CN - COMUNE NOTIZIE
n. 79 aprile/giugno 2012
Aut. Tribunale di Livorno n. 400 dell’1-3-1984
Redazione:
Comune di Livorno
Ufficio URP - Pubblicazioni - Rete Civica
Piazza del Municipio - 57123 Livorno
e-mail: [email protected]
Direttore Responsabile: Odetta Tampucci
Redazione:
Michela Fatticcioni, Claudia Mantellassi, Antonella Peruffo
Segreteria: Rita Franceschini
Web: Chiara Del Corso, Francesca Simonetti
Foto e iconografia:
Archivio “CN-Comune Notizie”
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Archivio fotografico Beni Culturali del Comune di Livorno
Biblioteca Labronica “F.D. Guerrazzi”, Livorno
CLAS Archivio Storico del Comune di Livorno
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Foto p. 6: Ciro Russo, U. Programma del Sindaco e Relazioni Istituzionali, Comune di Livorno
Progettazione grafica immagine p. 9: Debatte Otello srl
Immagini pp. 11-16: Raccolta Famiglia Benifei, ANPPIA Livorno, SVS Livorno (p.g.c.)
Immagini pp. 18, 19 e 21: Archivio Istoreco-Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea
nella Provincia di Livorno
Progettazione grafica immagine p. 42: Stefano Seghetti, U. URP-Pubblicazioni Rete Civica, Comune di Livorno
Foto pp. 43 a dx, 44, 48, 50: Pentafoto/Il Tirreno p.g.c.
Le foto di pp. 42, 45, 46, 47, 52, 54 sono gentilmente concesse da Alfio Baldi e Valeria Cioni
Grafica e codice “CN on line”: Zaki Design, Livorno
Immagine di copertina:
Dall’alto in basso: gruppo di livornesi a Roma nel 2003 per una manifestazione per la pace (foto di A. Baldi);
10° Distaccamento “O. Chiesa” della 3a Brigata Garibaldi e unità partigiane lungo la via di Popogna il 19 luglio 1944,
giorno della Liberazione di Livorno (Biblioteca Labronica “F.D. Guerrazzi”)
Grafica, fotolito, impaginazione e stampa:
Debatte Otello srl, Livorno
Finito di stampare nel mese di maggio 2012
In Internet: www.comune.livorno.it
Il Comune di Livorno, ai sensi ed in conformità con il D. Lgs. 196/2003,
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Margherita Paoletti
Garibaldo Benifei. 100 anni di antifascista
tra Resistenza e bella politica
Margherita Paoletti
Tre storie di donne nell’antifascismo livornese
Erminia, Osmana, Ubaldina
Ezio Papa
La scuola nei documenti
dell’Archivio Storico Comunale di Livorno
Ricordo di Luciano De Majo
INSERTI
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Il nomi per la Libertà
R I V I S TA
DEL
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Stefano Gallo
Il contributo della città di Livorno
alla Resistenza
L I VO R N O
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Alessandro Cosimi
25 aprile 2012. Dai valori della Resistenza
e della Costituzione una speranza
per una società più equa e moderna
DI
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COMUNE
I N T E RV E N T I
APRILE
GIUGNO 2012
N. 79 n.s.
TRIMESTRALE
Aut. Tribunale di Livorno n. 400 dell’1-3-1984
I N T E RV E N T I
25 aprile 2012
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25 aprile 2012.
Dai valori della Resistenza
e della Costituzione
una speranza per una società
più equa e moderna
di Alessandro Cosimi
Sindaco di Livorno
Mi piace ricordare oggi una persona che ha
tanto contato nelle nostre vite, tra i primi
ad entrare a Livorno, liberata, il 20 luglio del
1944, Bino Raugi. Era, allora, un ragazzo che
diventò un punto di riferimento. Sindaco per
tanti anni, dopo due grandi sindaci come
Diaz e Badaloni, uomo che aveva costruito
il proprio essere dentro la politica con il sacrificio di una generazione che non aveva
nemmeno avuto gli strumenti dello studio.
Fautore di un’idea di mondo, collante fortissimo, che si costruiva proiettando i problemi
verso una dimensione internazionale.
Alcune grandi certezze facevano sentire
le persone parte di un progetto di futuro.
L’Italia era una nazione che si ricostruiva
dentro i valori della Resistenza, riferimento
alto per le giovani generazioni, da cui una
Costituzione con certi ideali, una sorta di
canovaccio, anche per la vita quotidiana.
Vi erano, allora, ambiti e modalità precisi,
pensiamo allo stato-nazione: oggi ci confrontiamo con un animale indistinto, la globalizzazione, e coloro che spostano le fabbriche e i capitali da un continente all’altro
non sono più riferibili a quel tipo di modalità e di risposte. Per questo, oggi, si deve
ragionare seriamente di come vive la politica, che ha sì diritto ad essere finanziata in
maniera pubblica, ma che perde credibilità
sulle modalità del finanziamento ai partiti,
I N T E RV E N T I
perciò la parola modernità non ci spaventi,
altrimenti si scade in un atteggiamento “lazzaronesco”, per cui tutto quello che c’è già
è intoccabile, anche se è un benefit che nel
tempo si è strutturato partendo da un diritto
per divenire una condizione di rendita.
Questi sono i punti: i diritti in una città che
ha sempre avuto uno spirito fortemente
democratico, i doveri che ne derivano, una
città, quindi, che senta il peso di dover costruire il futuro con serietà, che avverta una
pesante eredità inclusiva. Il razzismo fa breccia, non ci dobbiamo dire che non è vero.
Il 25 aprile si festeggia perché fu un giorno
di speranza, che si ricostruisce se si pratica
un grande rigore etico, e non solo nei conti, da parte di tutti. Ma soprattutto occorre,
davvero, garantire equità, valore fondante
della Costituzione.
Il bassorilievo al
partigiano
fu collocato in via
E. Rossi il 25 aprile
1950; opera dello
scultore Giulio Guiggi,
rappresenta la figura
di un combattente
in abiti civili con una
catena spezzata
tra le mani; ai lati,
due lastre di marmo
riportano i nomi in
bronzo dei partigiani
livornesi deceduti
nella Resistenza
e nella guerra
della Liberazione
25 aprile 2012
è sconfitta allorquando un Parlamento invita ai sacrifici, ma li consegna agli altri.
Se vogliamo tenere i giovani dentro un’idea
di futuro e speranza, che fu quella che mosse tanti al sacrificio in quel 25 aprile, dobbiamo costruire una politica che renda tutti
più uguali sul terreno delle opportunità. La
mobilità sociale della nostra nazione è la più
bassa dal dopoguerra, è praticamente azzerata e le occasioni di quelli che hanno meno
sono minori nella qualità e nella quantità.
Per alimentare la speranza occorre che il
ruolo delle comunità locali non sia mortificato da scelte centrali come il “patto di stabilità” e l’IMU. Serve, allora, una battaglia politica per l’autonomia dei Comuni e per dare
loro la possibilità di influenzare il futuro.
Qualcuno imputa a Livorno, a sproposito,
una incapacità di stare dentro lo sviluppo
della politica. Ricordo un altro nome, Barontini. Nell’immediato dopoguerra è stato quel segretario di un partito che aveva
capito come la ricostruzione si poteva fare
solo se si aveva la capacità di elidere l’essere di parte rispetto ai problemi. Quando
si mette un problema sul tavolo, non si discute su chi sta intorno, ma del problema.
Dobbiamo recuperare quello spirito.
Da quel 25 aprile nasce la Costituzione, che
segna una cesura rispetto al passato, ridistribuisce diritti, doveri e opportunità; consente a
tutti di essere parte dell’agone politico, stando però dentro un arengo per lo sviluppo
dei beni comuni. Livorno ha bisogno di capire che non si può non parlare di modernità
della città, non si può avere un progetto se
non è riconosciuta la necessità di avere una
leadership, per quanto collettiva, con un suo
ruolo e in grado di decidere. Consapevoli che, quando si decide (dal latino deciduo
cioè dividere), qualcuno sarà più contento
e qualcun altro meno. L’irruzione dei giovani nel mondo del lavoro avviene attraverso
una redistribuzione diversa della ricchezza,
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Il contributo della città
di Livorno alla Resistenza
di Stefano Gallo
Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea, Livorno
I N T E RV E N T I
Livorno e la Resistenza
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Gli studi sulla Resistenza stanno attraversando in Italia una fase molto particolare.
L’impressione è quella di trovarsi in mezzo
a un guado: da una parte sono state superate ormai le maglie strette di una visione
“monumentale”, troppo ancorata a rigidi schemi interpretativi; dall’altra questo
percorso, avviato da una ventina di anni,
ha stentato a tradursi in una serie soddisfacente di studi locali sul fenomeno resistenziale nel suo complesso, che potesse
sostituire ai vecchi canoni una nuova sensibilità. In questa situazione, il lavoro di
sintesi più avvertito di quest’ultima stagione storiografica, quello di Santo Peli1,
avrebbe bisogno di una verifica sul campo che solo l’immersione nelle diverse dimensioni territoriali può produrre. Parlare dei limiti della Resistenza, accanto alle
sue grandezze, pone ancora dei problemi
a livello locale; in Toscana solo un recente
lavoro sulla Lunigiana è andato in questa
direzione2.
Per quel che riguarda Livorno la mancanza è particolarmente sentita, proprio per
comprendere le peculiarità del contesto
cittadino. L’esistenza, ad esempio, di un
CLN livornese che, rispetto al modello della “esarchia romana” (in cui erano previsti
rappresentanti comunisti, repubblicani,
socialisti, democristiani, liberali e azionisti), vide anche la presenza degli anarchici
e dei cristiano-sociali, non può che accendere degli interrogativi sulla complessità
e la varietà della partecipazione alla Resi-
stenza a Livorno tra il 1943 e il 1944. Eppure, le condizioni logistiche per condurre
dentro la città delle attività di opposizione
all’occupazione tedesca e al potere fascista erano minime. È stato scritto, in maniera suggestiva, che a Livorno
l’opposizione e la resistenza [erano] costrette dentro un fazzoletto di terra a ridosso di
una città morta ed impraticabile3.
E in effetti il 1943 fu un annus horribilis
per la storia della città: luogo di imbarco
per il materiale bellico che doveva servire
all’esercito italiano e a quello tedesco per
sostenere le battaglie contro gli Alleati
nell’Africa settentrionale, il porto di Livorno fu sottoposto a una serie di bombardamenti devastanti per l’intera città, di cui si
ricorda in particolare quello del 28 maggio. Le vicende successive non fecero che
aggravare la situazione: i combattimenti
successivi all’8 settembre con il tentativo
di resistenza all’occupazione tedesca da
parte delle truppe italiane (e l’uccisione,
tra gli altri, del maggiore Gian Paolo Gamerra a Stagno), così come l’istituzione
da parte dei comandi nazisti della “Zona
nera” il 12 novembre, che imponeva per
decreto lo sgombero completo del porto
e del centro urbano, contribuirono ad annichilire la vita nella città portuale.
La storia della guerra di liberazione a Livorno non può prescindere da questi elementi, dalla vicenda di un tessuto urbano
devastato dalle bombe e dalle truppe
tedesche. Il valore della Resistenza sta an-
I N T E RV E N T I
Vittorio Cioni,
presidente della
sezione
di Livorno dell’ANPI Associazione
Nazionale Partigiani
d’Italia, interviene
alla cerimonia
del 25 aprile 2012
cembre 1943 i vertici della RSI nominarono
alla carica di prefetto Eduardo Facdouelle,
persona che rassicurava i tedeschi in quanto a efficacia repressiva. Gli effetti non si
fecero attendere: dall’omicidio di Oberdan
Chiesa, già detenuto nel carcere di Pisa,
come ritorsione all’omicidio di un carabiniere, il 29 gennaio 1944, all’arresto dei patrioti che si trovavano a “casa Manna”, il 21
gennaio. Quest’ultimo fu probabilmente il
colpo di grazia per l’esistenza di un’organizzazione attiva nel centro di Livorno: venne
meno un nucleo importante di antifascisti
costituito, tra gli altri, da Fortunato Garzelli,
Aldo Agostinelli e Otello Frangioni.
L’impegno dell’attività resistenziale si concentrò allora sulla parte meridionale della
provincia di Livorno, dove le possibilità
per lo sviluppo di formazioni partigiani
erano più favorevoli: i contatti con le formazioni operanti in Val di Cornia, nell’Alta
Maremma e nella provincia di Pisa, avvennero grazie agli sforzi di Dino Frangioni e
Garibaldo Benifei.
Livorno e la Resistenza
che in questo: nella capacità di rinascere
dalle rovine provocate dal fascismo e dalla tragedia bellica, creando un nuovo tessuto connettivo a partire dai germi diffusi
dell’antifascismo.
Le bombe e i nazisti non poterono infatti
rimuovere la storia di una città che, oltre
alla famiglia Ciano, aveva espresso anche
una forte opposizione antifascista nel Ventennio appena trascorso: dall’omicidio dei
fratelli Pietro e Pilade Gigli e del consigliere comunale Luigi Gemignani nell’agosto
1922, agli oltre 2.000 schedati livornesi al
Casellario politico centrale, all’esperienza
dell’esilio e del carcere degli antifascisti, ai
molti processi del Tribunale speciale per
la difesa dello stato contro l’organizzazione comunista livornese4. In molti casi gli
antifascisti militanti nel movimento comunista clandestino nel corso degli anni
trenta ebbero poi anche un ruolo nel movimento resistenziale, non solo a Livorno:
si pensi a Ilio Barontini, a Oberdan Chiesa
o ad Aramis Guelfi.
L’opposizione al fascismo divenne in effetti
molto diffusa. Alcuni dati sull’adesione alla
Repubblica di Salò sono estremamente significativi: nel novembre 1943 un bando
per l’arruolamento obbligatorio nell’esercito repubblichino si rivolse ai 1500 giovani delle classi 1923-1925; a dicembre
risultò essersi presentato meno del 10%
degli interessati. Secondo relazioni d’epoca, circa 500 giovani raggiunsero i distaccamenti partigiani, passando dalla località
Castellaccio, dove venne costituito un Comando di tappa dal novembre 1943 insieme ad alcune Squadre di azione patriottica: si trattava delle organizzazioni armate
resistenziali più vicine al centro di Livorno,
in cui operavano, tra gli altri, Nelusco Giachini e Bruno Bernini.
Non è un caso se, a seguito dello scarso
successo del bando sopra citato, nel di-
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I N T E RV E N T I
Livorno e la Resistenza
Aprile - Maggio 1944:
si costituisce il 10°
Distaccamento
“Oberdan Chiesa”
della 3a Brigata
Garibaldi in località
Castellaccio - Quarata.
L’unità raggiunse
in poco tempo
la consistenza di
quasi 130 partigiani
ed operò in
collaborazione con
le S.A.P. all’interno
della città e nei paesi
vicini, in particolare
Gabbro, Nibbiaia,
Quercianella,
Rosignano Marittimo
e Rosignano Solvay,
Castelnuovo della
MIsericordia
Nello stesso tempo un’altra rete di azione
si stava dipanando dal comune di Livorno, fornendo sostegno ai soldati alleati
dispersi, ad alcuni gruppi di ebrei e fungendo da base operativa per delle missioni dei servizi militari del Sud Italia dirette
negli Appennini: quella che faceva riferimento al movimento dei cristiano-sociali
e alla figura di Don Roberto Angeli, arrestato poi nel maggio del 1944 e deportato
nel campo di Mauthausen e poi a Dachau.
Il padre di Don Angeli fu a sua volta arre-
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2
3
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4
stato mentre trasportava mappe e informazioni sui sistemi difensivi tedeschi.
Il Comando di Tappa del Castellaccio divenne il cosiddetto 10º distaccamento della 3ª Brigata Garibaldi, intitolato a Oberdan
Chiesa. Nel giugno 1944, una parte del
personale della questura di Livorno disertò e, sotto il comando del tenente Vittorio
Labate, si avviò, scortata da alcuni partigiani, per unirsi alla formazione del 10º distaccamento: catturati dai tedeschi, la vicenda
si concluse con la fucilazione di 8 militari.
Mentre procedeva l’avanzata alleata, l’importanza della Resistenza divenne sempre
più evidente: i partigiani furono decisivi
nelle azioni di contrasto ai tedeschi e nel
mostrare il territorio alle truppe alleate per
accelerare il processo di liberazione. Dopo
la battaglia di Rosignano del 12 luglio, l’obiettivo per gli angloamericani divenne
Livorno, la cui liberazione fu preceduta da
un accerchiamento della corona di paesi
che vanno dal Castellaccio a Collesalvetti. Il contributo alla liberazione di Livorno
venne proprio dai partigiani del 10º distaccamento: il 19 luglio 1944 entrarono a
Livorno per primi, insieme agli uomini del
CLN che accompagnavano gli americani.
Santo Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Torino, Einaudi, 2004.
Michele Fiorillo, Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945, Roma-Bari,
Laterza, 2010.
Cesare Ciano, La Torre del Castellaccio. Una popolazione marinara nella Resistenza: dal porto industriale di
Livorno al Colle di Montenero (1943-1944), Livorno, Nannipieri, 1990, p. 48.
Ivan Tognarini (a cura di), Livorno nel XX secolo. Gli anni cruciali di una città tra fascismo, resistenza e ricostruzione, Firenze, Polistampa, 2005.
Garibaldo Benifei.
100 anni di un antifascista
tra Resistenza e bella politica
di Margherita Paoletti
Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea, Livorno
Da Campiglia
a Livorno: gli anni
della formazione
Garibaldo Benifei nasce, ultimo di dodici
figli, il 31 gennaio 1912 a Campiglia Marittima. Il padre, Garibaldo, proviene da una
famiglia di Monterotondo Marittimo ed è
iscritto al Partito Repubblicano: purtroppo, morirà tre mesi prima della sua nascita. La madre si chiama Maria Mariani.
La famiglia Benifei si trova da subito a vivere in difficilissime condizioni economiche: la bottega di calzolaio del padre, alla
sua scomparsa, passa in gestione al figlio
maggiore, Antonio; il secondogenito, Rito,
lavora come muratore.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Antonio e Rito vengono chiamati alle
armi. Ritorneranno a casa il primo, precedendo di poco l’armistizio del 1918,
perché ferito e con la tubercolosi (che lo
ucciderà nel 1926, a soli trentatre anni) e
il secondo, dopo esser stato anche arrestato e aver trascorso un periodo in carcere per aver partecipato ad una riunione
anarchica nel corso di una licenza.
Di diverse idee politiche ma legatissimi,
l’uno socialista, l’altro anarchico, i due
fratelli nell’immediato dopoguerra si impegnano nella lotta politica locale con
grande passione. In quegli anni, infatti, a
Campiglia erano in atto forti scontri per
le rivendicazioni del movimento dei contadini della Val di Cornia nei confronti dei
proprietari terrieri e il Partito Socialista,
molto presente sul territorio, nel 1919
conquista la maggioranza assoluta. Antonio viene eletto consigliere comunale.
Dal 1920, tuttavia, le cose cambiano: le
squadre fasciste cominciano a fare irruzione nelle case, distruggono le sedi di
partito, le cooperative, aggrediscono i
rappresentanti delle associazioni dei lavoratori, defenestrano il Sindaco. La casa
di via Cavour, dove vivono i Benifei, viene
incendiata una prima volta nel giugno del
1921 e una seconda volta nel luglio del
1922 dai fascisti, che irrompono in cerca
di Antonio e Rito, i quali avevano già trovato rifugio a Livorno.
Al resto della famiglia (Garibaldo, la madre, il fratello Eros e le altre tre sorelle)
viene intimato di lasciare il paese entro
poche ore.
Così dalla stazione di Campiglia, una sera
di luglio del 1922, Garibaldo raggiunge
Livorno per la prima volta. Qui trascorre l’estate abitando in via Serristori, nel
quartiere popolare e fortemente democratico di piazza Cavallotti, poi torna a
Campiglia per l’inizio della scuola: pur
essendo ancora bambino, al funerale del
fascista Libero Turchi si rifiuta, insieme al
La brochure
dedicata dal
Comune di Livorno,
in collaborazione con
l’ISTORECO,
a Garibaldo Benifei
per i suoi 100 anni e
presentata durante la
festa di compleanno
che si è svolta
al Teatro C
il 31 gennaio 2012
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I N T E RV E N T I
Garibaldo Benifei
10
compagno di banco, di appuntarsi il nastrino tricolore sul grembiule, scegliendone invece uno rosso e nero, i colori del
movimento anarchico.
Nell’aprile del 1923 si trasferisce definitivamente a Livorno.
Per aiutare economicamente la famiglia, a
dodici anni lascia la scuola e comincia a lavorare come “portantino” presso la Vetreria
Rinaldi, in quella che è oggi via Mastacchi,
insieme al fratello Eros: vi rimane tre anni,
durante i quali partecipa alla sua prima
riunione sindacale e allo sciopero indetto
dagli operai anziani organizzatisi per protestare contro le difficili condizioni di lavoro nella fabbrica, la misera paga e l’ambiente malsano. Licenziatosi dalla Vetreria,
Garibaldo viene assunto come garzone,
prima al bar Bizzi in via Solferino (luogo di
ritrovo degli antifascisti livornesi, dalle cui
animate discussioni politiche, per quanto
ancora in giovane età, il ragazzo rimane
fortemente affascinato), poi al caffè Bristol,
all’angolo di piazza Cavour (frequentato
invece da molti gerarchi fascisti, trovandosi la sede della federazione livornese del
Partito nazionale fascista ai piani superiori
del palazzo). In molte interviste Garibaldo
ricorda come, proprio facendo il garzone
al Bristol, assistette nel 1927 al passaggio
da piazza Cavour della banda della sezione
giovanile della Pubblica Assistenza (Società Volontaria di Soccorso) e alla reazione
sorpresa del presidente dell’Opera Nazionale Balilla, Galeotti, che sedeva ai tavoli,
per il fatto che l’associazione (di cui tra l’altro Garibaldo faceva parte dal 1923) fosse
ancora in piedi, nonostante con le “leggi
fascistissime” si fosse ordinata la chiusura
di tutti i partiti e di tutte le forme di associazionismo ritenute politicamente avverse al regime. E di lì a qualche giorno, infatti,
anche la sezione giovanile della S.V.S. venne sciolta.
L’antifascismo
militante e il carcere
Il passaggio da quel generico senso di ingiustizia e di risentimento nei confronti
del fascismo in generale, delle sue repressioni e continue violenze, all’impegno
diretto nella politica attiva e nelle file del
Partito Comunista si ha nel 1931, quando il
fratello Eros (che all’insaputa del resto della famiglia nel 1928 era entrato nell’organizzazione clandestina del PCI) di ritorno
da Parigi gli chiede di recapitare a Roberto
Vivaldi, già conosciuto da Garibaldo nella
Pubblica Assistenza e attivista del partito,
del materiale di propaganda fatto entrare
di nascosto dalla Francia: volantini, manifesti, copie de “L’Unità”, di “Stato Operaio”.
Negli anni immediatamente successivi
l’impegno politico clandestino di Garibaldo si fa sempre più vivo e attivo. Del suo
stesso nucleo (le strutture di base non erano mai composte da più di cinque persone) fanno parte Giovanni Martelli, Otello
Frangioni, Giovanni Tantardini e Renzo
Tamberi. Gli stessi, Garibaldo compreso,
sono anche i dirigenti della Federazione
giovanile del PCI i quali, in occasione dei
funerali del comunista Mario Camici, tenutisi nel luglio del 1933 (che non furono una
semplice cerimonia funebre, ma una vera
e propria manifestazione silenziosa contro
il regime di tutte le forze antifasciste livornesi, non solo comuniste), ricevono il compito di coinvolgere e far scendere in piazza
il maggior numero possibile di giovani.
La manifestazione ha successo, ai funerali
partecipa un numero imponente di livornesi e la polizia fascista non interviene.
Garibaldo viene arrestato la prima volta
nel luglio del 1933: lo prelevano dalla casa
di piazza Guerrazzi (sua madre è già gravemente malata e morirà di lì a poco, sen-
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cupava, oltre che delle sottoscrizioni per
il soccorso rosso, anche del materiale di
propaganda a stampa, è nuovamente arrestato. Nel marzo del 1940 è a Roma, processato dal Tribunale Speciale, dal quale
viene condannato a sette anni per il reato
di attività sovversiva. Nei primi di giugno
del 1940 è trasferito nel carcere di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena. Qui
Garibaldo e gli altri “politici”, quasi tutti
militanti del PCI, detenuti insieme a lui,
costituiscono una sorta di cooperativa, in
cui viene messo in comune tutto ciò che i
parenti di ciascuno riescono a inviare, soldi compresi. A Castelfranco trascorre tre
lunghi anni, mentre in lui crescono, alle
notizie che giungono dall’esterno sull’andamento del conflitto (prima l’avanzata
dell’esercito tedesco, poi i bombardamenti, finché, con la fallita campagna di Russia, la guerra sembra cambiare segno e se
ne comincia a intravedere la fine) il senso
di irrequietudine e di preoccupazione per
le sorti del paese. La scarcerazione arriva
finalmente il 26 agosto del 1943, un mese
dopo la caduta di Mussolini.
1934. Garibaldo
Benifei all’epoca
del primo arresto:
foto segnaletica e
scheda del Casellario
Politico Centrale
Garibaldo Benifei
za poterlo rivedere) e lo portano in Questura, dove è picchiato selvaggiamente.
Trasferito a Roma, viene condannato dal
Tribunale Speciale a un anno di reclusione
per il reato di propaganda comunista. Trascorre un periodo a Regina Coeli, poi chiede il trasferimento a Livorno, che gli viene
concesso, ma in regime di isolamento,
presso il carcere dei Domenicani, dove tra
gli altri ha modo di incontrare e conoscere
il futuro Presidente della Camera e Presidente della Repubblica, Sandro Pertini.
Esce dal carcere nell’estate del 1934 e
trova lavoro in una fabbrica di radiatori.
L’attività politica di opposizione al regime
riprende quasi subito e, dopo la battuta
di arresto del 1935 (anni di massima affermazione e violenza del regime fascista in
Italia, in cui il numero degli attivisti comunisti livornesi, e non, è forzatamente decimato, con il partito in seria difficoltà), si fa
ancora più intensa per Garibaldo e molti
altri giovani livornesi, negli anni tra il 1936
e il 1939, sull’onda dell’entusiasmo per gli
avvenimenti di Spagna, con le vittorie del
fronte repubblicano. Ed è solo per un caso
fortuito che una sera, alla fine del 1937,
sfugge all’arresto e al confino, mentre insieme ad altri compagni stava per imbarcarsi su un grosso motoscafo che dal Calambrone doveva raggiungere, appunto,
la Spagna, in cui era fermamente deciso a
recarsi per combattere contro i franchisti.
Alla fine di agosto del 1939 il gruppo dirigente livornese del Partito Comunista decide di mandare in stampa ben diecimila
volantini contro la guerra, sentita ormai
come imminente (e infatti il 1 settembre
la Germania invaderà la Polonia) e contro
le violenze del nazi-fascismo. Alla diffusione dei volantini, la milizia fascista reagisce
in modo immediato e durissimo e Garibaldo, che nelle sue attività clandestine si oc-
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I N T E RV E N T I
Garibaldo Benifei
12
Estate 1944.
Garibaldo
(primo da sinistra)
è inviato tra
Castagneto Carducci
e San Vincenzo
come vice
commissario politico
della Divisione
interprovinciale
garibaldina. Qui è con
Benvenuto Bucci
(a cavallo, comandante
del III distaccamento),
Italo Bargagna
e Mario Lenzi
La lotta partigiana
e la Liberazione
Garibaldo lascia Castelfranco e rientra
così a Livorno, che trova sfigurata e distrutta dai bombardamenti e dalla guerra.
Entra da subito nella Concentrazione antifascista (nucleo originario del Comitato
di Liberazione Nazionale livornese, a cui
aderiscono non solo comunisti, ma anche
persone provenienti da altre forze politiche, più alcuni intellettuali come Badaloni, Diaz, Comi). Si discute sulla possibilità
di dar vita a una resistenza attiva, ad una
vera e propria lotta armata, soprattutto
perché dopo l’8 settembre c’era la possibilità che i tedeschi, da alleati che erano,
passassero ad aggredire la popolazione.
Tra il settembre e l’ottobre del 1943 nasce
ufficialmente, seguendo le indicazioni dei
dirigenti nazionali, il C.L.N. livornese: nella
suddivisione dei vari incarichi, Garibaldo
deve mantenere i collegamenti tra il Comitato di Liberazione dell’area di Livorno
e quelli degli altri paesi, sia della provincia
sia dell’area pisana.
Fino all’estate del 1944 prende parte attivamente, nelle file partigiane, alla guerra
di liberazione. Intanto il C.L.N. comincia
a diventare una realtà sempre più interprovinciale e Garibaldo riveste il ruolo di
ufficiale di collegamento tra i vari gruppi
e Comitati locali. Nel gennaio 1944 nasce
la Divisione interprovinciale garibaldina
(che mette insieme la III Brigata, attiva tra
Livorno e Pisa, e la XXIII Brigata, che comprendeva una vasta zona tra Firenze, Siena, Volterra e Grosseto) e Garibaldo ne è
nominato vice commissario politico.
Durante l’estate del 1944 è inviato con
Italo Bargagna a coordinare le azioni e le
attività dei distaccamenti tra Livorno e
Grosseto.
Spostandosi tra Castagneto Carducci e
San Vincenzo, oltre a riorganizzare i compiti dei distaccamenti, si sforza insieme a
Bargagna di rendere i partigiani più consapevoli del significato della lotta armata
di liberazione e cerca di spiegare quale
dovesse essere la loro condotta illustrando il programma del C.L.N.
Alla fine di giugno il Comando militare alleato comunica, tramite il colonnello Croce, che le formazioni partigiane devono
essere sciolte e disarmate: viene consentito soltanto l’impiego di alcuni uomini
come guide, la costituzione di una guardia civica per l’ordine pubblico e l’istituzione di alcuni comandi di tappa.
Garibaldo, insieme agli altri, chiede con
insistenza che si lasci proseguire ai partigiani la loro lotta insieme all’esercito
alleato, ma non ottiene l’approvazione e
così si conclude la sua esperienza nella
Resistenza.
Fa allora ritorno a Vada, dove prende contatti con il Comitato federale del PCI, che
stava preparando la ricostituzione degli
organi locali del partito e discutendo della ormai prossima riorganizzazione della
vita civile, e finalmente a Livorno, proprio
il giorno dopo la liberazione della città dai
tedeschi (avvenuta il 19 luglio 1944).
Osmana
Garibaldo Benifei
nel periodo della
ricostruzione
bino, dove giunge loro la notizia della fine
della guerra e dell’avvenuta, definitiva, liberazione del Paese. La gente dappertutto è in festa e i comizi che si tengono in
quei giorni di grande entusiasmo per tutti
sono affollatissimi.
I N T E RV E N T I
Giugno 1946.
A Castellaccio
insieme ai compagni
del Comitato
federale del PCI
livornese: la bambina
tenuta in braccio
è Lidia, figlia di
Garibaldo e Osmana
(rispettivamente alla
sua destra e in piedi,
dietro di lei)
Garibaldo Benifei
In quella stessa estate del 1944 comincia
a frequentare Osmana Benetti, colei che è
diventata ed è tuttora la compagna della
sua vita. Anche lei militante nel PCI, nel
1943 aveva preso parte alle lotte partigiane con funzioni di collegamento e di diffusione del materiale di propaganda e nel
1944 era impegnata come organizzatrice
e protagonista dei Gruppi di difesa delle
donne. Garibaldo e Osmana, dopo essersi
conosciuti presso la federazione, allora in
via del Parco, si fidanzano e in breve tempo decidono di sposarsi. Il matrimonio è
celebrato il 24 gennaio 1945 dal sindaco
Furio Diaz, nella casa comunale del Villaggio di Ardenza. Gli operai del Cantiere Orlando forgiano personalmente le fedi in
acciaio, i compagni del PCI regalano agli
sposi 3.000 lire, in un cofanetto di alabastro. Inizia così un sodalizio di vita nutrito
non solo dall’amore reciproco, ma anche
dalla condivisione dei valori di libertà e
giustizia sociale.
Nei mesi successivi alla Liberazione, Garibaldo continua ad impegnarsi nell’attività
politica ed entra nella Commissione di organizzazione. Nel febbraio del 1945 viene inviato dal partito insieme ad Osmana
per risolvere alcune questioni delle locali
sezioni, prima all’Isola d’Elba e poi a Piom-
Garibaldo e Osmana,
nei primissimi anni
della ricostruzione,
a Livorno
in via Magenta
(alle loro spalle la
Chiesa di Santa Maria
del Soccorso)
13
L’impegno
nella cooperazione
e nella solidarietà
I N T E RV E N T I
Garibaldo Benifei
Prima metà anni
cinquanta. Benifei
parla a un convegno
della Lega delle
Cooperative. Alla
sua destra c’è Giglia
Tedesco (dirigente
della Lega Nazionale)
1955. Benifei
(primo da destra,
in prima fila)
partecipa a Roma
al 24° Congresso
Nazionale della Lega
delle Cooperative
e delle Mutue
Garibaldo Benifei in
vari momenti
di impegno politico
Insieme ai volontari
della SVS di Livorno
14
A Piombino, nel difficile scenario della ricostruzione, gioca un ruolo fondamentale
il movimento cooperativo, in particolare
la cooperativa “La Proletaria” presieduta
da Angelo Albano. Gran parte del ruolo di
Garibaldo all’interno del partito, in quegli
anni, è proprio volto al rafforzamento di
questa realtà che, nel periodo successivo
alla Liberazione, conosce un rapidissimo
sviluppo, non solo nella zona di Piombino, ma anche in tutta Livorno e provincia.
Nascono cooperative e aggregazioni di
cooperative nel settore della produzione,
dei servizi e di consumo. Nel 1946 è eletto Presidente provinciale della Lega delle
Cooperative e in seguito entra anche nel
Consiglio Generale della Lega nazionale:
compito che Garibaldo svolge con grande
passione e impegno, perché da sempre
convinto che la pratica della cooperativa
fosse la realizzazione piena e soprattutto
concreta di molti degli ideali di unità e
fratellanza che erano stati alla base delle
lotte antifasciste e della Resistenza.
Nel 1948, a causa anche del mutato clima
politico - siamo nel pieno della Guerra
fredda - Garibaldo è accusato insieme a
molti altri responsabili di organismi cooperativi di violazione delle leggi sui dazi
doganali (per una questione di “pacchi
dono” inviati dagli Stati Uniti). Si trova così
nuovamente, dopo gli anni del regime, a
vivere in clandestinità per circa un anno e,
quando si presenta in tribunale il giorno
del processo, viene arrestato e costretto a
trascorrere tre giorni nel carcere dei Domenicani. È condannato a tre mesi di reclusione: in appello però la pena gli viene
cancellata e può riprendere i suoi incarichi ai vertici del movimento e all’interno
del partito. Nel 1957 Garibaldo è uno dei
soci fondatori dell’ARCI (Associazione Ricreativa e Culturale Italiana), di cui firma
personalmente l’atto costitutivo a Firenze.
Da sempre impegnato nelle attività di assistenza ai più deboli e nel volontariato,
ricopre negli anni successivi a Livorno vari
incarichi direttivi: principalmente nell’ECA (Ente Comunale di Assistenza) e nella
Società Volontaria di Soccorso.
Dell’ECA di Livorno (ente comunale che
aiutava le persone in difficoltà fornendo
sussidi alle famiglie più bisognose, mettendo a disposizione una mensa e numerose altre attività) è nominato Presidente
verso la metà degli anni settanta, succedendo ad Ernesto Santopadre. È sua l’iniziativa di far nascere, nei locali di fianco
alla sede dell’associazione, un asilo per i
bambini intitolato a Primetta Marrucci.
Nella Società Volontaria di Soccorso di Livorno, invece, dove è iscritto alla sezione
giovanile sin dall’età di undici anni, rimane volontario in servizio attivo per un lungo periodo.
Verso il futuro:
i giovani
nel villaggio globale
Garibaldo, credendo fermamente nei valori della difesa della pace, dei diritti umani, della solidarietà internazionale e del
rispetto tra i popoli e convinto che “una
società dove molti sono gli esclusi è una
società senza futuro”, è anche uno dei fondatori dell’Associazione Livornese di Solidarietà con il Popolo Saharawi (è ancora
oggi nell’esecutivo) e soprattutto è da
sempre un soggetto attivo nella concretizzazione della politica dell’accoglienza.
Dal 1993 l’Associazione promuove scambi
interculturali tra bambini e famiglie, gemellaggi, adozioni a distanza e molteplici
altre iniziative finalizzate a costruire una
solidarietà concreta tra il popolo Saharawi e quello livornese, nell’ottica di un sempre più ricco e reciproco avvicinamento
I N T E RV E N T I
2007. Il Sindaco
Alessandro Cosimi
conferisce a
Garibaldo Benifei
la Livornina d’ Oro
Garibaldo Benifei
Partecipa, già dagli anni sessanta, allo
sviluppo del movimento regionale e nazionale delle Pubbliche Assistenze, in cui
ricopre anche incarichi dirigenziali. Dal
1981 al 1987 viene nominato Presidente
della S.V.S.: in questi anni fa ristrutturare
la vecchia sede dell’associazione, ancora
danneggiata dalla guerra e dai bombardamenti, provvede all’apertura di nuovi
ambulatori tuttora attivi, istituisce il primo servizio con medico a bordo in ambulanza, organizza grandi campagne di
raccolta fondi. Al termine del mandato
continua la sua partecipazione alla vita
dell’associazione anche nel ruolo attivo di
Presidente del Collegio dei Probiviri (organo di garanzia della S.V.S.), che mantiene ancora oggi.
15
I N T E RV E N T I
Garibaldo Benifei
insieme al gruppo
dei dirigenti
dell’ANPPIA di Livorno.
Vicino a lui,
la moglie Osmana,
fedele compagna
della sua vita
Garibaldo Benifei in
un’immagine privata
Garibaldo Benifei
16
Con Osmana, negli
anni della maturità
Primi anni cinquanta.
Con la moglie
Osmana ed i figli Lidia
e Maurizio
tra queste due culture così differenti. Nel
2002 riceve una targa d’argento dal Comune di Livorno come riconoscimento
per il suo impegno civile, la difesa della
democrazia e la continua testimonianza ai
giovani dei valori di libertà e giustizia. Nel
2007 gli viene conferita, insieme a Dino
“Bino” Raugi, la Livornina d’Oro, la più
importante onorificenza della città. Dal
4 dicembre 2007 è presidente onorario
dell’Istituto Storico della Resistenza e della società contemporanea nella provincia
di Livorno. Ma l’impegno più appassionato
di Garibaldo dal dopoguerra ad oggi è quello
all’interno dell’Associa-
zione Nazionale Perseguitati Politici Italiani
Antifascisti (ANPPIA), di cui è fondatore a
livello nazionale con Umberto Terracini, e
Presidente, a Livorno, fino ai giorni nostri.
È un impegno assiduo nel portare testimonianza di storia e di vita nelle scuole:
interviste, progetti, viaggi con le classi sui
luoghi degli eccidi fascisti e nazisti, affinché i giovani comprendano i valori dell’antifascismo, della giustizia, della libertà che
sono stati alla base delle sue scelte di lotta
e di vita, ma anche rivolto alla salvaguardia
continua ed ininterrotta dei principi su cui
si basa la Costituzione repubblicana.
Il testo si basa sul volume di Garibaldo Benifei Per la libertà. Trent’anni di memorie
fra antifascismo, Resistenza e cooperazione (1920 - 1950) (Livorno,
Debatte Otello, 1996) e su interviste e testimonianze orali
raccolte e depositate presso l’Istituto Storico della Resistenza
e della Società Contemporanea nella provincia di Livorno.
Tre storie di donne
nell’antifascismo livornese
Erminia, Osmana, Ubaldina
Quando si parla di antifascismo, di Resistenza, delle lotte compiute per la liberazione del paese dal regime fascista e
dall’occupazione tedesca, non si può non
parlare di donne. E le donne livornesi,
come in tutte le altre parti d’Italia, hanno
dato un fortissimo sostegno alle azioni dei
partigiani.
Le donne nelle fila della Resistenza sono
state soprattutto “staffette”: quelle che
trasportavano materiale di propaganda,
si davano da fare a raccogliere viveri e
cibo per i partigiani sulle montagne, rammendavano loro i vestiti, procuravano i
medicinali, spesso le armi, fabbricavano
documenti falsi, si occupavano dei feriti
e a volte anche di lavare e aver cura dei
morti. Le chiamano solo “staffette”, ma
tutte, anche quelle che scelsero di non imbracciare le armi direttamente e che non
vivevano in formazione, sono state “combattenti” in tutti i sensi: chi per amore, chi
per un sentimento di rivalsa nei confronti
delle violenze dei fascisti e dei tedeschi
oppressori, chi per scelta politica, chi per
una comprensione più profonda dell’insegnamento cristiano.
Queste donne coraggiose e appassionate
che hanno più o meno consapevolmente
scelto di rischiare la propria incolumità e
la propria vita (o anche soltanto la propria
reputazione, sfidando le radicate regole
sociali e familiari) hanno “combattuto” a
tutti gli effetti per dare il loro contributo
alla liberazione del paese, alla difficile ricostruzione che ne è seguita e all’arricchimento della vita politica e sociale.
La Resistenza è vissuta dalla maggior parte di loro anche come un viaggio di progressiva conquista di diritti e di libertà:
attraverso questa esperienza le donne si
ritrovano ad essere non solo più consapevoli dei propri mezzi, ma, per la prima
volta, ad avere coscienza dei propri diritti.
Comprendono che possono lottare per
essi, interessarsi e persino partecipare alla
vita politica.
Molte, nel dopoguerra, intraprendono un
percorso di vera e propria emancipazione,
entrano in associazioni che svolgono varie attività, principalmente politiche, ma
anche sociali e di assistenza, soprattutto
rivolte alla cura dell’infanzia e all’educazione.
Donne nell’antifascismo livornese
Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea, Livorno
I N T E RV E N T I
di Margherita Paoletti
17
“Mi sento mamma
di tutti” Erminia
Cremoni, l’angelo
dei bisognosi con le
“rotine sotto i piedi”
I N T E RV E N T I
Donne nell’antifascismo livornese
18
Quello di Erminia Cremoni (1905-1956) è
uno degli esempi di queste vite donate
agli altri, una vita in cui si trovano strettamente intrecciati tra loro i valori della lotta antifascista con quelli del laicato cattolico degli anni trenta, fino al dopoguerra
inoltrato.
Livornese, di famiglia molto modesta, fin
da bambina Erminia è iscritta all’Azione
Cattolica e partecipa con grande slancio
ed entusiasmo a tutte le attività parrocchiali e spirituali dell’associazione. Nel
1932 rompe un fidanzamento e da quel
momento decide di dedicare la sua vita
all’apostolato e alle opere assistenziali:
sono anni intensi e vissuti “con le rotine
sotto i piedi”, come lei stessa scrive nel suo
diario, spostandosi continuamente per
portare aiuti pratici e conforto spirituale
tra i bisognosi di ogni ceto, nelle carceri,
nei quartieri più poveri della città, nelle
fabbriche, negli ospedali. Erminia presto
si avvicina al movimento dei cristiano
sociali, che a Livorno è dominato dalla figura luminosa di Don Angeli, il sacerdote
antifascista militante che, oltre a essere vicino al gruppo della divisione toscana di
Giustizia e Libertà, era promotore anche
di un tipo di resistenza ideologica e culturale: sue erano le conferenze, nei primi
anni quaranta, tenute al Cenacolo di Santa Giulia, finalizzate a dimostrare che “Dio
creò l’uomo, non l’uomo ariano”. Insieme
al gruppo di Don Angeli, dopo l’8 settembre 1943, la Cremoni partecipa ad azioni
Erminia Cremoni
di rifornimento e assistenza a un gruppo
di soldati italiani scampati alla cattura tedesca, che si erano rifugiati nei sotterranei
dell’ospedale di Livorno, e fino al giugno
del 1944 fa la stessa cosa per un altro
gruppo di circa 90 ebrei nascosti in una
palazzina di via Micali, percorrendo una
o due volte alla settimana circa 20 chilometri a piedi da Montenero, anche sotto
i bombardamenti. Unisce attività spirituali e trasporto di volantini, armi, medicinali e viveri ai gruppi partigiani cristiani
nella zona: nella sua grande borsa, sotto
gli opuscoli dell’Azione cattolica, porta
nascoste veline e informazioni da consegnare, a volte rimanendo anche coinvolta
in conflitti a fuoco. Dopo la guerra, e fino
alla morte avvenuta nel 1956, continua
a dedicarsi senza sosta alle opere di assistenza ai più deboli: fonda e presiede il CIF
(Centro Italiano Femminile), fa parte del
Comitato Livornese di Assistenza, è eletta
nel 1946 in consiglio comunale nella lista
della Democrazia Cristiana.
Resistere, ricostruire,
ricordare: Osmana
Benetti, una vita
in prima fila
I N T E RV E N T I
ca), specialmente della madre, che a volte la chiude in casa perché Osmana, nelle
sue attività di staffetta, sparisce fino a tardi o si incontra con compagni maschi più
grandi di lei.
Nel gennaio del 1944, tuttavia, grazie
proprio alla madre che quella volta non
le permette di uscire, sfugge all’arresto:
tutti gli altri 28 partecipanti alla riunione
clandestina che si doveva tenere a casa
di Aldemara Filippi Manna, a causa di una
soffiata, sono imprigionati. In quegli anni
Osmana, su indicazione del partito, organizza molte assemblee per parlare alle altre donne: si discute su come meglio dare
il proprio sostegno ai partigiani, si fa opera di convincimento affinché le famiglie e
soprattutto i giovani non si uniscano alla
Repubblica di Salò, ma si parla già anche
di prospettive, di futuro, di ricostruzione
della città e del suo tessuto sociale. È una
delle fondatrici dei Gruppi di Difesa della
Donna, organizzazione nata nel 1943 per
iniziativa del PCI con l’intento di organiz-
Donne nell’antifascismo livornese
Osmana Benetti (il nome Osman, all’anagrafe diventato Osmana, è quello di un
fratello del padre, che dopo due femmine desiderava un figlio maschio) vive la
sua esperienza di partecipazione alla Resistenza con spirito orgogliosamente comunista.
Osmana cresce in una famiglia di ideali
democratici e antifascisti, sebbene non
di aperta opposizione al regime e, nonostante abbia frequentato la scuola solo
fino alla quinta elementare, è una grande appassionata di libri (legge Cronin,
Steinbeck, London e Zola) che, sin da
giovanissima, la aiutano a riflettere sulla
situazione politica in cui vive e, in particolar modo, sulle molte ingiustizie sociali e
sulle lotte dei lavoratori.
I primi contatti con il Partito Comunista
avvengono durante lo sfollamento a Castellina Marittima nel 1940. L’attività vera
e propria comincia nel 1943: è incaricata
di trasportare materiale a stampa, documenti e informazioni tra le varie cellule
e divisioni che operano nella zona di Livorno. Un altro compito è quello della
distribuzione di volantini di propaganda
antifascista, come nel caso di quelli
sull’uccisione di Oberdan Chiesa, che
Osmana lega con i fiocchini colorati del
suo corredo ai rami delle piante lungo la
strada per la miniera della Valle Benedetta, affinché gli operai li possano leggere.
Tutto questo all’insaputa della famiglia
(che è fortemente contraria, in quanto le
donne non si devono occupare di politi-
Osmana Benetti
19
I N T E RV E N T I
Donne nell’antifascismo livornese
20
zare una rete di aiuti alle famiglie di carcerati, internati e partigiani e soprattutto
di promuovere la Resistenza femminile
in ogni ambiente sociale. I volantini si rivolgono a tutte le donne, “lavoratrici e
massaie” “operaie e impiegate”, e recitano:
“Non basta incitare i nostri uomini alla lotta. Noi stesse dobbiamo lottare”.
Nell’estate del 1944, frequentando la federazione del PCI, conosce Garibaldo
Benifei, figura di spicco dell’antifascismo
livornese, comunista, già condannato al
carcere due volte per attività sovversiva e
che aveva anch’egli partecipato alla Resistenza nelle file partigiane.
Dopo un breve fidanzamento i due decidono di sposarsi ed è Furio Diaz, il sindaco
della ricostruzione di Livorno, che celebra
il matrimonio: oggi sono insieme da quasi settant’anni. Nel dopoguerra Osmana
continua l’attività politica come responsabile del gruppo delle donne comuniste
del PCI e nel 1945 è inviata con Garibaldo
all’isola d’Elba, dove si occupa anche della
preparazione per la Festa dell’8 marzo.
Con le donne dell’UDI (Unione Donne
Italiane) contribuisce alla costruzione dei
primi asili della città: esse ottengono dal
Comune l’uso di alcuni edifici, li arredano
alla buona, si procurano cibo e medicinali
con l’aiuto dei commercianti.
Oggi Osmana continua a occuparsi di diritti delle donne, ma insieme con il marito
Garibaldo e come membro dell’ANPPIA
(Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti) svolge un’attività
di testimonianza alle nuove generazioni,
incontrando gli studenti, cercando di far
capire ai giovani quali sono state le motivazioni, i valori e anche le emozioni profonde vissute da coloro che come lei hanno partecipato alla Resistenza.
“Per amore?
Per ideologia?
Per entrambi.”
La storia di
Ubaldina Pannocchia
Ubaldina Pannocchia, coetanea di Osmana (entrambe sono nate nel 1923) ha preso coscienza di essere stata una staffetta
solo nella maturità, leggendo il libro di
Miriam Mafai “Pane nero”.
Fino allo scoppio della guerra, la sua infanzia scorre tranquilla (nel 1933 il padre
è obbligato a prendere la tessera del PNF
per non perdere la macelleria con cui
mantiene la famiglia), ma con un grande
rimpianto: essendo l’unica figlia femmina,
frequenta la scuola solo fino alla quinta
elementare, perché la priorità è far studiare i suoi due fratelli maschi. L’unica concessione è imparare a ricamare e a suonare il pianoforte all’Istituto delle Suore di
via Galilei. Fino allo scoppio della guerra
vive in un mondo di musica e poesia, ama
Prévert e D’Annunzio, legge romanzi rosa
e Piccolo mondo antico di Fogazzaro, ma
“niente, di politica, assolutamente niente”.
L’odiosità del regime la sperimenta solo attraverso i racconti sull’uccisione dei fratelli Gigli, che, poco prima della sua nascita,
vengono massacrati nella loro abitazione,
nel palazzo di fronte a dove abita una zia.
Si comincia a interessare di politica quando si innamora di Nedo Guerrucci, che
frequenta la sua stessa compagnia perché
amico di suo fratello Roberto. Nedo è un
giovane che ama lo studio, la filosofia, le
scienze e Ubaldina lo sente spesso anche
discutere di politica: è lui che per primo
Tre donne, tre percorsi esemplari attraverso la fede cristiana, la consapevolezza
politica e l’amore, tre storie per una storia
delle donne livornesi che lottarono per la
libertà e sulle quali, speriamo, si possa ritornare per dare loro luce e spessore.
I N T E RV E N T I
Ubaldina Pannocchia
Donne nell’antifascismo livornese
le spiega qual è la situazione italiana ed
estera, le parla della necessaria opposizione al regime fascista, delle repubbliche
sovietiche, le fa conoscere Marx, Lenin,
Gramsci. Ubaldina e Nedo si fidanzano
nel luglio del 1941. Nella primavera del
1943 (la famiglia di Ubaldina è sfollata a
Lorenzana in seguito ai bombardamenti)
lui le chiede di aiutarlo a diffondere dei
volantini di Concetto Marchesi contro il
fascismo e la guerra: lei accetta, e da quel
momento lo segue per cinquant’anni senza più lasciarlo. Quando viene firmato l’armistizio dell’8 settembre Nedo ha 20 anni
ed è chiamato a presentarsi al Comando
militare di Ardenza, ma in realtà ha già
preso la decisione di partecipare alla lotta
come partigiano: in formazione è collocato a Castellaccio e, proprio per avere sue
notizie, Ubaldina comincia a stringere in
prima persona contatti con altri partigiani come Vasco Caprai e Giovanni Finocchietti. Collabora facendo, appunto, la
staffetta, procurando viveri, trasportando armi nella borsa della spesa, cercando e nascondendo medicinali e volantini
(spesso proprio in casa sua, ben nascosti
dentro l’amato pianoforte). Nel 1946, finita la guerra, Ubaldina sposa Nedo, che rimane in politica e riceve diverse incarichi
dal Partito Comunista, e lo segue nei suoi
spostamenti come funzionario del partito,
mentre lei si avvicina soprattutto al movimento femminile. Sono gli anni di Laura
Diaz e Primetta Marrucci: Ubaldina, come
Osmana, partecipa nell’UDI alla ricostruzione della città, delle scuole, alla creazione dei primi asili, alla distribuzione di
“Noi donne”, all’allestimento della prima
Festa dell’Unità al Parterre. Prima per suo
nipote Valerio, e poi per tutti i giovani, ha
affidato ad un piccolo libro Nonna raccontami… le memorie della sua lotta.
21
Scuole femminili a Livorno
tra fine Ottocento
e inizio Novecento
di Filippo Sani
I N T E RV E N T I
Università degli Studi di Sassari
Iniziamo a pubblicare le relazioni presentate in occasione del Convegno 150 anni di scuola
a Livorno. Appunti per una storia ancora da scrivere, che si è svolto a Livorno il 2 dicembre
2011, nell’ambito della manifestazione “Settembre pedagogico”. In questo numero, presentiamo gli interventi del Prof. F. Sani dell’Università degli Studi di Sassari e del Dott. E. Papa
dell’Archivio Storico del Comune di Livorno.
Scuole femminili
In questo testo dedicato ai processi di formazione della donna a Livorno tra Otto e
Novecento, mi soffermerò su due questioni, una di carattere generale ed una di carattere particolare. La prima riguarda quelli
che definisco “modelli identitari” dell’educazione femminile, ossia quelle istituzioni
che hanno contribuito alla costruzione di
un’identità scolastica livornese tra Otto e
Novecento. Nella seconda parte, tratterò i
rapporti che, a partire dagli anni novanta
del XIX secolo, si profilano tra l’incremento
delle congregazioni femminili nei quartieri litoranei della città e la diffusione dell’ideologia igienistica nell’Italia positivistica
umbertina e giolittiana.
“Modelli identitari”
22
Un’indagine centrata sui modelli di identità/identificazione presenti nella cultura
scolastica livornese attiene più alla storia
dell’immaginario che ad una vera e propria storia delle istituzioni educative. In
tal senso, una ricerca archivistica puramente orientata all’analisi dei programmi
o, ancora, allo studio prosopografico è
operazione necessaria, ma non sufficiente. Anche perché, spesso, la peculiarità di
queste realtà non è affatto da rinvenire nei
programmi o negli insegnanti, ma nell’immagine pubblica che viene loro conferita.
Per questo motivo, acquistano altrettanta
rilevanza le indagini di tipo memorialistico
e diaristico, nonché la messa in evidenza
dell’eco che queste istituzioni hanno avuto storicamente sulla stampa locale.
In questa sede, tuttavia, non riuscirò del
tutto a tener fede ad un programma così
ambizioso. Per il momento, mi propongo
piuttosto di presentare quello che potrebbe trasformarsi nel capitolo introduttivo
della ricerca. Procederò dunque ad una
sintetica presentazione di quegli istituti
che fanno parte integrante dell’immaginario cittadino, tanto dal punto di vista del
paesaggio urbano, quanto nella rappresentazione pubblica della realtà scolastica.
Nel 1785, a Pisa erano presenti 14 monasteri femminili, a Pistoia 10, ad Arezzo 9, a
I N T E RV E N T I
stre avrebbero continuato ufficiosamente
ad insegnare all’interno dell’edificio del
Paradisino sino al 1796 quando, grazie
all’intervento del Proposto della Collegiata Girolamo Chelli, si sarebbero trasferite
nel soppresso convento degli agostiniani.
Era la premessa della prima rinascita delle
Scuole di S. Giulia e del rilievo che conquistarono nel corso della prima metà del XIX
secolo. Una seconda avvenne nel 1881,
anno in cui la direzione del Paradisino fu
demandata alle Maestre Pie Venerini3.
Questa congregazione fu chiamata a Livorno dal vescovo della città, Mons. Remigio
Pacini, il quale governò la diocesi in quegli
anni ottanta che segnarono un passaggio
importante nella storia del cattolicesimo
italiano. Il successo dell’intransigentismo si
Fondazione Dal Borro,
Sezione Femminile,
CLAS, Fondi
archivistici aggregati,
r. fotografie - Album
Fotografico 1868
-1911
Scuole femminili
S. Miniato 4, a S. Gimignano 5, a Livorno
zero1. Nel quadro dell’educazione femminile, l’assenza di monasteri era stata in
qualche modo compensata con la nascita, nel 1746, dell’Istituto delle Maestre Pie
che, destinato a profonde trasformazioni
nel 1762-63, nel 1766, dopo il trasferimento nei locali di Via San Francesco, avrebbe
assunto il nome di “Paradisino”. A causa di
una grave situazione debitoria, il “Paradisino” fu soppresso nel 1781, ma, poiché a
quel punto Livorno sarebbe rimasta priva di scuole femminili, in data 3 gennaio
1782 fu emanato un Rescritto che imponeva alla Depositeria l’erogazione di una
pensione mensile di L. 37,10 a favore delle
Maestre che avessero continuato ad insegnare alle ragazze povere2. Così, le Mae-
23
I N T E RV E N T I
Scuole femminili
24
congiunse ad una religiosità che, ripudiando l’individualismo borghese, si manifestò
attraverso l’esaltazione della dimensione
sociale e, dunque, la promozione di associazioni laicali e congregazioni religiose. È
in questo quadro che devono essere letti
tanto la politica del vescovo Pacini4 quanto gli ostacoli che il Comune oppose al riconoscimento delle Venerini. Soltanto nel
1885, queste scuole sarebbero state riconosciute quale istituto pubblico educativo
dal Ministero Coppino5.
Altro istituto che contribuì a costruire l’identità della Livorno ottocentesca è l’Istituto di S. Maria Maddalena nel Convento
dei SS. Pietro e Paolo, voluto dal parroco
Giovanni Quilici su cui è stato scritto molto6. In questa sede, è semplicemente il
caso di ricordare che, sin dai primi anni
della Restaurazione, Quilici si adoperò
per la preservazione e la redenzione delle
donne di strada. Il 21 dicembre 1828, fu
aperta la Chiesa dei SS. Pietro e Paolo della quale fu nominato parroco. La canonica
fu adibita a casa per il recupero delle penitenti ed a scuola per l’educazione delle ragazze della parrocchia. L’istituto si impose
velocemente nella realtà cittadina grazie
alle offerte di diversi benefattori. Il 5 novembre 1837, furono approvate dal Granduca le Costituzioni delle Suore destinate
a divenire le fondatrici di una nuova congregazione. Il 13 settembre 1840, furono
effettuate le prime vestizioni, mentre, nel
gennaio 1841, fu aperto un Convitto per
ragazze abbienti e per quelle più povere.
Nell’inchiesta granducale dello stesso
anno, si legge:
Materie d’insegnamento: Tessere ogni genere di Pannine, Arte di Fiori, Ricami in Argento, e in Oro all’uso di Lione; ricamo in
bianco, e in colori, frange in oro, e in altri
generi. Cucire da sarta, di bianco, filare le
canape, e i lini, fare i coltroni, e qualunque
altro lavoro donnesco. Leggere, scrivere, e
aritmetica per le persone civili. Storia Sacra,
e Profana, e Catechismo. [...] Il totale delle alunne sono circa a 300, e tra queste un
cento assolutamente miserabili. Vi sono poi
10 Convittrici che 9 mantenute dallo Stabilimento e una da S.A.I e G. la Granduchessa
Maria Ferdinanda. [...] Alle Miserabili si passa la minestra tutti i giorni. L’Istituto è molto
accreditato, vantaggioso, e ben condotto,
e in particolar modo vi rifulge la istruzione
religiosa7.
Quilici morì tre anni dopo, ma l’istituzione
continuò a prosperare per molti decenni,
nonostante le scissioni che subì.
Altra figura storica del cattolicesimo femminile livornese fu Livia Bianchetti, suor
Teresa di Gesù in religione8. Sin dal 1865,
la Bianchetti era terziaria dell’Ordine dei
Servi di Maria ed era orientata verso la vita
claustrale. Fu il vescovo Gavi ad indirizzarla
verso l’assistenza ai poveri. A seguito del
Quaresimale del 1872, ad opera del Canonico Rinaldo De Giovanni, negli anni 187374, nacque la Società Promotrice di Buone
Opere di cui divennero membri molte signore livornesi e la stessa Suor Teresa. Nel
1877, grazie a Mons. Pio Alberto Del Corona, livornese, ma all’epoca amministratore
in spiritualibus della diocesi di S. Miniato,
Suor Teresa ottenne nuove vestizioni per
il suo Terz’Ordine. Fu ancora Mons. Del
Corona ad ottenere da Roma l’autorizzazione per affidare la direzione spirituale
del gruppo di suore a Don Amadio Massabichi9. Questo incarico passò al barnabita
Filippo Villa nel 1882, anno in cui le sorelle
iniziarono le visite dei poveri a domicilio ed
il servizio spirituale presso l’ospedale civile.
Nel 1888, il vescovo Franchi ratificò in via
sperimentale le Costituzioni delle Dame di
Maria Addolorata del Terz’Ordine dei Servi
di Maria. Le suore aprirono successivamente le scuole elementari ed una scuola di la-
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Pio Alberto
Del Corona
(Livorno 1837 Firenze 1912)
Scuole femminili
voro per le ragazze meno abbienti dell’area circostante Via Roma10. L’Oratorio delle
Mantellate assunse spesso una funzione
simbolica nei momenti più accesi della
polemica intransigente, di volta in volta,
diretta con grande asprezza contro i modernisti, i socialisti, i liberali, i massoni. Per
esempio, nel corso del ballottaggio delle
elezioni politiche del 1913, “Fides”, periodico cattolico della città, comunicava che
Domenica all’oratorio delle Suore Mantellate, in via dell’Ambrogiana, durante la Messa
delle 7, Esposizione solenne del SS. Sacramento in riparazione delle offese che vengono recate alla Maestà di Dio11.
Nel 1906, furono intraprese le prime trattative per la fusione dell’Istituto con le
Serve di Maria di Pistoia. Ebbe inizio così
una storia relativamente tormentata, aggravata dalla causa giudiziaria che, contro
l’Istituto livornese, intentarono i parenti
della Bianchetti a seguito della sua morte avvenuta nel 1909. Solo al termine del
processo, nel 1911, la Sacra Congregazione dei Religiosi manifestò un parere favorevole allo scioglimento delle Serve di Maria livornesi all’interno di quelle pistoiesi,
fatto riconosciuto definitivamente dalla
stessa Sacra Congregazione con il decreto
del 28 dicembre 1912. Le suore furono così
nuovamente legittimate ad inaugurare la
scuola elementare, l’asilo, la scuola di lavoro e l’oratorio festivo cui seguì, nel 1916,
l’apertura di un educandato per le studentesse della scuola media12. Più tardi, nel
1925, alla luce di una richiesta del vescovo
Piccioni, alcune Mantellate lasciarono Via
dell’Ambrogiana al fine di dirigere l’Istituto
L’Immacolata, sino a quel momento governato dalle Figlie della Carità13.
Nel 1882, grazie ad accordi intercorsi tra
mons. Del Corona ed il vescovo Pacini,
quattro terziarie domenicane livornesi
formarono una comunità religiosa. Nel
1888, le suore chiesero la fusione con la
Congregazione delle Suore domenicane
di S. Caterina da Siena. Dopo essersi trasferite in un primo momento a Borgo S.
Jacopo (1889), assistite dal sostegno economico della contessa Augusta Pate, nel
1901, le suore si spostarono in Corso Amedeo. Sei anni dopo, la priora della comunità acquistò due palazzine in Via Cecconi13.
Nei primi vent’anni del Novecento, quando a loro spettò, di fatto, la veste di principali interpreti livornesi della devozione
al Sacro Cuore, queste suore domenicane
assunsero un ruolo non trascurabile nella formazione di una gioventù cattolica
militante. Il Sacro Cuore, i cui complessi
processi di politicizzazione attraversarono tutto il XIX secolo14, fu, in Francia, alle
origini della costituzione di un’associazione ecclesiale, la Guardia d’Onore al Sacro
Cuore di Gesù che, a Livorno, raggiunse
centinaia di adesioni e si raccolse intorno
alla cappella del Sacro Cuore di Via Cecconi. La domenica che, ogni anno, a giugno,
era dedicata alle cresime, era non soltanto l’occasione per la consueta Accademia
della scuola, a suon di canti e letture davanti al vescovo, ma anche il momento
25
Il gruppo dell’oratorio
dell’Asilo S. Spirito,
1904
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Scuole femminili
26
per esibire la forza e la diffusione della
Guardia d’Onore15.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice giunsero a
Livorno sin dal 1899, anno in cui si stabilirono a Torretta, grazie al parroco don Pio
Soldi. Il sobborgo era caratterizzato anche
allora dalla presenza di molte fabbriche
ed era attraversato da forti tensioni sociali. Le suore inaugurarono le scuole elementari e un oratorio festivo. L’espansione
delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Livorno
fu dovuta all’opera dei coniugi conti Tommaso ed Augusta Pate, nomi che abbiamo
nominato a proposito delle domenicane,
ma che compaiono in più di una occasione nella storia del cattolicesimo livornese
tra Otto e Novecento. Il loro sostegno finanziario fu determinante anche nel caso
dell’insediamento dei salesiani e del ritorno dei gesuiti. Grazie ai coniugi Pate, il
25 settembre 1903, fu inaugurato l’“Asilo
S. Spirito”, così denominato perché volto
ad essere “asilo” per ogni tipo di povertà
spirituale e materiale. In quello stesso autunno, aprirono, in successione, l’Oratorio festivo, le scuole elementari e l’asilo,
mentre l’anno successivo fu la volta del
noviziato. La crescita dell’istituto fu costantemente sostenuta dai finanziamenti
dei Pate, fatto che, nel 1906, consentì la
nascita della Scuola popolare, del Laboratorio e delle Scuole festive. Soltanto, più
tardi, nel 1915, si stabilirono all’“Asilo” le
prime educande che, da un lato, frequentavano le scuole pubbliche, dall’altro, usufruivano dei corsi interni di francese e di
tedesco16. Il periodo successivo a Porta
Pia ed alla nascita dell’Opera dei Congressi comportò anche a Livorno la necessità
di una risposta laica all’egemonia che gli
istituti religiosi avevano sulla formazione
delle ragazze. Da parte delle autorità locali si avvertiva l’assenza di una scuola superiore femminile pubblica che continuasse
l’opera svolta dalle scuole elementari. La
nascita di un istituto gratuito di questo
tipo fu ostacolata dai costi troppo elevati.
Nel frattempo, si succedevano i progetti.
Nel 1877, il Cav. Avv. Michele Carta Mameli, Regio delegato straordinario al Comune, presentò un piano per una Scuola superiore femminile semigratuita, mentre,
sin dal 1873, il Prof. Placido Maccheroni,
con l’aiuto della moglie, aveva aperto in
Via delle Bandiere “una scuola superiore
femminile ordinata secondo i programmi governativi per le scuole normali del
regno”, nella quale era stato istituito un
posto gratuito per ogni corso. Dieci anni
dopo, il Prof. Maccheroni chiese al Consiglio comunale un sostegno finanziario
che fu convenuto nel corso dell’adunanza
consiliare del 18 aprile 1883. Naturalmente, la concessione del sussidio comportò,
da parte dei coniugi Maccheroni, l’accettazione di alcune condizioni: l’attribuzio-
ne al Comune della facoltà di sorveglianza
dell’istituto attraverso una Commissione;
la trasformazione della scuola in semigratuita; la presenza di altri due posti gratuiti,
a carico del Comune; l’imposizione dello
stemma municipale. Seguirono l’elargizione di un ulteriore sussidio all’Istituto
Maccheroni da parte del Governo nazionale, in virtù del R. Decreto del 10 gennaio
1884; l’adunanza del Consiglio Comunale
del 16 marzo 1884 che confermò la delibera dell’anno precedente, la quale, a
causa di irregolarità formali, non era stata
eseguita; l’approvazione del nuovo regolamento della scuola con la delibera del 7
luglio 1884, emanata della Giunta presieduta dal sindaco Olinto Fernandez. Una
volta completati gli studi al Maccheroni,
le ragazze si sarebbero dovute recare a
Pisa al fine di sostenere gli esami per l’abilitazione all’insegnamento primario17. La
situazione mutò quando, nel 1886, in Via
Scuole femminili
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Le educande del
S. Spirito in una
immagine del 1921
27
Congregazioni
femminili e
ideologia igienistica
“Regolamento per
la Scuola Superiore
Femminile diretta dai
coniugi Maccheroni”,
CLAS, Serie Delibere,
Delibera Giunta
Comunale n. 30, 7
luglio 1884
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Scuole femminili
28
Goldoni 12, fu aperta dal Comune la Scuola Normale Superiore Femminile che il Regio Decreto del 9 settembre 1889 trasformò in Scuola governativa, assegnandole il
nome di “Angelica Palli Bartolommei”. È in
questo nuovo contesto che si comprende
l’azione di istituti come il “Gaetana Agnesi” il quale, nel 1892, presentò una sezione
maschile ed una femminile. La scuola, approvata dal R. Governo e diretta dalle sorelle Marchini, preparava le alunne all’ingresso alle Palli e gli alunni in vista delle
Scuole Tecniche e Ginnasiali.
La morale e l’educazione del cuore, parti essenziali di qualsiasi insegnamento, non che
i lavori femminili, cioè lavori in bianco, ricami, fiori, ecc., verranno unicamente riserbati
alle Direttrici. Viene pure insegnata la lingua
Francese da una delle prime maestre qua
conosciute18.
La nuova “religione salutistica” dell’Italia
post-unitaria, frutto della cultura positivistica e delle grandi scoperte microbiologiche dell’epoca di Pasteur, a Livorno non
portò, come altrove, soltanto al miglioramento delle misure igieniche nei luoghi
scolastici ed alla promozione della cultura
ginnica19, ma anche alla definitiva scoperta dei benefici dei bagni e dell’aria di mare.
In un ambito meramente pedagogico, il
paradigma igienistico andò a costituire
un’ideologia di rinforzo delle tradizionali
ragioni morali dell’educazione. La rinnovata alleanza - neotomistica - tra scienza
ed altare rappresenta una chiave di lettura
del rapido incremento di nuovi insediamenti delle congregazioni femminili le
quali, in questo periodo, si stabilirono soprattutto nei quartieri sud-occidentali di
Livorno.
Le passioniste, rinate a Signa nel 1872,
grazie all’opera del parroco locale, Don
Giuseppe Fiammetti20, inaugurarono il
24 luglio 1889, a Quercianella, l’Istituto di
Maria SS. Addolorata. L’apertura del nuovo istituto, celebrata alla presenza dello
stesso Don Fiammetti, doveva andare a
beneficio di quelle bambine e di quelle
suore della congregazione che avevano
bisogno di cure climatiche in prossimità
del mare. Successivamente, un gruppo di
bambine rimase a Quercianella in modo
permanente, specialmente dopo la nascita dell’ONMI, nel 192521. Analogamente, le Terziarie Francescane Regolari di
Ognissanti fondarono una colonia marina nel 1923 grazie al presidente del “Comitato Filantropia Senza Sacrifici”, Egidio
Cristofanini, a sua volta promotore di sta-
bilimenti talasso-elioterapici e di colonie
montane22. La Congregazione delle Sorelle dei Poveri di S. Caterina da Siena, nata
a Siena nel 1873 a seguito del riconoscimento dell’arcivescovo, mons. Enrico Bondi, ebbe origine per opera di Savina Petrilli
(1851-1923) la quale, tra le sue aspirazioni,
coltivò sempre quella di aprire un istituto
in località marittime a beneficio delle suore e delle alunne che avessero avuto bisogno della salubrità dei bagni e dell’aria di
mare23. All’inizio dell’anno 1900, la Petrilli
si recò in visita a Livorno presso il vescovo
Giulio Matteoli che le propose di acquistare la vecchia villa Bacci, poi Bertagni, sul
Viale Italia, al fine di aprirvi un asilo ed una
scuola per la gioventù povera di S. Jacopo.
Attraverso alcune donazioni, la Petrilli riuscì ad acquistare la villa e la casa contigua
da destinare a dimora per le suore. Sin dai
primi mesi del 1901, fu raccolto nella casa
un centinaio di fanciulli, mentre l’asilo e le
scuole iniziarono regolarmente l’attività
I N T E RV E N T I
soltanto a partire dall’anno scolastico successivo24. Come risulta, per esempio, dalla
descrizione dell’“Accademia” del maggio
1912, le ragazze dell’Istituto, allora posto
sotto la direzione spirituale del canonico
Giovanni Perniconi, ricevevano un’educazione imperniata su ricami d’ogni genere,
rammendi, rattoppi ed ogni altro lavoro necessario ad una buona madre di famiglia.
Né mancava lo spirito “igienistico” di cui
la scuola era espressione. Infatti, le ragazze conclusero quello stesso trattenimento
eseguendo con grazia incantevole, un coro
ginnastico25.
Nel quadro della conquista cristiana del
litorale, dalla lettura delle pagine di “Fides”
emerge il rilievo che la curia attribuiva
all’opera delle Suore di S. Giuseppe dell’Apparizione le quali, con finalità educative,
aprirono una casa ad Antignano alla fine
del 1910. Qui, in parallelo con la crescita
urbanistica dell’area, il terreno spirituale fu
preparato dall’azione di don Palmiro Piattoli, pievano di Antignano dal 1899 al 190826.
Ne raccolse il testimone il successore, don
Giulio Melani, il quale favorì l’avvento
delle Suore di S. Giuseppe, che entrarono
nella loro prima casa il 19 dicembre 1910.
Nel pomeriggio del 9 gennaio 1912, nel
corso della distribuzione solenne dei vestitini e doni che le buone Suore di S. Giuseppe
“Istruzione Pubblica
- Scuola Normale
Femminile”Telegramma del
Sindaco di Livorno
Niccola Costella
indirizzato al Ministro
dell’Istruzione Paolo
Boselli per ringraziare
dei provvedimenti a
favore della Scuola
Normale Femminile,
CLAS, Serie Affari,
anno 1889, fascicolo
n. 6
Scuole femminili
“Istruzione Pubblica
- Scuola Normale
Femminile”- Decreto
del Re Umberto
I riguardante la
conversione in
Scuola Normale
Superiore Femminile
Governativa di quella
Scuola Normale
Comunale di Livorno,
CLAS, Serie Affari,
anno 1889, fascicolo
n. 61
29
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Scuole femminili
30
La Cappella
di Santa Teresa
ad Antignano
dell’Apparizione e le brave ragazze dell’Istituto omonimo avevano preparato per le alunne e gli alunni più giovani, don Melani non
poté esimersi dal ricordare i meriti di don
Piattoli. Successivamente, il parroco vantò
l’attività delle suore: l’opera del Catechismo
giornaliero ai ragazzi, del Catechismo alle
femmine, il laboratorio, il ricreatorio festivo,
l’assistenza ai malati27.
La fondazione della Cappella di S. Teresa
in Via del Littorale 21, ad Antignano, avvenne nel 1907. L’idea fu dovuta all’arcidiacono della Cattedrale di Siena, Leopoldo Bufalini, mentre la sua progettazione
fu opera dell’ingegnere Francesco Zanaboni, anch’egli senese, il quale, come notò
Pietro Vigo, in questo lavoro veramente
egregio, (…) così per l’esterno, le fiancate,
l’abside, il campanile, come per l’interno ritrae tutti i caratteri dell’architettura archiacuta senese28. Il canonico Leopoldo Bufalini (Cortona 1840 - Siena 1917), promotore
della stampa cattolica intransigente, intellettualmente legato alla spiritualità carmelitana, nonché fondatore e direttore
della Tipografia S. Bernardino di Siena, era
allora molto attivo in ambito assistenziale
a favore di orfanelle, ragazze abbandonate,
affidandole alle terziarie Figlie di Santa Teresa da lui fondate29.
Furono proprio queste ultime le beneficiarie del nuovo Istituto di Antignano che
prese il nome di Convitto marino “S. Teresa”. Lo scopo che don Bufalini si era prefisso
era quello di offrire, contemporaneamente, accesso al mare ed assistenza religiosa
a signore e signorine le quali, in tutti i mesi
dell’anno, e non soltanto in estate, avessero avuto il desiderio di trascorrervi un certo periodo. Nel 1889, nacquero a Firenze
le Sorelle povere calasanziane della Madre di Dio, successivamente denominate
Figlie povere di San Giuseppe Calasanzio,
grazie all’opera di Celestino Zini (1825-
1892) il quale, superiore provinciale degli
Scolopi, proprio in quell’anno fu eletto
arcivescovo di Siena30. Questo primo nucleo, costituito dalla superiora, Marianna
Donati (1848-1925), in religione Suor Celestina, e da altre quattro sorelle, ricevette
l’approvazione diocesana il 21 settembre
1892 da parte dell’arcivescovo fiorentino,
mons. Agostino Bausa. Seguì un decennio
caratterizzato da una crescita impetuosa
della neonata congregazione fiorentina31.
Nell’estate 1899, le suore affittarono una
villa ad Antignano al fine di portarvi le
bambine delle proprie scuole. Fu in quel
periodo che, da parte delle istituzioni ecclesiastiche livornesi, fu chiesto alle suore
di stabilirsi nei quartieri meridionali della
città al fine di istituirvi una scuola per le
ragazze, di cui quel quartiere era carente.
Dopo aver accondisceso a questa richiesta, Suor Celestina si interessò al luogo di
residenza delle consorelle. La scelta cadde
sulla villa dei marchesi De-Ghantuz Cubbe ad Ardenza, presso la cappella detta La
Madonnina, storicamente legata all’Apparizione della Madonna di Montenero.
I proprietari, che avevano rifiutato alle
suore l’affitto della villa quando era stata
richiesta soltanto quale residenza estiva,
stavolta acconsentirono. Fu sulla base di
un’improvvisa richiesta personale32, nonché del consiglio del padre scolopio Gian
Gualberto Giannini, responsabile dell’asilo per i figli dei carcerati fondato da Bartolo Longo presso il santuario di Maria
SS. del Rosario in Valle di Pompei33, che le
calasanziane decisero di far diventare l’istituto un asilo di accoglienza per le figlie
dei carcerati. Pertanto, dopo aver aperto
la scuola per le bambine l’anno precedente e un lavoratorio nella Villa Bertelli ad
Antignano nella primavera successiva, le
suore inaugurarono l’asilo per le figlie dei
carcerati il giorno 29 agosto 190034.
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Mi sia permesso di rinviare a F. Sani, Monasteri e conservatori in Toscana (1785-1790), in L’istruzione in Italia
tra Sette e Ottocento. Da Milano a Napoli: casi regionali e tendenze nazionali, atti del convegno di studi,
Perugia 28-31 maggio 2009, in corso di stampa, Brescia, La Scuola Editrice, pp. 809-838.
Cfr. Id., La scuola delle Maestre Pie di Livorno 1746-1781, in L’educazione nel Mediterraneo nord-occidentale:
la Sardegna e la Toscana in età moderna, Sassari, 8-9 novembre 2007, a cura di F. Pruneri, F. Sani, Milano,
Vita e Pensiero, 2008, pp. 201-221, in particolare pp. 219-221.
Cfr. A. Figara, “Il Paradisino” di Livorno. Cento anni di presenza delle Maestre Pie Venerini nella città Labronica, Livorno, Stella del Mare, s.d., pp. 25-56.
Cfr. U. Spadoni, I cattolici a Livorno dall’Unità alla prima guerra mondiale, in “Rassegna storica toscana”,
XLVIII, 1, pp. 129-144, in particolare pp. 132-133.
Cfr. A. Figara, “Il Paradisino” di Livorno, cit., p. 57 e ss.
Cfr., tra gli altri, G. Novelli, Un uomo una città: Livorno e il suo apostolo sociale: Giovan Battista Quilici (17911844), Pisa, Edizioni del Cerro, 1988; R.F. Esposito, Don Giovanni Battista Quilici. Apostolo di Livorno. Riformatore sociale, Roma-Livorno, Figlie del Crocifisso - Ist. di S. Maria Maddalena, 1990.
ASFI, Soprintendenza agli Studi, 170, cc 84v-85r.
Vedi L. Bianchetti, I doveri della donna cattolica, Pisa, Tip. di Letture Cattoliche, 1867.
Sul forte legame affettivo tra Mons. Del Corona e le suore dell’Addolorata cfr. “Fides”, XIII, 69, 28 agosto 1912.
G.B. Damioli (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), in Dalle radici della nostra
storia, Livorno, CDS, 1984, pp. 38-39.
“Fides”, XIV, 88, 1 novembre 1913.
Cfr. G. Rocca, Serve di Maria di Livorno, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, Roma, Paoline, 1988, VIII,
col. 1345; G.B. Damioli (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), cit., pp. 39-40.
Cfr. Id. (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), cit., pp. 43-54.
Cfr. D. Menozzi, Sacro Cuore. Un culto tra devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Roma,
Viella, 2001.
“Fides”, periodico
delle famiglie
cattoliche, uscì in due
numeri settimanali
dal 1900 al 1921
I N T E RV E N T I
ragazze comportò un primo trasferimento in Piazza Roma, un secondo in Borgo S.
Jacopo ed uno definitivo, nel 1914, a Villa
Miller, in Via del Bosco40. Nel frattempo, il
18 dicembre 1911, l’Istituto fu definitivamente approvato dal papa41.
Al termine di questo contributo mi pare
doveroso offrire un ultimo esempio del
legame che, in una temperie positivista
(e neotomista), si instaura tra pedagogia,
cultura religiosa e ideologia igienistica.
Nel rendere conto di una festa all’Asilo
Calasanziano in onore di Mons. Giani, si
racconta che, all’ingresso del vescovo in
sala, seguì un saggio di canto gregoriano,
applauditissimo, ed un altro di Dottrina Cristiana, ove le giovani ci sembrarono provette studenti di Teologia. Ancora una volta la
conclusione è tuttavia riservata agli esercizi ginnastici, tanto a perfezione eseguiti42.
Scuole femminili
A questa giornata di inaugurazione35 parteciparono i due “zelantissimi protettori”
del neonato asilo, il padre Stanislao Consumi, rettore delle Scuole Pie fiorentine36,
e il grande predicatore domenicano, Antonino Luddi, conferenziere ricercato in tutta
la convegnistica cattolica dell’epoca37. Sin
dal principio, l’attività a favore delle figlie
dei carcerati ebbe bisogno di notevoli risorse che furono ottenute anche attraverso la vendita del periodico mensile “Stella
Maris”, di cui più volte “Fides” raccomandò
la sottoscrizione38.
Il mensile - il cui abbonamento comportava la spesa di sole tre lire all’anno - ebbe una
buona diffusione, ma fu lo stesso “Fides” a
confessare, in un numero successivo, che
l’istituto livornese delle calasanziane doveva la propria esistenza sostanzialmente
alla carità fiorentina39. L’incremento delle
31
I N T E RV E N T I
Scuole femminili
32
15 Cfr. “Fides”, XIII, 51, 26 giugno 1912; XXI, 49, 17 giugno 1920.
16 Cfr. Commissione Centenario Istituto S. Spirito, Istituto Santo Spirito. Cento anni di educazione nella storia
di Livorno, in “C.N. - Comune Notizie”, 41, 2003, pp. 21-28 e più ampiamente C. Adorni, Istituto Santo Spirito: cento anni di educazione nella storia di Livorno, 1903-2003, Livorno, Il Quadrifoglio, 2003.
17 Regolamento per la Scuola Superiore Femminile istituita e diretta dai Signori Coniugi Maccheroni posta sotto la sorveglianza del Comune di Livorno, Livorno, Giusti, 1884, pp. 3-4.
18 Istituto Gaetana Agnesi Approvato dal R. Governo diretto dalle Sorelle Marchini sezione maschile e femminile, Livorno, Meucci, 1892, p. 1.
19 D’obbligo è il rinvio a C. Pogliano, L’utopia igienista (1870-1920), in Storia d’Italia. Annali 7. Malattia e medicina, a cura di F. Della Peruta, Torino, Einaudi, 1984, pp. 589-635; G. Bonetta, Corpo e nazione. L’educazione
ginnastica, igienica e sessuale nell’Italia liberale, Milano, FrancoAngeli, 1991; C. Giovannini, Risanare le
Città. L’utopia igienista di fine Ottocento, Milano, FrancoAngeli, 1996; C. Mantovani, Rigenerare la società:
l’eugenetica in Italia dalle origini ottocentesche agli anni trenta, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004.
20 Vedi Don Giuseppe Fiammetti (1834-1905) collaboratore nella riattivazione delle suore passioniste di S. Paolo della Croce: scritti spirituali, Roma, Suore Passioniste di S. Paolo della Croce, 2005.
21 Cfr. G.B. Damioli (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), cit., p. 59.
22 G. Wiquel, Suore Terziarie Francescane Regolari di Ognissanti, in Id., Dizionario di persone e cose livornesi,
Bastogi, Livorno 1976-85, p. 568. Il Comitato Filantropia senza Sacrifici era “un’associazione mista nata
nel 1880 con finalità assistenziali che, ingranditasi nel primo decennio del Novecento, gestiva a Livorno
l’Istituto Talasso-Elioterapico Regina Elena per bambini fino a 12 anni, la Colonia Montana Antitubercolare Pietro Martino Bossio e un ospedale per militari” (T. Noce, Nella città degli uomini. Donne e pratica
della politica a Livorno fra guerra e ricostruzione, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004, pp. 46-47).
23 Su Savina Petrilli vedi S. Petrilli, Sì, o Signore...sulle tue ali. Eredità spirituale di Savina Petrilli, a cura di C.
Siccardi, Cinisello Balsamo, San Paolo Edizioni, 2008; C. Siccardi, Come aquila che plana. Savina Petrilli,
Cinisello Balsamo, San Paolo Edizioni, 2008.
24 Cfr. G.B. Damioli (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), cit., pp. 91-98.
25 Cfr. “Fides”, XIII, 44, 1 giugno 1912.
26 Cfr. S. Pellini, In morte di Mons. Palmiro Piattoli pievano di Antignano, Siena, S. Bernardino, 1908.
27 “Fides”, XIII, 4, 13 gennaio 1912. Cfr. anche “Fides”, XIV, 5, 15 gennaio 1913.
28 Cfr. P. Vigo, Livorno, Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1915.
29 M. Tagliaferri, L’Unità cattolica. Studio di una mentalità, Roma, Editrice Pontificia Università Gregoriana,
1993, p. 63. Vedi anche Le Figlie di S. Teresa, Brevi Cenni della vita e delle opere di monsignore Leopoldo
Bufalini, Arcidiacono della metropolitana di Siena, protonotario apostolico ad instar, istitutore delle terziarie
di s. Teresa, Siena, Tipografia San Bernardino, 1917.
30 Cfr. C. Zini, Scritti vari e lettere: preceduti dalla biografia dell’autore, 2 voll., Firenze, Tip. Calasanziana, 1893;
Id., Manuale calasanziano: libro di lettura e di direzione per le Figlie povere di S. Giuseppe Calasanzio, fondate nel 1889 in Firenze da Celestino Zini, Prato, Giachetti, 1914. Vedi anche L. De Marco, Celestino Zini: lo
straordinario di ogni giorno, Roma, Curia generalizia dei Padri Scolopi, 2003.
31 Cfr. “Fides”, I, 12, 15 settembre 1900.
32 Ivi.
33 Cfr. M. Presciuttini, Bartolo Longo e l’emarginazione sociale con particolare riguardo ai figli dei carcerati, in
Bartolo Longo e il suo tempo, a cura di F. Volpe, I, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983, p. 438 e ss.
34 Cfr. “Fides”, I, 12, 15 settembre 1900.
36 Vedi G. Giovannozzi, Nei funerali del p. Stanislao Consumi in s. Giovannino delle scuole pie: Ricordo, 16 gennaio 1909, Firenze, Tip. Calasanziana, 1909.
37 Antonino Luddi nacque in provincia di Arezzo nel 1859 e morì a Sassari nel 1937. Cfr. R. Spiazzi, L’Apostolato della Verità nella vita e negli scritti di Ermelinda Rigon fondatrice del Cenacolo domenicano, Bologna,
ESD, 1994, p. 107; P. Risso, Un apostolo del nostro secolo: p. Giocondo Lorgna, fondatore delle Suore domenicane della beata Imelda, Bologna, ESD, 1993, p. 84.
38 “Fides”, I, 4, 21 luglio 1900; I, 10, 1 settembre 1900; I, 12, 15 settembre 1900.
39 “Fides”, I, 20, 10 novembre 1900.
40 Cfr. G.B. Damioli (a cura di), Le religiose a Livorno oranti e laboriose (prima parte), cit., pp. 77-78.
41 Cfr. “Fides”, XIII, 2, 6 gennaio 1912.
42 “Fides”, XIV, 69, 27 agosto 1913.
La Scuola nei documenti
dell’Archivio Storico Comunale
di Livorno
Dopo la chiusura dell’Archivio Storico Comunale “Pietro Vigo” nel novembre 1941,
si apre un periodo in cui, se qualcuno
avesse chiesto, anche agli inizi degli anni
novanta, agli studiosi frequentatori di archivi notizie sui documenti storici di Livorno, questi avrebbero risposto che gli unici documenti esistenti erano conservati
presso l’Archivio di Stato.
All’epoca l’Amministrazione comunale poteva, infatti, mettere a disposizione, per
studio, tesi o pubblicazioni, solo poche
serie documentarie, soprattutto delibere od atti conservati presso l’Ufficio Contratti. Ma dal 1992 si evidenzia l’assoluta
necessità di ricostituire l’Archivio Storico,
individuando con la delibera n. 3901 del
3 dicembre 1992 la sede e, precisamente,
quella attuale di via del Toro 8.
Per circa dieci anni si lavora alacremente
alla inventariazione e al recupero dei documenti, fino all’apertura ufficiale dell’Archivio Storico avvenuta nel dicembre del
2003. Il lavoro di raccolta e sedimentazione dei documenti non si è mai interrotto
ed anche nel dicembre 2011 sono state
fatte delle acquisizioni molto importanti
dall’ufficio dello Stato Civile e dall’ufficio
Anagrafe. L’Archivio storico ha in totale oltre 14.000 unità archivistiche. Le serie documentarie riguardanti la scuola e l’istruzione saranno l’oggetto del mio intervento
e soprattutto esaminerò l’aspetto sociale
delle scuole elementari che, ricordo, dopo
l’Unità d’Italia e per lungo tempo, furono di
competenza delle Amministrazioni Comunali. La prima legge italiana riguardante il
sistema scolastico fu la Legge Casati, emanata da Vittorio Emanuele II il 3 novembre
1859 per il Piemonte e la Lombardia e che
nel 1861, dopo l’Unità d’Italia, venne estesa alle altre regioni.
Comune di Livorno,
Regolamento per le
Scuole Elementari
Comunali, 1892,
CLAS, Serie Raccolta
Statuti, regolamenti e
Concessioni, r. N° 770
Scuole in CLAS
Archivio Storico del Comune di Livorno
I N T E RV E N T I
di Ezio Papa
33
I N T E RV E N T I
Scuole in CLAS
Scuole Elementari,
Regolamento,
Prospetto Annuale
(“Pagella”),
CLAS, Serie Affari,
Fascicolo N° 122,
anno 1880
Costruzione edificio
scolastico “Giuseppe
Micheli”, Tavola
Progetto delle
Scuole Elementari
da costruirsi in Piazza
San Marco, Particolare
distribuzione banchi,
CLAS, Serie Affari,
Fascicolo N° 55 bis,
anno 1889, Tav. VI
34
La scuola elementare prevista dalla Legge
Casati aveva la durata di 4 anni, divisi in
un biennio inferiore ed uno superiore; le
scuole maschili erano distinte da quelle
femminili. Un altro contributo importante
per la scuola italiana venne dalla Legge
Coppino del 15 luglio 1877, che dettava
un insieme di norme per rendere effettivo
l’obbligo scolastico, come l’istituzione di
una sorta di anagrafe scolastica.
Nel 1904 venne approvata la Legge Orlando, che innalzava l’obbligo scolastico a
dodici anni e prevedeva, inoltre, una serie
di iniziative scolastiche relative agli adulti:
i corsi serali e festivi.
Altra legge importante per il mondo della
scuola fu la riforma Gentile del 1923: il suo
impianto rimase per lungo tempo fondamentale per la scuola italiana.
La documentazione della serie Istruzione
dell’Archivio Storico Comunale è costituita
prevalentemente da registri che riguardano l’attività storica delle direzione didattiche cittadine. La serie è composta da 275
registri in ottimo stato di conservazione,
che vanno dall’anno 1875 all’anno 1950;
il materiale è stato suddiviso in sei sottoserie. Ma, quando parliamo di istruzione e
assistenza ai fanciulli, non possiamo non
citare altri due fondi archivistici presenti
nel nostro archivio: la Fondazione “Case
Pie” e poi “Dal Borro” e l’Istituto Professionale e Casa di Riposo ”Giovanni Pascoli”.
La Fondazione nominata “Case Pie” venne
istituita nel 1682 per iniziativa del Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici con
lo scopo di accogliervi gratuitamente fanciulli poveri di entrambi i sessi.
A curarne la nascita fu il Marchese Marco
Alessandro Dal Borro, governatore civile e
militare della città di Livorno.
Ma è con l’inizio del Novecento e precisamente nel 1911, che il Ministero della Marina concesse alla sezione maschile delle
“Case Pie” imbarcazioni e istruttori per le
esercitazioni a remi e vela e gli allievi iniziarono ad indossare la divisa del marinaio
senza stellette e ad essere chiamati “i marinaretti”.
Nel 1958 la Fondazione dette vita ad un
Istituto denominato “Marco Alessandro
Dal Borro”, dove i ragazzi che frequentavano le scuole pubbliche potevano ricevere vitto, alloggio, educazione morale e
religiosa; la preferenza era accordata a co-
loro che frequentavano l’Istituto Nautico
“Alfredo Cappellini”.
Scuole in CLAS
I “Marinaretti”
sull’Albero
di manovra.
La foto testimonia
l’impegno formativo
rivolto ai giovani
ospiti dell’Istituto
Dal Borro, spesso
imbarcati come mozzi.
CLAS, Fondazione
Dal Borro, Atti,
r. n. 408 - 1868-1911
I N T E RV E N T I
Costruzione edificio
scolastico “Giuseppe
Micheli”, Tavola
Progetto delle
Scuole Elementari
da costruirsi in
Piazza San Marco,
CLAS, Serie Affari,
Fascicolo N° 55 bis,
anno 1889, Tav. II
35
I N T E RV E N T I
Invito posa prima
pietra Impianto
Scolastico
“Antonio Benci”,
CLAS, Serie Affari,
Fascicolo N° 55 bis,
anno 1889
Scuole in CLAS
36
Decreto Re
d’Italia Umberto I,
Concessione prestito
per la costruzione dell’
Edificio Scolastico
“Antonio Benci”,
CLAS, Serie Affari,
Fascicolo N° 47, anno
1893, Scuole “Benci”
L’Istituto venne chiuso il primo ottobre
1970; fino al 1999 il Comune ne mantenne una gestione commissariale. Il Fondo
aggregato Dal Borro conservato presso
l’Archivio Storico del Comune di Livorno
è costituito da 411 unità archivistiche che
vanno dall’anno 1682 all’anno 2001.
Passando, invece, ad esaminare il Fondo
dell’Istituto Pascoli dobbiamo dire che
nei primi anni dell’Ottocento la situazione
per le strade di Livorno era critica a causa
della presenza di un numero sempre crescente di mendicanti senza fissa dimora,
in buona parte bambini e ragazzi.
Alcuni cittadini sentirono quindi l’esigenza di presentare al Comune un progetto
per la costruzione di un ricovero, ma tale
progetto venne accantonato per vari motivi, primo tra i quali la mancanza di fondi.
Se ne riparlò nel 1841 e il Governatore
della città, Marchese Neri Corsini, propose
la costituzione di una Pia Casa di lavoro; i
lavori di costruzione iniziarono nel 1845,
ma, per sopravvenuti ritardi, l’edificio fu
inaugurato solo nel 1861.
Nel 1866 la “Famiglia” raggiunse i 500 ricoverati, compresi molti bambini dai 7 ai
12 anni, ai quali si voleva dare un’educazione morale e fisica con istruzione professionale.
Nel 1886 le Figlie della Carità della Case
Pie venivano richieste per l’assistenza agli
anziani e per l’educazione dei giovani.
Nel 1925 all’Istituto venne dato il nome
con cui lo abbiamo conosciuto, ovvero Istituto professionale e casa di riposo
“Giovanni Pascoli”.
L’Istituto ha svolto nel tempo il ruolo importantissimo di scuola professionale per
i giovani, ha formato artigiani qualificati
come falegnami, meccanici, tipografi e
ragazze specializzate in lavori di ricamo
e maglieria; i corsi elementari venivano
svolti all’interno dell’istituto.
Il Fondo Pascoli comprende 433 buste e
644 registri per un totale di 1077 unità,
tutte in ottimo stato di conservazione.
Dopo l’Unità d’Italia si dovevano fare gli
I N T E RV E N T I
Relazione Esercizio
della Refezione
Scolastica, 1904 - 1907,
CLAS, Serie Raccolta
Statuti, regolamenti e
Concessioni, r. N° 678
stiti con un tasso del 5%, di cui tuttavia il
2,50% a carico del Ministero della Pubblica Istruzione.
La posa della prima pietra della scuola
elementare Benci avvenne nell’agosto
L’imponente mole
della scuola
“Antonio Benci”
Scuole in CLAS
italiani ed uno dei primi problemi da affrontare per il nascente stato nazionale
fu la piaga dell’analfabetismo; con una
percentuale record del 74% di analfabeti
l’Italia ne deteneva il triste record.
Il Comune di Livorno sentì subito il problema impellente di dare delle scuole ai bambini livornesi e, già con una delibera del
1865 del Regio Delegato Straordinario, si
decise l’apertura di due scuole elementari
(una maschile ed una femminile) poste in
edifici privati e precisamente in via degli
Elisi 4, con una spesa annua per l’affitto
di lire 800, e in via San Carlo 43, con una
pigione annua di lire 720. Naturalmente,
si trattava di edifici già esistenti riadattati
all’uso scolastico, che non rispondevano
pienamente agli standard scolastici dell’epoca, ma erano meglio di niente.
L’importante era cominciare ad insegnare
ai bambini a leggere ed a scrivere.
Dobbiamo aspettare ancora un paio di
decenni per iniziare a pensare alla costruzione di due edifici adibiti esclusivamente all’uso scolastico: la scuola “Giuseppe
Micheli” e la scuola “Antonio Benci”, che
rimangono fra le scuole primarie più importanti della città.
La scuola “G. Micheli” venne inaugurata
nell’agosto 1889 alla presenza del ministro
della Pubblica Istruzione Paolo Boselli.
L’esigenza di una scuola ad hoc era molto
sentita nel popoloso quartiere di San Marco, in quanto la popolazione scolastica di
710 alunni negli anni ottanta dell’Ottocento trovava risposta nelle scuole situate
negli edifici privati posti in via Terrazzini,
via Castelli, via Pellettier e Torretta.
Tutto era partito con la delibera del 1° ottobre 1883, in cui si evidenziava l’intento
di raccogliere tutte queste scuole in un
unico edificio scolastico.
La spesa preventivata fu di 144.500 lire
tutte finanziate dalla Cassa Depositi e Pre-
37
I N T E RV E N T I
Scuole in CLAS
Registro Maschi
Scuola “Antonio Benci”,
Particolare Registro
Classe I C,
CLAS, Serie Istruzione,
Giornale di Classe
1929 - 1933
38
1889, in occasione dell’inaugurazione della scuola Micheli.
Anche per la scuola Benci si era creato un
dibattito: nell’adunanza del Consiglio Comunale del 3 ottobre 1888, il Sindaco Niccola Costella dimostrava come i locali di
proprietà privata ad uso scolastico fossero
disadatti ed incomodi e non rispondenti
sotto ogni rispetto ai bisogni dell’igiene e
ai dettami della scienza pedagogica. Il Con-
siglio Comunale approvava la proposta del
Sindaco Costella e decideva di procedere
alla costruzione di un grande edificio scolastico sull’area della piazza Carlo Poerio.
Di conseguenza autorizzava la Giunta Municipale a contrarre un prestito di favore
con la Cassa Depositi e Prestiti per la somma di lire 190.000 e deliberava, inoltre,
che al nuovo edificio fosse dato il nome
dell’illustre livornese Antonio Benci.
La scuola Benci venne inaugurata per l’anno scolastico 1893/1894.
Altra esigenza sentita profondamente
dall’Amministrazione comunale, oltre all’istruzione e alla scolarizzazione, fu quella
dell’assistenza agli alunni poveri che purtroppo erano, in quel periodo, la stragrande maggioranza.
Il Comune si mosse in loro favore iscrivendo nel suo bilancio un fondo per aiutare,
attraverso il Patronato scolastico, gli iscritti appartenenti a famiglie povere sia con
la refezione scolastica, sia con la distribuzione di indumenti, di libri di testo, quaderni, ecc.
La refezione doveva essere somministrata
in tutte le scuole elementari del Comune
sia urbane che suburbane, limitandola
ai soli alunni appartenenti a famiglie disagiate, preferendo coloro che, orfani o
abbandonati dai genitori, non potevano
ottenere dai parenti nessun aiuto.
Nella relazione sull’andamento della refezione scolastica dell’anno 1904 i membri
del Patronato lamentano quanto sia difficile scegliere fra chi ha più bisogno e così
scrivono:
Non possiamo certamente nascondere che
l’ideale della scuola elementare elevata a
funzione di Stato, dovrebbe essere quello
di procurare a tutti i piccoli frequentatori
un trattamento del tutto uguale, cosicché
il luogo che fornisce a tutti ugualmente il
pane dell’intelligenza, fornisse senza distin-
I N T E RV E N T I
Agli alunni veniva distribuita giornalmente un’abbondante razione di minestra e
125 gr. di pane, due volte la settimana la
minestra era di grasso e in quei giorni la
carne veniva distribuita agli scolari.
Nell’anno scolastico 1906/1907 le razioni distribuite furono circa 300.000, ma la
previsione delle 500.000 razioni si concretizzò a breve perché, su una popolazione
scolastica annua di 7000 alunni, circa 5000
avevano diritto alla refezione.
Il costo a razione era fissato a circa 11 centesimi, con un esborso per l’Amministrazione comunale di 60.000 lire circa.
“Lo Scolaro Labronico”,
15 giugno 1928,
CLAS, Serie Raccolta
Statuti, Regolamenti,
Concessioni, r. N° 495
Scuole in CLAS
zione veruna anche quello materiale che
l’altro integra e tien desto.
I membri del Consiglio Direttivo passarono
lunghe ore nelle scuole dove interrogando
bambini, bambine e maestri, ascoltarono
strazianti miserie, paurose storie di dolore.
Non poche furono le difficoltà incontrate ed
è ben difficile garantirsi dalle simulazioni
degli avidi o scovare chi della miseria accetta tutte le sofferenze senza rinunziare al
pudore e all’alterezza del carattere.
Si potrà quindi dubitare forse che in questo
difficile compito siamo riusciti pienamente nell’intento ma non ci è venuta meno la
buona volontà, e più facilmente sarà accaduto che abbia approfittato del beneficio
qualcuno che non lo meritasse del tutto,
anziché ne sia rimasto privo chi ne aveva
veramente bisogno.
Così scrivevano i membri del Patronato,
che, come tutti gli amministratori riformisti dell’epoca, erano pervasi da ideali
di uguaglianza e giustizia sociale mutuati
dal Risorgimento attraverso il pensiero di
Mazzini e Garibaldi o da istituzioni come
la Massoneria.
Ma dal punto di vista pratico la refezione scolastica funzionava così: era un pasto freddo composto da 125 gr. di pane
di prima qualità, 20 gr. di formaggio tipo
Olanda o Emmenthal, oppure mortadella
o salame; la razione veniva preparata in
una dispensa al Mercato Centrale e veniva distribuita alle scuole dai pompieri
municipali.
Le scuole periferiche di Quercianella, Antignano, Ardenza, Salviano e Colline avevano la refezione calda affidata però ad
accollatari esterni.
Solo alla scuola “Meyer” venne istituita la
refezione calda ad economia diretta, allestendo al terzo piano del fabbricato una
cucina, e la scuola fu provveduta di panche, tavole, sedie ed attrezzi per cucinare.
39
Progetto della
Scuola Elementare
“G. Micheli”
I N T E RV E N T I
Scuole in CLAS
40
Altro aspetto peculiare evidenziato dalla
documentazione dell’Archivio Storico Comunale è quello della composizione delle
classi scolastiche con i risultati degli scolari e gli abbandoni.
Il periodo forse più ricco di dati interessanti dal punto di vista statistico, e che
andrebbe analizzato più compiutamente, è sicuramente quello degli anni venti
e trenta del secolo scorso; in quegli anni
il tentativo da parte del regime fascista di
aumentare la scolarizzazione è notevole,
ma i problemi di fondo permangono: le
classi sono sovraffollate e rigidamente divise per sesso, la piaga degli abbandoni e
delle bocciature fra le gli alunni poveri è
fortissima.
Ho preso a campione due prime classi elementari, una maschile ed una femminile,
ed ho dedotto alcuni elementi molto interessanti, che non hanno valore di ricerca
statistica, ma danno l’idea del mondo della scuola in quel periodo.
Il primo campione è la classe prima sezione A maschile della scuola “G. Micheli”,
anno scolastico 1932/1933, maestra Teresa Becocci Vezzali, nata il 3 aprile 1873.
L’aula aveva una superficie di 72,70 metri quadri con una capienza di 66 posti,
gli iscritti risultano essere 67 di cui 13 di
condizione agiata, 3 di condizione semi
agiata e 51 poveri; nelle classi si iscrivono
bambini di diverse età e in quella prima vi
sono 57 alunni dai 6 ai 9 anni, 8 dai 9 agli
11 anni e 2 dagli 11 anni ai 14 anni.
Notiamo, quindi, un divario di età notevole fra bimbi, addirittura troviamo bambini
di 6 anni con altri che ne hanno 12 o 14.
I ripetenti sono 37 e i frequentanti al 1°
marzo sono solo 40; i promossi a giugno
saranno solo 28 su 31 scrutinati e 3 rimandati a settembre; ma il dato delle boccia-
I N T E RV E N T I
Le bambine sono 10 di condizione agiata,
9 semiagiata, 19 povere e una poverissima.
Delle 33 bambine ammesse allo scrutinio
risultano essere promosse in 25, 4 sono rimandate e 4 vengono bocciate; le 4 bambine non frequentanti sono di condizione
povera e risultano aver abbandonato per
malattia; le 4 bambine bocciate a giugno
sono tutte di condizione povera; 13 bambine erano assistite dal Patronato.
Come abbiamo visto, i problemi della
scuola e della società italiana nei primi 70
anni dell’Unità d’Italia erano gravi, ma miseria ed ignoranza, endemiche nel nostro
paese, pian piano hanno lasciato il posto
ad un graduale benessere, che ha preso
a correre dopo le rovine della seconda
guerra mondiale con il boom industriale.
Di pari passo allo sviluppo economico si è
avuta una forte spinta alla scolarizzazione
a tutti i livelli, accrescendo la cultura e il
sapere dei cittadini.
Occorre fare sempre di più, per far sì che
la scuola italiana venga messa nella condizione di formare dei cittadini preparati
ad affrontare il mondo del lavoro e le sfide che la vita ci riserva e per contribuire,
soprattutto, a migliorare l’uomo e, attraverso questo cambiamento, migliorare il
mondo intero.
Facciata
del progetto della
Scuola Elementare
“G. Micheli”
Scuole in CLAS
ture non deve ingannare: in realtà, su 67
iscritti 16 non iniziano l’anno per vari motivi, 5 bambini lasciano la scuola per motivi familiari, 13 si ammalano e un bambino
viene avviato al mestiere avendo compiuto 12 anni. Altro dato importante da sottolineare è quello della composizione sociale dei promossi: infatti gli alunni agiati
promossi sono 11 su 13, dei semiagiati 1
su 3 e dei poveri risultano essere promossi
solo 16 su 51.
I poveri, comunque, risultano essere assistiti dal sempre presente Patronato scolastico. Le materie insegnate, oltre la condotta, sono ginnastica e giuochi, igiene
e pulizia della persona, religione, lettura
ed esercizi scritti, aritmetica e contabilità
scritta e orale, nozioni varie. L’inizio delle
lezioni avviene il 10 ottobre 1932 e la fine
il giorno 24 giugno del 1933, per un totale
di 188 giorni di lezione.
Nel secondo campione ho analizzato la
prima classe sezione unica della scuola
elementare femminile “Benedetto Brin”: la
maestra era la signora Ada Gatti Batacchi,
nata il 10 aprile 1878. I posti in classe erano 34 e la superficie della classe era di 48
metri quadri; le iscritte 39, dai 6 ai 9 anni
37, le alunne ripetenti solo 8 e le frequentanti al 1° marzo 37.
41
I N T E RV E N T I
Luciano De Majo
42
I N T E RV E N T I
Ricordo di Luciano De Majo
Luciano De Majo
C’erano proprio tutti il 20 febbraio alla cerimonia di intitolazione della Sala Pre-Consiliare
del Palazzo Comunale di Livorno in ricordo di Luciano De Majo, giovane giornalista, nel
primo anniversario della sua prematura scomparsa. Nella sala del Consiglio c’era tutta la
sua città: la famiglia, le massime autorità civili, militari e religiose, direttori responsabili di
giornali presso cui Luciano ha lavorato, colleghi giornalisti, emittenti radio e televisive, rappresentanti dell’ARCI, del Centro per la pace, i politici, i sindacalisti, gli amici, tanti. Lacrime
silenziose sul volto di molti.
Anche lui era presente, sembrava di vederlo, là, seduto in mezzo ai suoi colleghi, pronto a
stendere con la sensibilità e la bravura di sempre la cronaca dell’iniziativa.
Con rispettosa attenzione sono stati ascoltati gli interventi del Presidente del Consiglio Comunale, Enrico Bianchi, medico di Luciano e della sua famiglia, del collega Francesco Gazzetti di Granducato TV, che ha promosso l’iniziativa della richiesta di intitolazione della sala,
del Direttore de “Il Tirreno”, Roberto Bernabò e del Sindaco Alessandro Cosimi.
Al termine, un lungo applauso ha salutato lo scoprimento della targa di intitolazione della
Sala Pre-Consiliare. Quando le porte si sono aperte, sembrava che quella sala, dove Luciano
era venuto più volte per partecipare a conferenze stampa ed incontri, fosse nuova, brillasse
di una luce diversa.
Silenziosamente tutti hanno preso la brochure edita dal Comune in sua memoria e il volume pubblicato da “Il Tirreno”, stringendoli come preziosi ricordi.
Ancora una volta Luciano, uomo di cuore, bravo giornalista, mai asservito, ha parlato alla
sua città e la sua città gli ha offerto un nuovo abbraccio.
La Sala Luciano
De Majo
43
Cerimonia di intitolazione della
Sala Pre-Consiliare a Luciano De Majo
20 febbraio 2012
Interventi
I N T E RV E N T I
Luciano De Majo
44
Enrico Bianchi, Presidente del Consiglio Comunale
20 febbraio 2012.
La sala del Consiglio
Comunale durante
la cerimonia di
intitolazione della
Sala Pre-Consiliare
a Luciano De Majo
Buongiorno a tutti.
Devo dire che sono molto in difficoltà,
parlo dal punto di vista emotivo, naturalmente. Mentre ricordo Luciano salgono le
emozioni e rendono difficile il parlare, ma
cercherò di fare del mio meglio.
È ormai passato un anno da quando Luciano ci ha lasciati. Il tempo è “volato”.
Lo conoscevo praticamente dalla nascita:
la sua famiglia, i suoi genitori sono miei
pazienti da 35 anni.
Posso dire di essere invecchiato con loro.
Ho visto crescere Luciano, l’ho visto studiare, iniziare la sua brillante carriera professionale, sposarsi.
Purtroppo ho vissuto anche da medico,
oltre che da amico, la terribile malattia
che in brevissimo tempo l’ha portato via.
nominato “Bartali”, perché a suo avviso era
“tutto sbagliato”, era “tutto da rifare”. Purtroppo Luciano non ha avuto la possibilità
di poter rifare “le cose” così come avrebbe
voluto e a noi che siamo rimasti spetta
solo il dovere morale di ricordarlo nel suo
appassionato impegno civile, nelle sue
idee, spesso controcorrente, nella sua etica, nella sua infinita disponibilità sociale.
Un abbraccio a Ivana, Roberto, Valeria ed
ai suoi stupendi figli Alessandro e Teresina.
Francesco Gazzetti, Giornalista Granducato TV
Caro Luciano,
sì lo so, lo so che stai pensando “Ma cosa vi
siete messi a fare”.
Lo so che ci diresti “Andate a lavorare”, ma
ci devi scusare, non potevamo proprio
fare niente di diverso da quello che abbiamo fatto.
Lo vedi quanti siamo.
Guarda chi c’è. Ci sono gli amici ed i colleghi di sempre e quelli che si sono aggiunti
cammin facendo, quelli con cui hai iniziato la tua splendida avventura da giornalista e quelli che magari hanno iniziato a
fare questo mestiere leggendo proprio
uno dei tuoi articoli o ascoltando una tua
radiocronaca.
Per tutti noi ricordarti è tanto facile quanto è impossibile dimenticarti, ma ci siamo
chiesti come potevamo far sì che quelli che
verranno nei prossimi anni, quelli che faranno il tuo, il nostro mestiere in futuro, potessero avere, in parte, la stessa nostra fortuna.
Quella targa, la targa che tra poco scopriremo, vuol servire proprio a questo: suscitare
e solleticare la curiosità di qualche giovane
collega che verrà e che passando accanto a
quella targa, a quella sala, si chiederà: “Ma
chi era questo Luciano De Majo?!”.
Noi non aspettiamo altro, siamo tutti
pronti, pronti a fare la nostra parte.
I N T E RV E N T I
1995. De Majo
intervistato da un
giornalista di una TV
locale a Capaci
Luciano De Majo
L’obiettivo che ogni medico si prefigge è
quello di migliorare la qualità e la durata
della vita dei pazienti, ma quando questo
non accade, soprattutto se si tratta di una
giovane vita, il senso di impotenza che ci
assale è grande e non ci si rassegna: nel
caso di Luciano, poi, il peso è per me insopportabile. Emotivamente sono stato e
sono molto vicino alla sua famiglia, anche
perché mia madre è mancata alla stessa
età di Luciano e so bene, per esperienza
personale, quale sia il senso di vuoto, di
desolazione, di disorientamento che si
prova quando vengono meno le figure
importanti della famiglia.
Per come l’ho conosciuto io, Luciano era
lontanissimo per carattere da ogni forma
di ridondanza, di retorica, di ampollosità:
era una persona semplice, schiva, rigorosa
con stessa e con gli altri, che non badava
alla forma, ma alla sostanza.
Di lui ricordo le conversazioni su temi sociali e politici per le quali lo avevo sopran-
45
1996.
Ad Effetto Solidarietà
con Marco Filippi
e Marco Solimano
I N T E RV E N T I
Luciano De Majo
46
Cosa racconteremo di te? Da cosa inizieremo? Impossibile dirlo, ognuno di noi porta dentro di sé cento e più ricordi.
Potremmo raccontare di quando di fronte
a qualche manifestante che ti accusava di
essere il solito giornalista al soldo di qualche potere più o meno forte tu, con calma,
mettevi la mano dentro al colletto della
camicia e tiravi fuori quella medaglietta
che portavi sempre con te, quella con la
falce ed il martello, per intenderci. Un simbolo identitario che ti serviva a mettere in
chiaro, subito, con chi questi manifestanti
avevano a che fare: per la cronaca i manifestanti scoprivano sempre di essere meno
a sinistra di te e di avere posizioni di gran
lunga più moderate delle tue. Eppure, e
questo la racconteremo con grande orgoglio, i tuoi valori, le tue convinzioni, le tue
passioni, non ti hanno mai impedito di
ascoltare tutti con la stessa attenzione, scrivendo sempre con imparzialità e correttezza, riuscendo, proprio per questo, ad essere
rispettato sia da destra che da sinistra.
Potremmo, ad esempio, raccontare di
quanto tu fossi bravo sia che tu dovessi
scrivere o raccontare di sport, politica, economia, cronaca bianca, nera o giudiziaria,
settori di cui ti eri occupato conquistando, anche in questo caso, stima e rispetto,
anche da parte dei vertici delle Istituzioni,
delle forze dell’ordine, della magistratura.
Le stesse persone che quando tu eri ricoverato in ospedale ti vennero a fare visita:
una lunga serie di autorità che portarono
un tuo vicino di letto a chiederti, tra lo
stupito ed il preoccupato “Bimbo, o bene
bene o male male, ma mi dici chi sei?”.
Oppure potremmo anche commuoverci
descrivendo con quale umanità e lucidità
raccontasti storie drammatiche e terribili
come la morte dei quattro bambini rom
nel rogo di Pian di Rota o la tragedia del
Moby Prince. In entrambi i casi il tuo fu un
lavoro giornalistico di valore assoluto che
assumeva un alto valore civile e morale.
Basti ricordare, parlando del Moby Prince,
come Loris Rispoli, il presidente del Comitato Moby 140, volle leggere un tuo articolo durante la prima commemorazione della tragedia svoltasi dopo la tua scomparsa.
Questi sono soltanto tre esempi, ma ognuno di noi potrebbe continuare all’infinito,
scoprendo come la memoria del singolo si
intrecci con la memoria degli altri e che ciascuno di questi tasselli rafforzi e costituisca
la memoria condivisa di una comunità, una
comunità che tu hai amato moltissimo, senza mai chiedere niente in cambio.
È per questo che abbiamo deciso, tutti
insieme, di avanzare la richiesta di questa
intitolazione, una richiesta che il Sindaco
Alessandro Cosimi ha appoggiato subito con forza, facendola immediatamente
sua. E di questo non possiamo che ringraziarlo con tutto il cuore.
In questa sala siamo in molti, tanti ce
l’hanno fatta ed essere qua, altri sono in
giro per lavoro, ma sono idealmente ed
ugualmente con noi: e mi sembra questa
l’occasione giusta per indirizzare un saluto
ed un abbraccio fortissimo ad una bravissima collega che vogliamo vedere al più
presto nuovamente tra noi, parlo di Paola
Nappi. Forza Paola, siamo con te.
I N T E RV E N T I
esempio sfavillante di come si possa e si
debba fare questo mestiere. Per molti, infatti, continui a indicare una via per interpretare questa professione tanto appassionante quanto complicata. La via che
hai praticato, le scelte che hai fatto ci raccontano di come tu abbia sempre evitato
le facili scorciatoie, imboccando spesso,
per dirla con De Andrè, in direzione ostinata e contraria le strade del lavorare sodo,
con coscienza, scrupolo ed onestà.
Ai bivi che giornalmente ci troviamo di
fronte, il tuo ricordo ci suggerisce di scartare la via più comoda, scegliendo invece quella meno semplice, la più faticosa,
perché la verità sta proprio là, in cima a
quella salita che tu non avevi timore di
affrontare.
E ci piace pensare che in cima a quella salita, quella del lavoro fatto come si deve,
tu sia lì che ci aspetti, magari con quel
sorriso sornione di chi ha capito tutto un
attimo prima di te e che comunque, come
sempre, è pronto ad aiutarti, spiegandoti,
per l’ennesima volta, tutto daccapo.
Luciano ti vogliamo, ti voglio bene e non
ti dimenticheremo, mai.
Luciano De Majo
Parlavamo della richiesta di intitolazione,
le cui prime tre firme sono state quelle del
direttore de “Il Tirreno” Roberto Bernabò,
dell’amministratore delegato di Granducato Tv Fabio Daddi e del già direttore de
“La Nazione” Giuseppe Mascambruno, e
della volontà di ricordare Luciano.
Potevamo fare di più? Parlo di me. La risposta è che dobbiamo fare di più. Questa
giornata deve essere solo l’inizio di un cammino che, speriamo, ci porti a creare ancora
altre occasioni di ricordo e di riflessione sulla tua opera e la tua figura. Proveremo a farlo come abbiamo fatto sino ad ora, d’intesa
con la tua splendida famiglia a cui va tutto
il nostro affetto più vero e fraterno, rispettosi della loro volontà e pronti ad offrire, se
lo vorranno, sostegno e collaborazione per
progetti, iniziative e manifestazioni.
Mentre scrivo le ultime righe di questa lettera un pensiero si fa largo, anzi si tratta di
un domanda: ma tu eri veramente o no il
migliore tra tutti noi?
La risposta è no. Tu, infatti, non eri, ma sei
il migliore.
A distanza di dodici mesi da quando ci hai
lasciato tu continui a rappresentare un
2003. A Roma
ad una manifestazione
per la pace
47
Roberto Bernabò, Direttore de “Il Tirreno”
I N T E RV E N T I
Luciano De Majo
48
L’intervento di
Roberto Bernabò,
direttore de “Il Tirreno”;
ai suoi lati, da sinistra,
il Presidente Bianchi,
il Sindaco Cosimi e il
giornalista Gazzetti
Stamani ho commesso un peccato di presunzione. Sono venuto a questa cerimonia senza scrivermi niente, pensando di
essere in grado di parlare tranquillamente. Poi sono arrivato, ho visto il pieghevole
del Comune che ricorda Luciano con tutte
quelle foto da ragazzino cronista e l’emozione ha preso il sopravvento. Per fortuna
Francesco [Gazzetti] lo ha già ben ricordato e quindi mi rende tutto un po’ più facile.
Voglio intanto ringraziare il Sindaco e il
Presidente del Consiglio comunale per
aver accettato la richiesta dei giornalisti
livornesi di dedicare la sala preconsiliare
a Luciano. Devo dire che quando l’idea si
fece strada tra i colleghi, non mi convinse
immediatamente: dedicare a un cronista
una sala di un luogo che è il simbolo del
Potere mi suonava un po’ in contraddizione con l’essenza del giornalismo, che
del Potere deve essere un controllore, un
“avversario”, che deve avere dentro di sé
rispetto, ma anche sempre un po’ di spiri-
to sovversivo. Poi riflettendo ho giudicato
che, al di là delle semplificazioni giornalistiche, dovessimo considerare questo
palazzo piuttosto come la Casa comunale, cioè la casa condivisa di una comunità. Quando anche i Palazzi della politica,
come in questo momento storico, fanno
una grande fatica a interpretare i sentimenti, i desideri, le volontà delle comunità, il municipio è sempre il luogo dove
una democrazia è rappresentata, dove i
cittadini si esprimono attraverso gli uomini che hanno scelto per governarli. È dunque la Casa comune, la Casa di una città,
la Casa dove tutte le espressioni di una
realtà sociale trovano voce, accoglienza,
rappresentanza. In questo senso interpreta così perfettamente ciò che era e ciò che
ha fatto Luciano.
Questo senso di comunità è riconfermato
- lo diceva prima Gazzetti - anche dal fatto
inconsueto che siano tutti i giornalisti di
una città, senza differenza di appartenen-
I N T E RV E N T I
vile. Luciano questo lo sapeva benissimo
e lo esprimeva in un intreccio di comportamenti: sapendo che bisogna sempre e
comunque raccontare tutta la verità, che
vanno rispettate le regole deontologiche
di una professione ad alta responsabilità,
che occorre avere sempre e comunque rispetto delle persone.
Sono questi tre elementi messi insieme
che hanno segnato tutto il suo percorso e
che oggi a noi mancano tantissimo.
Quella scrivania in redazione è lì ancora
vuota, nessuno ha avuto il coraggio di sedersi; è passato un anno, ma quel posto testimonia ogni giorno il vuoto che Luciano
ha lasciato e che noi cerchiamo di riempire
quotidianamente: non più con un compagno di viaggio, ma con quello straordinario bagaglio di conoscenze e di relazioni
di comunità che lui aveva. Anche se da
pochi anni era al Tirreno, Luciano era un
punto di riferimento della cronaca, perché
il suo aver iniziato da ragazzo a fare il giornalista gli aveva fatto attraversare questa
città in lungo e in largo, dal basket alle
cantine, dalla politica alla cronaca giudiziaria. Aveva un’agenda sterminata, mi ha
sempre colpito, di numeri telefonici. Ma
non erano solo numeri: di ognuno sapeva
sempre chi era, padre, madre; era quasi un
“super poliziotto”, mi vien da dire, nel senso che conosceva la realtà che sta dietro a
una persona, a un luogo, a un avvenimento. Ogni vicenda aveva la grande capacità
di leggerla nella sua evoluzione, dei fatti
e nelle persone che c’erano dentro. Perciò
per la comunità de “Il Tirreno” non avere
oggi Luciano in mezzo a noi è una grande
mancanza alla quale tutti i colleghi, i suoi
colleghi, “compagni di banco” ogni giorno
cercano di supplire, testimoniando altrettanto attaccamento al lavoro.
Il lavoro di Luciano abbiamo voluto sintetizzarlo in un piccolo volume in distribu-
Luciano De Majo
za a questa o quella testata, a chiedere
questa intitolazione, a volere ricordare in
un luogo simbolico un collega scomparso
troppo presto.
Luciano aveva attraversato un po’ tutte
le esperienze professionali di Livorno,
la radio, i siti internet, i giornali e quindi
è stato trasversale a tutti, anche se noi,
chiaramente, lo sentiamo come il nostro
Luciano, come il Luciano de “Il Tirreno”,
il giornale di questa città che ha rappresentato un pezzo importantissimo del
cammino professionale. Ma il fatto che sia
stato poi Francesco Gazzetti di Granducato insieme agli altri, all’ex direttore de “La
Nazione” Mascambruno, a firmare questa petizione, dà l’idea proprio di quanto
avesse seminato senza steccati dentro
tutta la comunità.
In questa doppia accezione di comunità,
Luciano è giusto sia ricordato qui come
simbolo di tanti che cercano ogni giorno
di fare al meglio il loro lavoro, raccontando la città nei suoi pregi, nei suoi difetti,
nei suoi limiti, e facendolo proprio con i
loro pregi, i loro difetti, i loro limiti. Ma con
una fondamentale onestà.
Luciano non si sentiva il migliore di noi.
Sapeva bene quali fossero i suoi limiti e
quali fossero anche i suoi pregi, ovviamente. Ma aveva qualcosa d’importantissimo che credo sia l’elemento che più
rimane a tutti noi: nutriva il suo lavoro di
una grande passione, di una grande passione civile, quella che dovrebbe avere
chiunque fa questo mestiere. È una professione che tiene tanto tempo impegnati, che richiede sacrifici, lontananza dalla
famiglia, come accadeva a lui dalla moglie e dai figli, però è un fuoco che ti brucia dentro se pensi davvero di fare qualcosa di socialmente importante. Devi sapere
che non stai facendo semplicemente un
lavoro, perché quel lavoro ha un valore ci-
49
I N T E RV E N T I
zione oggi e che sarà poi in tutte le biblioteche della città, perché rappresenti, in
pillole, una testimonianza del suo lavoro
che chiunque potrà rileggere un domani.
Mauro Zucchelli, prezioso collega della redazione, legato a Luciano da un’amicizia
forse più profonda di tutti perché veniva
da lontano, da un cammino comune, ha
fatto questo lavoro di ricerca e lo ringrazio
a nome di tutto il giornale.
In questa pubblicazione c’è dentro un
pezzo del percorso professionale di Lu-
ciano, dei suoi ultimi anni al Tirreno. È una
testimonianza per la comunità ed è una
testimonianza anche per noi, per ognuno
di noi che ne ha avuto una copia sulla scrivania. Rappresenta un modo di ricordare
l’amico che ci manca, le sue battute, il sorriso sornione, le discussioni di calcio o di
politica, e, soprattutto, il suo modo di fare
questa professione. Con quella passione
umana e civile profonda con pochi eguali.
E che ci costringe a mettere in gioco ancora un po’ di più di noi stessi.
Alessandro Cosimi, Sindaco di Livorno
Il Sindaco
Alessandro Cosimi
ricorda Luciano
De Majo
Luciano De Majo
50
Quando mi è stato proposto di intitolare
una sala del Palazzo Comunale alla memoria di Luciano De Majo non solo ho
pensato che fosse giusto, ma che fosse
anche giusto interrompere una tradizione, che era quella per cui nella Sede non
vi fosse nessuna intitolazione. Ho pensato inoltre che fosse un elemento non solo
del ricordo, ma anche della permanenza
di Luciano.
Per lui il Consiglio Comunale era un elemento dentro il quale nuotava come un
I N T E RV E N T I
di relazione, per aver fatto dei percorsi nel
lavoro che gli avevano consentito di “conoscere”, ma la fatica e la voglia di andare a trovare su un tema un elemento che
fosse capace di potergli fare scrivere una
cosa che aveva una sua fondatezza reale
e costruire su questo non un articolo, ma
un’opinione, una modalità, un percorso.
Questo è stato sempre quello che ha caratterizzato proprio il suo impegno civile.
Si ricorda inoltre una persona a cui si vuole bene: sono convinto che l’intitolazione
della sala preconsiliare a Luciano De Majo
va bene, ma dovremmo fare anche altre
cose per mantenerne vivo il ricordo. Oggi
possiamo ricordare quello che vogliamo,
ma l’ingiustizia di una morte a quarant’anni è la cosa sostanziale. E questo dato toglie uno spazio su cui è inutile dissertare,
ci sono gli elementi della parte pubblica,
e poi quelli del privato. Possiamo fare cosa
vogliamo, ma alla sua famiglia non sarà
possibile ricostruire alcunché.
Quello che facciamo è un elemento di
giustizia perché non sia che, in futuro,
un ragazzo che ha dato tanto a questa
comunità possa passare sotto silenzio, e
lo facciamo perché pensiamo che oggettivamente - e forse lui si sarebbe anche
arrabbiato - non è un esempio, ma è una
modalità che rimane dentro la comunità
dei giornalisti, dentro la modalità della
politica, dentro la città, perché queste sue
caratteristiche sono quelle che lo hanno
fatto amare da tutti.
Quando parlo di Luciano De Majo non
sono capace di articolare un pensiero migliore perché trovo l’ingiustizia in questa
morte e perché trovo questa questione un
privare la città di un ragazzo che avrebbe
potuto dare veramente tanto. E quando si
parla di queste cose bisogna stare attenti,
perché si rischia di parlare di sé o del rapporto che avevi con l’altro.
Luciano De Majo
pesce nell’acquario. Viveva i rapporti con
i gruppi consiliari, aveva una sua modalità
di rapportarsi che era la somma di tutte
le informazioni che riusciva a trovare. In
Consiglio veniva a partecipare perché credo che il lavoro di Luciano De Majo era, sì,
quello del cronista, ma che era generato
da una grande passione civile, il lavoro
di una persona che stava dentro le cose
per vedere in quale maniera si potesse
costruire un modo per farle sviluppare e
dare un frutto positivo.
Oggi gli intitoliamo la sala preconsiliare e
lo ricorderemo non solo come una persona che ci manca, ma come una persona
che è tra noi. Lo facciamo sapendo che
tante delle esperienze che abbiamo fatto
insieme a lui sono di altissimo livello, fatte
con una passione e una volontà di costruire che era, per Luciano, l’elemento di conduzione del rapporto con gli altri.
Mi viene in mente la qualità delle “litigate”
furibonde che Luciano era capace di fare
quando era convinto di avere ragione e
la voglia di far pace quando pensava che
stare insieme significasse costruire qualcosa per il futuro. Credo fra le altre cose
che la sua mancanza assoluta di arroganza derivasse dal fatto che voleva bene alla
gente. Quando pensava che ci fosse un
tema che andasse affrontato senza peli
sulla lingua, lo faceva, e non perché era il
suo mestiere, ma perché era la sua indole
portando però sempre un rispetto fondamentale verso le persone che stavano
insieme a lui. Sotto questo aspetto l’intitolazione della sala a Luciano è un modo per
sentirlo vicino.
Sottolineo, inoltre, che l’intitolazione della sala sia un riferimento oggettivo. Vorrei
ricordare la fatica, che è passata anche di
moda, la fatica di conoscere le cose, per
avere rapporti. Luciano aveva alcune entrature oggettive, di affetto, di modalità
51
I N T E RV E N T I
2003. Intervista a Rita
Levi Montalcini
Luciano De Majo
Luciano ha fatto delle cose in questa città che sono incredibili per la loro naturalezza: questo proprio perché voleva bene
alla gente. Anche lo scontro talvolta sulla
valutazione di alcuni temi, alcune discussioni che poi riconducevano ad un punto:
i suoi articoli erano sempre una traccia su
un agire per qualcosa di concreto, non
erano mai esercizi di bella scrittura e di
questo non solo voglio dare atto, ma voglio dire che è stato il motivo per cui gli ho
voluto veramente bene.
Luciano De Majo non faceva mai nulla gratis e pagava tutto, non faceva mai
una cosa che fosse per sé, ma costruiva
un punto di riflessione. Proprio su questo
molte volte abbiamo discusso, ma l’affetto era profondissimo, proprio perché
aveva questa capacità: dava un tratto di
profondità alla riflessione, in un mondo
così superficiale e spesso di affabulazione
senza senso.
Credo che Luciano non solo ci mancherà
per questo, ma ci mancherà per quello
che avrebbe potuto costruire in futuro.
Non so cosa faremo di oltre, però qualcosa
lo faremo di sicuro, perché lo dobbiamo
alla sua famiglia e lo dobbiamo al fatto
che lo abbiamo perduto in un momento
in cui avrebbe potuto dare moltissimo a
questa città. Credo dunque che l’intitolazione della sala a Luciano De Majo sia un
modo per farlo stare qui accanto a noi e
sentirlo parte anche dei progetti che costruiremo in futuro.
Luciano De Majo, nato a Livorno il 29 ottobre 1970, si è distinto nella professione di giornalista, condotta sempre con
serietà, correttezza e rigore morale, senza venir meno però
allo spirito critico che lo caratterizzava. Di grande sensibilità
verso il problema della pace ed il mondo dei più deboli, ha
militato nei movimenti per la pace e la libertà e nell’ARCI.
È stato iscritto all’ANPI. Ha sempre dimostrato interesse per
le questioni ambientali, tanto da far parte della redazione di
Eco-Comunica per l’ambiente ed essere direttore responsabile di Greenreport.
Padre di due bambini, Alessandro e Teresina, ci ha lasciati in meno di tre mesi,
per il cancro, a soli 40 anni, il 20 febbraio 2011.
52
Ricordi
Professionalità e umanità erano in lui caratteristiche inscindibili, lui per primo non
poteva pensare l’una senza l’altra. Forse
anche per questo intorno a questa proposta si sono trovati tanti suoi colleghi di provenienza diversa. A tutti loro va la nostra
gratitudine, con l’auspicio che il ricordo di
Luciano possa spingere qualche giovane
sulla strada di una professione che sia anche e soprattutto servizio alla comunità.
È da poco più di un anno che Luciano De
Majo manca da questi uffici, da questi corridoi, da quest’aula: è stato cronista fino
all’ultimo e da cronista per migliaia di volte
ha salito le scale di Palazzo civico; dentro
il Palazzo ma senza rimanerne prigioniero.
Lo si deve alla sua preparazione professionale, alla scelta etica di stare con la schiena
dritta, alla curiosità di raccontare le storie, all’intelligenza umana di capire dove
si gioca l’esistenza vera delle persone. Ma
lo si deve anche a un aspetto singolare: al
suo percorso professionale e umano fra le
differenti testate e i differenti media.
È assai raro, soprattutto in una città di provincia, che il curriculum di un giornalista
non sia all’interno di uno o due organi
di informazione e, a dispetto di tutte le
enunciazioni, resta ancora una distinzione
non lieve fra stampa quotidiana, periodici,
tv, radio e web.
Non è accaduto così a Luciano: ha scritto giovanissimo - appena quindicenne e
studente liceale - per la redazione della
Nazione; la sua voce l’hanno conosciuta
gli ascoltatori di Radio Flash nei giornali radio così come nelle radiocronache di
basket; ha lavorato per il Telegrafo, per
l’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) e per la
costola toscana dell’Unità (Mattina) sia
guidando l’équipe di Livorno sia operando al desk di Firenze; è stato al timone di
una testata-novità nell’informazione ambientale via internet com’è Greenreport
e, dopo un periodo all’ufficio stampa del
Cantiere formato cooperativa, prima ancora a quello del Comune di Collesalvetti,
è diventato cronista al Tirreno.
Non basta: ha fatto saltare i tradizionali
steccati operativi fra cronaca nera, politica,
sport, sociale, giudiziaria e istituzionale.
Dietro tutto questo c’era la curiosità di
andare a cercare qualcosa che meritasse
di essere raccontato: per rendere il nostro
mondo meno ingiusto e più umano. Cominciando da se stessi: perché se un altro
mondo è possibile, anzi necessario, è dal
proprio “io” e dal proprio “noi” che Luciano
ci ha insegnato a costruirlo.
La famiglia
Mauro Zucchelli
Luciano De Majo
La famiglia di Luciano De Majo desidera in
questa occasione ringraziare la città che in
questo anno non ha mai fatto mancare il
suo affetto e, in particolare, i colleghi giornalisti, coloro che hanno promosso e sostenuto l’intitolazione a Luciano della sala
preconsiliare nonché l’Amministrazione
Comunale che questa proposta ha approvato e fatto propria. È un riconoscimento
prima di tutto alla sua professionalità, ma
anche alla sua umanità.
I N T E RV E N T I
Proponiamo le testimonianze di famiglia e amici pubblicate nella brochure che il Comune di Livorno ha dedicato a Luciano De Majo in occasione del primo anniversario della sua scomparsa.
53
I N T E RV E N T I
Solidarietà, diritti, riduzione del danno, pace, immigrazione, profughi, nel 1991, quando
conobbi Luciano De Majo ed aprimmo il Centro per la Pace, erano parole nuove, che circolavano raramente fra i tavoli di una redazione e nelle feste di partito. Luciano sosteneva che la carica di novità di queste parole si deve accompagnare almeno al sorgere di un
dubbio, che vale prima di tutto, per gli operatori dell’informazione, per coloro che ogni
giorno scrivono su un giornale o parlano dai microfoni di una radio o di una televisione.
Riflettere su queste parole non è solo necessario ma addirittura doveroso, perché è “lui”,
il disagio che ci sta dietro, che viene a cercarti, ora nell’amaro sorriso di una ragazza, ora
nella rabbia mai sfogata di un giovane. “Dar loro voce, non è un atto di carità, ma un’esigenza che parte da un diritto”. Queste convinzioni di Luciano De Majo, amico, giornalista
e pacifista, sono impresse nella mente di tutti noi.
Alfio Baldi
Coordinamento Centro della Pace “E. Balducci” - Livorno
Sono tanti i pensieri ed i ricordi che Luciano mi sollecita. Fra i più emozionanti la prima
Festa dell’Unità vissuta e costruita insieme a Capaci, terra di mafia, ma anche luogo
simbolo della riscossa dell’antimafia civile e sociale. Era il 1995.
Quattordici giorni vissuti con intensità, passione, stupore, paura, ma anche divertimento. Dividevamo la casa ed il lavoro, discussioni e giochi ed una amicizia, una stima, un
rispetto reciproco che da quei giorni sarebbe diventato una costante della nostra vita.
Luciano De Majo
Marco Solimano
ARCI Livorno
A Luciano
Prendere il volo, così, di domenica, d’inverno.
Con il cielo lacrimoso, e l’aria impregnata della tua città e le mimose già in fiore caduco.
Sono certo della tua fatica ultima che il sorriso beffardo lasciava.
E al sole del giorno dopo, lo spavento s’è fatto quiete.
E vuoto. E stordimento…
Valerio Caramassi
Fondatore di “Greenreport”
Nello sport ha guardato sì solo il gesto atletico o la performance da primato, ma
sapendo coglierne la dimensione sociale: la passione di una collettività, che si
tratti dei giocatori in campo o dei tifosi sugli spalti.
Gino Calderini*
Presidente provinciale CONI
54
*
Il 6 aprile 2012 Gino Calderini ci ha lasciati. La redazione lo ricorda attraverso le parole del Sindaco,
Alessandro Cosimi: “È stato un punto di riferimento morale per tutta la città. Era una persona amatissima dai livornesi per la sua semplicità, la sua storia, la sua integrità umana”.
Il nuovo CN on line
CN on line
Grafica accattivante, tanti
articoli nuovi ogni settimana dedicati al panorama
culturale cittadino e uno
spazio per foto e video: è CN
on line, il nuovo magazine
culturale del Comune di
Livorno, sul web da pochi
mesi, da condividere anche
sui social network.
Supplemento multimediale
della rivista “CN - Comune
Notizie”, edita dal Comune
dal 1991, CN on line propone
ai lettori una vasta gamma di
articoli di arte, cultura, costume, società, musica, spettacolo, scienza, sport, ecc. Tutti
rigorosamente legati alla
città, per raccontare Livorno
com’era e com’è oggi, con le
sue iniziative, i suoi personaggi, i suoi luoghi, le sue storie,
la sua cucina, e dar voce a
quel fervore culturale che da
sempre la caratterizza.
Un vero e proprio contenitore in progress, realizzato con
il contributo dei lettori,
che possono pubblicare i
loro interventi, inviando il
materiale alla redazione:
[email protected]
I N T E RV E N T I
www.comune.livorno.it/cnonline
55
I NOMI PER LA LIBERTA’
Il contributo della città di Livorno alla Resistenza e alla Liberazione
Partigiani feriti:
Ilio Baldi, Dino Franchi, Renzo Giacomelli, Francesco Lotti, Sario Novelli,
Astro Novi, Renzo Pellicci, Dismo Praticelli, Idaco Pratesi, Arturo Quaglierini.
Agenti di Pubblica Sicurezza, collaboratori
del Distaccamento, arrestati e fucilati dai
tedeschi a Ceretelle e Nugola Vecchia e riconosciuti partigiani, insigniti di medaglia
d’oro dal Comando delle Brigate Garibaldi:
sottotenente Vittorio Labate; vice-brigadiere Nicola Bucci; agenti ausiliari: Orlando Marinai, Washington Copernico;
agenti: Francesco Citro, Giovanni Cannata, Rolando Tomietto, Umberto Petrucchi.
Prigionieri polacchi e russi addetti ai Servizi ausiliari tedeschi che, fuggendo, si
unirono al Distaccamento, ma essendo
stranieri (ad eccezione di Feliks Bikonaki, caduto a Castellaccio) non vennero
qualificati partigiani dalla Commissione
Regionale Toscana per “il riconoscimento
dei partigiani e dei patrioti”:
Polacchi: Feliks Bikonaki, Varsavia; Giosè Bokoteo, Varsavia; Galaudkav Culiek,
Varsavia; Dvoinstav Idak, Varsavia; Pedro Mikusk, Varsavia; Bhuda Pohmonozati, Varsavia; Iosef Qurmager, Varsavia;
Iosef Safrank, Varsavia; Singhnevo Slusarcik, Varsavia;
Russi: Manov Abdubrak, Russia; Valov
Alies, Russia; David Ahakez, Russia; Farhad
Akberov, Russia; Loan Barum, Russia; Vitorio Barzichi, Leopoli, Russia; Rasul Baxzoh,
Russia; Antonio Camiski, Leopoli, Russia;
David Cikanhze, Russia; Egamendinus
Chamara, Russia; Adam Colombo, Leopoli, Russia; Giovanni Curvieschi, Leopoli,
Russia; Gacai Gasimov, Russia; Masicof Gai,
Russia; Ismail Gulev, Russia; Mustafà Mustafaci, Russia; Angiolino Petrasca, Russia;
Eshiow Rapinochan, Russia; Lik Secakrin,
Salbanin, Russia; Bathat Shainan, Russia;
Idan Skeieran, Russia; Abdulgouz Tarazov,
Russia; Dosti Umarov, Russia; Ali Valiev,
Russia; Slaweski Wladscaf, Leopoli, Russia.
Partigiani e patrioti del 10° Distaccamento della 3a Brigata Garibaldi, riconosciuti secondo la legge n. 518 del 1945 (i nomi e relative qualifiche figurano nell’elenco n. 69, pagg. 22-26 della Commissione Regionale Toscana per il “riconoscimento dei partigiani e dei patrioti”)
PARTIGIANI
Adorni Candido
Agostinelli Aldo
Amadori Ugo
Archibusacchi Mauro
Attolini Giuseppe
Baggiani Amerigo
Balardi Bruno
Bardi Ivo
Bartolozzi Giulio
Bartolucci Mario
Bassi Luigi
Bellini Serse
Belucci Aldo
Bernini Bruno
Bernini Loris
Bertini Giampaolo
Bianchini Manfredo
Bianconi Gino
Bikonaki Feliks
Bongini Ulisse
Bozzi Vanda
Bucci Nicola
Cancelli Athos
Cannata Giovanni
Caprai Vasco
Carlesi Michele
Carli Bruno
Castagnini Mario
Ceccarini Mario
Cecchi Mario
Cecchi Renato
Cervelli Piero
Chiesa Oberdan
Ciaponi Giuliano
Citi Pietro
Citi Santino
Citro Francesco
Copernico Washington
Costa Manlio
I nomi per la Libertà
Partigiani caduti:
Feliks Bikonaki, caduto il 18 luglio ’44
a Castellaccio; Giuseppe Cantini, caduto il 19 settembre ’44 al Passo della
Futa; Eros Gelli, caduto il 18 luglio ’44
sul Romito; Vittorio Giambruni, caduto il 16 settembre ’44 a Castelnuovo
della Misericordia; Lanciotto Gherardi,
caduto il 19 luglio ’44 sulla Malavolta;
Alberto Maconi, caduto il 28 luglio ’44
sulla Linea Gotica; Silvano Pizzi, caduto
il 13 luglio ’44 presso Nibbiaia; Renato
Pini, caduto il 15 luglio ’44 nei pressi del
Chioma-Quercianella; Aldo Piccini, caduto il 18 luglio ’44 a Castellaccio.
INSERTI
Il 10° Distaccamento “Oberdan Chiesa” della 3a Brigata Garibaldi operante nella zona di Livorno
57
INSERTI
I nomi per la Libertà
58
Creatini Primo
Da Prato Enrico
De Mugnai Emilio
Del Conte Giovanni
Del Conte Mauro
Del Greco Libero
Demi Attilio
Dini Attilio
Ducilli Luciano
Faiani Corrado
Falleri Angiolo
Falleri Gino
Filippi Orazio
Finocchietti Giovanni
Francalacci Ferdinando
Franchi Dino
Franchini Enzo
Fraschi Bruno
Galletti Mario
Galli Otello
Galoppini Ovidio
Gelli Ero
Gherardi Lanciotto
Giachini Nelusco
Giacomelli Renzo
Giaconi Marcello
Giaconi Odette
Giambruni Vittorio
Giunchini Goffredo
Gori Monastero
Guerrucci Nedo
Landi Amleto
Labate Vittorio
Lauretta Salvatore
Lenzi Mario
Liggeri Francesco
Lotti Pierfrancesco
Lucarelli Duilio
Macchi Alberto
Macchi Macchiavello
Manna Assoluto
Marinai Orlando
Marini Leopoldo
Mariotti Mario
Mecacci Gino
Menicagli Idilio
Menicagli Tosello
Menicagli Ugo
Merlini Duilio
Merlini Luciano
Montelatici Luciano
Morelli Primo
Niccolai Sirio
Novelli Sario
Novi Astro
Orlandini Vasco
Orsucci Valente
Pellicci Renzo
Petrucchi Umberto
Piccini Aldo
Pini Renato
Pizzi Beppino
Pizzi Dino
Pizzi Silvano
Pratesi Idaco
Praticelli Dismo
Prispoli Gino
Pupi Piero
Quaglierini Arturo
Raugi Dino
Rebua Ottorino
Roncuzzo Giuseppe
Rossi Lanciotto
Salvi Marcello
Salvi Sergio
Savi Pietro
Serredi Pilade
Storai Dino
Storai Wladimiro
Tognetti Dino
Tomietto Orlando
Tosi Gino
Trasciatti Victor Hugo
Trocar Mario
Turchi Verano
Turini Bruno
Valesini Emilio
Vannini Umberto
Bucciantini Renzo
Calai Gino
Calloni Manusco
Cancelli Alfonso
Canessa Alfredo
Canessa Sirio
Cantani Cora
Cantini Alessandro
Capantini Duilio
Cappelli Alessandro
Cappelli Giuseppe
Caprai Alberto
Carli Luciano
Carrese Alessandro
Casarosa Aldo
Catastini Gino
Catelli Luciano
Cecchi Alvaro
Cecchi Bruno
Cecchi Divo
Cecchi Ivo
Cecchi Ugo
Cellieri Mario
Cerri Valdo
Chiapponi Franco
Ciaponi Adamo
Ciaponi Eugenio
Cioli Umberto
Corsi Enrico
Costa Angiolino
Creatini Gino
Crovetti Franco
D’Eusebio Erasmo
De Giuli Alfredo
De Maio Corrado
Del Corona Nadir
Di Rocca Gino
Domenici Brunero
Domenici Emilio
Domenici Loriano
Evangelisti Bruno
Falchini Ivano
Fantozzi Giuseppe
Fantozzi Romano
Fastosi Bruno
Favilli Raul
Fedi Belgio
Ferrini Piero
PATRIOTI
Adorni Donato
Allegri Luciano
Amadori Giovanni
Bacci Egisto
Badaloni Nicola
Barsotti Arino
Bartolini Libero
Bartolini Secondo
Bartolozzi Amleto
Batini Mario
Belcari Ivo
Benifei Eros
Bernini Silvano
Bertelli Napoli
Bertini Giuseppe
Bertolini Secondo
Bianchi Ferdinando
Biasci Renato
Bicchierai Libero
Bientinesi Nello
Bilanci Canzio
Biondi Alberto
Bonaldi Sandro
Brilli Erasmo
Perfetti Ottorino
Perini Giuliano
Pietrini Ilio
Pillocchi Aldo
Pipan Alberto
Poli Mario
Pratesi Ursus
Prosetti Ugo
Pupi Mauro
Pupilli Enzo
Quilici Dino
Ricchi Gino
Ricchi Nello
Risaliti Enrico
Rossi Combes
Ruffo Raffaello
Ruggero Aldo
Salvini Agostino
Sommati Luca
Tacchella G. Batta
Tamberi Decio
Tani Alessandro
Tani Carlo
Tessieri Leandro
Turini Michelangiolo
Turini Paolo
Vaiani Natale
Vanni Alfredo
Vanni Angiolo
Vezzosi Bruno
Vezzosi Mario
Vincenti Arnaldo
Vivaldi Spartaco
Zanobetti Mario
(I dati sono a cura dell’ANPI, Comitato comunale di Livorno)
Il contributo dei Livornesi alla Resistenza in Italia e all’estero
Partigiani e patrioti
Partigiani caduti:
nella 3a Brigata Garibaldi
nelle formazioni operanti in Italia
nelle formazioni operanti all’estero
Partigiani feriti e invalidi
845
29
41
11
84
INSERTI
Livori Mauro
Lomi Gino
Macchi Vera
Mancini Cesare
Manetti Sergio
Mannucci Enzo
Marchesini Aldo
Marchetti Corrado
Mariano Lirio
Mascagni Anteo
Matteucci Silvano
Mazza Francesco
Mecacci Sergio
Meglio Gino
Mennella Agnallo
Michelazzi Olieo
Morelli Bruna
Munafò Aldo
Nardi Maruzzo
Nenci Giuseppe
Nencini Piero
Orlandini Piero
Pacchiani Enrico
Paggini Francesco
Pannocchia Alberto
Paoletti Aldo
Paoletti Vito
Paperi Ilio
Papi Nilo
Papini Remo
Pardini Ascanio
Pasquali Francesco
Passetti Giuliano
Pellegrini Aldo
I nomi per la Libertà
Fiorini Mario
Fiorini Renzo
Fiorini Rodolfo
Francesconi Marcello
Franchi Gino
Franchi Tito
Francini Clinto
Frangerini Armando
Frangioni Italo
Galleri Gino
Gallinari Angiolino
Gamba Tamante
Gardone Giuseppe
Garzelli Giorgio
Gasperini Sirio
Geppetti Giovanni
Ghezzani Bruno
Ghezzani Gino
Ghezzani Giovanni
Giacomelli Emilio
Giambruni Gino
Giannoni Vittorio
Giovannini Marino
Giuntini Ivo
Giusti Guido
Giusti Nedo
Gozzi Enea
Guedri Urbino
Gusti Tonino
Iacoponi Sandro
Italiano Domenico
Landi Dino
Lemmi Amleto
Lenzi Ugo
LIVORNESI PARTIGIANI COMBATTENTI
Adorni Candido
Agonigi Ivaldo
Albertosi Arturo
Andorlini Enzo
Andreani Mario
Angeli don Roberto
Angelone Emilio
Annibale Luciano
Antonelli Virgilio
Archibusacci Mauro
Arrighi Dante
Attolini Giuseppe
Baggiani Amerigo
Bagnoli Bruno
Balardi Bruno
Balzini Luigi
Bardi Ivo
Bargellini Renzo
Baronetto Aldo
Baroni Mario
Bartalucci Aldo
Bassini Ettore
Bellini Serse
Bellucci Aldo
Bendinelli Ennio
Benifei Garibaldo
Benincasa Felice
59
INSERTI
I nomi per la Libertà
60
Bernini Bruno
Bernini Metello
Bertoni Giustiniano
Biagini Giovanni
Bianchini Manfredo
Bitossi Mario
Bizzi Oreste
Boccacci Guerrazzo
Bocchi Gino
Bonomo Luciano
Bozzi Wanda
Brondi Elio
Bruni Brunello
Caponi Guerrino
Carlesi Sergio
Carli Bruno
Carlotti Silvano
Carrai Gino
Carraresi Pietro
Cartei Gino
Casà Gerolamo
Casciani Renzo
Castagnoli Bruno
Catalani Giovanni
Ceccarini Giuseppe
Ceccarini Mario
Cecchi Mario
Cecchi Renato
Celanti Carlo
Centi Alessandro
Cervelli Piero
Chetoni Giacomo
Ciampi Elio
Ciaponi Giuliano
Ciardi Giotto (Med. d’Oro VM.)
Cintoi Sergio
Cioni Libero
Citi Santi
Citti Fausto
Civetta Aldo
Colombini Dino
Conti Nedo
Corozzi Mazzini
Corradi Oberdan
Corradini Fleano
Corsi Luciano
Cosimi Brunero
Dainelli Aldo
Da Prato Bruno Enrico
De Ciampis Vittorio
Del Greco Libero
Del Greco Sirio
Del Guerra Ilio
Dell’Omodarme Ivan
Del Mosca Sidrak
Del Rio Avanti
De Memme Piero
De Mugnai Emilio
De Paz Giacomo Alessandro
De Paz Sergio
De Toffoli Luigi
Dini Enzo
Dini Venio
Domenici Dante
Domenici Luigi
Ducilli Giuliano
Ebraico Silvano
Fabbri Eligio
Faccenda Otello
Faccin Antonio
Fantozzi Silvano
Fardellini Aroldo
Favero Ezio
Favillini Eugenio
Ferrari Rio
Ferrucci Mario
Filippi Aldemara
Filippi Orazio
Finocchietti Giovanni
Formichi Giorgio
Fornaciari Pierino
Franceschi Giovanni
Frangioni Leonetto
Fraschi Bruno
Frassi Nevilio
Fusario Giuseppe
Gabrielli Corrado
Gagliardi Sidro
Galli Mario
Galligani Giulio
Gambicorti Ivo
Gamerra Anna Maria
Gasparri Tommaso
Gasperini Tolmino
Gatto Vincenzo
Gennai Bruno
Gherardi Bruno
Ghiara Aldo
Giachini Nelusco
Giacomelli Oreste
Giacomelli Renzo
Giaconi Marcello
Giaconi Nilo
Giaconi Odette
Giovagnoli Francesco
Girardi Marcello
Giunchini Goffredo
Giusti Vinicio
Gneri Alfredo
Gori Monastero
Gradassi Dino
Gravina Alberto
Guerrucci Nedo
Guidetti Ugo
La Bruna Castrenze
Landi Amleto
Landucci Leonetto
Lauretta Salvatore
Lavoratori Alberto
Lazzeri Ugo
Lelli Bruno
Lenzi Domenico
Lenzi Mario
Lorenzoni Luciano
Lotti Pier Francesco
Luino Giacomo
Luschi Corrado
Luschi Federigo
Luschi Gino
Luschi Vasco
Malacarne Nello
Mancini Bruno
Mancini Mario
Manna Luciano
Manno Calogero
Marengo Mario
Martelli Giovanni
Mastrullo Michele
Matteoli Fabio
Matteucci Giorgio
Mazza Umberto
Mazzacherini Luciano
Mazzanti Rolando
Mazzoni Bruno
Mentessi Luciano
Merlini Luciano
Montagnani Dino
Montelatici Luciano
Moretti Ciro
Moscatelli Alberto
Nencini Gino
Niccolai Sirio
Niccolini Ferdinando
Nigiotti Morfeo
Novelli Sauro
Orlandini Pietro
Pachetti Isepo
Pachetti Rino (Med. d’Oro V.M.)
Pacini Ervé
Paggini Francesco
Paggini Garibaldi
Paggini Ricciotti
Panchetti Italiano
Pannunzio Vinicio
Paperi Walter
Papini Mario
Parra Ilio
Paungharden Claudio
Pennacchini Furio
Pensabene Alfio
Pera Fernando
Perez Roberto
Petracchi Nedo
Petri Bruna
Tognotti Renzo
Tomei Telio
Tosi Gino
Turini Bruno
Turrini Augusto
Urbani Renzo
Vaccaro Mario
Valesini Emilio
Vannini Alberto
Vannini Vannino
Vannucci Emo
Venturi Gino
Vivarelli Sergio
Volandri Umberto
Zago Bruno
Zambernardi Sileno
Zammit Filippo
Zanatta Ottavio
Casini Mario
Cecchi Alvaro
Cecchi Bruno
Cecchi Divo
Cecchi Ivo
Cecchi Ugo
Cerri Waldo
Cellieri Mario
Chiapponi Franco
Ciaponi Eugenio
Cioni Giorgio
Conti Danilo
Corsi Enrico
Cosimi Bruno
Crovetti Franco
Dalle Mura Enzo
Del Corona Enzo
Del Corona Nadir
Delfino Edilio
De Giulli Alfredo
De Giulli Pietro
Di Quirico Pietro
Domenici Emilio
Domenici Loriano
Donati Dino
Duò Carolina
Falca Pier Luigi
Fantozzi Remo
Fantozzi Romano
Fatichenti Santi
Fiorini Adolfo
Francesconi Marcello
Franchi Tito Gemmo
Frangerini Armando
Gaetaniello Luigi
Galleni Dino
Galli Ulisse
Gambicorti Elia Gino
Garzelli Giorgio
Geppetti Giovanni
Ghezzani Bruno
Ghezzani Giovanni
Giacomelli Dionisio
Giacomelli Emilio
Giacomelli Gualberto
Giannelli Alfredo
Gigli Bruno
Giusti Ledo
Giusti Milziade
Gorelli Bruno
Gradassi Mirio
Guarguagli Nestare
Isolani Pietro
Landi Dino
Lemmi Amleto
Leonardi Ernesto
Lepri Luciano
Livori Mauro
Lomi Giorgio
Longobardi Pierino
Lorenzi Renzo
Lulli Silvano
Macchi Vera
Magagnini Ennio
Mainardi Luciano
Manetti Sergio
Mannucci Enzo
Marianelli Gildo
PATRIOTI
Agen Giammauro
Allegri Luciano
Amadori Giovanna
Badaloni Nicola
Baldi Mario
Baldi Ugo
Baronti Aristeno Mario
Barsotti Arino
Bartolini Marcello
Bartolozzi Amleto
Bartolozzi Giulio
Benifei Eros
Benvenuti Paolo
Bertelli Ettore
Bertini Giuseppe
Betti Nedo
Bianchi Ferdinando
Biasci Renato
Bientinesi Nello
Borghi Tina
Brilli Erasmo
Bucciantini Renzo
Cacciari Mario
Cacciari Pasquale
Calai Gino
Caleo Vinicio
Calloni Maruzzo
Cancelli Anio
Capantini Duilio
Caparrini Valeria
Cappelli Alessandro
Casabona Aldo
Casciani Lanciotto
Caselli Athos
INSERTI
Saller Renato
Salvi Marcello
Salvi Sergio
Santini Giovanni
Santino Santo
Savi Pietro
Scardigli Gino
Scarpa Bernardino
Selmi Ranieri
Semboloni Bruno
Silvestri Guido
Simonetti Silvana
Simoni Gino
Sotgiù Raffaele
Spadoni Ugo
Stoppa Giorgio
Storai Wladimiro
Sturla Pietro
Tarchi Francesco
I nomi per la Libertà
Picchiotti Giuseppe
Pieri Aldo
Pizzi Dino
Poli Dante
Poli Guglielmo
Prispoli Gino
Querci Alfredo
Questa Mario
Raugi Dino
Razzauti Ivo
Rebua Ottorino
Ristori Mario
Riva Maria Cristina
Rivarola Manrico
Rocchi Dino
Roncucci Giuseppe
Rosellini Alvaro
Rossi Lanciotto
Rubinich Wladimiro
61
INSERTI
I nomi per la Libertà
62
Mariani Livio
Marrucci Ulderigo
Marsigli Armando
Mascagni Anteo Lido
Mazza Francesco
Morelli Bruna
Nannetti Ivo
Nenci Giuseppe
Nencini Piero
Nocchi Alfredo
Nocchi Arnaldo
Nocchi Piero
Orlandini Pierino
Pallini Renato
Pannocchia Roberto
Paolotti Piero
Paperi Ilio
Papini Reno
Pardini Marcello
Piendibene Aldo
Pipan Alberto
Pisani Compagnoni Ubaldo
Politi Mario
Pratesi Ursus
Pupilli Enzo
Quaglierini Alfredo
Ristori Giuseppe
Rocchi Ervé
Rossi Combes
Sabatini Garbarino
Sandroni Arnoldo
Sandroni Mario
Seminelli Elio
Senesi Corrado
Simonti Luciano
Sommati Luca
Spagnoli Augusto
Specos Piero
Stefanini Enzo
Sturla Silvano
Tani Alessandro
Tessieri Leandro
Tonarini Primo
Vanni Goffredo
Viviani Loris
Militari di stanza a Livorno combattanti nella guerra di Liberazione in reparti regolari delle FF.AA.
o in formazioni partigiane
Li Gobbi Alberto, Gen. di CA. Med. d’Oro VM.
Masetti Ugo, Amm. di Div.
Milanesi Aldo, Gen. di Brg.
Gambarotta Vitaliano, Gen. di Brg.
Agostinelli Sergio, Contr’Amm.
Salmi Tito, Gen. di Brg. Paracadutisti
Donnini Aldo, Gen. di Brg.
Bernardi Mario, Contr’Amm.
Bertini Giorgio, Contr’Amm.
Poggiolini Italo, Col. CC.
Guida Giovanni, Cap. di Vasc.
Talluri Furio, Col. Paracadutisti
Fontana Oreste, Col.
Signore Giovanni, Col. CC.
Frizzi Giulio Cesare, Col. CC.
Giardina Giuseppe, Col. CC.
Gattini Mario, Col. P.S.
Camerini Mario, Cap. di Vasc.
Casini Vincenzo, Cap. di Vasc.
Celli Danilo, Cap. di Vasc.
Fineschi Ettore, Col.
Foschini Ilio, Cap. di Vasc.
Valente Vittorio, Cap. di Vasc.
Zoli Gino, Cap. di Vasc.
Grossi G. Battista, Ten. Col. CC.
Petracca Camillo, Ten. Col.
Prosperini Teseo, Ten. Col.
Veneziani Pergo, Cap. di Fregata
Gabrielli Giuseppe, Cap. di Corvetta
Checco Filippo, Ten. di Vasc.
Martorella Celso, Ten. di Vasc.
Paradisi Etrusco, Ten. di Vasc.
Semeraro Alfonso, Ten. di Vasc.
Antonucci Mario, Sotto Ten. di Vasc.
Bambagioni Oliviero, Sotto Ten. di Vasc.
Ermito Antonio, Sotto Ten. di Vasc.
Merloni Mario, Sotto Ten. di Vasc.
Tomassoni Mario, Guardiamarina
Angerame Pietro, Capo di 1.a Cl.
Bellotti Aldo, Capo di 1.a Cl.
Biagioni Franco, Capo di 1.a Cl.
Bifulco Antonio, Mar.llo Magg. Paracadutisti
Buttari Nicola, Mar.llo Magg.
Chignone Francesco, Mar.llo Magg. Paracadutisti
Ciucchi Gino, Capo di 1.a Cl.
Curia Francesco, Capo di 1.a Cl.
Dassi G. Battista, Mar.llo Magg. CC.
De Murtas Giovanni, Capo di 1.a Cl.
De Santis Paolo Silvano, Mar.llo Magg.
Desimio Vincenzino, Capo di 1.a Cl.
Di Muro Antonio, Mar.llo Magg. Paracadutisti
Di Raimondo Giuseppe, Capo di 1.a Cl.
Fucelli Rino, Capo di 1.a Cl.
Gallo Pasquale, Mar.llo Magg. P.S.
Giordano Raffaele, Mar.llo Magg. Paracadutisti
Latini Francesco, Mar.llo Magg. CC.
Limardi Antonio, Capo di 1.a Cl.
Mameli Goffredo, Mar.llo Magg. CC. Paracadutisti
Mazzuccato Walter, Capo di 1.a Cl.
Mè Vincenzo, Capo di 1.a Cl.
Nari Elis, Capo di 1.a Cl.
Neri Tullio, Capo di 1.a Cl.
Pasculli Francesco, Mar.llo Magg. Paracadutisti
Petrucci Gennaro, Mar.llo Magg. CC.
Presta Antonio, Mar.llo Magg. Paracadutisti
Restaino Felice, Mar.llo Magg. Paracadutisti
Rocchiccioli Sergio, Mar.llo Magg. Sanità
Rossato Gino, Mar.llo Magg. Paracadutisti
Scampuddu Gio Michele, Capo di 1.a Cl.
Scarlata Giuseppe, Mar.llo Magg. Paracadutisti
Sturiale Letterio, Mar.llo Magg. Genio Mil.
Tullo Carlo, Mar.llo Magg. CC.
Zanetti Aladino, Mar.llo Magg. Paracadutisti
Brigliozzi Sabatino, Capo di 1.a Cl.
Consigli Alfio, 2° Capo
Rondinone Francesco, Brigadiere P.S.
Stellato Raffaele, Vice Brigadiere P.S.
Baldaccini Giuliano, Appunt. CC.
Cardini Angelo, Appunt. CC.
Chelli Raniero, Appunt. GG.FF.
Cicchiello Michele, Appunt. P.S.
Cocciolo Raffaele, Appunt. GG.FF.
Cozzolino Francesco, Appunt. GG.FF.
Dainelli Nello, Appunt. GG.FF
De Lauretis Nicola, Appunt. GG.FF.
Donati Pierino, Appunt. GG.FF.
Fenoglio Giovanni, Appunt. P.S.
Fucci Carmelo, Appunt. GG.FF.
Fungaroli Alfredo, Appunt. P.S.
Gaveglia Antonio, Appunt. GG.FF.
Giola Giommaria, Appunt. P.S.
Gualeri Bruno, Appunt. CC.
Intorcia Giuseppe, Appunt. P.S.
Motolese Emanuele, Appunt. GG.FF.
Natile Giuseppe, Appunt. GG.FF.
Proietti Augusto, Appunt. GG.FF.
Rombi Leonardo, Appunt. CC. Paracadutisti
Tallo Carmelo, Appunt. CC.
Fanti don Pietro, Ten.
Fantolini Bruno
Favilla Guglielmo, Ten.
Fenzi Mario
Ferrante Aristide, Gen. C.A.
Ferrara Carlo, Col.
Ferraro Stanislao, Cap. Vasc.
Ferri Giovanni
Finderle Antonio
Fontana Eramo
Fornaciari Pietro, Magg.
Frangipane Angelo, Col.
Fusco Giovanni, Serg. Magg.
Galleri Francesco, M.llo Magg.
Galoppini Arturo, Ten. Vasc.
Ganucci Cancellieri Lando, Magg.
Garzelli Paolo, Capitano
Ghinassi Alberto
Giroldini Amerigo
Godioli Aldo
Grassi Ezio, Capitano
Grassi Mario, Col.
Grillo Matteo
Lang Giampiero, Capitano
Lelli Bruno
Lemmi Enzo
Lessi Adolfo
Leuzzi Angelo
Lombardi Michele
Lucarelli Quarto
Lucignani Aldo, Serg. Magg.
Lupi Renzo, S. Ten. GG.FF.
Macchini Pierino
Macera Antonio Giovanni
Marchesini Guido
Marinari Alessandro
Mattei Elio
Mazzotta Luigi, M.llo Capo
Meazzini Roberto
Micheli Marrigo
Montauti Giovan Battista, S. Ten.
Montesoro Alberto, Gen. C.A.
Morelli Aldo, Maggiore
Morelli Leonetto
Murtas Ansicora
Muscas Giovanni, Appuntato CC.
Paoletti Luciano
Paoli Angelo, M.llo Magg.
Petagna Giovanni, Guardiamarina
Pettinati Lido
Pini Palmieri Guerrino, Serg. Magg.
Porta Ottorino
Pracchia Antonio
Pucci Cesare, Capo 1.a Cl.
Quilici Alessandro, M.llo Magg.
Regali Mario, Maggiore
Risaliti Giario, Gen. Brig. Aer.
Romualdi Ugo, M.llo Magg.
Rosati Bernardo, Aiut. Battaglia
Rossi Pietro
Salvini Mauro, M.llo Magg.
Sanacore Rosario, S. Ten.
Santini Aldo, M.llo Magg.
Serafini Dante
Terreni Paolo, Capitano
Troia Ernesto
Ungaro Tommaso, S. Ten.
Vezzosi Astro
Vezzosi Mario
Vignali Giuseppe, Capitano
I nomi per la Libertà
Amabile Gennaro, S. Ten.
Amendola Albino
Ardu Pietrino, Col.
Badii Pietro, 1° Capitano
Baldacci Mario
Barontini Vinicio
Barsotti Alberto
Bartoletti Mario
Basi Paris
Battai Renato, Ten.
Bertolla Luciano
Biagioni Bruno
Bianchi Egisto
Bianculli Salvatore
Braccini Gaetano, Serg. Magg.
Buonaiuto Antonio, 2° Capo
Cantini Bruno
Cappelletti Vittorio, M.llo Magg.
Caridi Vincenzo
Carlascio Giuseppe, Serg. Magg.
Carlesi Enrico, Gen. C.A.
Ceccherini Giuseppe
Cecconi Vittorio
Ciampi Ezio
Consensi Luigi, 1° Capitano
Conte Francesco, Col.
D’Alessandro Antonio
Davoglio Luigi, 1° Capitano
Del Corona Sergio, S. Ten.
Del Moro Alessandro
De Leo Nicola, Gen. Div.
De Mare Ugo
De Toffoli Luigi, 1° Capitano
Di Tardo Francesco, Serg.
Dominici Inigo, Appunt. CC.
INSERTI
Cittadini livornesi combattenti con le FF.AA. nella Resistenza
Militari livornesi internati e deceduti nei lager nazisti
Alderigi Gerardo, 30-6-1944 Germania; Balleri Sirio, 21-4-1945 Germania; Barattini Leo, 6-5-1945 Cecoslovacchia; Baroncini
Selmino, 1944 Germania; Beani Raffaello, 2-5-1944 Germania; Bettmann Leopoldo, 16-8-1944 Germania; Brandini Pietro, 168-1944 Germania; Cerulli Mario, 1-5-1945 Yugoslavia; Cialdini Armando 12-5-1944 Germania; Ciucci Giuseppe, 21-2-1945 Germania; Costa Enrico, 18-10-1943 Germania; Dal Canto Ciro, 16-4-1945 Germania; D’Andrea Alfonso, 17-3-1945 Germania; Di
Lupo Mario, 22-1-1943 Germania; Di Scalzi Alfredo, 12-8-1944 Germania; Dodoli Gino, 27-1-1944 Germania; Fantini Elio, 24-91943 Cefalonia, Fassio Giovanni, 21-10-1943 Germania; Fedi Bruno, 14-10-1944 Germania; Ferrini Marullo, 26-4-1945 Germania;
Giacomelli Duilio, 7-8-1944 Germania; Guida Ivo, 19-11-1944 Germania; Hartwig Umberto, 26-3-1945 Germania; Imperato Umberto, 21-3-1945 Germania; Lenzi Emilio, 24-4-1945 Germania; Mantovani Corrado, 1944 Germania; Moscati Giorgio, 26-2-1944
Polonia; Neri Alberto, 6-5-1945 Germania; Neri Giovanni, 22-2-1945 Germania; Neri Mario, 26-10-1944 Germania; Orsucci Luciano, 5-5-1945 Germania; Pagni Leonello, 7-4-1945 Germania; Pelagatti Silvio, 10-1-1945 Germania; Pesaro Canzio, 30-4-1945
Germania; Pollastrini Giuseppe, 1944 Germania; Sbrana Lino, 24-4-1944 Germania; Spolidoro Rurich, 25-4-1945 Austria; Valeri
Arismano, 1-6-1944 Francia; Vincenzini Ugo, 8-12-1943 Yugoslavia; Vivaldi Alberto, 4-4-1945 Germania.
63
ELENCO SUPPLETIVO
Bernardeschi Sirio, 13-9-1944 Croazia; Didone Albino, 1-12-1944 Germania; Di Prato Carlo, 20-5-1945 Germania; Freschi Giovanni Annibale, 31-10-1943 Yugoslavia; Gianni Ferruccio, 26-2-1944 Grecia; Lupi Spartaco, 21-4-1945 Russia; Mancini Piero,
28-1-1945 Germania, Miniati Ugo, 24-2-1945 Germania; Pupi Russardo, 1-11-1943 Yugoslavia; Napoletano Alfonso, 24-3-1944
Germania; Santarnecchi Luigi, senza data Germania; Soranzo Mario, 2-11-1943 Grecia; Vincenzi Ugo, 8-11-1943 Yugoslavia;
Sbrana Alvaro, 5-1-1945 Germania; Vincenzini Ugo, 8-11-1943 Yugoslavia; Vasponi Guido, 18-1-1944 Grecia.
Civili livornesi deportati e deceduti nei lager nazisti
INSERTI
I nomi per la Libertà
64
Calore Ermanno, 10-10-1944, Mauthausen; Cammellini Piero, 3-5-1945, Mauthausen; Catanzano Alfredo, 31-8-1944, Mauthausen; Ceccarini Oreste, 26-6-1944, Mauthausen; Di Gaddo Bruno, 4-1-1945, Mauthausen; Domenichini Francesco, 24-4-1945,
Mauthausen; Domenichini Bruno, 24-4-1945, Mauthausen; Giacomelli Gino Enrico, 10-5-1945, Bad-Ischl; Mainardi Sirio Augusto, 15-4-1945, Kaishein; Mazzoni Renato, 17-4-1945, Mauthausen; Nigiotti Alfredo, 30-4-1945, Ebensee; Rogai Giosellino, 164-1945, Mauthausen; Rogai Walde, 17-4-1945, Mauthausen; Terreni Fortunato, 6-4-1945, Mauthausen; Trotta Mario, 29-5-1944,
Ebensee; Tocchini Gino, 17-5-1945, Ebensee; Vallini Carlo, 23-11-1944, Mauthausen; Vecchio Salvatore, 22-1-1945, Mauthausen;
Bastiani Piero, 21-4-1945, Mauthausen; Benedetti Dino, 16-2-1945, Mauthausen; Bartelloni Pierino, 8-5-1944, Ebensee; Boccini
Giulio, 5-1-1945, Mauthausen; Bracci Gino, 16-4-1945, Mauthausen; Brogi Giuseppe, 31-3-1944, Auschwitz; Latini Tiziano, 152-1945, Mauthausen; Simonetti Sergio, 2-4-1945, Mauthausen; Pensabene Angiolo, 16-5-1944, Gusen; Risos Athos, 24-1-1945,
Gusen; Sbrana Alvaro, 6-1-1945, Hagen-Nitte; Sostegni Sirio, 24-5-1945, Mauthausen.
Civili livornesi di religione ebraica deportati e deceduti nei lager nazisti
Abenaim Giuseppe, 1915, 6-2-1944 Auschwitz; Abenaim Mario, 1910, 1945 Libetz; Abenaim Ottorino, 1912, 1945 Mauthausen;
Abenaim Oreste, 1897, 1945 Auschwitz; Abenaim Renzo, 1925, 25-12-1943 Auschwitz; Altaras Donna, 1896, 10-4-1945 Auschwitz;
Bueno Silla, 1903, 25-12-1945 Auschwitz; Archivolti Liviana, 1923, 15-7-1944 Auschwitz; Archivolti Liliana, 1895, 15-7-1944 Auschwitz; Archivolti Gina, 1895, 15-7-1944 Auschwitz; Attal David, 1875, 23-5-1944 Auschwitz; Attal Ada, 1895, 23-5-1944 Auschwitz; Attal Vinicio, 1927, 23-5-1944 Auschwitz; Attal Benito, 1934, 23-5-1944 Auschwitz; Baruch Elia, 1898, 1945 Auschwitz;
Baruch Giuditta, 1924, 1945 Auschwitz; Baruch Isacco, 1890, 1944 Auschwitz; Baruch Susanna, 1925, 1944 Auschwitz; Baruch
Clara, 1928, 1944 Auschwitz; Baruch Marco, 1931, 1944 Auschwitz; Naruch Mistal, Baruch Raffaello, Baruch Amelia, Baruch Franca,
Baruch Allegra, Baruch Violetta, Baruch Moisè, Baruch Alessandro, località ignota; Cadina Mistel, 1900, 1944 Auschwitz; Bajona
Lucia, 1932, 1945 Auschwitz; Bajona Dora, 1934, 1945 Auschwitz; Bajona Carlo, 1923, 1945 Auschwitz; Bajona Jacob Diamante,
1901, 1945 Buchenwald; Bardavid Ester, 1904, 6-2-1944 Auschwitz; Bardavid Garden, 1902, 6-2-1944 Auschwitz; Beniacar Estrea,
1902, 1944 Auschwitz; Beniacar Moisè, 1899, 1944 Auschwitz; Beniacar Ulisse, 1928, 1944 Auschwitz; Beniacar Giacobbe, 1931,
1944 Auschwitz; Beniacar Perla, 1935, 1944 Auschwitz; Beniacar Levi Ester, località ignota; Boocara Sciaula Dori, 1884, 6-2-1944
Auschwitz; Bonaventura Paolo, 1870, 1944 Fossoli; Borcioni Viviano, 1926, 1944 Auschwitz; Bueno Attal Dina, 1899, 19-12-1943
Auschwitz; Bueno Dino, 1922, 1943 Auschwitz; Bueno Renzo, 1906, 1° dicembre 1943 Auschwitz; Caro Beppino Alberto, 1906,
10-3-1945 Auschwitz; Castelli Levi Adriana, Castelli Olga, Castelletti Isaco, Castelletti Rosa, Castelletti Stella, Castelletti Vittoria,
località ignota; Cava Aldo 1899, 23-5-1944 Buchenwald; Cava Franca 1931, 23-5-1944 Buchenwald; Cava Enzo 1936, 23-5-1944
Buchenwald; Cava Moscati Elda 1906, 23-5-1944 Buchenwald; Coen Giuseppe 1898, 15-1-1945 Auschwitz; Coen Vittorio 1913,
15-1-1945 Auschwitz; Della Riccia Erasmo 1887, 1\5-8-1944 Auschwitz; Della Riccia Berta 1910, 15-8-1944 Auschwitz; Della Riccia
Luciano 1917, 15-8-1944 Auscwitz; De Paz Gastone 1880, 1944 Colle di C/T; Finzi Davide 1905, 23-5-1944 Auschwitz; Finzi Natalino 1908, 1944 Auschwitz; Finzi Berta 1910, 1944 Auschwitz; Finzi Gigliola 19-2-1944, 1944 Auschwitz; Funaro David; Garbai
Salomone; Hasdà Augusto 1869, 5-11-1943 Auschwitz; Hasdà Segre Bettina 1875, 5-11-1945 Auschwitz; Laras Gina 1919, 3-11946 Ravensbruk; Levi Abramo 1903, 6-2-1944 Auschwitz; Levi Angiolo 1882, 23-1-1944 Auschwitz; Levi Carlo 1928, 2-6-1944
Auschwitz; Levi Aldo 1934, 6-2-1944 Auschwitz; Levi Elio 1930, 6-2-1944 Auschwitz; Levi Natale 1930, 6-2-1944 Auschwitz; Levi
Giacomo 1929, 6-2-1944 Auschwitz; Levi Nissimm 1904, 31-3-1945 Auschwitz; Levi Abramo 1903, 28-12-1944 Auschwitz; Levi Eleonora; Levi Mazaltov Fortunata; Matalon Elia 1896, 23-12-1945 Mauthausen; Mazzoni Renato 1925, 15-4-1945 Auschwitz; Menasci Enrico 1931, 18-10-1943 Auschwitz; Menasci Raffaello Roberto 1911, 3-12-1943 Auschwitz; Menasci Raffaello 1911, 3-2-1944
Auschwitz; Misul Alfredo 1887, 1944 Auschwitz; Modiano Isacco 1898, 1944 Auschwitz; Modiano Lora 1904, 1944 Auschwitz;
Modiano Flora 1938, 1944 Auschwitz; Modiano Perla 1877, 1944 Auschwitz; Modigliani Umberto 1902, 23-3-1944 Auschwitz;
Molco Sergio 1911, 28-2-1945 Auschwitz; Moscati Aldo di Pacifico; Moscati Giorgio; Moscati Elda; Coen Solal Olga; Pesaro Gualtiero 1896, 6-2-1944 Auschwitz; Pesaro Amoldo 1900, 1-10-1944 Auschwitz; Piperno Menaschi Tina 1925, 26-6-1944 Auschwitz;
Piperno Giorgio Nino 1931, 2-6-1944 Auschwitz; Procaccia Aldo 1905, 1944 Auschwitz; Procaccia Amedeo 1881, 1944 Auschwitz;
Procaccia Paolo 1942, 1944 Auschwitz; Procaccia Modigliani Milena 1915, 6-2-1944 Auschwitz; Rabà Ivo 1919, 25-3-1945 Auschwitz; Rabà Vasco 1923, 25-3-1945 Auschwitz; Rabà Lanciotto 1888, 31-5-1944 Auschwitz; Rabà Lina 1896, 1945 Auschwitz;
Samaia Angiolo 1917, 20-9-1944 Auschwitz; Sonnino Enrico 1902, 23-5-1944 Auschwitz.
(Dati a cura dell’ANEI sezione di Livorno)
Finito di stampare nel mese di aprile 2012 dalla Tipografia e Casa Editrice Debatte Otello srl - Livorno
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Luciano De Majo - Comune di Livorno