Caffè e Salute Caffè e Salute Testi a cura di: Amleto D'Amicis Andrea Ghiselli Laura Rossi Stefania Sette Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione 2005 2 Introduzione Il caffè In passato, la bevanda caffè non era certo vista di buon occhio e spesso erano proprio i medici a sconsigliarne l’uso. Nuoce alla salute, si diceva, e quindi l’indicazione era quella di bandirla o al massimo di consumarla di rado, quasi «clandestinamente», incutendo così anche tanti sensi di colpa. Oggi, invece, questa bevanda, tra le più popolari al mondo, è stata rivalutata. Un dato è certo, il caffè non è velenoso! E questa affermazione non deriva soltanto dalla scienza ma anche dalla storia. Un curioso aneddoto dice che il re Gustavo III di Svezia inflisse, nel Settecento, una pena di morte tramite la somministrazione di dosi massicce di caffè. I condannati non soltanto non morirono ma raggiunsero una ragguardevole età. Questo può essere solo un curioso aneddoto mentre non si può definire aneddoto quanto è sotto gli occhi di tutti: le popolazioni che, da secoli, consumano regolarmente, per tutta la vita, quantità moderate di caffè hanno una speranza di vita che aumenta in modo significativo. Per anni il caffè è stata la bevanda più studiata al mondo e oggi la scienza ha finalmente chiarito molti suoi aspetti: la sua natura, i suoi rapporti con la salute, ecc. In sintesi, si può tranquillamente affermare che il caffè è «un concentrato di numerosissime sostanze, molte delle quali con attività biologica», e che «se consumato senza esagerare, il caffè non solo non fa male, ma può addirittura aiutare a stare meglio». Qualche cautela è comunque d’obbligo per coloro che non sopportano la caffeina, i quali possono tranquillamente gratificarsi con il caffè decaffeinato, ricco delle stesse sostanze presenti in quello originale ad eccezione, ovviamente, della caffeina, o per coloro che hanno avuto esplicite indicazioni mediche. Per meglio comprendere i rapporti tra caffè e salute è bene ricordare le principali caratteristiche merceologiche del caffè ed accennare alla sua composizione bromatologica. La lista completa dei composti presenti nel caffè è lungi dall’essere definita. Tra le centinaia di sostanze, e forse più di mille, presenti nel caffè, moltissime sono state identificate. La loro distribuzione e la loro quantità possono essere diverse da specie a specie, alcune di esse sono addirittura tipiche di una specie e mancano in un’altra. Tra quelle identificate, molte sono «sostanze bioattive», ossia con proprietà tali da esercitare un ruolo nel metabolismo della cellula. Esse sono rappresentate dai sali minerali come il potassio; dai precursori delle vitamine come la trigonellina; dagli antiossidanti come i tannini e le melanoidine; dai grassi terpenici come kahweolo e cafestolo; dagli alcaloidi blandamente stimolanti come la caffeina, ecc.. La caffeina, tra tutte, è certamente la più nota. Le specie di caffè esistenti sono circa 60, solo 25 producono frutti con un valore commerciale, ma tra questi sono solo 4 i tipi di caffè utilizzati per preparare la bevanda. La specie più conosciuta è sicuramente la Coffea arabica L., semplicemente denominata Arabica, la cui varietà più rinomata è la Moka. Originaria della penisola arabica, tale specie è coltivata oggi sia nei luoghi di origine sia in altri Paesi del Centro e Sud America. Le colture sono poste in terreni di montagna ricchi di minerali. L’altra specie è la Coffea canephora Pierre ex Froehner, denominata Robusta, molto diffusa perché la pianta resiste molto bene alle malattie e può essere coltivata anche in pianura. È originaria del Congo, ma oggi è coltivata in diversi Paesi. È stato tentato anche, ma con poco successo, un ibrido tra l’Arabica e la Robusta, l’Arabusta. 3 La Liberica, una terza specie, è coltivata soprattutto in Liberia e in Costa d’Avorio. I semi sono grandi e resistenti ai parassiti. La qualità di questo caffè è inferiore a quella dell’Arabica e della Robusta, anche se i chicchi sono molto profumati. L’Excelsa, la quarta specie, cresce ovunque ed è molto resistente, fornisce una resa elevata e ha un gusto simile a quello dell’Arabica: presenta il problema dell'alta statura delle piante che ne rendono difficile la raccolta. Tabella 1. Composizione del caffè verde (composizione in percento di materia secca) Composto Arabica Robusta Caffeina 1.2 2.2 minerali 4.2 4.4 di cui potassio lipidi trigonellina proteine, aminoacidi 4 Tra queste specie le più consumate in Italia sono l’Arabica e la Robusta. Le due specie presentano differenze sia qualitative sia quantitative nella loro composizione chimica. L’Arabica contiene più lipidi ed altre sostanze come la trigonellina, mentre la Robusta contiene più caffeina ed acidi clorogenici. (vedi tabella 1). La composizione del caffè si modifica parzialmente con la torrefazione, il processo termico che trasforma il chicco verde in chicco tostato, pronto per essere macinato e usato per la preparazione della bevanda. Con questo passaggio, molti composti si trasformano, alcuni scompaiono, altri invece si formano. Poiché i processi di torrefazione possono essere differenti, in funzione del tipo di tostatura che si desidera, anche la composizione del caffè tostato risulta differente, è pertanto facile immaginare quanto possa essere varia la composizione dei vari tipi di miscele di caffè in commercio. 1.7 10.0 1.0 0.7 11.5 11.8 acidi alifatici 1.4 1.4 acidi clorogenici 6.5 10.0 glicosidi carboidrati (per differenza) 0.2 tr 58.0 59.5 Il contenuto di acqua nel caffè verde del commercio varia normalmente tra l’8 ed il 12%. R. Viani. In: Caffeine, Coffee and Health. Edited by S. Garattini Tabella 2. Composizione del caffè «tostato» (in percento di materia secca) Composto Arabica Robusta Caffeina 1.3 2.4 minerali 4.5 4.7 di cui potassio lipidi trigonellina, niacina proteine A titolo di esempio, nelle tabelle 1 e 2 viene riportata la composizione media grezza delle due principali specie di caffè, sia nel chicco verde (tabella 1) sia nel chicco tostato (tabella 2). 1.7 16.0 acidi alifatici acidi clorogenici carboidrati sostanze volatili (aroma) melanoidine (per differenza) 1.8 1.9 17.0 11.0 1.0 0.7 10.0 10.0 2.4 2.5 2.7 3.1 38.0 41.5 0.1 0.1 23.0 23.0 Il contenuto di acqua del caffè tostato posto in commercio varia dall’1 al 5%. R. Viani. In: Caffeine, Coffee and Health. Edited by S. Garattini 5 La caffeina 6 La composizione del caffè, come è stato già detto, si modifica con la tostatura. All’inizio del processo di tostatura il caffè verde subisce una riduzione di volume, fino a quando i chicchi raggiungono una temperatura di 160°C; quindi iniziano le perdite organiche con la formazione di anidride carbonica, con il rigonfiarsi dei chicchi e la riduzione della loro apparente densità. A questa temperatura, avvengono importanti trasformazioni chimiche e si formano molte centinaia di sostanze volatili, che determinano l’aroma del caffè tostato, insieme ai pigmenti marroni, le melanoidine, la cui struttura e ruolo sono oggi di grande interesse per la ricerca. Sopra i 200°C la reazione diventa esotermica, e superati i 250°C, il chicco di caffè inizia a bruciare con formazione di fuliggine. Tale temperatura è quindi da non raggiungere e superare. Contrariamente al caffè verde, il caffè tostato, in particolar modo quello macinato, perde, in pochi giorni, gusto e fragranza se non è protetto dall’ossigeno; viceversa, se protetto da luce e da ossigeno (sottovuoto o in atmosfera controllata e al buio), il caffè si può mantenere per molti mesi senza apprezzabili perdite organolettiche. La composizione dell’infuso di caffè varia in funzione del metodo di preparazione, ma le modificazioni chimiche non sono rilevanti al momento della preparazione, a parte una leggera perdita di sostanze volatili (aroma). Se l’infuso (la bevanda) è tenuto in caldo per molte ore, può verificarsi una idrolisi con conseguente aumento dell’acidità e modificazione nella composizione di sostanze volatili, in tal modo si modifica anche il sapore. La caffeina è un alcaloide, precisamente una 1,3,7 trimetilxantina che è presente non solo nel caffè ma si ritrova, in quantità minori, anche in altre bevande come il tè, la cioccolata, il matè e nelle bibite analcoliche dolci a base di cola. Nel caffè si ritrovano anche altre metilxantine, come la 1,3 dimetilxantina, meglio nota come teofillina prevalentemente presente nel tè, e la 3,7 di-metilxantina, nota come teobromina della cioccolata. Il ruolo della caffeina nel caffè non è unicamente quello di modularne il gusto; la sua funzione farmacologica è ben riconosciuta e impegna ancora oggi, a 180 anni dalla sua scoperta, molti ricercatori in numerosi studi (vedi in seguito). Nella tabella 3 sono mostrati i principali effetti farmacologici . 7 Tabella 3. Effetti farmacologici delle metilxantine su alcuni sistemi e organi Sistema/organo effetti della caffeina/teofillina Cardiovascolare Cuore Ionotropico/Cronotropico Positivo Vascolarizzazione Coronarie Dilatazione Renale Dilatazione Periferica Dilatazione Centrale Costrizione Respiratorio Broncodilatazione Stimolazione della respirazione Renale Diuresi Stimolazione del rilascio della renina Gastrointestinale Stimolazione della secrezione gastrica Muscolatura liscia Rilassamento Adiposo Stimolazione della lipolisi Piastrinico Inibizione dell’aggregazione Nervoso Centrale Stimolazione JW Daly. In: Caffeine, Coffee and Health. Edited by S. Garattini 8 Alle dosi comunemente consumate attraverso il caffè, i suoi effetti sono assai modesti; per avere gli effetti farmacologici tipici, bisogna consumarne dosi molto elevate in un tempo piuttosto ristretto (circa 300 mg, equivalenti a 4-6 caffè moka o espresso in unica dose), data la breve emivita della caffeina. Questa è una situazione difficilmente realizzabile con il normale consumo di caffè. caffè all’italiana (espresso o moka) il contenuto di caffeina per tazza varia dai 40 agli 80 mg (se di pura Arabica) ed è inferiore alla caffeina contenuta in una tazza di caffè filtrato di tipo americano. Nella tabella 4 è riportato il quantitativo medio di caffeina in alcune bevande. La caffeina, se ingerita in unica dose di 4 mg/kg di peso corporeo ha una emivita di 2.5-4.5 ore. Nell’adulto, tale emivita rimane identica nelle varie fasce di età. La caffeina, essendo eliminata con le urine sottoforma di numerosi metaboliti, non può quindi determinare fenomeni di accumulo se la sua ingestione è frazionata durante la giornata. L’emivita di questa sostanza diminuisce nei fumatori e ciò potrebbe spiegare il maggior consumo di caffè che spesso si osserva in individui con tale abitudine. Tabella 4. Contenuto medio stimato di caffeina in alcune bevande e alimenti Bevanda o alimento Bevande a base di cola Caffè americano Decaffeinato Espresso o moka Istantaneo Istantaneo decaffeinato Cappuccino La caffeina, come le altre metilxantine, è metabolizzata dal sistema enzimatico microsomiale epatico. Questa sembrerebbe essere l’unica via metabolica nell’organismo umano poiché non è mai stato rilevato il coinvolgimento di altri organi. Il metabolismo della caffeina è piuttosto stabile. Infatti, negli studi condotti su un gruppo di volontari sani, si è notato che alle dosi giornaliere di 480 mg (Clin Exp Pharm Physiol 1986, 13:731-736), protratte per una settimana, il metabolismo e la farmacocinetica della caffeina non subisce modificazioni. Valutare il consumo di caffè è relativamente facile, mentre è molto difficile misurare o semplicemente stimare il consumo di caffeina, ciò per una serie di motivi tra cui vanno ricordati il tipo di miscela di caffè utilizzata, la quantità di polvere di caffè usata, il metodo di preparazione, la quantità nelle tazze, ecc. Solo con opportune approssimazioni ed estrapolazioni si può valutare il contenuto medio di caffeina «per tazza». Nel nostro Cioccolata (barretta di 60 g) Tè quantità 35-50 mg per lattina 115-120 mg per tazza <5 mg per tazzina 40-80 mg per tazzina 65-100 mg per tazzina <5 mg per tazzina 70-80 mg per tazza 30-40 mg 40-50 mg per tazza CoSIC (Coffee Science Information Centre) e Autori Vari 9 Effetti della caffeina sull’organismo Le ragioni del consumo così diffuso del caffè possono essere reperite sia nelle sue qualità aromatiche (olfattive e gustative), sia nei suoi effetti moderatamente stimolanti, e ristoratori, dovuti alla caffeina e ad altre sostanze attive del caffè. In medicina, la caffeina viene utilizzata diffusamente sia tal quale sia in combinazione con i farmaci analgesici nelle preparazioni per combattere il dolore (Neurology. 2004 Dec 14;63(11):2022-7); il suo uso clinico è comunque inferiore a quello della teofillina, utilizzata come broncodilatatore. 10 Sebbene la caffeina sia classificata comunemente come una sostanza psicostimolante (come le anfetamine e la cocaina), non ci sono dubbi che i suoi effetti siano di assai modesta entità. A differenza delle altre sostanze psicostimolanti, essa non induce assuefazione e la dimostrazione deriva dal fatto che chi abitualmente la consuma, e ne trae beneficio, non sente la necessità di aumentarne la dose. Inoltre, non induce comportamenti socialmente pericolosi. Recentemente è stato discusso il fatto se la caffeina debba essere considerata una sostanza stimolante in generale o piuttosto uno «stabilizzatore dell'attenzione» (Neuropsychopharmacology. 2004 Dec 08). L’orientamento è senz’altro verso la sua azione che esalta l’attenzione e lo stato di allerta e non verso una generica stimolazione psichica (J Occup Environ Med. 2004 Dec;46(12):1194). Sugli effetti psicostimolanti della caffeina sono stati condotti numerosi lavori, moltissimi dei quali su animali e in misura minore sull’uomo. Le dosi di caffeina impiegate, nei vari studi, sono state sempre nettamente al di sopra delle dosi comunemente presenti nella tazzina di caffè; usualmente nelle somministrazioni acute vengono impiegate dosi che variano dai 3 ai 10 mg/kg di peso corporeo, pari a 200-600 mg per un soggetto adulto, il che equivale a 3-8 tazze di caffè somministrate contemporaneamente. Le basi farmacologiche dell’azione della caffeina sul sistema nervoso centrale (SNC) possono essere principalmente attribuite alla sua interazione con il sistema adenosinergico: la caffeina ed altre metilxantine sono inibitori competitivi nei recettori cerebrali dell’adenosina (Basic Clin Pharmacol Toxicol. 2004 Dec;95(6):299-304). A più alte dosi, la caffeina interagisce anche con altri sistemi neutrotrasmettitori. Studi fisiologici, farmacologici o comportamentali indicano che la caffeina agisce sulla sintesi e sul turn-over delle catecolamine. Gli effetti della caffeina sul comportamento sono dovuti all’azione sul SNC, ma la caffeina influenza anche il sistema nervoso periferico controllando le funzioni dei sistemi renale, cardiovascolare e respiratorio. Come molti altri farmaci, l’esposizione prolungata alla caffeina induce tolleranza per alcuni effetti. Nei roditori si è osservato che dopo 1-3 giorni la dose di caffeina somministrata era meno efficace sull’attività locomotoria. Questa tolleranza, come è stato già detto, si perde nello stesso breve tempo. Pochi sono gli studi condotti in tal senso nell’uomo. La relazione esistente tra somministrazione acuta di caffeina e innalzamento della pressione sanguigna, riscontrata in molti studi, e l’assenza di tale associazione con il consumo prolungato, indicano che anche nell’uomo si sviluppa tolleranza in breve tempo (vedi in seguito). Va inoltre segnalato che, oltre a quelli sulla pressione del sangue, molti altri effetti della caffeina si osservano solo dopo somministrazione acuta, su individui che sono stati mantenuti senza caffeina per il tempo necessario al «wash-out», ossia dopo aver «perso» la tolleranza. Ne rappresenta un esempio l’effetto termogenetico che la caffeina induce nell’uomo, 11 Caffè e malattie 12 innalzando il dispendio energetico, dopo la sua ingestione, di circa 100 kcal (Int J Obes Relat Metab Disord. 2002 May;26(5):590-2; Pharmazie. 2004 Nov;59(11):819-23; Am J Clin Nutr. 2003 Jun;77(6):1442-7). Tale effetto, anche se in maniera meno accentuata, permane anche durante l’abituale consumo di caffè e questa proprietà risulta alquanto importante poiché, in un momento storico in cui lo stile di vita dell’uomo è particolarmente sedentario e non consente di «spendere» efficacemente l’energia introdotta con la dieta, la caffeina aiuta a dissipare energia a spese di un suo eventuale deposito sotto forma di tessuto adiposo. Se all’effetto termogenetico si aggiunge anche la proprietà della caffeina di stimolare e migliorare la utilizzazione dell’energia per il lavoro fisico a partire dai substrati lipidici (Exerc Sport Sci Rev. 2004 Oct;32(4):143-7), risulta chiaro come la caffeina, alle abituali dosi di consumo con il caffè, possa contribuire al mantenimento del peso corporeo e ad utilizzare al meglio le fonti energetiche dell’organismo. Oltre alla dose ed alla tolleranza, ci sono da tenere in considerazione altri fattori che possono modulare gli effetti della caffeina, come ad esempio la variabilità umana dovuta alla personalità dell’individuo, all’età (i giovani, gli adulti e gli anziani possono dare differenti risposte), ecc. Altri effetti della caffeina possono ricercarsi nei tempi di reazione che sono stati visti ridursi con dosi medie di caffeina, mentre a dosi elevate non si riscontrano effetti in proposito (Brain Res Cogn Brain Res. 2004 Sep;21(1):87-93). Su questo aspetto incide notevolmente la variabilità individuale e gli effetti sono diversi tra i forti e i bassi consumatori di caffeina. Ciò è vero anche per gli effetti sulla vigilanza, dove entra in gioco il compito specifico che si sta svolgendo. Il caffè, tra le sostanze ad uso umano, è quella che è stata maggiormente studiata in relazione ad una serie di malattie cronico-degenerative che spaziano dall’infarto del miocardio, aritmie, ipertensione, iperlipidemia, gotta e ansietà alla malattia fibrocistica del seno, a vari tipi di cancro ai difetti alla nascita ed anche all’osteoporosi; e come il caffè e la caffeina è raro trovare sostanze che siano state cosi profondamente investigate. La letteratura scientifica è quindi ricchissima di studi tendenti a chiarire gli effetti del caffè sulla salute. Dall’esame dell’abbondante bibliografia esistente è oggi possibile affermare che il caffè non nuoce alla salute. Caffè e mortalità generale Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato la completa assenza di effetti del consumo di caffè sulla mortalità generale nelle comunità esaminate. Sui rapporti tra ipertensione e consumo di caffè, poco era ancora chiarito prima che fosse condotto uno studio su oltre 10.000 pazienti ipertesi. Lo scopo di questo classico studio era quello di esaminare la mortalità generale e per cause specifiche e metterla in relazione al consumo abituale di caffè durante la vita di questi pazienti. Oltre al caffè, sono state prese in considerazione anche altre fonti di caffeina, come bevande e farmaci. Da questo studio, svolto per circa 10 anni nella contea di Evans in Georgia (USA) (J Chronic Dis. 1979;32(9-10):673-7), si può concludere che non ci sono evidenze a sostegno dell’ipotesi che il livello di consumo di caffè o di caffeina si associ ai tassi di mortalità generale, o alla mortalità per causa specifica come l’ictus, la malattia coronarica o il cancro tra i pazienti studiati. Altri studi successivi hanno confermato questa osservazione anche su individui liberi da malattia o affetti da patologie diverse dall’ipertensione (Am Heart J. 2004 Jun;147(6):999-1004.; Ann Epidemiol. 2003 Jul;13(6):419-23). 13 Caffè e pressione Gli effetti metabolici sulla pressione del sangue esercitati dal caffè sono stati studiati sia a breve che a lungo termine (Br J Clin Pharmacol. 1983 Jun;15(6):701-6). Come già osservato dagli studi epidemiologici, sul breve termine, cioé la somministrazione acuta della caffeina, si registra un innalzamento pressorio che rientra nel giro di uno-due giorni; sul lungo termine invece, non si riscontra alcuna variazione della pressione. Questo risultato è dovuto al breve tempo che occorre all’organismo per «adattarsi» al consumo della caffeina, cioè alla «tolleranza», che nello stesso breve tempo si perde (Circulation. 2003 Aug 12;108(6):e38-40). 14 La tolleranza si instaura, entro breve tempo, anche dopo somministrazione di dosi acute molto elevate di 250 mg. Sia negli studi condotti su soggetti sani che negli studi su ipertesi, nei quali sono stati presi in considerazione una serie di parametri fisiologici legati alla pressione sanguigna, come l’attività reninica, le catecolamine plasmatiche, la funzione baroflex, il sistema nervoso simpatico, si è visto che sempre si sviluppa una tolleranza, che si perde entro breve tempo con la sospensione del consumo di caffè (J Clin Hypertens (Greenwich). 2002 Nov-Dec;4(6):434.). Ciò spiega perché nei consumatori abituali di caffè la pressione sanguigna è generalmente più bassa rispetto ai non consumatori (Circulation. 2002 Dec 3;106(23):2935-40; Clin Sci (Lond). 1987 Apr;72(4):443-7). Oltre agli effetti della caffeina, ci sono anche gli effetti diuretici della bevanda caffè e il contenuto in potassio (J Pharmacol Exp Ther. 2004 Dec 8). Un aspetto molto interessante, circa il rapporto tra caffeina e pressione arteriosa, è quello che si può osservare nelle persone anziane. Gli anziani, com’è noto, subiscono una diminuzione della pressione sistolica dopo il consumo di un pasto. Il calo inizia immediatamente dopo l’ingestione degli alimenti e si protrae durante la digestione, è un fenomeno che può provocare anche seri disturbi. Gli anziani, che abitualmente bevono una tazzina di caffè o tè subito dopo aver mangiato, mostrano un abbassamento della pressione molto più limitato o non lo mostrano affatto rispetto a coloro che non li bevono (Clin Exp Pharmacol Physiol. 1996 Jun-Jul;23(6-7):559-63). Ciò è dovuto all’effetto acuto della caffeina sulla pressione sanguigna. Tale effetto svanisce entro poche ore (il tempo di vita della caffeina), lasciando che la pressione si stabilizzi ai valori abituali. Per i soggetti anziani ipertesi è bene che sia il medico ad indicare loro il modo e la quantità di caffè o tè da consumare (Eur J Clin Nutr. 1999 Nov;53(11):831-9). 15 Caffè e cuore Il rischio di malattia coronarica (MC) e più in particolare il rischio di infarto del miocardio (IM) associato al consumo di caffè è un argomento ampiamente dibattuto a livello epidemiologico. Per quanto riguarda la mortalità per malattie cardiovascolari, da altri studi epidemiologici, sempre condotti nella contea di Evans in Georgia, la mortalità non è risultata associata al consumo di caffè. 16 Studi più recenti hanno ulteriormente evidenziato la non associazione tra le malattie cardiovascolari e il consumo di caffè (Am Heart J. 2004 Jun;147(6):999-1004; Prev Med. 2004 Jul;39(1):128-34). In particolare, nello studio scozzese Hearth Health Study (J Epidemiol Community Health. 1999 Aug;53(8):481-7) studio tra i più importanti degli ultimi anni, è risultato che il consumo di caffè è fortemente associato in maniera inversa alla malattia cardiaca, vale a dire che il suo consumo risulta addirittura protettivo. Nello stesso studio, in cui è stato preso in esame anche il consumo di tè, si è visto che con il tè l’associazione negativa persiste ma è più debole rispetto al caffè. Recentemente è molto dibattuto il rapporto tra consumo di caffè e livelli di omocisteina nel sangue. L’associazione tra omocisteina e rischio cardiovascolare è stata osservata negli studi, ma non è stato ancora ben chiarito il rapporto di causalità. Sul consumo di caffè e omocisteina, ci sono studi che sostengono la relazione (Am J Clin Nutr. 2004 May;79(5):713-4; Am J Clin Nutr. 2002 Dec;76(6):1244-8) ed altri che la escludono (Eur J Clin Nutr. 2004 Sep;58(9):1253-6). Su questo argomento si sta facendo chiarezza, ma sono necessari ancora altri studi. Queste considerazioni possono aiutare il medico pratico a formulare con maggiore sicurezza i consigli terapeutici da dare ai propri pazienti affetti da cardiovasculopatie. Comunque, l’insieme del quadro clinico e dell’esposizione ad altri fattori di rischio (fumo, sedentarietà, sovrappeso, ecc) del paziente può indicare al medico quando e quanto caffè (caffeinato o decaffeinato) sia consentito. Sui rapporti tra consumo di caffè e cuore si invita ad approfondire le conoscenze leggendo l’opuscolo «Caffè e Cuore» della stessa serie , specifico sul tema. 17 Caffè e diabete Caffè e Parkinson Tra consumo di caffè e rischio di diabete di tipo 2 sembra esistere una relazione inversa: i soggetti sani, consumatori abituali di caffè, sarebbero protetti, rispetto ai non consumatori, dalla malattia. Un consumo moderato di caffè, pari a 1-3 tazzine al giorno, sembra essere protettivo nei confronti della malattia di Parkinson (Ann Neurol. 2001 Jul;50(1):56-63). L’evidenza deriva da alcuni studi recenti che hanno dimostrato una relazione inversa, statisticamente significativa, tra consumo abituale di caffè e rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, sia nell’uomo che nella donna (Ann Intern Med. 2004 Jan 6;140(1):1-8). 18 Altri studi, pur non dimostrando una palese associazione inversa, escludono comunque l’esistenza di una relazione tra il consumo di caffè a lungo termine e l’insorgenza del diabete di tipo 2, sempre nelle persone sane (Diabetes Care. 2003 Jul;26(7):2211-2). Questo problema non è ancora del tutto chiarito, anche se le evidenze scientifiche lascerebbero ben sperare per le persone sane. Permangono ancora dei dubbi nelle persone con diabete di tipo 2, per le quali l’assunzione acuta di caffè indurrebbe complicazioni nel trattamento della glicemia (J Nutr. 2004 Oct;134(10):2528-33). Allo stato attuale si potrebbe escludere qualsiasi relazione negativa tra caffè e rischio di malattia diabetica, mentre permane la difficoltà nel compensare la malattia nei soggetti con diabete di tipo 2 nel cui stile di vita rientra anche il consumo di caffè. La relazione tra consumo di caffè e malattia segue una curva con andamento ad U, vale a dire che sia in assenza di consumo e sia in presenza di consumo eccessivo non si riscontra l’effetto protettivo, mentre alle dosi moderate di 1-3 tazzine l’effetto protettivo è massimo. Una simile osservazione è stata fatta anche nelle donne in postmenopausa non sottoposte a terapia ormonale, a differenza di quelle in terapia ormonale che, a causa dell’assunzione contemporanea di estrogeni, non beneficiano degli effetti protettivi (Neurology. 2003 Mar 11;60(5):790-5). Altri studi hanno dimostrato una riduzione del rischio di malattia di Parkinson con il consumo di caffeina derivante da altre bevande (tè, cola) e non con il consumo di caffè (Am J Epidemiol. 2002 Apr 15;155(8):732-8). Sebbene gli studi siano ancora insufficienti, i risultati fin qui riscontrati sembrerebbero sostenere una azione protettiva della caffeina nei confronti della malattia. 19 Caffè e apparato gastroenterico A 60 anni circa dalla prima osservazione circa un possibile ruolo del caffè nella genesi dell’ulcera peptica, le informazioni disponibili da studi controllati circa il reale ruolo negativo della bevanda ed i meccanismi patogenetici sono ancora contrastanti (Prog Clin Biol Res. 1984;158:331-54.; Eur J Gastroenterol Hepatol. 1998 Feb;10(2):113-8; Scand J Gastroenterol Suppl. 1999;230:35-9). 20 Certamente si può ritenere acquisito il dato che gli effetti gastrointestinali del caffè sono mediati non solo dalla caffeina, ma anche da altre componenti (cere da tostatura, aminoacidi, acidi volatili ad esempio) attive sulla secrezione acido peptica, sul funzionamento dello sfintere esofageo e sulla motilità del tratto gastroenterico (Dig Dis Sci. 1992 Apr;37(4):558-69). Se si esclude questa acquisizione, gli ipotetici meccanismi di danno sono ancora fonte di discussione. Discordi sono anche le conclusioni cui sono giunti gli studi concernenti le manifestazioni dispeptiche che, come è noto, riconoscono una patogenesi multifattoriale che coinvolge alterazioni della secrezione acida, della motilità gastrica, della sensibilità del sistema nervoso enterico. Il caffè decaffeinato, e non, stimolerebbe l’increzione di gastrina, ma esplicherebbe una variabile influenza sulla secrezione acida, aumentata od invariata, in relazione alle diverse condizioni sperimentali, con caffeina o senza, in polvere o solubile, con o senza cere protettive. Riguardo l’infezione da Helicobacter non sembrano esserci associazioni con il consumo di caffè (Int J Epidemiol. 2002 Jun;31(3):62431). Meglio definito sembra il ruolo della bevanda sulla motilità gastrica. Si è documentato che il caffè rilascia il fondo gastrico, ma non riduce il tempo di svuotamento dello stomaco e non correla con manifestazioni soggettive quali nausea, dolore, senso di ripienezza. Le informazioni riguardanti il ruolo della bevanda sulla funzione del piccolo intestino e del colon sono ancora insufficienti ma piuttosto omogenee. Si è osservato che il caffè, a differenza della caffeina, stimola l’assorbimento di acqua e di sodio da parte del digiuno. Quindi, una o più sostanze attive della bevanda sembra siano in grado di antagonizzare efficacemente l’effetto eccitosecretorio della caffeina. Per quanto attiene all’attività motoria, si è documentato che il caffè non influenza il pattern motorio del piccolo intestino, ma è in grado di stimolare l’attività propulsiva del colon, in modo sovrapponibile a quella di un pasto ed indipendentemente dal contenuto di caffeina. 21 In conclusione, le informazioni sperimentali disponibili circa gli effetti gastrointestinali del caffè sono insufficienti per trarre indicazioni sicure circa l’atteggiamento da tenere nei soggetti con disturbi del tratto gastroenterico superiore. Certamente un proibizionismo indiscriminato sembra ingiustificato nella stessa misura di una diffusa liberalizzazione. Sembra ragionevole, pertanto, un atteggiamento di consenso o di proibizione all’apporto della bevanda non in maniera preconcetta, ma in relazione alla tollerabilità soggettiva del paziente Per maggiori informazioni ed approfondimenti sui rapporti tra caffè e apparato gastroenterico si invita a leggere l’opuscolo della stessa serie «Caffè e Apparato gastroenterico», specifico sul tema. Caffè e cancro I rapporti tra consumo di caffè e rischio di cancro sono stati esaminati attentamente, analizzando i risultati di numerosi studi epidemiologici. I dati sono largamente rassicuranti per diversi siti di cancro incluse le neoplasie della cavità orale, dell’esofago, dello stomaco, del fegato, del seno, dell’ovaio, del rene e del reticolo linfatico. Particolare attenzione è stata riservata a tre siti di cancro: il pancreas, il tratto colon-retto e la vescica. 22 La possibile associazione tra consumo di caffè e cancro del pancreas è stata oggetto di numerosi studi in seguito alla pubblicazione di un rapporto del 1981. Solo uno, sui 19 studi pubblicati nei successivi 10 anni, ha mostrato una associazione positiva significativa, negli altri 18 non è stata trovata alcuna associazione. Oggi, gli studi sono molto più numerosi e hanno fornito una ulteriore sostanziale garanzia sul fatto che il consumo di caffè non sia associato al cancro del pancreas (Prev Med. 1995 Mar;24(2):213-6). Per quanto riguarda il cancro del colon-retto, in quattro studi di coorte condotti 10-15 anni fa non era stata osservata alcuna relazione tra consumo di caffè e cancro del tratto colon-retto. Tra 12 studi caso-controllo risalenti agli anni ‘90, nove hanno trovato un ridotto Rischio Relativo (RR) di questo cancro tra i consumatori di caffè; due studi non hanno trovato alcuna relazione e solo uno ha trovato un RR superiore all’unità. Studi più recenti (Eur J Cancer Prev. 2002 Apr;11(2):137-45; Gut. 2001 Jul;49(1):87-90) confermano quanto riscontrato precedentemente chiarendo, così, qualsiasi dubbio. Si può quindi escludere dalle evidenze che il caffè possa rappresentare un fattore di rischio per il cancro del colon anzi, le evidenze scientifiche gli attribuiscono addirittura una capacità di protezione per questa forma di cancro. Una plausibile spiegazione biologica è stata suggerita in funzione della capacità del caffè di sequestrare gli acidi biliari riversati nell’intestino e di stimolare una maggiore secrezione di steroli neutri. Nel caso del cancro della vescica, oltre 30 studi caso-controllo sono stati condotti negli ultimi venti anni. In molti di questi studi, il Rischio Relativo (RR) tende ad essere più elevato nei consumatori di caffè rispetto ai non consumatori, ma tale aumento di rischio non è stato generalmente convincente né legato alla durata del consumo. Ciò consentiva di escludere, con una certa fiducia, una associazione forte tra consumo di caffè e cancro della vescica, ma nello stesso tempo indicava che il consumo di caffè poteva essere un indicatore di rischio. Rimaneva aperto il problema se questo indicatore non fosse specifico, e fosse dovuto invece a qualche fattore confondente o errore sistematico non identificato, oppure se esso includa qualche aspetto di causalità. Oggi gli studi sono molto più numerosi ed hanno ulteriormente scagionato il consumo di caffè come fattore di causalità (World J Urol. 2004 Feb;21(6):392-401. Epub 2003 Dec 17; Eur J Cancer Prev. 2002 Apr;11(2):137-45; J Epidemiol Community Health. 2002 Jan;56(1):78-9). 23 Caffè e... 24 Altri disturbi e altre malattie sono stati spesso associati al consumo di caffè. I disturbi premestruali, le nascite premature, la scarsa fertilità maschile, il basso peso alla nascita, l’osteoporosi, ecc. ne rappresentano alcuni esempi. calcio, metabolismo tra l’altro sempre attivo a tutte le età (Am J Clin Nutr. 2001 Nov;74(5):694-700). Dosi elevate di caffeina facilitano il rilascio del calcio dal tessuto osseo per equilibrare i livelli di calcio circolante. Su questi argomenti sono state eseguite numerose ricerche, dalle più approssimative a quelle sempre più approfondite e mirate. I primi risultati non sono serviti a chiarire i dubbi in proposito, a causa del basso numero di studi e dello scarso controllo degli stessi, o per le dosi di caffeina particolarmente elevate (circa 600 mg pari a circa 8 tazze di caffè) (Am J Epidemiol. 2003 Mar 1;157(5):456-66). Solo con l’aumento delle ricerche e con la loro migliore qualità è stato possibile escludere ogni associazione negativa tra consumo moderato di caffè e i disturbi suddetti (J Reprod Med. 1988 Feb;33(2):175-8. Am J Epidemiol. 1998 Apr 1;147(7):620-7. Rev Saude Publica. 2002 Apr;36(2):180-7). Con una dieta povera di calcio, ed in particolare nel periodo postmenopausa, anche in assenza di caffeina il calcio viene rilasciato con più facilità dal tessuto osseo; quando la dieta è adeguata o più ricca in calcio l’equilibrio è più stabile e il calcio viene rimosso in minor quantità (Am J Epidemiol. 1996 Oct 1;144(7):642-4). Le nascite premature o il basso peso alla nascita, per esempio, sono stati associati al consumo di caffè durante tutta la gravidanza, senza controllare se la gravidanza avesse o meno un decorso normale. In realtà, una gravidanza con decorso normale ha un periodo iniziale in cui la gestante ha fenomeni di nausea che fanno escludere molti alimenti e bevande dal gusto forte e pungente. In assenza di nausea, la gravidanza non può essere considerata completamente normale e nello stesso tempo la gestante non esclude nulla dalla sua abituale dieta. È, quindi, difficile stabilire se la nascita prematura o il basso peso del neonato sia imputabile al consumo di caffè o alla qualità della gravidanza. Poiché le ricerche recenti (Nutr Rev. 1996 Jul;54(7):203-7) escludono ogni effetto teratogeno del caffè e della caffeina sul feto, è più logico pensare che le cause siano da ricercare nell’impianto della gestazione e non nel consumo di caffè. Per quanto riguarda l’osteoporosi, un altro esempio, è noto che la caffeina interagisce con il metabolismo osseo del Alcuni studi più recenti, in cui è stato controllato se il consumo di caffè avvenisse con o senza la presenza di latte nella dieta (latte come fonte di calcio), si è visto che il consumo di caffè in presenza di latte non facilita la fuoriuscita di calcio dalle ossa. Anche in questo caso, è difficile attribuire la perdita di calcio osseo al caffè e non alla dieta povera. Per maggiori approfondimenti su questi argomenti si consiglia di leggere l’opuscolo della stessa serie «Caffè e Donna». 25 Il caffè fa bene? I dati a sostegno del consumo di caffè non sono soltanto quelli che smentiscono il suo presunto pericolo per la salute. Gli studi più recenti, infatti, ne hanno evidenziato anche proprietà positive sul benessere di tutto l’organismo. Innanzitutto l’azione sul sistema nervoso centrale (Brain Res Cogn Brain Res. 2004 Sep;21(1):87-93). 26 Chiunque beva il caffè sa bene che dopo una tazzina ci si sente più attivi ed energici. La caffeina, infatti, stimola la capacità di concentrazione, aumenta il rendimento sul lavoro, risveglia le facoltà mentali, potenzia la memoria e attenua il mal di testa (Hum Psychopharmacol. 2000 Dec;15(8):573-581; Psychopharmacology (Berl). 2002 Nov;164(3):241-9). Inoltre fa respirare meglio perché dilata i bronchi. Nelle persone sane fa digerire con più facilità perché aumenta la produzione di succhi gastrici e quella della bile prodotta dal fegato e necessaria alla digestione dei grassi. Il caffè poi fornisce importanti sostanze antiossidanti e può aiutare a perdere peso. Quando si parla di peso e chili di troppo, la prima caratteristica importante del caffè è che questa bevanda di per sé non fornisce calorie. Ciò significa che una tazzina di caffè, consumata senza l’aggiunta di latte o zucchero, non supera le 2 calorie, praticamente niente in rapporto all’apporto calorico quotidiano. È da considerare, inoltre, che il caffè favorisce la termogenesi, ossia il consumo di calorie per alcune funzioni organiche, accelera il metabolismo energetico, può favorire la diuresi con l’eliminazione delle tossine accumulate nei tessuti e infine può avere un’azione anoressizzante, aiutando chi è a dieta ad avvertire meno la fame. Zucchero a parte, gli effetti positivi sulla dieta e sul controllo del peso sono tipicamente legati alla presenza della caffeina e quindi il decaffeinato può avere qualche vantaggio in meno da questo punto di vista. È invece in tutto e per tutto uguale al caffè originale quando si considera il suo contenuto in antiossidanti, ossia le sostanze capaci di combattere i radicali liberi e i danni cellulari, in vitamine e in potassio. Un recente studio ha addirittura messo in evidenza come il caffè possa combattere l’ossidazione delle LDL, ossia del colesterolo «cattivo», che è alla base dei processi di aterosclerosi assai pericolosi per il cuore. Secondo recenti lavori (J Agric Food Chem. 2002 Oct 9;50(21):6211-6), consumare il caffè alla fine di un pasto a base di alimenti ad elevato potenziale ossidante, come i fritti, protegge le LDL dall’ossidazione. Tutto ciò naturalmente a patto di non esagerare o concentrare il consumo entro un tempo ristretto, altrimenti si rischiano i disturbi tipici da eccesso di caffeina: tremori, insonnia, nervosismo. Disturbi che molte persone provano anche dopo una sola tazzina di caffè. Tali individui sono particolarmente sensibili all’azione della caffeina e vanno incontro ai disturbi tipici degli eccessi anche con l’ingestione di quantità ridotte di caffè. In questi casi non si deve necessariamente accantonare il piacere del caffè, ma ricorrere, in alternativa, al caffè decaffeinato: con un contenuto bassissimo di caffeina ma con tutti gli altri principi attivi del caffè originale. 27 Sommario 28 Introduzione Il caffè La caffeina Effetti della caffeina sull’organismo Caffè e malattie Caffè e mortalità generale Caffè e pressione Caffè e cuore Caffè e diabete Caffè e Parkinson Caffè e apparato gastroenterico Caffè e cancro Caffè e... Il caffè fa bene? 2 3 7 10 13 13 14 16 18 19 20 22 24 26 Coordinamento editoriale Weber Shandwick Italia Grafica e impaginazione Café - Grafica e Comunicazione Stampa Litogramma Stampato in gennaio 2005