CN - COMUNE NOTIZIE n. 79 aprile/giugno 2012 Aut. Tribunale di Livorno n. 400 dell’1-3-1984 Redazione: Comune di Livorno Ufficio URP - Pubblicazioni - Rete Civica Piazza del Municipio - 57123 Livorno e-mail: [email protected] Direttore Responsabile: Odetta Tampucci Redazione: Michela Fatticcioni, Claudia Mantellassi, Antonella Peruffo Segreteria: Rita Franceschini Web: Chiara Del Corso, Francesca Simonetti Foto e iconografia: Archivio “CN-Comune Notizie” Archivio fotografico Ufficio URP-Pubblicazioni-Rete Civica, Comune di Livorno Archivio fotografico Beni Culturali del Comune di Livorno Biblioteca Labronica “F.D. Guerrazzi”, Livorno CLAS Archivio Storico del Comune di Livorno Progettazione grafica immagine p. 4: Xerox Spa Foto p. 6: Ciro Russo, U. Programma del Sindaco e Relazioni Istituzionali, Comune di Livorno Progettazione grafica immagine p. 9: Debatte Otello srl Immagini pp. 11-16: Raccolta Famiglia Benifei, ANPPIA Livorno, SVS Livorno (p.g.c.) Immagini pp. 18, 19 e 21: Archivio Istoreco-Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea nella Provincia di Livorno Progettazione grafica immagine p. 42: Stefano Seghetti, U. URP-Pubblicazioni Rete Civica, Comune di Livorno Foto pp. 43 a dx, 44, 48, 50: Pentafoto/Il Tirreno p.g.c. Le foto di pp. 42, 45, 46, 47, 52, 54 sono gentilmente concesse da Alfio Baldi e Valeria Cioni Grafica e codice “CN on line”: Zaki Design, Livorno Immagine di copertina: Dall’alto in basso: gruppo di livornesi a Roma nel 2003 per una manifestazione per la pace (foto di A. Baldi); 10° Distaccamento “O. Chiesa” della 3a Brigata Garibaldi e unità partigiane lungo la via di Popogna il 19 luglio 1944, giorno della Liberazione di Livorno (Biblioteca Labronica “F.D. Guerrazzi”) Grafica, fotolito, impaginazione e stampa: Debatte Otello srl, Livorno Finito di stampare nel mese di maggio 2012 In Internet: www.comune.livorno.it Il Comune di Livorno, ai sensi ed in conformità con il D. Lgs. 196/2003, informa che i dati relativi agli indirizzi degli utenti che ricevono CN - Comune Notizie sono archiviati nel pieno rispetto dei dettami normativi vigenti e saranno utilizzati solo per l’invio della rivista 9 17 33 Margherita Paoletti Garibaldo Benifei. 100 anni di antifascista tra Resistenza e bella politica Margherita Paoletti Tre storie di donne nell’antifascismo livornese Erminia, Osmana, Ubaldina Ezio Papa La scuola nei documenti dell’Archivio Storico Comunale di Livorno Ricordo di Luciano De Majo INSERTI 57 Il nomi per la Libertà R I V I S TA DEL 43 Stefano Gallo Il contributo della città di Livorno alla Resistenza L I VO R N O 6 Alessandro Cosimi 25 aprile 2012. Dai valori della Resistenza e della Costituzione una speranza per una società più equa e moderna DI 4 COMUNE I N T E RV E N T I APRILE GIUGNO 2012 N. 79 n.s. TRIMESTRALE Aut. Tribunale di Livorno n. 400 dell’1-3-1984 I N T E RV E N T I 25 aprile 2012 4 25 aprile 2012. Dai valori della Resistenza e della Costituzione una speranza per una società più equa e moderna di Alessandro Cosimi Sindaco di Livorno Mi piace ricordare oggi una persona che ha tanto contato nelle nostre vite, tra i primi ad entrare a Livorno, liberata, il 20 luglio del 1944, Bino Raugi. Era, allora, un ragazzo che diventò un punto di riferimento. Sindaco per tanti anni, dopo due grandi sindaci come Diaz e Badaloni, uomo che aveva costruito il proprio essere dentro la politica con il sacrificio di una generazione che non aveva nemmeno avuto gli strumenti dello studio. Fautore di un’idea di mondo, collante fortissimo, che si costruiva proiettando i problemi verso una dimensione internazionale. Alcune grandi certezze facevano sentire le persone parte di un progetto di futuro. L’Italia era una nazione che si ricostruiva dentro i valori della Resistenza, riferimento alto per le giovani generazioni, da cui una Costituzione con certi ideali, una sorta di canovaccio, anche per la vita quotidiana. Vi erano, allora, ambiti e modalità precisi, pensiamo allo stato-nazione: oggi ci confrontiamo con un animale indistinto, la globalizzazione, e coloro che spostano le fabbriche e i capitali da un continente all’altro non sono più riferibili a quel tipo di modalità e di risposte. Per questo, oggi, si deve ragionare seriamente di come vive la politica, che ha sì diritto ad essere finanziata in maniera pubblica, ma che perde credibilità sulle modalità del finanziamento ai partiti, I N T E RV E N T I perciò la parola modernità non ci spaventi, altrimenti si scade in un atteggiamento “lazzaronesco”, per cui tutto quello che c’è già è intoccabile, anche se è un benefit che nel tempo si è strutturato partendo da un diritto per divenire una condizione di rendita. Questi sono i punti: i diritti in una città che ha sempre avuto uno spirito fortemente democratico, i doveri che ne derivano, una città, quindi, che senta il peso di dover costruire il futuro con serietà, che avverta una pesante eredità inclusiva. Il razzismo fa breccia, non ci dobbiamo dire che non è vero. Il 25 aprile si festeggia perché fu un giorno di speranza, che si ricostruisce se si pratica un grande rigore etico, e non solo nei conti, da parte di tutti. Ma soprattutto occorre, davvero, garantire equità, valore fondante della Costituzione. Il bassorilievo al partigiano fu collocato in via E. Rossi il 25 aprile 1950; opera dello scultore Giulio Guiggi, rappresenta la figura di un combattente in abiti civili con una catena spezzata tra le mani; ai lati, due lastre di marmo riportano i nomi in bronzo dei partigiani livornesi deceduti nella Resistenza e nella guerra della Liberazione 25 aprile 2012 è sconfitta allorquando un Parlamento invita ai sacrifici, ma li consegna agli altri. Se vogliamo tenere i giovani dentro un’idea di futuro e speranza, che fu quella che mosse tanti al sacrificio in quel 25 aprile, dobbiamo costruire una politica che renda tutti più uguali sul terreno delle opportunità. La mobilità sociale della nostra nazione è la più bassa dal dopoguerra, è praticamente azzerata e le occasioni di quelli che hanno meno sono minori nella qualità e nella quantità. Per alimentare la speranza occorre che il ruolo delle comunità locali non sia mortificato da scelte centrali come il “patto di stabilità” e l’IMU. Serve, allora, una battaglia politica per l’autonomia dei Comuni e per dare loro la possibilità di influenzare il futuro. Qualcuno imputa a Livorno, a sproposito, una incapacità di stare dentro lo sviluppo della politica. Ricordo un altro nome, Barontini. Nell’immediato dopoguerra è stato quel segretario di un partito che aveva capito come la ricostruzione si poteva fare solo se si aveva la capacità di elidere l’essere di parte rispetto ai problemi. Quando si mette un problema sul tavolo, non si discute su chi sta intorno, ma del problema. Dobbiamo recuperare quello spirito. Da quel 25 aprile nasce la Costituzione, che segna una cesura rispetto al passato, ridistribuisce diritti, doveri e opportunità; consente a tutti di essere parte dell’agone politico, stando però dentro un arengo per lo sviluppo dei beni comuni. Livorno ha bisogno di capire che non si può non parlare di modernità della città, non si può avere un progetto se non è riconosciuta la necessità di avere una leadership, per quanto collettiva, con un suo ruolo e in grado di decidere. Consapevoli che, quando si decide (dal latino deciduo cioè dividere), qualcuno sarà più contento e qualcun altro meno. L’irruzione dei giovani nel mondo del lavoro avviene attraverso una redistribuzione diversa della ricchezza, 5 Il contributo della città di Livorno alla Resistenza di Stefano Gallo Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea, Livorno I N T E RV E N T I Livorno e la Resistenza 6 Gli studi sulla Resistenza stanno attraversando in Italia una fase molto particolare. L’impressione è quella di trovarsi in mezzo a un guado: da una parte sono state superate ormai le maglie strette di una visione “monumentale”, troppo ancorata a rigidi schemi interpretativi; dall’altra questo percorso, avviato da una ventina di anni, ha stentato a tradursi in una serie soddisfacente di studi locali sul fenomeno resistenziale nel suo complesso, che potesse sostituire ai vecchi canoni una nuova sensibilità. In questa situazione, il lavoro di sintesi più avvertito di quest’ultima stagione storiografica, quello di Santo Peli1, avrebbe bisogno di una verifica sul campo che solo l’immersione nelle diverse dimensioni territoriali può produrre. Parlare dei limiti della Resistenza, accanto alle sue grandezze, pone ancora dei problemi a livello locale; in Toscana solo un recente lavoro sulla Lunigiana è andato in questa direzione2. Per quel che riguarda Livorno la mancanza è particolarmente sentita, proprio per comprendere le peculiarità del contesto cittadino. L’esistenza, ad esempio, di un CLN livornese che, rispetto al modello della “esarchia romana” (in cui erano previsti rappresentanti comunisti, repubblicani, socialisti, democristiani, liberali e azionisti), vide anche la presenza degli anarchici e dei cristiano-sociali, non può che accendere degli interrogativi sulla complessità e la varietà della partecipazione alla Resi- stenza a Livorno tra il 1943 e il 1944. Eppure, le condizioni logistiche per condurre dentro la città delle attività di opposizione all’occupazione tedesca e al potere fascista erano minime. È stato scritto, in maniera suggestiva, che a Livorno l’opposizione e la resistenza [erano] costrette dentro un fazzoletto di terra a ridosso di una città morta ed impraticabile3. E in effetti il 1943 fu un annus horribilis per la storia della città: luogo di imbarco per il materiale bellico che doveva servire all’esercito italiano e a quello tedesco per sostenere le battaglie contro gli Alleati nell’Africa settentrionale, il porto di Livorno fu sottoposto a una serie di bombardamenti devastanti per l’intera città, di cui si ricorda in particolare quello del 28 maggio. Le vicende successive non fecero che aggravare la situazione: i combattimenti successivi all’8 settembre con il tentativo di resistenza all’occupazione tedesca da parte delle truppe italiane (e l’uccisione, tra gli altri, del maggiore Gian Paolo Gamerra a Stagno), così come l’istituzione da parte dei comandi nazisti della “Zona nera” il 12 novembre, che imponeva per decreto lo sgombero completo del porto e del centro urbano, contribuirono ad annichilire la vita nella città portuale. La storia della guerra di liberazione a Livorno non può prescindere da questi elementi, dalla vicenda di un tessuto urbano devastato dalle bombe e dalle truppe tedesche. Il valore della Resistenza sta an- I N T E RV E N T I Vittorio Cioni, presidente della sezione di Livorno dell’ANPI Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, interviene alla cerimonia del 25 aprile 2012 cembre 1943 i vertici della RSI nominarono alla carica di prefetto Eduardo Facdouelle, persona che rassicurava i tedeschi in quanto a efficacia repressiva. Gli effetti non si fecero attendere: dall’omicidio di Oberdan Chiesa, già detenuto nel carcere di Pisa, come ritorsione all’omicidio di un carabiniere, il 29 gennaio 1944, all’arresto dei patrioti che si trovavano a “casa Manna”, il 21 gennaio. Quest’ultimo fu probabilmente il colpo di grazia per l’esistenza di un’organizzazione attiva nel centro di Livorno: venne meno un nucleo importante di antifascisti costituito, tra gli altri, da Fortunato Garzelli, Aldo Agostinelli e Otello Frangioni. L’impegno dell’attività resistenziale si concentrò allora sulla parte meridionale della provincia di Livorno, dove le possibilità per lo sviluppo di formazioni partigiani erano più favorevoli: i contatti con le formazioni operanti in Val di Cornia, nell’Alta Maremma e nella provincia di Pisa, avvennero grazie agli sforzi di Dino Frangioni e Garibaldo Benifei. Livorno e la Resistenza che in questo: nella capacità di rinascere dalle rovine provocate dal fascismo e dalla tragedia bellica, creando un nuovo tessuto connettivo a partire dai germi diffusi dell’antifascismo. Le bombe e i nazisti non poterono infatti rimuovere la storia di una città che, oltre alla famiglia Ciano, aveva espresso anche una forte opposizione antifascista nel Ventennio appena trascorso: dall’omicidio dei fratelli Pietro e Pilade Gigli e del consigliere comunale Luigi Gemignani nell’agosto 1922, agli oltre 2.000 schedati livornesi al Casellario politico centrale, all’esperienza dell’esilio e del carcere degli antifascisti, ai molti processi del Tribunale speciale per la difesa dello stato contro l’organizzazione comunista livornese4. In molti casi gli antifascisti militanti nel movimento comunista clandestino nel corso degli anni trenta ebbero poi anche un ruolo nel movimento resistenziale, non solo a Livorno: si pensi a Ilio Barontini, a Oberdan Chiesa o ad Aramis Guelfi. L’opposizione al fascismo divenne in effetti molto diffusa. Alcuni dati sull’adesione alla Repubblica di Salò sono estremamente significativi: nel novembre 1943 un bando per l’arruolamento obbligatorio nell’esercito repubblichino si rivolse ai 1500 giovani delle classi 1923-1925; a dicembre risultò essersi presentato meno del 10% degli interessati. Secondo relazioni d’epoca, circa 500 giovani raggiunsero i distaccamenti partigiani, passando dalla località Castellaccio, dove venne costituito un Comando di tappa dal novembre 1943 insieme ad alcune Squadre di azione patriottica: si trattava delle organizzazioni armate resistenziali più vicine al centro di Livorno, in cui operavano, tra gli altri, Nelusco Giachini e Bruno Bernini. Non è un caso se, a seguito dello scarso successo del bando sopra citato, nel di- 7 I N T E RV E N T I Livorno e la Resistenza Aprile - Maggio 1944: si costituisce il 10° Distaccamento “Oberdan Chiesa” della 3a Brigata Garibaldi in località Castellaccio - Quarata. L’unità raggiunse in poco tempo la consistenza di quasi 130 partigiani ed operò in collaborazione con le S.A.P. all’interno della città e nei paesi vicini, in particolare Gabbro, Nibbiaia, Quercianella, Rosignano Marittimo e Rosignano Solvay, Castelnuovo della MIsericordia Nello stesso tempo un’altra rete di azione si stava dipanando dal comune di Livorno, fornendo sostegno ai soldati alleati dispersi, ad alcuni gruppi di ebrei e fungendo da base operativa per delle missioni dei servizi militari del Sud Italia dirette negli Appennini: quella che faceva riferimento al movimento dei cristiano-sociali e alla figura di Don Roberto Angeli, arrestato poi nel maggio del 1944 e deportato nel campo di Mauthausen e poi a Dachau. Il padre di Don Angeli fu a sua volta arre- 1 2 3 8 4 stato mentre trasportava mappe e informazioni sui sistemi difensivi tedeschi. Il Comando di Tappa del Castellaccio divenne il cosiddetto 10º distaccamento della 3ª Brigata Garibaldi, intitolato a Oberdan Chiesa. Nel giugno 1944, una parte del personale della questura di Livorno disertò e, sotto il comando del tenente Vittorio Labate, si avviò, scortata da alcuni partigiani, per unirsi alla formazione del 10º distaccamento: catturati dai tedeschi, la vicenda si concluse con la fucilazione di 8 militari. Mentre procedeva l’avanzata alleata, l’importanza della Resistenza divenne sempre più evidente: i partigiani furono decisivi nelle azioni di contrasto ai tedeschi e nel mostrare il territorio alle truppe alleate per accelerare il processo di liberazione. Dopo la battaglia di Rosignano del 12 luglio, l’obiettivo per gli angloamericani divenne Livorno, la cui liberazione fu preceduta da un accerchiamento della corona di paesi che vanno dal Castellaccio a Collesalvetti. Il contributo alla liberazione di Livorno venne proprio dai partigiani del 10º distaccamento: il 19 luglio 1944 entrarono a Livorno per primi, insieme agli uomini del CLN che accompagnavano gli americani. Santo Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Torino, Einaudi, 2004. Michele Fiorillo, Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945, Roma-Bari, Laterza, 2010. Cesare Ciano, La Torre del Castellaccio. Una popolazione marinara nella Resistenza: dal porto industriale di Livorno al Colle di Montenero (1943-1944), Livorno, Nannipieri, 1990, p. 48. Ivan Tognarini (a cura di), Livorno nel XX secolo. Gli anni cruciali di una città tra fascismo, resistenza e ricostruzione, Firenze, Polistampa, 2005. Garibaldo Benifei. 100 anni di un antifascista tra Resistenza e bella politica di Margherita Paoletti Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea, Livorno Da Campiglia a Livorno: gli anni della formazione Garibaldo Benifei nasce, ultimo di dodici figli, il 31 gennaio 1912 a Campiglia Marittima. Il padre, Garibaldo, proviene da una famiglia di Monterotondo Marittimo ed è iscritto al Partito Repubblicano: purtroppo, morirà tre mesi prima della sua nascita. La madre si chiama Maria Mariani. La famiglia Benifei si trova da subito a vivere in difficilissime condizioni economiche: la bottega di calzolaio del padre, alla sua scomparsa, passa in gestione al figlio maggiore, Antonio; il secondogenito, Rito, lavora come muratore. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Antonio e Rito vengono chiamati alle armi. Ritorneranno a casa il primo, precedendo di poco l’armistizio del 1918, perché ferito e con la tubercolosi (che lo ucciderà nel 1926, a soli trentatre anni) e il secondo, dopo esser stato anche arrestato e aver trascorso un periodo in carcere per aver partecipato ad una riunione anarchica nel corso di una licenza. Di diverse idee politiche ma legatissimi, l’uno socialista, l’altro anarchico, i due fratelli nell’immediato dopoguerra si impegnano nella lotta politica locale con grande passione. In quegli anni, infatti, a Campiglia erano in atto forti scontri per le rivendicazioni del movimento dei contadini della Val di Cornia nei confronti dei proprietari terrieri e il Partito Socialista, molto presente sul territorio, nel 1919 conquista la maggioranza assoluta. Antonio viene eletto consigliere comunale. Dal 1920, tuttavia, le cose cambiano: le squadre fasciste cominciano a fare irruzione nelle case, distruggono le sedi di partito, le cooperative, aggrediscono i rappresentanti delle associazioni dei lavoratori, defenestrano il Sindaco. La casa di via Cavour, dove vivono i Benifei, viene incendiata una prima volta nel giugno del 1921 e una seconda volta nel luglio del 1922 dai fascisti, che irrompono in cerca di Antonio e Rito, i quali avevano già trovato rifugio a Livorno. Al resto della famiglia (Garibaldo, la madre, il fratello Eros e le altre tre sorelle) viene intimato di lasciare il paese entro poche ore. Così dalla stazione di Campiglia, una sera di luglio del 1922, Garibaldo raggiunge Livorno per la prima volta. Qui trascorre l’estate abitando in via Serristori, nel quartiere popolare e fortemente democratico di piazza Cavallotti, poi torna a Campiglia per l’inizio della scuola: pur essendo ancora bambino, al funerale del fascista Libero Turchi si rifiuta, insieme al La brochure dedicata dal Comune di Livorno, in collaborazione con l’ISTORECO, a Garibaldo Benifei per i suoi 100 anni e presentata durante la festa di compleanno che si è svolta al Teatro C il 31 gennaio 2012 9 I N T E RV E N T I Garibaldo Benifei 10 compagno di banco, di appuntarsi il nastrino tricolore sul grembiule, scegliendone invece uno rosso e nero, i colori del movimento anarchico. Nell’aprile del 1923 si trasferisce definitivamente a Livorno. Per aiutare economicamente la famiglia, a dodici anni lascia la scuola e comincia a lavorare come “portantino” presso la Vetreria Rinaldi, in quella che è oggi via Mastacchi, insieme al fratello Eros: vi rimane tre anni, durante i quali partecipa alla sua prima riunione sindacale e allo sciopero indetto dagli operai anziani organizzatisi per protestare contro le difficili condizioni di lavoro nella fabbrica, la misera paga e l’ambiente malsano. Licenziatosi dalla Vetreria, Garibaldo viene assunto come garzone, prima al bar Bizzi in via Solferino (luogo di ritrovo degli antifascisti livornesi, dalle cui animate discussioni politiche, per quanto ancora in giovane età, il ragazzo rimane fortemente affascinato), poi al caffè Bristol, all’angolo di piazza Cavour (frequentato invece da molti gerarchi fascisti, trovandosi la sede della federazione livornese del Partito nazionale fascista ai piani superiori del palazzo). In molte interviste Garibaldo ricorda come, proprio facendo il garzone al Bristol, assistette nel 1927 al passaggio da piazza Cavour della banda della sezione giovanile della Pubblica Assistenza (Società Volontaria di Soccorso) e alla reazione sorpresa del presidente dell’Opera Nazionale Balilla, Galeotti, che sedeva ai tavoli, per il fatto che l’associazione (di cui tra l’altro Garibaldo faceva parte dal 1923) fosse ancora in piedi, nonostante con le “leggi fascistissime” si fosse ordinata la chiusura di tutti i partiti e di tutte le forme di associazionismo ritenute politicamente avverse al regime. E di lì a qualche giorno, infatti, anche la sezione giovanile della S.V.S. venne sciolta. L’antifascismo militante e il carcere Il passaggio da quel generico senso di ingiustizia e di risentimento nei confronti del fascismo in generale, delle sue repressioni e continue violenze, all’impegno diretto nella politica attiva e nelle file del Partito Comunista si ha nel 1931, quando il fratello Eros (che all’insaputa del resto della famiglia nel 1928 era entrato nell’organizzazione clandestina del PCI) di ritorno da Parigi gli chiede di recapitare a Roberto Vivaldi, già conosciuto da Garibaldo nella Pubblica Assistenza e attivista del partito, del materiale di propaganda fatto entrare di nascosto dalla Francia: volantini, manifesti, copie de “L’Unità”, di “Stato Operaio”. Negli anni immediatamente successivi l’impegno politico clandestino di Garibaldo si fa sempre più vivo e attivo. Del suo stesso nucleo (le strutture di base non erano mai composte da più di cinque persone) fanno parte Giovanni Martelli, Otello Frangioni, Giovanni Tantardini e Renzo Tamberi. Gli stessi, Garibaldo compreso, sono anche i dirigenti della Federazione giovanile del PCI i quali, in occasione dei funerali del comunista Mario Camici, tenutisi nel luglio del 1933 (che non furono una semplice cerimonia funebre, ma una vera e propria manifestazione silenziosa contro il regime di tutte le forze antifasciste livornesi, non solo comuniste), ricevono il compito di coinvolgere e far scendere in piazza il maggior numero possibile di giovani. La manifestazione ha successo, ai funerali partecipa un numero imponente di livornesi e la polizia fascista non interviene. Garibaldo viene arrestato la prima volta nel luglio del 1933: lo prelevano dalla casa di piazza Guerrazzi (sua madre è già gravemente malata e morirà di lì a poco, sen- I N T E RV E N T I cupava, oltre che delle sottoscrizioni per il soccorso rosso, anche del materiale di propaganda a stampa, è nuovamente arrestato. Nel marzo del 1940 è a Roma, processato dal Tribunale Speciale, dal quale viene condannato a sette anni per il reato di attività sovversiva. Nei primi di giugno del 1940 è trasferito nel carcere di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena. Qui Garibaldo e gli altri “politici”, quasi tutti militanti del PCI, detenuti insieme a lui, costituiscono una sorta di cooperativa, in cui viene messo in comune tutto ciò che i parenti di ciascuno riescono a inviare, soldi compresi. A Castelfranco trascorre tre lunghi anni, mentre in lui crescono, alle notizie che giungono dall’esterno sull’andamento del conflitto (prima l’avanzata dell’esercito tedesco, poi i bombardamenti, finché, con la fallita campagna di Russia, la guerra sembra cambiare segno e se ne comincia a intravedere la fine) il senso di irrequietudine e di preoccupazione per le sorti del paese. La scarcerazione arriva finalmente il 26 agosto del 1943, un mese dopo la caduta di Mussolini. 1934. Garibaldo Benifei all’epoca del primo arresto: foto segnaletica e scheda del Casellario Politico Centrale Garibaldo Benifei za poterlo rivedere) e lo portano in Questura, dove è picchiato selvaggiamente. Trasferito a Roma, viene condannato dal Tribunale Speciale a un anno di reclusione per il reato di propaganda comunista. Trascorre un periodo a Regina Coeli, poi chiede il trasferimento a Livorno, che gli viene concesso, ma in regime di isolamento, presso il carcere dei Domenicani, dove tra gli altri ha modo di incontrare e conoscere il futuro Presidente della Camera e Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Esce dal carcere nell’estate del 1934 e trova lavoro in una fabbrica di radiatori. L’attività politica di opposizione al regime riprende quasi subito e, dopo la battuta di arresto del 1935 (anni di massima affermazione e violenza del regime fascista in Italia, in cui il numero degli attivisti comunisti livornesi, e non, è forzatamente decimato, con il partito in seria difficoltà), si fa ancora più intensa per Garibaldo e molti altri giovani livornesi, negli anni tra il 1936 e il 1939, sull’onda dell’entusiasmo per gli avvenimenti di Spagna, con le vittorie del fronte repubblicano. Ed è solo per un caso fortuito che una sera, alla fine del 1937, sfugge all’arresto e al confino, mentre insieme ad altri compagni stava per imbarcarsi su un grosso motoscafo che dal Calambrone doveva raggiungere, appunto, la Spagna, in cui era fermamente deciso a recarsi per combattere contro i franchisti. Alla fine di agosto del 1939 il gruppo dirigente livornese del Partito Comunista decide di mandare in stampa ben diecimila volantini contro la guerra, sentita ormai come imminente (e infatti il 1 settembre la Germania invaderà la Polonia) e contro le violenze del nazi-fascismo. Alla diffusione dei volantini, la milizia fascista reagisce in modo immediato e durissimo e Garibaldo, che nelle sue attività clandestine si oc- 11 I N T E RV E N T I Garibaldo Benifei 12 Estate 1944. Garibaldo (primo da sinistra) è inviato tra Castagneto Carducci e San Vincenzo come vice commissario politico della Divisione interprovinciale garibaldina. Qui è con Benvenuto Bucci (a cavallo, comandante del III distaccamento), Italo Bargagna e Mario Lenzi La lotta partigiana e la Liberazione Garibaldo lascia Castelfranco e rientra così a Livorno, che trova sfigurata e distrutta dai bombardamenti e dalla guerra. Entra da subito nella Concentrazione antifascista (nucleo originario del Comitato di Liberazione Nazionale livornese, a cui aderiscono non solo comunisti, ma anche persone provenienti da altre forze politiche, più alcuni intellettuali come Badaloni, Diaz, Comi). Si discute sulla possibilità di dar vita a una resistenza attiva, ad una vera e propria lotta armata, soprattutto perché dopo l’8 settembre c’era la possibilità che i tedeschi, da alleati che erano, passassero ad aggredire la popolazione. Tra il settembre e l’ottobre del 1943 nasce ufficialmente, seguendo le indicazioni dei dirigenti nazionali, il C.L.N. livornese: nella suddivisione dei vari incarichi, Garibaldo deve mantenere i collegamenti tra il Comitato di Liberazione dell’area di Livorno e quelli degli altri paesi, sia della provincia sia dell’area pisana. Fino all’estate del 1944 prende parte attivamente, nelle file partigiane, alla guerra di liberazione. Intanto il C.L.N. comincia a diventare una realtà sempre più interprovinciale e Garibaldo riveste il ruolo di ufficiale di collegamento tra i vari gruppi e Comitati locali. Nel gennaio 1944 nasce la Divisione interprovinciale garibaldina (che mette insieme la III Brigata, attiva tra Livorno e Pisa, e la XXIII Brigata, che comprendeva una vasta zona tra Firenze, Siena, Volterra e Grosseto) e Garibaldo ne è nominato vice commissario politico. Durante l’estate del 1944 è inviato con Italo Bargagna a coordinare le azioni e le attività dei distaccamenti tra Livorno e Grosseto. Spostandosi tra Castagneto Carducci e San Vincenzo, oltre a riorganizzare i compiti dei distaccamenti, si sforza insieme a Bargagna di rendere i partigiani più consapevoli del significato della lotta armata di liberazione e cerca di spiegare quale dovesse essere la loro condotta illustrando il programma del C.L.N. Alla fine di giugno il Comando militare alleato comunica, tramite il colonnello Croce, che le formazioni partigiane devono essere sciolte e disarmate: viene consentito soltanto l’impiego di alcuni uomini come guide, la costituzione di una guardia civica per l’ordine pubblico e l’istituzione di alcuni comandi di tappa. Garibaldo, insieme agli altri, chiede con insistenza che si lasci proseguire ai partigiani la loro lotta insieme all’esercito alleato, ma non ottiene l’approvazione e così si conclude la sua esperienza nella Resistenza. Fa allora ritorno a Vada, dove prende contatti con il Comitato federale del PCI, che stava preparando la ricostituzione degli organi locali del partito e discutendo della ormai prossima riorganizzazione della vita civile, e finalmente a Livorno, proprio il giorno dopo la liberazione della città dai tedeschi (avvenuta il 19 luglio 1944). Osmana Garibaldo Benifei nel periodo della ricostruzione bino, dove giunge loro la notizia della fine della guerra e dell’avvenuta, definitiva, liberazione del Paese. La gente dappertutto è in festa e i comizi che si tengono in quei giorni di grande entusiasmo per tutti sono affollatissimi. I N T E RV E N T I Giugno 1946. A Castellaccio insieme ai compagni del Comitato federale del PCI livornese: la bambina tenuta in braccio è Lidia, figlia di Garibaldo e Osmana (rispettivamente alla sua destra e in piedi, dietro di lei) Garibaldo Benifei In quella stessa estate del 1944 comincia a frequentare Osmana Benetti, colei che è diventata ed è tuttora la compagna della sua vita. Anche lei militante nel PCI, nel 1943 aveva preso parte alle lotte partigiane con funzioni di collegamento e di diffusione del materiale di propaganda e nel 1944 era impegnata come organizzatrice e protagonista dei Gruppi di difesa delle donne. Garibaldo e Osmana, dopo essersi conosciuti presso la federazione, allora in via del Parco, si fidanzano e in breve tempo decidono di sposarsi. Il matrimonio è celebrato il 24 gennaio 1945 dal sindaco Furio Diaz, nella casa comunale del Villaggio di Ardenza. Gli operai del Cantiere Orlando forgiano personalmente le fedi in acciaio, i compagni del PCI regalano agli sposi 3.000 lire, in un cofanetto di alabastro. Inizia così un sodalizio di vita nutrito non solo dall’amore reciproco, ma anche dalla condivisione dei valori di libertà e giustizia sociale. Nei mesi successivi alla Liberazione, Garibaldo continua ad impegnarsi nell’attività politica ed entra nella Commissione di organizzazione. Nel febbraio del 1945 viene inviato dal partito insieme ad Osmana per risolvere alcune questioni delle locali sezioni, prima all’Isola d’Elba e poi a Piom- Garibaldo e Osmana, nei primissimi anni della ricostruzione, a Livorno in via Magenta (alle loro spalle la Chiesa di Santa Maria del Soccorso) 13 L’impegno nella cooperazione e nella solidarietà I N T E RV E N T I Garibaldo Benifei Prima metà anni cinquanta. Benifei parla a un convegno della Lega delle Cooperative. Alla sua destra c’è Giglia Tedesco (dirigente della Lega Nazionale) 1955. Benifei (primo da destra, in prima fila) partecipa a Roma al 24° Congresso Nazionale della Lega delle Cooperative e delle Mutue Garibaldo Benifei in vari momenti di impegno politico Insieme ai volontari della SVS di Livorno 14 A Piombino, nel difficile scenario della ricostruzione, gioca un ruolo fondamentale il movimento cooperativo, in particolare la cooperativa “La Proletaria” presieduta da Angelo Albano. Gran parte del ruolo di Garibaldo all’interno del partito, in quegli anni, è proprio volto al rafforzamento di questa realtà che, nel periodo successivo alla Liberazione, conosce un rapidissimo sviluppo, non solo nella zona di Piombino, ma anche in tutta Livorno e provincia. Nascono cooperative e aggregazioni di cooperative nel settore della produzione, dei servizi e di consumo. Nel 1946 è eletto Presidente provinciale della Lega delle Cooperative e in seguito entra anche nel Consiglio Generale della Lega nazionale: compito che Garibaldo svolge con grande passione e impegno, perché da sempre convinto che la pratica della cooperativa fosse la realizzazione piena e soprattutto concreta di molti degli ideali di unità e fratellanza che erano stati alla base delle lotte antifasciste e della Resistenza. Nel 1948, a causa anche del mutato clima politico - siamo nel pieno della Guerra fredda - Garibaldo è accusato insieme a molti altri responsabili di organismi cooperativi di violazione delle leggi sui dazi doganali (per una questione di “pacchi dono” inviati dagli Stati Uniti). Si trova così nuovamente, dopo gli anni del regime, a vivere in clandestinità per circa un anno e, quando si presenta in tribunale il giorno del processo, viene arrestato e costretto a trascorrere tre giorni nel carcere dei Domenicani. È condannato a tre mesi di reclusione: in appello però la pena gli viene cancellata e può riprendere i suoi incarichi ai vertici del movimento e all’interno del partito. Nel 1957 Garibaldo è uno dei soci fondatori dell’ARCI (Associazione Ricreativa e Culturale Italiana), di cui firma personalmente l’atto costitutivo a Firenze. Da sempre impegnato nelle attività di assistenza ai più deboli e nel volontariato, ricopre negli anni successivi a Livorno vari incarichi direttivi: principalmente nell’ECA (Ente Comunale di Assistenza) e nella Società Volontaria di Soccorso. Dell’ECA di Livorno (ente comunale che aiutava le persone in difficoltà fornendo sussidi alle famiglie più bisognose, mettendo a disposizione una mensa e numerose altre attività) è nominato Presidente verso la metà degli anni settanta, succedendo ad Ernesto Santopadre. È sua l’iniziativa di far nascere, nei locali di fianco alla sede dell’associazione, un asilo per i bambini intitolato a Primetta Marrucci. Nella Società Volontaria di Soccorso di Livorno, invece, dove è iscritto alla sezione giovanile sin dall’età di undici anni, rimane volontario in servizio attivo per un lungo periodo. Verso il futuro: i giovani nel villaggio globale Garibaldo, credendo fermamente nei valori della difesa della pace, dei diritti umani, della solidarietà internazionale e del rispetto tra i popoli e convinto che “una società dove molti sono gli esclusi è una società senza futuro”, è anche uno dei fondatori dell’Associazione Livornese di Solidarietà con il Popolo Saharawi (è ancora oggi nell’esecutivo) e soprattutto è da sempre un soggetto attivo nella concretizzazione della politica dell’accoglienza. Dal 1993 l’Associazione promuove scambi interculturali tra bambini e famiglie, gemellaggi, adozioni a distanza e molteplici altre iniziative finalizzate a costruire una solidarietà concreta tra il popolo Saharawi e quello livornese, nell’ottica di un sempre più ricco e reciproco avvicinamento I N T E RV E N T I 2007. Il Sindaco Alessandro Cosimi conferisce a Garibaldo Benifei la Livornina d’ Oro Garibaldo Benifei Partecipa, già dagli anni sessanta, allo sviluppo del movimento regionale e nazionale delle Pubbliche Assistenze, in cui ricopre anche incarichi dirigenziali. Dal 1981 al 1987 viene nominato Presidente della S.V.S.: in questi anni fa ristrutturare la vecchia sede dell’associazione, ancora danneggiata dalla guerra e dai bombardamenti, provvede all’apertura di nuovi ambulatori tuttora attivi, istituisce il primo servizio con medico a bordo in ambulanza, organizza grandi campagne di raccolta fondi. Al termine del mandato continua la sua partecipazione alla vita dell’associazione anche nel ruolo attivo di Presidente del Collegio dei Probiviri (organo di garanzia della S.V.S.), che mantiene ancora oggi. 15 I N T E RV E N T I Garibaldo Benifei insieme al gruppo dei dirigenti dell’ANPPIA di Livorno. Vicino a lui, la moglie Osmana, fedele compagna della sua vita Garibaldo Benifei in un’immagine privata Garibaldo Benifei 16 Con Osmana, negli anni della maturità Primi anni cinquanta. Con la moglie Osmana ed i figli Lidia e Maurizio tra queste due culture così differenti. Nel 2002 riceve una targa d’argento dal Comune di Livorno come riconoscimento per il suo impegno civile, la difesa della democrazia e la continua testimonianza ai giovani dei valori di libertà e giustizia. Nel 2007 gli viene conferita, insieme a Dino “Bino” Raugi, la Livornina d’Oro, la più importante onorificenza della città. Dal 4 dicembre 2007 è presidente onorario dell’Istituto Storico della Resistenza e della società contemporanea nella provincia di Livorno. Ma l’impegno più appassionato di Garibaldo dal dopoguerra ad oggi è quello all’interno dell’Associa- zione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti (ANPPIA), di cui è fondatore a livello nazionale con Umberto Terracini, e Presidente, a Livorno, fino ai giorni nostri. È un impegno assiduo nel portare testimonianza di storia e di vita nelle scuole: interviste, progetti, viaggi con le classi sui luoghi degli eccidi fascisti e nazisti, affinché i giovani comprendano i valori dell’antifascismo, della giustizia, della libertà che sono stati alla base delle sue scelte di lotta e di vita, ma anche rivolto alla salvaguardia continua ed ininterrotta dei principi su cui si basa la Costituzione repubblicana. Il testo si basa sul volume di Garibaldo Benifei Per la libertà. Trent’anni di memorie fra antifascismo, Resistenza e cooperazione (1920 - 1950) (Livorno, Debatte Otello, 1996) e su interviste e testimonianze orali raccolte e depositate presso l’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea nella provincia di Livorno. Tre storie di donne nell’antifascismo livornese Erminia, Osmana, Ubaldina Quando si parla di antifascismo, di Resistenza, delle lotte compiute per la liberazione del paese dal regime fascista e dall’occupazione tedesca, non si può non parlare di donne. E le donne livornesi, come in tutte le altre parti d’Italia, hanno dato un fortissimo sostegno alle azioni dei partigiani. Le donne nelle fila della Resistenza sono state soprattutto “staffette”: quelle che trasportavano materiale di propaganda, si davano da fare a raccogliere viveri e cibo per i partigiani sulle montagne, rammendavano loro i vestiti, procuravano i medicinali, spesso le armi, fabbricavano documenti falsi, si occupavano dei feriti e a volte anche di lavare e aver cura dei morti. Le chiamano solo “staffette”, ma tutte, anche quelle che scelsero di non imbracciare le armi direttamente e che non vivevano in formazione, sono state “combattenti” in tutti i sensi: chi per amore, chi per un sentimento di rivalsa nei confronti delle violenze dei fascisti e dei tedeschi oppressori, chi per scelta politica, chi per una comprensione più profonda dell’insegnamento cristiano. Queste donne coraggiose e appassionate che hanno più o meno consapevolmente scelto di rischiare la propria incolumità e la propria vita (o anche soltanto la propria reputazione, sfidando le radicate regole sociali e familiari) hanno “combattuto” a tutti gli effetti per dare il loro contributo alla liberazione del paese, alla difficile ricostruzione che ne è seguita e all’arricchimento della vita politica e sociale. La Resistenza è vissuta dalla maggior parte di loro anche come un viaggio di progressiva conquista di diritti e di libertà: attraverso questa esperienza le donne si ritrovano ad essere non solo più consapevoli dei propri mezzi, ma, per la prima volta, ad avere coscienza dei propri diritti. Comprendono che possono lottare per essi, interessarsi e persino partecipare alla vita politica. Molte, nel dopoguerra, intraprendono un percorso di vera e propria emancipazione, entrano in associazioni che svolgono varie attività, principalmente politiche, ma anche sociali e di assistenza, soprattutto rivolte alla cura dell’infanzia e all’educazione. Donne nell’antifascismo livornese Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea, Livorno I N T E RV E N T I di Margherita Paoletti 17 “Mi sento mamma di tutti” Erminia Cremoni, l’angelo dei bisognosi con le “rotine sotto i piedi” I N T E RV E N T I Donne nell’antifascismo livornese 18 Quello di Erminia Cremoni (1905-1956) è uno degli esempi di queste vite donate agli altri, una vita in cui si trovano strettamente intrecciati tra loro i valori della lotta antifascista con quelli del laicato cattolico degli anni trenta, fino al dopoguerra inoltrato. Livornese, di famiglia molto modesta, fin da bambina Erminia è iscritta all’Azione Cattolica e partecipa con grande slancio ed entusiasmo a tutte le attività parrocchiali e spirituali dell’associazione. Nel 1932 rompe un fidanzamento e da quel momento decide di dedicare la sua vita all’apostolato e alle opere assistenziali: sono anni intensi e vissuti “con le rotine sotto i piedi”, come lei stessa scrive nel suo diario, spostandosi continuamente per portare aiuti pratici e conforto spirituale tra i bisognosi di ogni ceto, nelle carceri, nei quartieri più poveri della città, nelle fabbriche, negli ospedali. Erminia presto si avvicina al movimento dei cristiano sociali, che a Livorno è dominato dalla figura luminosa di Don Angeli, il sacerdote antifascista militante che, oltre a essere vicino al gruppo della divisione toscana di Giustizia e Libertà, era promotore anche di un tipo di resistenza ideologica e culturale: sue erano le conferenze, nei primi anni quaranta, tenute al Cenacolo di Santa Giulia, finalizzate a dimostrare che “Dio creò l’uomo, non l’uomo ariano”. Insieme al gruppo di Don Angeli, dopo l’8 settembre 1943, la Cremoni partecipa ad azioni Erminia Cremoni di rifornimento e assistenza a un gruppo di soldati italiani scampati alla cattura tedesca, che si erano rifugiati nei sotterranei dell’ospedale di Livorno, e fino al giugno del 1944 fa la stessa cosa per un altro gruppo di circa 90 ebrei nascosti in una palazzina di via Micali, percorrendo una o due volte alla settimana circa 20 chilometri a piedi da Montenero, anche sotto i bombardamenti. Unisce attività spirituali e trasporto di volantini, armi, medicinali e viveri ai gruppi partigiani cristiani nella zona: nella sua grande borsa, sotto gli opuscoli dell’Azione cattolica, porta nascoste veline e informazioni da consegnare, a volte rimanendo anche coinvolta in conflitti a fuoco. Dopo la guerra, e fino alla morte avvenuta nel 1956, continua a dedicarsi senza sosta alle opere di assistenza ai più deboli: fonda e presiede il CIF (Centro Italiano Femminile), fa parte del Comitato Livornese di Assistenza, è eletta nel 1946 in consiglio comunale nella lista della Democrazia Cristiana. Resistere, ricostruire, ricordare: Osmana Benetti, una vita in prima fila I N T E RV E N T I ca), specialmente della madre, che a volte la chiude in casa perché Osmana, nelle sue attività di staffetta, sparisce fino a tardi o si incontra con compagni maschi più grandi di lei. Nel gennaio del 1944, tuttavia, grazie proprio alla madre che quella volta non le permette di uscire, sfugge all’arresto: tutti gli altri 28 partecipanti alla riunione clandestina che si doveva tenere a casa di Aldemara Filippi Manna, a causa di una soffiata, sono imprigionati. In quegli anni Osmana, su indicazione del partito, organizza molte assemblee per parlare alle altre donne: si discute su come meglio dare il proprio sostegno ai partigiani, si fa opera di convincimento affinché le famiglie e soprattutto i giovani non si uniscano alla Repubblica di Salò, ma si parla già anche di prospettive, di futuro, di ricostruzione della città e del suo tessuto sociale. È una delle fondatrici dei Gruppi di Difesa della Donna, organizzazione nata nel 1943 per iniziativa del PCI con l’intento di organiz- Donne nell’antifascismo livornese Osmana Benetti (il nome Osman, all’anagrafe diventato Osmana, è quello di un fratello del padre, che dopo due femmine desiderava un figlio maschio) vive la sua esperienza di partecipazione alla Resistenza con spirito orgogliosamente comunista. Osmana cresce in una famiglia di ideali democratici e antifascisti, sebbene non di aperta opposizione al regime e, nonostante abbia frequentato la scuola solo fino alla quinta elementare, è una grande appassionata di libri (legge Cronin, Steinbeck, London e Zola) che, sin da giovanissima, la aiutano a riflettere sulla situazione politica in cui vive e, in particolar modo, sulle molte ingiustizie sociali e sulle lotte dei lavoratori. I primi contatti con il Partito Comunista avvengono durante lo sfollamento a Castellina Marittima nel 1940. L’attività vera e propria comincia nel 1943: è incaricata di trasportare materiale a stampa, documenti e informazioni tra le varie cellule e divisioni che operano nella zona di Livorno. Un altro compito è quello della distribuzione di volantini di propaganda antifascista, come nel caso di quelli sull’uccisione di Oberdan Chiesa, che Osmana lega con i fiocchini colorati del suo corredo ai rami delle piante lungo la strada per la miniera della Valle Benedetta, affinché gli operai li possano leggere. Tutto questo all’insaputa della famiglia (che è fortemente contraria, in quanto le donne non si devono occupare di politi- Osmana Benetti 19 I N T E RV E N T I Donne nell’antifascismo livornese 20 zare una rete di aiuti alle famiglie di carcerati, internati e partigiani e soprattutto di promuovere la Resistenza femminile in ogni ambiente sociale. I volantini si rivolgono a tutte le donne, “lavoratrici e massaie” “operaie e impiegate”, e recitano: “Non basta incitare i nostri uomini alla lotta. Noi stesse dobbiamo lottare”. Nell’estate del 1944, frequentando la federazione del PCI, conosce Garibaldo Benifei, figura di spicco dell’antifascismo livornese, comunista, già condannato al carcere due volte per attività sovversiva e che aveva anch’egli partecipato alla Resistenza nelle file partigiane. Dopo un breve fidanzamento i due decidono di sposarsi ed è Furio Diaz, il sindaco della ricostruzione di Livorno, che celebra il matrimonio: oggi sono insieme da quasi settant’anni. Nel dopoguerra Osmana continua l’attività politica come responsabile del gruppo delle donne comuniste del PCI e nel 1945 è inviata con Garibaldo all’isola d’Elba, dove si occupa anche della preparazione per la Festa dell’8 marzo. Con le donne dell’UDI (Unione Donne Italiane) contribuisce alla costruzione dei primi asili della città: esse ottengono dal Comune l’uso di alcuni edifici, li arredano alla buona, si procurano cibo e medicinali con l’aiuto dei commercianti. Oggi Osmana continua a occuparsi di diritti delle donne, ma insieme con il marito Garibaldo e come membro dell’ANPPIA (Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti) svolge un’attività di testimonianza alle nuove generazioni, incontrando gli studenti, cercando di far capire ai giovani quali sono state le motivazioni, i valori e anche le emozioni profonde vissute da coloro che come lei hanno partecipato alla Resistenza. “Per amore? Per ideologia? Per entrambi.” La storia di Ubaldina Pannocchia Ubaldina Pannocchia, coetanea di Osmana (entrambe sono nate nel 1923) ha preso coscienza di essere stata una staffetta solo nella maturità, leggendo il libro di Miriam Mafai “Pane nero”. Fino allo scoppio della guerra, la sua infanzia scorre tranquilla (nel 1933 il padre è obbligato a prendere la tessera del PNF per non perdere la macelleria con cui mantiene la famiglia), ma con un grande rimpianto: essendo l’unica figlia femmina, frequenta la scuola solo fino alla quinta elementare, perché la priorità è far studiare i suoi due fratelli maschi. L’unica concessione è imparare a ricamare e a suonare il pianoforte all’Istituto delle Suore di via Galilei. Fino allo scoppio della guerra vive in un mondo di musica e poesia, ama Prévert e D’Annunzio, legge romanzi rosa e Piccolo mondo antico di Fogazzaro, ma “niente, di politica, assolutamente niente”. L’odiosità del regime la sperimenta solo attraverso i racconti sull’uccisione dei fratelli Gigli, che, poco prima della sua nascita, vengono massacrati nella loro abitazione, nel palazzo di fronte a dove abita una zia. Si comincia a interessare di politica quando si innamora di Nedo Guerrucci, che frequenta la sua stessa compagnia perché amico di suo fratello Roberto. Nedo è un giovane che ama lo studio, la filosofia, le scienze e Ubaldina lo sente spesso anche discutere di politica: è lui che per primo Tre donne, tre percorsi esemplari attraverso la fede cristiana, la consapevolezza politica e l’amore, tre storie per una storia delle donne livornesi che lottarono per la libertà e sulle quali, speriamo, si possa ritornare per dare loro luce e spessore. I N T E RV E N T I Ubaldina Pannocchia Donne nell’antifascismo livornese le spiega qual è la situazione italiana ed estera, le parla della necessaria opposizione al regime fascista, delle repubbliche sovietiche, le fa conoscere Marx, Lenin, Gramsci. Ubaldina e Nedo si fidanzano nel luglio del 1941. Nella primavera del 1943 (la famiglia di Ubaldina è sfollata a Lorenzana in seguito ai bombardamenti) lui le chiede di aiutarlo a diffondere dei volantini di Concetto Marchesi contro il fascismo e la guerra: lei accetta, e da quel momento lo segue per cinquant’anni senza più lasciarlo. Quando viene firmato l’armistizio dell’8 settembre Nedo ha 20 anni ed è chiamato a presentarsi al Comando militare di Ardenza, ma in realtà ha già preso la decisione di partecipare alla lotta come partigiano: in formazione è collocato a Castellaccio e, proprio per avere sue notizie, Ubaldina comincia a stringere in prima persona contatti con altri partigiani come Vasco Caprai e Giovanni Finocchietti. Collabora facendo, appunto, la staffetta, procurando viveri, trasportando armi nella borsa della spesa, cercando e nascondendo medicinali e volantini (spesso proprio in casa sua, ben nascosti dentro l’amato pianoforte). Nel 1946, finita la guerra, Ubaldina sposa Nedo, che rimane in politica e riceve diverse incarichi dal Partito Comunista, e lo segue nei suoi spostamenti come funzionario del partito, mentre lei si avvicina soprattutto al movimento femminile. Sono gli anni di Laura Diaz e Primetta Marrucci: Ubaldina, come Osmana, partecipa nell’UDI alla ricostruzione della città, delle scuole, alla creazione dei primi asili, alla distribuzione di “Noi donne”, all’allestimento della prima Festa dell’Unità al Parterre. Prima per suo nipote Valerio, e poi per tutti i giovani, ha affidato ad un piccolo libro Nonna raccontami… le memorie della sua lotta. 21 Scuole femminili a Livorno tra fine Ottocento e inizio Novecento di Filippo Sani I N T E RV E N T I Università degli Studi di Sassari Iniziamo a pubblicare le relazioni presentate in occasione del Convegno 150 anni di scuola a Livorno. Appunti per una storia ancora da scrivere, che si è svolto a Livorno il 2 dicembre 2011, nell’ambito della manifestazione “Settembre pedagogico”. In questo numero, presentiamo gli interventi del Prof. F. Sani dell’Università degli Studi di Sassari e del Dott. E. Papa dell’Archivio Storico del Comune di Livorno. Scuole femminili In questo testo dedicato ai processi di formazione della donna a Livorno tra Otto e Novecento, mi soffermerò su due questioni, una di carattere generale ed una di carattere particolare. La prima riguarda quelli che definisco “modelli identitari” dell’educazione femminile, ossia quelle istituzioni che hanno contribuito alla costruzione di un’identità scolastica livornese tra Otto e Novecento. Nella seconda parte, tratterò i rapporti che, a partire dagli anni novanta del XIX secolo, si profilano tra l’incremento delle congregazioni femminili nei quartieri litoranei della città e la diffusione dell’ideologia igienistica nell’Italia positivistica umbertina e giolittiana. “Modelli identitari” 22 Un’indagine centrata sui modelli di identità/identificazione presenti nella cultura scolastica livornese attiene più alla storia dell’immaginario che ad una vera e propria storia delle istituzioni educative. In tal senso, una ricerca archivistica puramente orientata all’analisi dei programmi o, ancora, allo studio prosopografico è operazione necessaria, ma non sufficiente. Anche perché, spesso, la peculiarità di queste realtà non è affatto da rinvenire nei programmi o negli insegnanti, ma nell’immagine pubblica che viene loro conferita. Per questo motivo, acquistano altrettanta rilevanza le indagini di tipo memorialistico e diaristico, nonché la messa in evidenza dell’eco che queste istituzioni hanno avuto storicamente sulla stampa locale. In questa sede, tuttavia, non riuscirò del tutto a tener fede ad un programma così ambizioso. Per il momento, mi propongo piuttosto di presentare quello che potrebbe trasformarsi nel capitolo introduttivo della ricerca. Procederò dunque ad una sintetica presentazione di quegli istituti che fanno parte integrante dell’immaginario cittadino, tanto dal punto di vista del paesaggio urbano, quanto nella rappresentazione pubblica della realtà scolastica. Nel 1785, a Pisa erano presenti 14 monasteri femminili, a Pistoia 10, ad Arezzo 9, a I N T E RV E N T I stre avrebbero continuato ufficiosamente ad insegnare all’interno dell’edificio del Paradisino sino al 1796 quando, grazie all’intervento del Proposto della Collegiata Girolamo Chelli, si sarebbero trasferite nel soppresso convento degli agostiniani. Era la premessa della prima rinascita delle Scuole di S. Giulia e del rilievo che conquistarono nel corso della prima metà del XIX secolo. Una seconda avvenne nel 1881, anno in cui la direzione del Paradisino fu demandata alle Maestre Pie Venerini3. Questa congregazione fu chiamata a Livorno dal vescovo della città, Mons. Remigio Pacini, il quale governò la diocesi in quegli anni ottanta che segnarono un passaggio importante nella storia del cattolicesimo italiano. Il successo dell’intransigentismo si Fondazione Dal Borro, Sezione Femminile, CLAS, Fondi archivistici aggregati, r. fotografie - Album Fotografico 1868 -1911 Scuole femminili S. Miniato 4, a S. Gimignano 5, a Livorno zero1. Nel quadro dell’educazione femminile, l’assenza di monasteri era stata in qualche modo compensata con la nascita, nel 1746, dell’Istituto delle Maestre Pie che, destinato a profonde trasformazioni nel 1762-63, nel 1766, dopo il trasferimento nei locali di Via San Francesco, avrebbe assunto il nome di “Paradisino”. A causa di una grave situazione debitoria, il “Paradisino” fu soppresso nel 1781, ma, poiché a quel punto Livorno sarebbe rimasta priva di scuole femminili, in data 3 gennaio 1782 fu emanato un Rescritto che imponeva alla Depositeria l’erogazione di una pensione mensile di L. 37,10 a favore delle Maestre che avessero continuato ad insegnare alle ragazze povere2. Così, le Mae- 23 I N T E RV E N T I Scuole femminili 24 congiunse ad una religiosità che, ripudiando l’individualismo borghese, si manifestò attraverso l’esaltazione della dimensione sociale e, dunque, la promozione di associazioni laicali e congregazioni religiose. È in questo quadro che devono essere letti tanto la politica del vescovo Pacini4 quanto gli ostacoli che il Comune oppose al riconoscimento delle Venerini. Soltanto nel 1885, queste scuole sarebbero state riconosciute quale istituto pubblico educativo dal Ministero Coppino5. Altro istituto che contribuì a costruire l’identità della Livorno ottocentesca è l’Istituto di S. Maria Maddalena nel Convento dei SS. Pietro e Paolo, voluto dal parroco Giovanni Quilici su cui è stato scritto molto6. In questa sede, è semplicemente il caso di ricordare che, sin dai primi anni della Restaurazione, Quilici si adoperò per la preservazione e la redenzione delle donne di strada. Il 21 dicembre 1828, fu aperta la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo della quale fu nominato parroco. La canonica fu adibita a casa per il recupero delle penitenti ed a scuola per l’educazione delle ragazze della parrocchia. L’istituto si impose velocemente nella realtà cittadina grazie alle offerte di diversi benefattori. Il 5 novembre 1837, furono approvate dal Granduca le Costituzioni delle Suore destinate a divenire le fondatrici di una nuova congregazione. Il 13 settembre 1840, furono effettuate le prime vestizioni, mentre, nel gennaio 1841, fu aperto un Convitto per ragazze abbienti e per quelle più povere. Nell’inchiesta granducale dello stesso anno, si legge: Materie d’insegnamento: Tessere ogni genere di Pannine, Arte di Fiori, Ricami in Argento, e in Oro all’uso di Lione; ricamo in bianco, e in colori, frange in oro, e in altri generi. Cucire da sarta, di bianco, filare le canape, e i lini, fare i coltroni, e qualunque altro lavoro donnesco. Leggere, scrivere, e aritmetica per le persone civili. Storia Sacra, e Profana, e Catechismo. [...] Il totale delle alunne sono circa a 300, e tra queste un cento assolutamente miserabili. Vi sono poi 10 Convittrici che 9 mantenute dallo Stabilimento e una da S.A.I e G. la Granduchessa Maria Ferdinanda. [...] Alle Miserabili si passa la minestra tutti i giorni. L’Istituto è molto accreditato, vantaggioso, e ben condotto, e in particolar modo vi rifulge la istruzione religiosa7. Quilici morì tre anni dopo, ma l’istituzione continuò a prosperare per molti decenni, nonostante le scissioni che subì. Altra figura storica del cattolicesimo femminile livornese fu Livia Bianchetti, suor Teresa di Gesù in religione8. Sin dal 1865, la Bianchetti era terziaria dell’Ordine dei Servi di Maria ed era orientata verso la vita claustrale. Fu il vescovo Gavi ad indirizzarla verso l’assistenza ai poveri. A seguito del Quaresimale del 1872, ad opera del Canonico Rinaldo De Giovanni, negli anni 187374, nacque la Società Promotrice di Buone Opere di cui divennero membri molte signore livornesi e la stessa Suor Teresa. Nel 1877, grazie a Mons. Pio Alberto Del Corona, livornese, ma all’epoca amministratore in spiritualibus della diocesi di S. Miniato, Suor Teresa ottenne nuove vestizioni per il suo Terz’Ordine. Fu ancora Mons. Del Corona ad ottenere da Roma l’autorizzazione per affidare la direzione spirituale del gruppo di suore a Don Amadio Massabichi9. Questo incarico passò al barnabita Filippo Villa nel 1882, anno in cui le sorelle iniziarono le visite dei poveri a domicilio ed il servizio spirituale presso l’ospedale civile. Nel 1888, il vescovo Franchi ratificò in via sperimentale le Costituzioni delle Dame di Maria Addolorata del Terz’Ordine dei Servi di Maria. Le suore aprirono successivamente le scuole elementari ed una scuola di la- I N T E RV E N T I Pio Alberto Del Corona (Livorno 1837 Firenze 1912) Scuole femminili voro per le ragazze meno abbienti dell’area circostante Via Roma10. L’Oratorio delle Mantellate assunse spesso una funzione simbolica nei momenti più accesi della polemica intransigente, di volta in volta, diretta con grande asprezza contro i modernisti, i socialisti, i liberali, i massoni. Per esempio, nel corso del ballottaggio delle elezioni politiche del 1913, “Fides”, periodico cattolico della città, comunicava che Domenica all’oratorio delle Suore Mantellate, in via dell’Ambrogiana, durante la Messa delle 7, Esposizione solenne del SS. Sacramento in riparazione delle offese che vengono recate alla Maestà di Dio11. Nel 1906, furono intraprese le prime trattative per la fusione dell’Istituto con le Serve di Maria di Pistoia. Ebbe inizio così una storia relativamente tormentata, aggravata dalla causa giudiziaria che, contro l’Istituto livornese, intentarono i parenti della Bianchetti a seguito della sua morte avvenuta nel 1909. Solo al termine del processo, nel 1911, la Sacra Congregazione dei Religiosi manifestò un parere favorevole allo scioglimento delle Serve di Maria livornesi all’interno di quelle pistoiesi, fatto riconosciuto definitivamente dalla stessa Sacra Congregazione con il decreto del 28 dicembre 1912. Le suore furono così nuovamente legittimate ad inaugurare la scuola elementare, l’asilo, la scuola di lavoro e l’oratorio festivo cui seguì, nel 1916, l’apertura di un educandato per le studentesse della scuola media12. Più tardi, nel 1925, alla luce di una richiesta del vescovo Piccioni, alcune Mantellate lasciarono Via dell’Ambrogiana al fine di dirigere l’Istituto L’Immacolata, sino a quel momento governato dalle Figlie della Carità13. Nel 1882, grazie ad accordi intercorsi tra mons. Del Corona ed il vescovo Pacini, quattro terziarie domenicane livornesi formarono una comunità religiosa. Nel 1888, le suore chiesero la fusione con la Congregazione delle Suore domenicane di S. Caterina da Siena. Dopo essersi trasferite in un primo momento a Borgo S. Jacopo (1889), assistite dal sostegno economico della contessa Augusta Pate, nel 1901, le suore si spostarono in Corso Amedeo. Sei anni dopo, la priora della comunità acquistò due palazzine in Via Cecconi13. Nei primi vent’anni del Novecento, quando a loro spettò, di fatto, la veste di principali interpreti livornesi della devozione al Sacro Cuore, queste suore domenicane assunsero un ruolo non trascurabile nella formazione di una gioventù cattolica militante. Il Sacro Cuore, i cui complessi processi di politicizzazione attraversarono tutto il XIX secolo14, fu, in Francia, alle origini della costituzione di un’associazione ecclesiale, la Guardia d’Onore al Sacro Cuore di Gesù che, a Livorno, raggiunse centinaia di adesioni e si raccolse intorno alla cappella del Sacro Cuore di Via Cecconi. La domenica che, ogni anno, a giugno, era dedicata alle cresime, era non soltanto l’occasione per la consueta Accademia della scuola, a suon di canti e letture davanti al vescovo, ma anche il momento 25 Il gruppo dell’oratorio dell’Asilo S. Spirito, 1904 I N T E RV E N T I Scuole femminili 26 per esibire la forza e la diffusione della Guardia d’Onore15. Le Figlie di Maria Ausiliatrice giunsero a Livorno sin dal 1899, anno in cui si stabilirono a Torretta, grazie al parroco don Pio Soldi. Il sobborgo era caratterizzato anche allora dalla presenza di molte fabbriche ed era attraversato da forti tensioni sociali. Le suore inaugurarono le scuole elementari e un oratorio festivo. L’espansione delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Livorno fu dovuta all’opera dei coniugi conti Tommaso ed Augusta Pate, nomi che abbiamo nominato a proposito delle domenicane, ma che compaiono in più di una occasione nella storia del cattolicesimo livornese tra Otto e Novecento. Il loro sostegno finanziario fu determinante anche nel caso dell’insediamento dei salesiani e del ritorno dei gesuiti. Grazie ai coniugi Pate, il 25 settembre 1903, fu inaugurato l’“Asilo S. Spirito”, così denominato perché volto ad essere “asilo” per ogni tipo di povertà spirituale e materiale. In quello stesso autunno, aprirono, in successione, l’Oratorio festivo, le scuole elementari e l’asilo, mentre l’anno successivo fu la volta del noviziato. La crescita dell’istituto fu costantemente sostenuta dai finanziamenti dei Pate, fatto che, nel 1906, consentì la nascita della Scuola popolare, del Laboratorio e delle Scuole festive. Soltanto, più tardi, nel 1915, si stabilirono all’“Asilo” le prime educande che, da un lato, frequentavano le scuole pubbliche, dall’altro, usufruivano dei corsi interni di francese e di tedesco16. Il periodo successivo a Porta Pia ed alla nascita dell’Opera dei Congressi comportò anche a Livorno la necessità di una risposta laica all’egemonia che gli istituti religiosi avevano sulla formazione delle ragazze. Da parte delle autorità locali si avvertiva l’assenza di una scuola superiore femminile pubblica che continuasse l’opera svolta dalle scuole elementari. La nascita di un istituto gratuito di questo tipo fu ostacolata dai costi troppo elevati. Nel frattempo, si succedevano i progetti. Nel 1877, il Cav. Avv. Michele Carta Mameli, Regio delegato straordinario al Comune, presentò un piano per una Scuola superiore femminile semigratuita, mentre, sin dal 1873, il Prof. Placido Maccheroni, con l’aiuto della moglie, aveva aperto in Via delle Bandiere “una scuola superiore femminile ordinata secondo i programmi governativi per le scuole normali del regno”, nella quale era stato istituito un posto gratuito per ogni corso. Dieci anni dopo, il Prof. Maccheroni chiese al Consiglio comunale un sostegno finanziario che fu convenuto nel corso dell’adunanza consiliare del 18 aprile 1883. Naturalmente, la concessione del sussidio comportò, da parte dei coniugi Maccheroni, l’accettazione di alcune condizioni: l’attribuzio- ne al Comune della facoltà di sorveglianza dell’istituto attraverso una Commissione; la trasformazione della scuola in semigratuita; la presenza di altri due posti gratuiti, a carico del Comune; l’imposizione dello stemma municipale. Seguirono l’elargizione di un ulteriore sussidio all’Istituto Maccheroni da parte del Governo nazionale, in virtù del R. Decreto del 10 gennaio 1884; l’adunanza del Consiglio Comunale del 16 marzo 1884 che confermò la delibera dell’anno precedente, la quale, a causa di irregolarità formali, non era stata eseguita; l’approvazione del nuovo regolamento della scuola con la delibera del 7 luglio 1884, emanata della Giunta presieduta dal sindaco Olinto Fernandez. Una volta completati gli studi al Maccheroni, le ragazze si sarebbero dovute recare a Pisa al fine di sostenere gli esami per l’abilitazione all’insegnamento primario17. La situazione mutò quando, nel 1886, in Via Scuole femminili I N T E RV E N T I Le educande del S. Spirito in una immagine del 1921 27 Congregazioni femminili e ideologia igienistica “Regolamento per la Scuola Superiore Femminile diretta dai coniugi Maccheroni”, CLAS, Serie Delibere, Delibera Giunta Comunale n. 30, 7 luglio 1884 I N T E RV E N T I Scuole femminili 28 Goldoni 12, fu aperta dal Comune la Scuola Normale Superiore Femminile che il Regio Decreto del 9 settembre 1889 trasformò in Scuola governativa, assegnandole il nome di “Angelica Palli Bartolommei”. È in questo nuovo contesto che si comprende l’azione di istituti come il “Gaetana Agnesi” il quale, nel 1892, presentò una sezione maschile ed una femminile. La scuola, approvata dal R. Governo e diretta dalle sorelle Marchini, preparava le alunne all’ingresso alle Palli e gli alunni in vista delle Scuole Tecniche e Ginnasiali. La morale e l’educazione del cuore, parti essenziali di qualsiasi insegnamento, non che i lavori femminili, cioè lavori in bianco, ricami, fiori, ecc., verranno unicamente riserbati alle Direttrici. Viene pure insegnata la lingua Francese da una delle prime maestre qua conosciute18. La nuova “religione salutistica” dell’Italia post-unitaria, frutto della cultura positivistica e delle grandi scoperte microbiologiche dell’epoca di Pasteur, a Livorno non portò, come altrove, soltanto al miglioramento delle misure igieniche nei luoghi scolastici ed alla promozione della cultura ginnica19, ma anche alla definitiva scoperta dei benefici dei bagni e dell’aria di mare. In un ambito meramente pedagogico, il paradigma igienistico andò a costituire un’ideologia di rinforzo delle tradizionali ragioni morali dell’educazione. La rinnovata alleanza - neotomistica - tra scienza ed altare rappresenta una chiave di lettura del rapido incremento di nuovi insediamenti delle congregazioni femminili le quali, in questo periodo, si stabilirono soprattutto nei quartieri sud-occidentali di Livorno. Le passioniste, rinate a Signa nel 1872, grazie all’opera del parroco locale, Don Giuseppe Fiammetti20, inaugurarono il 24 luglio 1889, a Quercianella, l’Istituto di Maria SS. Addolorata. L’apertura del nuovo istituto, celebrata alla presenza dello stesso Don Fiammetti, doveva andare a beneficio di quelle bambine e di quelle suore della congregazione che avevano bisogno di cure climatiche in prossimità del mare. Successivamente, un gruppo di bambine rimase a Quercianella in modo permanente, specialmente dopo la nascita dell’ONMI, nel 192521. Analogamente, le Terziarie Francescane Regolari di Ognissanti fondarono una colonia marina nel 1923 grazie al presidente del “Comitato Filantropia Senza Sacrifici”, Egidio Cristofanini, a sua volta promotore di sta- bilimenti talasso-elioterapici e di colonie montane22. La Congregazione delle Sorelle dei Poveri di S. Caterina da Siena, nata a Siena nel 1873 a seguito del riconoscimento dell’arcivescovo, mons. Enrico Bondi, ebbe origine per opera di Savina Petrilli (1851-1923) la quale, tra le sue aspirazioni, coltivò sempre quella di aprire un istituto in località marittime a beneficio delle suore e delle alunne che avessero avuto bisogno della salubrità dei bagni e dell’aria di mare23. All’inizio dell’anno 1900, la Petrilli si recò in visita a Livorno presso il vescovo Giulio Matteoli che le propose di acquistare la vecchia villa Bacci, poi Bertagni, sul Viale Italia, al fine di aprirvi un asilo ed una scuola per la gioventù povera di S. Jacopo. Attraverso alcune donazioni, la Petrilli riuscì ad acquistare la villa e la casa contigua da destinare a dimora per le suore. Sin dai primi mesi del 1901, fu raccolto nella casa un centinaio di fanciulli, mentre l’asilo e le scuole iniziarono regolarmente l’attività I N T E RV E N T I soltanto a partire dall’anno scolastico successivo24. Come risulta, per esempio, dalla descrizione dell’“Accademia” del maggio 1912, le ragazze dell’Istituto, allora posto sotto la direzione spirituale del canonico Giovanni Perniconi, ricevevano un’educazione imperniata su ricami d’ogni genere, rammendi, rattoppi ed ogni altro lavoro necessario ad una buona madre di famiglia. Né mancava lo spirito “igienistico” di cui la scuola era espressione. Infatti, le ragazze conclusero quello stesso trattenimento eseguendo con grazia incantevole, un coro ginnastico25. Nel quadro della conquista cristiana del litorale, dalla lettura delle pagine di “Fides” emerge il rilievo che la curia attribuiva all’opera delle Suore di S. Giuseppe dell’Apparizione le quali, con finalità educative, aprirono una casa ad Antignano alla fine del 1910. Qui, in parallelo con la crescita urbanistica dell’area, il terreno spirituale fu preparato dall’azione di don Palmiro Piattoli, pievano di Antignano dal 1899 al 190826. Ne raccolse il testimone il successore, don Giulio Melani, il quale favorì l’avvento delle Suore di S. Giuseppe, che entrarono nella loro prima casa il 19 dicembre 1910. Nel pomeriggio del 9 gennaio 1912, nel corso della distribuzione solenne dei vestitini e doni che le buone Suore di S. Giuseppe “Istruzione Pubblica - Scuola Normale Femminile”Telegramma del Sindaco di Livorno Niccola Costella indirizzato al Ministro dell’Istruzione Paolo Boselli per ringraziare dei provvedimenti a favore della Scuola Normale Femminile, CLAS, Serie Affari, anno 1889, fascicolo n. 6 Scuole femminili “Istruzione Pubblica - Scuola Normale Femminile”- Decreto del Re Umberto I riguardante la conversione in Scuola Normale Superiore Femminile Governativa di quella Scuola Normale Comunale di Livorno, CLAS, Serie Affari, anno 1889, fascicolo n. 61 29 I N T E RV E N T I Scuole femminili 30 La Cappella di Santa Teresa ad Antignano dell’Apparizione e le brave ragazze dell’Istituto omonimo avevano preparato per le alunne e gli alunni più giovani, don Melani non poté esimersi dal ricordare i meriti di don Piattoli. Successivamente, il parroco vantò l’attività delle suore: l’opera del Catechismo giornaliero ai ragazzi, del Catechismo alle femmine, il laboratorio, il ricreatorio festivo, l’assistenza ai malati27. La fondazione della Cappella di S. Teresa in Via del Littorale 21, ad Antignano, avvenne nel 1907. L’idea fu dovuta all’arcidiacono della Cattedrale di Siena, Leopoldo Bufalini, mentre la sua progettazione fu opera dell’ingegnere Francesco Zanaboni, anch’egli senese, il quale, come notò Pietro Vigo, in questo lavoro veramente egregio, (…) così per l’esterno, le fiancate, l’abside, il campanile, come per l’interno ritrae tutti i caratteri dell’architettura archiacuta senese28. Il canonico Leopoldo Bufalini (Cortona 1840 - Siena 1917), promotore della stampa cattolica intransigente, intellettualmente legato alla spiritualità carmelitana, nonché fondatore e direttore della Tipografia S. Bernardino di Siena, era allora molto attivo in ambito assistenziale a favore di orfanelle, ragazze abbandonate, affidandole alle terziarie Figlie di Santa Teresa da lui fondate29. Furono proprio queste ultime le beneficiarie del nuovo Istituto di Antignano che prese il nome di Convitto marino “S. Teresa”. Lo scopo che don Bufalini si era prefisso era quello di offrire, contemporaneamente, accesso al mare ed assistenza religiosa a signore e signorine le quali, in tutti i mesi dell’anno, e non soltanto in estate, avessero avuto il desiderio di trascorrervi un certo periodo. Nel 1889, nacquero a Firenze le Sorelle povere calasanziane della Madre di Dio, successivamente denominate Figlie povere di San Giuseppe Calasanzio, grazie all’opera di Celestino Zini (1825- 1892) il quale, superiore provinciale degli Scolopi, proprio in quell’anno fu eletto arcivescovo di Siena30. Questo primo nucleo, costituito dalla superiora, Marianna Donati (1848-1925), in religione Suor Celestina, e da altre quattro sorelle, ricevette l’approvazione diocesana il 21 settembre 1892 da parte dell’arcivescovo fiorentino, mons. Agostino Bausa. Seguì un decennio caratterizzato da una crescita impetuosa della neonata congregazione fiorentina31. Nell’estate 1899, le suore affittarono una villa ad Antignano al fine di portarvi le bambine delle proprie scuole. Fu in quel periodo che, da parte delle istituzioni ecclesiastiche livornesi, fu chiesto alle suore di stabilirsi nei quartieri meridionali della città al fine di istituirvi una scuola per le ragazze, di cui quel quartiere era carente. Dopo aver accondisceso a questa richiesta, Suor Celestina si interessò al luogo di residenza delle consorelle. La scelta cadde sulla villa dei marchesi De-Ghantuz Cubbe ad Ardenza, presso la cappella detta La Madonnina, storicamente legata all’Apparizione della Madonna di Montenero. I proprietari, che avevano rifiutato alle suore l’affitto della villa quando era stata richiesta soltanto quale residenza estiva, stavolta acconsentirono. Fu sulla base di un’improvvisa richiesta personale32, nonché del consiglio del padre scolopio Gian Gualberto Giannini, responsabile dell’asilo per i figli dei carcerati fondato da Bartolo Longo presso il santuario di Maria SS. del Rosario in Valle di Pompei33, che le calasanziane decisero di far diventare l’istituto un asilo di accoglienza per le figlie dei carcerati. Pertanto, dopo aver aperto la scuola per le bambine l’anno precedente e un lavoratorio nella Villa Bertelli ad Antignano nella primavera successiva, le suore inaugurarono l’asilo per le figlie dei carcerati il giorno 29 agosto 190034. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 Mi sia permesso di rinviare a F. Sani, Monasteri e conservatori in Toscana (1785-1790), in L’istruzione in Italia tra Sette e Ottocento. Da Milano a Napoli: casi regionali e tendenze nazionali, atti del convegno di studi, Perugia 28-31 maggio 2009, in corso di stampa, Brescia, La Scuola Editrice, pp. 809-838. Cfr. Id., La scuola delle Maestre Pie di Livorno 1746-1781, in L’educazione nel Mediterraneo nord-occidentale: la Sardegna e la Toscana in età moderna, Sassari, 8-9 novembre 2007, a cura di F. Pruneri, F. Sani, Milano, Vita e Pensiero, 2008, pp. 201-221, in particolare pp. 219-221. Cfr. A. Figara, “Il Paradisino” di Livorno. Cento anni di presenza delle Maestre Pie Venerini nella città Labronica, Livorno, Stella del Mare, s.d., pp. 25-56. Cfr. U. Spadoni, I cattolici a Livorno dall’Unità alla prima guerra mondiale, in “Rassegna storica toscana”, XLVIII, 1, pp. 129-144, in particolare pp. 132-133. Cfr. A. Figara, “Il Paradisino” di Livorno, cit., p. 57 e ss. Cfr., tra gli altri, G. Novelli, Un uomo una città: Livorno e il suo apostolo sociale: Giovan Battista Quilici (17911844), Pisa, Edizioni del Cerro, 1988; R.F. Esposito, Don Giovanni Battista Quilici. Apostolo di Livorno. Riformatore sociale, Roma-Livorno, Figlie del Crocifisso - Ist. di S. Maria Maddalena, 1990. ASFI, Soprintendenza agli Studi, 170, cc 84v-85r. Vedi L. Bianchetti, I doveri della donna cattolica, Pisa, Tip. di Letture Cattoliche, 1867. Sul forte legame affettivo tra Mons. Del Corona e le suore dell’Addolorata cfr. “Fides”, XIII, 69, 28 agosto 1912. G.B. Damioli (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), in Dalle radici della nostra storia, Livorno, CDS, 1984, pp. 38-39. “Fides”, XIV, 88, 1 novembre 1913. Cfr. G. Rocca, Serve di Maria di Livorno, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, Roma, Paoline, 1988, VIII, col. 1345; G.B. Damioli (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), cit., pp. 39-40. Cfr. Id. (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), cit., pp. 43-54. Cfr. D. Menozzi, Sacro Cuore. Un culto tra devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Roma, Viella, 2001. “Fides”, periodico delle famiglie cattoliche, uscì in due numeri settimanali dal 1900 al 1921 I N T E RV E N T I ragazze comportò un primo trasferimento in Piazza Roma, un secondo in Borgo S. Jacopo ed uno definitivo, nel 1914, a Villa Miller, in Via del Bosco40. Nel frattempo, il 18 dicembre 1911, l’Istituto fu definitivamente approvato dal papa41. Al termine di questo contributo mi pare doveroso offrire un ultimo esempio del legame che, in una temperie positivista (e neotomista), si instaura tra pedagogia, cultura religiosa e ideologia igienistica. Nel rendere conto di una festa all’Asilo Calasanziano in onore di Mons. Giani, si racconta che, all’ingresso del vescovo in sala, seguì un saggio di canto gregoriano, applauditissimo, ed un altro di Dottrina Cristiana, ove le giovani ci sembrarono provette studenti di Teologia. Ancora una volta la conclusione è tuttavia riservata agli esercizi ginnastici, tanto a perfezione eseguiti42. Scuole femminili A questa giornata di inaugurazione35 parteciparono i due “zelantissimi protettori” del neonato asilo, il padre Stanislao Consumi, rettore delle Scuole Pie fiorentine36, e il grande predicatore domenicano, Antonino Luddi, conferenziere ricercato in tutta la convegnistica cattolica dell’epoca37. Sin dal principio, l’attività a favore delle figlie dei carcerati ebbe bisogno di notevoli risorse che furono ottenute anche attraverso la vendita del periodico mensile “Stella Maris”, di cui più volte “Fides” raccomandò la sottoscrizione38. Il mensile - il cui abbonamento comportava la spesa di sole tre lire all’anno - ebbe una buona diffusione, ma fu lo stesso “Fides” a confessare, in un numero successivo, che l’istituto livornese delle calasanziane doveva la propria esistenza sostanzialmente alla carità fiorentina39. L’incremento delle 31 I N T E RV E N T I Scuole femminili 32 15 Cfr. “Fides”, XIII, 51, 26 giugno 1912; XXI, 49, 17 giugno 1920. 16 Cfr. Commissione Centenario Istituto S. Spirito, Istituto Santo Spirito. Cento anni di educazione nella storia di Livorno, in “C.N. - Comune Notizie”, 41, 2003, pp. 21-28 e più ampiamente C. Adorni, Istituto Santo Spirito: cento anni di educazione nella storia di Livorno, 1903-2003, Livorno, Il Quadrifoglio, 2003. 17 Regolamento per la Scuola Superiore Femminile istituita e diretta dai Signori Coniugi Maccheroni posta sotto la sorveglianza del Comune di Livorno, Livorno, Giusti, 1884, pp. 3-4. 18 Istituto Gaetana Agnesi Approvato dal R. Governo diretto dalle Sorelle Marchini sezione maschile e femminile, Livorno, Meucci, 1892, p. 1. 19 D’obbligo è il rinvio a C. Pogliano, L’utopia igienista (1870-1920), in Storia d’Italia. Annali 7. Malattia e medicina, a cura di F. Della Peruta, Torino, Einaudi, 1984, pp. 589-635; G. Bonetta, Corpo e nazione. L’educazione ginnastica, igienica e sessuale nell’Italia liberale, Milano, FrancoAngeli, 1991; C. Giovannini, Risanare le Città. L’utopia igienista di fine Ottocento, Milano, FrancoAngeli, 1996; C. Mantovani, Rigenerare la società: l’eugenetica in Italia dalle origini ottocentesche agli anni trenta, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004. 20 Vedi Don Giuseppe Fiammetti (1834-1905) collaboratore nella riattivazione delle suore passioniste di S. Paolo della Croce: scritti spirituali, Roma, Suore Passioniste di S. Paolo della Croce, 2005. 21 Cfr. G.B. Damioli (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), cit., p. 59. 22 G. Wiquel, Suore Terziarie Francescane Regolari di Ognissanti, in Id., Dizionario di persone e cose livornesi, Bastogi, Livorno 1976-85, p. 568. Il Comitato Filantropia senza Sacrifici era “un’associazione mista nata nel 1880 con finalità assistenziali che, ingranditasi nel primo decennio del Novecento, gestiva a Livorno l’Istituto Talasso-Elioterapico Regina Elena per bambini fino a 12 anni, la Colonia Montana Antitubercolare Pietro Martino Bossio e un ospedale per militari” (T. Noce, Nella città degli uomini. Donne e pratica della politica a Livorno fra guerra e ricostruzione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, pp. 46-47). 23 Su Savina Petrilli vedi S. Petrilli, Sì, o Signore...sulle tue ali. Eredità spirituale di Savina Petrilli, a cura di C. Siccardi, Cinisello Balsamo, San Paolo Edizioni, 2008; C. Siccardi, Come aquila che plana. Savina Petrilli, Cinisello Balsamo, San Paolo Edizioni, 2008. 24 Cfr. G.B. Damioli (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), cit., pp. 91-98. 25 Cfr. “Fides”, XIII, 44, 1 giugno 1912. 26 Cfr. S. Pellini, In morte di Mons. Palmiro Piattoli pievano di Antignano, Siena, S. Bernardino, 1908. 27 “Fides”, XIII, 4, 13 gennaio 1912. Cfr. anche “Fides”, XIV, 5, 15 gennaio 1913. 28 Cfr. P. Vigo, Livorno, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1915. 29 M. Tagliaferri, L’Unità cattolica. Studio di una mentalità, Roma, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1993, p. 63. Vedi anche Le Figlie di S. Teresa, Brevi Cenni della vita e delle opere di monsignore Leopoldo Bufalini, Arcidiacono della metropolitana di Siena, protonotario apostolico ad instar, istitutore delle terziarie di s. Teresa, Siena, Tipografia San Bernardino, 1917. 30 Cfr. C. Zini, Scritti vari e lettere: preceduti dalla biografia dell’autore, 2 voll., Firenze, Tip. Calasanziana, 1893; Id., Manuale calasanziano: libro di lettura e di direzione per le Figlie povere di S. Giuseppe Calasanzio, fondate nel 1889 in Firenze da Celestino Zini, Prato, Giachetti, 1914. Vedi anche L. De Marco, Celestino Zini: lo straordinario di ogni giorno, Roma, Curia generalizia dei Padri Scolopi, 2003. 31 Cfr. “Fides”, I, 12, 15 settembre 1900. 32 Ivi. 33 Cfr. M. Presciuttini, Bartolo Longo e l’emarginazione sociale con particolare riguardo ai figli dei carcerati, in Bartolo Longo e il suo tempo, a cura di F. Volpe, I, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983, p. 438 e ss. 34 Cfr. “Fides”, I, 12, 15 settembre 1900. 36 Vedi G. Giovannozzi, Nei funerali del p. Stanislao Consumi in s. Giovannino delle scuole pie: Ricordo, 16 gennaio 1909, Firenze, Tip. Calasanziana, 1909. 37 Antonino Luddi nacque in provincia di Arezzo nel 1859 e morì a Sassari nel 1937. Cfr. R. Spiazzi, L’Apostolato della Verità nella vita e negli scritti di Ermelinda Rigon fondatrice del Cenacolo domenicano, Bologna, ESD, 1994, p. 107; P. Risso, Un apostolo del nostro secolo: p. Giocondo Lorgna, fondatore delle Suore domenicane della beata Imelda, Bologna, ESD, 1993, p. 84. 38 “Fides”, I, 4, 21 luglio 1900; I, 10, 1 settembre 1900; I, 12, 15 settembre 1900. 39 “Fides”, I, 20, 10 novembre 1900. 40 Cfr. G.B. Damioli (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), cit., pp. 77-78. 41 Cfr. “Fides”, XIII, 2, 6 gennaio 1912. 42 “Fides”, XIV, 69, 27 agosto 1913. La Scuola nei documenti dell’Archivio Storico Comunale di Livorno Dopo la chiusura dell’Archivio Storico Comunale “Pietro Vigo” nel novembre 1941, si apre un periodo in cui, se qualcuno avesse chiesto, anche agli inizi degli anni novanta, agli studiosi frequentatori di archivi notizie sui documenti storici di Livorno, questi avrebbero risposto che gli unici documenti esistenti erano conservati presso l’Archivio di Stato. All’epoca l’Amministrazione comunale poteva, infatti, mettere a disposizione, per studio, tesi o pubblicazioni, solo poche serie documentarie, soprattutto delibere od atti conservati presso l’Ufficio Contratti. Ma dal 1992 si evidenzia l’assoluta necessità di ricostituire l’Archivio Storico, individuando con la delibera n. 3901 del 3 dicembre 1992 la sede e, precisamente, quella attuale di via del Toro 8. Per circa dieci anni si lavora alacremente alla inventariazione e al recupero dei documenti, fino all’apertura ufficiale dell’Archivio Storico avvenuta nel dicembre del 2003. Il lavoro di raccolta e sedimentazione dei documenti non si è mai interrotto ed anche nel dicembre 2011 sono state fatte delle acquisizioni molto importanti dall’ufficio dello Stato Civile e dall’ufficio Anagrafe. L’Archivio storico ha in totale oltre 14.000 unità archivistiche. Le serie documentarie riguardanti la scuola e l’istruzione saranno l’oggetto del mio intervento e soprattutto esaminerò l’aspetto sociale delle scuole elementari che, ricordo, dopo l’Unità d’Italia e per lungo tempo, furono di competenza delle Amministrazioni Comunali. La prima legge italiana riguardante il sistema scolastico fu la Legge Casati, emanata da Vittorio Emanuele II il 3 novembre 1859 per il Piemonte e la Lombardia e che nel 1861, dopo l’Unità d’Italia, venne estesa alle altre regioni. Comune di Livorno, Regolamento per le Scuole Elementari Comunali, 1892, CLAS, Serie Raccolta Statuti, regolamenti e Concessioni, r. N° 770 Scuole in CLAS Archivio Storico del Comune di Livorno I N T E RV E N T I di Ezio Papa 33 I N T E RV E N T I Scuole in CLAS Scuole Elementari, Regolamento, Prospetto Annuale (“Pagella”), CLAS, Serie Affari, Fascicolo N° 122, anno 1880 Costruzione edificio scolastico “Giuseppe Micheli”, Tavola Progetto delle Scuole Elementari da costruirsi in Piazza San Marco, Particolare distribuzione banchi, CLAS, Serie Affari, Fascicolo N° 55 bis, anno 1889, Tav. VI 34 La scuola elementare prevista dalla Legge Casati aveva la durata di 4 anni, divisi in un biennio inferiore ed uno superiore; le scuole maschili erano distinte da quelle femminili. Un altro contributo importante per la scuola italiana venne dalla Legge Coppino del 15 luglio 1877, che dettava un insieme di norme per rendere effettivo l’obbligo scolastico, come l’istituzione di una sorta di anagrafe scolastica. Nel 1904 venne approvata la Legge Orlando, che innalzava l’obbligo scolastico a dodici anni e prevedeva, inoltre, una serie di iniziative scolastiche relative agli adulti: i corsi serali e festivi. Altra legge importante per il mondo della scuola fu la riforma Gentile del 1923: il suo impianto rimase per lungo tempo fondamentale per la scuola italiana. La documentazione della serie Istruzione dell’Archivio Storico Comunale è costituita prevalentemente da registri che riguardano l’attività storica delle direzione didattiche cittadine. La serie è composta da 275 registri in ottimo stato di conservazione, che vanno dall’anno 1875 all’anno 1950; il materiale è stato suddiviso in sei sottoserie. Ma, quando parliamo di istruzione e assistenza ai fanciulli, non possiamo non citare altri due fondi archivistici presenti nel nostro archivio: la Fondazione “Case Pie” e poi “Dal Borro” e l’Istituto Professionale e Casa di Riposo ”Giovanni Pascoli”. La Fondazione nominata “Case Pie” venne istituita nel 1682 per iniziativa del Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici con lo scopo di accogliervi gratuitamente fanciulli poveri di entrambi i sessi. A curarne la nascita fu il Marchese Marco Alessandro Dal Borro, governatore civile e militare della città di Livorno. Ma è con l’inizio del Novecento e precisamente nel 1911, che il Ministero della Marina concesse alla sezione maschile delle “Case Pie” imbarcazioni e istruttori per le esercitazioni a remi e vela e gli allievi iniziarono ad indossare la divisa del marinaio senza stellette e ad essere chiamati “i marinaretti”. Nel 1958 la Fondazione dette vita ad un Istituto denominato “Marco Alessandro Dal Borro”, dove i ragazzi che frequentavano le scuole pubbliche potevano ricevere vitto, alloggio, educazione morale e religiosa; la preferenza era accordata a co- loro che frequentavano l’Istituto Nautico “Alfredo Cappellini”. Scuole in CLAS I “Marinaretti” sull’Albero di manovra. La foto testimonia l’impegno formativo rivolto ai giovani ospiti dell’Istituto Dal Borro, spesso imbarcati come mozzi. CLAS, Fondazione Dal Borro, Atti, r. n. 408 - 1868-1911 I N T E RV E N T I Costruzione edificio scolastico “Giuseppe Micheli”, Tavola Progetto delle Scuole Elementari da costruirsi in Piazza San Marco, CLAS, Serie Affari, Fascicolo N° 55 bis, anno 1889, Tav. II 35 I N T E RV E N T I Invito posa prima pietra Impianto Scolastico “Antonio Benci”, CLAS, Serie Affari, Fascicolo N° 55 bis, anno 1889 Scuole in CLAS 36 Decreto Re d’Italia Umberto I, Concessione prestito per la costruzione dell’ Edificio Scolastico “Antonio Benci”, CLAS, Serie Affari, Fascicolo N° 47, anno 1893, Scuole “Benci” L’Istituto venne chiuso il primo ottobre 1970; fino al 1999 il Comune ne mantenne una gestione commissariale. Il Fondo aggregato Dal Borro conservato presso l’Archivio Storico del Comune di Livorno è costituito da 411 unità archivistiche che vanno dall’anno 1682 all’anno 2001. Passando, invece, ad esaminare il Fondo dell’Istituto Pascoli dobbiamo dire che nei primi anni dell’Ottocento la situazione per le strade di Livorno era critica a causa della presenza di un numero sempre crescente di mendicanti senza fissa dimora, in buona parte bambini e ragazzi. Alcuni cittadini sentirono quindi l’esigenza di presentare al Comune un progetto per la costruzione di un ricovero, ma tale progetto venne accantonato per vari motivi, primo tra i quali la mancanza di fondi. Se ne riparlò nel 1841 e il Governatore della città, Marchese Neri Corsini, propose la costituzione di una Pia Casa di lavoro; i lavori di costruzione iniziarono nel 1845, ma, per sopravvenuti ritardi, l’edificio fu inaugurato solo nel 1861. Nel 1866 la “Famiglia” raggiunse i 500 ricoverati, compresi molti bambini dai 7 ai 12 anni, ai quali si voleva dare un’educazione morale e fisica con istruzione professionale. Nel 1886 le Figlie della Carità della Case Pie venivano richieste per l’assistenza agli anziani e per l’educazione dei giovani. Nel 1925 all’Istituto venne dato il nome con cui lo abbiamo conosciuto, ovvero Istituto professionale e casa di riposo “Giovanni Pascoli”. L’Istituto ha svolto nel tempo il ruolo importantissimo di scuola professionale per i giovani, ha formato artigiani qualificati come falegnami, meccanici, tipografi e ragazze specializzate in lavori di ricamo e maglieria; i corsi elementari venivano svolti all’interno dell’istituto. Il Fondo Pascoli comprende 433 buste e 644 registri per un totale di 1077 unità, tutte in ottimo stato di conservazione. Dopo l’Unità d’Italia si dovevano fare gli I N T E RV E N T I Relazione Esercizio della Refezione Scolastica, 1904 - 1907, CLAS, Serie Raccolta Statuti, regolamenti e Concessioni, r. N° 678 stiti con un tasso del 5%, di cui tuttavia il 2,50% a carico del Ministero della Pubblica Istruzione. La posa della prima pietra della scuola elementare Benci avvenne nell’agosto L’imponente mole della scuola “Antonio Benci” Scuole in CLAS italiani ed uno dei primi problemi da affrontare per il nascente stato nazionale fu la piaga dell’analfabetismo; con una percentuale record del 74% di analfabeti l’Italia ne deteneva il triste record. Il Comune di Livorno sentì subito il problema impellente di dare delle scuole ai bambini livornesi e, già con una delibera del 1865 del Regio Delegato Straordinario, si decise l’apertura di due scuole elementari (una maschile ed una femminile) poste in edifici privati e precisamente in via degli Elisi 4, con una spesa annua per l’affitto di lire 800, e in via San Carlo 43, con una pigione annua di lire 720. Naturalmente, si trattava di edifici già esistenti riadattati all’uso scolastico, che non rispondevano pienamente agli standard scolastici dell’epoca, ma erano meglio di niente. L’importante era cominciare ad insegnare ai bambini a leggere ed a scrivere. Dobbiamo aspettare ancora un paio di decenni per iniziare a pensare alla costruzione di due edifici adibiti esclusivamente all’uso scolastico: la scuola “Giuseppe Micheli” e la scuola “Antonio Benci”, che rimangono fra le scuole primarie più importanti della città. La scuola “G. Micheli” venne inaugurata nell’agosto 1889 alla presenza del ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli. L’esigenza di una scuola ad hoc era molto sentita nel popoloso quartiere di San Marco, in quanto la popolazione scolastica di 710 alunni negli anni ottanta dell’Ottocento trovava risposta nelle scuole situate negli edifici privati posti in via Terrazzini, via Castelli, via Pellettier e Torretta. Tutto era partito con la delibera del 1° ottobre 1883, in cui si evidenziava l’intento di raccogliere tutte queste scuole in un unico edificio scolastico. La spesa preventivata fu di 144.500 lire tutte finanziate dalla Cassa Depositi e Pre- 37 I N T E RV E N T I Scuole in CLAS Registro Maschi Scuola “Antonio Benci”, Particolare Registro Classe I C, CLAS, Serie Istruzione, Giornale di Classe 1929 - 1933 38 1889, in occasione dell’inaugurazione della scuola Micheli. Anche per la scuola Benci si era creato un dibattito: nell’adunanza del Consiglio Comunale del 3 ottobre 1888, il Sindaco Niccola Costella dimostrava come i locali di proprietà privata ad uso scolastico fossero disadatti ed incomodi e non rispondenti sotto ogni rispetto ai bisogni dell’igiene e ai dettami della scienza pedagogica. Il Con- siglio Comunale approvava la proposta del Sindaco Costella e decideva di procedere alla costruzione di un grande edificio scolastico sull’area della piazza Carlo Poerio. Di conseguenza autorizzava la Giunta Municipale a contrarre un prestito di favore con la Cassa Depositi e Prestiti per la somma di lire 190.000 e deliberava, inoltre, che al nuovo edificio fosse dato il nome dell’illustre livornese Antonio Benci. La scuola Benci venne inaugurata per l’anno scolastico 1893/1894. Altra esigenza sentita profondamente dall’Amministrazione comunale, oltre all’istruzione e alla scolarizzazione, fu quella dell’assistenza agli alunni poveri che purtroppo erano, in quel periodo, la stragrande maggioranza. Il Comune si mosse in loro favore iscrivendo nel suo bilancio un fondo per aiutare, attraverso il Patronato scolastico, gli iscritti appartenenti a famiglie povere sia con la refezione scolastica, sia con la distribuzione di indumenti, di libri di testo, quaderni, ecc. La refezione doveva essere somministrata in tutte le scuole elementari del Comune sia urbane che suburbane, limitandola ai soli alunni appartenenti a famiglie disagiate, preferendo coloro che, orfani o abbandonati dai genitori, non potevano ottenere dai parenti nessun aiuto. Nella relazione sull’andamento della refezione scolastica dell’anno 1904 i membri del Patronato lamentano quanto sia difficile scegliere fra chi ha più bisogno e così scrivono: Non possiamo certamente nascondere che l’ideale della scuola elementare elevata a funzione di Stato, dovrebbe essere quello di procurare a tutti i piccoli frequentatori un trattamento del tutto uguale, cosicché il luogo che fornisce a tutti ugualmente il pane dell’intelligenza, fornisse senza distin- I N T E RV E N T I Agli alunni veniva distribuita giornalmente un’abbondante razione di minestra e 125 gr. di pane, due volte la settimana la minestra era di grasso e in quei giorni la carne veniva distribuita agli scolari. Nell’anno scolastico 1906/1907 le razioni distribuite furono circa 300.000, ma la previsione delle 500.000 razioni si concretizzò a breve perché, su una popolazione scolastica annua di 7000 alunni, circa 5000 avevano diritto alla refezione. Il costo a razione era fissato a circa 11 centesimi, con un esborso per l’Amministrazione comunale di 60.000 lire circa. “Lo Scolaro Labronico”, 15 giugno 1928, CLAS, Serie Raccolta Statuti, Regolamenti, Concessioni, r. N° 495 Scuole in CLAS zione veruna anche quello materiale che l’altro integra e tien desto. I membri del Consiglio Direttivo passarono lunghe ore nelle scuole dove interrogando bambini, bambine e maestri, ascoltarono strazianti miserie, paurose storie di dolore. Non poche furono le difficoltà incontrate ed è ben difficile garantirsi dalle simulazioni degli avidi o scovare chi della miseria accetta tutte le sofferenze senza rinunziare al pudore e all’alterezza del carattere. Si potrà quindi dubitare forse che in questo difficile compito siamo riusciti pienamente nell’intento ma non ci è venuta meno la buona volontà, e più facilmente sarà accaduto che abbia approfittato del beneficio qualcuno che non lo meritasse del tutto, anziché ne sia rimasto privo chi ne aveva veramente bisogno. Così scrivevano i membri del Patronato, che, come tutti gli amministratori riformisti dell’epoca, erano pervasi da ideali di uguaglianza e giustizia sociale mutuati dal Risorgimento attraverso il pensiero di Mazzini e Garibaldi o da istituzioni come la Massoneria. Ma dal punto di vista pratico la refezione scolastica funzionava così: era un pasto freddo composto da 125 gr. di pane di prima qualità, 20 gr. di formaggio tipo Olanda o Emmenthal, oppure mortadella o salame; la razione veniva preparata in una dispensa al Mercato Centrale e veniva distribuita alle scuole dai pompieri municipali. Le scuole periferiche di Quercianella, Antignano, Ardenza, Salviano e Colline avevano la refezione calda affidata però ad accollatari esterni. Solo alla scuola “Meyer” venne istituita la refezione calda ad economia diretta, allestendo al terzo piano del fabbricato una cucina, e la scuola fu provveduta di panche, tavole, sedie ed attrezzi per cucinare. 39 Progetto della Scuola Elementare “G. Micheli” I N T E RV E N T I Scuole in CLAS 40 Altro aspetto peculiare evidenziato dalla documentazione dell’Archivio Storico Comunale è quello della composizione delle classi scolastiche con i risultati degli scolari e gli abbandoni. Il periodo forse più ricco di dati interessanti dal punto di vista statistico, e che andrebbe analizzato più compiutamente, è sicuramente quello degli anni venti e trenta del secolo scorso; in quegli anni il tentativo da parte del regime fascista di aumentare la scolarizzazione è notevole, ma i problemi di fondo permangono: le classi sono sovraffollate e rigidamente divise per sesso, la piaga degli abbandoni e delle bocciature fra le gli alunni poveri è fortissima. Ho preso a campione due prime classi elementari, una maschile ed una femminile, ed ho dedotto alcuni elementi molto interessanti, che non hanno valore di ricerca statistica, ma danno l’idea del mondo della scuola in quel periodo. Il primo campione è la classe prima sezione A maschile della scuola “G. Micheli”, anno scolastico 1932/1933, maestra Teresa Becocci Vezzali, nata il 3 aprile 1873. L’aula aveva una superficie di 72,70 metri quadri con una capienza di 66 posti, gli iscritti risultano essere 67 di cui 13 di condizione agiata, 3 di condizione semi agiata e 51 poveri; nelle classi si iscrivono bambini di diverse età e in quella prima vi sono 57 alunni dai 6 ai 9 anni, 8 dai 9 agli 11 anni e 2 dagli 11 anni ai 14 anni. Notiamo, quindi, un divario di età notevole fra bimbi, addirittura troviamo bambini di 6 anni con altri che ne hanno 12 o 14. I ripetenti sono 37 e i frequentanti al 1° marzo sono solo 40; i promossi a giugno saranno solo 28 su 31 scrutinati e 3 rimandati a settembre; ma il dato delle boccia- I N T E RV E N T I Le bambine sono 10 di condizione agiata, 9 semiagiata, 19 povere e una poverissima. Delle 33 bambine ammesse allo scrutinio risultano essere promosse in 25, 4 sono rimandate e 4 vengono bocciate; le 4 bambine non frequentanti sono di condizione povera e risultano aver abbandonato per malattia; le 4 bambine bocciate a giugno sono tutte di condizione povera; 13 bambine erano assistite dal Patronato. Come abbiamo visto, i problemi della scuola e della società italiana nei primi 70 anni dell’Unità d’Italia erano gravi, ma miseria ed ignoranza, endemiche nel nostro paese, pian piano hanno lasciato il posto ad un graduale benessere, che ha preso a correre dopo le rovine della seconda guerra mondiale con il boom industriale. Di pari passo allo sviluppo economico si è avuta una forte spinta alla scolarizzazione a tutti i livelli, accrescendo la cultura e il sapere dei cittadini. Occorre fare sempre di più, per far sì che la scuola italiana venga messa nella condizione di formare dei cittadini preparati ad affrontare il mondo del lavoro e le sfide che la vita ci riserva e per contribuire, soprattutto, a migliorare l’uomo e, attraverso questo cambiamento, migliorare il mondo intero. Facciata del progetto della Scuola Elementare “G. Micheli” Scuole in CLAS ture non deve ingannare: in realtà, su 67 iscritti 16 non iniziano l’anno per vari motivi, 5 bambini lasciano la scuola per motivi familiari, 13 si ammalano e un bambino viene avviato al mestiere avendo compiuto 12 anni. Altro dato importante da sottolineare è quello della composizione sociale dei promossi: infatti gli alunni agiati promossi sono 11 su 13, dei semiagiati 1 su 3 e dei poveri risultano essere promossi solo 16 su 51. I poveri, comunque, risultano essere assistiti dal sempre presente Patronato scolastico. Le materie insegnate, oltre la condotta, sono ginnastica e giuochi, igiene e pulizia della persona, religione, lettura ed esercizi scritti, aritmetica e contabilità scritta e orale, nozioni varie. L’inizio delle lezioni avviene il 10 ottobre 1932 e la fine il giorno 24 giugno del 1933, per un totale di 188 giorni di lezione. Nel secondo campione ho analizzato la prima classe sezione unica della scuola elementare femminile “Benedetto Brin”: la maestra era la signora Ada Gatti Batacchi, nata il 10 aprile 1878. I posti in classe erano 34 e la superficie della classe era di 48 metri quadri; le iscritte 39, dai 6 ai 9 anni 37, le alunne ripetenti solo 8 e le frequentanti al 1° marzo 37. 41 I N T E RV E N T I Luciano De Majo 42 I N T E RV E N T I Ricordo di Luciano De Majo Luciano De Majo C’erano proprio tutti il 20 febbraio alla cerimonia di intitolazione della Sala Pre-Consiliare del Palazzo Comunale di Livorno in ricordo di Luciano De Majo, giovane giornalista, nel primo anniversario della sua prematura scomparsa. Nella sala del Consiglio c’era tutta la sua città: la famiglia, le massime autorità civili, militari e religiose, direttori responsabili di giornali presso cui Luciano ha lavorato, colleghi giornalisti, emittenti radio e televisive, rappresentanti dell’ARCI, del Centro per la pace, i politici, i sindacalisti, gli amici, tanti. Lacrime silenziose sul volto di molti. Anche lui era presente, sembrava di vederlo, là, seduto in mezzo ai suoi colleghi, pronto a stendere con la sensibilità e la bravura di sempre la cronaca dell’iniziativa. Con rispettosa attenzione sono stati ascoltati gli interventi del Presidente del Consiglio Comunale, Enrico Bianchi, medico di Luciano e della sua famiglia, del collega Francesco Gazzetti di Granducato TV, che ha promosso l’iniziativa della richiesta di intitolazione della sala, del Direttore de “Il Tirreno”, Roberto Bernabò e del Sindaco Alessandro Cosimi. Al termine, un lungo applauso ha salutato lo scoprimento della targa di intitolazione della Sala Pre-Consiliare. Quando le porte si sono aperte, sembrava che quella sala, dove Luciano era venuto più volte per partecipare a conferenze stampa ed incontri, fosse nuova, brillasse di una luce diversa. Silenziosamente tutti hanno preso la brochure edita dal Comune in sua memoria e il volume pubblicato da “Il Tirreno”, stringendoli come preziosi ricordi. Ancora una volta Luciano, uomo di cuore, bravo giornalista, mai asservito, ha parlato alla sua città e la sua città gli ha offerto un nuovo abbraccio. La Sala Luciano De Majo 43 Cerimonia di intitolazione della Sala Pre-Consiliare a Luciano De Majo 20 febbraio 2012 Interventi I N T E RV E N T I Luciano De Majo 44 Enrico Bianchi, Presidente del Consiglio Comunale 20 febbraio 2012. La sala del Consiglio Comunale durante la cerimonia di intitolazione della Sala Pre-Consiliare a Luciano De Majo Buongiorno a tutti. Devo dire che sono molto in difficoltà, parlo dal punto di vista emotivo, naturalmente. Mentre ricordo Luciano salgono le emozioni e rendono difficile il parlare, ma cercherò di fare del mio meglio. È ormai passato un anno da quando Luciano ci ha lasciati. Il tempo è “volato”. Lo conoscevo praticamente dalla nascita: la sua famiglia, i suoi genitori sono miei pazienti da 35 anni. Posso dire di essere invecchiato con loro. Ho visto crescere Luciano, l’ho visto studiare, iniziare la sua brillante carriera professionale, sposarsi. Purtroppo ho vissuto anche da medico, oltre che da amico, la terribile malattia che in brevissimo tempo l’ha portato via. nominato “Bartali”, perché a suo avviso era “tutto sbagliato”, era “tutto da rifare”. Purtroppo Luciano non ha avuto la possibilità di poter rifare “le cose” così come avrebbe voluto e a noi che siamo rimasti spetta solo il dovere morale di ricordarlo nel suo appassionato impegno civile, nelle sue idee, spesso controcorrente, nella sua etica, nella sua infinita disponibilità sociale. Un abbraccio a Ivana, Roberto, Valeria ed ai suoi stupendi figli Alessandro e Teresina. Francesco Gazzetti, Giornalista Granducato TV Caro Luciano, sì lo so, lo so che stai pensando “Ma cosa vi siete messi a fare”. Lo so che ci diresti “Andate a lavorare”, ma ci devi scusare, non potevamo proprio fare niente di diverso da quello che abbiamo fatto. Lo vedi quanti siamo. Guarda chi c’è. Ci sono gli amici ed i colleghi di sempre e quelli che si sono aggiunti cammin facendo, quelli con cui hai iniziato la tua splendida avventura da giornalista e quelli che magari hanno iniziato a fare questo mestiere leggendo proprio uno dei tuoi articoli o ascoltando una tua radiocronaca. Per tutti noi ricordarti è tanto facile quanto è impossibile dimenticarti, ma ci siamo chiesti come potevamo far sì che quelli che verranno nei prossimi anni, quelli che faranno il tuo, il nostro mestiere in futuro, potessero avere, in parte, la stessa nostra fortuna. Quella targa, la targa che tra poco scopriremo, vuol servire proprio a questo: suscitare e solleticare la curiosità di qualche giovane collega che verrà e che passando accanto a quella targa, a quella sala, si chiederà: “Ma chi era questo Luciano De Majo?!”. Noi non aspettiamo altro, siamo tutti pronti, pronti a fare la nostra parte. I N T E RV E N T I 1995. De Majo intervistato da un giornalista di una TV locale a Capaci Luciano De Majo L’obiettivo che ogni medico si prefigge è quello di migliorare la qualità e la durata della vita dei pazienti, ma quando questo non accade, soprattutto se si tratta di una giovane vita, il senso di impotenza che ci assale è grande e non ci si rassegna: nel caso di Luciano, poi, il peso è per me insopportabile. Emotivamente sono stato e sono molto vicino alla sua famiglia, anche perché mia madre è mancata alla stessa età di Luciano e so bene, per esperienza personale, quale sia il senso di vuoto, di desolazione, di disorientamento che si prova quando vengono meno le figure importanti della famiglia. Per come l’ho conosciuto io, Luciano era lontanissimo per carattere da ogni forma di ridondanza, di retorica, di ampollosità: era una persona semplice, schiva, rigorosa con stessa e con gli altri, che non badava alla forma, ma alla sostanza. Di lui ricordo le conversazioni su temi sociali e politici per le quali lo avevo sopran- 45 1996. Ad Effetto Solidarietà con Marco Filippi e Marco Solimano I N T E RV E N T I Luciano De Majo 46 Cosa racconteremo di te? Da cosa inizieremo? Impossibile dirlo, ognuno di noi porta dentro di sé cento e più ricordi. Potremmo raccontare di quando di fronte a qualche manifestante che ti accusava di essere il solito giornalista al soldo di qualche potere più o meno forte tu, con calma, mettevi la mano dentro al colletto della camicia e tiravi fuori quella medaglietta che portavi sempre con te, quella con la falce ed il martello, per intenderci. Un simbolo identitario che ti serviva a mettere in chiaro, subito, con chi questi manifestanti avevano a che fare: per la cronaca i manifestanti scoprivano sempre di essere meno a sinistra di te e di avere posizioni di gran lunga più moderate delle tue. Eppure, e questo la racconteremo con grande orgoglio, i tuoi valori, le tue convinzioni, le tue passioni, non ti hanno mai impedito di ascoltare tutti con la stessa attenzione, scrivendo sempre con imparzialità e correttezza, riuscendo, proprio per questo, ad essere rispettato sia da destra che da sinistra. Potremmo, ad esempio, raccontare di quanto tu fossi bravo sia che tu dovessi scrivere o raccontare di sport, politica, economia, cronaca bianca, nera o giudiziaria, settori di cui ti eri occupato conquistando, anche in questo caso, stima e rispetto, anche da parte dei vertici delle Istituzioni, delle forze dell’ordine, della magistratura. Le stesse persone che quando tu eri ricoverato in ospedale ti vennero a fare visita: una lunga serie di autorità che portarono un tuo vicino di letto a chiederti, tra lo stupito ed il preoccupato “Bimbo, o bene bene o male male, ma mi dici chi sei?”. Oppure potremmo anche commuoverci descrivendo con quale umanità e lucidità raccontasti storie drammatiche e terribili come la morte dei quattro bambini rom nel rogo di Pian di Rota o la tragedia del Moby Prince. In entrambi i casi il tuo fu un lavoro giornalistico di valore assoluto che assumeva un alto valore civile e morale. Basti ricordare, parlando del Moby Prince, come Loris Rispoli, il presidente del Comitato Moby 140, volle leggere un tuo articolo durante la prima commemorazione della tragedia svoltasi dopo la tua scomparsa. Questi sono soltanto tre esempi, ma ognuno di noi potrebbe continuare all’infinito, scoprendo come la memoria del singolo si intrecci con la memoria degli altri e che ciascuno di questi tasselli rafforzi e costituisca la memoria condivisa di una comunità, una comunità che tu hai amato moltissimo, senza mai chiedere niente in cambio. È per questo che abbiamo deciso, tutti insieme, di avanzare la richiesta di questa intitolazione, una richiesta che il Sindaco Alessandro Cosimi ha appoggiato subito con forza, facendola immediatamente sua. E di questo non possiamo che ringraziarlo con tutto il cuore. In questa sala siamo in molti, tanti ce l’hanno fatta ed essere qua, altri sono in giro per lavoro, ma sono idealmente ed ugualmente con noi: e mi sembra questa l’occasione giusta per indirizzare un saluto ed un abbraccio fortissimo ad una bravissima collega che vogliamo vedere al più presto nuovamente tra noi, parlo di Paola Nappi. Forza Paola, siamo con te. I N T E RV E N T I esempio sfavillante di come si possa e si debba fare questo mestiere. Per molti, infatti, continui a indicare una via per interpretare questa professione tanto appassionante quanto complicata. La via che hai praticato, le scelte che hai fatto ci raccontano di come tu abbia sempre evitato le facili scorciatoie, imboccando spesso, per dirla con De Andrè, in direzione ostinata e contraria le strade del lavorare sodo, con coscienza, scrupolo ed onestà. Ai bivi che giornalmente ci troviamo di fronte, il tuo ricordo ci suggerisce di scartare la via più comoda, scegliendo invece quella meno semplice, la più faticosa, perché la verità sta proprio là, in cima a quella salita che tu non avevi timore di affrontare. E ci piace pensare che in cima a quella salita, quella del lavoro fatto come si deve, tu sia lì che ci aspetti, magari con quel sorriso sornione di chi ha capito tutto un attimo prima di te e che comunque, come sempre, è pronto ad aiutarti, spiegandoti, per l’ennesima volta, tutto daccapo. Luciano ti vogliamo, ti voglio bene e non ti dimenticheremo, mai. Luciano De Majo Parlavamo della richiesta di intitolazione, le cui prime tre firme sono state quelle del direttore de “Il Tirreno” Roberto Bernabò, dell’amministratore delegato di Granducato Tv Fabio Daddi e del già direttore de “La Nazione” Giuseppe Mascambruno, e della volontà di ricordare Luciano. Potevamo fare di più? Parlo di me. La risposta è che dobbiamo fare di più. Questa giornata deve essere solo l’inizio di un cammino che, speriamo, ci porti a creare ancora altre occasioni di ricordo e di riflessione sulla tua opera e la tua figura. Proveremo a farlo come abbiamo fatto sino ad ora, d’intesa con la tua splendida famiglia a cui va tutto il nostro affetto più vero e fraterno, rispettosi della loro volontà e pronti ad offrire, se lo vorranno, sostegno e collaborazione per progetti, iniziative e manifestazioni. Mentre scrivo le ultime righe di questa lettera un pensiero si fa largo, anzi si tratta di un domanda: ma tu eri veramente o no il migliore tra tutti noi? La risposta è no. Tu, infatti, non eri, ma sei il migliore. A distanza di dodici mesi da quando ci hai lasciato tu continui a rappresentare un 2003. A Roma ad una manifestazione per la pace 47 Roberto Bernabò, Direttore de “Il Tirreno” I N T E RV E N T I Luciano De Majo 48 L’intervento di Roberto Bernabò, direttore de “Il Tirreno”; ai suoi lati, da sinistra, il Presidente Bianchi, il Sindaco Cosimi e il giornalista Gazzetti Stamani ho commesso un peccato di presunzione. Sono venuto a questa cerimonia senza scrivermi niente, pensando di essere in grado di parlare tranquillamente. Poi sono arrivato, ho visto il pieghevole del Comune che ricorda Luciano con tutte quelle foto da ragazzino cronista e l’emozione ha preso il sopravvento. Per fortuna Francesco [Gazzetti] lo ha già ben ricordato e quindi mi rende tutto un po’ più facile. Voglio intanto ringraziare il Sindaco e il Presidente del Consiglio comunale per aver accettato la richiesta dei giornalisti livornesi di dedicare la sala preconsiliare a Luciano. Devo dire che quando l’idea si fece strada tra i colleghi, non mi convinse immediatamente: dedicare a un cronista una sala di un luogo che è il simbolo del Potere mi suonava un po’ in contraddizione con l’essenza del giornalismo, che del Potere deve essere un controllore, un “avversario”, che deve avere dentro di sé rispetto, ma anche sempre un po’ di spiri- to sovversivo. Poi riflettendo ho giudicato che, al di là delle semplificazioni giornalistiche, dovessimo considerare questo palazzo piuttosto come la Casa comunale, cioè la casa condivisa di una comunità. Quando anche i Palazzi della politica, come in questo momento storico, fanno una grande fatica a interpretare i sentimenti, i desideri, le volontà delle comunità, il municipio è sempre il luogo dove una democrazia è rappresentata, dove i cittadini si esprimono attraverso gli uomini che hanno scelto per governarli. È dunque la Casa comune, la Casa di una città, la Casa dove tutte le espressioni di una realtà sociale trovano voce, accoglienza, rappresentanza. In questo senso interpreta così perfettamente ciò che era e ciò che ha fatto Luciano. Questo senso di comunità è riconfermato - lo diceva prima Gazzetti - anche dal fatto inconsueto che siano tutti i giornalisti di una città, senza differenza di appartenen- I N T E RV E N T I vile. Luciano questo lo sapeva benissimo e lo esprimeva in un intreccio di comportamenti: sapendo che bisogna sempre e comunque raccontare tutta la verità, che vanno rispettate le regole deontologiche di una professione ad alta responsabilità, che occorre avere sempre e comunque rispetto delle persone. Sono questi tre elementi messi insieme che hanno segnato tutto il suo percorso e che oggi a noi mancano tantissimo. Quella scrivania in redazione è lì ancora vuota, nessuno ha avuto il coraggio di sedersi; è passato un anno, ma quel posto testimonia ogni giorno il vuoto che Luciano ha lasciato e che noi cerchiamo di riempire quotidianamente: non più con un compagno di viaggio, ma con quello straordinario bagaglio di conoscenze e di relazioni di comunità che lui aveva. Anche se da pochi anni era al Tirreno, Luciano era un punto di riferimento della cronaca, perché il suo aver iniziato da ragazzo a fare il giornalista gli aveva fatto attraversare questa città in lungo e in largo, dal basket alle cantine, dalla politica alla cronaca giudiziaria. Aveva un’agenda sterminata, mi ha sempre colpito, di numeri telefonici. Ma non erano solo numeri: di ognuno sapeva sempre chi era, padre, madre; era quasi un “super poliziotto”, mi vien da dire, nel senso che conosceva la realtà che sta dietro a una persona, a un luogo, a un avvenimento. Ogni vicenda aveva la grande capacità di leggerla nella sua evoluzione, dei fatti e nelle persone che c’erano dentro. Perciò per la comunità de “Il Tirreno” non avere oggi Luciano in mezzo a noi è una grande mancanza alla quale tutti i colleghi, i suoi colleghi, “compagni di banco” ogni giorno cercano di supplire, testimoniando altrettanto attaccamento al lavoro. Il lavoro di Luciano abbiamo voluto sintetizzarlo in un piccolo volume in distribu- Luciano De Majo za a questa o quella testata, a chiedere questa intitolazione, a volere ricordare in un luogo simbolico un collega scomparso troppo presto. Luciano aveva attraversato un po’ tutte le esperienze professionali di Livorno, la radio, i siti internet, i giornali e quindi è stato trasversale a tutti, anche se noi, chiaramente, lo sentiamo come il nostro Luciano, come il Luciano de “Il Tirreno”, il giornale di questa città che ha rappresentato un pezzo importantissimo del cammino professionale. Ma il fatto che sia stato poi Francesco Gazzetti di Granducato insieme agli altri, all’ex direttore de “La Nazione” Mascambruno, a firmare questa petizione, dà l’idea proprio di quanto avesse seminato senza steccati dentro tutta la comunità. In questa doppia accezione di comunità, Luciano è giusto sia ricordato qui come simbolo di tanti che cercano ogni giorno di fare al meglio il loro lavoro, raccontando la città nei suoi pregi, nei suoi difetti, nei suoi limiti, e facendolo proprio con i loro pregi, i loro difetti, i loro limiti. Ma con una fondamentale onestà. Luciano non si sentiva il migliore di noi. Sapeva bene quali fossero i suoi limiti e quali fossero anche i suoi pregi, ovviamente. Ma aveva qualcosa d’importantissimo che credo sia l’elemento che più rimane a tutti noi: nutriva il suo lavoro di una grande passione, di una grande passione civile, quella che dovrebbe avere chiunque fa questo mestiere. È una professione che tiene tanto tempo impegnati, che richiede sacrifici, lontananza dalla famiglia, come accadeva a lui dalla moglie e dai figli, però è un fuoco che ti brucia dentro se pensi davvero di fare qualcosa di socialmente importante. Devi sapere che non stai facendo semplicemente un lavoro, perché quel lavoro ha un valore ci- 49 I N T E RV E N T I zione oggi e che sarà poi in tutte le biblioteche della città, perché rappresenti, in pillole, una testimonianza del suo lavoro che chiunque potrà rileggere un domani. Mauro Zucchelli, prezioso collega della redazione, legato a Luciano da un’amicizia forse più profonda di tutti perché veniva da lontano, da un cammino comune, ha fatto questo lavoro di ricerca e lo ringrazio a nome di tutto il giornale. In questa pubblicazione c’è dentro un pezzo del percorso professionale di Lu- ciano, dei suoi ultimi anni al Tirreno. È una testimonianza per la comunità ed è una testimonianza anche per noi, per ognuno di noi che ne ha avuto una copia sulla scrivania. Rappresenta un modo di ricordare l’amico che ci manca, le sue battute, il sorriso sornione, le discussioni di calcio o di politica, e, soprattutto, il suo modo di fare questa professione. Con quella passione umana e civile profonda con pochi eguali. E che ci costringe a mettere in gioco ancora un po’ di più di noi stessi. Alessandro Cosimi, Sindaco di Livorno Il Sindaco Alessandro Cosimi ricorda Luciano De Majo Luciano De Majo 50 Quando mi è stato proposto di intitolare una sala del Palazzo Comunale alla memoria di Luciano De Majo non solo ho pensato che fosse giusto, ma che fosse anche giusto interrompere una tradizione, che era quella per cui nella Sede non vi fosse nessuna intitolazione. Ho pensato inoltre che fosse un elemento non solo del ricordo, ma anche della permanenza di Luciano. Per lui il Consiglio Comunale era un elemento dentro il quale nuotava come un I N T E RV E N T I di relazione, per aver fatto dei percorsi nel lavoro che gli avevano consentito di “conoscere”, ma la fatica e la voglia di andare a trovare su un tema un elemento che fosse capace di potergli fare scrivere una cosa che aveva una sua fondatezza reale e costruire su questo non un articolo, ma un’opinione, una modalità, un percorso. Questo è stato sempre quello che ha caratterizzato proprio il suo impegno civile. Si ricorda inoltre una persona a cui si vuole bene: sono convinto che l’intitolazione della sala preconsiliare a Luciano De Majo va bene, ma dovremmo fare anche altre cose per mantenerne vivo il ricordo. Oggi possiamo ricordare quello che vogliamo, ma l’ingiustizia di una morte a quarant’anni è la cosa sostanziale. E questo dato toglie uno spazio su cui è inutile dissertare, ci sono gli elementi della parte pubblica, e poi quelli del privato. Possiamo fare cosa vogliamo, ma alla sua famiglia non sarà possibile ricostruire alcunché. Quello che facciamo è un elemento di giustizia perché non sia che, in futuro, un ragazzo che ha dato tanto a questa comunità possa passare sotto silenzio, e lo facciamo perché pensiamo che oggettivamente - e forse lui si sarebbe anche arrabbiato - non è un esempio, ma è una modalità che rimane dentro la comunità dei giornalisti, dentro la modalità della politica, dentro la città, perché queste sue caratteristiche sono quelle che lo hanno fatto amare da tutti. Quando parlo di Luciano De Majo non sono capace di articolare un pensiero migliore perché trovo l’ingiustizia in questa morte e perché trovo questa questione un privare la città di un ragazzo che avrebbe potuto dare veramente tanto. E quando si parla di queste cose bisogna stare attenti, perché si rischia di parlare di sé o del rapporto che avevi con l’altro. Luciano De Majo pesce nell’acquario. Viveva i rapporti con i gruppi consiliari, aveva una sua modalità di rapportarsi che era la somma di tutte le informazioni che riusciva a trovare. In Consiglio veniva a partecipare perché credo che il lavoro di Luciano De Majo era, sì, quello del cronista, ma che era generato da una grande passione civile, il lavoro di una persona che stava dentro le cose per vedere in quale maniera si potesse costruire un modo per farle sviluppare e dare un frutto positivo. Oggi gli intitoliamo la sala preconsiliare e lo ricorderemo non solo come una persona che ci manca, ma come una persona che è tra noi. Lo facciamo sapendo che tante delle esperienze che abbiamo fatto insieme a lui sono di altissimo livello, fatte con una passione e una volontà di costruire che era, per Luciano, l’elemento di conduzione del rapporto con gli altri. Mi viene in mente la qualità delle “litigate” furibonde che Luciano era capace di fare quando era convinto di avere ragione e la voglia di far pace quando pensava che stare insieme significasse costruire qualcosa per il futuro. Credo fra le altre cose che la sua mancanza assoluta di arroganza derivasse dal fatto che voleva bene alla gente. Quando pensava che ci fosse un tema che andasse affrontato senza peli sulla lingua, lo faceva, e non perché era il suo mestiere, ma perché era la sua indole portando però sempre un rispetto fondamentale verso le persone che stavano insieme a lui. Sotto questo aspetto l’intitolazione della sala a Luciano è un modo per sentirlo vicino. Sottolineo, inoltre, che l’intitolazione della sala sia un riferimento oggettivo. Vorrei ricordare la fatica, che è passata anche di moda, la fatica di conoscere le cose, per avere rapporti. Luciano aveva alcune entrature oggettive, di affetto, di modalità 51 I N T E RV E N T I 2003. Intervista a Rita Levi Montalcini Luciano De Majo Luciano ha fatto delle cose in questa città che sono incredibili per la loro naturalezza: questo proprio perché voleva bene alla gente. Anche lo scontro talvolta sulla valutazione di alcuni temi, alcune discussioni che poi riconducevano ad un punto: i suoi articoli erano sempre una traccia su un agire per qualcosa di concreto, non erano mai esercizi di bella scrittura e di questo non solo voglio dare atto, ma voglio dire che è stato il motivo per cui gli ho voluto veramente bene. Luciano De Majo non faceva mai nulla gratis e pagava tutto, non faceva mai una cosa che fosse per sé, ma costruiva un punto di riflessione. Proprio su questo molte volte abbiamo discusso, ma l’affetto era profondissimo, proprio perché aveva questa capacità: dava un tratto di profondità alla riflessione, in un mondo così superficiale e spesso di affabulazione senza senso. Credo che Luciano non solo ci mancherà per questo, ma ci mancherà per quello che avrebbe potuto costruire in futuro. Non so cosa faremo di oltre, però qualcosa lo faremo di sicuro, perché lo dobbiamo alla sua famiglia e lo dobbiamo al fatto che lo abbiamo perduto in un momento in cui avrebbe potuto dare moltissimo a questa città. Credo dunque che l’intitolazione della sala a Luciano De Majo sia un modo per farlo stare qui accanto a noi e sentirlo parte anche dei progetti che costruiremo in futuro. Luciano De Majo, nato a Livorno il 29 ottobre 1970, si è distinto nella professione di giornalista, condotta sempre con serietà, correttezza e rigore morale, senza venir meno però allo spirito critico che lo caratterizzava. Di grande sensibilità verso il problema della pace ed il mondo dei più deboli, ha militato nei movimenti per la pace e la libertà e nell’ARCI. È stato iscritto all’ANPI. Ha sempre dimostrato interesse per le questioni ambientali, tanto da far parte della redazione di Eco-Comunica per l’ambiente ed essere direttore responsabile di Greenreport. Padre di due bambini, Alessandro e Teresina, ci ha lasciati in meno di tre mesi, per il cancro, a soli 40 anni, il 20 febbraio 2011. 52 Ricordi Professionalità e umanità erano in lui caratteristiche inscindibili, lui per primo non poteva pensare l’una senza l’altra. Forse anche per questo intorno a questa proposta si sono trovati tanti suoi colleghi di provenienza diversa. A tutti loro va la nostra gratitudine, con l’auspicio che il ricordo di Luciano possa spingere qualche giovane sulla strada di una professione che sia anche e soprattutto servizio alla comunità. È da poco più di un anno che Luciano De Majo manca da questi uffici, da questi corridoi, da quest’aula: è stato cronista fino all’ultimo e da cronista per migliaia di volte ha salito le scale di Palazzo civico; dentro il Palazzo ma senza rimanerne prigioniero. Lo si deve alla sua preparazione professionale, alla scelta etica di stare con la schiena dritta, alla curiosità di raccontare le storie, all’intelligenza umana di capire dove si gioca l’esistenza vera delle persone. Ma lo si deve anche a un aspetto singolare: al suo percorso professionale e umano fra le differenti testate e i differenti media. È assai raro, soprattutto in una città di provincia, che il curriculum di un giornalista non sia all’interno di uno o due organi di informazione e, a dispetto di tutte le enunciazioni, resta ancora una distinzione non lieve fra stampa quotidiana, periodici, tv, radio e web. Non è accaduto così a Luciano: ha scritto giovanissimo - appena quindicenne e studente liceale - per la redazione della Nazione; la sua voce l’hanno conosciuta gli ascoltatori di Radio Flash nei giornali radio così come nelle radiocronache di basket; ha lavorato per il Telegrafo, per l’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) e per la costola toscana dell’Unità (Mattina) sia guidando l’équipe di Livorno sia operando al desk di Firenze; è stato al timone di una testata-novità nell’informazione ambientale via internet com’è Greenreport e, dopo un periodo all’ufficio stampa del Cantiere formato cooperativa, prima ancora a quello del Comune di Collesalvetti, è diventato cronista al Tirreno. Non basta: ha fatto saltare i tradizionali steccati operativi fra cronaca nera, politica, sport, sociale, giudiziaria e istituzionale. Dietro tutto questo c’era la curiosità di andare a cercare qualcosa che meritasse di essere raccontato: per rendere il nostro mondo meno ingiusto e più umano. Cominciando da se stessi: perché se un altro mondo è possibile, anzi necessario, è dal proprio “io” e dal proprio “noi” che Luciano ci ha insegnato a costruirlo. La famiglia Mauro Zucchelli Luciano De Majo La famiglia di Luciano De Majo desidera in questa occasione ringraziare la città che in questo anno non ha mai fatto mancare il suo affetto e, in particolare, i colleghi giornalisti, coloro che hanno promosso e sostenuto l’intitolazione a Luciano della sala preconsiliare nonché l’Amministrazione Comunale che questa proposta ha approvato e fatto propria. È un riconoscimento prima di tutto alla sua professionalità, ma anche alla sua umanità. I N T E RV E N T I Proponiamo le testimonianze di famiglia e amici pubblicate nella brochure che il Comune di Livorno ha dedicato a Luciano De Majo in occasione del primo anniversario della sua scomparsa. 53 I N T E RV E N T I Solidarietà, diritti, riduzione del danno, pace, immigrazione, profughi, nel 1991, quando conobbi Luciano De Majo ed aprimmo il Centro per la Pace, erano parole nuove, che circolavano raramente fra i tavoli di una redazione e nelle feste di partito. Luciano sosteneva che la carica di novità di queste parole si deve accompagnare almeno al sorgere di un dubbio, che vale prima di tutto, per gli operatori dell’informazione, per coloro che ogni giorno scrivono su un giornale o parlano dai microfoni di una radio o di una televisione. Riflettere su queste parole non è solo necessario ma addirittura doveroso, perché è “lui”, il disagio che ci sta dietro, che viene a cercarti, ora nell’amaro sorriso di una ragazza, ora nella rabbia mai sfogata di un giovane. “Dar loro voce, non è un atto di carità, ma un’esigenza che parte da un diritto”. Queste convinzioni di Luciano De Majo, amico, giornalista e pacifista, sono impresse nella mente di tutti noi. Alfio Baldi Coordinamento Centro della Pace “E. Balducci” - Livorno Sono tanti i pensieri ed i ricordi che Luciano mi sollecita. Fra i più emozionanti la prima Festa dell’Unità vissuta e costruita insieme a Capaci, terra di mafia, ma anche luogo simbolo della riscossa dell’antimafia civile e sociale. Era il 1995. Quattordici giorni vissuti con intensità, passione, stupore, paura, ma anche divertimento. Dividevamo la casa ed il lavoro, discussioni e giochi ed una amicizia, una stima, un rispetto reciproco che da quei giorni sarebbe diventato una costante della nostra vita. Luciano De Majo Marco Solimano ARCI Livorno A Luciano Prendere il volo, così, di domenica, d’inverno. Con il cielo lacrimoso, e l’aria impregnata della tua città e le mimose già in fiore caduco. Sono certo della tua fatica ultima che il sorriso beffardo lasciava. E al sole del giorno dopo, lo spavento s’è fatto quiete. E vuoto. E stordimento… Valerio Caramassi Fondatore di “Greenreport” Nello sport ha guardato sì solo il gesto atletico o la performance da primato, ma sapendo coglierne la dimensione sociale: la passione di una collettività, che si tratti dei giocatori in campo o dei tifosi sugli spalti. Gino Calderini* Presidente provinciale CONI 54 * Il 6 aprile 2012 Gino Calderini ci ha lasciati. La redazione lo ricorda attraverso le parole del Sindaco, Alessandro Cosimi: “È stato un punto di riferimento morale per tutta la città. Era una persona amatissima dai livornesi per la sua semplicità, la sua storia, la sua integrità umana”. Il nuovo CN on line CN on line Grafica accattivante, tanti articoli nuovi ogni settimana dedicati al panorama culturale cittadino e uno spazio per foto e video: è CN on line, il nuovo magazine culturale del Comune di Livorno, sul web da pochi mesi, da condividere anche sui social network. Supplemento multimediale della rivista “CN - Comune Notizie”, edita dal Comune dal 1991, CN on line propone ai lettori una vasta gamma di articoli di arte, cultura, costume, società, musica, spettacolo, scienza, sport, ecc. Tutti rigorosamente legati alla città, per raccontare Livorno com’era e com’è oggi, con le sue iniziative, i suoi personaggi, i suoi luoghi, le sue storie, la sua cucina, e dar voce a quel fervore culturale che da sempre la caratterizza. Un vero e proprio contenitore in progress, realizzato con il contributo dei lettori, che possono pubblicare i loro interventi, inviando il materiale alla redazione: [email protected] I N T E RV E N T I www.comune.livorno.it/cnonline 55 I NOMI PER LA LIBERTA’ Il contributo della città di Livorno alla Resistenza e alla Liberazione Partigiani feriti: Ilio Baldi, Dino Franchi, Renzo Giacomelli, Francesco Lotti, Sario Novelli, Astro Novi, Renzo Pellicci, Dismo Praticelli, Idaco Pratesi, Arturo Quaglierini. Agenti di Pubblica Sicurezza, collaboratori del Distaccamento, arrestati e fucilati dai tedeschi a Ceretelle e Nugola Vecchia e riconosciuti partigiani, insigniti di medaglia d’oro dal Comando delle Brigate Garibaldi: sottotenente Vittorio Labate; vice-brigadiere Nicola Bucci; agenti ausiliari: Orlando Marinai, Washington Copernico; agenti: Francesco Citro, Giovanni Cannata, Rolando Tomietto, Umberto Petrucchi. Prigionieri polacchi e russi addetti ai Servizi ausiliari tedeschi che, fuggendo, si unirono al Distaccamento, ma essendo stranieri (ad eccezione di Feliks Bikonaki, caduto a Castellaccio) non vennero qualificati partigiani dalla Commissione Regionale Toscana per “il riconoscimento dei partigiani e dei patrioti”: Polacchi: Feliks Bikonaki, Varsavia; Giosè Bokoteo, Varsavia; Galaudkav Culiek, Varsavia; Dvoinstav Idak, Varsavia; Pedro Mikusk, Varsavia; Bhuda Pohmonozati, Varsavia; Iosef Qurmager, Varsavia; Iosef Safrank, Varsavia; Singhnevo Slusarcik, Varsavia; Russi: Manov Abdubrak, Russia; Valov Alies, Russia; David Ahakez, Russia; Farhad Akberov, Russia; Loan Barum, Russia; Vitorio Barzichi, Leopoli, Russia; Rasul Baxzoh, Russia; Antonio Camiski, Leopoli, Russia; David Cikanhze, Russia; Egamendinus Chamara, Russia; Adam Colombo, Leopoli, Russia; Giovanni Curvieschi, Leopoli, Russia; Gacai Gasimov, Russia; Masicof Gai, Russia; Ismail Gulev, Russia; Mustafà Mustafaci, Russia; Angiolino Petrasca, Russia; Eshiow Rapinochan, Russia; Lik Secakrin, Salbanin, Russia; Bathat Shainan, Russia; Idan Skeieran, Russia; Abdulgouz Tarazov, Russia; Dosti Umarov, Russia; Ali Valiev, Russia; Slaweski Wladscaf, Leopoli, Russia. Partigiani e patrioti del 10° Distaccamento della 3a Brigata Garibaldi, riconosciuti secondo la legge n. 518 del 1945 (i nomi e relative qualifiche figurano nell’elenco n. 69, pagg. 22-26 della Commissione Regionale Toscana per il “riconoscimento dei partigiani e dei patrioti”) PARTIGIANI Adorni Candido Agostinelli Aldo Amadori Ugo Archibusacchi Mauro Attolini Giuseppe Baggiani Amerigo Balardi Bruno Bardi Ivo Bartolozzi Giulio Bartolucci Mario Bassi Luigi Bellini Serse Belucci Aldo Bernini Bruno Bernini Loris Bertini Giampaolo Bianchini Manfredo Bianconi Gino Bikonaki Feliks Bongini Ulisse Bozzi Vanda Bucci Nicola Cancelli Athos Cannata Giovanni Caprai Vasco Carlesi Michele Carli Bruno Castagnini Mario Ceccarini Mario Cecchi Mario Cecchi Renato Cervelli Piero Chiesa Oberdan Ciaponi Giuliano Citi Pietro Citi Santino Citro Francesco Copernico Washington Costa Manlio I nomi per la Libertà Partigiani caduti: Feliks Bikonaki, caduto il 18 luglio ’44 a Castellaccio; Giuseppe Cantini, caduto il 19 settembre ’44 al Passo della Futa; Eros Gelli, caduto il 18 luglio ’44 sul Romito; Vittorio Giambruni, caduto il 16 settembre ’44 a Castelnuovo della Misericordia; Lanciotto Gherardi, caduto il 19 luglio ’44 sulla Malavolta; Alberto Maconi, caduto il 28 luglio ’44 sulla Linea Gotica; Silvano Pizzi, caduto il 13 luglio ’44 presso Nibbiaia; Renato Pini, caduto il 15 luglio ’44 nei pressi del Chioma-Quercianella; Aldo Piccini, caduto il 18 luglio ’44 a Castellaccio. INSERTI Il 10° Distaccamento “Oberdan Chiesa” della 3a Brigata Garibaldi operante nella zona di Livorno 57 INSERTI I nomi per la Libertà 58 Creatini Primo Da Prato Enrico De Mugnai Emilio Del Conte Giovanni Del Conte Mauro Del Greco Libero Demi Attilio Dini Attilio Ducilli Luciano Faiani Corrado Falleri Angiolo Falleri Gino Filippi Orazio Finocchietti Giovanni Francalacci Ferdinando Franchi Dino Franchini Enzo Fraschi Bruno Galletti Mario Galli Otello Galoppini Ovidio Gelli Ero Gherardi Lanciotto Giachini Nelusco Giacomelli Renzo Giaconi Marcello Giaconi Odette Giambruni Vittorio Giunchini Goffredo Gori Monastero Guerrucci Nedo Landi Amleto Labate Vittorio Lauretta Salvatore Lenzi Mario Liggeri Francesco Lotti Pierfrancesco Lucarelli Duilio Macchi Alberto Macchi Macchiavello Manna Assoluto Marinai Orlando Marini Leopoldo Mariotti Mario Mecacci Gino Menicagli Idilio Menicagli Tosello Menicagli Ugo Merlini Duilio Merlini Luciano Montelatici Luciano Morelli Primo Niccolai Sirio Novelli Sario Novi Astro Orlandini Vasco Orsucci Valente Pellicci Renzo Petrucchi Umberto Piccini Aldo Pini Renato Pizzi Beppino Pizzi Dino Pizzi Silvano Pratesi Idaco Praticelli Dismo Prispoli Gino Pupi Piero Quaglierini Arturo Raugi Dino Rebua Ottorino Roncuzzo Giuseppe Rossi Lanciotto Salvi Marcello Salvi Sergio Savi Pietro Serredi Pilade Storai Dino Storai Wladimiro Tognetti Dino Tomietto Orlando Tosi Gino Trasciatti Victor Hugo Trocar Mario Turchi Verano Turini Bruno Valesini Emilio Vannini Umberto Bucciantini Renzo Calai Gino Calloni Manusco Cancelli Alfonso Canessa Alfredo Canessa Sirio Cantani Cora Cantini Alessandro Capantini Duilio Cappelli Alessandro Cappelli Giuseppe Caprai Alberto Carli Luciano Carrese Alessandro Casarosa Aldo Catastini Gino Catelli Luciano Cecchi Alvaro Cecchi Bruno Cecchi Divo Cecchi Ivo Cecchi Ugo Cellieri Mario Cerri Valdo Chiapponi Franco Ciaponi Adamo Ciaponi Eugenio Cioli Umberto Corsi Enrico Costa Angiolino Creatini Gino Crovetti Franco D’Eusebio Erasmo De Giuli Alfredo De Maio Corrado Del Corona Nadir Di Rocca Gino Domenici Brunero Domenici Emilio Domenici Loriano Evangelisti Bruno Falchini Ivano Fantozzi Giuseppe Fantozzi Romano Fastosi Bruno Favilli Raul Fedi Belgio Ferrini Piero PATRIOTI Adorni Donato Allegri Luciano Amadori Giovanni Bacci Egisto Badaloni Nicola Barsotti Arino Bartolini Libero Bartolini Secondo Bartolozzi Amleto Batini Mario Belcari Ivo Benifei Eros Bernini Silvano Bertelli Napoli Bertini Giuseppe Bertolini Secondo Bianchi Ferdinando Biasci Renato Bicchierai Libero Bientinesi Nello Bilanci Canzio Biondi Alberto Bonaldi Sandro Brilli Erasmo Perfetti Ottorino Perini Giuliano Pietrini Ilio Pillocchi Aldo Pipan Alberto Poli Mario Pratesi Ursus Prosetti Ugo Pupi Mauro Pupilli Enzo Quilici Dino Ricchi Gino Ricchi Nello Risaliti Enrico Rossi Combes Ruffo Raffaello Ruggero Aldo Salvini Agostino Sommati Luca Tacchella G. Batta Tamberi Decio Tani Alessandro Tani Carlo Tessieri Leandro Turini Michelangiolo Turini Paolo Vaiani Natale Vanni Alfredo Vanni Angiolo Vezzosi Bruno Vezzosi Mario Vincenti Arnaldo Vivaldi Spartaco Zanobetti Mario (I dati sono a cura dell’ANPI, Comitato comunale di Livorno) Il contributo dei Livornesi alla Resistenza in Italia e all’estero Partigiani e patrioti Partigiani caduti: nella 3a Brigata Garibaldi nelle formazioni operanti in Italia nelle formazioni operanti all’estero Partigiani feriti e invalidi 845 29 41 11 84 INSERTI Livori Mauro Lomi Gino Macchi Vera Mancini Cesare Manetti Sergio Mannucci Enzo Marchesini Aldo Marchetti Corrado Mariano Lirio Mascagni Anteo Matteucci Silvano Mazza Francesco Mecacci Sergio Meglio Gino Mennella Agnallo Michelazzi Olieo Morelli Bruna Munafò Aldo Nardi Maruzzo Nenci Giuseppe Nencini Piero Orlandini Piero Pacchiani Enrico Paggini Francesco Pannocchia Alberto Paoletti Aldo Paoletti Vito Paperi Ilio Papi Nilo Papini Remo Pardini Ascanio Pasquali Francesco Passetti Giuliano Pellegrini Aldo I nomi per la Libertà Fiorini Mario Fiorini Renzo Fiorini Rodolfo Francesconi Marcello Franchi Gino Franchi Tito Francini Clinto Frangerini Armando Frangioni Italo Galleri Gino Gallinari Angiolino Gamba Tamante Gardone Giuseppe Garzelli Giorgio Gasperini Sirio Geppetti Giovanni Ghezzani Bruno Ghezzani Gino Ghezzani Giovanni Giacomelli Emilio Giambruni Gino Giannoni Vittorio Giovannini Marino Giuntini Ivo Giusti Guido Giusti Nedo Gozzi Enea Guedri Urbino Gusti Tonino Iacoponi Sandro Italiano Domenico Landi Dino Lemmi Amleto Lenzi Ugo LIVORNESI PARTIGIANI COMBATTENTI Adorni Candido Agonigi Ivaldo Albertosi Arturo Andorlini Enzo Andreani Mario Angeli don Roberto Angelone Emilio Annibale Luciano Antonelli Virgilio Archibusacci Mauro Arrighi Dante Attolini Giuseppe Baggiani Amerigo Bagnoli Bruno Balardi Bruno Balzini Luigi Bardi Ivo Bargellini Renzo Baronetto Aldo Baroni Mario Bartalucci Aldo Bassini Ettore Bellini Serse Bellucci Aldo Bendinelli Ennio Benifei Garibaldo Benincasa Felice 59 INSERTI I nomi per la Libertà 60 Bernini Bruno Bernini Metello Bertoni Giustiniano Biagini Giovanni Bianchini Manfredo Bitossi Mario Bizzi Oreste Boccacci Guerrazzo Bocchi Gino Bonomo Luciano Bozzi Wanda Brondi Elio Bruni Brunello Caponi Guerrino Carlesi Sergio Carli Bruno Carlotti Silvano Carrai Gino Carraresi Pietro Cartei Gino Casà Gerolamo Casciani Renzo Castagnoli Bruno Catalani Giovanni Ceccarini Giuseppe Ceccarini Mario Cecchi Mario Cecchi Renato Celanti Carlo Centi Alessandro Cervelli Piero Chetoni Giacomo Ciampi Elio Ciaponi Giuliano Ciardi Giotto (Med. d’Oro VM.) Cintoi Sergio Cioni Libero Citi Santi Citti Fausto Civetta Aldo Colombini Dino Conti Nedo Corozzi Mazzini Corradi Oberdan Corradini Fleano Corsi Luciano Cosimi Brunero Dainelli Aldo Da Prato Bruno Enrico De Ciampis Vittorio Del Greco Libero Del Greco Sirio Del Guerra Ilio Dell’Omodarme Ivan Del Mosca Sidrak Del Rio Avanti De Memme Piero De Mugnai Emilio De Paz Giacomo Alessandro De Paz Sergio De Toffoli Luigi Dini Enzo Dini Venio Domenici Dante Domenici Luigi Ducilli Giuliano Ebraico Silvano Fabbri Eligio Faccenda Otello Faccin Antonio Fantozzi Silvano Fardellini Aroldo Favero Ezio Favillini Eugenio Ferrari Rio Ferrucci Mario Filippi Aldemara Filippi Orazio Finocchietti Giovanni Formichi Giorgio Fornaciari Pierino Franceschi Giovanni Frangioni Leonetto Fraschi Bruno Frassi Nevilio Fusario Giuseppe Gabrielli Corrado Gagliardi Sidro Galli Mario Galligani Giulio Gambicorti Ivo Gamerra Anna Maria Gasparri Tommaso Gasperini Tolmino Gatto Vincenzo Gennai Bruno Gherardi Bruno Ghiara Aldo Giachini Nelusco Giacomelli Oreste Giacomelli Renzo Giaconi Marcello Giaconi Nilo Giaconi Odette Giovagnoli Francesco Girardi Marcello Giunchini Goffredo Giusti Vinicio Gneri Alfredo Gori Monastero Gradassi Dino Gravina Alberto Guerrucci Nedo Guidetti Ugo La Bruna Castrenze Landi Amleto Landucci Leonetto Lauretta Salvatore Lavoratori Alberto Lazzeri Ugo Lelli Bruno Lenzi Domenico Lenzi Mario Lorenzoni Luciano Lotti Pier Francesco Luino Giacomo Luschi Corrado Luschi Federigo Luschi Gino Luschi Vasco Malacarne Nello Mancini Bruno Mancini Mario Manna Luciano Manno Calogero Marengo Mario Martelli Giovanni Mastrullo Michele Matteoli Fabio Matteucci Giorgio Mazza Umberto Mazzacherini Luciano Mazzanti Rolando Mazzoni Bruno Mentessi Luciano Merlini Luciano Montagnani Dino Montelatici Luciano Moretti Ciro Moscatelli Alberto Nencini Gino Niccolai Sirio Niccolini Ferdinando Nigiotti Morfeo Novelli Sauro Orlandini Pietro Pachetti Isepo Pachetti Rino (Med. d’Oro V.M.) Pacini Ervé Paggini Francesco Paggini Garibaldi Paggini Ricciotti Panchetti Italiano Pannunzio Vinicio Paperi Walter Papini Mario Parra Ilio Paungharden Claudio Pennacchini Furio Pensabene Alfio Pera Fernando Perez Roberto Petracchi Nedo Petri Bruna Tognotti Renzo Tomei Telio Tosi Gino Turini Bruno Turrini Augusto Urbani Renzo Vaccaro Mario Valesini Emilio Vannini Alberto Vannini Vannino Vannucci Emo Venturi Gino Vivarelli Sergio Volandri Umberto Zago Bruno Zambernardi Sileno Zammit Filippo Zanatta Ottavio Casini Mario Cecchi Alvaro Cecchi Bruno Cecchi Divo Cecchi Ivo Cecchi Ugo Cerri Waldo Cellieri Mario Chiapponi Franco Ciaponi Eugenio Cioni Giorgio Conti Danilo Corsi Enrico Cosimi Bruno Crovetti Franco Dalle Mura Enzo Del Corona Enzo Del Corona Nadir Delfino Edilio De Giulli Alfredo De Giulli Pietro Di Quirico Pietro Domenici Emilio Domenici Loriano Donati Dino Duò Carolina Falca Pier Luigi Fantozzi Remo Fantozzi Romano Fatichenti Santi Fiorini Adolfo Francesconi Marcello Franchi Tito Gemmo Frangerini Armando Gaetaniello Luigi Galleni Dino Galli Ulisse Gambicorti Elia Gino Garzelli Giorgio Geppetti Giovanni Ghezzani Bruno Ghezzani Giovanni Giacomelli Dionisio Giacomelli Emilio Giacomelli Gualberto Giannelli Alfredo Gigli Bruno Giusti Ledo Giusti Milziade Gorelli Bruno Gradassi Mirio Guarguagli Nestare Isolani Pietro Landi Dino Lemmi Amleto Leonardi Ernesto Lepri Luciano Livori Mauro Lomi Giorgio Longobardi Pierino Lorenzi Renzo Lulli Silvano Macchi Vera Magagnini Ennio Mainardi Luciano Manetti Sergio Mannucci Enzo Marianelli Gildo PATRIOTI Agen Giammauro Allegri Luciano Amadori Giovanna Badaloni Nicola Baldi Mario Baldi Ugo Baronti Aristeno Mario Barsotti Arino Bartolini Marcello Bartolozzi Amleto Bartolozzi Giulio Benifei Eros Benvenuti Paolo Bertelli Ettore Bertini Giuseppe Betti Nedo Bianchi Ferdinando Biasci Renato Bientinesi Nello Borghi Tina Brilli Erasmo Bucciantini Renzo Cacciari Mario Cacciari Pasquale Calai Gino Caleo Vinicio Calloni Maruzzo Cancelli Anio Capantini Duilio Caparrini Valeria Cappelli Alessandro Casabona Aldo Casciani Lanciotto Caselli Athos INSERTI Saller Renato Salvi Marcello Salvi Sergio Santini Giovanni Santino Santo Savi Pietro Scardigli Gino Scarpa Bernardino Selmi Ranieri Semboloni Bruno Silvestri Guido Simonetti Silvana Simoni Gino Sotgiù Raffaele Spadoni Ugo Stoppa Giorgio Storai Wladimiro Sturla Pietro Tarchi Francesco I nomi per la Libertà Picchiotti Giuseppe Pieri Aldo Pizzi Dino Poli Dante Poli Guglielmo Prispoli Gino Querci Alfredo Questa Mario Raugi Dino Razzauti Ivo Rebua Ottorino Ristori Mario Riva Maria Cristina Rivarola Manrico Rocchi Dino Roncucci Giuseppe Rosellini Alvaro Rossi Lanciotto Rubinich Wladimiro 61 INSERTI I nomi per la Libertà 62 Mariani Livio Marrucci Ulderigo Marsigli Armando Mascagni Anteo Lido Mazza Francesco Morelli Bruna Nannetti Ivo Nenci Giuseppe Nencini Piero Nocchi Alfredo Nocchi Arnaldo Nocchi Piero Orlandini Pierino Pallini Renato Pannocchia Roberto Paolotti Piero Paperi Ilio Papini Reno Pardini Marcello Piendibene Aldo Pipan Alberto Pisani Compagnoni Ubaldo Politi Mario Pratesi Ursus Pupilli Enzo Quaglierini Alfredo Ristori Giuseppe Rocchi Ervé Rossi Combes Sabatini Garbarino Sandroni Arnoldo Sandroni Mario Seminelli Elio Senesi Corrado Simonti Luciano Sommati Luca Spagnoli Augusto Specos Piero Stefanini Enzo Sturla Silvano Tani Alessandro Tessieri Leandro Tonarini Primo Vanni Goffredo Viviani Loris Militari di stanza a Livorno combattanti nella guerra di Liberazione in reparti regolari delle FF.AA. o in formazioni partigiane Li Gobbi Alberto, Gen. di CA. Med. d’Oro VM. Masetti Ugo, Amm. di Div. Milanesi Aldo, Gen. di Brg. Gambarotta Vitaliano, Gen. di Brg. Agostinelli Sergio, Contr’Amm. Salmi Tito, Gen. di Brg. Paracadutisti Donnini Aldo, Gen. di Brg. Bernardi Mario, Contr’Amm. Bertini Giorgio, Contr’Amm. Poggiolini Italo, Col. CC. Guida Giovanni, Cap. di Vasc. Talluri Furio, Col. Paracadutisti Fontana Oreste, Col. Signore Giovanni, Col. CC. Frizzi Giulio Cesare, Col. CC. Giardina Giuseppe, Col. CC. Gattini Mario, Col. P.S. Camerini Mario, Cap. di Vasc. Casini Vincenzo, Cap. di Vasc. Celli Danilo, Cap. di Vasc. Fineschi Ettore, Col. Foschini Ilio, Cap. di Vasc. Valente Vittorio, Cap. di Vasc. Zoli Gino, Cap. di Vasc. Grossi G. Battista, Ten. Col. CC. Petracca Camillo, Ten. Col. Prosperini Teseo, Ten. Col. Veneziani Pergo, Cap. di Fregata Gabrielli Giuseppe, Cap. di Corvetta Checco Filippo, Ten. di Vasc. Martorella Celso, Ten. di Vasc. Paradisi Etrusco, Ten. di Vasc. Semeraro Alfonso, Ten. di Vasc. Antonucci Mario, Sotto Ten. di Vasc. Bambagioni Oliviero, Sotto Ten. di Vasc. Ermito Antonio, Sotto Ten. di Vasc. Merloni Mario, Sotto Ten. di Vasc. Tomassoni Mario, Guardiamarina Angerame Pietro, Capo di 1.a Cl. Bellotti Aldo, Capo di 1.a Cl. Biagioni Franco, Capo di 1.a Cl. Bifulco Antonio, Mar.llo Magg. Paracadutisti Buttari Nicola, Mar.llo Magg. Chignone Francesco, Mar.llo Magg. Paracadutisti Ciucchi Gino, Capo di 1.a Cl. Curia Francesco, Capo di 1.a Cl. Dassi G. Battista, Mar.llo Magg. CC. De Murtas Giovanni, Capo di 1.a Cl. De Santis Paolo Silvano, Mar.llo Magg. Desimio Vincenzino, Capo di 1.a Cl. Di Muro Antonio, Mar.llo Magg. Paracadutisti Di Raimondo Giuseppe, Capo di 1.a Cl. Fucelli Rino, Capo di 1.a Cl. Gallo Pasquale, Mar.llo Magg. P.S. Giordano Raffaele, Mar.llo Magg. Paracadutisti Latini Francesco, Mar.llo Magg. CC. Limardi Antonio, Capo di 1.a Cl. Mameli Goffredo, Mar.llo Magg. CC. Paracadutisti Mazzuccato Walter, Capo di 1.a Cl. Mè Vincenzo, Capo di 1.a Cl. Nari Elis, Capo di 1.a Cl. Neri Tullio, Capo di 1.a Cl. Pasculli Francesco, Mar.llo Magg. Paracadutisti Petrucci Gennaro, Mar.llo Magg. CC. Presta Antonio, Mar.llo Magg. Paracadutisti Restaino Felice, Mar.llo Magg. Paracadutisti Rocchiccioli Sergio, Mar.llo Magg. Sanità Rossato Gino, Mar.llo Magg. Paracadutisti Scampuddu Gio Michele, Capo di 1.a Cl. Scarlata Giuseppe, Mar.llo Magg. Paracadutisti Sturiale Letterio, Mar.llo Magg. Genio Mil. Tullo Carlo, Mar.llo Magg. CC. Zanetti Aladino, Mar.llo Magg. Paracadutisti Brigliozzi Sabatino, Capo di 1.a Cl. Consigli Alfio, 2° Capo Rondinone Francesco, Brigadiere P.S. Stellato Raffaele, Vice Brigadiere P.S. Baldaccini Giuliano, Appunt. CC. Cardini Angelo, Appunt. CC. Chelli Raniero, Appunt. GG.FF. Cicchiello Michele, Appunt. P.S. Cocciolo Raffaele, Appunt. GG.FF. Cozzolino Francesco, Appunt. GG.FF. Dainelli Nello, Appunt. GG.FF De Lauretis Nicola, Appunt. GG.FF. Donati Pierino, Appunt. GG.FF. Fenoglio Giovanni, Appunt. P.S. Fucci Carmelo, Appunt. GG.FF. Fungaroli Alfredo, Appunt. P.S. Gaveglia Antonio, Appunt. GG.FF. Giola Giommaria, Appunt. P.S. Gualeri Bruno, Appunt. CC. Intorcia Giuseppe, Appunt. P.S. Motolese Emanuele, Appunt. GG.FF. Natile Giuseppe, Appunt. GG.FF. Proietti Augusto, Appunt. GG.FF. Rombi Leonardo, Appunt. CC. Paracadutisti Tallo Carmelo, Appunt. CC. Fanti don Pietro, Ten. Fantolini Bruno Favilla Guglielmo, Ten. Fenzi Mario Ferrante Aristide, Gen. C.A. Ferrara Carlo, Col. Ferraro Stanislao, Cap. Vasc. Ferri Giovanni Finderle Antonio Fontana Eramo Fornaciari Pietro, Magg. Frangipane Angelo, Col. Fusco Giovanni, Serg. Magg. Galleri Francesco, M.llo Magg. Galoppini Arturo, Ten. Vasc. Ganucci Cancellieri Lando, Magg. Garzelli Paolo, Capitano Ghinassi Alberto Giroldini Amerigo Godioli Aldo Grassi Ezio, Capitano Grassi Mario, Col. Grillo Matteo Lang Giampiero, Capitano Lelli Bruno Lemmi Enzo Lessi Adolfo Leuzzi Angelo Lombardi Michele Lucarelli Quarto Lucignani Aldo, Serg. Magg. Lupi Renzo, S. Ten. GG.FF. Macchini Pierino Macera Antonio Giovanni Marchesini Guido Marinari Alessandro Mattei Elio Mazzotta Luigi, M.llo Capo Meazzini Roberto Micheli Marrigo Montauti Giovan Battista, S. Ten. Montesoro Alberto, Gen. C.A. Morelli Aldo, Maggiore Morelli Leonetto Murtas Ansicora Muscas Giovanni, Appuntato CC. Paoletti Luciano Paoli Angelo, M.llo Magg. Petagna Giovanni, Guardiamarina Pettinati Lido Pini Palmieri Guerrino, Serg. Magg. Porta Ottorino Pracchia Antonio Pucci Cesare, Capo 1.a Cl. Quilici Alessandro, M.llo Magg. Regali Mario, Maggiore Risaliti Giario, Gen. Brig. Aer. Romualdi Ugo, M.llo Magg. Rosati Bernardo, Aiut. Battaglia Rossi Pietro Salvini Mauro, M.llo Magg. Sanacore Rosario, S. Ten. Santini Aldo, M.llo Magg. Serafini Dante Terreni Paolo, Capitano Troia Ernesto Ungaro Tommaso, S. Ten. Vezzosi Astro Vezzosi Mario Vignali Giuseppe, Capitano I nomi per la Libertà Amabile Gennaro, S. Ten. Amendola Albino Ardu Pietrino, Col. Badii Pietro, 1° Capitano Baldacci Mario Barontini Vinicio Barsotti Alberto Bartoletti Mario Basi Paris Battai Renato, Ten. Bertolla Luciano Biagioni Bruno Bianchi Egisto Bianculli Salvatore Braccini Gaetano, Serg. Magg. Buonaiuto Antonio, 2° Capo Cantini Bruno Cappelletti Vittorio, M.llo Magg. Caridi Vincenzo Carlascio Giuseppe, Serg. Magg. Carlesi Enrico, Gen. C.A. Ceccherini Giuseppe Cecconi Vittorio Ciampi Ezio Consensi Luigi, 1° Capitano Conte Francesco, Col. D’Alessandro Antonio Davoglio Luigi, 1° Capitano Del Corona Sergio, S. Ten. Del Moro Alessandro De Leo Nicola, Gen. Div. De Mare Ugo De Toffoli Luigi, 1° Capitano Di Tardo Francesco, Serg. Dominici Inigo, Appunt. CC. INSERTI Cittadini livornesi combattenti con le FF.AA. nella Resistenza Militari livornesi internati e deceduti nei lager nazisti Alderigi Gerardo, 30-6-1944 Germania; Balleri Sirio, 21-4-1945 Germania; Barattini Leo, 6-5-1945 Cecoslovacchia; Baroncini Selmino, 1944 Germania; Beani Raffaello, 2-5-1944 Germania; Bettmann Leopoldo, 16-8-1944 Germania; Brandini Pietro, 168-1944 Germania; Cerulli Mario, 1-5-1945 Yugoslavia; Cialdini Armando 12-5-1944 Germania; Ciucci Giuseppe, 21-2-1945 Germania; Costa Enrico, 18-10-1943 Germania; Dal Canto Ciro, 16-4-1945 Germania; D’Andrea Alfonso, 17-3-1945 Germania; Di Lupo Mario, 22-1-1943 Germania; Di Scalzi Alfredo, 12-8-1944 Germania; Dodoli Gino, 27-1-1944 Germania; Fantini Elio, 24-91943 Cefalonia, Fassio Giovanni, 21-10-1943 Germania; Fedi Bruno, 14-10-1944 Germania; Ferrini Marullo, 26-4-1945 Germania; Giacomelli Duilio, 7-8-1944 Germania; Guida Ivo, 19-11-1944 Germania; Hartwig Umberto, 26-3-1945 Germania; Imperato Umberto, 21-3-1945 Germania; Lenzi Emilio, 24-4-1945 Germania; Mantovani Corrado, 1944 Germania; Moscati Giorgio, 26-2-1944 Polonia; Neri Alberto, 6-5-1945 Germania; Neri Giovanni, 22-2-1945 Germania; Neri Mario, 26-10-1944 Germania; Orsucci Luciano, 5-5-1945 Germania; Pagni Leonello, 7-4-1945 Germania; Pelagatti Silvio, 10-1-1945 Germania; Pesaro Canzio, 30-4-1945 Germania; Pollastrini Giuseppe, 1944 Germania; Sbrana Lino, 24-4-1944 Germania; Spolidoro Rurich, 25-4-1945 Austria; Valeri Arismano, 1-6-1944 Francia; Vincenzini Ugo, 8-12-1943 Yugoslavia; Vivaldi Alberto, 4-4-1945 Germania. 63 ELENCO SUPPLETIVO Bernardeschi Sirio, 13-9-1944 Croazia; Didone Albino, 1-12-1944 Germania; Di Prato Carlo, 20-5-1945 Germania; Freschi Giovanni Annibale, 31-10-1943 Yugoslavia; Gianni Ferruccio, 26-2-1944 Grecia; Lupi Spartaco, 21-4-1945 Russia; Mancini Piero, 28-1-1945 Germania, Miniati Ugo, 24-2-1945 Germania; Pupi Russardo, 1-11-1943 Yugoslavia; Napoletano Alfonso, 24-3-1944 Germania; Santarnecchi Luigi, senza data Germania; Soranzo Mario, 2-11-1943 Grecia; Vincenzi Ugo, 8-11-1943 Yugoslavia; Sbrana Alvaro, 5-1-1945 Germania; Vincenzini Ugo, 8-11-1943 Yugoslavia; Vasponi Guido, 18-1-1944 Grecia. Civili livornesi deportati e deceduti nei lager nazisti INSERTI I nomi per la Libertà 64 Calore Ermanno, 10-10-1944, Mauthausen; Cammellini Piero, 3-5-1945, Mauthausen; Catanzano Alfredo, 31-8-1944, Mauthausen; Ceccarini Oreste, 26-6-1944, Mauthausen; Di Gaddo Bruno, 4-1-1945, Mauthausen; Domenichini Francesco, 24-4-1945, Mauthausen; Domenichini Bruno, 24-4-1945, Mauthausen; Giacomelli Gino Enrico, 10-5-1945, Bad-Ischl; Mainardi Sirio Augusto, 15-4-1945, Kaishein; Mazzoni Renato, 17-4-1945, Mauthausen; Nigiotti Alfredo, 30-4-1945, Ebensee; Rogai Giosellino, 164-1945, Mauthausen; Rogai Walde, 17-4-1945, Mauthausen; Terreni Fortunato, 6-4-1945, Mauthausen; Trotta Mario, 29-5-1944, Ebensee; Tocchini Gino, 17-5-1945, Ebensee; Vallini Carlo, 23-11-1944, Mauthausen; Vecchio Salvatore, 22-1-1945, Mauthausen; Bastiani Piero, 21-4-1945, Mauthausen; Benedetti Dino, 16-2-1945, Mauthausen; Bartelloni Pierino, 8-5-1944, Ebensee; Boccini Giulio, 5-1-1945, Mauthausen; Bracci Gino, 16-4-1945, Mauthausen; Brogi Giuseppe, 31-3-1944, Auschwitz; Latini Tiziano, 152-1945, Mauthausen; Simonetti Sergio, 2-4-1945, Mauthausen; Pensabene Angiolo, 16-5-1944, Gusen; Risos Athos, 24-1-1945, Gusen; Sbrana Alvaro, 6-1-1945, Hagen-Nitte; Sostegni Sirio, 24-5-1945, Mauthausen. Civili livornesi di religione ebraica deportati e deceduti nei lager nazisti Abenaim Giuseppe, 1915, 6-2-1944 Auschwitz; Abenaim Mario, 1910, 1945 Libetz; Abenaim Ottorino, 1912, 1945 Mauthausen; Abenaim Oreste, 1897, 1945 Auschwitz; Abenaim Renzo, 1925, 25-12-1943 Auschwitz; Altaras Donna, 1896, 10-4-1945 Auschwitz; Bueno Silla, 1903, 25-12-1945 Auschwitz; Archivolti Liviana, 1923, 15-7-1944 Auschwitz; Archivolti Liliana, 1895, 15-7-1944 Auschwitz; Archivolti Gina, 1895, 15-7-1944 Auschwitz; Attal David, 1875, 23-5-1944 Auschwitz; Attal Ada, 1895, 23-5-1944 Auschwitz; Attal Vinicio, 1927, 23-5-1944 Auschwitz; Attal Benito, 1934, 23-5-1944 Auschwitz; Baruch Elia, 1898, 1945 Auschwitz; Baruch Giuditta, 1924, 1945 Auschwitz; Baruch Isacco, 1890, 1944 Auschwitz; Baruch Susanna, 1925, 1944 Auschwitz; Baruch Clara, 1928, 1944 Auschwitz; Baruch Marco, 1931, 1944 Auschwitz; Naruch Mistal, Baruch Raffaello, Baruch Amelia, Baruch Franca, Baruch Allegra, Baruch Violetta, Baruch Moisè, Baruch Alessandro, località ignota; Cadina Mistel, 1900, 1944 Auschwitz; Bajona Lucia, 1932, 1945 Auschwitz; Bajona Dora, 1934, 1945 Auschwitz; Bajona Carlo, 1923, 1945 Auschwitz; Bajona Jacob Diamante, 1901, 1945 Buchenwald; Bardavid Ester, 1904, 6-2-1944 Auschwitz; Bardavid Garden, 1902, 6-2-1944 Auschwitz; Beniacar Estrea, 1902, 1944 Auschwitz; Beniacar Moisè, 1899, 1944 Auschwitz; Beniacar Ulisse, 1928, 1944 Auschwitz; Beniacar Giacobbe, 1931, 1944 Auschwitz; Beniacar Perla, 1935, 1944 Auschwitz; Beniacar Levi Ester, località ignota; Boocara Sciaula Dori, 1884, 6-2-1944 Auschwitz; Bonaventura Paolo, 1870, 1944 Fossoli; Borcioni Viviano, 1926, 1944 Auschwitz; Bueno Attal Dina, 1899, 19-12-1943 Auschwitz; Bueno Dino, 1922, 1943 Auschwitz; Bueno Renzo, 1906, 1° dicembre 1943 Auschwitz; Caro Beppino Alberto, 1906, 10-3-1945 Auschwitz; Castelli Levi Adriana, Castelli Olga, Castelletti Isaco, Castelletti Rosa, Castelletti Stella, Castelletti Vittoria, località ignota; Cava Aldo 1899, 23-5-1944 Buchenwald; Cava Franca 1931, 23-5-1944 Buchenwald; Cava Enzo 1936, 23-5-1944 Buchenwald; Cava Moscati Elda 1906, 23-5-1944 Buchenwald; Coen Giuseppe 1898, 15-1-1945 Auschwitz; Coen Vittorio 1913, 15-1-1945 Auschwitz; Della Riccia Erasmo 1887, 1\5-8-1944 Auschwitz; Della Riccia Berta 1910, 15-8-1944 Auschwitz; Della Riccia Luciano 1917, 15-8-1944 Auscwitz; De Paz Gastone 1880, 1944 Colle di C/T; Finzi Davide 1905, 23-5-1944 Auschwitz; Finzi Natalino 1908, 1944 Auschwitz; Finzi Berta 1910, 1944 Auschwitz; Finzi Gigliola 19-2-1944, 1944 Auschwitz; Funaro David; Garbai Salomone; Hasdà Augusto 1869, 5-11-1943 Auschwitz; Hasdà Segre Bettina 1875, 5-11-1945 Auschwitz; Laras Gina 1919, 3-11946 Ravensbruk; Levi Abramo 1903, 6-2-1944 Auschwitz; Levi Angiolo 1882, 23-1-1944 Auschwitz; Levi Carlo 1928, 2-6-1944 Auschwitz; Levi Aldo 1934, 6-2-1944 Auschwitz; Levi Elio 1930, 6-2-1944 Auschwitz; Levi Natale 1930, 6-2-1944 Auschwitz; Levi Giacomo 1929, 6-2-1944 Auschwitz; Levi Nissimm 1904, 31-3-1945 Auschwitz; Levi Abramo 1903, 28-12-1944 Auschwitz; Levi Eleonora; Levi Mazaltov Fortunata; Matalon Elia 1896, 23-12-1945 Mauthausen; Mazzoni Renato 1925, 15-4-1945 Auschwitz; Menasci Enrico 1931, 18-10-1943 Auschwitz; Menasci Raffaello Roberto 1911, 3-12-1943 Auschwitz; Menasci Raffaello 1911, 3-2-1944 Auschwitz; Misul Alfredo 1887, 1944 Auschwitz; Modiano Isacco 1898, 1944 Auschwitz; Modiano Lora 1904, 1944 Auschwitz; Modiano Flora 1938, 1944 Auschwitz; Modiano Perla 1877, 1944 Auschwitz; Modigliani Umberto 1902, 23-3-1944 Auschwitz; Molco Sergio 1911, 28-2-1945 Auschwitz; Moscati Aldo di Pacifico; Moscati Giorgio; Moscati Elda; Coen Solal Olga; Pesaro Gualtiero 1896, 6-2-1944 Auschwitz; Pesaro Amoldo 1900, 1-10-1944 Auschwitz; Piperno Menaschi Tina 1925, 26-6-1944 Auschwitz; Piperno Giorgio Nino 1931, 2-6-1944 Auschwitz; Procaccia Aldo 1905, 1944 Auschwitz; Procaccia Amedeo 1881, 1944 Auschwitz; Procaccia Paolo 1942, 1944 Auschwitz; Procaccia Modigliani Milena 1915, 6-2-1944 Auschwitz; Rabà Ivo 1919, 25-3-1945 Auschwitz; Rabà Vasco 1923, 25-3-1945 Auschwitz; Rabà Lanciotto 1888, 31-5-1944 Auschwitz; Rabà Lina 1896, 1945 Auschwitz; Samaia Angiolo 1917, 20-9-1944 Auschwitz; Sonnino Enrico 1902, 23-5-1944 Auschwitz. (Dati a cura dell’ANEI sezione di Livorno) Finito di stampare nel mese di aprile 2012 dalla Tipografia e Casa Editrice Debatte Otello srl - Livorno