti il suo castello era conosciuto da molti come La Casa de lo buscadores. Maria scese e pagò il tassista. Mentre stava per entrare, vide che l’altro taxi era dietro di lei e posteggiava per fare scendere l’egiziano. Doveva essere un archeologo anche lui. - 13 - Il castello era immenso: arazzi dovunque, poltrone e mobili antichi, candelabri a corrente, lampadari enormi e finestre larghe e circondate da tendaggi vellutati. Maria prese a salire lungo una lussuosa rampa di scale in mogano in direzione del terzo piano dove c’era la sua camera. Sentì chiudersi il portone e capì che l’egiziano era dentro l’edificio, ma prima di quando se l’aspettasse, egli prese a salire le scale a passo svelto. La donna accelerò e al secondo piano svoltò l’angolo a destra entrando in un vicolo stretto con le porte delle camere ben distanziate ad almeno 12m l’una dall’altra. Era seguita? “Magari sono solo paranoica” si disse. Ma era certo una bizzarra coincidenza che poco dopo aver ricevuto una così strana telefonata dall’Egitto un uomo egiziano adesso sembrasse seguirla. Ma i passi andavano nella sua direzione; cominciò a correre fin quando, alla fine del corridoio, non intravide un’altra rampa di scale e scattò per il terzo piano. Non si guardò indietro, ma sapeva che quell’uomo la stava seguendo; ne era certa. La sua stanza era alla destra, così corse verso il salone dal quale partivano i vari corridoi che portavano alle stanze dell’ala ovest. - 14 - Improvvisamente sentì altri passi dall’angolo di fronte a lei ma ormai era troppo tardi e lei correva a velocità massima. Non poteva essere l’egiziano perché un attimo prima era dietro di lei. Come aveva fatto a precederla? Urtò contro l’uomo e per la paura emise un grido soffocato. <<Marì!>> si spaventò l’uomo dinanzi a lei. Maria alzò lo sguardo: le stava davanti Michelangelo. Michelangelo era un uomo scuro e rugoso. Poteva avere sì e no sessant’anni; aveva baffi e un lungo pizzetto neri ed era avvolto, da capo a piedi, da una tunica bianca che si fermava alle caviglie lasciando intravedere due piccole scarpe dalla punta arrotondata verso l’alto. Michelangelo era il fratello adottivo di sua madre e l’aveva sempre viziata e coccolata. Era un archeologo professionista oltre ad essere un esperto di scrittura antica. Maria viaggiava con suo zio ormai da sette anni. Prima, secondo lo zio, era ancora una ragazzina per occuparsi di archeologia; e poi viaggiando in continuazione finiva, come lui, a non trovare amici stabili. Lo zio era stato in tutto il mondo tranne che negli Stati Uniti, in Kazakistan, Ucraina, Gabon e in Antartide; ma le sue mete preferite rimanevano l’Egitto e la Tunisia (la sua terra d’origine). Michelangelo aveva insegnato a Maria tutto quello che c’era da sapere sull’Egitto, i geroglifici, la religione e la cultura egizia. Forse era anche per questo che Maria amava l’Egitto più di - 15 - qualunque altra terra. Lo zio l’aveva solo spronata a perseguire il suo sogno. Maria sperava che tra tutti i viaggi dello zio, ci fosse pure quella meta e così l’aveva seguito diventando la sua ombra e allieva. Ma da quando viaggiava con Michelangelo, non aveva mai visto le piramidi, la sfinge, il deserto… l’Egitto! Però con questa scusa si era fatta piacere il mestiere di archeologa diventandolo a sua volta. Anche se a volte pensava che forse non avrebbe mai messo piede nella terra dei faraoni, era felice di quella vita, perché aveva visitato posti che altri non hanno mai visto e sapeva cose sconosciute a molti. Maria si guardò alle spalle, ma l’egiziano non c’era. <<Come è stata la corrida?>>chiese Michelangelo. <<Oh… Stupenda. Perché non vai a vedertela qualche giorno con gli amici?>> rispose lei ancora voltandosi a destra e a manca, priva dell’interesse necessario per la conversazione. Michelangelo rise: <<Ci sono già stato. Vai a pranzo prima che sir Los Agnos faccia chiudere il ristorante>> e proseguì in direzione della sua stanza. Maria stava per fermarlo per dirgli della telefonata, quando si bloccò, temendo che l’uomo egiziano del taxi potesse essere nei paraggi, e proseguì per la sala da pranzo pregustando le raffinate cibarie dei cuochi spagnoli di Pedro Los Agnos. - 16 - Ma voltato l’angolo per il primo piano, dove c’era l’enorme salone da pranzo, Maria non si accorse che un volto era affiorato nascosto dietro di lei. Era un volto scuro, con due occhi castani vividi e guizzanti su quel tutto che lo circondava, e due avvoltoi neri come la pece che parevano voler volar via dall’inchiostro sul suo volto. Sul mento la barba incolta gli creava piccole ombreggiature accentuando il chiaroscuro della sua pelle abbastanza chiara del basso Egitto. L’uomo di nome Samir, si abbassò il velo dal viso e si portò il telefono all’orecchio. Qualcuno gli rispose. Parlavano in egiziano. <<L’ho trovata>> disse Samir. <<Bene>> gli rispose la voce dall’altra parte del telefono <<non lasciartela scappare>>. - 17 - 3 Samir era solo un bambino quando seppe il suo compito, e affrontò il suo passato. La sua vita di adolescente non fu semplice: tra prove per la sua fede, coraggio e lealtà verso la Regina non si era mai creato una sua vita, degli amici, una famiglia. Il suo unico scopo, come gli altri suoi compagni, era proteggere il Faraone come aveva ordinato la Regina. Era sempre vissuto in completa solitudine, lontano dal mondo, dalle persone, dalla sua famiglia, se ne aveva una. Ma dopo anni d’insegnamento e sacrifici, aveva perso di vista che il mondo esterno potesse accoglierlo; gli importava solo della sua missione, come gli era sempre stato insegnato. E avrebbe rischiato la vita pur di portare a compimento il suo dovere. Erano rimasti in pochi fedeli all’Ordine: una ragione in più per fare il proprio lavoro al 200%! Ora mentre era appiattito alla parete con il ricevitore all’orecchio e ben attento a non farsi scoprire, ascoltava l’altro uomo al telefono e gli pareva di sentire in sottofondo, il soffio del vento del deserto. Il deserto dove era vissuto. Dove aveva passato gran parte della sua vita, forse tutta la sua esistenza. - 18 - E sentiva che gli mancava quel suono, quel vento, il caldo afoso. Non l’avrebbe mai detto, ma gli mancava la sua terra. <<Sa qualcosa?>> chiese l’uomo dall’altra parte del telefono. <<Ha ricevuto una telefonata questa mattina alla Plaza de Toros, ma non ha citato niente e nessuno al suo tutore>> rispose Samir preoccupato di aver parlato troppo. <<Non è che si è accorta di te?>> chiese convincente l’uomo. In effetti Samir non era riuscito a trattenersi; doveva imparare a mettere da parte la sua ambizione e procedere con calma per non rischiare di compromettere il piano. Aveva detto al suo taxi di seguire quello sul quale era salita Maria e arrivati al Castello aveva esagerato correndole dietro per le scale. Samir rimase in silenzio “Chi tace, acconsente”. <<Vedi-di-non-commettere-errori>> aveva scandito lentamente l’uomo cogliendo il silenzio tra lui e Samir. Dopo poco il telefono si staccò e Samir sentì svanire, insieme alla brezza sabbiosa, una parte di se stesso. Era stato mandato in missione; era stato scelto. Voleva dire che si fidavano di lui, che si aspettavano portasse a compimento il lavoro di una vita, di molte vite, più di quelle che Samir stesso riusciva a immaginare. E adesso, mentre guardava la donna italiana sparire giù dalle scale, capiva che era la missione che aspettava da tutta la vita, - 19 - che il suo nome sarebbe rimasto come una impronta indelebile, che avrebbe reso onore ai suoi antenati, che avrebbe risanato le ferite di una terra, e avrebbe ripagato tutte le sue sofferenze. Tutto quello che aveva passato, sofferto, odiato, faticato, subito, patito fino allo stremo, pareva adesso lontano; un ricordo lontano che non sembrava più così angoscioso. - 20 - 4 <<El vuelo en llegada de Roma ha padecido un retraso de treinta minutos. The upcoming flight from Rome has suffered a delay of thirty minutes. Il volo in arrivo da Roma ha subito un ritardo di trenta minuti>> ripeteva una voce di donna dall’altoparlante dell’aeroporto di Madrid-Barajas. Michelangelo stava cercando di convincere un impiegato dietro lo sportello a farsi dare un biglietto per l’Egitto. Il volo era stato prenotato da Ajnis solo per una persona e a lui Maria non aveva pensato, anche per il fatto che la sua conversazione con Ajnis era durata pochi minuti. Quindi lo zio doveva pagarsi il viaggio di tasca sua. In quanto a Maria, stava appoggiata al carrello portabagagli ricolmo di valige e borsoni, persa in un opuscolo sui viaggi in Egitto che conservava da quando aveva intrapreso la carriera di archeologa e aveva seguito lo zio. Sapeva che forse non vi sarebbe andata per motivi archeologici, ma sperava che accumulando una piccola fortuna, avrebbe potuto farsi un viaggio di piacere. Sulle spalle sentiva il peso del suo zaino: un po’ come un’archeologa avventuriera. D’un tratto fu svegliata dai suoi pensieri da un uomo corpulento che le venne incontro sbattendole di fianco. - 21 - <<Me justificación>> fece l’uomo massaggiandosi il fianco accanto alle tasche del pantalone, e sparì tra la folla. Maria prese convulsamente a cercare i suoi biglietti per il viaggio che teneva in tasca, quelli che Ajnis le aveva prenotato e fatto trovare all’aeroporto, ma non c’erano. Erano spariti. Maria conosceva il trucco: avevano cercato di derubarla decine di volte quando con Michelangelo era andata in Costa d’Avorio per poi proseguire in Mali e in Niger. Un mese in Africa, il più pericoloso che avesse trascorso fuori d’Europa. Abbandonò il carrello, tanto era vicino a suo zio, anche se probabilmente questi non si era accorto praticamente di niente, intento a gridare al ragazzo per il suo biglietto, e partì all’inseguimento dell’uomo. Probabilmente si era infilato i biglietti nella tasca dei pantaloni quando aveva finto di massaggiarsi il fianco. L’aeroporto era affollato e si faceva fatica a camminare, soprattutto a correre all’inseguimento di un ladro. Ma di sicuro l’uomo che l’aveva derubata era molto più robusto di lei e quindi faceva molta più fatica. L’uomo si accorse di lei e cominciò a dirigersi verso l’uscita. Maria non si preoccupava di spingere e farsi spazio tra la persone, e a un certo punto le parve perfino di urtare contro un uomo alto e coperto da veli neri; i due avvoltoi ben distinti sul volto. Non se ne curò perché il suo futuro era in quel biglietto che stava per fuggire dall’uscita dell’aeroporto. - 22 - Il ladro era certo più impacciato e affaticato di lei, ma certamente più vicino all’uscita. Maria poteva non farcela. Si accasciò alla parete accanto a una cassa di vetro contenente un’ascia per la sicurezza pubblica, si fasciò il gomito con la giacca e colpì forte sul vetro. La cabina si ruppe e i cocci le caddero addosso. Una sirena insopportabilmente acuta prese a suonare e tutte le porte si sigillarono. Aveva sentito alla televisione che recentemente in Spagna, Francia e Inghilterra avevano istallato un programma di sicurezza pubblica contro il terrorismo, quindi era molto facile far scattare un allarme anche inconsapevolmente. L’edificio restò nel buio quasi completo, adesso che porte e finestre erano completamente oscurate e tappate, se non fosse stato per le luci rosse istallate ovunque all’interno della struttura. Le persone erano tutte piegate in due per schiacciarsi le mani contro le orecchie e qualcuno era disteso in terra come se ci fossero persone armate. Il ladro si era appena scontrato contro la pesante saracinesca che aveva chiuso l’ingresso e si era voltato preoccupato. Maria gli corse incontro ma, prima ancora che lo raggiungesse, l’uomo aveva già preso i biglietti dalla tasca dei pantaloni e li aveva lasciati in terra fuggendo alla rinfusa. Di certo non voleva essere accusato per una sciocchezza e finire in prigione. - 23 - Maria recuperò i biglietti e tornò al carrello come se nulla fosse successo e ignorando completamente il fastidioso strillo acuto dell’allarme. La cosa si risolse in quindici minuti: arrivò la polizia, chiese perché era scattato l’allarme e, appurato che era stato uno scherzo di poco gusto, lasciò l’edificio. L’orario era perfetto per imbarcarsi, così Maria non si era annoiata durante il tempo che la separava dal suo volo per l’Egitto. <<Non posso lasciarti sola un momento>> aveva affermato Michelangelo, sistemandosi il copricapo che gli era scivolato mentre si accasciava sul pavimento al suono dell’allarme. Il volo arrivò verso le 16:30 e appena tutti furono a bordo, l’aereo partì per le 17:00. Non era certo il suo primo volo, anzi, aveva perso il conto di quanti voli avesse fatto: per andare a Mosca, in Costa d’Avorio, in Turchia, in India, in Francia e in Spagna dalla quale adesso si allontanava… a malincuore. Aveva chiamato il redattore del giornale che voleva il suo articolo, e lui l’aveva talmente supplicata, che alla fine Maria gli aveva promesso che l’avrebbe stilato e l’avrebbe spedito da qualunque parte del mondo non appena l’avesse terminato. - 24 - Maria ricordava il suo primo volo: lo zio era stato chiamato in India per fornire il suo aiuto negli scavi di Ellora. Nella città indiana di Ellora si trova un complesso di templi rupestri scavati nella roccia tra il V e il XIII secolo. Maria l’aveva seguito e d’allora non era più tornata alla solita, monotona vita. Ricordò che per l’eccitazione del primo viaggio, aveva fatto una serie di ricerche sull’India, su Ellora e anche sugli aerei, visto che non ne aveva mai preso uno in vita sua; e mentre volavano sopra l’Iran stava assillando lo zio con le sue scoperte: <<In base a un'analisi delle statistiche riguardanti gli incidenti aerei, si è potuto stabilire che nella maggior parte dei casi i disastri aerei hanno cause precise, molto spesso prevedibili o evitabili: tra queste, un cattivo funzionamento della strumentazione di volo o del velivolo; difficoltà operative; attentati terroristici. Non mancano tuttavia le fatalità, come possono essere i fulmini, l'impatto con un uccello in volo o un malore improvviso del pilota. Le fasi più pericolose del volo sono quelle in cui l'aereo si trova in prossimità del suolo, durante il decollo e l'atterraggio>> diceva mentre Michelangelo, che non aveva mai sofferto di aereo, cominciava ad assumere un colorito verdognolo sul volto. Il peggio era venuto quando Maria si era ritrovata sola per il ritiro dei bagagli, perché lo zio era chiuso a chiave in bagno (non accennò ad uscire per almeno una mezz’ora) e lei doveva recuperare tutti i suoi bagagli e quelli della zio, che nel complesso non erano certo pochi e soprattutto non erano leggeri e alla sua portata. - 25 - Da allora Maria aveva notato che Michelangelo portava sempre con sè il solito libro della classificazione della piante, per cercare di distrarsi e soprattutto per non sentire le possibili cause d’incidenti di Maria. Il viaggio sembrò durare un’eternità: i sedili dopo un po’ risultavano scomodi, ed erano insopportabili per dormire; il corpo pareva aver perso la sensibilità, e i biscotti e i succhi che portavano le hostess non riempivano lo stomaco. Ma per le 21:00 erano già all’aeroporto del Cairo e l’emozione e l’eccitazione ricompensavano le fatiche passate. Maria e Michelangelo scesero dall’aereo e respirando l’afosa aria egiziana si sentirono a casa. Per Michelangelo era naturale, essendo della Tunisia quello era l’odore tipico del caldo, del deserto, della giornate trascorse a trainare cammelli sotto il magnifico, giovane sole che non conosce limiti. Ma Maria. Non era mai stata in Egitto, eppure l’amava così tanto, l’aveva sognato così tante volte, che forse era sempre stata egiziana. Una specie di vita passata. Sentiva, anzi sapeva di essere legata a quella terra. Tutti i passeggeri si diressero verso il nastro trasportatore per il ritiro dei bagagli e a turno c’era chi prendeva e chi aspettava che il proprio bagaglio arrivasse. Maria si era portata solo due valigie di vestiti, adatti al clima spagnolo, e una valigia contenente tutti i libri dei maggiori poeti della Spagna, ricevuti quando aveva consegnato la statua ritrovato nei suoi scavi, al - 26 - Museo del Prado di Madrid dove sarebbe stata riposta accanto al quadro del suo stesso artista. Le avevano regalato anche la borsa nella quale li portava con tanto di scritte in grassetto Spagna, Madrid, Museo del Prado. Michelangelo, come gran parte delle persone, aveva ritirato tutti i suoi bagagli e li aveva riposti sul carrello, ma lo zaino contenente i libri spagnoli di Maria non arrivava. <<Chiami questo numero e le darò il mio indirizzo per poter spedire la valigia>> aveva detto senza troppi giri di parole Maria ad un impiegato dietro la cassa, consegnandogli un cartellino dove era scritto il suo numero di cellulare insieme al suo grado di archeologa e vari servizi; un biglietto da visita, praticamente. Il resto dei bagagli erano sotto custodia dell’aeroporto che li avrebbe trasportati direttamente all’indirizzo dell’hotel che Michelangelo aveva prenotato. Ajnis l’aspettava là fuori e a lei, francamente, importava più l’Egitto che dei libri di poesia spagnola. Tanto gli sarebbero arrivati comunque, prima o poi. Uscirono di fretta dall’aeroporto e la città immersa nella notte e nel pieno della sua vita li accolse con le sue brezze al profumo di sabbia accaldata e spezie raffinate. Erano le 15:40 ora legale: in Spagna c’era il fuso orario di un’ora così come in Italia. - 27 - Nonostante le tenebre fossero ormai scese e avessero coperto silenziosamente la città, il Cairo si presentò agli occhi di Maria come un affollato mercato di profumi, spezie e tessuti pregiati che coloravano e adornavano ogni angolo e meandro della città. Uomini e donne in gruppi o soli, nei bar o nei mercatini in viuzze strette e affollate a cercare di vendere ogetti fatti a mano, a contrattare il prezzo, a mostrare le essenze e le erbe medicinali. In lontananza le luci verdastre di due torrioni di una grossa e cupolosa moschea seguite da una luminosa scia di fari di automobili e di finestrelle a doppie volte senza sportelli; tappeti appesi a penzolare senza vento adagiati alle sporche mura delle casupole; i lampioni che facevano cornice alle strade rispecchiavano i vecchi lampioni a lume di candela con la classica casseruola in vetro smerigliato e decorato finemente anche se la luce si spargeva pallida e rada a causa della sporca e permanente sabbia che li riempiva. Michelangelo la guidò verso la strada dove un taxi ferroso e arrugginito si fermò frenando all’istante e rombando rumorosamente. I due salirono e Maria diede le varie indicazioni che Ajnis le aveva dettato per telefono. Il tassista, in tunica e lunga sciarpa attorno al volto, partì a tutta forza agitando di tanto in tanto le dita sul volante quando il traffico si fermava o perché erano davanti ad un semaforo rosso o perché qualcuno voleva la precedenza. Molte auto passarono a luci spente: probabilmente per risparmiare le - 28 -