Le vie del passato Itinerari storici e archeologici nel Cantone Ticino Valle Leventina AAT Associazione Archeologica Ticinese UBC Ufficio Beni Culturali IVS Inventario delle vie di comunicazione storiche della Svizzera LA VALLE LEVENTINA: PASSAGGIO OBBLIGATO DELLA STORIA Nel panorama storico delle terre ticinesi nessuna vallata, forse, ha avuto tanto spazio nei testi come la Leventina: un po’ perché le sue vicende più antiche sono intimamente connesse con quelle del valico del S. Gottardo – simbolo della storia svizzera stessa – che la mette in contatto con il versante settentrionale delle Alpi, un po’ perché il suo destino politico ha prefigurato quello di altre terre subalpine, e infine perché personaggi, comunità ed eventi di questa regione hanno spesso avuto un ruolo decisivo anche al di fuori dei suoi confini distrettuali. È difficile insomma, parlare di storia politica, economica, artistica e religiosa senza citare il comune di valle leventinese, le sue istituzioni civili ed ecclesiastiche, lo sfruttamento esemplare delle risorse alpestri e l’organizzazione dei trasporti, le chiese e i loro tesori d’arte. Anche la Leventina come la confinante valle ambrosiana di Blenio che il primo di questi opuscoli ha fatto conoscere più da vicino, vanta una lunga, invidiabile tradizione scritta: i suoi archivi conservano centinaia di documenti che hanno consentito, nei decenni passati, una ricostruzione storica meticolosa e illuminante, e che permettono ancora oggi agli studiosi di ripercorrere le tappe più significative del suo cammino dal Duecento in poi. Segni ancora più antichi delle pergamene medievali sono quelli lasciati dalle popolazioni primitive nei luoghi dove la vita terrena si concludeva oppure dove quella ultraterrena veniva promessa, ed è grazie a tali tracce che si può cercare di immaginare il passato di questa regione alpina. Le tombe delle necropoli di Dalpe e di Madrano, i ritrovamenti sparsi in alcuni villaggi del fondovalle e dei terrazzi più elevati, e, di recente, gli scavi condotti nelle più antiche chiese parrocchiali hanno ridestato l’interesse della ricerca e riaperto interessanti prospettive storiche. Testimonianze, anche se frammentarie e incapaci di fornirci un quadro generale, sono state raccolte sull’occupazione del territorio in età preistoricha e nei secoli successivi, come suggeriscono gli oggetti recuperati dalle sepolture. Lo spazio per indagini ulteriori risulta comunque ampio: sembra difficile escludere che la valle possa celare altri insediamenti preistorici sulle terrazze solatíe del versante sinistro, o che taluni luoghi fortificati, presumibilmente medievali, non possano rivelare preesistenze remote. L’esempio di Airolo dovrebbe fugare ogni dubbio in proposito. Di questo insediamento situato ai piedi del San Gottardo ben poco si sapeva sino a poco tempo fa, e questa ignoranza era giustificata dalla distruzione, dovuta agli incendi, delle carte d’archivio. Le recenti indagini nella chiesa parrocchiale hanno rivelato che il primo edificio di culto risale ad epoche di molto precedenti l’agile campanile romanico, e le ipotesi sulla cristianizzazione dell’area alpina, ritenuta tardiva, vanno in buona parte riviste. Osiamo sperare che i futuri cantieri (non solo negli edifici sacri, ma pure negli insediamenti, lungo le vie di comunicazione e persino nelle frazioni più isolate) possano aggiungere altri tasselli a una conoscenza del passato che, pur arricchita da decenni di produzione storiografica, non è ancora in grado di rispondere a molte questioni. L’opuscolo che presentiamo vuole introdurci alla ricchezza delle testimonianze della storia e dell’arte, e tenta di soddisfare la varietà degli interessi di tutti coloro che vorranno percorrere questi itinerari con i mezzi più economici a disposizione, alla medesima stregua degli alpigiani e dei contadini che in questa valle sono vissuti nei secoli trascorsi. Al piacere dell’escursione e alla scoperta di paesaggi e di località poco conosciute, si sono volute aggiungere, con le opere già consacrate dalla letteratura specialistica, anche quelle costruzioni che bene incarnano la secolare capacità dell’uomo di stabilire collegamenti, di sfruttare le risorse locali e di adattarsi alle particolari condizioni di vita che la montagna imponeva. ITINERARIO 1 Il circuito percorre, a media quota, il versante destro della bassa Leventina ed interessa parte dell’accesso alla valle che anticamente si elevava da Iragna per collegarsi a Chironico. Percorso Dislivello Difficoltà Tempo di percorrenza Carta Punti di ristoro Accesso Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999 Bodio - Personico - Faidàl - Catto - Giornico 600 metri Nessuna 5 ore CN 1273 Biasca 1:25’000 Bodio, Personico, Giornico Con il postale da Bellinzona o Airolo; in auto parcheggi a Bodio sulla cantonale, all’altezza della deviazione per Personico, o nei pressi della stazione FFS Inizio Casa natale di Stefano Franscini L’escursione ha inizio a Bodio, a pochi passi dal posteggio e dalla fermata del postale. Nulla o quasi resta del passato medievale di Bodio, importante villaggio maltrattato dalla natura (una frana nel 1868 distrusse l’antica chiesa di Santo Stefano, già citata in un documento del 1227) e profondamente modificato dagli uomini già dalla fine del secolo scorso quando sul territorio di Bodio si impiantarono, attratte dalle infrastrutture e dalla disponibilità di energia elettrica, le prime industrie. È bene tuttavia ricordare, prima di lasciare Bodio, Stefano Franscini (1796-1857) di cui a Bodio sono ancora visibili la casa natale, la tomba e vari monumenti commemorativi. Franscini fu intelligente uomo politico, educatore, statistico, uomo di cultura che sempre ebbe un occhio attento alle vicende storiche del suo paese. Attraversata la strada cantonale si seguono le indicazioni escursionistiche per Personico e Faidàl lungo la strada asfaltata. A Personico, come a Bodio, la chiesa parrocchiale, dedicata ai santi milanesi Nazario e Celso, ha origini medievali, attestate non solamente dai documenti ma anche dagli scavi che nel 1978 hanno permesso di localizzare la prima chiesa romanica e di ipotizzare anche l’esistenza di una chiesa altomedievale. La chiesa odierna, edificata in gran parte nel XVIII secolo, il campanile neoromanico del 1878 e gli affreschi del 1876, apparentemente hanno cancellato questo lontano passato che tuttavia riecheggia ancora in alcune belle dimore rurali seicentesche e settecentesche, ancora intatte nel nucleo, e in altri piccoli ma tipici manufatti della civiltà rurale di queste vallate alpine. Nei pressi del ruscello che attraversa il paese vi è un grande torchio, datato 1803 ma forse antecedente, ancora in buone condizioni di conservazione; nella campagna, presso i grotti, verso lo sbocco del riale Rierna, sorse a metà Settecento una vetreria che sfruttava l’acqua, la sabbia, il quarzo e il legname della valle per produrre manufatti (lastre di vetro, specchi, bottiglie, bicchieri…) poi esportati in Lombardia e nella Svizzera interna. Degli edifici di questa fabbrica è oggi visibile, ai bordi della montagna, solo un’alta cappella, due pilastri isolati e dei mucchi di pietre poco leggibili, mentre nei macigni nel greto del torrente si scorgono ancora gli intagli su cui era ancorato il “rostello”, ossia la griglia che si utilizzava per fermare i legnami affidati alla corrente. La vetreria di Personico (assieme a quella di Lodrino che sorse nel 1782 per iniziativa della famiglia Siegwart, proprietaria della fabbrica leventinese) è uno dei più antichi e documentati esempi di utilizzazione delle risorse del territorio secondo una logica industriale. Ma in questo territorio vi sono due altre interessanti testimonianze di archeologia industriale: la Centrale Nuova Biaschina costruita tra il 1962 e il 1967 su progetto dello studio di ingegneria Lombardi di Locarno e soprattutto la Centrale Vecchia Biaschina, edificata nel 1911, la cui notevole facciata liberty fu progettata dall’architetto Ugo Monneret de Villard di Milano. Conclusa la visita di Personico, si ritorna sui propri passi e si imbocca la salita per Faidàl, seguendo le indicazioni escursionistiche. Lungo il sentiero che sale verso la montagna, arricchito con manufatti interessanti (cappelle votive, dipinti devozionali, due ponti in Bodio: bassorilievo di Stefano Franscini Personico: greto del torrente con gli intagli su cui era ancorato il “rostello” sasso seicenteschi), a distanze regolari si incontrano insediamenti rurali, con le tipiche cascine e stalle in pietra, oggi abitati saltuariamente, un tempo però, come nel caso di Venn e del bel nucleo di Faidàl, residenze stabili durante tutto l’anno. Questi edifici sono la testimonianza evidente di come l’uomo sfruttò anche queste terrazze glaciali sospese sui dirupi, tipiche della valle Riviera ma anche della prima parte della Leventina e sicuramente abitate fin dall’antichità; da segnalare proprio a Faidàl anche la minuscola cappella di San Rocco, con la campanella fusa dal maestro milanese Bartolomeo Bozzo nel 1747 e i suoi affreschi, quelli più recenti, assai ritoccati nel 1899 e forse dovuti alla mano del pittore Giuseppe Maria Busca di Personico (1696-1760?) del resto autore di altri dipinti, di gusto popolare, nella chiesa parrocchiale e negli oratori della regione. Da Faidàl si prende la mulattiera indicata che ci porta a Catto, toccando vari monti: Magianengo, Piodelle, Monda. Da Catto è d’obbligo una deviazione per visitare, in località Ponte in sasso presso Faidàl Caslasc, il “Castellazzo” ossia gli imponenti resti di una fortificazione già definita dal Rigolo, nel 1682, “Trofeo di Giulio Cesare imperatore Romano” e ricordati dagli studiosi contemporanei come “rovine preistoriche”, “castelliere celtico” e via dicendo. In realtà poco o nulla si sa di questa impressionante costruzione triangolare, la cui origine resterà misteriosa finché non la si studierà in relazione ad altri complessi megalitici dell’area alpina. Volendo si può utilizzare il sentiero che conduce a Caslasc quale variante per realizzare una più lunga escursione: in meno di un’ora si raggiunge Orsino e ci si collega con l’itinerario 2. Una volta visitate le rovine del Caslasc si ritorna a Catto da dove, seguendo sempre le indicazioni escursionistiche, si scende a Giornico lungo una mulattiera lastricata ed in parte intagliata nella roccia che porta al piano. Più domestica e comprensibile, anche se assai nobile, è la storia di Giornico (descrizione nell’itinerario 3), rustico borgo chiuso tra le montagne, ai piedi del primo scalino della Leventina, ben noto per i suoi insigni monumenti medievali. Qui ci limiteremo a ricordare le tre chiese site sulla sponda destra del fiume: quella romanica di Santa Maria del Castello, con i suoi affreschi gotici, arroccata sul promontorio difeso dal castello distrutto nel 1518 dagli svizzeri, e forse costruito tra il 1160 e il 1176 dal nobile Bernardo da Giornico; quella di San Nicolao che è il simbolo stesso e l’opera più significativa della cultura romanica nel Ticino; la parrocchiale di San Michele, attestata solamente nel 1210, ma probabilmente la più antica di tutte le chiese del paese. Rovine del “Caslàsc” Passati due ponti in sasso, si raggiunge la parte del borgo posta sul versante sinistro del Ticino dove si trovano la Casa Stanga, sede del Museo di Leventina, e la Torre di Attone. Terminate le visite, si raggiunge la strada cantonale dove si prende il postale per rientrare a Bodio. Giornico: Casa Stanga ITINERARIO 2 Il circuito propone un’escursione su due importanti tracciati storici, entrambi parte della medievale via per il San Gottardo: il primo tra l’oratorio di San Pellegrino e Chironico, il secondo tra Chironico e Orsino. Percorso Dislivello Difficoltà Tempo di percorrenza Carta Punti di ristoro Accesso Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999 Altirolo - Chironico - Orsino - Altirolo 400 metri Discesa impegnativa 3 ore CN 1273 Biasca 1:25’000 Giornico, Chironico Con il postale fino a Giornico da Bellinzona e spostamento a piedi fino ad Altirolo Per mezzi privati, parcheggi nel nucleo Inizio Altirolo Dal parcheggio di Altirolo, si seguono le indicazioni escursionistiche per San Pellegrino (Altirolo è raggiungibile anche a piedi da Giornico). Dopo un breve spostamento in un bosco di castagni, si giunge all’oratorio di San Pellegrino. È un edificio di sicura origine medievale, consacrato nel 1345, modificato più volte nel corso dei secoli (l’antico orientamento a est è stato capovolto) e poi splendidamente decorato nel 1589 per mano dei pittori Tarilli di Cureglia che dipinsero un grandioso Giudizio Universale. Forse solamente uno scavo rigoroso potrà svelare la storia antica di questa costruzione. Oratorio di San Pellegrino: navata e particolare del Giudizio universale Dall’oratorio si prosegue inizialmente sul sentiero segnalato fino ad una strada asfaltata. La si attraversa e si prosegue sul sentiero che, dopo la prima cappelletta, diventa una mulattiera che si percorre per qualche centinaio di metri fino ad una seconda cappelletta. Da qui si attraversa il pianoro di Grumo, a valle del nucleo, e tra prati e rustici si raggiunge la chiesa di San Maurizio, divenuta parrocchiale nel XVI secolo. Forse di origine medievale, è stata completamente trasformata nel XIX secolo. Dalla chiesa una strada asfaltata conduce a Chironico, il cui passato medievale è annunciato a voce alta dalla casa a torre “dei Pedrini”, a sei piani, verosimilmente edificata su una struttura nel XIV secolo, che domina il nucleo del paese, caratterizzato dalle grandi e nere case in legno “leventinesi”. È una costruzione nobile, che trova paragoni immediati con la Torre di Attone di Giornico e con quelle che esistevano a Prato e a Faido, quest’ultima demolita pochi anni orsono. La casa a torre di Chironico originariamente non aveva l’aspetto odierno: era più bassa, aveva un’ampia merlatura ed era forse parte di un più vasto complesso fortificato, poiché nelle vicinanze esistevano dei ruderi collegati alla stessa costruzione (poi distrutti dai lavori stradali). Ingentilisce la torre un affresco nella lunetta sul portale, una Madonna con bambino di scuola seregnese, della fine del XV secolo. Chironico: torre ”dei Pedrini” L’altro edificio di sicuro interesse monumentale è la chiesa dei Santi Ambrogio e Maurizio, l’antichissima parrocchiale di Chironico: è un piccolo gioiello romanico, dalla navata doppia che si conclude con due absidi gemelle, forse coeve. L’iscrizione sull’ampio ciclo pittorico che ancora si conserva nella chiesa (nelle absidi Cristo in maestà, Decapitazione di San Giovanni Battista, Incoronazione della Vergine, Crocifissione; sulla parete nord Storie di Sant’Ambrogio e nei medaglioni Ciclo dei mesi; sulla parete sud Storie di Sant’Anna e Gioacchino e Età dell’uomo; sulla controfacciata Giudizio Universale) non solamente annuncia fieramente il nome del pittore che si firma “magister Petruspaulus dictus Soçus Chironico: absidi e dettaglio di un affresco della chiesa dei Santi Ambrogio e Maurizio pinctor de Castello de Menaxio” ma attesta che la chiesa fu “redificata e ampliata” nel 1338. Gli studiosi interpretano questa informazione con prudenza, mancando accertamenti murari definitivi; è probabile che nella prima metà del XIV secolo la chiesa fu semplicemente innalzata prima di essere ricoperta di affreschi. È invece certo che sorse su un minuscolo edificio altomedievale, con una piccola aula, un’abside profonda, una transenna e una tomba privilegiata: siamo quindi in presenza di un luogo di culto analogo ad altri che sono stati rinvenuti nel Ticino e databile all’VIII/IX secolo. Lasciata Chironico si ritorna sui propri passi per riprendere la strada asfaltata che riconduce a Grumo, con le sue case in legno, caratteristica frazione di Chironico simile alle altre disseminate sul suo territorio (Cala, Chiesso, Gribbio, Doro, Olina) e disperse sui monti che si affacciano sull’altipiano di Chironico, tutte con il loro minuscolo oratorio più o meno conservato. Sono il segnale tangibile che l’uomo abitò da sempre queste regioni, come del resto sembrano dimostrare i ritrovamenti di tombe altomedievali e il masso coppellare rinvenuto nei pressi di Doro. Da Grumo si continua in direzione sud sulla strada asfaltata per circa 300 metri. Svoltando a sinistra si imbocca una strada agricola che porta al promontorio di Caslasc, dove sorgeva un posto di vedetta per il controllo della strada e di cui rimangono visibili alcuni resti (muratura a secco). Da Caslasc si riprende la strada asfaltata; e si prosegue l’escursione in direzione sud, seguendo i pannelli escursionistici, fino ad Orsino dove inizia una ripida scalinata in sasso (bell’esempio dell’abilità costruttiva contadina) che porta ad Altirolo. Altirolo è un compatto grappolo di edifici, posto su un promontorio roccioso sporgente sulla campagna; l’amena località, che è frazione di Giornico, un tempo era accarezzata dal piacevole scrosciare della Barongia, oggi prosciugato dallo sfruttamento idroelettrico. Ma il progresso ha anche trasformato il volto della frazione poiché la sostanza storica delle antiche case è sparita; soltanto l’oratorio di Santa Maria Maddalena è rimasto intatto con il minuscolo sagrato e l’alta abside barocca decorata da lieti affreschi di gusto popolaresco. A ricordare l’antica origine del nucleo vi è anche la bella campana piriforme, secondo la tipica maniera medievale, fusa del 1405 da un maestro Baronio già autore di altri manufatti simili nella regione. Scalinata tra Orsino e Altirolo ITINERARIO 3 Il circuito collega Giornico con due nuclei, Sobrio e Cavagnago, posti in quota sul versante sinistro della bassa Leventina. Giornico – Sobrio – Cavagnago – Giornico 750 metri Nessuna 4 ore 30 minuti CN 1273 Biasca 1:25’000 Negozi e ristoranti a Giornico, Sobrio e Cavagnago Con il postale fino a Giornico da Bellinzona; fino a Cavagnago e Sobrio da Lavorgo Per mezzi privati parcheggi a disco in centro paese Inizio Cartelli escursionistici sulla strada cantonale, nel centro di Giornico Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999 Percorso Dislivello Difficoltà Tempo di percorrenza Carta Punti di ristoro Accesso Proponiamo, prima di intraprendere l’escursione, una doverosa visita a Giornico. Se Bellinzona, secondo una definizione quattrocentesca, è la “chiave d’Italia”, Giornico, è la “chiave della Leventina”. L’importanza del paese durante il periodo medievale (e quasi sicuramente anche in tempi più remoti) discende da questa sua posizione strategica, chiusa tra i dirupi ai piedi delle gole della Biaschina. Si spiega così il fascino della località che non mancava di interessare i viandanti e gli storici: nel 1840 scriveva Stefano Franscini che fu figlio di questa regione: “Giornico, in tedesco Irnis (con Ugazzo, Altirolo, Castello e Gribiago, anime 743), è un grosso villaggio, capoluogo della inferior parte di Val Leventina. La principal terra sorge sulla sinistra del Ticino: le terriciuole colla chiesa parrocchiale ed altre si veggon disseminate sulla destra. Due ponti di pietra congiungono le due rive là dove il Ticino romoreggia fra innumerevoli macigni. Vi è copia di prati, e si coltiva con molta diligenza la vite, che vi dà copiosi i suoi prodotti. Parecchi oggetti rendono interessante questa terra. Sorge entro il paese un’alta e antica torre; e nel sito denominato Castello innalzasi una chiesuola dove sono le fortificazioni di grande vetustà. La parrocchiale è chiesa matrice delle tre comuni che sono sui monti. Ivi presso è la chiesetta di San Nicolao, tutta di pietre lavorate collo scalpello, e riputata da’ Giornichesi per un antico luogo di adorazione degli idoli. Oltre a tutto ciò si vedono le imponenti cascate della Barolgia e della Cremosina. Chiunque si trovi alquanto inferiormente a Giornico non può non riguardare con meraviglia la Cremosina, e gli altissimi torrioni che la natura pose a custodir l’ingresso di quel laterale vallone che va a finire a modo di vasto e magnifico anfiteatro, e dispiega il lontano spettacolo delle nevi accumulate dalla valanca. Sino verso la fine del passato secolo custodivansi in Giornico colubrine ed altri pezzi di artiglieria, che gli uni pretendono conquistati nella battaglia del 28 dicembre 1478, gli altri in vari famosi conflitti d’Italia: gli Svizzeri avevanli lasciati addietro perché male atti a trascinarsi di là delle Alpi per le malvagie strade d’allora…”. Benché la strada cantonale, la ferrovia e l’autostrada abbiano quasi cancellato il rude paesaggio descritto dal Franscini, la singolarità del carattere del borgo ancora oggi è ben percettibile: sulla sponda destra sorgono le tre chiese, unite al nucleo principale dai ponti carrozzabili e dai due vecchi ponti in pietra, forse seicenteschi, appoggiati ad un isolotto in mezzo al fiume. Lo sviluppo edilizio tuttavia non ha cancellato il volto antico del paese; occorre ricordare in particolare, nella parte bassa del paese, la Casa Stanga dimora della famiglia dell’alfiere ticinese che combatté valorosamente nella battaglia dei “Sassi grossi” citata dal Franscini. Hanno un notevole interesse storico e monumentale anche le chiese di Giornico, a partire dalla chiesa parrocchiale di San Michele, interamente ricostruita nel 1787. Prima di questo edificio barocco esisteva una chiesa romanica, a tre navate, descritta dalle visite pastorali, con un soffitto ligneo di grande effetto; di tutto ciò resta solamente lo splendido fonte battesimale scolpito e decorato con animali fantastici e stelle, del XII secolo (ora nella chiesa di San Nicolao). Nella chiesa è per contro conservato un bell’altare tardogotico a portelli, datato 1517, proveniente da San Nicolao e purtroppo privato delle sue statue a causa di un furto avvenuto qualche Giornico: Santa Maria del Castello Giornico: ponte in sasso anno fa. Ben più conosciuta di San Michele è la chiesa romanica di San Nicolao, documentata nel 1210 ma probabilmente della metà del XII secolo: era la chiesa conventuale di un priorato benedettino, oggi scomparso. L’architettura sobria e rigorosa, la struttura muraria raffinata, a grandi conci lavorati (San Carlo scrive di una chiesa “valde ampla et pulchra lapidibus vivis constructa”, ossia una chiesa ampia e ben costruita con pietre in vivo), l’abside profonda e ben proporzionata, la cripta, il ricco apparato scultoreo che orna i portali e i capitelli della cripta, gli affreschi di Nicolao da Seregno del 1478, fanno di questo edificio uno dei più magnifici esempi di arte romanica del nostro paese. Giornico: veduta generale e particolari della chiesa di San Nicolao Giornico: dettaglio di affresco raffigurante San Lucio nella chiesa di Santa Maria del Castello Anche la chiesa di Santa Maria del Castello, arroccata su un poggio isolato e circondata dai resti dei muri dell’antico maniero, non sfigura, per la sua importanza paesaggistica, con la vicina San Nicolao: la chiesa, a pianta rettangolare, ha due absidi, quella più antica circolare, che forse nasconde una cripta (è visibile una finestra murata), venne edificata come il vicino campanile nel XII secolo; quella quadrata è più recente, pur risalendo al medioevo; sono notevoli gli affreschi del 1448 eseguiti da un seregnese (occorre ricordare la presenza di San Lucio, patrono dei pastori e dei casari), e il soffitto ligneo dipinto del 1575. Bisogna infine segnalare la cosiddetta “Torre di Attone” (vescovo di Vercelli che nel 948 lasciò le valli di Blenio e di Leventina al Capitolo del Duomo di Milano): è un’alta casa a torre fortificata che domina la parte alta del nucleo, edificata, secondo le analisi dendrocronologiche e archeologiche, nel 1381. La costruzione, che verosimilmente faceva parte di un complesso fortificato non ancora individuato, fu modificata in casa d’abitazione dopo un crollo avvenuto nel 1846; al piano terreno, in una delle costruzioni adiacenti (datate 1396/1397) vi è un bell’affresco raffigurante due Santi vescovi e la Madonna in trono, forse della prima metà del XV secolo. Completata la visita si inizia l’escursione: seguendo le indicazioni del pannello escursionistico posto nel centro del paese sulla strada cantonale, a pochi passi dal parcheggio, dove si attraversa la strada in direzione di Sobrio. Si percorrono alcune tipiche carrali del nucleo vecchio di Giornico e si esce dal paese inoltrandosi nel bosco, dove si inizia la salita fino ad una cappelletta sotto la quale è indicata la via per Sobrio. Attraversato un primo riale, la salita riprende e si giunge ai resti dell’oratorio di Gramudèl, dedicato a Sant’Anna. Da qui in breve si arriva a Sobrio. Località abitata da tempo imme- morabile, come tutti i paesi posti sui terrazzi glaciali della Leventina, come dimostrato dalle tombe romane, scoperte nei pressi della chiesa parrocchiale di San Lorenzo alcuni decenni orsono e dall’antichità della chiesa stessa, citata nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani” del XIII secolo. Di questo passato apparentemente non resta più nulla; bisogna accontentarsi di una visita alle belle e tipiche case leventinesi ancora esistenti, per lo più del XVII e XVIII secolo, e dell’affascinante complesso isolato formato dalla casa, dalla chiesa parrocchiale settecentesca, dal campanile e dal cimitero, all’ombra di un grande acero sotto il quale si radunava anticamente la popolazione in occasione delle riunioni della “vicinia”. Lasciata la parrocchiale di Sobrio si riprende il cammino fino a Cavagnago, passando a valle del villaggio di Ronzano, dove si trova una cappelletta con un affresco dell’Annunciazione, del XVI secolo. Da Cavagnago (villaggio a monte del quale, sull’alpe Foppascia, in prossimità del passo dei Laghetti che collega con la Valle di Blenio, nel 1956, durante lo scavo di un riparo contro le valanghe, è stata ritrovata una punta di lancia alamanna assegnabile al VI secolo) consigliamo vivamente di prolungare di pochi minuti l’escursione, seguendo le indicazioni escursionistiche, fino alla chiesa di Sant’Ambrogio di Segno, antica parrocchiale di questa piccola comunità montana: l’aula e l’abside originali, ben leggibili rispetto al prolungamento quattrocentesco, dovrebbero risalire al XIII secolo, Segno: chiesa romanica di Sant’Ambrogio Sobrio: parrocchiale di San Lorenzo come il tozzo campanile che sta loro vicino: solamente un’analisi archeologica più raffinata potrà tuttavia confermare questa datazione. All’esterno accolgono il visitatore affreschi di San Cristoforo, San Michele e Santa Domenica e una Crocifissione; all’interno, caratterizzato dal soffitto piano, vi sono i consueti affreschi gotici, questa volta più vicini alla maniera dell’inizio del Quattrocento. Per concludere il circuito occorre ritornare a Cavagnago dove si trovano i pannelli escursionistici che indicano la discesa per Giornico. Si attraversano inizialmente i pascoli fino a Maradenca, e quindi, subito dopo una cappelletta posta al margine del bosco, si prosegue lungo un ripido sentiero nei castagneti. A quota 600 m, all’interno di un tornante vi è, tra i comuni di Cavagnago e Giornico, un masso di confine inciso C / <-O-> / G. Ritornati a Giornico, tempo e voglia permettendo, raccomandiamo la visita del Museo della Leventina, presso la Casa Stanga, aperto da aprile a ottobre, dalle 14:00 alle 17:00. ITINERARIO 4 Il circuito ripercorre alcune vie storiche della media Leventina: un tratto di “strada alta” tra Calonico e Rossura, e due collegamenti verticali, quello tra Lavorgo e Calonico e quello tra Rossura e Chiggiogna. Percorso Dislivello Difficoltà Tempo di percorrenza Carta Punti di ristoro Accesso Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999 Lavorgo – Calonico – Rossura – Chiggiogna - Lavorgo 520 metri Nessuna 4 ore CN 1252 Ambrì-Piotta, 1272 Campo Tencia, 1273 Biasca 1:25’000 Lavorgo, Rossura, Chiggiogna e Calonico Con il postale fino a Lavorgo da Bellinzona o Airolo. Per mezzi privati parcheggio lungo la vecchia strada cantonale che attraversa il borgo, o nei pressi della stazione FFS Inizio Cappella di Santa Petronilla a Lavorgo La Cappella di Santa Petronilla, di stile barocco con volta a botte, è stata costruita nel 1662, forse su edifici più antichi. Da qui inizia la salita lungo una mulattiera in parte lastricata che conduce, attraverso selve castanili e pascoli, al nucleo di Calonico. I ritrovamenti di materiali romani e longobardi, in gran parte non studiati, avvenuti nel 1879 tra Lavorgo e Chiggiogna, in località “Croce”, assieme alla tomba verosimilmente romana scoperta nei pressi di Molare, in località “Piano di Valle”, dimostrano che anche questa regione, come il resto della valle, era già frequentata in epoca remota. Questa impressione, del resto, è confermata anche da altri ritrovamenti d’epoca preistorica avvenuti a Calonico (un’ascia in serpentino rinvenuta prima della guerra durante uno scavo sulla collina denominata “Castello” e ora depositata presso il Museo di Giornico) e a Chiggiogna (una punta di freccia trovata nel 1907 nei pressi dei dirupi sopra il paese). Sono indizi materiali che già 6000/6500 anni orsono, all’epoca del suo primo insediamento sulla collina di Castel Grande a Bellinzona, l’uomo frequentò i fondovalle e i pascoli alpini di queste vallate. È altrettanto vero che la Leventina entrò nella “grande” storia in piena epoca medievale, ossia dai primi decenni del XIII secolo, quando la via del San Gottardo si affermò decisamente come passaggio d’importanza internazionale, diventando il collegamento più diretto tra il meridione e il settentrione dell’Europa. Già in quel momento esistevano molte chiese nella regione, in particolare quelle delle comunità più importanti che in parte erano chiese parrocchiali autonome, essendosi già staccate da San Pietro di Biasca, chiesa matrice della pieve di Leventina. È probabile che anche la chiesa di San Martino di Calonico, posta su uno sperone roccioso che domina Chiggiogna e la media Leventina, come tutte le chiese con questa titolazione, abbia origini assai antiche. Mancano però le prove archeologiche in grado di accertare sia la reale data di fondazione della chiesa, sia la sua storia costruttiva: oggi solamente il massiccio e arcaico campanile, forse dell’inizio del Calonico: chiesa di San Martino XII secolo, con bifore e monofore sovrapposte, testimonia la fondazione medievale della chiesa. Calonico conserva, assieme a parecchie caratteristiche case in legno di tipo leventinese, più o meno intatte, anche un bell’esempio di archeologia industriale: un mulino del XVIII secolo, simbolo della vita rurale condotta dagli abitanti del villaggio. Calonico: vecchio mulino recentemente restaurato e visitabile Rossura: particolare dell’Ultima Cena nella parrocchiale dei Santi Lorenzo e Agata Dalla chiesa di San Martino, si risale fino alle prime case e si svolta a sinistra, imboccando la strada asfaltata pianeggiante, segnalata con pannelli escursionistici, fino alla località “Cesü”, dove inizia il sentiero. Percorse alcune centinaia di metri e attraversate due pietraie, il sentiero sale ripido fino ai pascoli a quota 1140 m., da dove si inizia la discesa su Tengia, villaggio con caratteristiche case leventinesi dove si trova la cappella di Sant’Antonio Abate del XVIII secolo. Da qui si giunge in breve a Rossura dove segnaliamo, in particolare, la chiesa dei Santi Lorenzo e Agata. Anche questa è in una posizione dominante, essendo stata edificata su un’emergenza rocciosa affacciata sulla vallata e isolata dal villaggio restato più o meno intatto, come molte altre frazioni di questo comune. Della chiesa medievale, ricordata due volte nel “Liber Notitiae Sanctorum Mediolani” per il suo titolo di San Lorenzo e per quello di Sant’Agata, restano probabilmente due pareti laterali; all’esterno si scorge qualche lacerto di un grande San Cristoforo bizantineggiante del XIII secolo, mentre all’interno, nei pressi dei notissimi affreschi quattrocenteschi (di Nicolao e Cristoforo da Seregno, che qui lavorarono nel 1463, e di un altro ignoto pittore di qualche tempo antecedente) si scorgono una figura inginocchiata (il donatore?) sotto due santi, dipinti con gusto ancora romanico e attribuibili alla metà del XIII secolo. Alle spalle della chiesa, si prende la strada in terra battuta che scende tra i prati e porta alla località “Caslasc” che conserva altre testimonianze medievali presenti in territorio di Rossura. Sotto le poche cascine diroccate, si erge una collinetta sulla quale sono ancora visibili i resti di una medievale fortificazione di data incerta denominata “Mött da Cröisc” (motto delle streghe). Si noti che il toponimo rimanda alle “Case dei Cröisc”, le “Case dei pagani”, ovvero le ben note e imprendibili strutture fortificate d’epoca medievale frequenti in Valle di Blenio ma presenti anche in questa regione. Si prosegue lungo una bella mulattiera che termina in località Fusnengo, da dove una strada conduce fino a Chiggiogna. La chiesa di Santa Maria Assunta di Chiggiogna, recentemente indagata archeologicamente, è un buon esempio dell’evoluzione nel tempo delle chiese della Leventina in periodo medievale: nei pressi del campanile generalmente assegnato all’XI secolo, sotto il bel pavimento romanico in lastre di granito (oggi parzialmente visibile) sono stati rinvenuti i resti del primo semplicissimo edificio di culto altomedievale, assegnabile all’VIII secolo ma forse antecedente; era una semplice sala di forma rettangolare, analoga ad altre ritrovate nei decenni passati nel Canton Ticino (in primo luogo Airolo, ma anche Mezzovico, Melide, Gravesano), che fu demolita al momento della costruzione della prima chiesa romanica di cui è visibile, nella facciata odierna, il partito decorativo. Questa prima chiesa, probabilmente contemporanea al campanile, venne ampliata forse già nel secolo successivo, raddoppiando la navata e le absidi; nel 1524 la navata così formatasi ricevette un nuovo coro rettangolare, che venne modificato nei secoli successivi e in particolare nell’Ottocento, quando fu creato il soffitto oggi esistente. Lungo la parete settentrionale è stato liberato dallo scialbo di calce bianca un ciclo di affreschi, assai martellinati, dell’inizio del XV secolo, con le raffigurazioni dei Mesi e Storie cristologiche; al di sotto, frammentari, si scorgono pochissimi resti di intonaco più antico, con la scritta dedicatoria, purtroppo frammentaria “Fatus fu(it) ?m natu(?)” che, se completa, avrebbe forse permesso di datare il raddoppio della chiesa. Occorre infine segnalare la bella ancona gotica del 1520 e soprattutto l’antica campana proveniente dalla chiesa e oggi collocata in un giardino privato nelle sue immediate vicinanze. Si tratta di un manufatto della seconda metà del XIII secolo; sulla fascia supe- Chiggiogna: campana, fonte battesimale e particolare delle Storie di Cristo riore si legge un alfabeto, mentre sul bordo vi è il nome dei due autodella chiesa di Santa Maria Assunta ri “magister Paolinus et Zanes fabricavit hanc campanam”, ossia “il mastro Paolino e Zane hanno fabbricato questa campana”. È tra le più antiche del Cantone Ticino e dimostra, assieme ai numerosi ritrovamenti, durante gli scavi nelle chiese, delle fosse di fusione, quanto la nobile arte di fabbricare campane, esercitata sul posto da artigiani vaganti fosse diffusa nelle nostre terre già a partire dal primo medioevo; del resto è bene qui ricordare la bella campana quattrocentesca già sul campanile dell’oratorietto di Santa Petronilla a Lavorgo, creata dallo stesso maestro Baronius operante a Altirolo all’inizio del Quattrocento. A qualche centinaia di metri dalla chiesa parrocchiale, verso sud, arroccata sui dirupi che sovrastano il fondovalle, fra due torrenti si scorgono ancora i resti di muro di una “Casa dei pagani”, costruzione medievale, adibita a rifugio e ricovero dei beni della comunità in caso di invasioni o razzie. Da Chiggiogna è possibile rientrare a Lavorgo in postale. Per chi prosegue l’escursione a piedi dalla chiesa, si passa sotto il ponte della ferrovia e si seguono le indicazioni escursionistiche per Lavorgo; quest’ultimo tratto percorre il fondovalle in leggera discesa su una strada che costeggia il fiume Ticino. Chiggiogna: rovine della “Casa dei pagani” ITINERARIO 5 Il circuito della media Leventina collega alcuni nuclei in quota del versante sinistro della valle. Faido – Calpiogna – Osco – Mairengo - Faido 430 metri Nessuna 4 ore CN 1252 Ambrì-Piotta 1:25’000 Negozi e ristoranti a Faido, Calpiogna, Osco e Mairengo Con il postale fino a Faido da Airolo o da Bellinzona o in treno Per mezzi privati parcheggio nella piazza centrale di Faido Inizio Dal parcheggio di Faido Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999 Percorso Dislivello Difficoltà Tempo di percorrenza Carta Punti di ristoro Accesso L’escursione inizia con una visita al borgo di Faido. Particolare attenzione merita la cappella di San Bernardino da Siena, edificata nel 1459 e parzialmente trasformata nel 1595. Indagato archeologicamente fra 1978 e 1979, l’edificio conserva una fondazione preesistente con navata quadrangolare ed abside semicircolare orientata, forse riferibile al XIII secolo. Degno di nota è pure il convento dei Cappuccini, fondato nel 1607. La chiesa annessa – dedicata a San Francesco – venne costruita nel 1608 e subì delle modifiche nei secoli successivi. Nel suo interno, sull’altare maggiore si conserva un’interessante pala raffigurante la Madonna con i Santi Francesco e Giuseppe, che riproduce la Madonna del Soccorso di Lukas Cranach. Per quanto riguarda le costruzioni civili, fino a pochi anni orsono esistevano due costruzioni particolari: l’antico Pretorio della Valle, che conservava lo stemma del landfogto Magnus Bessler (15501553) e la cosiddetta “Torre Varesi” - una costruzione medievale in pietra a sei piani, con tetto a spiovente unico. Entrambi gli edifici sono stati demoliti per far posto a strade e nuove abitazioni. Per contro esiste ancora, sulla via principale, una bella casa in legno cinquecentesca, costruita secondo la tipologia della “casa del Gottardo”. Essa si distingue per il fregio ornamentale con tre bassorilievi datati 1582, raffiguranti l’Adorazione dei Magi, la Crocifissione e la Madonna. Proseguendo l’escursione, dalla piazza centrale si risale lungo la strada asfaltata, seguendo le indicazioni escursionistiche, in direzione di Calpiogna. Attraversato il ponte sulla ferrovia, si svolta a sinistra fino al primo tornante per imboccare il sentiero che sale nel bosco fino a Primadengo. Faido: tipica costruzione rurale del ’500 e dettaglio del bassorilievo datato Discosto da Primadengo e non raggiunto dal circuito, segnaliamo l’interessante nucleo di Fontanè (Fontanedo), nel comune di Campello, dove, nei pressi dell’oratorio cinquecentesco dedicato al Santissimo Nome di Maria, sono ancora visibili stalle settecentesche e poche rovine dell’antico nucleo rurale. Dal basamento di una casa in legno di Fontanedo proviene lo strappo di affresco, raffigurante una Madonna in trono e un vescovo, dell’inizio del XVI secolo, oggi conservato nel Museo della Casa Stanga a Giornico. Osco: dettaglio dell’Adorazione della Madonna e del Bambino nella parrocchiale di San Maurizio Da Primadengo si sale a Calpiogna, dopo aver più volte attraversato la strada asfaltata. All’ingresso del paese si può visitare un piccolo mulino idraulico restaurato recentemente. Da Calpiogna il sentiero prosegue fino ad Osco lungo il percorso della “strada alta” e si attraversa il riale di Formiei dalle spettacolari gole che incidono la roccia a strapiombo. A Osco si segnalano alcuni edifici tradizionali e la chiesa parrocchiale di San Maurizio – documentata fin dal 1171 – che presenta oggi una fisionomia tardoseicentesca, rinnovata in anni recenti. All’interno si conservano interessanti tracce di affreschi tardogotici, riferibili al terzo quarto del XV secolo e raffiguranti l’Adorazione della Madonna e del Bambino. Il campanile, completamente rimodernato, conserva nella parte bassa la struttura e la muratura di epoca romanica. Nei pressi di Osco, in località Freggio, raggiungibile percorrendo un tratto di “strada alta”, nei decenni scorsi sono state riportate alla luce tombe dell’età del ferro contenenti suppellettili di particolare finezza e originalità. Tra queste sono da segnalare delle olle decora- te con cavallucci schematici e puntiniformi, nei quali viene simbolizzato il culto del Sole. Parte dei corredi è conservata a Bellinzona presso il Museo di Montebello e nei depositi dell’Ufficio dei beni culturali. Siamo ormai sulla via del ritorno e da Osco si imbocca la mulattiera che conserva alcune strutture degne di nota, e si giunge quindi a Mairengo seguendo le indicazioni escursionistiche. L’ultimo tratto prima dell’ingresso a Mairengo è su strada asfaltata ma, vegetazione permettendo, si notano ancora resti dell’antica mulattiera a valle di questa. A Mairengo merita una visita la chiesa di San Siro, una delle più antiche parrocchiali della Leventina. Documentata dal 1171, è tra le quindici chiese della diocesi di Milano dedicate al santo patrono di Pavia. Smembrata dall’antica matrice di Biasca nell’XI-XII secolo, quella di San Siro era la chiesa battesimale dell’antica vicinanza (comunità rurale) di Faido, che comprendeva le degagne (frazioni della vicinanza) di Faido, Osco e Mairengo. L’edificio presenta uno schema biabsidato da riferire al tardomedioevo. Della chiesa romanica rimangono la facciata a capanna e parti del fianco meridionale ad archeggiature cieche incorporate nella struttura attuale. La parete meridionale esterna conserva affreschi tardogotici - recentemente restaurati - raffiguranti San Siro, la Madonna in trono, San Sebastiano fra due arcieri e la figura di un Pontefice. Affreschi tardogotici sono presenti anche all’interno della chiesa, dove troviamo raffigurata la Natività e santi. Nel coro nord si conserva uno splendido altare a portelli tardogotico, opera datata 1510-1520 e riferibile ad una bottega della Germania meridionale. Interessanti anche gli affreschi di entrambi i cori. Riportati alla luce negli anni Cinquanta, i dipinti murali sono da riferire al 1558 e - almeno parzialmente - alla mano di Gerolamo (Hieronymus) Gorla da Milano. Terminata la visita si riprende il cammino, seguendo la strada asfaltata per un centinaio di metri. Subito dopo il ponte sulla sinistra vi è il bivio che consente di ricollegarsi alla mulattiera per Faido. Punto d’arrivo è la stazione di Faido, dove chi è arrivato in treno o in postale termina l’escursione. Chi è giunto con mezzi privati deve proseguire lungo la strada fino al punto di partenza. Mairengo: particolare dell’ancona a sportelli del XVI secolo del coro della chiesa di San Siro ITINERARIO 6 Il circuito si situa sulla sponda sinistra dell’alta Valle Leventina lungo vie storiche di grande interesse: nel fondovalle si ripercorre parte della medievale strada francesca che da Quinto conduceva verso Airolo; in quota, tra Altanca e Lurengo, la “strada alta”. Di particolare importanza la mulattiera che saliva dal fondovalle (Serte) ad Altanca, per proseguire verso il lago Ritom e il Passo dell’Uomo. Quinto - Serte - Altanca - Lurengo - Varenzo - Quinto 410 metri Nessuna 4 ore 30 minuti CN 1252 Ambrì-Piotta 1:25’000 Negozi e ristoranti a Quinto, Altanca, Deggio e Catto Con il postale fino a Quinto da Bellinzona con cambio ad Ambrì. Per mezzi privati parcheggio dietro la chiesa Inizio Chiesa di Quinto Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999 Percorso Dislivello Difficoltà Tempo di percorrenza Carta Punti di ristoro Accesso Quinto: nucleo e parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo L’itinerario inizia con la visita della chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo di Quinto. La chiesa è documentata dal 1227. Dalle indagini archeologiche condotte nel 1972-1973 sono però emerse tracce di due edifici altomedievali (VIII-IX secolo) precedenti la costruzione romanica che era caratterizzata da absidi gemine e dota- ta di una cripta con raddoppio laterale: chiedendo in parrocchia questi resti archeologici sono visitabili . Ad eccezione del campanile, l’antica chiesa romanica subì delle modifiche nel 1681 da parte degli architetti Giovanni Weber e Antonio e Giovanni Ferrari della Val Sesia. Nel 1748 venne invece voltata la navata. La volta del coro è decorata con stucchi rococò variopinti - in parte ricoperti di foglia d’argento - opera di Josef Moosbrugger. L’altare maggiore in legno scolpito a forma di tempio poligonale con colonne ritorte e statuette, venne eseguito fra il 1691 e il 1694 da Paolo Pisoni da Ascona e Carlo Zezio da Lugano. Numerosi i dipinti che decorano le pareti della chiesa. Quinto: bassorilievi romanici all’esterno della parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo Lasciandosi la chiesa alle spalle, sulla destra, in salita, inizia il sentiero che si inoltra nel bosco di larici e che porta, con un leggero dislivello, alla Stazione idroelettrica di Serte. Qui l’escursionista ha la possibilità prendere la funicolare del Ritòm per salire fino ad Altanca ed evitare la ripida salita. Nella frazione di Scruengo, poco oltre Serte, il Rigolo segnala un castello medievale, finora non identificato. Altanca è un compatto agglomerato di case tipiche, posto sul pendio della montagna. Ad ovest del paese si trova la chiesa dei Santi Cornelio e Cipriano, una massiccia costruzione del 1603 dotata di coro quadrangolare, campanile riferibile al 1692, e cappelle laterali quadrate. Anche questa chiesa ha sicure origini medievali; è citata nel XIII secolo e inoltre sono visibili, sul fianco meridionale, i tipici archetti romanici. Altanca: veduta orientale della parrocchiale dei Santi Cornelio e Cipriano Deggio: coro e affreschi tardogotici della cappella di San Martino Da Altanca è possibile imboccare la mulattiera che conduce al Lago Ritòm e alla stupenda Val Piora. Lungo la mulattiera, che conserva ancora una struttura interessante, con lunghi passaggi selciati sostenuti da muri a secco, si trovano curiose iscrizioni scolpite nella roccia. Il nostro circuito, invece, dal centro del paese, segue la strada asfaltata fino a Ronco, dove, appena lasciato il paese, si prende il sentiero con le indicazioni “strada alta” che si stacca dalla strada e scende, attraverso i prati, a Deggio. Da Deggio si percorrono circa 250 metri di strada asfaltata prima di immettersi, sulla sinistra, nella strada campestre, segnalata come sentiero, che porta alla cappella romanica di San Martino. La cappella è caratterizzata da un coro quadrato voltato a botte, innestato su una minuscola navata romanica, successivamente allungata quando sulla facciata principale venne costruito il massiccio campanile oggi visibile; l’apparato decorativo esterno (grandi arcate di gusto ancora carolingio) fanno presumere che questa chiesa possa essere assai antica, forse anteriore al Mille. All’interno nella zona del coro - è conservato un importante palinsesto di pitture murali; la più antica, nel coro, è un frammento di sinopia, con un drago e un pesce. Il corpus principale delle pitture murali del San Martino di Deggio è però rappresentato dagli affreschi tardogotici, in parte manomessi e ridipinti, che ritroviamo sia nel coro sia nella navata. Tra questi segnaliamo l’Annunciazione, il Cristo in maestà, i Simboli degli Evangelisti, il gruppo della Crocifissione e San Martino che divide il mantello con il povero, che è l’affresco meglio conservato. Sempre a Deggio nei decenni scorsi venne riportato alla luce del vasellame proveniente da tombe dell’età del ferro. Dalla cappella si continua su sentiero per poi tornare su strada asfaltata e, seguendo le indicazioni “strada alta”, si giunge a Lurengo. La frazione di Lurengo vede la presenza della cappella di Santa Maria Immacolata, il cui interno è decorato con stucchi riferibili al 1730-1740. Da Lurengo si imbocca la mulattiera che discende fino a Catto dove, a strapiombo sulla valle, sorge la chiesa di Sant’ Ambrogio. La chiesa è una costruzione di origine romanica, ampiamente rimaneggiata in epoca barocca e rococò, come testimoniano gli stucchi che decorano le volte. Sull’altare del coro si trova un ciborio in legno, riccamente scolpito, opera eseguita nel 1786 da Georg e Lukas Regli del Canton Uri. Catto: chiesa di Sant’Ambrogio Visitata la chiesetta, si prosegue la discesa verso Varenzo, su strada in terra battuta. Sempre al Settecento è da riferire la cappella di San Rocco, dove si trovava un prezioso altare in stucco, oggi rimosso. A Varenzo esisteva una torre d’abitazione medievale, purtroppo demolita all’inizio del nostro secolo. Da Varenzo si segue la strada campestre che dalla chiesa scende verso il Ticino e riporta a Quinto. Questo itinerario può essere facilmente percorso anche in mountain bike, sia salendo da Serte ad Altanca percorrendo la strada asfaltata, sia caricando le biciclette sulla funicolare. Deggio: chiesa di San Martino ITINERARIO 7 Questo breve e agevole circuito consente di percorrere alcune tra le più interessanti vie storiche della Valle Leventina, verso il Passo del San Gottardo: la cosiddetta “strada romana”, cioè il tracciato medievale, di probabile costruzione milanese, che passava per il Dazio Vecchio e la strada cantonale nella gola del Piottino, costruita all’inizio dell’Ottocento sul precedente tracciato della cinquecentesca “strada urana”. Dazio Grande - Prato - Dazio Vecchio - Piottino - Dazio Grande 110 metri Nessuna 1 ora 30 minuti CN 1252 Ambrì-Piotta 1:25’000 Negozi e ristoranti a Rodi, Prato e Dazio Grande Con il postale fino a Rodi-Fiesso da Bellinzona o da Airolo. Per mezzi privati parcheggio presso il Dazio Grande o ampio parcheggio a Rodi, presso la fermata dell’autobus Inizio Dazio Grande Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999 Percorso Dislivello Difficoltà Tempo di percorrenza Carta Punti di ristoro Accesso L’escursione inizia con la visita del Dazio Grande. Questa solida costruzione a pianta quadrangolare, edificata dalle autorità urane verso la metà del XVI secolo (come attestano l’affresco e l’iscrizione scoperti durante i recenti restauri), sorveglia la gola del Monte Piottino, attraversata nello stesso periodo da una nuova strada. L’edificio, posta doganale e luogo di sosta e di ristoro per i viaggiatori, subì importanti trasformazioni nel 1834, quando la dogana fu trasferita ad Airolo e il Dazio divenne stazione e sede di uffici postali, con l’aggiunta di un corpo a meridione e con una sostanziale modifica degli spazi interni, mantenutasi fino ad oggi. Sulla facciata nord si vedono gli stemmi seicenteschi dei dazieri. Dal Dazio Grande si percorre per poche decine di metri una stradina asfaltata seguendo i pannelli escursionistici in direzione del Monte Piottino. Si entra nel bosco e si inizia una breve salita lungo la mulattiera che passa a lato di alcuni edifici, ormai in abbandono, costruiti all’inizio del 1800 quando venne attivato lo sfruttamento di cave di Dazio Grande: pigna con lo stemma di Uri e stemma del landfogto quarzo della zona, protrattosi fino a dopo la metà di questo secolo. Dopo 15 minuti circa di salita si giunge ad una biforcazione: sulla sinistra continua il percorso segnalato, di fronte vi è un’ampia mulattiera, non segnalata, che si imbocca per compiere una breve variante. La mulattiera discende verso un prato; lo si attraversa per immettersi in una strada di campagna che conduce alla strada cantonale per Prato. Percorsi pochi metri di strada cantonale, sulla sinistra si trova un ponticello in sasso nei cui pressi spicca una fornace per calce. Alle spalle della fornace inizia una mulattiera che era parte della più antica strada che conduceva verso il San Gottardo. La si percorre per Prato Leventina: ponte in sasso e fornace giungere alla chiesa di San Giorgio di Prato Leventina. La chiesa sorge su un promontorio ai margini del villaggio e spicca per il suo campanile romanico. L’edificio, rimaneggiato nel XVII e nel XVIII secolo, aveva in origine due navate e forse una cripta. Sul lato meridionale il portico, chiuso da pareti e coperto da un soffitto a capriata, ripara un affresco del XVI secolo raffigurante San Giorgio che uccide il drago. All’interno si possono vedere nel coro stucchi seicenteschi, nella cappella di San Carlo stucchi ed episodi della vita del santo, come pure frammenti di un Giudizio universale della fine del XVI secolo. Prato Leventina: affresco di San Giorgio all’esterno della chiesa omonima Rovine del Dazio Vecchio Prato era terra munita di fortificazioni erette a controllo dei transiti per il San Gottardo: nella facciata della casa parrocchiale sono ancora visibili resti di una torre medievale e nei pressi di Prato, su un promontorio sopra la strada che conduce a Dalpe, si scorgono i resti di una torre medievale che G. Rigolo nel 1682, riprendendo una tradizione locale, attribuisce a un castello. A Dalpe, in particolare nella Gola del Piottino: strada cantonale dell’Ottocento località “Vidresc”, sono venute alla luce nel corso degli anni Cinquanta diverse sepolture dell’età del ferro. Terminata la visita si torna sui propri passi ripercorrendo a ritroso la variante per riprendere il sentiero del Monte Piottino. In breve si giunge ai ruderi del Dazio Vecchio, che risalgono verosimilmente ai secoli XIV e XV. La denominazione in uso non deve far pensare a una vera posta doganale, che non esisteva come tale in questo periodo: si può invece pensare che gli edifici comprendessero locali per il deposito delle merci in transito e per dare riparo al bestiame da soma, alloggio a viandanti e ai mercanti in viaggio sulla via del San Gottardo. Dal Dazio Vecchio si riprende la mulattiera, in gran parte selciata, che percorre il promontorio del Monte Piottino, segnalata come “strada romana”, ma in realtà variante costruita in periodo visconteo per migliorare la viabilità per il passo del San Gottardo. La mulattiera sbocca su una strada asfaltata che si percorre in direzione del Dazio Grande. Si attraversa il fiume Ticino sull’ottocentesco ponte in sasso noto come “Ponte di mezzo”. Passato il ponte e fatte poche decine di metri sulla strada cantonale si entra nella suggestiva Gola del Piottino che si attraversa seguendo il tracciato della vecchia strada cantonale, costruita a partire dal 1819 sopra la precedente “strada urana”. Usciti dalla gola ci si immette nuovamente nella strada cantonale per tornare al Dazio Grande. Monte Piottino: “Strada romana” ITINERARIO 8 Il circuito ripercorre l’antico tracciato della mulattiera del San Gottardo, una delle più importanti vie di comunicazione tra il nord delle Alpi e la pianura Padana. Percorso Dislivello Difficoltà Tempo di percorrenza Carta Punti di ristoro Accesso Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999 Airolo - Passo del San Gottardo 900 metri Percorso per escursionista allenato 3 ore 30 minuti CN 1251 Bedretto 1:25’000 Negozi e ristoranti ad Airolo e al Passo del San Gottardo Con il treno o con il postale fino ad Airolo Per mezzi privati parcheggi a disco nei pressi della stazione Inizio Cartelli escursionistici dalla stazione ferroviaria L’uso del passo è ipotizzabile sin dall’antichità grazie ai ritrovamenti archeologici. Segnaliamo in particolare quelli della necropoli di Madrano, località situata nei pressi di Airolo. Qui, a meridione del nucleo principale, sul versante sinistro della valle presso la gola dello Stalvedro, è stata rinvenuta una necropoli dell’età romana (secoli II-III) i cui reperti, in parte esposti presso il Museo di Montebello a Bellinzona, ripropongono il tema affascinante dell’occupazione del territorio alpino nelle epoche più antiche e l’uso dei valichi del massiccio centrale. Due strutture fortificate dominavano la gola durante i secoli medievali: sul fianco sinistro, a poca distanza dalla necropoli di Madrano, il toponimo “Motto Caslascio” ne Airolo: veduta del nucleo e dettaglio del campanile romanico della chiesa dei Santi Nazario e Celso Rovine della fortificazione denominata “Casa dei pagani” sul “Motto Caslascio” presso Madrano ricorda una, mentre sul lato opposto si possono ancora vedere i resti del castello che, secondo la tradizione, sarebbe stato costruito da re Desiderio e che viene ancora oggi chiamato “Casa dei pagani”. Anche gli scavi effettuati nella chiesa dei Santi Nazario e Celso di Airolo hanno fornito preziose indicazioni. La chiesa, pur essendo tra quelle che ha subìto il maggior numero di trasformazioni in Ticino, ha restituito preziose informazioni su questo villaggio dell’area alpina centrale. L’impianto attuale, del 1879, realizzato dopo l’ultimo di una serie di incendi, cela al suo interno diverse tappe costruttive, tra cui quella romanica ancora evidente nell’agile campanile Cappella dei Morti presso il Passo del San Gottardo San Gottardo, vescovo di Hildesheim Abate benedettino, nato nel 961, Gottardo venne nominato vescovo di Hildesheim dall’imperatore Enrico II. A lui si devono la realizzazione della cattedrale e della chiesa di San Michele ad Hildesheim. Gottardo morì nel 1038 e venne canonizzato nel 1131. Protettore contro la gotta, i reumatismi e i segni del vaiolo, il santo vide il suo culto diffondersi anche in Austria e Prussia. Nell’iconografia classica è rappresentato con un modello di chiesa in mano, per ricordare le sue doti di grande costruttore. superstite (metà dell’XI secolo). I recenti scavi hanno portato alla luce le primitive strutture di culto risalenti ai secoli VII-VIII, successivamente ampliate e modificate prima di giungere all’edificio romanico (metà del XII secolo) dotato di un coro semicircolare sopraelevato e di una cripta. Le successive tappe videro trasformazioni e ampliamenti in età tardomedievale (secoli XIV-XV), come pure in epoca barocca e tardobarocca. L’itinerario, interamente segnalato, inizia dalla stazione ferroviaria di Airolo. Fino al Motto di Dentro la mulattiera è stata gravemente compromessa dalla costruzione della nuova strada per il passo che ne ha frammentato il percorso. Non mancano, tuttavia, alcuni segmenti che conservano intatta la loro bellezza: segnaliamo in particolare un tratto selciato nei pressi della cappella a Motto Bartola. Dopo Motto di Dentro si percorrono ancora alcuni interessanti tratti di mulattiera, in particolare nella parte alta. Dove la Valle della Tremola si restringe, la mulattiera costeggia la vecchia strada cantonale costruita dall’ing. Francesco Meschini nel 1830. Prima della cappella dei Morti segnaliamo il ponte ad arco in sasso “di cima” e un’iscrizione nella roccia “1806 SUVOROWII VICTORIIS” che ricorda la battaglia tra francesi e russi durante il periodo dell’Elvetica. Da qui un selciato conduce alla già citata cappella dei Morti che è un piccolo edificio interamente in muratura, a pianta rettangolare e con il lato orientale a semicerchio, appoggiato su un grande masso granitico levigato dal ghiacciaio, a poche decine di metri dal valico. Già esistente ai tempi di San Carlo (1577), la costruzione serviva come luogo di deposizione per i poveri resti delle persone di religione sconosciuta che perivano durante il viaggio. Sull’intonaco interno si scorgono ancora scritte in russo che risalgono al 1799, quando il valico fu teatro di aspri combattimenti fra truppe francesi e austrorusse. Poco oltre la cappella vi è l’Ospizio del San Gottardo e quindi il passo. Il complesso degli edifici costruiti sul valico ricorda l’importanza di questo nodo di transito per la storia dei secoli trascorsi: tra questi sono da ricordare la Vecchia Sosta, monumentale edificio costruito nel 1834 su disegno dell’arch. Domenico Fontana di Cureglia, e l’Ospizio Vecchio, che ingloba una cappella dove nel 1975, durante i restauri, sono stati portati alla luce resti della costruzione romanica e di un edificio preromanico, che ci proiettano ben aldilà dell’inizio del XIII secolo, quando il valico, grazie al superamento della gola della Schöllenen, divenne la più importante arteria di traffico tra i due versanti della catena alpina. La Vecchia Sosta è ora sede del Museo nazionale del San Gottardo aperto solo nei mesi estivi. Sul Passo si trova anche il Museo Forte Ospizio San Gottardo. Consigliamo di prolungare la passeggiata verso il confine con il Canton Uri percorrendo ancora alcuni tratti di mulattiera restaurati recentemente. Passo del San Gottardo: mulattiera e Ospizio dei Cappuccini detto “Ospizio Vecchio” “Ponte di Cima” sulla mulattiera del San Gottardo ITINERARIO 9 Il circuito d’alta montagna interessa la parte superiore della Valle Bedretto, in prossimità del passo della Novena. Di particolare interesse per la natura e il paesaggio. Percorso Dislivello Difficoltà Tempo di percorrenza Carta Punti di ristoro Accesso Riprodotto con l’autorizzazione dell’Ufficio federale di topografia del 30.09.1999 All’Acqua - Cava delle Pigne - Alpe di Cruina - All’Acqua 690 metri Percorso per escursionista allenato 6 ore CN 1251 Bedretto 1:25’000 All’Acqua e capanna Piansecco Con il postale o con mezzi privati fino All’Acqua seguendo la strada della Valle Bedretto Inizio Cartelli escursionistici sulla strada cantonale ad All’Acqua Il sentiero si caratterizza come tipico percorso di montagna, privo di strutture di particolare interesse, ma consigliato per la bellezza dell’ambiente che si attraversa. Punto di partenza del circuito è All’Acqua. Questa località, la più elevata della Valle Bedretto, era stazione di arrivo e di partenza per coloro che affrontavano il superamento dei valichi della Novena e del San Giacomo, e quindi era dotata, almeno dall’età moderna, di una struttura d’accoglienza. Di particolare importanza, per i somieri della Valle Bedretto, era la mulattiera del valico del San Giacomo che consentiva, con qualche guadagno per le economie famigliari, più stabili relazioni economiche con i territori del Novarese e il cui uso è attestato dalla prima metà del XIV secolo (una convenzione tra la Formazza e Bedretto per il traffico è del 1451). I due valichi rappresentavano pure un tragitto alternativo che, aggirando il San Gottardo e la Valle Leventina, evitavano talvolta pure il pagamento dei consueti dazi. Da All’Acqua un sentiero piuttosto ripido conduce alla capanna Piansecco. Da qui si sale verso il laghetto delle Pigne nei cui pressi si trova la Cava delle Pigne. Nell’ampia conca che si distende a occidente del laghetto delle Pigne, sovrastata dalla parete del Poncione di Manió, si scorgono ancora i luoghi di estrazione della pietra ollare che veniva impiegata Cava delle Pigne: blocco pronto per il trasporto e abbandonato sul posto Cava delle Pigne: incisioni datate nella pagina accanto: Oratorio della Visitazione di Maria in Altillone (Val Formazza): affresco rappresentante la Processione al San Gottardo per la costruzione delle pigne, tradizionali mezzi di riscaldamento diffusi non solamente in Leventina, ma anche nella Riviera. A poca distanza dal corso d’acqua che alimenta il lago, uno sperone roccioso reca, con le tracce dei lavori di asportazione, una scritta seicentesca di un anonimo artigiano; pochi metri a oriente del masso, si notano ancora un affioramento di pietra di colore verde-chiaro, come pure alcune fosse dove rimangono un paio di blocchi di pietra squadrati, pronti per essere trasportati a valle. Dalla Cava delle Pigne si ridiscende al Ciurèi di Mezzo; un passaggio asfaltato conduce all’Alpe di Cruina. L’Alpe ancor oggi è proprietà della degagna di Osco (il nome corretto è, infatti, “Cruina di Osco”). Tale singolare proprietà affonda le radici nei secoli centrali del Medioevo (sicuramente agli inizi del XIII secolo), quando le comunità di villaggio della media Leventina si spinsero fin quassù alla ricerca di nuovi pascoli per il bestiame. Edito da: Per informazioni e per ritirare le chiavi delle chiese: ASSOCIAZIONE ARCHEOLOGICA TICINESE Casella postale 4614 6904 Lugano Tel. 091 976 09 26 Fax 091 976 09 27 E-mail: [email protected] http://www.archeologica.ch LEVENTINA TURISMO Airolo tel. 091/869 15 33 lunedì-venerdì 8.15 -12.15 / 14.00 -18.00 sabato 8.15 -12.15 E-mail: [email protected] http://www.leventinaturismo.ch Faido tel. 091/866 16 16 martedì-venerdì 8.30 -11.00/14.00 -17.30 SEGNI CONVENZIONALI Dall’Alpe di Cruina si riprende il sentiero per All’Acqua. Quest’ultimo tratto ricalca in gran parte la via storica che da Airolo conduceva al Passo della Novena. Segnaliamo, poco prima di Formazzora, all’altezza del Ri di Val d’Olgia, il sentiero che sale al Passo del San Giacomo verso la Val Formazza, dove si trova una chiesa dedicata ai Santi Nicolao, Caterina e Giacomo e datata, dopo scavi archeologici, alla fine XVI secolo; scomparso per contro l’ospizio che forse era nelle immediate vicinanze, già citato in documenti quattrocenteschi. Le processioni Una prova certa del prestigio dato al San Gottardo è da leggere nelle processioni o pellegrinaggi che dalle cinque vallate circostanti confluivano alla cappella del passo, secondo scadenze ben precise e invariabili di anno in anno; l’origine di tale usanza risale molto probabilmente al Medioevo. Molte comunità parrocchiali vi si recavano in processione votiva: la Valle Formazza, la Surselva, l’Orsera, il Vallese e Bedretto. Il percorso più lungo era quello compiuto dai formazzini, che il 25 giugno – con qualsiasi tempo – attraverso il passo del San Giacomo e la Val Bedretto percorrevano i 40 chilometri che li portavano all’ospizio. Qui ricevevano cena e alloggio contro un compenso prestabilito in denaro e in natura. Con il tempo tuttavia questa manifestazione perse il carattere devoto e sacro per assumere quello di festa paesana. Fu così che nel 1610 il parroco chiese al vescovo di Novara di sopprimerla. Il vescovo di Novara aderì alla richiesta trasformando il pellegrinaggio votivo al San Gottardo in una processione molto più breve da farsi ogni anno all’oratorio della Visitazione di Maria in Altillone, a condizione che vi si dipingesse un’immagine di San Gottardo. La condizione venne rispettata e così ancora oggi nel piccolo oratorio della Val Formazza si può ammirare il bell’affresco, dove – oltre alla gente in abito seicentesco – vi è raffigurato l’antico ospizio del San Gottardo. BIBLIOGRAFIA • Bianconi P. • AA.VV. Inventario delle cose d’arte Atlante dell’edilizia rurale e di antichità: in Ticino. Le Tre Valli Superiori, Valle Leventina Leventina, Blenio, Rivera a cura di G. Buzzi, Locarno 1995 Bellinzona 1948 • AA.VV. Il Romanico. Aggiornamenti • Butti Ronchetti F. La necropoli romana di 1967-1997 Madrano Bellinzona 1998 (in corso di pubblicazione) • Bianconi P. • D’Alessandri P. La pittura medievale Atti di S. Carlo riguardanti nel Cantone Ticino. la Svizzera e i suoi territori Il Sopraceneri Locarno 1909 (ristampa 1999) Bellinzona 1936 • Gilardoni V. Il Romanico Bellinzona 1967 • Rüsch E. e Cardani R. Affreschi del ‘300-’400 in Leventina Giornico 1995 • Rüsch E. e Cardani Vergani R. Dipinti murali del tardomedioevo nel Sopraceneri. Una scelta ragionata Bellinzona 1998 A cura A cura di diPiergiorgio Piergiorgio Capietti Capietti AAT AAT Testi TestiGiuseppe Giuseppe Chiesi Chiesi UBC UBC Rossana Rossana Cardani Cardani UBC UBC Giulio Giulio Foletti Foletti UBC UBC Massimo Massimo Colombo Colombo IVSIVS Foto FotoElyEly Riva Riva Progetto Progetto grafico graficoAntonio Antonio Tabet Tabet Della Della stessa stessa collana collana– Valle – Valle di di Blenio Blenio – Valle – Valle Riviera, Riviera, Bellinzonese Bellinzonese e Gambarogno e Gambarogno Bancadel delGottardo Gottardo Sponsor SponsorBanca