Documenti per la Salute 19
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Nuova governance
in una rete di comunicazione
Atti 8a Conferenza Nazionale
degli Ospedali per la Salute
Riva del Garda, 24-25 settembre 2004
A CURA DI:
PAOLO DE PIERI
LORELLA MOLTENI
AZIENDA PROVINCIALE PER I SERVIZI SANITARI
EDIZIONI PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
ASSESSORATO ALLE POLITICHE PER LA SALUTE
Trento 2004
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
© copyright Giunta della Provincia Autonoma di Trento, 2004
Collana
Documenti per la Salute - 19
Assessorato alle Politiche per la Salute
Servizio Innovazione e formazione per la salute
Via Gilli, 4 – 38100 Trento
tel. 0461 494037, fax 0461 494073
e-mail: [email protected]
www.trentinosalute.net
Nuova governance in una rete di comunicazione
Atti 8a Conferenza Nazionale degli Ospedali per la Salute
Riva del Garda, 24-25 settembre 2004
A cura di: Paolo De Pieri, Lorella Molterni
Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari - Trento
Coordinamento editoriale: Vittorio Curzel
Conferenza nazionale degli ospedali per la promozione della salute, 8.,
Riva del Garda, 2004
Nuova governance in una rete di comunicazione : atti 8° conferenza nazionale degli
ospedali per la promozione della salute : Riva del Garda, 24-25 settembre 2004 / a cura
di: Paolo De Pieri, Lorella Molteni. – Trento : Provincia autonoma di Trento. Assesso­
rato alle politiche per la salute, 2004. – 320 p. : 24 cm. - (Documenti per la salute ; 19)
ISBN: 88-7702-092-X
1. Ospedali – Organizzazione – Congressi – Riva del Garda – 2004 2. Assistenza
ospedaliera - – Congressi – Riva del Garda – 2004 I. Tit. II. De Pieri, Paolo III.
Molteni, Lorella
362.1106
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Presentazione
La sfida forse più importante dei processi di riforma sanitaria nazionale e
provinciale che si sono susseguiti dal 1978 ad oggi, quella che delinea la for­
ma, l’organizzazione e l’operatività del Servizio sanitario nazionale e provin­
ciale, ha riguardato e riguarda la “territorializzazione dei servizi”.
Considerare e affermare nei servizi territoriali il punto cardine del sistema
sanitario, significa da una parte costruire una rete che consente alle varie
articolazioni organizzative di operare sinergicamente in un sistema unitario,
dall’altra instaurare un nuovo e qualificante rapporto con i cittadini, per quan­
to concerne la loro principale dimensione vitale, quella della salute.
È sempre più diffusa la certezza che la comunicazione sia un settore strate­
gico della Pubblica Amministrazione. Non soltanto per l’accresciuta consape­
volezza dei cittadini che sempre più richiedono di essere adeguatamente in­
formati e per l’emanazione di specifiche norme che cosiderano l’informazio­
ne come un diritto degli utenti e un dovere per gli Enti pubblici, ma anche per
il ruolo rilevante che la comunicazione può avere rispetto all’esigenza di
razionalizzare l’azione pubblica, ridurne le inefficienze e migliorare i servizi.
Ancor più evidente ci pare il fatto che la comunicazione sia un settore stra­
tegico nel campo delle politiche per la salute e della gestione dei servizi sanitari.
Nell’ambito di un approccio globale ai problemi della salute, comprenden­
te non solo il momento terapeutico e riabilitativo, ma anche la promozione,
l’educazione sanitaria e la prevenzione delle malattie, un’efficace comunica­
zione migliora il rapporto fra i produttori e gli utenti del servizio, elevando il
grado di consapevolezza, di partecipazione e di soddisfazione dei fruitori,
contribuisce all’attività di prevenzione delle malattie, influenzando positiva­
mente gli stili di vita della popolazione, coopera a garantire l’equità di accesso
e a migliorare l’efficacia e l’efficienza dei trattamenti attraverso una chiara,
corretta e completa informazione circa i servizi offerti e la loro dislocazione
sul territorio.
Inoltre il buon funzionamento dei processi comunicativi inerni costituisce
la condizione di base per lo sviluppo del Servizio Sanitario e per la razionaliz­
zazione degli interventi, assicurando l’ottimale interazione fra le varie struttu­
re, la condivisione di obiettivi e strategie e la complementarietà fra le azioni
intraprese, nella prospettiva di un approccio integrato e interdisciplinare ai
singoli problemi e di un utile interscambio di competenze ed esperienze pro­
fessionali.
La particolare attenzione tradizionalmente rivolta dai cittadini e dagli orga­
ni di informazione ai temi della salute e dell’assistenza sanitaria ci dice che il
buon funzionamento di un servizio sanitario è spesso considerato il punto
cruciale di un sistema territoriale. Attraverso la capacità di rispondere con ef­
ficacia ed efficienza alla domanda di salute della popolazione si misura capa­
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
cità di una Amministrazione pubblica di promuovere un modello avanzato di
società civile.
Anche per questa ragione dobbiamo tenere costantemente al miglioramen­
to e rivolgere un’attenzione continua ai problemi dell’evoluzione del Servizio
Sanitario, includendovi la comunicazione come strumento di governance.
L’Assessorato provinciale alle Politiche per la Salute considera dunque di
grande interesse ed utilità l’ottava Conferenza nazionale della Rete Italiana
degli Ospedali per la promozione della Salute (HPH) e volentieri contribuisce
alla sua realizzazione, accogliendo la richiesta dell’Azienda Provinciale dei
Servizi Sanitari di editarne gli atti, in una delle proprie collane.
Con l’augurio di un buon lavoro ai molti partecipanti che converranno a
Riva del Garda e con la consapevolezza che le conoscenze e le riflessioni, le
buone pratiche e i modelli interpretativi e organizzativi, le esperienze e i valo­
ri che nell’incontro saranno comunicati e discussi, potranno contribuire a mi­
gliorare gli ospedali italiani e integrarli sempre più in una rete di operatori e
strutture, capace di produrre buona assistenza e buona salute.
Remo Andreolli
Assessore provinciale
alle Politiche per la Salute
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Indice
13
Carlo Favaretti: Presentazione della Conferenza
Parte I: Sessioni Plenarie
Cap 1 Nuova governance in una rete di comunicazione
19
20
24
25
1.1. GARY COOK, Foundation Trusts and clinical governance: an
opportunity for supporting health promotion within
hospitals
1.2. FRANCESCA ODELLA, Reti sociali: una metafora per la società
complessa
1.3. NICOLA ZANARDI, Reti fisiche e luoghi virtuali. La comunica­
zione trasparente
1.4. OLIVER GRÖNE, New Governance in European Hospitals
Cap. 2 Le esperienze delle Reti regionali HPH in Italia
27
29
32
35
36
38
39
41
43
45
2.1. SIMONE TASSO, Rete veneta HPH: principali attività 2003-2004
2.2. PIERO ZAINA, Attività della Rete HPH piemontese
2.3. CARLO ALBERTO TERSALVI, L’esperienza della Rete lombarda
HPH
2.4. MARIELLA MARTINI, KYRIAKOULA PETROPULACOS, Il contributo
della Rete “Health Promoting Hospitals” alle politiche per
la salute della Regione Emilia-Romagna
2.5. FABRIZIO SIMONELLI, PAOLO MORELLO MARCHESE, MARIA JOSÉ CALDES
PINILLA, KATALIN MAJER, Lo sviluppo della Rete HPH Toscana
2.6. ROBERTO PREDONZANI, RITA GAGNO, L’esperienza della Rete
HPH ligure
2.7. ENRICO NAVA, PAOLO DE PIERI, LORELLA MOLTENI, ROBERTO
PANELATTI, Il contesto della promozione della salute e la
rete trentina HPH
2.8. GIORGIO GALLI, La Rete HPH valdostana: dal progetto di
salute al modello comunicativo
2.9. CRISTINA AGUZZOLI, MARIA TERESA PADOVAN, ADRIANA MONZANI,
DANILO SPAZZAPAN, CLAUDIO RIEPPI, DANIELE PITTIONI, GIANNI
CAVALLINI, La Rete HPH in Friuli Venezia Giulia
2.10. SARA DIAMARE, La Rete HPH della Campania: difficoltà e pro­
spettive
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Cap. 3 Gli ospedali per la promozione della salute nel contesto
multiculturale
47
48
51
3.1. ANTONIO CHIARENZA, Gli ospedali per la promozione della sa­
lute nel contesto multiculturale: il progetto europeo Migrant­
friendly hospitals ed altre iniziative della Rete HPH
3.2. ROSARIA AVISANI, Ospedale interculturale: dall’esperienza alle
Raccomandazioni
3.3. MARIA CATERINA DE MARCO, MAURIZIA BORDIN, Ospedale e terri­
torio interculturale. L’esperienza del gruppo veneto
Parte II: Sessioni parallele
Cap. 4 Gli standard e le strategie del movimento HPH
57
59
4.1. IRENA MISEVICIENE, Quality improvement of hospital care
through self-assessment of standards and indicators for
health promotion
4.2. JÜRGEN M. PELIKAN, Strategies for Health Promoting Hospitals
and their implementation
Cap. 5 Informazione, ascolto, comunicazione
61
63
65
66
68
70
5.1. FRANCESCA NOVACO, LAURA ALDROVANDI, VIOLA DAMEN, Rischio cli­
nico: il vissuto di professionisti e cittadini
5.2. LORENA FRANCHINI et al., Sperimentazione gestionale verso un
nuovo modello di governance: l’esperienza del nuovo ospe­
dale di Sassuolo
5.3. ANNA ZAPPULLA, FABRIZIO SIMONELLI, CARLO BARBURINI, DOMENICA
ARONNE, Il vissuto del ricovero ospedaliero nella rielaborazio­
ne del bambino
5.4. PAOLA GORETTI, MARCO BOSIO, ENRICO CRISTOFORI, ALBERTO ZOLI,
PIETRO CALTAGIRONE, Carta dei servizi sanitari e sistema quali­
tà secondo la Vision 2000
5.5. ROSANNA CERRI, FRANCO RIPA, LIA DI MARCO, Le segnalazioni del
cittadino: un modo di comunicare con l’azienda per un ospe­
dale centrato sulla persona
5.6. MARCELLA FILIERI, SERGIO ARDIS, ANTONELLA VINCENTI, GIUSEPPE
REMEDI, La progettazione partecipata come metodologia di
lavoro per l’umanizzazione degli ospedali in Toscana
Cap. 6 L’Ospedale senza barriere culturali
73
6.1. PATRIZIA SIRONI, SIMONETTA BIANCHI, NABIHA ARIF, La comunica­
zione transculturale
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
74
76
78
80
83
6.2. GIOVANNA VITTORIA DALLARI, STEFANIA RICCI, Come l’ospedale
interculturale promuove la salute dei cittadini stranieri im­
migrati a Bologna
6.3. VALERIA MANICARDI, EZIO BOSI, ZANICHELLI PIETRO, BODECCHI
SIMONA, “Diabete per capirsi”
6.4. ALESSANDRA PEDONE, RINA TORRIOLI, LUCIO COLONNA, MONICA CA­
LAMAI, Il progetto HPH “Intercultura” e l’integrazione nel
territorio: l’esperienza di Arezzo
6.5. VALENTINO LEMBO, RAFFAELLA BIONDI, ROBERTA PRANDI, MARIA CRI­
STINA CERATI, STEFANIA ZORZAN, Donne e minori di altri mon­
di e di altre frontiere
6.6. SIMONETTA FERRETTI, La Mediazione culturale al Policlinico
di Modena
Cap. 7 L’ospedale senza dolore
87
88
89
91
94
96
7.1. DONATELLA GIANNUNZIO, LEONARDO GALLI, ORNELLA BARDELLI,
MARISA BONVINI, SIMONETTA BIANCHI, Diffusione progetto ospe­
dale senza dolore dall’azienda ospedale al territorio
7.2. SIMONA CAPRILLI, MARIANNA SCOLLO ABETI, CATERINA TEODORI,
“Uso delle tecniche non farmacologiche in oncoematologia
pediatrica: l’esperienza del Servizio Terapia del Dolore del­
l’ospedale Meyer
7.3. FERDINANDO CADREGARI, ROBERTO BELLINI, GIANPIERO PATRUCCO,
FRANCESCO RICAGNI, Progetto ospedale senza dolore – ASL
21. Valutazione dei primi risultati
7.4. ANDREA VENEZIANI, ANTONIO MOLISSO, LUISA GAROFOLINI, BRUNELLA
LIBRANDI, La formazione degli operatori nel progetto ospe­
dale senza dolore
7.5. MARIA GRAZIA ALLEGRETTI, MICHELINA MONTEROSSO, GIOVANNI
MARIA GUARRERA, PAOLO ROMITI, DINO PEDROTTI, BENEDETTO
PARODI, BIANCA BORTOLAMEOTTI, FRANCA DALLAPÈ, CRISTINA
PONTALTI, ELISABETTA FONZI, ENRICO BALDANTONI, Indagine co­
noscitiva sull’utilizzo di farmaci analgesici nelle strutture
ospedaliere dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari
della provincia autonoma di Trento
7.6. SIMONE TASSO, MARCO VISENTIN, RENATA FERRARI, LEONARDO
TRENTIN, Il progetto “Ospedale e territorio contro il dolo­
re” della rete veneta HPH
Cap. 8 L’ospedale senza fumo
101
102
8.1. SIMONE TASSO, Il progetto anti-tabagismo nelle reti HPH
italiane attraverso l’utilizzo del questionario ENSH
8.2. MARINA BONFANTI, LUIGI MACCHI, VITTORIO CARCERI, Grado di
aderenza agli standard europei per il controllo del fumo
delle Aziende Sanitarie della Lombardia
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
105
107
8.3. GIORGIO GALLI, Verso un ospedale libero dal fumo
8.4. SARA DIAMARE, RENATO MONTELLA, ALFREDO SAVARESE, ANGELO
MONTEMARANO, “ASL NA1 Libera dal fumo”: un progetto di
rete “Ospedali per la promozione della salute” HPH
Cap. 9 L’empowerment dei pazienti, del personale e della comunità
111
113
116
118
120
122
124
125
9.1. ROSARIA AVISANI, ALFONSO CASTELLANI, SABINA GALLERI, NADIA
GUERCÈ, M. DORIS MARCHETTI, LUCIO MASTROMATTEO, ANNARITA
MONTEVERDI, SERGIO PAGHERA, PAOLO PEZZOTTI, ADALGISE PRICOCO,
BENEDETTA VENTURELLI, Effe Elle Esse: come conciliare tempo
famiglia lavoro salute
9.2. VANDA LAURO, MAURO CONTER, VITTORINO CALESTANI, SIMONETTA
BIANCHI, Dietoterapia in gravidanza: la consulenza nelle
gestanti sovrappeso/obese
9.3. TERESITA GROTTOLO, LORETTA BORTOLAMEOTTI, SANDRO CARPINETA,
Il Centro di Alcologia: promozione della salute dall’ospeda­
le al territorio
9.4. FABRIZIO ARTIOLI, KATIA CAGASSI, MARIA GRAZIA RUSSOMANNO, STE­
FANO CONCETTI, ANNE MARIE PIETRANTONIO, ANGELA RIGHI, Un mo­
dello assistenziale a supporto dei bisogni globali del paziente
oncologico
9.5. LIVIANA TAVANTI, GIANNA ALDINUCCI, IDA DI PAOLA, GIULIANO GIOR­
NI, DONATELLA NARDI, PAOLO GHEZZI, GIOVANNI CINTI, LUCIO CO­
LONNA, MONICA CALAMAI, Strategie globali e pratiche riflessive:
la promozione della salute degli operatori nella manipola­
zione dei farmaci antiblastici
9.6. SAURO FRANCESCHINI, SERGIO ARDIS, MORENO MARCUCCI, GRAZIELLA
DI QUIRICO, LUCIA PULITI, MAURO GIRALDI, Umanizziamo la mor­
te encefalica
9.7. LUISA SPIANI, ADRIANA DALPONTE, ROBERTA PIFFER, La presa in cura
del paziente fragile nel Dipartimento di Medicina interna
dell’Ospedale di Trento
9.8. CARLA STEFANIA RICCARDI, Salute, sport e stili di vita: “Chi si
ferma è perduto! 2”
Cap. 10 La continuità assistenziale
127
129
130
131
10.1. CLEMENTE PONZETTI, MASSIMO LEPORATI, ANGELO PENNA, CHIARA
GALOTTO, Integrazione Ospedale e Territorio: il progetto della
Rete HPH Piemonte - Valle D’Aosta
10.2. MARIA JOSÉ CALDÉS PINILLA, FABRIZIO SIMONELLI, Il progetto HPH
della ASL n. 3 di Pistoia come strategia per lo sviluppo della
promozione della salute nell’ottica della complessità
10.3. ANNA GRAZIA GIULIANELLI, Un Dipartimento per l’integrazione
sociosanitaria
10.4. DANILO ORLANDINI, FRANCO PRANDI, ROSANNA CARBOGNANI, CRISTI­
NA PEDRONI, ANTONIO CARBOGNANI, GIAMPAOLO GAMBARATI, ELENA
CASADEI TURRONI, PIERANTONIO MAGNANI, DANIELE GOVI, La pro­
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
133
135
gettazione multiprofessionale dei percorsi del paziente per
la garanzia di continuità assistenziale
10.5. ANNAMARIA GIAMPIETRI, Dimissioni protette nell’unità opera­
tiva malattie infettive
10.6. MARCELLA FILIERI, SERGIO CORTOPASSI, ROBERTO CAPIFERRI, GIU­
SEPPE MARTINI, MAIDA PERCO, RENZO PIZ, L’umanizzazione del
percorso assistenziale diabetico: il metodo delle “catego­
rie assistenziali” e il rapporto con gli standard internazio­
nali HPH
Cap. 11 La promozione della salute per i bambini e gli adolescen­
ti in ospedale
139
141
143
144
148
150
152
155
11.1. FABRIZIO SIMONELLI, MARIA JOSÉ CALDÉS PINILLA, KATALIN MAJER,
PAOLO MORELLO MARCHESE, Il progetto OMS “Promozione del­
la salute per bambini ed adolescenti in ospedale”
11.2. SEBASTIANO GUARNACCIA, DANIELA MANFREDI, EMANUELE D’AGATA,
BENEDETTA VENTURELLI, ROSARIA AVISANI, ENRICO COMBERTI, GIO­
VANNA FERRETTI, LUIGI DANIELE NOTARANGELO, RAFFAELE SPIAZZI,
Il Laboratorio Clinico Pedagogico per ottimizzare l’assi­
stenza pediatrica
11.3. FULVIA NEGRO, GEMMA ISAIA, ANNA PELOSO, ALGA BEVILACQUA,
IDA BERTOTTI, ROSALINDA GEMELLO, CARLA BAIETTO, FRANCESCO
ASTORINO, LUCIA CIRAMI, LAURA DE MICHELIS, CRISTINA ODDONE,
SILVIA MURDOCCA, Un’esperienza di lavoro multidisciplinare
sull’abuso e maltrattamento all’infanzia in un ospedale
pediatrico
11.4. EDVIGE GOMBACH, GIULIO ANDREA ZANAZZO, STEFANO RUSSIAN,
Assistenza domiciliare integrata nel bambino oncologico
11.5. ASSOCIAZIONE FAMIGLIE NEUROPSICHIATRIA INFANZIA ADOLESCENZA,
U. O. NEUROPSICHIATRIA INFANTILE OSPEDALE “G. SALESI”, “Ri-sco­
prirsi naturalmente”. Laboratorio multisensoriale per
disabili neuropsichici
11.6. RAFFAELE PIUMELLI, NICCOLÒ NASSI, LUCA LANDINI, ROSA GINI, ADA
MACCHIARINI, PAOLO MARCHESE MORELLO, La campagna regio­
nale di riduzione del rischio di morte improvvisa del lat­
tante (SIDS) in Toscana: rilevazione epidemiologica dei
fattori di rischio.
11.7. GUARESE OLGA, MADDONNI M. LUISA, STAFFIERI SIMONA, GROTTOLO
DONATELLA, L’allattamento al seno: ruolo degli operatori
sanitari
11.8. VINSANI NICOLETTA, MARIA CLAUDIA MENOZZI, AVE LUPI, PAOLA
CRISTOFORI, FAGANDINI PIERGIUSEPPINA, La “narrazione” dei sen­
timenti degli operatori come strumento professionale nel
lavoro sanitario in neonatologia e pediatria
Parte III: Sommario dei Poster
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
12
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Presentazione della conferenza
Le Conferenze Nazionali della Rete Italiana degli Ospedali per la Promozio­
ne della Salute (HPH) sono ormai diventate un importante appuntamento fis­
so. A partire dal 1997, le Reti regionali HPH si sono impegnate a sviluppare
questi momenti di incontro per sensibilizzare gli operatori sanitari, le istituzio­
ni e i soggetti sociali di riferimento sul tema della promozione della salute in
ospedale, per mettere a confronto progetti ed esperienze concrete, per accre­
scere il livello scientifico e metodologico delle iniziative sviluppate e per for­
nire un contributo al movimento internazionale impegnato nella promozione
della salute.
Nel 2004 l’onere e l’onore di organizzare la Conferenza è toccato alla Rete
Trentina degli Ospedali per la Promozione della Salute ed è quindi con gran­
de piacere che presento questa 8° Conferenza Nazionale HPH che si svolge a
Riva del Garda il 24 e 25 settembre sul tema “Nuova governance in una rete di
comunicazione”.
Il primo obiettivo della Conferenza è sintetizzato nel titolo: approfondire la
riflessione sui nuovi strumenti oggi necessari a governare i flussi organizzati­
vi, relazionali e comunicativi che esistono tra i diversi soggetti coinvolti nella
costruzione del sistema-salute e che creano una rete di interconnessioni mol­
to articolata. Pazienti, operatori, comunità servite, associazioni di volontariato,
istituzioni, mass media sono portatori ciascuno di una propria “cultura” della
salute: i comportamenti, le conoscenze, le credenze, i linguaggi, le norme e i
valori, i modelli interpretativi e organizzativi, le definizioni e i sistemi di clas­
sificazione, le ipotesi di soluzione sono diversi tra tutti questi soggetti e ciò
definisce prospettive e punti di vista differenti, a volte difficilmente
sovrapponibili e conciliabili tra di loro.
La necessità (e anche l’urgenza) di favorire una convergenza è ormai sotto
gli occhi di tutti. Sia le conoscenze maturate in ambito teorico (per esempio, i
sistemi complessi, la governance, le reti), sia quelle derivate dalla trincea del
quotidiano (per esempio, la gestione ordinaria dei pazienti cronici, il passag­
gio delle informazioni tra i diversi ambiti assistenziali, la disponibilità delle
risorse) sono ormai concordi nell’indicare che il miglioramento dell’assisten­
za e della salute può derivare solo da un approccio globale che “costringa” i
diversi soggetti a mettersi in relazione. Ciò non significa che bisogna solo
mediare i diversi interessi e le diverse culture, ma che ciascuno deve diventa­
re anche più competente, autonomo e responsabile nel suo ruolo di “co-pro­
duttore” dell’assistenza e della salute.
13
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Tale scenario è coerente con quanto discusso a Mosca nei mesi scorsi in
occasione della 12° Conferenza Internazionale degli Ospedali per la Promo­
zione della Salute, nel corso della quale si è discusso di come il Progetto HPH
può contribuire allo sviluppo complessivo dei sistemi sanitari. Il problema
quindi non è solo quello prefigurato agli inizi del movimento, e cioè di mi­
gliorare l’ospedale e trasformarlo in un “setting” che promuove la salute, ma
sta via via diventando quello di integrare sempre più l’ospedale nella catena
(chain / network / healthy alliances) che produce il valore di una buona assi­
stenza e di una buona salute, cioè il guadagno di salute prodotto da un setting
di cui l’ospedale è solo una parte.
Il secondo obiettivo dell’8° Conferenza è di favorire occasioni di incontro
tra quanti in Italia si stanno adoperando per facilitare questa transizione cultu­
rale e gestionale. Nel 2004 la famiglia italiana delle Reti regionali HPH formal­
mente riconosciute dall’OMS è ulteriormente cresciuta: la Rete della Campania
si è aggiunta a quelle di Veneto, Piemonte, Emilia-Romagna, Lombardia, Ligu­
ria, Toscana, Trentino, Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia.
Al di là delle occasioni di incontro personale tra i professionisti, un intero
pomeriggio della Conferenza è dedicato alla presentazione della attività con­
cretamente svolte dalle Reti e dagli ospedali aderenti (una sessione plenaria, 8
sessioni parallele di comunicazioni tematiche e la presentazione di quasi cen­
to poster). I contributi pervenuti al vaglio del Comitato scientifico per la pre­
sentazione di comunicazioni e poster sono stati numerosi e sempre più orien­
tati a documentare risultati ottenuti piuttosto che descrivere attività svolte o
presentare iniziative ancora da realizzare.
Il confronto avverrà sui temi della gestione del dolore, degli stili di vita,
dell’empowerment di pazienti e operatori, della multiculturalità, della conti­
nuità assistenziale. È interessante notare come anche dagli abstract presentati
si possano cogliere chiari tentativi di sviluppo di approcci globali che metto­
no in relazione l’ospedale con il resto della comunità ed è una tendenza senza
dubbio molto positiva che mostra come sia possibile dare forma concreta alla
rete di relazioni intrecciate dai diversi stakeholder.
Nel confronto però dovremo essere molto realisti e affrontare con serenità
due domande impegnative: a) le singole iniziative realizzate, quand’anche
ben sviluppate, sono frutto di una trasformazione complessiva dell’ospedale
oppure sono il risultato occasionale dell’impegno di pochi? b) l’interesse del­
l’ospedale per l’esterno è la naturale espansione di quanto viene fatto all’in­
terno oppure maschera di fatto una incapacità di incidere sulla sua organizza­
zione?
14
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Le premesse per un buon lavoro ci sono tutte: la voglia di fare da parte di
moltissimi operatori, il ricco contenuto scientifico da approfondire, l’ospitali­
tà di una zona del Trentino che, all’inizio dell’autunno, è in grado di offrire
occasioni di serenità dopo la formazione in aula. Mi auguro che questa 8°
Conferenza, al pari delle altre che l’hanno preceduta, lasci un piccolo segno
nella storia del movimento HPH italiano.
Carlo Favaretti
Coordinatore della Rete italiana HPH
e della Rete trentina HPH
15
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Parte I
Sessioni Plenarie
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 1
18
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 1
Nuova governance
in una rete di comunicazione
1.1. Foundation Trusts and clinical governance: an opportunity for
supporting health promotion within hospitals
GARY COOK - Consultant in Public Health, Stockport NHS Foundation Trust
Stockport NHS Foundation Trust or Stepping Hill Hospital (SHH) is a large
830 bedded District General Hospital providing a typical range of acute care
for children and adults. It lies in the southern part of the Greater Manchester
conurbation in North West England and serves a catchment population of
almost 300,000. Its SMR is close to the National average but it has an ageing
population. It is one of the first wave Foundation hospitals and can decide
locally on how to meet its obligations, as opposed to being directed by
Whitehall, and its policies and output are accountable to the community [1].
Wanless (2004) describes an optimal scenario that would result in
improvements in population health, in turn reducing the future demand for
health care services: “full engagement”[2]. The fully engaged scenario is
predicted to produce life expectancy increases beyond current forecasts, a
dramatic improvement in health status and public confidence in the health
system, and a demand for high quality care. The scenario shows that the
responsibility to improve the population’s health is not just the onus of the
NHS, it can only be achieved through the combined efforts of a range of
services. How is the fully engaged scenario to be achieved? One of the NHS’
responsibilities is to enable patients to make this informed choice by providing
accurate and accessible health promotion advice and interventions at all levels
of healthcare including secondary care.
The World Health Organisation (WHO) in their “Health Promoting
Hospitals” project aims to move secondary care away from a predominantly
“sickness service” to a service which focuses on the factors causing disease
(i.e. a “health driven” service) [3]. This and national policy emphasise the
importance of secondary care implementing programmes which will promote
health within NHS staff and patients. The issue addressed in this paper is
how can SHH, best contribute to the national public health agenda in light
of its newly gained status as a Foundation Trust? Steps have already been
implemented at SHH to promote health in staff and patients through the
19
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 1
“Healthy Hospitals Project”. This project involves a series of initiatives to
improve the hospital environment, address the health education needs of
patients and their families, promote staff health at work, and develop links
with other agencies and groups in joint health planning and disease
prevention. However, in order to justify the resources required to continue
this project it is paramount that the effectiveness of the initiatives is
investigated (in terms of the relationship between financial cost and the
benefits in increases in health and ensuing reductions in health care costs).
A series of research is proposed as a first step towards examining the provision
of health promotion at SHH and a step towards exploring how SHH might
implement the WHO standards utilising its Foundation status.
I wish to acknowledge the support and contribution to this work from Dr
Charlotte Haynes PhD CVD Register Co-ordinator Stockport NHS Foundation
Trust.
References
1. DEPARTMENT OF HEALTH, The health and personal social services programmes,
“Departmental report (Summary report)”, 2004, http://www.dh.gov.uk/assetRoot/
04/08/40/09/04084009.pdf.
2. PRICE, M., Healthy Hospitals Project Action Plan 2004/5 (Available on request from
Stockport NHS Trust).
3. WANLESS, D., Securing Good Health for the Whole Population. Final Report, 2004.
4. WHO E UROPE , Standards for Health Promotion in Hospitals, 2004, http://
www.euro.who.int/document/e82490.pdf.
1.2. Reti sociali: una metafora per la società complessa
FRANCESCA ODELLA - Docente presso la facoltà di Sociologia dell’Università di
Trento e presso la facoltà di Psicologia dell’Università di Trieste
Il concetto di rete, e nello specifico di rete sociale, si afferma nel corso degli
anni ’90 come metafora di forme di relazione, stati e condizioni tipici della so­
cietà nostra contemporanea [Mutti, 1996]. Se nel passato la società è stata conce­
pita attraverso la metafora dell’organismo, del sistema e del meccanismo, l’im­
magine della rete come rappresentazione della realtà sociale è diventata domi­
nante quando si parla di fenomeni sociali legati ai processi di creazione e diffu­
sione della conoscenza così come di produzione e circolazione di risorse eco­
nomiche e sociali. Perché di questo successo e da dove l’utilità del concetto?
In primo luogo perché l’idea della rete è semplice, immediata dal punto di
vista cognitivo, ma al tempo stesso consente di raffigurare aspetti complessi
20
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 1
ed interdipendenze fra elementi che possono – ma non necessariamente de­
vono – condividere specifiche caratteristiche. Come simbolo la rete si presta a
dare rappresentazione dell’intreccio fra dimensioni formali ed informali nella
vita sociale (la “rete” di conoscenze), della dimensione “locale” ed al tempo
stesso globalizzata del potere decentrato (la rete no-global, ma anche la “tra­
ma occulta” delle lobbies), per diventare, infine, strumento di intervento ed
azione nel sociale attraverso le relazioni sociali (la “rete”degli operatori, fare
“rete” intorno alle figure del disagio).
La dimensione di significato a cui fanno riferimento questi utilizzi del con­
cetto di rete sono però ancora prive di una vera riflessione su cosa implichi
per un soggetto, un individuo piuttosto che un’organizzazione essere “nodo”
o “maglia” di una rete. La seconda motivazione alla scelta del concetto di rete,
ed una risposta alla nostra domanda, la possiamo cogliere invece prestando
attenzione alle riflessioni che il sociologo G. Simmel ancora ai primi del Nove­
cento, fece sulla progressiva modificazione delle relazioni sociali nella società
moderna.
Simmel identificò una rilevante componente della condizione moderna nella
compresenza di complessità e particolarismo, per cui un individuo partecipa
a reti (o cerchiè, nella terminologia originale) di relazioni sociali che lo vedo­
no “connesso” come soggetto unico, dotato di caratteristiche di specificità, e
al tempo stesso come soggetto indifferenziato perché parte di una collettività
strutturata (dall’appartenenza professionale, associativa ma anche dall’origi­
ne sociale e geografica).
Questa partecipazione, tuttavia, va vista come un processo, in continua
evoluzione. Egli afferma, in particolare, che “dapprima il singolo si vede
in un ambiente che, relativamente indifferente verso la sua individualità,
lo incatena al proprio destino e gli impone una stretta coesistenza con
coloro accanto ai quali lo ha posto il caso della nascita; questo dapprima
significa tuttavia solo lo stato iniziale di uno sviluppo sia filogenetico sia
ontogenetico”.
Il percorso di ogni individuo, dunque, parte dalle cerchie familiari e locali,
non liberamente scelte per portare a quelle associative ed alle relazioni con
altre personalità con cui sente o ha oggettivamente un vincolo di comunanza,
di interesse, di finalità nell’agire (terminus a quo). È importante sottolineare
che per Simmel sono le associazioni ad essere considerate il luogo principale
in cui si dispiega il processo di sviluppo dell’individuo, ma non è difficile
pensare ad altri contesti sociali in cui l’individuo ha l’opportunità di condivi­
dere interessi, perseguire finalità comuni e attraverso queste sviluppare rela­
zioni sociali.
L’immagine della rete consente appunto di rappresentare questa posizione
dell’individuo, situato all’intreccio fra appartenenze multiple a scelta e impo­
ste dalla struttura sociale, dalla cultura, dalla logica del gruppo. In particolare,
21
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 1
porta la nostra attenzione sulle dinamiche della dipendenza e dell’inter­
dipendenza e quindi sulle possibilità che l’individuo e le organizzazioni han­
no di modificare la loro “rete”, di introdurre innovazioni e di iniziare a tessere
nuove reti.
Grazie a questa potenzialità euristica il concetto di rete e le specifiche
metodologie di indagine e di analisi hanno progressivamente conquistato ter­
reno nell’ambito delle scienze sociali, dalla sociologia, alla psicologia fino
all’economia e questo interesse è andato di pari passo con lo sviluppo di teo­
rie e modelli interpretativi di molti fenomeni sociali che si basano sull’idea di
rete.
In campo sociologico, per fare un esempio di rilievo, J. Coleman ha ela­
borato una teoria sulla diffusione di informazioni in campo medico fra due
diversi gruppi di medici: i medici ospedalieri e quelli che esercitano in
ambito ambulatoriale [Coleman, Katz e Menzel, 1957]. La sua analisi mo­
stra come lo scambio di informazioni sull’introduzione di nuovi farmaci
(indicazioni terapeutiche, trattamento) sia collegato alla struttura delle re­
lazioni sociali che si intrattengono fra colleghi, ed in particolare alla rete
dei contatti che ciascun medico mantiene con assiduità ed all’affidabilità
che viene attribuita alla valutazione dei colleghi membri del gruppo di
appartenenza.
Un’altra indagine citata fra i “classici” nel campo dell’analisi delle reti sociali
è quella svolta da M. Granovetter su un campione di professionisti nell’area
urbana di Los Angeles (1974). In questa indagine le reti sociali si rivelano uno
dei possibili strumenti attraverso cui le persone ricercano lavoro; in alcuni
casi questa modalità, osserva Granovetter, risulta essere la migliore in quanto
consente alle persone di cambiare ambiente e di trovare la posizione lavorativa conforme alle aspettative, oppure di accelerare i tempi di ricerca del lavo­
ro. Questa osservazione può sembrare scontata per chi appartiene ad un con­
testo culturale come quello italiano in cui le relazioni sociali ed i contatti so­
ciali “contano”, ma non lo è per il contesto anglosassone in cui la ricerca di
lavoro segue molto più spesso i canali formali (annunci, agenzie di colloca­
mento private).
Il lavoro di Granovetter, nello specifico, ebbe rilievo perché per primo por­
tò in evidenza che non erano i legami “forti” ovvero l’appartenenza a cerchie
sociali primarie nella terminologia di Simmel (relazioni parentali), che aiuta­
vano di più a trovare lavoro bensì i legami cosiddetti deboli, quelli che sono
appunto liberamente scelti dagli individui sulla base di affinità culturali,
frequentazioni associative e reti amicali.
I due esempi ci indicano che le forme di interazione che si possono instau­
rare in una rete, in questo senso, sono il prodotto della combinazione dell’ap­
porto che ogni individuo o organizzazione dà alla relazione sociale ed è attra­
verso la modifica di queste che cambia la struttura della rete, secondo un
22
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 1
principio di interdipendenza. Identificare, interpretare e adottare le informa­
zioni provenienti dai membri di una rete significa, quindi, non solo socializzare
le informazioni, bensì combinare le informazioni che sono state socializzate a
volte con esito innovativo, a volte semplicemente replicando la struttura pre­
sente.
Va inoltre tenuto presente che ogni individuo che aderisce ad una rete è
libero e nello stesso tempo obbligato, in quanto l’adesione ad una rete è basa­
ta sull’impegno, sul riconoscimento di una specifica appartenenza – come già
ha fatto notare Simmel - ed identità sociale. Vista in termini complessivi, la
logica delle reti è quindi modulare, additiva e contiene in sé le possibilità di
cambiamento e di variazione; per l’individuo come per le organizzazioni che
lo contengono e lo connettono ad altre reti.
La metafora della rete consente in questo senso di visualizzare quei proces­
si di innovazione epistemologica che possono scaturire solo da processi di
relazione sociale consapevoli, in quanto ogni soggetto che aderisce ad una
rete, sia esso singolo individuo o organizzazione, acconsente – con diversi
livelli di libertà - a condividere uno spazio di progettualità, e di mantenimento
di relazioni sociali. Da una rete di contatti può nascere un’organizzazione (un’al­
tra rete) e le organizzazioni fra di loro possono scegliere di mettersi in rete per
condividere esperienze, risolvere problemi, trovare soluzioni e scambiare ri­
sorse.
Perché ciò sia effettivo, tuttavia, è rilevante la presenza di pratiche demo­
cratiche, interculturali, aperte all’apporto di diverse forme di comunicazione
ed alla formulazione di conoscenze nuove. Se il vincolo di esistenza della rete
è fondato, infatti, sul riconoscimento di identità è anche vero che perché l’in­
novazione sociale sia effettiva dovrebbe essere contemplata la possibilità di
appartenenze e di identità multiple, in cui l’individuo realizzi il proprio pro­
getto di evoluzione personale e sociale.
Riferimenti bibliografici
1. CHIESI, A., Attori e relazioni fra attori mediante l’analisi di reticoli multi­
pli, “Rassegna Italiana di Sociologia”, n. 1, 1996.
2. COLEMAN, J., KATZ, E. e METZEL, H., The diffusion of information among
Physicians, “Sociometry”, n. 20, 1957.
3. GRANOVETTER, M., The Strenght of Weak Ties, “American Journal of Sociology”,
n. 83, 1973.
4. MUTTI, A., Reti sociali: tra metafore e programmi teorici, “Rassegna Italiana
di Sociologia”, n. 1, 1996.
5. SIMMEL, G., L’intersecazione di cerchie sociali, in ALFERJ, P., RUTIGLIANO, E., a
cura di, Ventura e sventura della modernità. Antologia degli scritti
sociologici, Bollati Boringhieri 2003.
23
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 1
1.3. Reti fisiche e luoghi virtuali. La comunicazione trasparente
NICOLA ZANARDI - Partner, Presidente e Direttore Creativo di XYZ Reply
“Apparire attraverso”. Il latino medievale sanciva il senso della parola tra­
sparente. Ciò che non è esplicito, che lascia facilmente intendere la sua natu­
ra, il suo significato. Oppure che appare come è.
In questi anni, nei quali la comunicazione ha assunto via via un ruolo sem­
pre più importante nelle funzioni di qualsiasi azienda, pubblica o privata che
fosse, il concetto di qualità ha attraversato più volte il suo significato. Una
qualità che, di volta in volta, doveva stupire, assecondare, convincere. Qual­
che volta, solo qualche volta informare. La comunicazione da sempre è in
simbiosi con il marketing, parliamo di informatori scientifici solo in ambito
medico. Ma anche qui cambiano i mezzi, cambiano i parametri, cambiano gli
obiettivi. Il marketing non è più (solo) marketing di prodotto, è quasi sempre
servizio a valore aggiunto. La comunicazione non è più above o below the line
ma anche è soprattutto canali e profili digitali. Il target non è più un obiettivo
generico e generalista ma si trasforma in tante comunità con cui confrontarsi.
Comunità che fanno parte a loro volta di reti percepibili fisicamente o solo
virtuali.
Come impatta questo scenario sulla comunicazione? Che cosa succede quan­
do noi applichiamo delle regole in un contesto come quello della salute, in un
Paese occidentale e maturo demograficamente? Che vuol dire una popolazio­
ne anziana con grandi prospettive di vita, un afflusso e un apporto alla società
di popolazioni usi a regole, costumi, credi religiosi, ecc... diversi, una
cronicizzazione delle malattie come tendenza legata alla demografia di tutti i
Paesi occidentali. È un cambiamento epocale per le strutture ospedaliere, fino
ad ora luoghi fisici identificati e identificabili, radicati sul territorio e in grado
di offrire tutti i servizi a chi è in grado di raggiungerli.
La logica territoriale dell’ospedale come casa della malattia, come proprietà
assoluta e indiscutibile degli strumenti e della competenza per utilizzarli, la­
scia spazio a una struttura sempre radicata sul territorio, forse anche di più,
che risponde, però, alle regole di un condominio per la salute. Tanti inquilini,
tutti specialisti che interagiscono tra di loro in una logica di condivisione e di
confronto, nodi di una rete che si apre al territorio, monitorando continua­
mente i flussi di dati di una cronicizzazione di casi che aumentano in maniera
proporzionale all’aumentare dell’età media.
L’episodio di cura come anello di una catena assistenziale ha nell’ospedale
un hub, attorno al quale la rete territoriale assume una fisionomia che trova
nella residenza abituale del paziente un pezzo della sua esistenza e forza. Su
24
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 1
questi layer si configura un rinnovato sistema di relazioni tra i vari nodi, tra le
varie reti e soprattutto con il paziente che trova nell’ospedale condominio
della salute, il palinsesto dei suoi atti e dei monitoraggi, ma vede nella sua
residenzialità la normalità di una patologia con la quale deve convivere.
Le reti fisiche ospedaliere vengono a innervare il territorio e i suoi punti di
snodo, mentre l’assistenza domiciliare diventa l’incubatore di un ospedale vir­
tuale, dove la prestazione di qualità rimane e deve rimanere dentro le infra­
strutture fisiche. È indiscutibilmente prestazione di qualità anche la relazione
che viene instaurata che deve vedere i due luoghi (o non luoghi), casa e ospe­
dale, come un unicum di un percorso dove il paziente non è solo spettatore
passivo, ma anche e soprattutto attore protagonista e consapevole del mante­
nimento del suo stato di equilibrio di convivente sereno con una o più malat­
tie croniche. Discendono da questo scenario alcune domande. La
cronicizzazione della malattia in che rapporto si configura con una tendenza
alla cronicizzazione della professione? La promozione della salute coincide
con la una maggiore consapevolezza del paziente? Nodi (ospedali), reti (terri­
torio) e contesto (relazione tra le parti), a loro volta fanno parte di altre reti? Se
sì, come possiamo connetterle non soltanto virtualmente?
La comunicazione trasparente (e puntuale) può essere uno strumento uti­
lissimo per costruire un nuovo sistema che agisca sempre di più su tutte le
comunità che fanno parte del sistema e che in quanto comunità, per definizio­
ne, al loro interno tendono a confrontarsi in maniera continuativa.
1.4. New Governance in European Hospitals
OLIVER GRÖNE - Technical Office Health Services, World Health Organization
(WHO) European Office for Integrated Health Care Services, Barcelona, Spain
The concept of Governance relates to the interaction between formal
institutions and those in civil society and refers to a process whereby elements
in society exercise power, authority and influence and enact policies and
decisions concerning public life. It entails a complex relationship between
professionalism and managerialism, the state and the market and individual
autonomy and social solidarity. Governance is not a new concept in health
care - it is a new perspective on the way health care should be governed and
can best be understood through a historical perspective on health systems
evolution.
The Organization for Economic Development and Cooperation (OECD) has
defined governance in terms of three main characteristics: a focus on equity,
25
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 1
the value of participation and an orientation toward a new ecology of
cooperation. A focus on these characteristics is not only justified by movements
in civil society (political-science perspective), but also by the limited
effectiveness of health care (public health perspective): the health gap between
income groups in society is widening, unused resources to involve patients
and citizens in health care limit the appropriateness and clinical effectiveness
of care and the current fragmentation of health care delivery results in quality
deficiencies and economic inefficiencies.
The presentation will briefly address the evolution of health systems and
what the concept of governance means in this context, but put a major emphasis
on its practical meaning from a public health perspective: Why do we need to
think about Governance in health care? How can we achieve good Governance?
And why is the concept taken up so slowly? It is the aim of the presentation to
clarify these questions and address further challenges regarding the
achievement of Good Governance in hospitals in Europe.
26
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
Le esperienze delle Reti HPH
regionali in Italia
2.1. Rete veneta HPH: principali attività 2003-2004
SIMONE TASSO - Coordinatore Rete Veneta HPH, Direzione Medica Presidio
Ospedaliero di Castelfranco Veneto
L’attività regionale della Rete Veneta HPH nell’intervallo di tempo compre­
so tra la Conferenza Nazionale di Torino del novembre 2003 e quello attuale
di Riva del Garda si è concentrata soprattutto sui Progetti “Ospedale e Territo­
rio contro il Dolore”, “Interculturale” ed “Anti-tabagismo”.
Per quanto riguarda il Progetto sul dolore alla fine del 2003 si è conclusa la
prima fase del Progetto rappresentata da uno studio policentrico (campione
di 1.325 pazienti) sulla prevalenza del dolore nei ricoverati e sui corretti atteg­
giamenti e conoscenze del personale sanitario (campione di oltre 1.500 ope­
ratori sanitari) relativamente alla tematica dolore di cui si parla nello specifico
abstract in altra parte di questo volume. Nel 2004 l’attività si è concentrata in
particolare nella formazione del personale sulla corretta misurazione del do­
lore. Un primo tipo di formazione era già stato realizzato nel 2003 sul perso­
nale sanitario che ha svolto l’intervento di rilevazione dello studio policentrico.
Tuttavia si era trattato di una formazione parziale che aveva come principale
obiettivo quello di insegnare il corretto uso della scala Numerical Analogic
Scale (NRS) agli operatori sanitari. Non c’è stata una specifica formazione sul­
la comunicazione con il paziente. I risultati del suddetto studio hanno messo
in evidenza, tra l’altro, l’importanza di questo tipo di formazione sulla comu­
nicazione. Infatti è risultata una bassa concordanza tra dolore percepito dal
paziente e dolore riconosciuto dall’operatore sanitario. In altri termini lo stu­
dio policentrico ha messo in evidenza uno dei punti più delicati sulla rilevazione
del dolore: da una parte l’operatore sanitario non può registrare passivamente
il livello numerico del dolore riferito dal paziente (il quale, peraltro, spesso
chiede chiarimenti), dall’altra parte lo stesso operatore non può registrare un
livello di dolore dalla sola osservazione del paziente, senza entrare in comu­
nicazione con lui. Di qui l’importanza di sviluppare una parte del Progetto
specificatamente rivolta alla comunicazione. Per questo il Gruppo di Lavoro
HPH interaziendale ha prodotto una videocassetta che contiene sia una parte
teorica con lezioni “classiche” sulla misurazione del dolore sia una parte pra­
27
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
tica con scene recitate da attori nel ruolo di pazienti, medici, infermieri su cui
aprire una discussione. Per facilitare il lavoro del formatore la videocassetta è
corredata da un manuale contenente i testi delle scene e schede didattiche da
dare ai discenti nel corso della lezione.
Videocassetta e manuale sono stati distribuiti ai formatori aziendali di cia­
scuna ULSS in un incontro appositamente organizzato. Il passaggio successi­
vo sarà la formazione di medici ed infermieri a livello locale che dovrebbe
concludersi entro febbraio 2005.
Attualmente il punto più delicato per la prosecuzione del Progetto appare
la realizzazione di linee guida operative tra i diversi specialisti.
Infatti ogni branca specialistica ha proprie linee guida cliniche che non sem­
pre coincidono. Tuttavia il paziente con dolore non raramente viene seguito
da più specialisti. Ad esempio un paziente neoplastico che segue un protocol­
lo oncologico non raramente è sottoposto a intervento chirurgico e seguito da
un anestesista nell’immediato post-operatorio e successivamente dal chirurgo
generale per ritornare, infine, dall’oncologo. Di qui l’importanza delle linee
guida operativa per una gestione coordinata e condivisa del paziente tra i
diversi specialistici.
Il Progetto “interculturale” veneto, dopo un inizio autonomo, ha avuto un
ulteriore sviluppo grazie alla collaborazione con la Rete HPH Emiliano
Romagnola che è stata importante punto di riferimento per gli incontri orga­
nizzati sull’argomento con le varie Reti Nazionali.
Inoltre importante è stato il contributo di tale Rete per la realizzazione in
Veneto di una giornata formativa sull’argomento alla quale hanno partecipato
in qualità di relatori, alcuni responsabili scientifici ed operativi del Progetto
Internazionale “Migrant Friendly Hospitals”.
La giornata formativa interculturale è risultata un importante momento per
fare conoscere l’attività della rete HPH su questa tematica e stringere alleanze
con la Regione e con il territorio. È risultata la base di partenza per realizzare,
in alcune realtà aziendali, workshops con i Comuni, con agenzie esterne (dei
mediatori culturali) e con gli operatori ULSS dei diversi uffici. Al di là di questi
aspetti positivi è anche doveroso segnalare la presenza di alcuni principali
punti critici che possono essere così classificati: 1) aspetti normativi (difficoltà
legate alla conoscenza della legislazione anche per lo stesso operatore sanita­
rio); 2) aspetti relazionali (per difficoltà/impossibilità di traduzione sia per
scarsa/assenza conoscenza della cultura degli immigrati); 3) aspetti organiz­
zativi (difficoltà di realizzare procedure efficaci e possibilmente semplici, va­
lide sia per l’operatore che per i cittadini immigrati). Su questi punti critici si
dovrà lavorare in futuro.
Infine, si segnala l’importante contributo della Rete HPH Lombarda per la
produzione di un poster multilingue sul triage del Pronto Soccorso.
28
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
Il Progetto antitabagismo ha visto il coordinamento della rilevazione nazio­
nale utilizzando il questionario (versione 2004) degli ENSH (European Network
Smoke Free Hospitals).
Sulla base del codice europeo degli ENSH si stanno definendo azioni per
giungere all’ospedale libero dal fumo. In particolare con il fine di facilitare il
raggiungimento dell’obiettivo finale (di un ospedale completamente libero
dal fumo) si ritiene utile attivare una azione graduale, proponendo alle singo­
le Unità Operative di acquisire il titolo di “Unità Operativa libera dal Fumo”
sulla base della rispondenza di determinati requisiti che tengono conto in
particolare dell’empowerment del personale, dei pazienti tra cui: 1) sottoscri­
zione di documento di informazione ed adesione alla iniziativa da parte del
personale; 2) affissione in U.O. del Codice Europeo da affiggere in U.O.; 3)
accettazione di periodici da parte di una commissione esterna.
Infine anche per il 2004-2005 è prevista la realizzazione del Concorso “Chi
non fuma...VINCE!”.
2.2. Attività della Rete HPH piemontese
PIERO ZAINA - Coordinatore Rete HPH piemontese
Anche nel 2° quinquennio dell’attività della Rete HPH piemontese abbiamo
ottenuto l’adesione di tutte le Aziende della Regione: 34 tra ASO, ASL, Presidi
Ospedalieri convenzionati. Nella 7° Conferenza Nazionale HPH di Torino ab­
biamo presentato l’attività quinquennale di 4 Progetti regionali in rete, a cui
abbiamo aggiunto 2 Progetti iniziati a livello aziendale, ma che hanno assunto
ormai rilevanza di rete regionale. Nel gennaio 2004 abbiamo dato l’avvio ad
un nuovo Progetto in rete regionale “l’Ospedale senza dolore” avendolo già
scelto come progetto aziendale 8 Aziende (compresa la ASL Valle d’Aosta).
Linee di sviluppo dei 7 Progetti regionali in Rete:
1) Progetto “Integrazione Ospedale- Territorio”
Aderenti 19 Aziende (compresa la ASL Valle d’Aosta).
La progettazione dell’attività del gruppo è iniziata con l’analisi dell’espe­
rienza acquisita nel precedente quinquennio, mediante il monitoraggio di
progetti aziendali che hanno realizzato, anche se parzialmente, attraverso
indicatori specifici l’integrazione Ospedale-Territorio, documentando i ri­
sultati ottenuti (attivazione dei servizi, ambulatori, numeri verdi ecc...), gli
strumenti utilizzati (opuscoli informativi, rete di comunicazione, ecc...), l’im­
patto sul paziente (riduzione ricoveri ripetuti, dimissioni protette ecc...). Le
evidenze derivate dai progetti sperimentati in vari contesti permetteranno
di avviare strategie adattate alle singole realtà, quindi vari modelli di Ospe­
dale integrato, avendo concordato per la valutazione i seguenti parametri:
29
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
Riproducibilità, Fattibilità, Interesse aziendale. La complessità del Progetto
ed il numero delle Aziende hanno reso necessaria la suddivisione del lavo­
ro in 3 sotto progetti ed altrettanti gruppi di lavoro:
A) Comunicazione, Informazione: Internet, Telemedicina, numeri verdi e
call-center per MMG, opuscoli per pazienti ecc...
B) Linee guida e percorsi assistenziali: miglioramento dell’assistenza nelle
patologie ad elevata esigenza di integrazione quali vasculopatie
cardiocerebrali, diabete, patologie ortopediche ecc...
C) Modelli organizzativi per la dimissione: lettera di dimissione, dimissione
protetta, ADI, RSA, lungo degenza ecc. Per ciascun sottogruppo è stato
identificato un coordinatore.
2) Progetto “Ospedali liberi dal fumo”
Continua l’attività delle 15 Aziende aderenti al Progetto (compresa la ASL
Valle d’Aosta).
Il gruppo ha aderito all’iniziativa di creare un “Progetto internazionale contro
il fumo” che finora ha coinvolto 87 Aziende delle varie Reti regionali. Dal
Centro di coordinamento interregionale è stato inviato un questionario di
autovalutazione per le Aziende Sanitarie sul grado di aderenza agli standards
europei per il controllo del fumo: della nostra Rete hanno risposto 5 Azien­
de i cui dati saranno uniti a quelli delle altre reti per valutare lo stato della
lotta al tabagismo nella Rete HPH italiana. Il gruppo piemontese ha iniziato
la sperimentazione di introdurre nelle cartelle cliniche il Test di Fagestrom
e di attivare il counselling minimo attraverso al tecnologia dei percorsi as­
sistenziali.
3) Progetto “Miglioramento dell’accoglienza alla persona straniera afferente
ai Servizi Sanitari”
È la delimitazione del precedente Progetto “Umanizzazione dei Servizi Sa­
nitari”, essendo divenuto emergente il problema della interculturalità e a
cui sono sensibili parecchie Aziende della Rete (15), che hanno aderito, su
iniziativa dell’Ufficio Europeo dell’OMS, al Progetto interregionale “Ospe­
dale e Servizi Socio-Sanitari interculturali”: il flusso migratorio in Europa è
in continuo aumento, per cui in una società multietnica gli ospedali devo­
no adattarsi alla nuova situazione modificando il loro modo di comunica­
re, di organizzare le attività di cura e servizi eguali per tutti i pazienti, rico­
noscendo la centralità della persona, superando le barriere esistenti tra etnie
diverse, specie la comunicazione. Il gruppo piemontese ha predisposto e
somministrato un questionario per operatori sanitari ed amministrativi in
previsione di un Corso di formazione centrato sia sulla parte normativa sia
sulla parte socio culturale ed in attesa del finanziamento da parte del Fon­
do Generale Europeo.
4) Progetto “Fasce deboli. Abuso e violenza sulle donne e sui minori”
Il Centro “Soccorso Violenza Sessuale” (SVS) dell’ASO S. Anna di Torino ha
30
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
avuto avvio nel maggio del 2003 come Centro integrato e multidisciplinare
per fornire appropriata assistenza nei casi di violenza sessuale nei con­
fronti delle donne. Il Centro fornisce:
- servizio di Pronto Intervento;
- servizio telefonico di informazioni ed appuntamenti;
- il follow-up medico-ginecologico;
- consulenze medico legali;
- consulenza psicologica di prima valutazione;
- assistenza iniziale con il coinvolgimento interdisciplinare di varie figure
professionali.
Dal maggio 2003 al 31/12/2003 sono stati presi in carico 44 casi di violenza.
Tale modello organizzativo è trasferibile in altre strutture sanitarie: è avvia­
to un collegamento in rete con l’Ospedale Maria Vittoria di Torino (ASL 3).
Analoga struttura organizzativa è stata costituita presso l’ASO-OIRM di To­
rino con un gruppo di lavoro interdisciplinare (NPI, Pediatra, Psicologo,
Chirurghi pediatrici, Infermieri professionali, Assistenti sociali) per la pre­
sa in carico dei casi di abuso e maltrattamento su minori.
Dal gennaio 2003 all’aprile 2004 sono afferiti all’ambulatorio 63 bambini
(130 visite totali) inviati dall’interno dell’Ospedale (DEA, Ambulatori, Re­
parti) e dai Servizi esterni.
5) Progetto “La Malnutrizione degli anziani residenti in RSA”
Sette Aziende partecipano al Progetto quale estensione di una esperienza
maturata da parecchi anni a livello ospedaliero rivolta specificamente a
strutture residenziali per anziani, le cui patologie prevalenti hanno un no­
tevole impatto metabolico e nutrizionale. Si prevede di valutare i risultati
di un modello di diagnosi precoce e di intervento mediante l’elaborazione
dei risultati di un questionario rivolto al personale RSA, mirato alla malnu­
trizione, al riconoscimento della disfagia ed alla sua corretta gestione
nutrizionale, alla adeguatezza di strumenti già in atto per la prevenzione –
diagnosi precoce – trattamento della malnutrizione stessa.
6) Progetto “Salute e Sicurezza degli operatori sanitari”
Aderenti 8 Aziende (compresa la ASL Valle d’Aosta).
Obiettivi:
- migliorare le condizioni di salute e sicurezza degli operatori sanitari;
- migliorare le relazioni tra operatori sanitari e pazienti;
- prevenire i rischi lavorativi correlati all’organizzazione delle strutture sa­
nitarie;
- favorire il disegno ergonomico delle strutture ospedaliere;
- promuovere la cultura della sicurezza tra gli operatori sanitari;
- migliorare le attività di Medicina preventiva in ambito ospedaliero.
Di pressante attualità la “Prevenzione del Burn-out negli operatori sanitari”:
studi recenti hanno dimostrato che per circa il 58% dei dipendenti il disagio
31
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
lavorativo, lo stress emotivo, specie in alcuni reparti ad alta intensità lavora­
tiva, provocano stati di ansia e depressione con tendenza all’isolamento e
con evidenti ripercussioni sull’efficienza lavorativa e sulla qualità della rela­
zione con i pazienti e i loro familiari. Un intervento preventivo e di sostegno
di tipo psicologico (incontri quindicinali di gruppi di lavoro nei reparti più a
rischio) presso l’ASO di Alessandria ha dato esito positivo, dimostrato dalla
nessuna nuova richiesta di part-time o di trasferimento per l’aumento della
attività di ricovero e dalla bassa frequenza di congedi per malattie.
7) Progetto “Ospedale senza dolore”
Di recente acquisizione da parte della nostra Rete, abbiamo aderito al coordi­
namento interregionale del Progetto. Alcune Aziende del gruppo (8 Aziende
compresa la ASL Valle d’Aosta) stanno già sviluppando specifici progetti sul
tema della consapevolezza del dolore da parte dei vari attori in campo, valido
riferimento per la definizione del Progetto regionale HPH, i cui principi ispiratori
sono la centralità della persona ed il rapporto di rete tra le varie Aziende.
L’obiettivo del Progetto è di modificare le attitudini ed il comportamento
degli operatori sanitari ed anche dei pazienti, mediante la sensibilizzazione
ed il coinvolgimento al “problema dolore” di tutto il personale sanitario,
l’organizzazione di corsi di formazione e di aggiornamento, la valutazione
ed il monitoraggio del dolore percepito dal paziente, la valorizzazione del
paziente stesso attraverso il consenso informato quale metodo per creare
l’alleanza per la salute tra operatori, pazienti e familiari.
2.3. L’esperienza della Rete lombarda HPH
CARLO ALBERTO TERSALVI - Dirigente Medico della Struttura Comunicazione e Re­
lazioni internazionali della Direzione Generale Sanità, Regione Lombardia
La rete lombarda HPH è giunta al suo quinquennio di attività, essendosi
costituita nel 1999, in occasione della 3° Conferenza Nazionale HPH, organiz­
zata a Milano dalla Regione Lombardia.
A differenza delle altre reti regionali italiane, la rete lombarda HPH ha il suo
centro di coordinamento presso la D.G. Sanità della Giunta Regionale. Que­
sto input regionale ha visto un iniziale entusiasmo nei primi anni, con un’ade­
sione di ben 62 strutture ospedaliere lombarde (tra quelle pubbliche e private
accreditate) su un totale di 115 (pari al 54%) e con l’avvio di un’enorme quan­
tità di progetti, spesso non in linea con i principi HPH e/o con una carenza
metodologica. A quel tempo era stato, comunque, raggiunto l’obiettivo regio­
nale: cioè quello di catturare l’attenzione degli operatori su cui avviare una
informativa diretta ad un cambiamento culturale dell’ospedale che
ricomprendesse, oltre alla “cura” anche la “promozione della salute” all’inter­
32
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
no della struttura ospedaliera. Ora le strutture aderenti sono 58. Tale riduzio­
ne è dovuta allo scorporo dei presidi ospedalieri dalle ASL.
Tra gli interventi regionali più importanti si ricorda:
- Nell’anno 2002, inserimento, all’interno del P.S.S.R., tra i progetti innovati­
vi, di una serie di azioni miranti allo sviluppo della funzione trasversale
della educazione alla salute e promozione alla salute negli ospedali, volte
a favorire lo sviluppo di sinergie tra le varie strutture esistenti sul territorio,
sia pubbliche che private (ospedaliere e non). La Regione Lombardia ha
avviato le strutture verso un cambiamento culturale che è stato favorito, sia
dall’affermarsi del principio di sussidiarietà riconosciuto nell’attuazione della
devolution, sia dalle oggettive difficoltà economico-finanziarie non più
sostenibili dal solo ente pubblico.
- Nel giugno 2003 la giunta regionale (con proprio provvedimento) ha volu­
to estendere la rete lombarda HPH anche alle strutture socio-sanitarie, tra i
propri soggetti attivi, dopo aver ottenuto l’assenso del Coordinatore Euro­
peo. Con questa iniziativa anche le RSA (Residenze sanitario-assistenziali)
e le RSD (Residenze Sanitario-Assistenziali per persone con Disabilità) hanno
la possibilità di realizzare, sia direttamente che in collaborazione con le
strutture ospedaliere, progetti di promozione della salute agli anziani e ai
disabili (fasce sociali più deboli).
Inoltre, con questo provvedimento sono state assegnati alla rete lombarda
HPH 360.000,00 Euro (per il triennio 2003-2006), quale fondo di incen­
tivazione per la realizzazione di progetti HPH da parte delle strutture sani­
tarie e socio-sanitarie.
- Nell’anno 2004 con il supporto della nuova “Direzione Scientifica” (com­
prendente esperti delle due aree “sanità” e “socio-sanitaria”), la Regione ha:
individuato le seguenti aree prioritarie, nel cui ambito avviare i progetti
HPH, sia delle strutture sanitarie che socio-sanitarie:
a) ospedale e territorio;
b) uso corretto dei farmaci e dei presidi;
c) promozione di stili di vita (in cui sono ricomprese tutte le tematiche
inerenti il comportamento corretto della persona, ivi compreso anche
l’ospedale senza fumo);
d) ospedale senza dolore;
e) ospedale interculturale.
La Regione non ha escluso altre aree, purché in attuazione al PSSR 2002­
2004; ha organizzato un corso di formazione per la “progettazione e gestione di
progetti HPH” agli operatori sanitari (già realizzato a giugno) e socio-sanitari; ha
predisposto uno strumento unico (scheda) per la rilevazione dei progetti HPH.
Obiettivo generale regionale: migliorare la qualità delle prestazioni ai citta­
dini.
33
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
Obiettivi specifici regionali: implementare il numero dei progetti HPH delle
strutture sanitarie e socio-sanitarie attraverso l’incentivazione di premi; costi­
tuire un database regionale dei progetti HPH.
Sintesi progetti regionali
Tra le tematiche prioritarie sono ricomprese quelle relative ai 3 progetti
regionali avviati (Ospedale senza dolore, ospedale senza fumo e ospedale
interculturale):
- Ospedale senza dolore: n. 17 strutture sanitarie coinvolte.
Obiettivo generale: fornire alla D.G. Sanità gli strumenti per programmare
un sistema a rete finalizzato a combattere il dolore inutile delle persone
ricoverate o che afferiscono alle Strutture di ricovero regionali.
Obiettivi specifici: creare una rete sperimentale tra le esperienze di eccel­
lenza presenti in regione; elaborare un manuale applicativo regionale sugli
aspetti principali dell’OSD (strumenti di misura, formazione, informazione,
linee diagnostico terapeutiche) a disposizione delle Strutture Sanitarie che
hanno istituito o istituiranno i COSD; creare un file delle esperienze in cor­
so, sul sito web regionale; fornire alla D.G. Sanità le basi per lo sviluppo
della rete regionale per l’OSD; confrontarsi con le esperienze in corso pres­
so altre regioni (in primis quelle partecipanti alla rete HPH).
Azioni e risultati: terminata la stesura del manuale regionale per l’OSD che
costituirà lo strumento operativo per il recepimento delle Linee guida nazio­
nali. Esso è strutturato nei suoi capitoli principali: 1) normative nazionali e
regionali; 2) esperienze in corso; 3) strumenti di rilevazione e misura consi­
gliati; 4) indicazioni generali terapeutiche; 5) strategie formative; 6) strate­
gie informative; 7) bibliografia.
- Ospedale senza fumo: n. 17 strutture sanitarie coinvolte.
Obiettivo: valutare il grado di aderenza agli standard europei per il controllo
del fumo delle Aziende Sanitarie pubbliche e private della rete Lombarda
HPH a distanza di tre anni dallo sviluppo dei primi progetti HPH “Ospedali
liberi dal fumo”. Per la sintesi sulle azioni e risultati si rimanda ad apposito
abstract regionale inviato.
- Ospedale interculturale: 16 strutture coinvolte.
Obiettivo generale: facilitare l’accesso e l’accoglienza del cittadino immigra­
to ai servizi ospedalieri e la comunicazione degli stessi con gli operatori
dell’ospedale, attraverso una metodologia di lavoro di rete nell’area
interculturale. Per la sintesi sulle azioni e risultati si rimanda ad apposito
abstract regionale inviato.
34
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
2.4. Il contributo della Rete “Health Promoting Hospitals” alle politiche
per la salute della Regione Emilia-Romagna
MARIELLA MARTINI - Direttore Generale AUSL di Reggio Emilia, Coordinatrice
Rete HPH Emilia Romagna
KYRIAKOULA PETROPULACOS - Responsabile dei Servizi ospedalieri della Regione
Emilia Romagna, Assessorato Sanità dell’Emilia Romagna
La promozione della salute è parte integrante della strategia complessiva
individuata dalla Regione Emilia-Romagna nell’ultimo Piano sanitario, che ri­
prende ed integra i principi essenziali del Piano Sanitario Nazionale, in parti­
colare: la centralità della persona, l’uguaglianza e la solidarietà, l’attenzione ai
bisogni di salute, le alleanze per la salute, l’orientamento ai risultati, la globalità
dell’offerta e della presa in cura, la modernizzazione e miglioramento dei ser­
vizi. L’intento è, da una parte, di migliorare la qualità dell’offerta e di garantire
l’equità dell’accesso mediante lo sviluppo di reti integrate di servizi e dall’al­
tra, di allargare lo sguardo oltre l’orizzonte dei servizi sanitari per ricercare il
coinvolgimento e distribuire le responsabilità attorno a un “Patto di solidarie­
tà per la salute” fra enti locali, aziende sanitarie, organizzazioni sociali ed indi­
vidui della comunità.
Sono scelte pienamente coerenti con la filosofia e le politiche di promozio­
ne della salute sostenute dall’OMS e fanno si che il sistema dei servizi sanitari
della Regione Emilia Romagna sia un sistema che assume la promozione della
salute come fulcro delle azioni di pianificazione e sviluppo dei servizi che il
piano annuale degli obiettivi traduce in indicazioni operative cogenti. L’ade­
sione da parte di tutte le Aziende Sanitarie della Regione Emilia Romagna alla
Rete degli Health Promoting Hospitals ha questo scenario di contesto come
punto di forza e contemporaneamente richiede di declinare i progetti che
dovrebbero essere sviluppati, per essere parte della rete degli HPH, secondo
le linee della pianificazione regionale. In altri termini, si assume la coinciden­
za tra i progetti HPH e i progetti da sviluppare in attuazione del piano degli
obiettivi assegnato dalla Regione alle Aziende Sanitarie.
L’obiettivo di questa comunicazione è di presentare e discutere come gli ospe­
dali della rete HPH dell’ER hanno attivato una strategia complessiva che da una
parte, si fonda su un insieme di progetti volti a migliorare la qualità dei servizi
sanitari e delle attività di promozione della salute negli ospedali, e dall’altra,
sulla ricerca di partnership volte a sviluppare forme di partecipazione e di co­
produzione degli interventi di salute coi diversi attori della comunità, intesi come
pazienti, cittadini, organizzazioni sociali. In questo scenario la Rete degli ospe­
dali per la promozione della salute (HPH) costituisce una concretizzazione
35
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
progettuale che deriva il proprio mandato dagli indirizzi generali dell’O.M.S.
relativi al ri-orientamento degli Ospedali verso la promozione della salute, ma
anche dalle politiche regionali che ne inquadrano l’azione in un sistema locale
orientato a produrre guadagni in salute nella popolazione.
2.5. Lo sviluppo della Rete HPH Toscana
FABRIZIO SIMONELLI, PAOLO MORELLO MARCHESE, MARIA JOSÉ CALDES PINILLA, KATALIN
M AJER - Centro di coordinamento della Rete HPH Toscana, Azienda
Ospedaliero-Universitaria A. Meyer (Firenze)
Fin dalla sua costituzione, la Rete Toscana HPH è stata intesa dai suoi attori
come elemento dinamico nei rapporti con il sistema regionale per la salute,
con le altre Reti HPH italiane e con il Network HPH internazionale, assumen­
do una impostazione tesa da un lato ad importare orientamenti internazionali
e dall’altro a contribuire allo sviluppo generale del movimento per la promo­
zione della salute.
Questo tipo di approccio consente di prospettare ruoli differenziati e rile­
vanti per la Rete HPH:
- quello istituzionale, di ripensamento dell’Ospedale come luogo di promo­
zione della salute, oltre che di diagnosi e cura;
- quello funzionale allo sviluppo di piani e programmi locali di miglioramento
della salute della popolazione: vi sono connessioni significative con il processo
regionale dei Piani per la Salute e con progetti che riguardano la salute infantile
e gli stili di vita adolescenziali, la formazione, la valutazione delle politiche re­
gionali per la salute. La Rete Toscana HPH rappresenta un fattore di spinta per la
realizzazione di un progetto sociale di salute che travalica il mandato istituzio­
nale del sistema ospedaliero, e che costituisce anche una testimonianza di sen­
sibilità, interesse e impegno del management ospedaliero e del personale sani­
tario nel favorire la crescita delle persone e delle comunità locali;
- quello generativo di nuovi contributi specifici per le politiche regionali per
la salute ed anche per il movimento internazionale della promozione della
salute: in particolare, l’Ospedale A. Meyer di Firenze ha proposto e coordi­
na, su mandato dell’Ufficio O.M.S. di Barcellona, un Working group interna­
zionale sul tema della promozione della salute del bambino e dell’adole­
scente in ospedale.
Sotto il profilo delle relazioni, questo tipo di impostazione ha promosso fra
l’altro:
- a livello regionale, lo sviluppo di connessioni di sistema con l’Assessorato
36
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
regionale al Diritto alla Salute e con le Unità operative di Educazione alla
salute delle Aziende Sanitarie Locali;
- a livello nazionale, la partecipazione attiva ai momenti di coordinamento
delle Reti italiane HPH ed alle Conferenze nazionali degli Ospedali per la
promozione della salute;
- a livello internazionale, una vasta rete di rapporti costruita attraverso l’or­
ganizzazione della 11° Conferenza internazionale degli Ospedali per la pro­
mozione della Salute (Firenze, 18-20 maggio 2003) e la presentazione di
lavori scientifici nelle Conferenze internazionali.
La configurazione della Rete regionale conta sull’adesione di tutte le 16
Aziende Sanitarie pubbliche della regione, con una rappresentanza di circa
l’80% degli stabilimenti ospedalieri, sulla motivazione di un crescente numero
di operatori ospedalieri, su una capillare rete di relazioni interna ed esterna
alla Rete regionale, su un sistema di autovalutazione dello stato di avanza­
mento del progetto.
La tipologia di attività comprende:
- azioni incrementali, costituite da limitate ma percettibili azioni di promo­
zione della salute attivate autonomamente dai professionisti anche senza
una cornice progettuale definita. Si tratta di “testimonianze” anche
frammentarie di promozione della salute, quali “attenzioni” percepibili da
parte dei pazienti, iniziative di tipo logistico – alberghiero o organizzativo o
relazionale, singole azioni di empowerment delle persone, e così via. Il qua­
dro di queste azioni è molto variegato di iniziative ed esperienze che sono a
volte antecedenti all’avvio del Progetto HPH stesso;
- integrazioni processuali, costituite da codificazioni di “valore aggiunto” nel­
le fasi dei processi diagnostico-terapeutici: si tratta di iniziative spesso indi­
rizzate alla umanizzazione dei processi assistenziali;
- “pacchetti” specifici di servizi, rappresentati da percorsi progettuali ed ope­
rativi completi attivati da singole Unità operative e mirati a gruppi omogenei
per patologia o problematica;
- pr ogetti di promozione della salute, che sviluppano interventi
metodologicamente improntati al project work e quindi in grado di docu­
mentare i risultati prodotti. A questo livello si costituiscono team di progetto
e si definiscono ruoli, impegni, modalità di comunicazione e valutazione;
- interventi di ri-orientamento del setting ospedaliero, considerato come con­
testo globale (ambientale, organizzativo, normativo, amministrativo,
relazionale) capace di ridefinire in termini distintivi l’attività dell’intera strut­
tura ospedaliera.
Un sostegno decisivo per lo sviluppo della Rete è la formazione e in parti­
37
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
colare il Laboratorio formativo allestito per elaborare una fisionomia della Rete
toscana, i cui primi risultati sono incoraggianti.
2.6. L’esperienza della Rete HPH ligure
ROBERTO PREDONZANI, RITA GAGNO - Dipartimento di Staff Azienda USL 1 Imperiese
La Rete HPH ligure, avviata nel 1998 dall’Azienda USL 1 Imperiese, inizial­
mente comprendeva entro la fine del 1999 n. 4 Aziende Sanitarie e n. 4 Azien­
de Ospedaliere. Nel corso del 2003 si sono unite alla Rete la ASL 5 Spezzina e
l’Istituto Pediatrico Giannina Gaslini di Genova. Nel corso del 2004 ha ancora
aderito l’Istituto Tumori di Genova.
I principali progetti interaziendali attivati e in corso sono:
- Indagine conoscitiva sull’abitudine al fumo nel personale delle aziende
sanitarie: al progetto hanno partecipato 4 Aziende Sanitarie e 4 Aziende
Ospedaliere. L’obiettivo è stato quello di verificare la percentuale di fuma­
tori nel personale, al fine di prevedere campagne preventive all’interno delle
strutture sanitarie. Nel complesso, sono stati somministrati circa 5000 que­
stionari, e le risposte ricevute sono state 4.324, con una percentuale di fu­
matori nel personale del 30%. Tra il personale che ha risposto al questiona­
rio, si è evidenziato come il 22,7% dei medici, il 33% degli infermieri e il
19,4% del personale amministrativo sia fumatore abituale. La media di siga­
rette fumate giornalmente è di 14,6, mentre il 72% degli intervistati ha di­
chiarato di fumare mentre lavora. A seguito delle interviste effettuate, si è
cercato di impostare un programma di prevenzione che preveda anche l’ac­
cesso facilitato del personale ai Centri Antitabacco presenti nelle aziende e
di prevedere una segnaletica comune nell’ottica della creazione di Ospeda­
li e Strutture Sanitarie libera dal fumo.
- Chi non fuma vince: nel 2003 si è avviato il primo Concorso Regionale
“Uno Spot per dire Stop... Chi non fuma vince”, che ha visto la partecipazio­
ne di circa 15 Scuole Medie Inferiori delle Province di Imperia, Savona e
Genova. Il progetto è stato supportato dal comico Andrea Foresta (Mago
Forest) testimonial molto gradito dai ragazzi, nonché dalla partecipazione
di una squadra di calcio genovese (Sampdoria). I ragazzi hanno prodotto
uno spot di un minuto contro il fumo alla fine di un programma che ha
previsto la somministrazione di un questionario (lo stesso utilizzato presso
la Rete HPH veneta) alle classi partecipanti, incontri con Medici Specialisti
nonché l’attivazione di un laboratorio con tutor. La giornata conclusiva si è
tenuta in occasione del 31 Maggio “Giornata Mondiale senza Tabacco” presso
i Magazzini del Cotone del Porto Antico di Genova, sia nel 2003 sia nel
2004, con la partecipazione di più di 600 ragazzi provenienti dalle varie
38
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
province liguri. I lavori dei ragazzi,valutati da una giuria di giornalisti liguri,
sono stati premiati in base all’originalità e contenuto.
- Ospedale senza dolore: questo progetto ha visto l’adesione di tutte le Aziende
liguri. È stato attivato un gruppo interaziendale di Anestesisti che ha provvedu­
to alla realizzazione di un Corso accreditato ECM che si sta effettuando in cia­
scuna Azienda aderente al progetto. Il Corso è rivolto al personale medico,
infermieristico ed ostetrico e coinvolge più di 700 discenti. Il gruppo di lavoro
ha operato nei termini di una condivisione delle esperienze nell’ottica di preve­
dere l’elaborazione di un unico percorso didattico, che ha portato alla defini­
zione di un unico programma con la creazione di un CD didattico in Power
Point utilizzato nelle varie sedi per la docenza. Il corso verrà ripetuto anche nel
2005, ed ha l’obiettivo di formare gli operatori alla cultura della gestione del
dolore come sintomo e di fornire le basi per una corretta valutazione del sinto­
mo e impostazione di una corretta terapia. Diverse Aziende hanno anche pro­
grammato manifestazioni in occasione della Giornata del Sollievo.
È ancora da ricordare come la Rete Liguria ha organizzato nel 2001 la 5°
Conferenza Nazionale e abbia partecipato con un proprio stand alla Confe­
renza Internazionale di Firenze del 2003.
In questa breve relazione, abbiamo affrontato le esperienze più significati­
ve, tralasciando altri progetti che sono attualmente in divenire.
Possiamo peraltro affermare che l’esperienza HPH è risultata senz’altro posi­
tiva, in quanto ha innanzitutto sensibilizzato il personale ospedaliero al tema
della promozione della salute, permettendo inoltre ai professionisti di diverse
aziende di conoscersi e mettere in comune esperienze, confrontandosi su temi
il più delle volte gestiti singolarmente. Si sono evidenziate come numerose ini­
ziative fossero in corso nelle varie Aziende, mancando però la diffusione non
solo tra Aziende della stessa Regione bensì anche all’interno della stessa azien­
da. Non tutti i progetti attivati hanno portato a risultati o sono stati conclusi, la
causa di ciò è dovuta al motivo che spesso questi progetti si aggiungono al
lavoro quotidiano, pertanto non sempre è possibile trovare il tempo per poter­
ne perseguire gli obiettivi. È ancora da segnalare come tali iniziative siano state
supportate sia logisticamente, sia finanziariamente, dall’Assessorato Regionale.
2.7. Il contesto della promozione della salute e la rete trentina HPH
ENRICO NAVA1, PAOLO DE PIERI2, LORELLA MOLTENI2, ROBERTO PANELATTI2 - 1Servizio
Educazione alla Salute, APSS Trento; 2Unità per la Qualità, APSS Trento
Nell’organizzazione sanitaria provinciale, la promozione e l’educazione alla
salute (PEAS) rappresenta una linea strategica di assoluta rilevanza. Già nel­
39
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
l’assetto organizzativo aziendale, sin dal 1995 è individuata una Direzione per
la Promozione e l’Educazione alla Salute con funzione di predisporre e defini­
re gli obiettivi nonché gestire la programmazione e il controllo di tutte le atti­
vità di PEAS del servizio sanitario.
Inoltre, nel Piano di sviluppo strategico aziendale adottato nel gennaio del
2001, la promozione della salute, in linea con gli indirizzi della programma­
zione sanitaria del Trentino, rappresenta obiettivo strategico di sviluppo al­
l’interno della quale si collocano le attività istituzionali volte alla tutela della
salute collettiva.
In tale contesto politico-organizzativo, la relativamente recente nascita del­
la rete trentina HPH ha trovato un fertile terreno di potenziale crescita anche
per la consolidata presenza di un ampio spettro di iniziative di promozione
della salute, molte delle quali strettamente collegate ad attività condotte dalle
strutture territoriali rivolte alla comunità ovvero a setting privilegiati quale il
mondo della scuola.
In coerenza con le indicazioni strategiche aziendali in tema di PEAS, già dal
2002 nella contrattazione di budget degli ospedali aderenti alla rete HPH trentina
vengono riconosciuti tre specifici progetti di valenza generale verso i quali devo­
no essere principalmente orientale le azioni: ospedale libero dal fumo, l’approc­
cio precoce ai pazienti con problemi alcol correlati e la promozione della sicurez­
za sul lavoro in ospedale. A queste rilevanti iniziative si affianca un ricco panora­
ma di interventi locali orientati sia allo sviluppo di capacità di migliore gestione
della malattia da parte del paziente cronico (diabete, malattie cardiovascolari, tu­
tela della gravidanza e del puerperio) sia alla promozione di stili di vita salutari.
A tale proposito, nel corso del 2003 su tutti gli ospedali della provincia ad
esclusione di quello regionale di Trento, è stata operata una ricognizione sulle
iniziative sistematiche condotte a livello locale e orientate alle strategie della
PEAS che ha permesso di confermare la presenza sia di attività quotidiane del
personale sanitario incentrate sull’assistenza al paziente, sulla compliance alla
terapia e alla conduzione di un regime di vita compatibile, sia di veri e propri
progetti sviluppati da singole strutture operative ed aventi carattere di conti­
nuità nel tempo.
Per lo sviluppo nel futuro delle attività di PEAS a livello della rete HPH
trentina si impongono comunque alcune riflessioni che potrebbero orientare
in modo più efficace le iniziative.
Data la molteplicità di iniziative è fondamentale operare una selezione di
quelle strategiche che dovrebbe avere un carattere di trasversalità nelle varie
sedi ospedaliere in relazione all’impatto sociale e sanitario delle forme mor­
bose che si vogliono prevenire e controllare.
40
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
Il concetto di fondo della PEAS deve essere oggetto di una trasmissione
ampia e trasversale a tutti gli operatori del servizio sanitario e in particolare a
livello ospedaliero dove risulta importante l’integrazione tra attività clinicodiagnostica e di promozione della salute; per tale ragione risulta importante
rafforzare il ruolo dei referenti HPH ospedalieri anche attraverso una forma­
zione mirata.
È forse opportuno rivalutare il concetto di fondo HPH alla luce anche del
centralità cittadino nei rapporti con il servizio sanitario inteso nella sua
unitarietà; in questo senso la promozione della salute deve essere intesa in
forma integrata ospedale/territorio.
Infine il coinvolgimento delle strutture dipartimentali e l’inserimento della
strategia di promozione della salute tra i requisiti oggetto di attenzione
nell’accreditamento istituzionale potrebbero rappresentare utili opportunità
di implementazione della PEAS.
2.8.
La Rete HPH valdostana: dal progetto di salute al modello comunicativo
GIORGIO GALLI - Coordinatore rete valdostana HPH, Responsabile URP /Ufficio
Stampa Azienda USL Valle d’Aosta
Sono solamente trascorsi tre anni dall’ingresso della nostra regione nella
rete italiana HPH e in questo periodo, avvalendoci sia delle professionalità
interne all’Azienda sia delle esperienze maturate dalle altre regioni nel campo
dei progetti di salute, abbiamo promosso e realizzato numerosi programmi,
alcuni originali, altri già avviati da altre regioni partner e adattati al nostro
contesto.
Quella della Valle d’Aosta è una realtà unica e originale, sia per la sua collo­
cazione geografica – da sempre crocevia con l’Europa - che per le sue dimen­
sioni e le caratteristiche morfologiche: 120.000 abitanti disseminati in un terri­
torio montuoso ricco di vallate laterali e alte quote, dove il decentramento dei
servizi diventa requisito fondamentale per soddisfare i bisogni della popola­
zione e favorire la stanzialità.
Le dimensioni contenute e l’esiguità del numero di abitanti sono condizioni
favorevoli per la promozione di programmi di salute che consentono la mas­
sima diffusione degli stessi esercitando, nel contempo, un agevole verifica del
grado di coinvolgimento dei destinatari.
Ed ecco che, in alcuni casi autonomamente, in altri partecipando ai gruppi
di lavoro della limitrofa rete piemontese, in questi pochi anni abbiamo svilup­
pato numerosi progetti, tutti in linea con le caratteristiche di un progetto HPH,
ad iniziare dalla sua fattibilità e riproducibilità. In alcuni casi l’ingresso nella
rete ha generato nuovo impulso a programmi già impostati e avviati (come
41
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
nel caso dell’integrazione “Ospedale-Territorio” o dell’ospedale interculturale
o ancora dell’Ospedale senza dolore). In linea con la definizione di promo­
zione della salute, contemplata dalla Carta di Ottawa, ovvero il processo di
rendere capace la persona di aumentare il controllo e migliorare la qualità
della propria salute, abbiamo ideato e realizzato, su scala regionale, un pro­
getto incentrato sullo sport, salute e corretti stili di vita (caratterizzato dallo
slogan “Chi si ferma è perduto”), giunto alla sua 2° edizione e arricchito da
nuovi percorsi comunicativi. Analogamente alle altre regioni, anche in Valle
d’Aosta procede incessantemente il progetto di prevenzione dal fumo e dai
conseguenti danni (“Chi non fuma...vince!”), in stretta sinergia con Lega Tu­
mori e Sovraintendenza agli Studi, rivolgendoci in modo particolare alle fasce
a rischio, ovvero la popolazione scolastica compresa in un range di età oscil­
lante tra i 12 e 16/17 anni. Prosegue inoltre, in raccordo con il gruppo di
lavoro piemontese, il progetto sulla salute dei lavoratori, mentre è prossimo
all’ingresso nella rosa dei progetti HP un programma di prevenzione, già in
parte realizzato dalla struttura “Formazione Personale Infermieristico”, fina­
lizzato alla rilevazione, studio e proposta di soluzioni per il ben noto proble­
ma del peso degli zainetti trasportati dagli studenti.
Al di là dell’attività progettuale, cosa sicuramente non facile, da tempo ab­
biamo iniziato a porci una domanda legata all’individuazione e alla definizio­
ne delle modalità con cui intendiamo comunicare lo stato dell’arte dei nostri
programmi di salute alla popolazione. Nelle precedenti conferenze e nelle
sessioni parallele tematiche, abbiamo avuto occasione di conoscere e con­
frontarci su ottimi progetti di salute realizzati dalle regioni afferenti alla rete,
ma come li comunichiamo? Quali strumenti utilizziamo per far giungere il
messaggio ai nostri destinatari? Come li promuoviamo fuori dall’ambito stret­
tamente ospedaliero?
La Conferenza nazionale di Riva del Garda, e qui dobbiamo ringraziare la
Provincia Autonoma di Trento e Carlo Favaretti, ha introdotto in modo forte il
tema della comunicazione, imprescindibile per qualunque P.A. ed in modo
particolare per le aziende sanitarie che da tempo, per necessità e sulla scia
delle spinte normative, si trovano impegnate su questo fronte. Conosciamo
tutti la rapida evoluzione che in tal senso ha caratterizzato il mondo della
sanità: nel giro di un decennio si è usciti da quella autoreferenzialità che ha
dominato incontrastata per lungo tempo, per arrivare alla trasparenza ammi­
nistrativa, alla partecipazione dei cittadini ai procedimenti, alla realizzazione
delle carte dei servizi, all’istituzione degli Urp, la famosa finestra di dialogo tra
cittadini e P.A., oggi divenuto la struttura di comunicazione per eccellenza, a
fianco degli uffici stampa – anch’essi da poco introdotti nel settore pubblico –
grazie alla legge 150/2000 e alla più recente Direttiva del Ministero della Fun­
zione Pubblica. Ecco che allora tutta l’attività svolta da una struttura sanitaria,
42
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
con un occhio di particolare riguardo ai progetti di salute, necessita di essere
portata a conoscenza del pubblico, se vogliamo coinvolgere i nostri utenti e
renderli partecipi dei nostri progetti.
La nostra Azienda da tempo, grazie al forte imprimatur della direzione ge­
nerale, sta sviluppando e promuovendo programmi di comunicazione sem­
pre più complessi conseguenti ad una serie di progetti innovativi, attuati da
un dipartimento di comunicazione che sta prendendo forma in questi mesi,
sforzandosi di utilizzare linguaggi comunicativi alternativi a quelli tradiziona­
li, attingendo a seconda delle necessità dalla fiction e dal mondo del cinema,
dalla grafica, dall’immagine e dalla pubblicità, piuttosto che dal mondo del
teatro e da quello della musica. Obiettivo: veicolare nel modo più efficace il
messaggio indirizzandolo al target e al segmento di popolazione individuato.
Già in questa edizione 2004 della Conferenza nazionale HPH abbiamo avu­
to l’opportunità di mettere a confronto non solo le nostre progettualità, ma
anche le modalità con cui ogni regione cerca di trasmetterle all’esterno. Credo
che da oggi in poi il tema della comunicazione ed il confronto delle nostre
esperienze in tal senso, il benchmarking delle tecniche di comunicazione da
tutti noi sperimentate, diventerà una costante anche nelle prossime occasioni,
nel rispetto dello spirito che caratterizza il lavoro all’interno della rete. La pic­
cola Valle d’Aosta, proprio per le sue ridotte dimensione e la facilità di con­
trollare i processi, può essere in tal senso, lo dico ovviamente con molta umil­
tà, un interessante laboratorio per sperimentare tecniche comunicative
innovative e differenziate a seconda dei contenuti e della fascia dei destinatari.
“Non si può non comunicare”, questo è il fondamentale assioma della co­
municazione. Se la Conferenza di Riva del Garda ha oggi il merito di gettare
con forza le basi di un confronto sui temi della comunicazione, oltre a quelli
importanti e consolidati dello studio, della verifica dei risultati e del migliora­
mento continuo dei progetti di salute - soprattutto sotto il profilo scientifico -, la
9° Conferenza nazionale, che si terrà in Valle d’Aosta, proseguirà su questa
strada riservando ampi spazi alla presentazione e al confronto degli strumenti
comunicativi maggiormente adeguati ai nostri progetti di salute.
2.9. La Rete HPH in Friuli Venezia Giulia
CRISTINA AGUZZOLI1, MARIA TERESA PADOVAN2, ADRIANA MONZANI2, DANILO SPAZZAPAN3, CLAU­
DIO RIEPPI4, DANIELE PITTIONI4, GIANNI CAVALLINI2 - 1Dipartimento di Prevenzione; 2Dire­
zione Sanitaria; 3Programmazione e Controllo; 4Direzioni Sanitarie di Ospedale
Il 13 novembre 2003 a Gorizia è stato firmato alla presenza dell’Assessore
Regionale alla Sanità e Politiche Sociali, il documento per l’adesione alla rete
43
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
nazionale HPH con la partecipazione delle seguenti Aziende: Istituto di Rico­
vero e Cura a carattere scientifico “Burlo Garofalo” di Trieste, Azienda per i
Servizi Sanitari n. 2 “Isontina” comprensiva degli Ospedali di Gorizia e
Monfalcone, Azienda per i Servizi Sanitari n. 3 “Alto Friuli” comprensiva degli
Ospedali di Gemona e Tolmezzo, Azienda Ospedaliera “Santa Maria della
Misericordia” di Udine, Azienda Ospedaliera “Santa Maria degli Angeli” di
Pordenone, Azienda per i Servizi Sanitari n. 6 “Friuli Occidentale” comprensi­
va degli Ospedali di Maniago, S.Vito al Tagliamento e Spilimbergo. In tale
contesto l’Ass n. 2 “Isontina”, è stata individuata quale capofila della rete.
La rete regionale ha effettuato un censimento e verificato i requisiti dei
numerosi progetti di Promozione della Salute in atto nelle diverse Aziende;
ha promosso altresì un confronto per la condivisione di un approccio
metodologico e di valutazione uniforme a livello regionale. Nel corso delle
prime riunioni si è discusso sul fatto di stabilire dei criteri riconoscibili e
misurabili, da rispettare nell’ambito di azioni che possono essere anche di­
verse. Il monitoraggio dovrebbe essere semestrale con semplici schede rias­
suntive. Si è deciso inoltre di avviare un percorso formativo comune per
tutti i componenti dei Comitati Tecnici Aziendali al fine di uniformare le
conoscenze circa i principi e i metodi della Promozione della Salute. Quale
progetto unico è stato scelto “Ospedale senza dolore” su cui attivare un
monitoraggio condiviso approfittando del fatto che è un progetto regionale
già accettato da tutte le Aziende coinvolte. Il progetto si propone di attivare
l’inserimento nella cartella clinica della rilevazione costante del dolore per­
cepito, protocolli condivisi di trattamento del dolore, il monitoraggio di con­
sumo dei farmaci.
Recentemente tale percorso di confronto a livello di rete ha registrato tem­
poranee difficoltà in considerazione del fatto che all’interno di numerose Azien­
de aderenti alla rete ci sono stati rinnovi di Direzioni Generali e Sanitarie. Ciò
ha frenato molto la composizione definitiva dei Comitati Tecnici Aziendali e
la condivisione operativa del percorso formativo. Allo stato attuale è stata
riattivata la periodicità di incontro con i nuovi interlocutori aziendali e sono
oggetto di revisione alcuni punti tra cui il ruolo della rete quale soggetto nei
confronti dell’Agenzia Regionale e dell’Assessorato alla Sanità, anche al fine
di favorire – nell’ambito della programmazione regionale – un rafforzamento
della strategia della Promozione della Salute, quale sostegno ad un reale
riorientamento alla salute delle organizzazioni sanitarie. Inoltre, sono in corso
nuove adesioni in regione e si è ritenuto necessario promuovere tale proces­
so con la produzione di materiale che riassuma brevemente le caratteristiche
della rete, da usare eventualmente anche per la spinta motivazionale dei Co­
mitati Interni.
44
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
Conclusioni: è confermata l’assunzione da parte di ogni azienda aderente
alla rete del progetto “Ospedale senza dolore”.
Le Aziende hanno in corso l’individuazione di due ulteriori obiettivi che
nell’ambito del confronto regionale si è convenuto devono essere specifici di
ogni singola Azienda.
Tali obiettivi saranno oggetto di verifica attraverso schede e sottoposti a
valutazione semestrale nell’ambito di incontri di rete.
2.10. La Rete HPH della Campania: difficoltà e prospettive
SARA DIAMARE - Coordinatrice Rete HPH della Campania
Se fra i prerequisiti per la salute possiamo enunciare una casa, l’istruzione,
la sicurezza e la giustizia sociale, un reddito, un uso sostenibile delle risorse,
un ecosistema stabile, una viabilità controllata, noi, in Campania non stiamo
troppo bene.
La ricerca di soluzioni a questi enormi problemi può essere sollecitata da
azioni sociali a favore della salute e di stili di vita che la favoriscano, con la
creatività degli individui e della comunità anche per la ricerca di risorse atte a
realizzare eventuali programmi di rete.
Le soluzioni vanno trovate ai tavoli di contrattazione politica, ma anche
capillarmente all’interno dei luoghi deputati all’erogazione delle cure, cioè
nelle Aziende Ospedaliere e Sanitarie, e vanno anche al di là dei sistemi sanitari tradizionali.
In Campania di creatività ne abbiamo da esportare. Ma delle reti fin’ora
costituite, ci rimangono solo i buchi. Per utilizzare questo potenziale
contestualizzandolo in una organizzazione di rete è necessario un profondo
cambiamento culturale nel modo in cui consideriamo e, responsabilmente
gestiamo il nostro ambiente, il nostro quotidiano e le nostre interrelazioni
politiche e sociali. Ovvero, in primo luogo, è necessario comprendere essen­
zialmente la proficuità della sinergia del lavoro in rete, rispetto alla quale alcu­
ni oppongono un falso interesse ed una resistenza passiva.
L’avvio dell’HPH in Campania è stato promosso dalla ASL Napoli 1, in par­
ticolare dal Direttore del Servizio Controllo Qualità dr. Alfredo Savarese, il cui
Servizio ha ampiamente sostenuto questo progetto.
La forza della novità HPH, ha consentito una aggregazione progressiva del­
l’alta Dirigenza che attualmente compone il Comitato Tecnico Centrale del­
l’Azienda e la costituzione di Comitati Tecnici Locali per ogni singolo Presidio
Ospedaliero.
L’ASL Napoli 1 è partita da una complessa organizzazione di rete intra-ASL,
45
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 2
infatti, partecipa alla rete HPH già dal 2003 con i suoi 9 Presidi Ospedalieri e 4
Presidi Sanitari Intermedi dove si erogano prestazioni in day hospital.
Essa garantisce l’assistenza sanitaria nella città di Napoli ed al momento
conta circa 11.250 dipendenti, di cui la maggioranza ospedalieri.
Questo, in particolare, è il target su cui si è articolato il primo intervento
HPH che è stato orientato all’applicazione della normativa antifumo vigente,
ovvero il progetto “ASL Napoli 1 Libera dal Fumo” che partendo dagli ambien­
ti ospedalieri propone una cultura della salute in un territorio molto comples­
so e densamente popolato.
I progetti HPH costituiscono, a nostro parere, una sorta di passaggio obbli­
gato nell’ottica di una forte volontà delle Aziende di impegnarsi in azioni che
diffondano una cultura della salute nel territorio di appartenenza e aumentino
la fiducia nel servizio sanitario da parte dei cittadini.
Le aziende che hanno firmato l’Accordo per la costituzione della Rete della
Campania e che si sono impegnate a svilupparla ed estenderla in maniera
coordinata sono:
L’ASL Napoli 1, l’ASL Avellino 2, l’Azienda Ospedaliera “Cotugno” di Napo­
li.
Viene individuato quale Servizio di riferimento per il Coordinamento della
Rete Regionale della Campania il Servizio Controllo di Qualità della ASL Na­
poli 1 e quale Responsabile del Coordinamento, la dr.ssa Sara Diamare, affian­
cata per la costituzione di un Centro di coordinamento dalla dr.ssa Maria Fierro
per la ASL Avellino 2 e dal dr. Agostino Sasselle per l’Azienda Ospedaliera
Cotugno.
Il Centro di coordinamento della Rete Regionale della Campania dovrà:
- organizzare la Segreteria e il Centro di documentazione della Rete Regiona­
le, compreso il supporto amministrativo e il coordinamento della Rete stes­
sa;
- costituire il punto di raccordo tra la Rete Regionale della Campania, l’OMS e
l’Istituto Ludwig Boltzmann;
- favorire l’adesione di altre Aziende Sanitarie/Ospedaliere alla Rete HPH del­
la Campania.
L’HPH in Campania, vuole essere l’avvio di un’operazione culturale, in col­
laborazione con il territorio, per una crescita della coscienza collettiva nel
senso del miglioramento delle relazioni e della comunicazione, a favore della
qualità della vita.
46
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 3
Gli ospedali per la promozione della salute
nel contesto multiculturale
3.1. Gli ospedali per la promozione della salute nel contesto multiculturale:
il progetto europeo Migrant-friendly hospitals ed altre iniziative
della Rete HPH
ANTONIO CHIARENZA - Responsabile del Centro di Coordinamento della rete HPH
Emiliano-Romagnola
Il fenomeno migratorio ha assunto proporzioni notevoli ed ha modificato in
modo irreversibile il contesto sociale e demografico in cui i servizi sanitari si tro­
vano oggi ad operare. Che piaccia o no questa situazione non è destinata a modi­
ficarsi, le migrazioni continueranno in futuro seguendo schemi sempre più com­
plessi e rendendo le società sempre più differenziate. Non si può ignorare che
l’Italia sta diventando una società multietnica, caratterizzata dalla compresenza di
individui e gruppi che fanno riferimento ad appartenenze etniche e culturali dif­
ferenti e che hanno deciso di vivere stabilmente nel nostro paese.
La compresenza di culture diverse, non necessariamente assimilabili ai
modelli di vita e ai valori del paese ospitante richiede infatti lo sviluppo di
risposte adeguate e di azioni specifiche a vario livello che coinvolgono so­
prattutto i servizi sociali e sanitari. I sistemi sanitari, in particolare, se vogliono
migliorare la loro capacità di rispondere in modo adeguato e competente ai
bisogni di un’utenza multietnica devono cominciare a modificare la loro “cul­
tura”, quindi il loro modo di comunicare, di organizzare e di fornire servizi e
attività di cura allo scopo di garantire un accesso e un trattamento equo e di
qualità per i propri pazienti e cittadini.
Le disuguaglianze sul piano della salute e dell’accesso ai servizi possono
essere alleviate creando dei sistemi di cura in grado di riconoscere la diversità
culturale e di superare quelle barriere che possono precludere attività
diagnostiche, terapeutiche e di follow-up appropriate. Questa necessità risul­
ta, oggi, essere particolarmente urgente per gli ospedali che rappresentano il
primo punto di accesso alle cure sanitarie da parte degli immigrati. Quando i
pazienti non capiscono ciò che gli operatori sanitari gli dicono e gli operatori
non comprendono o sono insensibili alle differenze culturali è, in primo luo­
go, la qualità delle cure ad essere compromessa.
Si deve accettare l’idea che l’utenza degli ospedali non è più, se mai lo è
47
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 3
stata, un’utenza omogenea essendo ormai caratterizzata in modo sempre cre­
scente da pazienti appartenenti a diversi tipi di minoranze etniche. Questa
situazione pone gli ospedali davanti ad alcune priorità:
- come organizzare ed erogare i propri servizi per una varietà di pazienti con
differenti background etnici e culturali e che parlano lingue diverse in modo
da garantire a tutti un accesso e un trattamento equo?
- come rispondere in modo appropriato ai bisogni specifici di cura e di assi­
stenza di un’utenza multiculturale che ha differenti concezioni di salute, di
percezione della malattia, di aspettative di cura, e specifici problemi di salute?
Le iniziative in corso all’interno della rete HPH, la creazione di Task Force a
livello nazionale ed internazionale, il progetto europeo Migrant-friendly
Hospitals, si propongono di rispondere a queste priorità mediante
l’implementazione e la verifica di strategie che sono tipiche della cultura degli
Ospedali per la promozione della salute (HPH):
- migliorare l’organizzazione generale dei servizi ospedalieri per un’utenza di
tipo multiculturale mediante interventi specifici finalizzati a migliorare la
qualità dei servizi e rendere il setting ospedaliero “culturalmente adeguato”
verso i migranti e i diversi gruppi etnici;
- rafforzare il ruolo degli ospedali nella promozione della salute e la relativa
conoscenza e competenza degli immigrati (health literacy) e delle minoran­
ze etniche mediante misure efficaci di empowerment, sia per migliorare l’ac­
cesso e l’utilizzo appropriato dei servizi; sia per accrescere la collaborazio­
ne efficace fra pazienti immigrati e il personale sanitario nella gestione delle
malattie acute e croniche; sia, infine, per favorire l’adozione di stili di vita
sani, utilizzando le risorse messe a disposizione dalla società d’accoglienza
e combinandole coi modelli culturali delle minoranze etniche.
L’obiettivo di questo intervento è di dare un contributo alla comprensione
degli effetti di questi cambiamenti sui servizi sanitari allo scopo di ricavare
indicazioni utili ad orientare le politiche, le strategie e le soluzioni operative
in modo appropriato e competente. A questo scopo, il progetto europeo
Migrant-friendly Hospitals e le Task Force, sviluppate all’interno della rete
HPH, possono rappresentare opportunità e modelli concettuali ed operativi
di riferimento per le organizzazioni sanitarie impegnate a rendere i servizi
maggiormente rispondenti alle esigenze di un’utenza multietnica.
3.2. Ospedale interculturale: dall’esperienza alle Raccomandazioni
ROSARIA AVISANI - A.O. Spedali Civili di Brescia
Breve introduzione del contesto
La popolazione immigrata è in continuo aumento in tutta Europa. In Italia
48
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 3
e, in particolare, in Lombardia la popolazione si differenzia rispetto alle altre
regioni per l’alta differenziazioni della provenienza: sono più di 100 i paesi e
le culture di origine degli immigrati. Dall’esperienza di alcuni ospedali lombardi
che, tra i primi, hanno dovuto far fronte alle diverse problematiche connesse
alle diversità di modelli culturali, si è costituito, nel 2002 “un gruppo di lavoro
regionale” rappresentato - oggi - da 16 strutture ospedaliere (tra pubbliche e
private)1, che ha avviato il progetto regionale.
Obiettivo generale
Facilitare l’accesso e l’accoglienza del cittadino immigrato ai servizi
ospedalieri e la comunicazione degli stessi con gli operatori dell’ospedale,
attraverso una metodologia di lavoro di rete nell’area interculturale.
Obiettivi specifici
1. Predisporre una banca dati regionale sulle specifiche iniziative in atto nelle
diverse strutture Regionali.
2. Identificare le aree maggiormente critiche su cui pianificare strategie di in­
terventi.
3. Creare una rete informativa sul territorio che consenta ai cittadini immigrati di
conoscere le molteplici possibilità di accedere ai servizi sanitari regionali.
4. Creare percorsi per facilitare l’accesso agli utenti immigrati, soprattutto nel­
le aree sanitarie di maggiore richiesta.
Target
- Immigrati con e senza regolare permesso di soggiorno.
- Personale aziendale dedito alla relazione con i soggetti stranieri.
- Associazioni di volontariato, Onlus.
- Comunità delle etnie maggiormente rappresentate nel territorio.
Metodologia adottata
Identificazione delle criticità e positività delle varie esperienze delle struttu­
re aderenti al progetto, per la realizzazione di percorsi metodologici, al fine di
1
A.O. San Carlo di Milano; A.O. I.C.P. di Milano; A.O. Ospedale L. Sacco di Milano; A.O. San Paolo
di Milano; A.O Cremona; AO. Crema; A.O. Fatebenefratelli di Milano; A.O. Busto Arsizio; A.O.
Spedali Civili di Brescia; A.O. Ospedale di Lodi; Istituto Clinico Humanitas di Rozzano; Istituto
Clinico Mater Domini di Castellana (VA); Istituto Policlinico San Donato Milanese; IRCCS San Matteo
di Pavia; Casa di Cura San Carlo di Paderno Dugnano; Casa di Cura Multimedia di Sesto S. Giovanni.
49
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 3
realizzare interventi informativo/educativi agli immigrati e agli operatori nelle
varie strutture.
Percorso operativo: azioni e risultati
Anno 2002 (strutture aderenti: n. 9)
- rilevazione delle azioni maggiormente significative, (mediante sommini­
strazione di questionario);
- scambio delle esperienze tra le strutture del gruppo nonché della docu­
mentazione e del materiale.
Anno 2003 (strutture aderenti: n. 14)
Sono state individuate le aree di maggior afflusso di utenti immigrati e pre­
disposti i seguenti strumenti informativi:
- poster multilingue con una spiegazione del triage e del significato dei colo­
ri relativi alle prestazioni più o meno urgenti, stampato dalla Regione e
distribuito in tutte le strutture ospedaliere dotate di pronto soccorso a vari
livelli;
- visibilità in internet del questionario anamnestici multilinguistico di emer­
genza (in 29 lingue) predisposto dalla provincia di Varese ed Associazione
privata;
- predisposti, in italiano e condivisi dal gruppo, (pronti per la traduzione
nelle 5 lingue principali e diffusione in tutte le strutture ospedaliere del
territorio lombardo):
- dichiarazione di nascita (area materno-infantile);
- consenso informato (informazioni di carattere generale);
- diritti e doveri dei cittadini (con particolare attenzione alla situazione de­
gli immigrati).
Anno 2004 (strutture aderenti: n. 16)
È emersa la necessità di predisporre un documento “Le raccomandazione per
un ospedale interculturale” che contenga le esperienze delle strutture ospedaliere
che hanno già avviato il progetto, suggerimenti, percorsi formativi agli operatori,
documentazione per facilitare l’accoglienza degli immigrati.
Il gruppo si è suddiviso in sottogruppi al fine di approfondire le seguenti
tematiche per la costruzione del documento:
- normativa nazionale e regionale;
- formazione agli operatori;
- aree tecniche: accoglienza, dimissione, integrazione ospedale-territorio;
- aree cliniche: la nascita, la morte, la malattia (oncologica, infettive e croni­
che), le emergenze.
Presentazione e valutazione dei risultati
Si pensa entro l’anno di produrre il documento che verrà sottoposto ad
50
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 3
approvazione regionale. Questo costituirà uno strumento di base per quelle
strutture ospedaliere che vogliono attivare un servizio di accoglienza agli im­
migrati o cogliere suggerimenti per migliore il servizio già in atto. Una volta
approvato, il documento regionale verrà fatto conoscere a tutte le strutture
sanitarie. La successiva divulgazione di un questionario sarà finalizzato a
monitorare ed implementare le Raccomandazioni regionali “Ospedale
Interculturale”. Al momento vi è una crescita di esperienze delle 16 strutture
partecipanti al progetto.
3.3. Ospedale e territorio interculturale. L’esperienza del gruppo veneto
MARIA CATERINA DE MARCO1, MAURIZIA BORDIN2 - 1Direzione sanitaria Presidio
Ospedaliero di Treviso, Azienda ULSS n. 9; 2Servizio Educazione e Promozio­
ne alla salute Azienda ULSS n. 8 (Asolo)
La migrazione da paesi non appartenenti all’Unione Europea è certamente
uno dei fenomeni che maggiormente stanno condizionando la nostra epoca:
in poco più di vent’anni l’Italia è diventata e si è consolidata come meta più o
meno definitiva per un flusso di cittadini stranieri in costante aumento.
A livello nazionale, alla fine del 2002 (dossier Caritas 2003), viene stimata una
presenza di immigrati sulla popolazione totale pari a circa il 3%. Le regioni mag­
giormente interessate dal fenomeno migratorio sono la Lombardia e il Lazio:
rispettivamente ospitano circa il 22% e il 18% della popolazione complessiva
immigrata. Subito dopo viene il Veneto con il 10% di presenze: a livello regiona­
le le province di Vicenza (4,8%), Verona (4,1%) e Treviso (3,8%) sono quelle
che attraggono il maggior numero di immigrati. In Veneto, le comunità di immi­
grati maggiormente presenti sono le seguenti: Marocco, ex Yugoslavia, Albania,
Romania, Ghana, Croazia, Cina, Nigeria, Senegal, Macedonia. L’incidenza delle
donne sulla presenza immigrata è attualmente pari al 4%.
Oltre il 60% degli immigrati provenienti da paesi extracomunitari giunge in
Italia per motivi di lavoro, circa il 26% per motivi di famiglia. L’aumento di
questi, negli ultimi anni, indica come l’immigrazione stia assumendo un carat­
tere sempre più accentuato di insediamento stabile.
La presenza di famiglie ricongiunte, inoltre, fa si che si passi da una condizio­
ne di tendenziale invisibilità sociale ad una relazione più intensa con il paese di
accoglienza, proponendo sempre più occasioni di scambio interculturale.
La popolazione immigrata soggiornante è più giovane rispetto alla popola­
zione autoctona e per l’80% si concentra nella fascia 0-40 anni.
L’immigrato arriva generalmente nel nostro paese con un “patrimonio di
salute” pressoché integro: si consideri come proprio la forza-lavoro, su cui
questi gioca le possibilità di successo del proprio progetto migratorio, sia in­
51
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 3
dissolubilmente legata all’integrità fisica; sono, poi, le complessive condizioni
di vita cui l’immigrato dovrà conformarsi nel paese ospite, capaci di erodere e
dilapidare, in tempi più o meno brevi, il “patrimonio di salute” iniziale.
La presenza di stranieri nel territorio e il loro interagire con le istituzioni
crea una serie di esigenze e di richieste da ambo le parti: per gli immigrati,
inserirsi in un nuovo e complesso contesto di vita (modelli culturali, stili, re­
gole, percorsi), per gli operatori, garantire i servizi richiesti e il buon funzio­
namento dell’amministrazione di appartenenza recependo e rielaborando le
trasformazioni socioculturali in atto.
In tale contesto si inserisce il progetto “Ospedale e Territorio Interculturali”
della regione Veneto al quale hanno aderito 5 Aziende ULSS, e diretto ai citta­
dini extracomunitari e alle minoranze etniche presenti sul territorio, che si
rivolgono alle strutture pubbliche per i propri bisogni di salute.
Come gruppo di coordinamento veneto abbiamo sin dall’inizio concordato
su una questione di fondo: il sistema di cura occidentale, come tutti i sistemi
organizzativi, è centrato sul proprio auto-mantenimento e dunque erige dife­
se e resistenze finalizzate a neutralizzare le spinte alla trasformazione. In que­
sto senso, la presenza di cittadini, pazienti, utenti migranti “obbliga” al cam­
biamento e “provoca” il sistema della salute pubblica. Perciò, tale sistema,
elabora una serie di barriere strutturali che riguardano l’accesso ai servizi e
l’accessibilità dei servizi: le prime (a valenza più sociale) sono prevalente­
mente di tipo giuridico-legale, economico, burocratico-procedurale e
organizzativo; le seconde (a valenza più culturale) sono prevalentemente di
tipo linguistico, comunicativo, interpretativo. In altri termini, l’incremento degli
accessi ai servizi ospedalieri e territoriali da parte di cittadini immigrati com­
porta una serie di mutamenti e di adattamenti reciproci, anche piuttosto com­
plessi, tra gli stessi cittadini e gli operatori.
Le differenze socioculturali e linguistiche possono produrre incomprensioni
e fraintendimenti quando non vere e proprie conflittualità che impediscono
agli immigrati di ricevere prestazioni e servizi efficaci e agli operatori di svol­
gere la loro attività in maniera organizzata, soddisfacente e proficua.
Le maggiori criticità incontrate nelle diverse realtà sociosanitarie che parte­
cipano al coordinamento veneto sono di tipo:
- normativo (difficoltà legate alla conoscenza e interpretazione della legisla­
zione in tema di immigrazione con particolare riferimento alle situazioni di
non regolarità);
- relazionale (difficoltà comunicative e di interazione nella diversità di espe­
rienze e riferimenti socioculturali);
- organizzativo (difficoltà di individuare procedure innovative ed efficaci sia
per i cittadini immigrati che per gli operatori).
A fronte di tale analisi il gruppo ha individuato le finalità generali del pro­
52
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 3
getto che consistono in: realizzare ed offrire ai cittadini extracomunitari l’ac­
cesso ai servizi sanitari in modo appropriato; migliorare la qualità dell’assi­
stenza socio-sanitaria dall’accesso nella struttura pubblica alla permanenza e
al ritorno al territorio, nel rispetto delle diverse identità culturali ed ai bisogni
specifici; migliorare la capacità di autotutela della salute.
Gli obiettivi specifici sono così specificati:
- conoscenza e definizione dei bisogni di salute della popolazione immigrata;
delle reali esigenze permettendo di modulare li interventi sanitari e sociali
con un approccio globale alla persona;
- censimento degli enti, associazioni, organizzazioni che si occupano degli
aspetti socio-sanitari dell’immigrato nell’Azienda-ULSS e nel territorio di com­
petenza;
- istituzione di un’attività di mediazione linguistico culturale;
- corsi di formazione di educazione e promozione alla salute degli operatori
socio-sanitari;
- costituzione di una banca dati dei servizi offerti.
Le attività realizzate e le metodologie utilizzate sono:
- verifica dei lavori pregressi, tratti dalla letteratura e dalla conoscenza diretta;
- depliants, opuscoli e poster informativi tradotti in varie lingue;
- istituzione di un’attività di mediazione culturale per facilitare l’accesso ai
servizi ospedalieri; per esplicitare e chiarire le domande e i bisogni; tradurre
documenti, prescrizioni, indicazioni di esami e modalità di cura;
- incontri di informazione per la conoscenza della normativa di riferimento;
- scheda di progetti svolti o in divenire nei riguardi della popolazione straniera;
- interviste e questionari; focus group per l’analisi dei bisogni;
- analisi dei bisogni, attraverso un monitoraggio dei dati inerenti i ricoveri e le
patologie maggiormente significative;
- analisi dei ricoveri e/o prestazioni di pronto soccorso;
- utilizzo di un questionario da somministrare agli operatori socio-sanitari per
affrontare la “problematica” dello straniero e del diverso;
- corsi di formazione per gli operatori socio-sanitari;
- individuazione di punti di riferimento per la popolazione bersaglio.
Per quanto concerne i risultati, nelle Aziende ULSS aderenti al progetto si
sono formati dei gruppi di lavoro aziendali, al fine di lavorare per obiettivi e
metodologie comuni alle Aziende per lo sviluppo del progetto “Ospedale e
Territorio Interculturali”.
È stato particolarmente importante introdurre nell’ambito sanitario la figura
del mediatore linguistico culturale, quale figura ponte tra l’utenza straniera e
gli operatori socio-sanitari che con essa si trovano a contatto, in grado di
53
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 3
propiziare l’incontro tra mondi culturali differenti, ma comunicanti. La cono­
scenza della lingua di provenienza dei gruppi immigrati risulta questione molto
importante dal momento che, quello linguistico, è il problema che di primo
acchito si presenta a chi si trova a contatto con cittadini stranieri, ma le cono­
scenze e competenze richieste alla figura del mediatore sono anche o soprat­
tutto di tipo relazionale e interculturale. In diversi contesti territoriali sono
stati attivati corsi di formazione per mediatori linguistico culturali rivolti per lo
più, ma non necessariamente, a cittadini immigrati.
All’interno del progetto, inoltre, è stato portato a termine il censimento del­
le organizzazioni che si occupano dei cittadini stranieri ed è stata realizzata
una scheda per poter verificare quanti progetti all’interno di ciascuna Azienda
sono stati messi in atto e quanti ancora sono in divenire, al fine di coordinare
le attività.
In particolare nell’ultimo periodo abbiamo lavorato ad un questionario per
facilitare il servizio di Pronto Soccorso: sempre più spesso durante l’attività di
triage, l’infermiere viene in contatto con utenti stranieri che non parlano ita­
liano, oppure lo parlano con molta difficoltà. Ciò ha come conseguenza che
tale utenza, non essendo in grado di comprendere le nostre spiegazioni e/o
assicurazioni, affronta il percorso del triage in situazione di paura ed isola­
mento. L’idea è di proporre un questionario anamnestico, contenente alcune
domande chiuse, relative ai più frequenti sintomi, tradotte in varie lingue
(albanese, arabo, cinese, francese, inglese, russo, serbo-croato, spagnolo, te­
desco), in modo da migliorare la comunicazione e le informazioni che vengo­
no fornite agli utenti stranieri che si trovano a ricevere prestazioni, talora ur­
genti.
Dei pazienti registrati si riporteranno l’ora di registrazione al triage e di visi­
ta del medico, e il codice colore. Infine verrà messa a confronto la
sintomatologia riportata sulla scheda di triage e la diagnosi finale di dimissione
dal Pronto Soccorso.
54
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 3
Parte II
Sessioni Parallele
55
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 4
56
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 4
Gli standard e le strategie
del movimento HPH
4.1. Quality improvement of hospital care through self-assessment of
standards and indicators for health promotion
IRENA MISEVICIENE - Pro-rettore dell’Università di medicina di Kaunas, coordi­
natore della rete nazionale HPH della Lituania
Objective
The purpose of the project was:
a) to develop standards and indicators for health promotion and disease
prevention in hospitals and
b) to develop a self-assessment tool that will support hospitals in assessing
and improving the quality of health promotion activities.
Methods
The ALPHA programme recommendations were followed to developed
standards for health promotion. Specific steps were critical literature review,
proposal of first draft standards, presentation at discussion of draft, expert
workshops to revise draft standards, pilot test of standards and preparation of
final standards. The final set of standards was piloted in 34 hospitals in nine
European countries. They address the issues of management policy; patient
assessment; information and intervention; promoting a healthy workplace and
continuity and cooperation. The developmental process and final standards
have recently been reported in the literature [1, 2, 3].
Subsequently, a self-assessment tool was developed based on standards and
indicators for health promotion. Existing performance indicator sets and the
literature were reviewed and two expert workshops were held to review, select
and develop the indicators for health promotion. The self-assessment tool and a
complementary manual on implementation are being piloted in eleven countries.
Results
The review of current indicators in use in performance assessment initiatives
yielded the lack of health promotion indicators and the need to further develop
57
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 4
and introduce such indicators in hospitals. Staff-related health promotion
indicators exists, however, patient-related indicators are dominated by the
clinical-effectiveness domain.
Instead of assessing compliance with standards, indicators were
developed to complement the standards for health promotion, reflecting
the effect of sustained compliance with standards and hence providing a
quantitative monitoring tool to improve quality of care. The following eight
indicators were selected and developed: Staff awareness for managements’
health promotion policy, patients’ capacities for modifying risk factors;
patients’ self-management capacities; staff short-term absenteeism; staff
smoking behaviour; assessment of communication with external partners;
timely information transfer to subsequent providers, and preventable
emergency admissions of elderly. Descriptive sheets specify the rationale,
description, numerator, denominator, data source and stratification of each
indicator.
A self-assessment tool was developed including measurable elements and
evidence to which standards have to be assessed, and a section for reporting
indicators. The tool requires developing an action plan based on the
assessment of both standards compliance and level of performance on
indicators.
Conclusions
Indicators and a self-assessment tool for health promotion in hospitals have
been developed. The development process was based on a sound
methodological approach and eight resulting indicators have been consented
in an international expert group. A self-assessment tool was developed allowing
for a comprehensive assessment of the quality of health promotion services
using both standards and indicators. A complementary manual provides further
support. The work provides an innovative approach towards combining
qualitative and quantitative methodology on the one hand, and the possibility
to align external assessment and internal continuous quality improvement on
the other.
Bibliography
1. GRÖNE O., JORGENSEN S. J., Health promotion in hospitals – a quality issue in
health care. European Journal of Public Health [accepted for publication,
October 2003].
2. GRÖNE O., JORGENSEN S. J., Quality improvement of health promotion activities
in hospitals, “HOSPITAL 5 (6)”, 2003, pp. 50-53.
3. GRÖNE O., JORGENSEN S. J., Standards for health promotion in hospitals:
58
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 4
development process, results of a pilot test and use as a self-assessment tool
in European hospitals, “ISQUA Conference book and abstracts”, Dallas 2003,
p. 155.
4.2. Strategies for Health Promoting Hospitals and their implementation
JÜRGEN M. PELIKAN - WHO Collaborating Centre for Health Promotion in Hospitals
and Health Care, Ludwig Boltzmann Institute for the Sociology of Health and Medi­
cine, Rooseveltplatz 2, A-1090 Vienna (Austria) – e-mail: [email protected]
Health Promoting Hospitals (HPH) is a comprehensive vision for hospital
reform which is being constantly further developed since the late 1980ies. In
this sense, HPH can also be understood as a specific content for hospital quality
management.
In order to become useful for hospital change processes, the comprehensive
vision of HPH needs to be formulated into strategies, so as every other reform
concept.
Based on the goals of Health Promoting Hospitals, there exists to-date a set
of 18 strategies for promoting the health of hospital patients, hospital staff and
the inhabitants of the hospital community by empowering the target groups
for:
- health promoting self-management
- health promoting coproduction of health
- health promoting disease management
- health promoting lifestyle development
and by improving health-supportive conditions by:
- developing the hospital into a health-supportive setting and
- contributing to developing the hospital community into a health-supportive
setting.
How can these strategies be implemented into hospital practice? The most
comprehensive way is to develop an overall approach by integrating HPH
into the hospital’s (quality) management system.
The presentation will focus on:
- An overview on and examples on the 18 strategies
- Instruments for implementing HPH in general and specific quality manage­
ment
59
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
60
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
Informazione, ascolto, comunicazione
5.1. Rischio clinico: il vissuto di professionisti e cittadini
FRANCESCA NOVACO, LAURA ALDROVANDI, VIOLA DAMEN - Sistema Qualità Azienda
Usl di Modena, Via Scaglia est 33, 41110 Modena
Premessa
Da alcuni anni il Sistema Qualità dell’Azienda Usl di Modena è impegnato
sul tema della sicurezza dei pazienti, intesa come riduzione degli eventi av­
versi e come miglioramento della qualità assistenziale.
In particolare è stato avviato un sistema di gestione del rischio clinico che
prevede da una parte il forte coinvolgimento di professionisti ed operatori,
mediante l’utilizzo del metodo della Segnalazione Spontanea degli Eventi, e
dall’altra l’ascolto della voce degli utenti, mediante l’utilizzo dei reclami e del­
le segnalazioni pervenute all’Ufficio Relazioni con il Pubblico.
Queste metodologie consentono di leggere la realtà del rischio clinico per
quanto riguarda il tipo di evento avverso, gli effetti che questo ha sulla salute
del paziente e sull’organizzazione sanitaria, ecc...
Ciò che questi sistemi non esplorano sono le ricadute degli eventi avversi o
anche del rischio degli stessi sul vissuto dei pazienti e degli operatori, le mo­
difiche che la percezione del rischio legato ai trattamenti provoca nella rela­
zione tra operatore e paziente, come il problema della sicurezza è percepito
dai professionisti della sanità e dai cittadini.
Abbiamo dunque deciso di avviare un’indagine che ci consentisse di chiari­
re anche questi aspetti.
Obiettivi
L’obiettivo del progetto è quello di valutare la percezione di cittadini ed
operatori sul tema dell’errore in medicina e della sicurezza dei pazienti. I ri­
sultati dell’analisi potranno essere utilizzati per:
- introdurre correttivi nel sistema di gestione del rischio clinico implementa­
to a livello aziendale;
- studiare strumenti di supporto nella gestione dell’evento avverso per gli
operatori, i pazienti ed i loro familiari;
- studiare strumenti di comunicazione del rischio clinico per i cittadini.
61
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
Target e metodi
Sono stati somministrati questionari ed interviste rispettivamente ad opera­
tori sanitari e a cittadini riguardo alla percezione ed al loro vissuto in relazione
all’errore in medicina ed al rischio clinico. Sono stati interpellati:
- professionisti ed operatori sanitari di diverse aree specialistiche e figure pro­
fessionali. In particolare si sono scelti sia personale medico che infermieristico
e tecnico, comunque operanti in strutture a diretto contatto con i pazienti
sia a livello ospedaliero che territoriale. Si è scelto di applicare a questo
target lo strumento del questionario per garantire una maggiore tranquillità
e riservatezza nelle risposte;
- cittadini. Si è deciso di intervistare i cittadini indipendentemente dal fatto
che fossero attualmente o fossero stati utenti dei servizi dell’Azienda Usl di
Modena. Sono stati comunque selezionati cittadini residenti nella Provincia
di Modena e quindi potenziali utenti. Si è scelto di utilizzare lo strumento
dell’intervista telefonica che risulta essere il più adeguato per cogliere gli
aspetti del vissuto che rappresentano l’obiettivo dello studio.
Risultati e conclusioni
Le domande poste alle due categorie sono tra loro speculari e sono state
elaborate partendo dall’esperienza condotta in america dalla Kaiser Family
Foundation e dall’Harvard School of Public Health.
Le risposte sono analizzate sia separatamente per le due categorie che me­
diante un raffronto tra le stesse. Una prima visione dei risultati (attualmente in
fase di elaborazione) mette in luce alcuni aspetti rilevanti:
- l’atteggiamento molto variabile degli operatori nei confronti dell’argomento;
- le aspettative dei pazienti di trattamenti sanitari di qualità;
- la volontà da parte di entrambe le categorie di migliorare la comunicazione
sui rischi.
Sarà necessario ora dettagliare meglio queste prime impressioni e tradurle
in azioni concrete.
In particolare si tratta di:
- Migliorare la comunicazione tra clinici sul tema della gestione del rischio:
per il raggiungimento di questo obiettivo è stata implementata un’attività di
audit clinico sugli eventi avversi.
- Migliorare la comunicazione a livello aziendale sul tema della gestione del
rischio: per il raggiungimento di questo obiettivo è stata implementata una
cospicua attività formativa per tutti i livelli dell’organizzazione aziendale.
- Migliorare la comunicazione verso l’esterno sul tema della gestione del ri­
schio clinico: per il raggiungimento di questo obiettivo è stata attivata una
pagina web dedicata a questo tema sul sito dell’Azienda Usl di Modena.
62
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
I risultati definitivi dell’indagine potranno suggerire ulteriori azioni soprat­
tutto orientate alla relazione tra Azienda sanitaria e cittadini e tra operatori e
pazienti.
5.2. Sperimentazione gestionale verso un nuovo modello di governance:
l’esperienza del nuovo ospedale di Sassuolo
LORENA FRANCHINI E ALTRI AUTORI
AUTORE REFERENTE: LORENA FRANCHINI, Sistema Qualità, Ausl Modena, Via Scaglia
Est 33, 41100 MO - tel.: 059 2134187, fax: 059 2134180, e-mail:
[email protected]
Contesto e motivazioni del progetto
L’attivazione del Nuovo Stabilimento Ospedaliero di Sassuolo prevista a
fine 2004 rappresenta un importante cambiamento per i professionisti, per
i cittadini del Distretto e per l’intera Provincia di Modena. Il Nuovo Ospe­
dale si caratterizza per alcuni elementi di innovazione infatti è giuridica­
mente una Società per azioni a capitale misto, dal punto di vista normativo
è una sperimentazione gestionale basata sulla collaborazione sperimenta­
le tra un soggetto pubblico (Azienda Usl di Modena) e un soggetto privato
(Casa di Cura Accreditata Villa Fiorita). Si prevede quindi l’adozione di un
modello gestionale che deve individuare soluzioni organizzative innovative
assicurando un miglior assetto dell’offerta ospedaliera ed una elevata inte­
grazione dei percorsi clinico-assistenziali all’interno e all’esterno con la
rete dei Servizi ospedalieri e territoriali presenti nella Provincia.
Obiettivi
L’apertura del Nuovo Ospedale con la sua sperimentazione gestionale com­
porta lo sforzo di definire linee strategiche innovative per realizzare un “nuo­
vo modello di governo” dell’assistenza sanitaria. È necessario quindi un ap­
proccio sistemico per armonizzare gli obiettivi e i valori dell’organizzazione
con quelli delle singole persone che la compongono e con tutti i principali
stakeholders attraverso un loro coinvolgimento. La prospettiva di far conflu­
ire all’interno del Nuovo Ospedale risorse umane attualmente operanti presso
le due strutture prefigura la necessità di sviluppare percorsi di coinvolgimento
e formazione per gli operatori che permettano di raggiungere integrazione
tra le èquipes, condivisione degli approcci di gestione clinico-assistenziale
dei pazienti, partecipazione nella definizione delle modalità organizzative
da attuare.
63
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
Target
Per concretizzare la new governance progettata per l’Ospedale si è costru­
ito un sistema di valori, esplicitati nella Mission, che fossero rispondenti alle
esigenze dei cittadini, del personale e dell’intera comunità.
La centralità della persona e la sua sicurezza hanno guidato la costruzione
dei percorsi clinico-assistenziali centrati sulla soluzione dei problemi di salute
e integrati con al rete dei servizi socio-sanitari del territorio per garantire la
continuità assistenziale.
Sono state inoltre definite le proposte per la rimodulazione dell’offerta sa­
nitaria del territorio, all’interno della programmazione sanitaria provinciale e
secondo la logica Hub & Spoke, tenendo conto dei bisogni di salute evidenziati,
per alcune tipologie di prestazioni dai dati di mobilità passiva.
I professionisti e gli operatori provenienti dalla struttura pubblica e da quella
privata sono stati coinvolti attraverso incontri periodici, riconosciuti come
“action learning” e accreditati dal sistema ECM, con il duplice obiettivo di
assicurare conoscenza e integrazione reciproca e di condividere le modalità
organizzative da attuare nel nuovo Ospedale. Il loro impegno si è concretizzato
nella definizione delle aree di sviluppo comuni all’interno delle quali proget­
tare i percorsi e definire il miglioramento.
L’Ospedale è parte integrante della comunità in cui è collocato, occorre
quindi proporre strategie di comunicazione alle altre strutture e professionisti
sanitari presenti nel territorio, ma anche e soprattutto alle istituzioni e ammi­
nistrazioni locali. Si è quindi operato affinché dai lavori dei gruppi emergesse­
ro canali preferenziali di informazione, ascolto e comunicazione, program­
mando momenti specifici d’incontro.
Presentazione e valutazione dei risultati
Il confronto fra obiettivi previsti e risultati raggiunti conferma la positività
del lavoro svolto, ogni gruppo ha elaborato la propria mission, coerente con
quella del nuovo Ospedale, ha proposto le aree di sviluppo e di miglioramen­
to sulla base di dati o altri elementi oggettivi, ha definito i principali percorsi e
la relativa mappatura dei rischi, ha analizzato le principali interfacce per defi­
nirne i meccanismi di integrazione, ha evidenziato le necessità di comunica­
zione e di ascolto. Il principale indicatore è quindi costituito dal numero delle
evidenze documentali con le caratteristiche sopra riportate sul numero totale
dei gruppi di lavoro attivati.
Conclusioni
Questa esperienza è applicabile per ogni nuova struttura sanitaria che in­
64
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
tenda rendere percepibile ai pazienti l’eccellenza con percorsi organizzativi
agevoli e puntuali, attenzione e disponibilità nei rapporti umani, ambienti di
elevato comfort, dotazioni tecnologiche avanzate, qualità ed affidabilità delle
prestazioni sanitarie erogate.
5.3. Il vissuto del ricovero ospedaliero nella rielaborazione del bambino
ANNA ZAPPULLA, FABRIZIO SIMONELLI, CARLO BARBURINI, DOMENICA ARONNE - U.O. Co­
municazione Promozione, Marketing e Formazione Ospedale Pediatrico A.
Meyer di Firenze
AUTORE REFERENTE: ANNA ZAPPULLA, Psicologo-Animatore di Formazione A.O.
Meyer, Via Luca Giordano 13, Firenze - tel.: 055 5662441, e-mail:
[email protected]
Introduzione del contesto
In un contesto di malattia e di ospedalizzazione, dove nell’agire degli ope­
ratori e delle famiglie, prevale con eccessiva frequenza, un’ottica
“adultocentrica”, non raramente il bambino vive una condizione di ridotta
visibilità e di ascolto. I suoi vissuti, sia durante il ricovero, sia dopo, quando
rientra alla vita normale, spesso non vengono adeguatamente percepiti, valu­
tati e sostenuti. L’ascolto dei bambini invece ha una sua rilevanza etica e pro­
fessionale e come tale, dovrebbe essere sempre adeguatamente riconosciuto,
perché solo attraverso l’ascolto è possibile rendere visibile il loro mondo in­
terno. I vissuti dei bambini dovrebbero costituire l’elemento fondamentale, o
almeno uno dei principali, per ottenere indicazioni “vere”, utili o indispensa­
bili, per migliorare la gestione clinica del ricovero o per promuovere correttivi
assistenziali, per ottenere una reale condivisione delle scelte operative, oltre
che per trovare elementi utili per migliorare la qualità di vita in ospedale e
realizzare una sempre più efficace promozione della salute.
Ogni bambino può vivere in modo meno traumatico il ricovero ospedaliero,
può essere reso consapevole che essere malati comporta un disagio, può essere
educato ad affrontare meglio la malattia e ad assumere comportamenti corretti
per tutelare la propria salute, può evitare paure e il portarsi dietro problemi che
potrebbero pregiudicare a lungo la qualità della sua vita. Ma occorre conoscere
più a fondo il vissuto del ricovero ospedaliero da parte del bambino.
Obiettivi ed Attività
Partendo da questi presupposti l’Ospedale Pediatrico Meyer, in collabora­
zione con le insegnanti della Scuola Elementare Paolieri (Impruneta), ha rac­
65
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
colto una serie di elaborati scritti da alcuni bambini dal titolo “Racconto una
mia esperienza in ospedale”, per indagare i vissuti e i ricordi della loro espe­
rienza di ricovero, fuori dal contesto ospedaliero, e interpretare quanto i bam­
bini hanno voluto esprimere attraverso i loro temi.
Con l’esame degli elaborati non si vogliono cercare “cose nuove”, né dimo­
strare nuove tesi, ma solo “ascoltare” le voci dei piccoli per dare un piccolo
contributo alla messa a fuoco del loro scenario emotivo e creare un’occasione
di ripensamento critico delle problematiche sottese all’esperienza di malattia
e di ospedalizzazione infantile. Il lavoro va nella direzione della conoscenza
dei problemi, dei bisogni, delle necessità, delle emozioni, dei desideri e delle
aspirazioni dei bambini che sono stati ricoverati. Elementi importanti di
un’esperienza caratterizzata quasi sempre da sofferenza fisica ed emotiva,
spesso da uno sconvolgimento dei rapporti familiari, dei rapporti con gli ami­
ci e con la scuola, e che rappresenta comunque uno strappo, piccolo o gran­
de, ai propri ritmi evolutivi e alla trama della vita. Bisogni, necessità, desideri,
emozioni, aspirazioni delle quali è necessario facilitare sempre più
l’esplicitazione, l’approfondimento, la consapevolezza, la possibilità di
superamento.
L’obiettivo che ci si pone riguarda quanto da questi racconti siano
estrapolabili indicazioni per il miglioramento del benessere del bambino in
ospedale, di rispetto dei suoi diritti, di promozione della sua salute.
Gruppo target
Bambini di varie età della Scuola Elementare Paolieri (Impruneta).
Primi risultati
Sono stati raccolti ed esaminati 63 elaborati scritti: nei loro racconti i bambi­
ni hanno espresso in modo innocente, con creatività, sensibilità, e un’atten­
zione tutta particolare il loro modo di vedere l’ospedale, ed hanno espresso
bisogni, necessità, desideri e aspirazioni che si stanno al momento classifican­
do per una loro sistematizzazione e presentazione organica.
5.4. Carta dei servizi sanitari e sistema qualità secondo la Vision 2000
P AOLA G ORETTI 1, M ARCO B OSIO 2, E NRICO C RISTOFORI 1, A LBERTO Z OLI 3, P IETRO
CALTAGIRONE4 - 1Struttura Qualità, 2Direttore Struttura Qualità, 3 Direttore Sa­
nitario Aziendale, 4 Direttore Generale, Azienda Ospedaliera “Ospedale di
Lecco”, Regione Lombardia
AUTORE REFERENTE: PAOLA GORETTI, Struttura Qualità, Accreditamento e Control­
66
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
lo Strategico, A.O. “Ospedale di Lecco”, Via dell’Eremo 9/11, 23900 Lecco ­
tel.: 0341 489542, fax: 0341 489540, e-mail: [email protected]
L’Azienda Ospedaliera di Lecco è stata una delle prime strutture sanitarie
pubbliche ad intraprendere la certificazione secondo la normativa ISO, certi­
ficando circa il 75% dell’Azienda. L’Azienda Ospedaliera è, di fatto, un riferi­
mento per il territorio e per la regione, non solo per essere la struttura sanita­
ria più importante della provincia, ma sopratutto per le competenze dei pro­
fessionisti che in essa lavorano.
Con l’avvento della nuova norma UNI ISO 9001 2000 l’Azienda ha struttura­
to il suo sistema qualità correlandolo direttamente al sistema per la gestione
dell’Azienda, creando i presupposti per fare in modo che il sistema di gestio­
ne per la qualità e il sistema di gestione aziendale diventino lo strumento
unico e integrato per il governo dell’Azienda. In questo contesto l’Azienda sta
passando da un sistema di qualità fondato sulle singole U.O. certificate secon­
do la ISO 9001/94 nei tre presidi ospedalieri ad una certificazione unica per
l’azienda (circa 1.000 posti letto e 2.700 dipendenti), strutturata sui diparti­
menti e sui processi. Nel dicembre del 2003 l’Azienda ha conseguito la prima
fase della certificazione, con la validazione dell’intero processo di manage­
ment e di 4 dipartimenti sanitari dei 9 esistenti. L’obiettivo è quello di certifica­
re a giugno i rimanenti dipartimenti. In questo contesto la Direzione Generale
ha ritenuto opportuno rivedere la Carta dei Servizi esistente, attualmente dif­
ferenziata per i 3 presidi ospedalieri, creandone una unica aziendale, coniu­
gando questa iniziativa con il processo Vision 2000. Il progetto pertanto pre­
vede la produzione di un’unica Carta dei servizi i cui contenuti sono desunti
dal processo di certificazione, con degli standard di servizi che sono gli stessi
richiesti alle varie U.O. per il conseguimento e il mantenimento della
certificazione ISO.
In generale gli strumenti aziendali, quali Carta dei servizi, documenti del­
la qualità, budget, ecc..., sono poco integrati tra di loro, con un notevole
dispendio di risorse e con una difficoltà nell’individuazione degli obiettivi
aziendali e dei relativi parametri di misurazione. La principale esigenza è
stata quella di fornire agli operatori dell’Azienda indicazioni univoche, orien­
tate al miglioramento e alla trasparenza del servizio, in modo da perseguire
gli obiettivi aziendali e fornire ai cittadini garanzie sulle prestazioni erogate
dalle U.O.
Innanzitutto è necessario un impegno rilevante della Direzione Generale
che condivida il progetto e lo “sponsorizzi”. Il lavoro si deve incentrare sulla
unificazione di tutti gli strumenti di gestione e di comunicazione aziendali, in
modo da individuare, per esempio, azioni di miglioramento, standard ed indi­
catori delle singole U.O. che servano al processo di certificazione ma che, nel
contempo, siano contemplate nella scheda di budget e che, con una necessa­
67
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
ria selezione, siano diffusi nella carta dei servizi aziendale. Gli obiettivi gene­
rali da raggiungere sono:
- maggiore chiarezza degli standard previsti nella Carta dei Servizi;
- maggiore sicurezza del raggiungimento degli standard in quanto collegati
direttamente con gli obiettivi aziendali;
- aggiornamento annuale degli standard e quindi maggiore dinamicità degli stessi;
- maggiori garanzie da parte del cittadino.
Altri obiettivi specifici da perseguire sono:
- collegare funzionalmente la Carta dei Servizi al processo di certificazione
Vision 2000;
- individuare standard ed indicatori delle singole U.O. che siano funzionali
alle esigenze del cittadino;
- rendere trasparente il percorso ai cittadini;
- garantire ai cittadini il continuo perseguimento degli standard previsti nella
Carta dei Servizi, in quanto parte integrante degli obiettivi aziendali.
Lo stato attuale del progetto è avanzato in quanto sono stati individuati tutti
gli standard delle varie strutture aziendali e sono state riprogettate le “schede
di presentazione” delle strutture sanitarie, in modo da facilitare la comunica­
zione e permettere ai cittadini di ottenere delle informazioni corrette e
funzionali rispetto ai propri bisogni. Tutto il processo della produzione della
nuova Carta dei Servizi Aziendali è stato parallelo all’impostazione della
certificazione aziendale, che avverrà nel mese di settembre p.v.
5.5. Le segnalazioni del cittadino: un modo di comunicare con l’azienda
per un ospedale centrato sulla persona
ROSANNA CERRI, FRANCO RIPA, LIA DI MARCO - ASO San Giovanni Battista Torino
Introduzione
I cambiamenti e le trasformazione legislative avvenute negli anni ’90 hanno
portato le Aziende Sanitarie ad una maggiore attenzione nel rapporto con l’utenza.
L’art. 12 del d.legisl. n. 29/93 che istituisce nella Pubblica Amministrazione gli
Uffici per le Relazioni con il Pubblico (URP) e la successiva direttiva del Presiden­
te del Consiglio dei Ministri 11/10/94, testimoniano la necessità di migliorare il
rapporto tra la Pubblica Amministrazione e il Cittadino, mentre le disposizioni
legislative sanitarie hanno sottolineato con il d.p.c.m. 09/05/95 l’importanza di
questi servizi non solo per la tutela degli utenti, ma anche per il controllo sulla
qualità dei servizi erogati attraverso la soddisfazione del paziente.
Nello specifico la funzione informazione e comunicazione si sviluppa attra­
verso attività che rendono l’URP l’organismo di interfaccia con l’utente. Ma
68
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
comunicare va ben oltre il fornire informazioni; per comprendere l’efficacia
dei servizi e delle prestazioni offerte occorre che l’Azienda stabilisca meccani­
smi di feedback sistematici con i propri portatori di interesse. Ecco che allora
assume una notevole importanza l’ascolto del cittadino/utente come cliente,
in grado di portare contributi sostanziali alle azioni di miglioramento.
La raccolta dei reclami
La raccolta dei reclami rappresenta uno strumento relativamente semplice
e molto utilizzato per monitorare la soddisfazione dei pazienti; l’analisi dei
reclami pone in evidenza le contraddizioni tra i bisogni del cliente, le sue
aspettative, la sua domanda esplicita o ancora inespressa ed i servizi erogati.
Il cittadino/utente nelle segnalazione indica le problematiche che può
percepire e comprendere come non corrette: in questa logica i dati rilevati
possono essere letti come eventi sentinella, come segnali. La natura sog­
gettiva del concetto di soddisfazione rende comunque complessa la sua
lettura; nella valutazione delle prestazioni gli operatori sono maggiormen­
te attenti ad aspetti legati alla pratica professionale e al presidio di rischi
ed errori, mentre i pazienti focalizzano maggiormente la loro attenzione
su aspetti quali l’umanizzazione dei servizi, il comfort ed il comportamen­
to degli operatori.
La gestione
Negli ultimi anni l’analisi delle segnalazioni in Azienda evidenzia costan­
temente situazioni problematiche inerenti la “dimensione interpersonale”
riguardanti in modo particolare aspetti dell’informazione e del comporta­
mento. Nel 2003 questa categoria rappresenta il 30% dei reclami recepiti: di
questi il 8,8% si riferisce all’informazione mentre il 27,7% al comportamento
degli operatori.
La constatazione che le segnalazioni, per loro stessa natura, non permetto­
no di comprendere in modo approfondito il problema ci ha condotto, oltre
all’uso dei meccanismi di gestione già ampiamente utilizzati, ad un ulteriore
studio diretto ad ascoltare la voce di chi è maggiormente coinvolto nel pro­
cesso di cura ed assistenza. Gli operatori aziendali ed i cittadini/utenti sono
stati protagonisti di specifici focus groups finalizzati ad identificare l’atteso
degli utenti/clienti e le principali cause che impediscono o rendono
problematica la comunicazione fra operatori e paziente e le loro aspettative.
I risultati dei differenti incontri sono stati quindi confrontati per ricercare i
punti comuni sui quali costruire un dialogo fra i componenti.
Da questi incontri è emerso che il paziente ricoverato desidera essere ac­
colto come persona e non solo come caso clinico, vuole essere informato dal
69
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
medico sul percorso della sua malattia e desidera essere rassicurato dall’infer­
miere sulle problematiche delle prestazioni che riceve. I componenti del grup­
po hanno identificato come cause principali “la cultura degli operatori tecni­
ca che induce l’operatore a considerare il paziente come patologia”, “la ca­
renza di una visione antropologica”, “l’organizzazione dei reparti”, “il
burnout degli operatori”.
Considerazioni conclusive
Successivamente agli incontri con gli operatori sanitari ed alla comparazio­
ne dei risultati, la cause principali saranno pesate attraverso la somministrazione
di un questionario. Questo permetterà di identificare maggiormente i campi
entro i quali agire, per migliorare ulteriormente gli aspetti della comunicazio­
ne e dell’informazione.
5.6. La progettazione partecipata come metodologia di lavoro per
l’umanizzazione degli ospedali in Toscana
MARCELLA FILIERI1, SERGIO ARDIS2, ANTONELLA VINCENTI2, GIUSEPPE REMEDI3 - 1Azienda
USL 5 di Pisa, 2Azienda USL 2 di Lucca, 3Azienda USL 12 della Versilia
AUTORE REFERENTE: MARCELLA FILIERI, Responsabile U.O. Sviluppo, Ricerca e For­
mazione Azienda USL 5 di Pisa, Via Zamenhof 1, 56100 Pisa – tel.: 050
954291, fax: 050 954321, e-mail: [email protected]
Premessa
Il lavoro per progetti e il lavoro in rete rappresentano le principali modalità
operative per dare concretezza ai progetti di promozione della salute in ospedale.
Anche presso la Regione Toscana operano sei gruppi di lavoro che svilup­
pano altrettanti progetti a valenza interaziendale: Sicurezza, Umanizzazione,
Ospedale senza Fumo, Comfort/Accoglienza; Ospedale senza Dolore, Ospe­
dale Interculturale, ciascuno dei quali presenta diversi livelli di avanzamento.
Lo sviluppo del sottoprogetto “Umanizzazione” si è dovuto confrontare quasi
subito con la difficoltà di individuare denominatori comuni in grado di decli­
nare compiutamente i molteplici obiettivi che il termine “umanizzazione”
sottende e tali da essere condivisi e quindi applicati da tutte le Aziende Sanita­
rie e Ospedaliere coinvolte nel progetto.
Obiettivi
Il tema della umanizzazione è stato oggetto di interpretazioni diverse, e
70
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 5
tutte valide, da parte dei singoli ospedali toscani che talora hanno rivolto i
propri sforzi verso determinate categorie di utenti (es. il bambino in ospedale;
il morente e i suoi familiari, ecc...) o verso il miglioramento di specifici percor­
si assistenziali (es. percorso cardiologico, oncologico, ecc...); in altri casi le
aziende hanno posto l’enfasi sugli strumenti direzionali in grado di favorire
l’umanizzazione (es. la formazione e la comunicazione). Di fronte ad un qua­
dro assai diversificato si è reso necessario individuare un metodo di lavoro in
grado di elaborare una progettualità comune in tema di umanizzazione che,
tenesse conto di specifiche good practices aziendali, ma che fosse in grado di
rappresentare in maniera compiuta il complesso tema della umanizzazione.
Si è perciò deciso di partire da un diverso punto di vista troppo spesso dimen­
ticato: quello dei cittadini-utenti!
Target e azioni specifiche
Il progetto ha coinvolto: i coordinatori HPH delle aziende toscane interessate
al progetto umanizzazione attraverso riunioni di coordinamento; i professioni­
sti (medici, infermieri) di alcune aziende USL e ospedaliere toscane che attra­
verso un percorso di formazione-laboratorio hanno elaborato una proposta
progettuale; i cittadini che, attraverso i propri rappresentanti, sono stati coinvol­
ti nella progettazione esprimendo i propri bisogni di umanizzazione.
Valutazione e risultati
La progettazione partecipata ha portato alla stesura di un documento con­
diviso dai coordinatori HPH di: Azienda USL 1 di Massa, USL 2 di Lucca; USL 4
di Prato; USL 5 di Pisa; USL 7 di Siena; USL 8 di Arezzo; USL 9 di Grosseto; USL
10 di Firenze, USL 12 della Versilia; Ospedaliera Pisana, Ospedaliera Senese)
che partendo dalla centralità della dignità della persona tocca tre principali
ambiti di azione da attivare: ambito culturale; ambito etico; ambito clinico.
Per ciascuna azione/obiettivo sono in corso di definizione indicatori e
standard concordati con i rappresentanti dei cittadini-utenti.
Tale documento costituirà, una volta ultimato e approvato dalle direzioni
aziendali, un impegno preciso nei confronti dei cittadini e dei loro bisogni di
umanizzazione.
Conclusioni
Il percorso progettuale verso l’umanizzazione degli ospedali è ancora lun­
go, ma l’avvio condotto attraverso la progettazione partecipata dai diretti inte­
ressati ha aperto prospettive operative di sicuro interesse, contribuendo an­
che a sperimentare una diversa metodologia di lavoro.
71
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
72
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
L’Ospedale senza barriere culturali
6.1. La comunicazione transculturale
PATRIZIA SIRONI1 (Responsabile Progetto Accoglienza Interculturale), SIMONETTA
BIANCHI1 (Direttore Sanitario), NABIHA ARIF2 (Mediatrice Linguistico-Culturale)
- 1A.O. Istituti Ospitalieri-Cremona; 2Coop. Dunia in convenzione
AUTORE REFERENTE: PATRIZIA SIRONI, Responsabile Progetto Accoglienza Intercul­
turale, A.O. Istituti Ospitalieri - Largo Priori 1, 26100 Cremona – tel.: 0372
405409, fax: 0372 405406, e-mail: [email protected]
Contesto
Con riferimento alle indicazioni dell’OMS, alla l. 40/98 e successive
integrazioni nonché al PSSR 2002-2004 della regione Lombardia che prevede
l’individuazione di funzioni specialistiche finalizzate alle attività di mediazio­
ne interculturale, l’A. O. Istituti Ospitalieri di Cremona, nell’ambito dell’attivi­
tà di promozione della salute, ha costituito il Progetto Accoglienza Interculturale
per migliorare l’approccio della persona immigrata alla Struttura Sanitaria ed
al contempo le capacità comunicativo-relazionali tra il personale aziendale, i
pazienti immigrati ed i loro familiari.
Obiettivo principale
Sviluppare una capacità comunicativa efficace e culturalmente corretta tra
personale aziendale e paziente immigrato, attraverso una metodologia di la­
voro di rete.
Obiettivi specifici
-
Costituzione di un Servizio di Mediazione linguistico-culturale.
Formalizzazione delle procedure di accesso al Servizio di Mediazione.
Individuazione di un percorso formativo mirato per il personale aziendale.
Diffusione di cartellonistica, materiale informativo e linee-guida multilingue.
Analisi del bisogno interculturale e promozione di iniziative culturali e di ricerca.
Target
- Persona immigrata che si rivolge alla Struttura Ospedaliera, con particolare
attenzione alla donna e al bambino.
73
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
- Familiari e gruppo etnico di riferimento.
- Personale aziendale, soprattutto dedito alla cura, assistenza e front-office.
Risultati
Il progetto Accoglienza Interculturale, in fase di realizzazione, ha evidenziato
dei risultati positivi soprattutto per quanto riguarda il coinvolgimento del per­
sonale (indicatore: misura N di persone coinvolte/ N persone conivolgibili =
83%), il grado delle capacità relazionali e di rete (indicatore: misura N valuta­
zione di capacità/N di interventi effettuati = 84%), il livello delle competenze
linguistico-comunicative (indicatore: misura N valutazione di competenza/N
di interventi effettuati = 87%), nonché la qualità globale del Servizio Ospedaliero
(indicatore: misura N valutazione di qualità/ N di interventi effettuati = 86%)
rilevati nell’indagine di customer satisfaction. Inoltre la presenza del Servizio
di Mediazione linguistico-culturale ha favorito la gestione di situazioni com­
plesse e di forte impatto emozionale, in un’ottica olistica e di approccio globa­
le al paziente, supportando il personale aziendale e migliorando la compren­
sione reciproca.
Conclusioni
Il percorso avviato dal Progetto Accoglienza Interculturale rappresenta non
soltanto una risposta alle esigenze della comunità, sempre più multietnica,
ma soprattutto un orientamento alla promozione della salute secondo l’ottica
dell’Ospedale Interculturale.
6.2. Come l’ospedale interculturale promuove la salute dei cittadini
stranieri immigrati a Bologna
GIOVANNA VITTORIA DALLARI, STEFANIA RICCI - Azienda USL di Bologna - Progetto
Speciale Immigrati
AUTORE REFERENTE: GIOVANNA VITTORIA DALLARI, Responsabile Progetto Speciale
Immigrati, Azienda USL di Bologna, Strada Maggiore 35, 40125 Bologna - e­
mail: [email protected]
L’Azienda USL di Bologna dal 1991 ha predisposto e sperimentato nu­
merosi servizi e attività per migranti regolarmente o irregolarmente pre­
senti nell’ambito provinciale. Dal 1999, grazie al progetto Ospedale
Interculturale, si è avviato un processo complessivo di potenziamento e
reengineering dei servizi territoriali ed ospedalieri, fondato sulla messa in
rete delle principali Unità Operative interessate con le altre agenzie locali,
74
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
la comunità, in particolare il volontariato ed i gruppi di pazienti che di
questa fanno parte.
L’intero processo è stato favorito dalla creazione del “Progetto Speciale Im­
migrati”, Unità Operativa semplice, che ha il mandato di rilevare i bisogni, pia­
nificare, promuovere, programmare e coordinare gli interventi sia all’interno,
che all’esterno dell’azienda, anche attraverso un percorso di condivisione di
obiettivi comuni, esplicitati tra l’altro in uno specifico capitolo del Piano delle
Azioni dedicato alla popolazione straniera e a rischio di esclusione sociale.
Alcune azioni, metodologie e strumenti:
- analisi della legge, letteratura medica e benchmarking di esperienze locali,
nazionali ed internazionali;
- coinvolgimento degli stakeholders della comunità in uno o più gruppi di
lavoro;
- numero verde (800 66 33 66) e sportello informativo, attivi due ore al gior­
no per 5 giorni e 4 ore al sabato mattina, che offrono a migranti e professio­
nisti consulenze ed informazioni telefoniche in 8 lingue sui servizi socio­
sanitari e sono sensori di bisogni e domanda;
- corsi di formazione ed aggiornamento per mediatrici multiculturali;
- menù multiculturale e corso sperimentale per dietologi e dietisti;
- analisi della qualità percepita nei diversi servizi sanitari;
- attività di informazione, educazione e promozione della salute dei pazienti;
- corsi base di 14 ore di medicina delle migrazioni nel catalogo aziendale
della formazione;
- progetto “prostituzione sicura”;
- progetto assistenza e sorveglianza sanitaria per cittadini indigenti italiani e
stranieri con un report sulla salute di 1.200 tra cittadini stranieri, carcerati,
esclusi, ecc...;
- attività di cooperazione internazionale.
Recentemente è stata avviata la costruzione di una pagina web, intitolata “I
colori della salute”, all’interno del sito aziendale dedicata alla medicina delle
migrazioni e all’ospedale interculturale, i cui obiettivi sono:
1) creare un punto di riferimento per tutti i professionisti appartenenti alle
diverse istituzioni pubbliche e del Volontariato che si occupano della salu­
te dei migranti;
2) implementare e facilitare la diffusione di buone pratiche;
3) mettere in relazione gli enti, sia pubblici che privati, che agiscano per il miglio­
ramento dell’accesso dei migranti alle strutture sanitarie per cittadini migranti.
In sintesi “I colori della salute” intende rendere facilmente accessibile a tutti
i professionisti che operano nel settore e a tutti i cittadini interessati all’argo­
mento le normative, i progetti, gli indirizzi dei servizi, materiale informativo,
75
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
quando possibile tradotto e/o mediato in diverse lingue, links, ecc..., per pro­
muovere la salute dei migranti e scambiarsi esperienze ed informazioni.
Inoltre, sulla base dei risultati del progetto “Assistenza e Sorveglianza sanitaria
nelle collettività per cittadini indigenti italiani e stranieri immigrati”, che avevano
evidenziato difficoltà di accesso ai servizi sanitari dei migranti, ne è stato avviato
un altro, ideale continuazione del precedente: “Sperimentazione interregionale
per combattere le disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari” (PABO). A segui­
to dell’esame dei dati di ricovero e di iscrizione al SSN, si è deciso di focalizzare le
attività di promozione della salute su tre diversi ambiti: materno-infantile, diagno­
si precoce del ca. mammario, anagrafe sanitaria e medicina di base.
Le azioni fin qui realizzate o in corso di realizzazione si possono così sche­
matizzare:
- per i pazienti: campagne di pubblicizzazione e incontri con gruppi di po­
polazione (chiamata con lettera personalizzata, incontri con gruppi presso
le sedi di aggregazione spontanea, aziendali, ecc...), per migliorare l’acces­
so allo screening mammografico su chiamata, integrati con interventi di
diagnosi precoce delle neoplasie della mammella; ciclo di incontri settima­
nali di educazione alla salute rivolti a due gruppi di donne zingare su igiene
personale e alimentare, contraccezione, corretto utilizzo dei servizi sanitari,
cura del bambino, educazione a comportamenti preventivi, ecc...;
- per l’organizzazione e i suoi professionisti: coinvolgimento dei responsabili
delle U.O. e formazione, raccolta di materiali e di esperienze diverse,
riformulazione e adeguamento dei metodi di chiamata e di accoglienza (ag­
giunta di una mediatrice), in relazione alle caratteristiche di ciascun gruppo
nazionale (filippine, maghrebine, rumene, zingare, italiane indigenti),
esplicitazione, miglioramento, traduzione e pubblicizzazione delle proce­
dure per l’iscrizione al Sistema Sanitario;
- per la cittadinanza: campagna di pubblicizzazione, anche radiofonica e pa­
gina “i colori della salute” del sito aziendale;
- per la struttura: il centro screening verrà dotato di attrezzature e personale
specifico: è prevista la costruzione di uno specifico software con le tradu­
zioni dei messaggi informativi, da trasmettere per il personal computer alla
paziente straniera in sala d’attesa) e di mediatrici.
6.3. “Diabete per capirsi”
VALERIA MANICARDI1, EZIO BOSI2, ZANICHELLI PIETRO2, BODECCHI SIMONA2 - 1Diparti­
mento di Medicina, Ospedale di Montecchio, Area Sud; 2Servizio di Diabe­
tologia, Ospedale di Guastalla e Correggio, Area Nord, AUSL di Reggio Emilia
AUTORE REFERENTE: VALERIA MANICARDI, Ospedale di Montecchio, Via Barilla 16,
76
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
42027 Montecchio (RE) - fax: 0522 860292 / 0522 860361-252, e-mail:
[email protected]
Breve introduzione del contesto
Il progetto “Diabete per capirsi” è stato ideato per affrontare il problema
della comunicazione tra paziente extracomunitario affetto da Diabete Mellito
ed operatori dei Servizi di Diabetologia della AUSL di Reggio Emilia. L’ostaco­
lo della lingua, spesso conosciuta e praticata poco (soprattutto dalle donne),
si aggiunge al disagio di dover affrontare una nuova malattia, cronica, che
dura tutta la vita, e che ha nel coinvolgimento del paziente, nella sua capacità
di autogestirsi uno degli elementi essenziali per essere curata al meglio, e per
evitare le complicanze croniche, fortemente devastanti per il paziente
(Retinopatia e cecità, Nefropatia e dialisi, Cardiopatia, Piede Diabetico ed
amputazioni, Neuropatia, Impotenza, ecc...).
La difficoltà di comunicazione diventa quindi un ostacolo grave e spesso
insuperabile, e rischia di costituire una condizione di discriminazione all’ac­
cesso ed al miglior utilizzo dei servizi sanitari.
L’aumento della immigrazione nel nostro paese e nella nostra provincia, e
la crescita esponenziale del Diabete nel mondo - definito dall’OMS la epide­
mia dei primi 25 anni del nuovo millennio - soprattutto nei paesi in via di
sviluppo, insieme ai fattori ambientali favorenti rendono questo problema
estremamente attuale oggi e nei prossimi anni.
Obiettivo/i
1. Facilitare la comunicazione con i pazienti extracomunitari affetti da Diabe­
te Mellito, che nella provincia di Reggio Emilia, sono in continuo aumento.
2. Descrivere in modo semplice e facilmente comprensibile i principali sinto­
mi della malattia, la terapia, la dieta, le complicanze, i problemi connessi
all’utilizzo degli strumenti per l’autocontrollo della glicemia, all’uso della
insulina, delle penne, ecc...
3. Fornire le informazioni sul servizio diabetologico di riferimento, sugli orari
ed i recapiti indispensabili per affrontare le urgenze.
Gruppi target
1. I diabetici extracomunitari che afferiscono ai Servizi per il Diabete della
Provincia di Reggio Emilia.
2. Gli operatori Medici, IP e dietiste che svolgono la loro attività presso i ser­
vizi per il Diabete presso l’AUSL di Reggio Emilia.
77
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
Presentazione e valutazione dei risultati
Sono state prodotte 10 schede costituite da illustrazioni semplici e da un
breve testo esplicativo, dedicate ai seguenti argomenti:
1. che cos’è il Diabete;
2. autocontrollo della Glicemia;
3. ipoglicemia ed iperglicemia;
4. alimentazione e Diabete;
5. i cibi da evitare e quelli da preferire;
6. l’insulina;
7. preparare e miscelare l’insulina;
8. le complicanze;
9. arterie e Diabete;
10.il Piede Diabetico;
11.una scheda di Supporto all’Anamnesi;
12.una dedicata alle informazioni sul servizio per il Diabete (“Il tuo Centro”).
Le schede sono state tradotte in 11 lingue, oltre all’Italiano, inserite in un CD,
accompagnate da una presentazione cartacea, e distribuite a tutti i servizi di
Diabetologia italiani, oltre ad essere inserite in un sito internet dedicato al Diabete.
Conclusioni
Le schede costituiscono già oggi in provincia di Reggio E. ed in Italia un
utile supporto per la comunicazione corretta tra paziente Diabetico
extracomunitario e personale medico, IP e dietista dei servizi di Diabetologia.
6.4. Il progetto HPH “Intercultura” e l’integrazione nel territorio:
l’esperienza di Arezzo
ALESSANDRA PEDONE1, RINA TORRIOLI2, LUCIO COLONNA3, MONICA CALAMAI4 - Azienda
Sanitaria di Arezzo AUSL 8, Coordinamento HPH 1Staff della Direzione
Aziendale, Coordinamento Gruppo “Ospedale Interculturale”; 2Sez. Accoglien­
za, 3Coordinatore progetto aziendale HPH; 4Direttrice Sanitaria AUSL 8
AUTORE REFERENTE: ALESSANDRA PEDONE, Staff della Direzione Aziendale, AUSL 8,
Via Fonte Veneziana 8, 52100 Arezzo - tel.: 0575 254106, fax: 0575 254105,
e-mail: [email protected]
Introduzione
L’ospedale di Arezzo ha individuato l’“Ospedale Interculturale” come uno
dei progetti proposti dal coordinamento regionale per l’HPH. Ne è stato affi­
78
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
dato il coordinamento alla responsabile dello staff della direzione aziendale
che si era precedentemente occupata di mediazione linguistico-culturale e di
cooperazione decentrata. Contestualmente la Provincia di Arezzo, assessora­
to alle politiche sociali, particolarmente attento alle problematiche sulla im­
migrazione, ha promosso il progetto “Un territorio per tutti”, sostenuto dagli
enti, associazioni e organismi vari, e poi finanziato nell’ambito dei bandi del
FSE. Il progetto prevede interventi sulla casa, l’alfabetizzazione, il sostegno
alla cultura di origine, il lavoro, i centri di informazione e la salute. A ciascun
tema hanno aderito diversi soggetti e individuato un coordinatore. Per il grup­
po “salute” il coordinamento è stato affidato alla azienda USL e alla stessa
persona che coordina i progetto HPH. È sembrato opportuno tenere unite le
due esperienze e legare la programmazione dell’ospedale a quella più allar­
gata del territorio, prevedendo momenti comuni di scambio e lavoro tra i due
gruppi.
Obiettivo
Sensibilizzare la comunità aretina sulla problematiche dell’immigrazione e
individuare azioni all’interno dell’ospedale nel rispetto delle diverse culture,
coordinate con il territorio.
Gruppi Target
1. Introduzione e presenza del mediatore nel pronto soccorso, nel consultorio,
alle vaccinazioni e Ser.T.
2. Lavoro sul menù ospedaliero: rappresentazione grafica, introduzione spe­
rimentale di cibi di altre culture e traduzione in lingua d’origine dei menù
terapeutici (diabete, gestosi gravidica, ecc...).
3. Diritto all’assistenza, redazione di un opuscolo guida per il personale e per
le associazioni.
4. Formazione sui temi dell’interculturalità, rivolta agli operatori ospedalieri e
territoriali.
5. Formazione sul percorso nascita, rivolta agli operatori del Dipartimento
materno infantile.
6. Formazione sui Piani Integrati di Salute rivolta agli operatori ospedalieri,
del distretto e della prevenzione, associazioni, dipendenti dei comuni (so­
ciale, anagrafe, polizia municipale), scuola, sindacati, per la predisposizione
di una programmazione integrata (vedi PSR 2002-2004 della Regione To­
scana).
7. Aggiornamento di un quaderno sulla salute degli immigrati della pro­
vincia di Arezzo; approfondimento di alcune aree: lavoro, materno in­
fantile. In collaborazione con UCODEP, organizzazione operante da
79
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
anni ad Arezzo per la cooperazione decentrata e iniziative per gli im­
migrati.
8. Predisposizione di un protocollo d’intesa tra azienda USL, Provincia, Regio­
ne per garantire continuità nell’azione nei confronti della popolazione im­
migrata (negli atti di programmazione, finanziamenti, ecc...).
Presentazione e valutazione dei risultati
1. Progetto n. 1: riconferma con estensione delle ore, non solo Arezzo ma
anche provincia; indicatore: n. ore/ n. interventi.
2. Progetto n. 2: Avviato - n. menù rappresentati / n. piatti introdotti nel menù;
n. menù terapeutici tradotti.
3. Progetto n. 3: Produzione di un opuscolo guida per il personale e per le
associazioni e presentazione all’interno del corso.
4. Progetto n. 4: n. corsi realizzati / n. Distretti della provincia.
5. Progetto n. 5: n. operatori del Dipartimento materno infantile coinvolti in
corsi / n. operatori MI totali.
6. Progetto n. 6: n. Corsi Piani Integrati di Salute realizzati / n. Distretti; n.
Progetti presentati.
7. Progetto n. 7: Realizzazione del quaderno sulla salute degli immigrati della
provincia di Arezzo; aree approfondite: lavoro, materno infantile.
8. Progetto n. 8: Avvio degli incontri per il Protocollo d’intesa tra azienda
USL, Provincia, Regione.
Conclusioni
Consapevoli del fatto che il lavoro è solo all’inizio, ci sembra tuttavia che
l’approccio utilizzato e soprattutto il collegamento con il territorio, abbiano
già gettato le basi per un lavoro coordinato che potrà dare risultati positivi
anche nel futuro
6.5. Donne e minori di altri mondi e di altre frontiere
VALENTINO LEMBO, RAFFAELLA BIONDI, ROBERTA PRANDI, MARIA CRISTINA CERATI, STEFANIA
ZORZAN - Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano
Problema
L’afflusso massivo di utenti stranieri presso le nostra strutture ospedaliere
richiede ai diversi professionisti modalità assistenziali ed approcci diversi al
fine di rispondere ai loro bisogni assistenziali.
80
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
Obiettivo generale
Offrire risposte adeguate alle richieste sanitarie dell’utente straniero che
accede ai servizi sanitari offerti dall’Azienda Ospedaliera ICP.
Obiettivi specifici
- Fornire all’utente informazioni chiare in merito ai servizi offerti dalla struttura;
- sviluppare una politica aziendale per garantire la libertà di culto e la tutela
dei diritti dell’utenza;
- informare gli utenti in merito ai loro diritti quando non comprendono o
parlano un’altra lingua;
- numero degli interventi dei mediatori linguistico-culturali/ numero delle ri­
chieste di interventi;
- mettere in grado il personale di comunicare con utenti stranieri;
- promuovere e garantire il diritto alla salute degli stranieri nel rispetto delle
differenze culturali.
Contesto
La tutela della maternità e dell’infanzia sono parte integrante della missione
dell’Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento e obiettivo di in­
teresse del Servizio Sanitario Nazionale e Regionale.
La sensibilità alla percezione del problema da parte degli operatori trova le sue
origini nella peculiarità delle attività che istituzionalmente vengono svolte presso
gli ICP: il parto, la nascita, la cura della donna, del bambino e della famiglia. La
Clinica Pediatrica “De Marchi”, la Clinica Ostetrico Ginecologica “Mangiagalli” e
l’Ospedale dei Bambini V. Buzzi rappresentano all’interno dell’area metropolita­
na milanese un punto di riferimento di fondamentale importanza per gli stranieri
provenienti da paesi diversi, così come per i professionisti di altre nazioni.
L’aumentata richiesta di prestazioni sanitarie da parte di utenti stranieri ha
comportato da parte della nostra azienda una maggiore attenzione alle
problematiche loro legate. Fin dal 1992 presso gli ICP il problema degli stranieri
è stato evidenziato dal personale che, oltre a riscontrare le oggettive difficoltà
da loro manifestate, ha rilevato gli ostacoli che le barriere linguistiche e culturali
creavano nel regolare decorso delle attività ambulatoriali e di degenza. Ciò ha
determinato la necessità di organizzare un servizio di mediazione interculturale
per affrontare i problemi derivanti dalle diversità linguistiche, di tradizione, di
regole etiche e morali di cui ogni straniero è portatore, favorendo in questo
modo un’accoglienza più rispettosa e dignitosa ad ogni donna/mamma sfavorite
dalla poca conoscenza della cultura e della lingua italiana.
Diversi sono gli attori che nel corso degli anni hanno contribuito al miglio­
81
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
ramento dell’accoglienza e assistenza di utenti stranieri: la Direzione Sanita­
ria, il Servizio Sociale, l’Ufficio Relazioni con il Pubblico e, non da ultimo, le
Associazioni di Volontariato che hanno collaborato attivamente al fine di offri­
re un aiuto all’integrazione sociale degli stranieri, ad evidenziare i problemi e
a proporre soluzioni.
Risultati
Relativamente alla tutela dei diritti dell’utenza e alla garanzia della libertà di
culto è stato elaborato un documento scritto che enuncia la politica e gli indi­
rizzi aziendali relativi a tali argomenti, garantendo contemporaneamente la
sua diffusione tra il personale mediante corsi di formazione.
Tutto il personale dell’A. O. ICP ha l’obbligo di rispettare, applicare e far
applicare la politica aziendale e di identificare i bisogni assistenziali conse­
guenti al rispetto dei diritti dell’utenza al fine di soddisfarli. Il processo per
identificare e rispettare i valori e le credenze viene messo in atto ad ogni rico­
vero/accesso di utenti ed in particolare nei riguardi degli utenti stranieri. Per
quanto riguarda gli aspetti religiosi ed alimentari sono stati inseriti nel menù
aziendale gli alimenti sostitutivi per diete legate a credenze religiose, è stato
inoltre fornito alle caposala l’elenco dei vari Ministri di culto al fine di poter
ottemperare alla maggior parte di richieste di assistenza religiosa. La coopera­
zione tra il servizio di Assistenza Sociale ed i Mediatori linguistico culturali ha
permesso di definire i principali riti religiosi collegati alla nascita delle varie
etnie al fine di informare il personale e permettere il rispetto del rito.
L’Azienda ha inoltre identificato le proprie categorie protette in riferimento
alla missione degli ICP. Bambini, disabili, anziani, gravide e puerpere rientra­
no all’interno di questa categoria. A tal fine sono state definite una serie di
interventi e di norme di comportamento che il personale incaricato dell’assi­
stenza deve adottare (aree di ricovero dedicate, spazi per il gioco e
l’allattamento, identificazione della puerpera, del neonato e del bambino tra­
mite bracciale, possibilità di avere la madre durante il ricovero, il partner du­
rante il parto, presenza di personale volontario dedicato, ecc...). Il notevole
afflusso delle pazienti extracomunitarie ha reso necessari la presenza fissa
negli ambulatori ostetrico-ginecologici e neonatologici del P.O. Commenda
della interprete filippina, araba e cinese. Oltre a promuovere e coordinare
l’attività della cooperativa Kantara, il Servizio Sociale ha fin dal 1992 ha dedi­
cato l’attività di una propria operatrice ai rapporti con gli utenti stranieri. L’at­
tività è svolta anche con la collaborazione della Commissione Visitatrici ed i
volontari del Movimento per la Vita. Nel 1995 è nato uno specifico ambulato­
rio nel P.O. di Via Commenda al Padiglione Bergamasco che, con il
neonatologo-pediatra, l’infermiera, l’assistente sociale e gli intermediatori cul­
82
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
turali (filippini, arabi e cinesi), assiste nel primo mese di vita il piccolo neona­
to extracomunitario, costituendo il necessario tramite tra ospedale e servizi
socio-sanitari territoriali.
Oltre all’attività a diretto contatto con l’utenza, sono stati tradotti in varie
lingue (inglese, francese, spagnolo, filippino, cinese e arabo) i questionari
che le ostetriche hanno stilato allo scopo di conoscere lo stato di salute ed
aiutare le puerpere extracomunitarie nelle pratiche del parto. La stessa prassi
è stata seguita per l’attuazione dei disposti della Legge 194, il servizio di ane­
stesia e rianimazione, il servizio S.V.S ed il servizio ambulatoriale d’analisi. La
traduzione della modulistica nelle principali lingue è prevista in quasi tutti i
reparti della nostra Azienda.
Per migliorare ulteriormente questo programma, gli ICP hanno istituito un
corso di formazione per neo-assunti e volontari mirato a fornire una maggior
conoscenza delle norme e della metodica della azienda. Stringere una colla­
borazione più proficua tra personale medico, infermieristico e volontari non
può che essere un beneficio per i pazienti e le loro famiglie.
Relativamente al rispetto della privacy è stata ristrutturata parzialmente la
sala parto prevedendo spazi idonei per la comunicazione medico-gravida­
familiare così come in Pronto Soccorso Pediatrico verrà attuata una migliore
distribuzione degli spazi di accoglienza dei bambini che vi accedono. Infine
la politica aziendale relativa alla tutela della privacy prevede il rispetto dei
bisogni di riservatezza degli utenti in occasione di ogni visita, procedura e
trattamento. Il paziente può richiedere la tutela di questo diritto nei confronti
del personale, di altri pazienti e di familiari. Il bisogno di privacy deve essere
rispettato anche durante i momenti di comunicazione riguardanti la salute.
6.6. La Mediazione culturale al Policlinico di Modena
SIMONETTA FERRETTI – Ufficio Comunicazione-accoglienza - Azienda OspedalieroUniversitaria di Modena
Tab. 1. Gli accessi
Anno
2001
2002
2003
Degenti stranieri
3.685
3.782
4.090
83
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
Tab. 2. Le etnie più rappresentate
Etnia
Albanese
Romania
Turchia
Ucraina
Ghana
Marocco
Nigeria
Tunisia
Filippine
2001
334
127
97
44
414
876
236
324
127
2002
337
154
97
73
368
923
212
344
137
2003
417
203
127
104
378
845
269
363
167
L’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena garantisce ai
propri utenti stranieri, dal 1997, interventi di mediazione culturale. Il servizio
ha subito nel 2001 una importante modifica sul piano organizzativo, determi­
nata dall’esternalizzazione delle prestazioni. L’ufficio Comunicazione acco­
glienza ha la responsabilità di pianificare e controllare il servizio erogato; la
cooperativa sociale Mediazione Linguistico Culturale Integra, individuata at­
traverso gara pubblica, ha il compito di svolgere il servizio sulla base di quan­
to concordato da contratto. Il servizio è attivo 24 ore al giorno, per sette giorni
e si realizza attraverso la presenza costante dei mediatori nella fascia oraria 8/
15.30, e la loro reperibilità dalle 15.30 alle 8. Risponde alle richieste di stranie­
ri rappresentativi di ogni nazionalità presente sul territorio, compresi gruppi
minoritari. Il servizio offre: informazione, interpretariato, mediazione, media­
zione telefonica, conference call, sostegno psico-sociale, controllo della posi­
zione amministrativa dei pazienti stranieri ricoverati, traduzioni scritte, forma­
zione, consulenza nell’organizzazione dei servizi, consulenza sulla gestione
dei casi. Nell’anno 2003 i mediatori culturali hanno assistito circa 1.800 perso­
ne straniere su un totale di 4.090 pazienti stranieri transitati o ricoverati.
Per favorire l’accesso dei cittadini stranieri e per accrescere il loro bagaglio
informativo, nel corso dell’anno 2004 l’ufficio Comunicazione accoglienza,
con la collaborazione dei mediatori, si è dedicato alla costruzione della carta
dei servizi ad hoc per la popolazione straniera. La carta dei servizi è composta
dalla guida al Policlinico, le carte di accoglienza dei reparti, la guida alle asso­
ciazioni di volontariato ed il sito internet dedicato. La guida offre informazioni
utili sull’accesso, la degenza e le dimissioni dall’ospedale, elenca i reparti e i
servizi presenti all’interno della struttura ed esplicita le linee guida dell’azien­
da. La guida al Policlinico è disponibile in cinque lingue: italiano, arabo, in­
glese, albanese e rumeno, le lingue più parlate dai cittadini stranieri che, ad
oggi, accedono alla struttura. Alla fine del 2004 saranno disponibili in lingua
anche le carte di accoglienza di alcuni reparti. Si prevede per il 10 luglio l’atti­
84
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
vazione del percorso, tradotto in lingua, dedicato agli stranieri ed agli opera­
tori interessati a fornire informazioni www.policlinico.mo.it .
Consolidato il servizio di mediazione si è valutata l’opportunità di conosce­
re il giudizio espresso dagli stessi fruitori. é stata avviata un indagine di customer
satisfaction che prevede la somministrazione di 200 questionari che indagano
sulla percezione che gli utenti hanno in merito a: prenotazione e accettazio­
ne, prestazioni sanitarie, prestazioni alberghiere e mediazione linguistico cul­
turale. I questionari sono somministrati vis a vis da una persona plurilingue
scelta fra mediatori culturali che non prestano la loro opera presso la nostra
Azienda. I questionari verranno elaborati dalla società Data bank con cui il
Policlinico effettua normalmente tali indagini. I reparti maggiormente rappre­
sentati per ovvie ragioni sono: ostetricia, nido, pediatria, neonatologia, gine­
cologia, chirurgia pediatrica, chirurgia della mano, chirurgia d’urgenza e ma­
lattie infettive.
È inoltre, in corso una ricerca che permetta di individuare sistemi di indagi­
ne qualitativi mirati ai cittadini stranieri.
85
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 6
86
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
L’Ospedale senza dolore
7.1. Diffusione progetto ospedale senza dolore dall’azienda ospedale al
territorio
DONATELLA GIANNUNZIO, LEONARDO GALLI, ORNELLA BARDELLI, MARISA BONVINI, SIMONETTA
BIANCHI - Azienda Istituti Ospitalieri di Cremona
AUTORE REFERENTE: DONATELLA GIANNUNZIO, Unità Operativa di Cure Palliative Azien­
da Istituti Ospitalieri Cremona - fax: 0372 405330, e-mail: [email protected]
Il recepimento delle linee guida della Conferenza Stato-Regioni del 24 mag­
gio 2001 e la Costituzione del Comitato Ospedale senza dolore con deliberazio­
ne aziendale 23 agosto 2001 hanno avviato nella Azienda Istituti Ospitalieri di
Cremona una intensa attività per la sensibilizzazione al problema del dolore.
Dopo la prima rilevazione puntuale de dolore nelle corsie del dicembre 2001
(47,4% dei pazienti ricoverati nei due presidi dell’azienda) si è proceduto ad ap­
profondimento di tematiche particolari e preparazioni di linee guida interne nel
2002 per passare nel 2003 al corso di formazione permanente giunto ormai alla
terza edizione ed al sottoprogetto di rilevazione del dolore nelle corsie. Dopo una
sperimentazione di due mesi (Marzo ed Aprile 2003) in reparti selezionati del
N.A.S. (Score verbale numerico), dalla fine del 2003 si è iniziato il progetto di
rilevazione del dolore come quinto segno vitale in tutte le corsie dell’Azienda.
Ciò ha permesso:
1. una revisione delle grafiche di reparto da cui è poi partito un ulteriore
progetto di unificazione dipartimentale delle cartelle mediche;
2. una formazione itinerante del personale infermieristico nelle sedi delle Unità
Operative prendendo spunto dall’utilizzo delle nuove grafiche;
3. una formazione simile del personale medico a tener conto delle nuove
segnalazioni degli infermieri a proposito dei valori riportati sulle grafiche
stesse (sempre per singola Unità Operativa);
4. un approfondimento di problematiche particolari per popolazioni di pa­
zienti che non potessero utilizzare il N.A.S.
Quest’ultimo punto ha avviato uno studio sul dolore nel bambino che ha
coinvolto ovviamente anche il secondo presidio dell’Azienda impegnato in
un percorso di accreditamento secondo Joint Commission dal quale pure si
sono tratti elementi per perfezionare la rilevazione.
Si è inoltre avviato un percorso sul dolore nell’anziano e nel paziente con
deficit cognitivo che ha visto la partecipazione delle principali strutture RSA
della ASL di Cremona.
87
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
Tali RSA si sono affiancate molto volentieri all’Azienda Ospedale impegnando­
si nella sperimentazione di scale di rilevazione apposite per il paziente demente.
È previsto per il 2005 una riunione per la presentazione dello studio e della
sperimentazione che verrà eseguita anche nelle corsie riabilitative dell’Ospedale.
Ciò è di grande rilevanza in una ASL dove gli anziani, le patologie croniche
e le patologie tumorali sono in continuo incremento.
7.2. Uso delle tecniche non farmacologiche in oncoematologia pediatrica:
l’esperienza del Servizio Terapia del Dolore dell’ospedale Meyer
SIMONA CAPRILLI, MARIANNA SCOLLO ABETI, CATERINA TEODORI - Servizio Terapia del
dolore – A.O.U. Meyer
AUTORE REFERENTE: SIMONA CAPRILLI, Servizio Terapia del dolore A.O.U. Meyer, Via
L. Giordano 13, 50131 Firenze - tel.: 055 5662456, fax: 055 5662400, e­
mail: [email protected]
Introduzione
Il bambino affetto da cancro va incontro a stati di dolore, non solo provoca­
ti dalla patologia, ma anche da procedure invasive.
Per trattare il dolore, in combinazione con i farmaci, è raccomandabile che
si usino specifiche tecniche per il rilassamento psicofisico che, coinvolgendo
la sfera mentale, spostano l’attenzione del bambino lontano dallo stato di pa­
ura ed ansia che sta vivendo così da modificare la sensazione di dolore.
Target
Già un bambino di tre anni è in grado di applicare la tecnica della respirazione,
che prevede una serie di profondi respiri ponendo particolare attenzione all’aria
che entra e che esce dai polmoni. Con la regolarizzazione del respiro si attenua la
tensione fisica. Altra tecnica è il rilassamento, che consiste nel far rilasciare al
bambino i muscoli del corpo. Sempre dopo i tre, quattro anni, può essere inse­
gnata anche la tecnica della visualizzazione, dove il bambino compirà un vero e
proprio “viaggio” con l’immaginazione. Si dice al bambino, dopo la respirazione
ed il rilassamento, di pensare intensamente ad un luogo o ad una situazione in cui
vorrebbe trovarsi, invitandolo a concentrarsi su ciò che accade in questo posto. Il
passaggio successivo consiste nell’utilizzare un’ulteriore tecnica, la desensibilizzazione. Questa tecnica è indicata dopo i dieci - undici anni e prevede la
concentrazione su una precisa parte del corpo dove è localizzato il dolore in
modo da abbassarne la sensibilità. Anche la distrazione può essere usata efficace­
mente con il bambino in età scolare e prescolare, con giocattoli, libri, videocasset­
88
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
te, musica, ecc... o coinvolgendolo in conversazioni su argomenti particolarmen­
te graditi. Per distrarre i bambini più piccoli sono particolarmente efficaci le bolle
di sapone. Tali tecniche di rilassamento possono essere utilizzate da sole o inte­
grate alla farmacologia sia che il paziente necessiti di un’anestesia generale, di
una sedazione profonda, o di una sedazione conscia. Infatti al momento dell’in­
duzione di un’anestesia o sedazione, il bambino può essere coinvolto con la re­
spirazione e visualizzazione o con la distrazione. Lo stesso vale per il risveglio;
mentre il bambino riprende conoscenza lo si invita a respirare, rilassarsi, prende­
re energia, spiegandogli che tutto è andato per il meglio.
Presentazione risultati
Sono presentate le esperienze delle psicologhe del Servizio Terapia del Do­
lore nell’applicazione delle tecniche non farmacologiche per il dolore cronico e
da procedura nel reparto di oncoematologia all’ospedale A. Meyer di Firenze.
L’esperienza ci ha mostrato che per i bambini in età prescolare sono più
utili le tecniche di distrazione, soprattutto durante l’induzione dell’anestesia e
durante prelievi, mentre per bambini oltre 6 anni sono applicabili tecniche di
rilassamento, respirazione e visualizzazione.
Inoltre nella scelta della tecnica non si può prescindere dalla valutazione del­
le caratteristiche di personalità del bambino; la respirazione ed il rilassamento
sono più indicati per bambini con capacità di concentrazione e di autocontrollo.
Invece bambini più vivaci ed estroversi sono più adatti per la distrazione.
Per costruire un rapporto di fiducia con l’operatore è importante preparare
il bambino spiegandogli con parole semplici in cosa consiste la procedura, in
modo da attenuare ansie e paure.
All’interno di questo percorso un ruolo fondamentale è rivestito dal genito­
re in quanto è il migliore esperto del bambino, dei suoi bisogni e desideri. Nel
trattamento del dolore i genitori diventano degli alleati che contribuiscono
alla scelta ed al risultato della tecnica. Infatti se adeguatamente addestrati, i
genitori applicano rilassamento, distrazione, respirazione, ecc... con il pro­
prio figlio durante il momento di dolore.
7.3. Progetto ospedale senza dolore – ASL 21. Valutazione dei primi risultati
FERDINANDO CADREGARI, ROBERTO BELLINI, GIANPIERO PATRUCCO, FRANCESCO RICAGNI ­
Terapia del Dolore Ospedale S. Spirito, Casale M.to (Al)
AUTORE REFERENTE: FERDINANDO CADREGARI, tel.: 0142 434411, e-mail: [email protected]
Introduzione
La promozione del benessere della persona ricoverata in ospedale trova
89
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
nel corretto trattamento del dolore un aspetto prioritario, come anche
evidenziato dalle normative nazionali e regionali in tema di “Progetto Ospe­
dale Senza Dolore”. In questo contesto presso l’ASL 21 l’anno 2003 ha visto,
dopo la costituzione del Comitato OSD, l’attivazione del progetto con la fase
preliminare di indagine sul problema dolore in ospedale, la progettazione e
realizzazione del percorso formativo poliennale per gli operatori sanitari e,
con l’inizio del 2004, la fase di prima applicazione. A distanza di sei mesi sono
state eseguite le prime valutazioni dei risultati ottenuti, con particolare riferi­
mento al dolore postoperatorio, indice principale di sofferenza e disagio del
paziente ricoverato.
Materiali e metodi
È stato analizzato il decorso postoperatorio di un campione di 300 pazienti
delle diverse specialità chirurgiche sottoposti ad interventi di chirurgia mag­
giore, trattati con protocolli analgesici postoperatori omogenei e validati se­
condo le linee guida SIAARTI. Il monitoraggio è stato effettuato tramite regi­
strazione dei dati a diversi livelli: dolore (misurazione intensità tramite scala
VAS a 6 punti, incidenza di effetti collaterali, livello di sedazione, richiesta di
analgesici rescue); outcome del paziente (indici di gradimento, commenti e
proposte tramite autocompilazione di questionario); indicatori generali (trend
consumo di farmaci analgesici nei reparti chirurgici).
Risultati
Nelle prime 2 ore postoperatorie il dolore è risultato ben controllato (VAS _
2,5) nella quasi totalità dei pazienti, raggiungendo un livello ottimale (VAS _
1) dopo 3/4 ore. La richiesta di analgesici rescue è stata registrata per 126
pazienti in 1ª giornata e per 30 pazienti in 2ª giornata. Effetti collaterali signi­
ficativi (nausea e vomito) sono stati riportati per 36 pazienti, correlati alla
somministrazione di oppioidi maggiori. I livelli di sedazione sono risultati non
rilevanti. L’analisi dei questionari compilati dai pazienti alla dimissione ha ri­
levato, insieme ad un elevato grado di soddisfazione anche la necessità di una
corretta informazione preventiva. I dati relativi al consumo dei farmaci
analgesici mostrano un trend in crescita rispetto agli anni precedenti.
Conclusioni
L’analisi dei risultati dello studio, oltre ai dati favorevoli che ne derivano,
evidenzia anche alcuni punti di criticità che richiedono l’adozione di misure
correttive. Il non completo coinvolgimento del personale sanitario richiama la
necessità di un più capillare lavoro di formazione e sensibilizzazione al pro­
90
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
blema dolore. L’adozione di protocolli analgesici omogenei e standard non
sempre rispetta le diverse esigenze operative ed organizzative dei vari reparti
chirurgici; si rende pertanto necessario elaborare protocolli clinici e terapeutici
flessibili ed adattabili alle varie realtà dell’ospedale. I dati ricavati dai questio­
nari di gradimento rilevano l’importanza della corretta ed esauriente informa­
zione preventiva, da fornire al paziente all’atto dell’accoglimento in ospedale
mediante opuscoli informativi dedicati e durante la degenza attraverso corret­
ti rapporti interpersonali con gli operatori medici ed infermieristici. I buoni
risultati raggiunti, che dimostrano come sia possibile contrastare il dolore
postoperatorio, e i punti deboli rilevati rappresentano comunque uno stimolo
a proseguire e migliorare il lavoro.
Bibliografia
1. Linee Guida per la Realizzazione per un Ospedale Senza Dolore del 24/5/01,
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, 29/6/01, Serie Generale n. 149.
2. SAVOIA C, AMBROSIO F., Linee guida SIAARTI per il trattamento del dolore
acuto e cronico, Minerva Anestesiol. 2000, 66 (1) 9, pp. 163-171.
7.4. La formazione degli operatori nel progetto ospedale senza dolore
ANDREA VENEZIANI1, ANTONIO MOLISSO2, LUISA GAROFOLINI3, BRUNELLA LIBRANDI4 - 1Me­
dico U.O. Anestesia e Rianimazione, 2Medico U.O. Chirurgia vascolare, 3AFD
U.O. Medicina Generale, 4Referente U.O. Educazione alla Salute ASL Firenze
Il progetto HPH (Health Promoting Hospitals) Ospedale Senza Dolore, cui
ha aderito anche la Regione Toscana, prevede varie fasi di attuazione concor­
date a livello regionale. All’inizio del 2003, presso l’ospedale San Giovanni di
Dio di Firenze, dopo la costituzione del Comitato Ospedale Senza Dolore, è
stato organizzato un corso di formazione sul trattamento del dolore in fase
acuta.
Stima dei fabbisogni formativi
La stima dei fabbisogni formativi è avvenuta per mezzo di un questionario
regionale, precedentemente distribuito al personale medico e infermieristico
dell’ospedale per individuare carenze cognitive e organizzative che sono sta­
te alla base del progetto.
Precedenti esperienze didattiche sull’argomento, rivolte unicamente agli in­
fermieri dell’ospedale, al di là di un interesse notevole mostrato per l’argomento
trattato, avevano in seguito avuto una ricaduta d’effetti piuttosto limitata.
91
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
Rivalutazione
La nuova opportunità di un corso di formazione obbligatorio nell’ambito
del progetto HPH, dava sicuramente la possibilità di conferire all’iniziativa
una maggiore autorevolezza e di coinvolgere tutti gli operatori sanitari, medi­
ci, infermieri ed ostetriche dell’ospedale.
Durante la fase di progettazione iniziale la rivalutazione della precedente
esperienza ha fatto emergere l’importanza della metodologia partecipativa,
ovvero, i limiti di un approccio didattico centrato sull’insegnamento incon­
gruente con una metodologia HPH basata sul ruolo proattivo sia del soggetto
assistito che dell’operatore e favorente una relazione fondata sull’ascolto che
tenga conto della soggettività della persona e della sua autonomia.
Per proporre un percorso formativo che tenesse conto di queste esigenze
i futuri docenti hanno partecipato ad un seminario di formazione formatori
“La progettazione dei percorsi formativi orientati all’HPH” ideato e condotto
dalla referente dell’U.O. Educazione alla Salute con animatori di formazione
dell’ASL.
Nuova progettazione
Il seminario, della durata di 4 giornate, ha prodotto un notevole cambia­
mento in tutti i partecipanti e l’esperienza si è rivelata fondamentale per la
stesura secondo criteri completamente nuovi del programma del corso sul
dolore. Il nuovo progetto, si è basato sul nuovo orientamento didattico ed ha
individuato come obiettivi specifici:
• anticipare i bisogni dei pazienti;
• monitorare in modo adeguato il dolore;
• garantire con la terapia ed eventuali sue correzioni un dolore con score ≤ 3;
• garantire sempre condizioni di sicurezza costruendo un percorso formativo
mirante a migliorare la comunicazione multidisciplinare fra gli operatori
coinvolti nel trattamento del dolore.
Soggetti coinvolti
Destinatari del corso sono stati tutti gli infermieri e circa un terzo dei me­
dici afferenti all’area chirurgica (U.O. di chirurgia, sale operatorie, ostetricia,
DEA) per un totale di 235 persone di cui 144 infermieri e 53 medici e 44
ostetriche. Sono state effettuate 9 edizioni di corso di due giornate ciascuna
per complessive 13 ore. Il materiale didattico ha compreso una dispensa
sugli argomenti trattati e successivamente un CD-ROM contenente tutto il
materiale presentato, i contenuti degli elaborati realizzati dai gruppi, e i ri­
sultati ECM.
92
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
Programma e metodologia
La metodologia utilizzata nel corso si è basata su esercitazioni a piccoli gruppi
interprofessionali con cui si è dapprima definito il dolore e successivamente si
è mirato a far emergere le criticità del percorso di assistenza al dolore, a scapi­
to delle lezioni frontali limitate ad argomenti specifici: fisiopatologia e misura
del dolore, farmacologia dei farmaci antidolorifici, monitoraggio clinico
postoperatorio.
Le indicazioni fornite dai risultati del questionario preliminare ci hanno spinto
verso un cambiamento d’orientamento dei discenti dalla centralità dell’opera­
tore alla centralità dell’assistito seguendo peraltro quelle che sono le più re­
centi indicazioni HPH. Il percorso formativo è stato realizzato con un approc­
cio interprofessionale basandosi sul criterio di privilegiare la centralità dell’as­
sistito piuttosto che dell’operatore. I singoli hanno progressivamente perso il
loro atteggiamento troppo individualistico: ognuno identificava e individuava
inizialmente solo le problematiche del proprio specifico professionale del
percorso assistenziale multidisciplinare. Mettendo insieme e affiatando le com­
petenze diverse, si è aumentata la motivazione e modificato l’orientamento
verso l’obiettivo comune.
Risultati
Il corso ha ottenuto un successo, percepito e rilevato tramite i questio­
nari sul gradimento e per l’ECM, superiore alle aspettative. A nostro parere
ha raggiunto gli obiettivi che si prefiggeva: un cambiamento di cultura e di
atteggiamento verso il dolore del paziente nel rispetto della sua soggettivi­
tà. Grazie a una maggior sensibilizzazione al problema si è cominciato a
considerare il dolore e a misurarlo come un parametro vitale in maniera
più sistematica: lo testimonia il numero di rilevazioni via via crescente ese­
guite nei reparti per ogni paziente. È aumentato il consumo dei farmaci
antidolorifici, soprattutto quello di morfina. Sulla base delle criticità emer­
se durante le esercitazioni di gruppo è emersa la necessità di progettare un
corso per migliorare negli operatori le competenze comunicative e
relazionali, che coinvolge i referenti medici e infermieristici e le caposala
di ogni corsia unitamente ai componenti del Comitato Ospedale Senza
Dolore dell’ospedale.
93
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
7.5. Indagine conoscitiva sull’utilizzo di farmaci analgesici nelle strutture
ospedaliere dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della
provincia autonoma di Trento
MARIA GRAZIA ALLEGRETTI1, MICHELINA MONTEROSSO1, GIOVANNI MARIA GUARRERA1, PAO­
LO ROMITI1, DINO PEDROTTI1, BENEDETTO PARODI1, BIANCA BORTOLAMEOTTI1, FRANCA
DALLAPÈ1, CRISTINA PONTALTI1, ELISABETTA FONZI2, ENRICO BALDANTONI3 - 1Comitato
Ospedale senza dolore, Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari; 2U.O. di
Farmacia, Ospedale di Trento; 3Direttore Ospedale di Trento
AUTORE REFERENTE: MARIA GRAZIA ALLEGRETTI, U.O. di Farmacia, Ospedale di Trento,
Largo Medaglie d’oro, 38100 Trento – tel.: 0461 903691, fax: 0461 903458,
e-mail: [email protected]
Introduzione
L’approccio terapeutico al dolore in ambito ospedaliero è spesso trascurato
rispetto ad altri sintomi ritenuti più “importanti” perché il dolore stesso viene con­
siderato non come una priorità di cura, bensì come un evento quasi ineluttabile e
che in ogni caso è pericoloso occultare. Questo atteggiamento è fortemente in­
fluenzato da stereotipi culturali che bisogna cercar di modificare con una efficace
azione di formazione/informazione per poter incidere sui comportamenti.
Si stima che solo il 40-45% dei pazienti ospedalieri che presentano il sinto­
mo dolore viene trattato in modo soddisfacente, anche se la disponibilità di
strumenti terapeutici efficaci consentirebbe il raggiungimento di risultati posi­
tivi in oltre il 90% dei casi.
Nel 2001 il Ministero della Sanità ha raccolto le indicazioni della comunità
scientifica ed ha emanato linee guida per la promuovere la trasformazione
verso “ospedali senza dolore” con lo scopo di creare ambienti favorevoli alla
modifica degli atteggiamenti e dei comportamenti dei professionisti sanitari
nell’approccio al sintomo dolore.
Obiettivo
Nel gennaio 2003 è stato costituito nella Azienda Provinciale per i Servizi
Sanitari della Provincia Autonoma di Trento (APSS) il Comitato aziendale per
l’“Ospedale senza dolore” (COSD) con la finalità di promuovere nelle struttu­
re sanitarie l’utilizzo dei farmaci analgesici efficaci, in particolare degli oppiacei,
in aderenza alle indicazioni dell’OMS e di valutarne periodicamente il consu­
mo, considerato indicatore di processo di buona pratica clinica.
A tal fine è stata fatta un’indagine conoscitiva sui consumi dei farmaci
analgesici nelle strutture ospedaliere dell’APSS che ha una popolazione resi­
dente di 480.000 abitanti.
94
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
Presentazione e valutazione dei risultati
L’indagine sui consumi ha coinvolto le sette strutture ospedaliere dell’APSS:
due ospedali cosi detti “hubs” e cinque ospedali di distretto “spokes”.
Attraverso il Servizio di controllo gestione aziendale è stato possibile reperire
i dati di consumo e di metterli in relazione alle giornate di degenza.
Per avere dei dati che fossero confrontabili fra le varie strutture, partendo
dai dati di consumo, sono state calcolate le DDD (Defined Daily Dose). La
DDD è un’unità tecnica utilizzata per presentare e confrontare statistiche rela­
tive al consumo dei farmaci e le DDD/100pz/die che esprimono la frazione di
pazienti (esposizione) che, ogni giorno, nel periodo indicato, hanno ricevuto
una DDD del farmaco in oggetto consentendo in questo modo di fare un
confronto diretto tra popolazioni di numerosità diversa attraverso le seguenti
formule: n=g/DDD e n=(n/gd)x100 dove n corrisponde al numero di DDD, g
corrisponde ai grammi di farmaco utilizzati e gd corrisponde alle giornate di
degenza nel periodo considerato.
Per valutare il consumo di oppiacei è stata considerata l’esposizione media
agli stessi nell’area medica nella quale l’esposizione è stata di 6,32 DDD/100pz/
die nel 2003, con un aumento di 4,38 DDD/100pz/die rispetto al triennio 2000/
2002 precedentemente analizzato.
Il consumo di oppiacei nell’area chirurgica ha presentato una esposizione
media agli oppiacei stessi di 3,23 DDD/100pz/die nel 2003 con un aumento di
1,39 DDD/100pz/die rispetto al triennio 2000/2002 precedentemente analiz­
zato.
Per quanto riguarda il consumo di analgesici non oppiacei (paracetamolo,
ketorolac, ketoprofene, tramadolo), l’esposizione media agli stessi nel 2003
nell’area chirurgica è stata di 4,63 DDD/100pz/die con un aumento di 0,97
DDD/100pz/die rispetto al 2002.
Conclusioni
L’Ospedale senza dolore presuppone un cambiamento culturale di tutti gli
operatori sanitari affinché il controllo del dolore sia effettivamente garantito a
tutti i pazienti che ne hanno bisogno.
Questo cambiamento richiede un impegno costante che si realizza attraver­
so la collaborazione multidisciplinare fra le diverse figure professionali coin­
volte nella gestione del dolore, iniziando dalla loro formazione/informazio­
ne.
I risultati finora ottenuti dimostrano che l’attività di formazione e
sensibilizzazione degli operatori sanitari si sta dimostrando efficace e consen­
te di passare dalle dichiarazioni di principio ai fatti concreti, misurando e do­
cumentando i miglioramenti conseguiti.
95
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
7.6. Il progetto “Ospedale e territorio contro il dolore” della rete veneta
HPH
SIMONE TASSO1, MARCO VISENTIN2, RENATA FERRARI2, LEONARDO TRENTIN2 - 1 Direzione
Medica Presidio Ospedaliero di Castelfranco Veneto ULSS n.8, Coordinatore
Rete Veneta HPH; 2 U.O. Terapia del Dolore ULSS 6 Vicenza, Rete HPH del
Veneto, Responsabile Regionale del Progetto
Introduzione
Nell’ambito della Rete HPH il corretto trattamento del dolore è considerato
un intervento di primaria importanza per promuovere il benessere dei ricove­
rati. L’interesse per l’argomento è presente sia a livello di singoli ospedali sia a
livello di coordinamento HPH ed è testimoniato dal fatto che numerosi sono
gli ospedali che spontaneamente (ma talora anche con un coordinamento
regionale) hanno iniziato un Progetto contro il Dolore. Inoltre vi è una sensi­
bilità internazionale e nazionale al problema, testimoniata dal fatto che pro­
prio ai Progetti sul dolore è stato dato spazio in sessioni parallele in varie
Conferenze sia nazionali (Castelfranco Veneto 2002, Torino 2003, Riva del Garda
2004) che internazionali HPH (Bratislava 2002, Firenze 2003, Mosca 2004).
Affrontare appropriatamente questo argomento significa mettere in moto le
azioni previste dalla Carta di Ottawa, perché proprio su questo argomento è
importante “cambiare una cultura” che troppo spesso affronta il dolore con
un atteggiamento fatalistico, considerandolo per lo più come un fatto inelut­
tabile, come parte integrante ed inevitabile della malattia.
Si tratta, come suggerisce la Dichiarazione di Budapest, di agire con azioni
multisettoriali sul personale, sui pazienti, sulla comunità.
I professionisti sanitari, ad esempio, mostrano spesso importanti carenze
riguardo al dolore, al suo trattamento e non lo considerano una priorità nella
pratica medica attuale:
- è sempre forte la convinzione che l’unico compito della medicina sia quello
di guarire le malattie;
- il dolore viene considerato solo come un sintomo, che è pericoloso occultare;
- se un dolore non dipende da una causa evidente, non ci si sforza di comprenderlo, ma piuttosto lo si ignora.
E’ naturale che con questi presupposti sia necessario intervenire anche sulla co­
munità per sensibilizzarla sul problema e cambiarne credenze ed atteggiamenti.
L’esperienza della Rete Veneta HPH: il Progetto “Ospedale e Territorio senza Dolore”
L’esperienza HPH del Veneto è partita da questi presupposti, cercando di
creare un Progetto che tenesse conto delle Linee Guida Nazionali [1] e Regio­
96
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
nali [2], della esperienza maturata dai colleghi che avevano lavorato per la
fase nazionale del Progetto “Ensemble contre la douleur”, dei fondamenti della
promozione della salute descritti nella Carta di Ottawa e nella Dichiarazione
di Budapest.
Il primo passo del Progetto è stata uno studio policentrico condotto negli
ospedali di 6 aziende sanitarie del Veneto (ULSS n. 1 Belluno, ULSS n. 8 Asolo,
ULSS n. 16 di Padova, ULSS n. 17 Este, ULSS n. 18 Rovigo, ULSS n. 21 Legnago).
Lo studio ha coinvolto complessivamente 1325 ricoverati (alcuni anche in
ospedalizzazione domiciliare) ed ha avuto fondamentalmente i seguenti prin­
cipali obiettivi:
1. misurare la prevalenza e l’intensità del dolore che i pazienti dichiaravano
di percepire;
2. misurare l’idea di dolore che, su tali pazienti, veniva registrata dagli opera­
tori sanitari;
3. confrontare le due misurazioni, così da valutarne il grado di concordanza;
4. valutare le conoscenze e gli atteggiamenti nei confronti del dolore da parte
degli operatori sanitari (medici ed infermieri).
Lo studio si è tenuto nell’ultimo trimestre del 2002 ed ha coinvolto, oltre ai
suddetti pazienti anche 1.636 operatori sanitari cui sono stati somministrati
altrettanti questionari sulle conoscenze e sugli atteggiamenti nei confronti del
dolore.
I principali risultati possono essere così riassunti: prevalenza del dolore tra
i ricoverati pari a 51,5% con valore medio del dolore pari a 2,50 (deviazione
standard = 3,09) utilizzando la Numerical Rating Scale (NRS), una scala che
prevede 11 livelli di intensità dolorifica che vanno da 0 (assenza di dolore) a
10 (dolore massimo).
Il grado di concordanza tra dolore percepito dal paziente e dolore rilevato
dall’operatore è stato calcolato mediante coefficiente K di Cohen che tiene
conto anche della concordanza casuale. La K di Cohen è risultata 0,3746: valo­
ri di questo parametro inferiori a 0,4 significano scarso grado di concordanza.
I suddetti questionari sulle conoscenze e atteggiamenti riguardanti al dolo­
re hanno presentato una percentuale di risposte esatte pari 51,2 % con un
intervallo di confidenza (95%) compreso tra 50,5 % e 51,9%.
Contemporaneamente al suddetto studio policentrico si è svolta nelle aziende
una azione di sensibilizzazione della comunità sull’argomento: agli ingressi
degli ospedali sono stati allestiti stand dove personale appositamente istruito
illustrava il Progetto ai passanti e consegnava materiale informativo. Al tempo
stesso, nella maggior parte delle aziende, sono stati predisposti comunicati
stampa che hanno portato alla pubblicazione di articoli sui quotidiani locali.
Particolare attenzione è stata posta anche alla pubblicazione di notizie sul
giornali delle ULSS.
97
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
Sono state realizzate anche azioni rivolte al personale sanitario, dato che le
risposte al suddetto questionario (rivolto agli operatori sanitari) hanno
evidenziato che le conoscenze/atteggiamenti del personale sulla tematica
dolore sono notevolmente migliorabili.
La scelta del Gruppo di Lavoro Regionale è stata la produzione di materiale
formativo (set di formazione) rivolto ai formatori dei nostri ospedali. Tale set
è costituito da una videocassetta e da un fascicolo formativo. L’obiettivo è
stato quello di facilitare l’attività dei formatori aziendali e, al tempo stesso, di
attuare una formazione che fosse, per quanto possibile, uniforme nei diversi
ospedali.
La videocassetta contiene due tipologie di materiale: materiale teorico (re­
gistrazione di lezioni powerpoint) e materiale pratico contenente alcune sce­
ne recitate da attori nel ruolo di medici, infermieri, pazienti, presentando i più
frequenti errori compiuti dal personale sanitario nella misurazione del dolore
di pazienti ospedalizzati.
Le scene sono utili, perché rappresentano una sorta di role playing standar­
dizzato e permettono di aprire una discussione sui coretti atteggiamenti per­
sonale sanitario nella misurazione del dolore.
Oltre alle scene errate sono recitate anche quelle corrette da presentare ai
discenti alla fine della discussione. La videocassetta è corredata da un fascico­
lo che contiene i testi delle lezioni teoriche e i testi dei copioni recitati dagli
attori insieme alle più importanti indicazioni da seguire per la corretta misura­
zione del dolore.
Prospettive Future
Al di la della esperienza Veneta è da riconoscere che numerose e valide
sono le esperienze sull’argomento da parte di Ospedali della Rete HPH Italia­
na [3-8], presentate anche a livello internazionale [9-12]. Forse i tempi sono
maturi per intraprendere se non un vero e proprio un Progetto Italiano HPH
almeno azioni comuni tra le diverse Reti HPH.
Bibliografia
1. Deliberazione Giunta Regionale Veneta n. 309 del 14.2.2003. Documen­
to di indirizzo e coordinamento alle Aziende socio-sanitarie denominato
“contro il dolore”.
2. Linee Guida per la Realizzazione per un Ospedale senza Dolore del
24.5.2001, “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 29/6/2001”, Serie
Generale n. 149.
3. MARRI E., PETROPULACOS K., MATARAZZO T., Il Progetto Ospedale senza Dolore
98
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 7
in Emilia Romagna, “Atti 7° Conferenza Nazionale HPH”, Torino 21-22
Novembre 2003.
4. MESSERI A., MORELLO MARCHESE P., Pain-Free Hospital: Tuscany Experience,
“Abstract Book 12th International Conference on HPH”, Moscow, May 26­
28, 2004.
5. MESSERI A., MORELLO MARCHESE P., Progetto Ospedale senza Dolore nella Rete
Toscana: stato di avanzamento ad un anno di attività, “Atti 6° Conferen­
za Nazionale HPH”, Castelfranco Veneto 25-26 Novembre 2002, pp. 57-58.
6. PASQUARIELLO L., MUSI M., PESENTI M. et al., Percorso Formativo “Verso un
Ospedale senza Dolore” dell’Azienda USL Valle d’Aosta, “Atti 7° Conferen­
za Nazionale HPH”, Torino 21-22 Novembre 2003.
7. RICAGNI F., BELLINI R., CADREGARI F., Progetto Ospedale senza Dolore nella ASL
21 Piemontese di Casale Monferrato, “Atti 7° Conferenza Nazionale HPH”,
Torino 21-22 Novembre 2003.
8. TASSO S., VISENTIN M., Towards a pain-free hospital, “Abstract Book 12th
International Conference on HPH”, Moscow, May 26-28, 2004.
9. VISENTIN M., TASSO S., Ospedale e Territorio contro il Dolore: il Progetto delle
Aziende della Rete Veneta HPH, “Atti 6° Conferenza Nazionale HPH”,
Castelfranco Veneto 25-26 Novembre 2002, pp. 59-60.
10. ZUCCO F., SOTTILI S., JACQUOT L. et al., Ospedale senza Dolore: la Rete Lom­
barda per sviluppare e valorizzare i Progetti Aziendali, “Atti 6° Confe­
renza Nazionale HPH”, Castelfranco Veneto 25-26 Novembre 2002, pp.
55-57.
11. ZUCCO F., SOTTILI S., RIPAMONTI C. et al., Pain-Free Hospital: an advanced
HPH Project in Regione Lombardia. “Abstract Book 11th International
Conference on HPH”, Florence May 18-20, 2003, p. 61.
99
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 8
100
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 8
L’Ospedale senza fumo
8.1. Il progetto anti-tabagismo nelle reti HPH italiane attraverso l’utilizzo
del questionario ENSH
SIMONE TASSO - Coordinatore Rete Veneta HPH, Direzione Medica Presidio
Ospedaliero di Castelfranco Veneto ULSS n. 8
Introduzione
La Rete Europea degli Ospedali Liberi dal Fumo (European Network of
Smoke Free Hospitals - ENSH) ha messo a punto un questionario per la valu­
tazione dei progetti anti-tabagismo in ospedale.
Tale questionario è basato su domande che hanno l’obiettivo di individuare
il grado di aderenza dei suddetti progetti ad un codice che gli ENSH hanno
prodotto con il fine di descrivere le principali caratteristiche di un ospedale
libero dal fumo. In sostanza nel questionario viene esplicitato in domande il
razionale di tale codice. Le domande riguardano vari aspetti del progetto qua­
li ad esempio l’impegno formale della azienda per mezzo di documenti, istitu­
zione di un gruppo di lavoro aziendale sul tabagismo, elaborazione di pro­
grammi di formazione. Sono previste sia riposte dicotomiche con risposta si/
no, sia riposte di tipo quantitativo con l’attribuzione di un punteggio a ciascu­
na domanda: da zero (attività/azione non iniziata) a 4 (completa realizzazio­
ne). Inoltre, dato il carattere sperimentale del questionario è sempre prevista
la riposta “non applicabile” al fine di individuare eventuali problematiche o
punti poco chiari del questionario. Inoltre, è stato previsto uno spazio in chia­
ro per eventuali osservazioni relativamente a ciascuna domanda
L’idea degli ENSH è quella di produrre uno o pochi indicatori sintetici che
rappresentino la situazione dell’ospedale e facilitino i confronti. Il più sinteti­
co di questi indicatori è il “totale score” cioè il punteggio totale ottenuto dalla
somma dei punti ottenuti in ciascuna domanda.
Il questionario viene periodicamente aggiornato e la versione utilizzata nel
presente studio è la versione ENSH 2004 [Ouranou, 2003].
Risultati
Il questionario è stato finora somministrato a 68 ospedali delle Reti HPH Ita­
liane (Lombardia, Veneto, Piemonte, Trentino, Friuli Venezia Giulia, Liguria).
È apparso complessivamente valido ed in linea con i principi HPH nel rap­
101
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 8
presentare le principali caratteristiche di un progetto anti-tabagismo. Tuttavia
il questionario appare migliorabile in particolare in alcune domande dove più
elevata è risultata la percentuale di risposte “non applicabile” (range tra 0 e 38
%). In aggiunta, sono pervenute anche domande prive di risposta (range 0 a
15 %). Sulla modalità di attribuzione dei punteggi sono arrivate utili osserva­
zioni. Ad esempio, la produzione di un punteggio finale dovrebbe tenere conto
della diversa importanza delle domande. Inoltre alcune osservazioni riguar­
dano la modalità di elaborazione dei dati. Appare poco corretto trovare medie
applicandole a variabili che non hanno un andamento quantitativo lineare
(es. 2 non significa doppio di 1). Per questo le elaborazioni più appropriate
appaiono le distribuzioni di frequenza.
Conclusioni
Il questionario ENSH si è rivelato un valido strumento di auto-valutazione,
utile nella discussione tra pari sull’andamento dei progetti anti-tabagismo. Al­
cune domande (soprattutto quelle con percentuale più alta di “non applicabile”
e/o prive di risposta) possono essere migliorate, rendendole più chiare sulla
base dei suggerimenti da questo studio.
Attenzione deve essere posta per una corretta modalità di elaborazione dei dati.
Bibliografia
OURANOU A., Performance Evaluation towards a smoke free organisation, in 8th
Issue Newsletter “European Network Smoke Free Hospital”, November 2003.
8.2. Grado di aderenza agli standard europei per il controllo del fumo
delle Aziende Sanitarie della Lombardia
MARINA BONFANTI1, LUIGI MACCHI1, VITTORIO CARCERI2 - 1Direzione Generale Sanità,
Regione Lombardia, 2Consulente Assessore Sanità, Regione Lombardia
AUTORE REFERENTE: MARINA BONFANTI, U.O. Prevenzione, Direzione Generale Sa­
nità Regione Lombardia, Via Pola 9/11, 20124 Milano - tel.: 02 67653236,
fax: 02 67653307, e-mail: [email protected]
Contesto
La costituzione nel 1998 della rete Regionale Lombarda degli Ospedali per
la Promozione della salute e la successiva approvazione nel 2000 delle Linee
Guida per la prevenzione del tabagismo, hanno creato le basi per una nuova
attività progettuale e per una revisione delle strategie di promozione della
102
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 8
salute attuate all’interno delle strutture sanitarie. In questo ambito il progetto
regionale “Ospedali liberi dal fumo” risponde alla logica dell’ospedale pro­
motore di salute, che ha l’obiettivo di proporsi come modello di riferimento
nella promozione di uno stile di vita senza fumo.
I dati disponibili sui comportamenti e sulle abitudini degli operatori sanitari che
lavorano negli ospedali italiani, indicano che fumano più della popolazione gene­
rale (33,3% contro 24,2%), che hanno scarse conoscenze sul fumo, che sono consci
dei danni da fumo passivo e che molti desidererebbero smettere di fumare.
Il personale sanitario dell’ospedale, quindi, nel porsi come modello ed esem­
pio di stili di comportamento e di vita sani e positivi, rappresenta un target
molto importante su cui agire, in quanto occupa un ruolo prioritario rispetto
alle altre componenti del tessuto sociale: infatti, incontrando le persone in
vari momenti della vita nei quali il loro bisogno di salute è prevalente, può
dare risposte adeguate, di tipo terapeutico e preventivo, su un substrato più
ricettivo e sensibile ad un discorso di educazione alla salute.
Obiettivo
Valutare il grado di aderenza agli standard europei per il controllo del fumo
delle Aziende Sanitarie pubbliche e private della rete Lombarda HPH a distan­
za di tre anni dallo sviluppo dei primi progetti HPH- “Ospedali liberi dal fumo”.
Target
Aziende Sanitarie pubbliche e private della rete HPH lombarda, operatori
sanitari.
Risultati
Il questionario ha indagato su 9 aree tematiche:
1. Impegno dei responsabili dell’azienda (mandato istituzionale).
2. Comunicazione.
3. Educazione e formazione.
4. Assistenza alla disassuefazione dal fumo.
5. Delimitazione delle zone adibite ai fumatori (controllo).
6. Cartellonistica adeguata.
7. Luogo di lavoro libero dal fumo.
8. Promozione della salute.
9. Monitoraggio.
Buoni risultati si sono ottenuti per i punti 5 e 6. In linea di massima, infatti,
anche se in maniera disomogenea, sono stati individuati i locali in cui vige il
divieto di fumo, affissi i cartelli di divieto di fumare e nominati i funzionari
103
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 8
addetti alla vigilanza antifumo. Trattandosi però di un processo in continua
evoluzione si auspica che, attraverso un continuo monitoraggio, le disposi­
zioni di legge siano sempre integralmente rispettate.
Notevoli margini di miglioramento necessitano invece i punti 2, 3 e 7, in
quanto le iniziative formativo/informative organizzate dalle aziende sono poco
attuate: sarà, quindi, opportuno operare affinché la formazione diventi un
obiettivo specifico di un progetto più ampio di promozione di uno stile di vita
senza fumo. In quest’ottica, anche le iniziative correlate all’applicazione del
divieto di fumare, se accompagnate da azioni educative sui danni da fumo
attivo e passivo, sulla possibilità di difendersi da essi e di disassuefarsi dal
fumo di tabacco, sarebbero più efficaci.
Infine, migliorabile è anche il punto 1, specificatamente per la politica
aziendale nei confronti della lotta al fumo e per l’identificazione di risorse
economiche ed umane necessarie ad incrementare tale strategia.
Conclusioni
Alla luce di quanto emerso, risulta necessaria:
1) un’implementazione delle strategie aziendali sul problema “fumo” da par­
te dei responsabili delle Aziende Sanitarie;
2) l’attuazione di un’ampia e specifica azione di informazione/formazione degli
operatori sanitari sui danni da fumo, sulle regole comportamentali e sulle
normative da rispettare e da far rispettare, sulle metodologie di
disassuefazione dal fumo e sulla loro messa in opera.
Ovviamente, perché tali possibilità trovino pratica attuazione è necessario
che aumenti:
- la coscienza della priorità della lotta al tabagismo tra le attività sanitarie;
- la conoscenza del proprio ruolo in tale lotta da parte di tutto il personale
sanitario;
- il coinvolgimento di tutti i vertici aziendali;
- l’azione continuativa di stimolo da parte della Direzione Generale Sanità su
tutte le aziende sanitarie.
Consapevole di tutto ciò la Direzione Generale Sanità intende continuare a
lavorare per dare sostegno istituzionale e per essere un riferimento pratico a
chi vuole intraprendere iniziative di lotta al tabagismo nella propria azienda
sanitaria. Pertanto, le attività programmate per il futuro sono:
- incontri periodici di aggiornamento e scambio di informazioni con i re­
sponsabili antitabagismo individuati dalle Aziende;
- predisposizione di un pacchetto formativo per gli operatori sanitari, ad uso
delle Aziende Sanitarie;
- miglioramento della comunicazione tramite aggiornamento del sito web
regionale;
104
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 8
- implementazione dell’adesione al progetto “HPH-Ospedali senza fumo”,
anche tramite azioni di tutoraggio.
8.3. Verso un ospedale libero dal fumo
GIORGIO GALLI - Responsabile URP e Ufficio Stampa, Coordinatore rete HPH
Regione Autonoma Valle d’Aosta, Via Guido Rey 1, 11100 AOSTA - tel.: 0165
544418, fax: 0165 544587, e-mail: [email protected]
Contesto
Ad iniziare dal 2002 (anno di ingresso dell’Azienda USL Valle d’Aosta nella
rete nazionale HPH), anche in applicazione delle normative contro il fumo
nei locali pubblici, la nostra Azienda si è attivata in materia attraverso una
serie di interventi, inizialmente legati all’applicazione della norma e all’infor­
mazione destinata agli operatori aziendali, successivamente attinenti la sfera
della prevenzione, predisponendo progetti di salute mirati. Le fasi progettuali
possono essere così schematizzate:
1) febbraio 2002: predisposizione di un regolamento sul divieto di fumare
in tutte le strutture sanitarie (ospedaliere, territoriali, amministrative), ap­
plicazione delle nuove sanzioni e individuazione dei soggetti formal­
mente preposti all’accertamento delle infrazioni (di cui alla legge 448/
2001);
2) febbraio-marzo 2002: adeguamento della apposita segnaletica e affissione
di cartelli di divieto in tutte le sedi sanitarie;
3) marzo 2002: incarico, affidato al Dipartimento di Prevenzione, di effettua­
re, tramite i propri tecnici della prevenzione, verifiche a campione del
rispetto delle norme contro il fumo;
4) aprile 2002: promozione e realizzazione di incontri informativi con il per­
sonale dipendente riguardanti l’applicazione delle disposizioni di legge;
5) aprile 2002: apertura di un ambulatorio per la disassuefazione dal fumo
nell’ambito delle attività del reparto di Pneumotisiologia, in collaborazio­
ne con la sezione regionale della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori
ed i medici di medicina generale;
6) aprile 2002: effettuazione di una campagna di monitoraggio sul rapporto tra
fumo e comportamenti in luoghi pubblici (ospedale) dove il fumo non è
ammesso, attuata mediante somministrazione di un apposito questionario a
dipendenti e utenti. Il questionario è stato predisposto da un gruppo di stu­
denti dell’Istituto Magistrale “Maria Adelaide” di Aosta; gli stessi si sono oc­
cupati della distribuzione del documento e dell’elaborazione dei risultati.
Questi ultimo sono poi stati presentati pubblicamente in occasione di una
105
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 8
conferenza stampa avvenuta il 31 maggio 2002, Giornata Mondiale senza
Tabacco. Anche questa iniziativa è stata realizzata in sinergia con la LILT;
7) dal 2001 ad oggi: programma di prevenzione dei danni causati dal fumo di
sigaretta messo in atto presso diverse istituzioni scolastiche regionali (classi
V della scuola elementare, triennio media inferiore, biennio media supe­
riore). L’azione di tipo informativo-formativa è attuata dallo psicologo
operante presso la LILT, che opera in stretta collaborazione con la nostra
Azienda. I corsi sono stati avviati nell’anno scolastico 2001-2002. Da sotto­
lineare un continuo aumento di richieste di intervento da parte di un nu­
mero sempre maggiore di scuole, il che sta a dimostrare l’interesse e la
sensibilità verso il problema. Nell’anno scolastico 2003-2004 si è registrato
un incremento di richieste pari al 35%;
8) anno 2003: organizzazione di n. 2 corsi per la disassuefazione dal fumo
rivolti ai dipendenti aziendali, sempre in collaborazione con la LILT. Ogni
corso si è articolato in 10 incontri (presenti psicologo e dietologo) + 3
incontri di follow up.
9) autunno 2003: organizzazione della mostra di poster e manifesti contro il
fumo dal titolo “Immagini filtrate – Chi non fuma...vince!”, in collaborazio­
ne con Sovraintendenza agli Studi della Regione Valle d’Aosta;
10) 24 maggio 2004: inaugurazione della mostra “Immagini filtrate” presso la
biblioteca regionale di Aosta, comprendente oltre 50 lavori prodotti da gra­
fici professionisti, pittori aderenti all’Associazione Artisti Valdostani, studen­
ti dell’Istituto d’Arte di Aosta che hanno aderito spontaneamente e gratuita­
mente all’iniziativa. é stato inoltre realizzato un catalogo con le riproduzioni
dei lavori esposti. L’iniziativa ha coinvolto scuole e popolazione in genera­
le. La mostra ha carattere itinerante, tant’è che verrà riproposta nei diversi
ambiti regionali in coincidenza con l’avvio dell’anno scolastico 2004-2005.
Mostra e catalogo verranno poi messi a disposizione dei partner della rete
HPH che volessero presentarla nella propria regione.
11) 31 maggio 2004: promozione della Giornata Mondiale senza Tabacco at­
traverso un incontro destinato agli studenti delle scuole medie inferiori
per “lanciare” il progetto “Chi non fuma...Vince!”. Alla manifestazione, che
si è svolta presso la sala conferenze della biblioteca regionale di Aosta,
sono stati invitati gli studenti (con i rispettivi docenti) di alcune scuole
medie inferiori di Aosta, destinatari “pilota” di una serie di messaggi a loro
rivolti da medici, psicologi e testimonial del mondo dello sport. Il progetto
di promozione della salute, in stretta collaborazione con la Sovraintendenza
agli Studi, verrà attuato nell’anno scolastico 2004-2005 attraverso la pro­
duzione da parte delle scuole della regione di spot contro il fumo, di ma­
nifesti e poster, di brevi pièce teatrali. La presentazione dei lavori e la
premiazione saranno oggetto della Giornata Mondiale senza Tabacco del
31 maggio 2005.
106
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 8
Gruppo/target
Essendo passati dalla fase applicativa e informativa riguardante la norma a
quella vera e propria di promozione della salute (e, più in generale, di promo­
zione di corretti stili di vita) i destinatari sono fondamentalmente gli studenti
(scuole elementari e medie) che non hanno ancora avuto l’approccio con il
tabacco. Più in generale l’azione di sensibilizzazione è rivolta a tutta la popo­
lazione, promuovendo i corsi per la disassuefazione dal fumo di sigaretta.
Valutazione dei risultati
Si intende realizzare una campagna di monitoraggio estesa a tutte le scuole
di ogni ordine e grado, per verificare il numero degli studenti fumatori e pre­
disporre interventi mirati.
Conclusioni
Il programma di prevenzione va mantenuto nel tempo pianificando interven­
ti sempre più capillari nei confronti della popolazione scolastica, maggiormen­
te esposta al rischio di avvicinamento alla sigaretta. Va infine aggiunto che lo
stesso programma va collocato all’interno di un più ampio progetto di educa­
zione alla salute che riguarda, in generale, un corretto stile di vita dove rientra­
no a pieno titolo altri programmi attivati dall’azienda: corretta alimentazione,
svolgimento di attività sportiva e, per l’appunto, astensione dal fumo e dall’alcol.
8.4. “ASL NA1 Libera dal fumo”: un progetto di rete “Ospedali per la
promozione della salute” HPH
SARA DIAMARE1, RENATO MONTELLA2, ALFREDO SAVARESE3, ANGELO MONTEMARANO4 - 1Di­
rigente Psicologa Coordinatrice rete aziendale HPH – Servizio Controllo Qua­
lità ASL Napoli 1; 2Direttore Servizio Formazione e Aggiornamento Professio­
nale ASL Napoli 1; 3Direttore Servizio Controllo Qualità ASL Napoli 1; 4Diret­
tore Generale ASL Napoli 1
AUTORE REFERENTE: SARA DIAMARE, Servizio Controllo Qualità, ASL Napoli 1, Cen­
tro Direzionale Isola F9, Palazzo Esedra, 80143 Napoli – tel.: 081 2544419,
fax: O81 2544418, e-mail: [email protected]
Oggetto
“ASL NA1 Libera dal fumo” è un intervento per l’adesione dell’ASL Napoli 1
alla Rete HPH dell’OMS. L’ASL Napoli 1, su cui si insediano 15 Presidi
107
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 8
Ospedalieri/Intermedi, è la più grande d’Europa. Un miglioramento della co­
municazione, all’interno della ASL, è risultato essere il giusto veicolo per una
campagna contro la dipendenza da fumo di tabacco nel suo significato di
sostituzione socio - affettiva.
Obiettivi
Diffondere una cultura di rispetto e sostegno reciproco, a partire dall’am­
biente ospedaliero; stimolare i propri operatori a divenire opinions leaders,
implementando, a partire da loro stessi, comportamenti che vadano nella di­
rezione di corretti stili di vita rispetto al consumo di fumo di tabacco.
Gruppo/i Target
Operatori sanitari fumatori e non, ed a cascata per gli utenti e la comunità
tutta, riguardante la dipendenza psicologica e sociale ed il consumo di fumo
di tabacco, con metodiche di gruppo per stimolare processi di identificazione
e di sostegno reciproco.
Metodi
Formazione; auto aiuto; riorientamento dei Servizi Sanitari; diffusione in­
formazioni; implementazione della rete con strutturazione di gruppi di lavoro
interistituzionali.
Valutazione/strumenti
Somministrazione di questionari di apprendimento, di soddisfazione, di
gestione del divieto, di misura della dipendenza da fumo di tabacco (Test di
Farghestrom), della motivazione a smettere di fumare, interviste a campione,
osservazioni e focus-group (a distanza di sei mesi e un anno) per verificare i
cambiamenti intervenuti nell’atteggiamento degli operatori nei confronti del
fumo. Domande circa le fonti dell’informazione durante colloqui di accetta­
zione e numero di accessi negli ambulatori antifumo valutano l’efficacia della
circolazione delle informazioni.
Risultati parziali
- Sono state formate 50 Sentinelle Antifumo con compiti sanzionatori e infor­
mativi.
- Sono stati attivati n. 3 Punti Informativi Antifumo.
- È aumentato l’accesso agli ambulatori antifumo già presenti.
108
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 8
- Sono stati somministrati test e questionari per una prima mappatura
epidemiologica.
- Si è riorientata l’informazione per garantire l’accesso a percorsi di
dissuefazione dal fumo di sigaretta.
- Si è individuata la biblioteca HPH (Centro Educazione alla Salute).
- L’organizzazione di rete è attiva sia a livello centrale, con la presenza uffi­
ciale dell’alta dirigenza in gruppi di lavoro, sia a livello Ospedaliero con la
attivazione di Comitati Tecnici Locali.
109
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 8
110
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
L’empowerment dei pazienti,
del personale e della comunità
9.1. Effe Elle Esse: come conciliare tempo famiglia lavoro salute
ROSARIA AVISANI, ALFONSO CASTELLANI, SABINE GALLERI, NADIA GUERCÈ, M. DORIS MARCHETTI,
LUCIO MASTROMATTEO, ANNARITA MONTEVERDI, SERGIO PAGHERA, PAOLO PEZZOTTI, ADALGISA
PRICOCO, BENEDETTA VENTURELLI - Spedali Civili di Brescia
AUTORE REFERENTE: ROSARIA AVISANI, A.O. Spedali Civili di Brescia - tel.: 030
3995959, fax: 030 3995954, e-mail: [email protected]
Breve introduzione di contenuto
In questi anni parliamo spesso “di complessità, di stress e di corse contro il
tempo”, quali fattori sociali ed elementi incidenti sulla qualità della vita e sulla
serenità di ognuno di noi, pur se con intensità e rilevanza diversi.
Pur condividendo ogni aspetto di queste analisi, è oltremodo difficile agire
sui fattori di stress nel settore sanitario e nella gestione delle nostre Aziende
Ospedaliere. Il nostro settore vive infatti un livello di stress notoriamente e no­
tevolmente elevato, ma le nostre direzioni strategiche devono misurarsi con la
quadratura dei budgets, la integrazione dei diversi profili professionali, il mi­
glioramento organizzativo e il raggiungimento degli obiettivi strategici. Il tutto
cercando di migliorare la qualità di vita del singolo operatore sanitario, elemen­
to basilare per una migliore qualità organizzativa e di prestazione sanitaria.
I punti di partenza che hanno portato l’Azienda ad un progetto in grado di
conciliare Tempo Famiglia, Tempo Lavoro e Tempo Salute, sono stati:
1. l’intensità dei ritmi lavorativi;
2. la forte femminilizzazione;
3. il lavoro a turni;
4. la difficoltà alla fidelizzazione delle figure professionali;
5. il rapporto fiduciario tra Direzione Aziendale e Operatori;
6. gli effetti delle trasformazioni aziendali;
7. i problemi di natura socio economica;
8. “dall’umanizzazione alla personalizzazione dell’assistenza”.
Obiettivi
1. Miglioramento del ben-essere dei cittadini dipendenti.
111
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
2.
3.
4.
5.
Validazione scientifica del modello di Asilo Nido Aziendale.
Miglioramento del clima organizzativo aziendale.
Miglioramento del modello di cura, verso la personalizzazione dell’assistenza.
Replicabilità del modello.
Gruppo target
Dipendenti dell’Azienda e ai loro bambini e bambini dei genitori ricoverati.
Valutazione
Tab. 1
Obiettivi
Risultati / azioni
1. Miglioramento √ Elevato livello di gradimento
del benessere dei dell’iniziativa
cittadini dipendenti
2. Validazione
scientifica del
modello
3. Miglioramento
del clima
organizzativo
aziendale
Indicatori
• Andamento del numero di
bambini iscritti
• La percezione della validità
e della qualità del servizio a
livello cittadino
• Numero di adesione alla
“Progettazione Partecipata”
√ Costituzione del Comitato • applicazione e rispetto del
Scientifico
“codice etico”
√ Coinvolgimento delle
• la continuità dell’educatrice
Università e delle famiglie
di riferimento
√ Ben-essere dei bambini
• effetti dell’alternanza dei
turni e della relazione con il
gruppo dei bambini di
riferimento
• l’ambiente
√ Coinvolgimento degli
• analisi dei risultati del
operatori sanitari sugli
questionario sulla soddisfazione
obiettivi strategici e operativi dell’utente
aziendali
• la permanenza presso l’azienda
√ La fidelizzazione del
del personale coinvolto
dipendente
• il livello di turn-over; rientro
√ Mantenimento
dalla maternità allo scadere
dell’investimento sul progetto dell’istituto obbligatorio e
da parte della Direzione
disponibilità al rientro sui turni
strategica
• maggiore disponibilità alla
√ Clima positivo da parte
modifica del turno lavorativo;
dei dipendenti nei confronti • le risorse economiche occupate
dell’A.O.
√ Aumento della domanda
occupazionale nei confronti
dell’A.O.
112
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
4. Miglioramento
del modello di
cura, verso la
personalizzazione
dell’assistenza
5. Replicabilità
del modello
√ Coinvolgere il territorio
• il numero e la tipologia di
iniziative, integrative promosse
• sinergie tra diversi soggetti
istituzionali e non
• numero, tipologia di famiglie
ed età dei non dipendenti
• in merito al modello di
“promozione della salute”,
l’utilizzo di “momenti informativi
sulla salute”, ecc.
√ Fare conoscere l’esperienza
• numero e tipologie di contatti;
a livello nazionale
• numero e tipologie di nuove
√ Partecipare a convegni
esperienze
√ Mettere a disposizione delle • analisi dei punti di forza/di
altre realtà il modello ed il
debolezza delle eventuali nuove
progetto
esperienze
sulla funzione educativa e la
promozione della cultura
per l’infanzia
√ Sviluppare sinergie tra i
diversi soggetti istituzionali
√ Produrre un cambiamento
culturale nell’agire
dell’operatore sanitario
Conclusioni
Effe Elle Esse appare, in sostanza, come un ampio progetto di cambiamen­
to culturale che investe anche la dimensione assistenziale. Accompagnando
in maniera non traumatica il passaggio in atto da una “Sanità microcosmo
statale” a quella di “Sanità aziendale” e, progressivamente, a quella di “Sanità
microcosmo persona”, centrata sul cittadino.
9.2. Dietoterapia in gravidanza: la consulenza nelle gestanti sovrappeso/
obese
VANDA LAURO1, MAURO CONTER2, VITTORINO CALESTANI1, SIMONETTA BIANCHI1 - 1Istituti
Ospitalieri di Cremona, Ospedale“Oglio Po” Reparto di Ginec. e Ostetricia,
Casalmaggiore (CR); 2Ricercatore, Università di Parma
AUTORE REFERENTE: VANDA LAURO, Via Guicciardini 13, 43100 Parma - tel.: 0521
961340, fax: 0375 281493, e-mail [email protected]
Contesto
Il sovrappeso e l’obesità sono –specie in gravidanza – un fattore di rischio
per varie patologie che possono compromettere la salute della donna, con
possibile riduzione/arresto della crescita del feto e prematurità.
113
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
Obiettivo
Curare l’alimentazione delle gravide, sia a livello preventivo/educativo (le­
zioni specifiche durante i 6 Corsi di Preparazione al Parto a disposizione delle
circa 550 donne che partoriscono ogni anno nel nostro Centro e Corsi di For­
mazione per il personale sanitario organizzati in numero di 5 dal 1998 su “Ali­
mentazione e Salute”), sia a livello terapeutico, nell’Ambulatorio di
“Dietoterapia in Gravidanza”- operativo anch’esso dal 1998 con circa 200 con­
sulenze /anno- al fine minimizzare il ricorso ai farmaci durante la gestazione.
Gruppi Target
Gruppo Target generale: donne gravide.
Gruppo Target specifico: donne gravide sovrappeso/obese - Indice di Mas­
sa Corporea (IMC) ≥ 25.
Metodologia
Raccolta l’anamnesi nutrizionale con un “Diario Alimentare/Sintoma­
tologico”, appositamente predisposto, nel quale la gravida registra per 7 gior­
ni i cibi ingeriti – specificandone le quantità – nonché i sintomi avvertiti, si
analizza insieme alla paziente il “Diario” e si concordano variazioni dietetiche
personalizzate. Ciò anche con l’ausilio di uno schema che rappresenta in ma­
niera semplificata l’elenco dei macronutrienti e dei cibi che li contengono in
maggiore quantità.
In caso di ricovero per le patologie più gravi (alterazioni pressorie/
preeclampsia, colestasi intraepatica) viene somministrata per alcuni giorni la
“dieta dell’urgenza”: ipocalorica, iposodica e ipolipidica a base di cibi a forte
presenza di amidi e di vegetali. In base poi all’evoluzione della sintomatologia
e all’anamnesi si personalizza il menù.
Presentazione e valutazione dei risultati
Nell’esame dei “Diari”si è sempre rilevato un eccesso calorico derivante
soprattutto da lipidi e da zuccheri semplici.
Le indicazioni mediche miravano - oltre a suggerire una maggiore attività
fisica – a ridurre tali eccessi, stimolando l’introduzione di una maggiore quan­
tità di vegetali, di alimenti ricchi di amidi e di pesce, con riduzione dell’uso dei
condimenti grassi e salati.
L’aiuto dei familiari è stato fondamentale per far sì che già al momento di
fare la spesa si comprassero certi cibi anziché altri e che poi li si preparassero
riducendo sia i condimenti che le porzioni troppo ricche.
114
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
L’analisi dei dati/patologie delle gravide sovrappeso/obese (147 donne)
afferite al nostro Ospedale ambulatoriamente o in regime di ricovero, nonché
i relativi esiti perinatali, evidenzia:
- età media 30 anni (deviazione standard: 6);
- variazione ponderale media a fine gravidanza rispetto al valore dichiarato
di inizio gravidanza + 10,6 Kg. (DS:7; una paziente è aumentata di 34 Kg.;
una è diminuita di 11 Kg., pur avendo partorito un feto di 3.400 g.).
Tab. 1
IMC Inizio Gravidanza 25,0-29,9 Sovrappeso 30,0-34,9 Obesità 1 >35,0 Obesità 2 e 3
n. gravide
70
48
29
Percentuale
47,6%
32,7%
19,7%
Tab. 2
Patologie più frequenti presentate dalle 147
No gravide
%
gravide sovrappeso/obese
ipertensione/ preeclampsia
62*
42,2
problemi inerenti all’apparato digerente
27
18,4
cefalea
18
12,2
coliche biliari, colestasi intraepatica
14
9,5
iperglicemia o glicosuria
12
8,2
coliche renali
3
2,0
Edemi
32
21,8
Altro: lipotimie, tunnel carpale, cistiti recidivanti,
10
6,8
artrite psoriasica ...
*di queste 26 sono state trattate anche con terapia medica, le altre 36 si sono norma­
lizzate con la sola Dietoterapia
- Durante la loro gravidanza, 24 donne hanno fruito di 6-10 consulenze, 53
ne hanno ricevuto 3-5 e le restanti 60 una o due.
- Delle 147 gravide, 48 hanno subito almeno un ricovero. Anche tra esse la
patologia più frequente è stata quella legata all’ipertensione (34 su 48). I
restanti ricoveri sono stati effettuati per problemi epatici, coliche renali, dia­
bete e iperemesi.
Conclusioni
Scomparsa o riduzione dei sintomi senza uso o con uso ridotto di farmaci.
Nonostante oltre la metà (51,7%) di queste gravide presentasse patologie se­
vere (alterazioni della pressione arteriosa o del fegato), 137 (il 93,2%) hanno
partorito dopo la 36° sett. di gestazione, con neonati che nel 91,8% dei casi
presentavano un peso ≥ 2.500gr (peso medio dei neonati 3.280 gr, DS: 610).
Visti i risultati, si ritiene importante accompagnare la gravida con problemi
di peso con una consulenza personalizzata di Dietoterapia.
115
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
9.3. Il Centro di Alcologia: promozione della salute dall’ospedale al
territorio
TERESITA GROTTOLO, LORETTA BORTOLAMEOTTI, SANDRO CARPINETA - Centro di Alcologia,
Distretto Sanitario Alto Garda e Ledro, Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento
AUTORE REFERENTE: SANDRO CARPINETA, Centro di Alcologia, Via Rosmini 5, 38066
Riva del Garda - tel.: 0464 582670, e-mail: Carpineta.Sandro@arc. apss.tn.it
Introduzione
Il CdA opera nel Distretto Alto Garda e Ledro, e si pone quale punto di
riferimento per persone e famiglie con problemi alcol-correlati, attiva percorsi
riabilitativi, svolge funzione di consulenza per l’ospedale e per la Commissio­
ne Provinciale Patenti, progetta ed attiva interventi di prevenzione,
sensibilizzazione e promozione della salute nella comunità. In questo ambito
il CdA ha progettato interventi, rivolti agli utenti e/o ai dipendenti dell’ospe­
dale e più generalmente alla comunità, che si sono concretizzati in tre progetti
specifici. Questi, pur contenendo al loro interno numerosi momenti e punti di
contatto, vengono qui presentati separatamente.
Progetto 1: “Referenti alcologici di reparto”
Obiettivi
1) aumentare la capacità e sensibilità nell’individuazione dei ricoverati che
presentano Problemi Alcol Correlati;
2) aumentare nei reparti di degenza l’informazione e sensibilità degli opera­
tori e dei degenti per l’adozione di stili di vita sani.
Tali obiettivi vengono perseguiti attraverso l’individuazione, in ogni repar­
to di degenza, di un Referente Alcologico di Reparto.
Gruppi target
Tutti i ricoverati degenti nei reparti ospedalieri ed il personale delle U.O. di
degenza.
Risultati
Vengono continuamente monitorati
1) n. colloqui/anno effettuati in ospedale;
2) n. di persone che hanno avuto un contatto con i CdA o che sono entrati nei
gruppi di riabilitazione;
3) il n. di iniziative promosse in ogni U.O.;
4) livello di gradimento e collaborazione riscontrati.
116
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
Progetto 2: “Insieme per rompere con il fumo”
Obiettivo
Ridurre l’abitudine al fumo di chi vive l’ospedale come operatore sanitario
o come utente, in particolare favorendo la crescita e la presa di coscienza dei
dipendenti attraverso una riflessione sul proprio ruolo educativo nei confron­
ti del cittadino ricoverato e della comunità
Azioni
- valutazione del fenomeno;
- promozione di counselling nei confronti di dipendenti fumatori;
- individuazione di un Referente per il Fumo di Reparto (R.F.R.);
- adesione al progetto di tutte le U.O.;
- programmazione di “Corsi di disassuefazione al fumo” per i dipendenti;
- coinvolgimento dei Medici di Medicina Generale, degli Amministratori dei
Comuni della zona e dei rappresentanti delle scuole.
Gruppi Target
Tutti i dipendenti di ogni U. O. e Servizi del Distretto Alto Garda e Ledro.
Risultati
Vengono rilevati indicatori sul n. degli ex-fumatori, sulle adesioni di U.O. al
progetto, il numero di dipendenti formati come R.F.R., le iniziative da questi
attuate e i livelli di gradimento.
Progetto 3: “Coordinamento Alcol e Guida”
Anche se questo progetto trova sul territorio la sua ragione d’essere ed il
suo principale terreno di operatività, và ricordata la sua esistenza soprattutto
in funzione di alcune collaborazioni con le strutture sanitarie.
Il Coordinamento Alcol e Guida è nato per dare una risposta integrata ai
problemi dell’alcol sulla strada. é un gruppo di lavoro composto da:
1) centro di alcologia;
2) forze dell’ordine (Polizia di Stato, Polizia Stradale, Carabinieri, Guardia di
Finanza, Polizie Municipali);
3) autoscuole.
Il gruppo di lavoro agisce in maniera trasversale con iniziative che coinvol­
gono di volta in volta specifici gruppi della popolazione. Un campo specifico
di interazione è quello con la sanità, sia informale che formale.
117
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
Gruppi target
Genericamente tutta la popolazione. Sottoprogetti specifici vengono poi
rivolti a gruppi particolari
Risultati
Gli indicatori utilizzati, e monitorati annualmente, riguardano il n. di pro­
getti ed interventi attuati ed i livelli di gradimento
Conclusioni
Queste esperienze, tuttora in corso, indicano con chiarezza la possibilità
di sviluppare progetti ed interventi in cui sia possibile coniugare positiva­
mente il successo di un’iniziativa con la economica realizzazione della stes­
sa. Oltre a questo aspetto è opportuno sottolineare che la scelta di una
modalità che poggi fortemente sulla integrazione (quindi ruoli, funzioni,
competenze diverse dei soggetti interessati) e sul coinvolgimento (riscoprire
le capacità dell’individuo/operatore attraverso una crescita della sua moti­
vazione) porta a risultati non solo evidenti e quindi misurabili, ma che met­
tono anche in moto “volani” positivi nel rapporto utente – operatore - co­
munità.
9.4. Un modello assistenziale a supporto dei bisogni globali del paziente
oncologico
Dott. FABRIZIO ARTIOLI1 (Direttore Unità Operativa Medicina Oncologica), Dott.
KATIA CAGASSI1 (Dirigente Medico, Unità Operativa Medicina Oncologica), Dott.
MARIA GRAZIA RUSSOMANNO1 (Psicologa Unità Operativa Medicina Oncologica),
Dott. STEFANO CONCETTI2 (Direttore Presidio Unico), Dott. ANNE MARIE PIETRANTONIO1
(Direttore di Stabilimento), O.P.C. ANGELA RIGHI1 (Coordinatore Unità Operati­
va Medicina Oncologica); 1 Ospedale di Carpi, AUSL di Modena; 2AUSL di
Modena
AUTORE REFERENTE: DOTT.SSA ANNE MARIE PIETRANTONIO, Direttore Ospedale di Carpi,
AUSL di Modena, Via Cav. Molinari 2, 41012 Carpi (MO) - tel.: 059 659402,
fax: 059 659401, e-mail: [email protected]
Introduzione del contesto
Il reparto di Oncologia dell’Ospedale B. Ramazzini di Carpi (Azienda U.S.L.
di Modena) supporta il bacino di utenza dell’Area Nord della Provincia di
Modena.
Con il supporto di associazioni di volontariato e di gruppi di mutuo-aiuto, il
reparto di Oncologia è da tempo impegnato in iniziative di promozione della
118
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
salute in un contesto che vede tutto il personale impegnato ed orientato a
supporto del paziente e della famiglia, nel difficile percorso che si profila a
seguito di una diagnosi di neoplasia.
Nella cura delle neoplasie, le cure mediche, pur costituendo un elemento
essenziale del trattamento, non rappresentano la risposta completa ai bisogni
dei pazienti.
Una diagnosi di neoplasia, può comportare ripercussioni legate non solo
alla necessità di far fronte allo stato di perdita della salute fisica, ma anche a
fattori emozionali, di perdita del benessere psicologico e della capacità di
gestire in maniera adeguata i compiti della vita quotidiana.
In questo contesto il reparto di Oncologia dell’Ospedale di Carpi è impe­
gnato ad assicurare un’offerta di prestazioni sanitarie e di servizi di supporto
per la risposta al complesso dei bisogni dei pazienti che si rivolgono al repar­
to. Nel 2002 è stato a tal fine istituito un programma orientato al miglioramen­
to della qualità delle cure, basato su criteri di “centralità del paziente”.
Il progetto coinvolge medici, infermieri, psicologi, volontari, familiari ed
altri care givers.
L’Obiettivo chiave del programma, orientato alla “centralità del paziente”
è di fornire all’ammalato l’opportunità di essere personalmente coinvolto
nelle decisioni che riguardano il trattamento e la cura e di orientare i medici,
le infermiere, la famiglia e gli altri care givers, a considerare la persona in
una dimensione olistica: di considerare cioè, non solo le sue necessità fisi­
che, ma anche i suoi bisogni di supporto psicologico nella gestione della
malattia.
Questo consente di superare una visione puramente tecnicistica della cura,
riorientando l’offerta delle cure mediante programmi personalizzati in un
ambiente fortemente impegnato a supportare la persona, attraverso un’atten­
zione costante all’esperienza soggettiva del paziente.
Il progetto è stato realizzato mettendo in atto tre principali strategie:
1. Il coinvolgimento del paziente nel processo assistenziale: lo staff medico
informa il paziente sulla diagnosi e coinvolge il medesimo nella scelta del­
la strategia terapeutica. Ciò consente al paziente di diventare un partner
nell’ambito del processo di cura mediante la sua partecipazione alla defini­
zione delle decisioni sanitarie che lo interessano.
2. Il supporto psicologico: oltre alle ordinarie cure mediche e infermieristiche
il reparto fornisce il supporto di uno psicologo e di gruppi di mutuo-aiuto
che consentono al paziente e alla sua famiglia di affrontare i cambiamenti
sperimentati per effetto della malattia. L’alleanza e la cooperazione tra lo
staff medico, lo psicologo, i gruppi di mutuo-aiuto e l’assistenza professio­
nale di personale specializzato in musicoterapia, arte e joga, ha consentito
a tutti gli interessati nel processo di cura di capire che “lavorare insieme”,
119
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
“comunicare”, può costituire un importante supporto nel percorso di gua­
rigione.
3. La valutazione della qualità del processo assistenziale: il monitoraggio pe­
riodico delle aspettative e della soddisfazione dei pazienti e delle famiglie
sono sistematicamente utilizzati dallo staff quale feed back, per la discus­
sione della qualità e dei risultati delle cure fornite.
Risultati
A far tempo dal 2002 il programma di cura orientato al paziente oncologico
ha coinvolto circa trecento ammalati e le loro famiglie ed ha consentito lo
sviluppo di un piano di azione coordinato a risposta dei loro bisogni. La scelta
di adottare un approccio olistico, che prende in considerazione anche la vita
e i suoi significati, ha consentito alle parti interessate di svolgere il ruolo di
“partecipanti attivi” nel processo di cura.
9.5. Strategie globali e pratiche riflessive: la promozione della salute
degli operatori nella manipolazione dei farmaci antiblastici
LIVIANA TAVANTI1-2, GIANNA ALDINUCCI1, IDA DI PAOLA1, GIULIANO GIORNI4, DONATELLA
NARDI5, PAOLO GHEZZI5, GIOVANNI CINTI1, LUCIO COLONNA2, MONICA CALAMAI3 - AUSL 8
Arezzo; 1Sezione Medico Competente, 2Coordinamento HPH, 3Direttrice Sani­
taria AUSL 8, 4Unità Farmaci Antiblastici, 5Dipartimento Oncologico AUSL 8
AUTORE REFERENTE: LIVIANA TAVANTI, Ospedale S. Donato, AUSL 8 Arezzo, Via P.
Nenni 52100 Arezzo - tel./fax: 0575-254666/67
Introduzione
Nell’ambito del programma internazionale degli ospedali per la promozio­
ne della salute è previsto che gli stessi si attivino per promuovere, accanto ai
compiti tradizionali (diagnosi, cura, riabilitazione), le condizioni affinché gli
utenti e gli operatori possano implementare la tutela della propria salute an­
che attraverso il potenziamento delle capacità personali.
Obiettivi
Il presente abstract descrive il processo seguito nell’AUSL 8 al fine di mettere
in atto quanto contenuto nel Provvedimento della Conferenza Stato Regioni del
5/8/99 sulla sicurezza e la tutela della salute degli operatori addetti alla manipo­
lazione dei farmaci antiblastici, in un’ottica complessiva i cui principi orientativi
sono mutuati sia dal d.legisl. 626/94, sia dai programmi/metodologie dell’HPH.
120
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
Gruppi target e metodi
Le strategie attivate nei confronti del personale coinvolto nella preparazio­
ne e manipolazione dei farmaci antiblastici, in un’ottica globale, hanno inte­
ressato: gli aspetti strutturali, gli aspetti organizzativi, la definizione di risorse
materiali idonee. A questi va aggiunto anche lo sviluppo di comportamenti
per aumentare il controllo su tematiche come quelle della corretta gestione
degli antiblastici e per affrontare le decisioni inerenti la salute individuale. é
infatti evidente che la piena realizzazione di quanto previsto dalle linee guida
nazionali dipende anche dall’introduzione di cambiamenti che investono la
competenza professionale degli operatori durante tutte le fasi del processo
lavorativo che riguarda la manipolazione dei farmaci antiblastici (fasi di pre­
parazione, di somministrazione, di sanificazione e di smaltimento). Questi
ultimi aspetti sono stati affrontati in un percorso formativo nella cui fase di
progettazione, come in quella di erogazione del corso, si è cercato di privile­
giare modalità didattiche riflessive centrate sulle realtà in cui i soggetti vivono
e lavorano. La pratica professionale è divenuta il punto di partenza del per­
corso di cambiamento rispetto alla problematica da affrontare. Tali modalità
hanno permesso di negoziare un agire collettivo, cioè di concordare nuovi
comportamenti che hanno trovano nei protocolli operativi prodotti un punto
di condivisione.
Valutazione dei risultati
L’esperienza si configura come un processo di promozione della salute al­
l’interno dell’ospedale dove si sostiene la salute degli operatori sanitari attra­
verso l’attivazione di processi globali (strutturali, organizzativi, gestionali e
formativi) per facilitare cambiamenti individuali e di gruppo rispetto ai pro­
blemi della gestione dei farmaci antiblastici. In particolare, la formazione orien­
tata ai principi della partecipazione attiva, della riflessione sulla pratica, della
negoziazione e della condivisione, è divenuta lo spazio in cui gli aspetti teori­
ci-scientifici si sono “ricomposti/coniugati” con quelli pratici, superando così
quella dicotomia che, talvolta, può accompagnare il confronto tra la teoria e la
pratica e che può rendere meno incisivi i processi formativi. L’utilizzazione di
protocolli operativi condivisi e la scelta dell’audit clinico come strumento di
miglioramento continuo della qualità delle prestazioni, in rapporto agli obiet­
tivi individuati e negoziati, hanno rappresentato gli strumenti per la valutazio­
ne dei risultati attesi.
Conclusioni
Fra le attività di promozione della salute sviluppate dall’ospedale, è oppor­
121
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
tuno che siano inseriti anche le problematiche che riguardano la sicurezza e la
tutela della salute degli operatori. L’approccio metodologico e gli strumenti
dell’HPH, come ad esempio l’empowerment for health, ben si coniugano con
la filosofia che sta alla base del d.legisl. 626/94, configurandosi come impor­
tanti sinergie. é inoltre evidente che la tutela della salute degli operatori in
ambito lavorativo, non può rimanere enucleata rispetto alle altre problematiche
della sicurezza, ma va pensata in interazione con altre problematiche ad essa
collegate come ad esempio la sicurezza degli utenti, la sicurezza nei processi
diagnostici e terapeutici, le relazione interpersonali e le modalità comunicati­
ve.
9.6. Umanizziamo la morte encefalica
SAURO FRANCESCHINI, SERGIO ARDIS, MORENO MARCUCCI, GRAZIELLA DI QUIRICO, LUCIA
PULITI, MAURO GIRALDI - Azienda USL 2 Lucca
AUTORE REFERENTE: GRAZIELLA DI QUIRICO, Presso Direzione Sanitaria Ospedale
Campo di Marte (Lucca) - tel.: 05839701, e-mail: [email protected]
Introduzione
La tecnicizzazione della medicina è riuscita a modificare anche alcuni even­
ti della nostra vita quale il nascere ed il morire. Morire in rianimazione non ha
niente a che vedere con la morte “naturale”. Le tecniche rianimatorie permet­
tono di salvare tante persone che altrimenti non sopravvivrebbero ma hanno
come rovescio della medaglia l’aver creato un morire tecnologico che rischia
di essere ancor più doloroso per i familiari di un deceduto.
In alcuni casi a seguito di coma postanossico o accidente cerebrovascolare
o traumatismo cranico, le funzioni cerebrali vengono completamente e
definitivamente perdute e inizia quel processo del morire che oggi conoscia­
mo come morte encefalica. Un collegio medico accerta la morte encefalica
mediante tre visite e vari esami strumentali. Il periodo di accertamento di morte
varia, a seconda dell’età del deceduto, da 6 a 24 ore.
La fase acuta del processo del lutto ha come fenomeno più eclatante la
negazione. Si tratta di un meccanismo di difesa dell’Io messo in atto per pro­
teggersi dal dolore insopportabile che la perdita della persona cara genera. La
morte inattesa, come quasi costantemente è la morte encefalica, rende ancora
più eclatante la negazione della morte. La tecnologia che circonda il decedu­
to, la ventilazione meccanica, la presenza di fenomeni di vitalità organica arti­
ficialmente indotti con macchine e farmaci, rappresentano spunti reali che
alimentano le idee deliranti della negazione.
Un fattore che contribuisce a rendere disumana la morte in rianimazione
122
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
è la scarsa possibilità che viene data ai familiari di restare accanto al dece­
duto in morte encefalica. Lo scarso tempo disponibile per stare a contatto
con il deceduto (per noi deceduto, ma vivo nella psiche dei familiari!) ali­
menta la negazione. Anche le fantasie di sofferenza ed il dolore da lutto
anticipatorio sono aumentate dall’impossibilità di essere vicini alla perso­
na cara.
Alla luce di quanto sopra accennato gli infermieri della rianimazione hanno
deciso di realizzare un progetto per contribuire a rendere più umano per i
familiari il momento della morte di un paziente in rianimazione.
Obiettivo
Rendere più umano il momento della morte ai familiari dei pazienti che
decedono in rianimazione in morte encefalica.
Target
La progettazione è stata realizzata dal personale infermieristico di
rianimazione che realizzerà le azioni necessarie. I destinatari finali del proget­
to sono i familiari delle persone decedute in morte encefalica.
Azioni
I degenti della nostra rianimazione sono solo adulti, pertanto il periodo di
osservazione di persistenza delle condizioni neurologiche che definiscono la
morte encefalica è di norma di sei ore. Durante queste sei ore devono essere
eseguite le tre visite dal collegio di accertamento di morte. Durante i due in­
tervalli fra le tre visite gli infermieri di turno faranno sostare i familiari più
prossimi al deceduto (genitori, coniuge o convivente e figli) per un tempo
non inferiore a trenta minuti. In tal modo i familiari avranno avuto la possibi­
lità di stare con il loro caro almeno per un’ora nelle ore di accertamento di
morte.
Valutazione dei risultati
Il personale infermieristico dovrà prendere nota per ogni deceduto dei fa­
miliari a cui è stato dato il permesso di sostare con il deceduto, l’ora di inizio
e l’ora di fine di ogni accesso. Il risultato atteso è che il 100% dei familiari più
prossimi al deceduto abbia avuto la possibilità di stare vicino alla persona
cara durante il periodo di accertamento di morte, per almeno due periodi e
per almeno un’ora complessiva.
123
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
Conclusioni
La morte di una persona cara è ai vertici della scale di stress e sicuramente
una delle esperienze più dolorose che ognuno noi può vivere. La modalità in
cui si verifica la morte influisce sul decorso successivo di elaborazione del
lutto da parte di chi ha perduto la persona cara. In tal modo umanizzare que­
sto momento della morte non è solo atto umano, ma anche sanitario, in quan­
to prevenzione della patologia e della cronicizzazione del lutto.
9.7. La presa in cura del paziente fragile nel Dipartimento di Medicina
interna dell’Ospedale di Trento
LUISA SPIANI, ADRIANA DALPONTE, ROBERTA PIFFER - Azienda Provinciale per i Servi­
zi Sanitari, Trento
Il progetto si propone di dare un maggior orientamento all’attuale organiz­
zazione dell’assistenza nella direzione di una pratica basata sulla presa in ca­
rico dei pazienti più complessi.
I modelli di presa in carico non sono ancora codificati, ma si concretizzano con
una attenzione ad alcuni momenti cruciali del percorso del paziente, in particolare:
- accettazione medica e infermieristica accurata con attenzione a raccogliere
dati sulla situazione clinica, personale, sociale, anche attraverso l’uso di
scale o griglie per valutare i livelli di criticità e quindi la necessità di una
attenzione particolare;
- monitoraggio quotidiano dei pazienti critici;
- pianificazione della dimissione che deve iniziare prima possibile e deve
coinvolgere i famigliari, può prevedere talvolta solo interventi informativi
o di addestramento per continuare l’autocura fino ad attivazione di reti e
servizi più complesse;
- garantire a tutti i pazienti standard assistenziali accettabili (uniformando
l’operato con piani standard condivisi per tipologia di pazienti) e personaliz­
zando l’assistenza nei casi che lo richiedono;
- creare tempi e spazi concreti ma anche “mentali” di ascolto;
- esperienze di follow up dopo la dimissione per consulenze al bisogno.
Nelle riunioni che hanno preceduto questa fase sono stati dibattuti questi
aspetti e analizzati anche nel confronto con evidenze ed esperienze di altri
paesi.
Dalle interviste con le caposala si è rilevato che questi processi rappresen­
tano delle criticità e quindi necessitano di miglioramento.
124
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
Ripensare i processi assistenziali e organizzativi in questa direzione impli­
ca:
- una riflessione culturale diffusa e condivisa con tutti gli infermieri;
- una elaborazione più procedurale (es. dell’accettazione, dimissione, piani
standard,..) che dovrà essere allineata con il lavoro della Joint commission
e gli obiettivi di budget;
- contestualmente l’individuazione di ambiti di autonomia e responsabilizza­
zione, con spazi di discrezionalità e scelte nell’accompagnare il paziente
nel suo percorso;
- una tensione degli infermieri a differenziarsi scegliendosi un campo di ap­
profondimento e di specializzazione formativa (per rispondere a questa at­
tesa sarà necessario aiutare ciascuno a costruirsi un piano di sviluppo e di
crescita specifico);
- in prospettiva potrebbe emergere la necessità di individuare “integratori di
processo”, per esempio un infermiere responsabilizzato nelle dimissioni o
altro;
- questi ruoli di integrazione e di responsabilizzazione richiederanno di
ridisegnare il ruolo della caposala.
9.8. Salute, sport e stili di vita: “Chi si ferma è perduto! 2”
CARLA STEFANIA RICCARDI - Direttore Generale Azienda USL Valle d’Aosta
Contesto: informare la popolazione sui corretti stili di vita ed in particolare
sui benefici dell’attività fisica
I soggetti coinvolti sono stati: medico sportivo, dietologo, cardiologo, psi­
cologo, allenatore, ufficio comunicazione.
Queste le azioni:
a) predisposizione di 5 volumetti da distribuire alla popolazione dedicati ai
benefici derivanti dalla pratica costante di attività fisica visti dagli specialisti
coinvolti;
b) organizzazione di 4 serate sul territorio (in corrispondenza dei 4 distretti in
cui è articolata la Regione), durante le quali gli specialisti coinvolti hanno
relazionato sul tema dei corretti stili di vita, ed in particolare sull’attività
fisica;
c) organizzazione, con la collaborazione del CONI e dell’Assessorato del Turi­
smo e Sport, nonché con l’intervento dell’Istituto Superiore di Sanità, della
giornata nazionale dello sport, con dimostrazioni pratiche delle varie disci­
pline e divulgazione del messaggio inerente i corretti stili di vita.
125
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 9
Gruppo/target: tutta la popolazione.
Scenari futuri
1. riproposizione del messaggio, individuando particolari categorie di perso­
ne su cui adeguare, nella pratica, i corretti stili di vita, in particolare l’attivi­
tà fisica più idonea;
2. effettuazione di una campagna di monitoraggio presso la struttura
ospedaliera, finalizzata a verificare l’adozione o meno di corretti stili di vita
da parte del personale sanitario;
3. verifica dei risultati e attivazione di corsi formativi-informativi destinati al
personale medico-infermieristico affinché anche gli operatori sanitari di­
ventino protagonisti del progetto a favore degli utenti della struttura ospe­
daliera.
126
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 10
La continuità assistenziale
10.1. Integrazione Ospedale e Territorio: il progetto della Rete HPH
Piemonte - Valle D’Aosta
CLEMENTE PONZETTI1, MASSIMO LEPORATI1, ANGELO PENNA2, CHIARA GALOTTO3 - 1Azien­
da USL Valle d’Aosta; 2 Azienda Sanitaria Locale 12 Biella; 3Azienda Sanita­
ria Locale 5 Collegno
AUTORE REFERENTE: CLEMENTE PONZETTI, Direttore Sanitario Azienda USL Valle
d’Aosta, Via Guido Rey 1, Aosta - tel.: 0165 544511, e-mail: ponzetti.clemente@
uslaosta.com
Introduzione
Il progetto qui presentato ha preso avvio nella seconda metà del 2003, a
partire dal 2004 è stato condiviso un protocollo di attuazione per il periodo
2004-2007 che viene di seguito sinteticamente descritto.
Al momento attuale hanno fornito la loro definitiva adesione al progetto 18
Aziende Sanitarie del Piemonte e l’Azienda USL della Valle d’Aosta, oltre che,
con funzioni di supporto e coordinamento organizzativo, il CIPES Piemonte.
L’esigenza espressa da queste Aziende è stata quella di costruire percorsi co­
muni tesi all’integrazione dell’assistenza sanitaria tra Ospedale e Territorio,
condividendo le più significative esperienze sviluppate dalle varie Aziende e
le evidenze offerte dalla letteratura scientifica. Il numero di Aziende e la com­
plessità del progetto hanno reso necessario la suddivisione del lavoro in tre
sottoprogetti di seguito indicati.
Obiettivo del progetto è quello di:
- definire i requisiti organizzativi che possano rendere un ospedale integrato
con il territorio;
- fornire alle Aziende Sanitarie Regionali informazioni, esperienze e strumenti
per programmare una migliore integrazione tra ospedale e territorio;
- documentare, laddove possibile, attraverso indicatori le esperienze aziendali
e i progetti che hanno realizzato l’integrazione e quelli che al contrario non
hanno raggiunto l’obiettivo prefissato.
Gruppo target
Pur nella consapevolezza che i bisogni dei cittadini rappresentano il riferi­
mento a cui questo progetto, come gli altri della rete HPH, si ispirano, il pre­
127
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 10
sente progetto vede, come propri destinatari intermedi, i professionisti della
sanità, sia in veste di decisori sul singolo paziente (medici infermieri ecc.), sia
in veste di decisori delle politiche sanitarie locali e regionali, cui verrà offerta
una rassegna di esperienze, requisiti e percorsi organizzativi funzionali ad
una presa in carico complessiva dei bisogni del paziente.
Sono state a questo scopo definite due diverse strategie operative:
1. verranno selezionati, tra le Aziende piemontesi, progetti esemplificativi di
una concreta integrazione ospedale-territorio, attraverso la documentazio­
ne di risultati conseguiti (attivazione di servizi, ambulatori, numeri verdi,
ecc.), strumenti utilizzati (opuscoli informativi, reti di comunicazione fun­
zionanti ecc.) e laddove possibile di impatto sul paziente (riduzione ricove­
ri ripetuti, anticipazione diagnostica ecc.). Le evidenze desunte dai progetti
aziendali costituiranno la base principale per la costruzione dei requisiti di
un Ospedale integrato;
2. si procederà ad una revisione della letteratura sugli interventi per l’integra­
zione ospedale territorio a partire dalla bibliografia disponibile presso la
rete internazionale HPH e di quella presente in specifiche banche dati
(Cochrane Library, linee-guida, riviste di pubblicazione secondaria ecc.)
nonché la collaborazione con centri di documentazione regionali e nazio­
nali.
Sulla base delle esperienze e dei progetti realizzati dalle aziende e dei temi
principali studiati in letteratura, si è deciso di suddividere il progetto in tre
sottoprogetti e altrettanti gruppi di lavoro:
A. Comunicazione, informazione, che ha per oggetto lo studio delle tecnolo­
gie dell’informazione e comunicazione per favorire l’integrazione (internet,
telemedicina, numeri verdi e call center, opuscoli per i pazienti ecc.);
B. Linee-guida e percorsi assistenziali, che ha per oggetto lo studio dell’utilità
delle linee-guida e dei percorsi assistenziali per migliorare l’assistenza nelle
patologie ad elevata esigenza di integrazione: scompenso cardiaco, diabe­
te, ictus, patologia ortopedica, ecc.;
C. Modelli organizzativi per la dimissione: che ha per oggetto lo studio degli
strumenti utili ad una corretta dimissione ospedaliera (lettera di dimissione,
dimissione protetta, ADI, Lungodegenza, Unità di valutazione geriatria e
ospedaliera, ruolo dei caregivers ecc.).
Presentazione e valutazione dei risultati
Il progetto è ormai giunto alla definitiva pianificazione e iniziale attuazio­
ne. Al termine del progetto si prevede di produrre un documento da diffonde­
re all’Assessorato regionale, alle Aziende nonché alla componente clinica
ospedaliera e territoriale che documenti le esperienze realizzate e le evidenze
della letteratura in tema di integrazione.
128
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 10
Conclusioni
Il percorso avviato è ambizioso, ma l’occasione offerta dalla Rete HPH per
il miglioramento della qualità dei servizi sembra aver facilitato l’adesione con­
vinta al progetto da parte delle singole aziende partecipanti.
10.2. Il progetto HPH della ASL n. 3 di Pistoia come strategia per lo sviluppo
della promozione della salute nell’ottica della complessità
MARIA JOSÉ CALDÉS PINILLA1, FABRIZIO SIMONELLI2 - 1 ASL 3 di Pistoia; 2Centro di
Coordinamento della Rete HPH Toscana
AUTORE REFERENTE: MARIA JOSÉ CALDÉS PINILLA, U.O. Educazione e Promozione alla
Salute ASL. 3 Di Pistoia,Viale Matteotti n. 19, 51100 Pistoia
L’affermarsi del nuovo paradigma della salute dopo l’enunciazione dei prin­
cipi della Carta di Ottawa (1986) ha reso necessario un ripensamento del ruo­
lo dei servizi sanitari e stimola oggi anche la ridefinizione dei profili dei pro­
fessionisti sanitari.
La promozione della salute - come processo sociale, politico, culturale che
si propone di migliorare lo stato di salute degli individui e della comunità
attraverso la costruzione di capacità che consentano alle persone di esercitare
i propri diritti e le proprie responsabilità nel modellare gli ambienti, gli stili di
vita, le relazioni sociali- è direttamente connessa al tema della complessità.
Alcuni dei principi della complessità possono allora essere utili per assu­
mere orientamenti coerenti con il nuovo paradigma della promozione della
salute: il principio di auto-organizzazione, il principio ricorsivo, il principio
dialogico e il principio ologrammatico.
Muoversi nello scenario della complessità insomma significa avere consa­
pevolezze e strumenti di orientamento che consentano di orientare il sistema
dei servizi sanitari verso nuovi orizzonti, acquisendo significati per se stessa,
per i destinatari della propria azione, per la comunità di riferimento.
Considerando che il progetto HPH è particolarmente complesso in quanto
sviluppa promozione della salute e viene condotto in un contesto organizzativo
molto articolato, dinamico e in continuo cambiamento, sembra necessario
correlarlo con i principi e i criteri che la teoria della complessità sta mettendo
a fuoco.
In questa ottica la ASL n. 3 di Pistoia in collaborazione con il Centro di
Coordinamento della Rete HPH Toscana sta elaborando alcuni indirizzi di azio­
ne.
129
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 10
10.3. Un Dipartimento per l’integrazione sociosanitaria
ANNA GRAZIA GIULIANELLI - Montecatone Rehabilitation Institute S.P.A., via
Montecatone 37, 40026 Imola (BO) - tel.: 0542 632811, fax: 0542 632805, e­
mail: [email protected]
L’Ospedale di Montecatone è una struttura con 150 posti letto dedicati a
pazienti con gravi cerebrolesioni (22 pl.) e a pazienti con lesione midollare
(44 pl. per Acuti, 66 per Post Acuti).
Può accogliere i pazienti a poca distanza temporale dall’evento lesivo gra­
zie agli 8 pl di Terapia intensiva e ai 10 pl. di Sub I.
Ha 10 pl. di DH per controlli successivi al primo ricovero.
La maggior parte dei pazienti ricoverati deve fare i conti con una disabilità
inemendabile: la tempestività dei soccorsi, le conoscenze sull’intervento in
emergenza, le nuove tecnologie sanitarie, i nuovi farmaci, consentono la so­
pravvivenza di persone destinate, fino a qualche anno fa, a soccombere al­
l’evento lesivo. Le gravi cerebrolesioni e le lesioni spinali cervicali sono fra le
cause principali di grave disabilità acquisita. Ciò significa che le strutture
ospedaliere sono chiamate a misurarsi con patologie gravissime per le quali il
recupero è spesso modesto. L’ospedale di Montecatone è considerato un punto
di eccellenza per la riabilitazione di pazienti che hanno compromesse funzio­
ni fondamentali: il movimento autonomo degli arti, nelle persone con lesione
midollare, le funzioni superiori, nelle persone con grave cerebrolesione. Su­
perata la fase d’emergenza, comincia per il paziente ed i familiari, un percorso
doloroso e difficile. Accompagnati dagli operatori, dovranno fare i conti con
una situazione nuova e completamente sconosciuta che modificherà abitudi­
ni e stili di vita di tutto il gruppo familiare. Si tratta di un lavoro complesso che
comprende aspetti sanitari, psicologici e sociali: la disabilità, da patologia,
diventa una condizione di vita. é importante intervenire, fin dai primi momen­
ti del ricovero, con l’obbiettivo di riportare il paziente a vivere nel territorio di
appartenenza: se in terapia intensiva l’holding è molto forte, già negli acuti si
lavora per sostenere le espressioni di autonomia di un paziente che, nella
maggior parte dei casi, ha un enorme bisogno di assistenza. In ospedale i
tempi della cura e dell’assistenza sono pianificati in segmenti organizzativi
ormai consolidati mentre con questi pazienti, che restano ricoverati molto a
lungo, occorre prevedere opportunità ed esperienze a sostegno del percorso
riabilitativo, che favoriscano la consapevolezza della condizione fisica e del
recupero possibile.
A Montecatone è stato istituito da pochi mesi un Dipartimento per il
Reinserimento, con un Responsabile che fa capo alla Direzione Sanitaria in­
sieme al Responsabile del Dipartimento Riabilitativo.
Il Responsabile del Dip. per il Reinserimento coordina, con un gruppo di
130
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 10
operatori trasversale alle professioni ed ai reparti, le azioni e gli interventi per
promuovere il ritorno a casa dei pazienti ricoverati, attivando dal loro ingresso
i contatti con il territorio di appartenenza. A tale scopo si sta lavorando ad una
procedura che preveda una prima comunicazione con il MMG ed il Responsa­
bile del Distretto per segnalare il ricovero e la situazione clinica del paziente. A
questa farà seguito una seconda comunicazione ed un contatto diretto con i
servizi territoriali per cominciare ad affrontare i nodi di un rientro a casa: la
necessità di un’assistenza particolare, la presenza di barriere architettoniche nella
casa, l’individuazione degli ausili adeguati a sostegno dell’autonomia personale
nelle attività della vita quotidiana, la presenza di una condizione professionale
da riprendere, gli studi da completare. Sono ambiti determinanti per la qualità
della vita delle persone con disabilità acquisita sui quali ancora si sta lavorando
molto poco, lasciando alla buona volontà degli operatori, peraltro fortemente
impegnati nell’assistenza, il lavoro con il territorio. D’altro canto i servizi territo­
riali non sono ancora attrezzati a ricevere persone con disabilità grave.
L’ospedale di Montecatone ha scelto di mettere il paziente al centro dell’in­
tervento: il Dipartimento per il Reinserimento è una risposta innovativa nell’organizzazione sanitaria ospedaliera e vuole essere un investimento per una
sanità che fa del paziente il protagonista del suo percorso riabilitativo.
10.4. La progettazione multiprofessionale dei percorsi del paziente per
la garanzia di continuità assistenziale
DANILO ORLANDINI, FRANCO PRANDI, ROSANNA CARBOGNANI, CRISTINA PEDRONI, ANTONIO
CARBOGNANI, GIANPAOLO GAMBARATI, ELENA CASADEI TURRONI, PIERANTONIO MAGNANI,
DANIELE GOVI - Azienda USL di Reggio Emilia
AUTORE REFERENTE: DANILO ORLANDINI, Qualità e Accreditamento Azienda USL di
Reggio Emilia, Via Amendola 2, 42100 Reggio Emilia – tel.: 0522 335440,
fax: 0522 335120, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
I percorsi assistenziali sono piani interdisciplinari di cura e/o assistenza pre­
disposti ed usati da chi eroga prestazioni sanitarie per stabilire la migliore
sequenza di azioni per interventi su pazienti affetti da specifiche patologie
(soprattutto croniche). In una azienda sanitaria territoriale i percorsi assisten­
ziali devono tenere conto di tutti le fasi della cura, che devono essere note e
dichiarate, perché questo permette di conoscere meglio i bisogni dei pazienti,
al fine di interiorizzarli nei servizi forniti perché le prestazioni non siano epi­
sodi isolati di cura ma si inseriscano in un flusso controllato dal sistema ed in
linea con le esigenze e le attese dei pazienti.
131
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 10
Obiettivo/i
Un’organizzazione governata per processi deve promuovere la gestione delle
malattie mediante la definizione di percorsi assistenziali con l’obiettivo di orien­
tare tutte le azioni ad una visione di sistema.
L’organizzazione applica i percorsi assistenziali a tutti i livelli (dall’unità
operativa a specifici programmi assistenziali) con particolare riguardo alle
malattie croniche, allo sviluppo di un sistema di comunicazione efficace ed
alla partecipazione del paziente
Gruppo/i target
Gruppi multiprofessionali di pianificazione dei percorsi sono attivi in ambi­
to oncologico/cure palliative, cardiologico, pneumologico, diabetologico,
ortopedico, ematologico, screening, ecc...
I pazienti entrano in una rete di assistenza in grado di assicurare le comuni­
cazioni e di individuare il punto migliore a cui indirizzarli.
Il sistema aziendale orienta la gestione per processi alla applicazione dei
percorsi assistenziali (indicatori) e si confronta con la comunità locale con i
piani di zona
Presentazione e valutazione dei risultati
Da alcuni anni il sistema di valutazione aziendale raccoglie anche dati sulla
continuità assistenziale.
(Es.: 1- Casi presi in carico dal SID nei tre giorni successivi alla dimissione,
che non erano stati segnalati dai reparti di degenza; 2 - Esistenza di piani di
lavoro integrati tra le aree (Cure Primarie, SERT, Dipartimento salute mentale,
Sociale);
I lavori di pianificazione in corso puntano all’individuazione di indicatori di
processo e dove possibile di esito significativi e misurabili.
Conclusioni
Se l’organizzazione riesce a dotarsi di percorsi assistenziali per i temi clini­
co assistenziali più frequenti e/o più critici dovrebbe tenere sotto controllo il
cuore del sistema produttivo ed essere in grado di migliorare a partire dall’ap­
plicazione dei processi (dall’operatività) e non solo dalla introduzione di nuo­
ve tecnologie.
Gli operatori hanno l’opportunità di costruire strumenti per lavorare meglio e
meno, per eliminare le variazioni non necessarie, e per conoscere tutte le azioni
(non solo quelle fatte da loro), e gli esiti attesi dal sistema per il paziente.
132
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 10
La vera ricchezza di un percorso assistenziale è la possibilità data a tutti gli
attori (paziente, famiglia e operatori) di comprendere tutte le fasi del processo
(che nelle malattie croniche può durare anche molti anni) e di analizzare i
cambiamenti che avvengono nel paziente e come il paziente li percepisce.
È per questo che l’assistenza organizzata con i percorsi è comunque sem­
pre molto ben accettata da parte dei pazienti
10.5. Dimissioni protette nell’unità operativa malattie infettive
ANNAMARIA GIAMPIETRI - Caposala U.O. Malattie Infettive, Dipartimento Medico 2^
Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova- Reggio Emilia, Viale
Risorgimento 80, 42100 Reggio Emilia - tel.: 0522 296613, e-mail:
[email protected]
Nell’U.O. Malattie Infettive le problematiche del “paziente complesso” su­
scitano particolare interesse per la complessità della sua gestione.
Dall’analisi delle schede infermieristiche 2000/03 relativamente al “grado di
dipendenza” e all’età anagrafica dei pazienti ricoverati, si evince un aumento
dei ricoveri per tutte le fasce di età individuate e un aumento dei pazienti
autosufficienti rispetto a quelli parzialmente e totalmente dipendenti. A fronte
dei dati e della difficoltà di reinserimento in sicurezza del paziente al proprio
domicilio, si è quindi definito un percorso di dimissione protetta che potesse
garantire la continuità assistenziale e terapeutica all’utente e fornire agli ope­
ratori una modalità di gestione omogenea.
Lo scopo generale è quello di realizzare un collegamento operativo forma­
le con la rete dei servizi distrettuale che consenta al paziente ricoverato in
ospedale, per il quale vi sia la necessità di utilizzo della rete dei servizi territo­
riali, di usufruire di un percorso unitario in continuità assistenziale.
Obiettivi del progetto sono:
- garantire la continuità terapeutica tra Ospedale e Struttura;
- creare percorsi che rispondano meglio ai bisogni dei cittadini/utenti;
- aumentare la capacità di filtro ai ricoveri impropri e conseguente riduzione
dei ricoveri ospedalieri;
- favorire il reinserimento nel proprio ambiente di vita del paziente dimesso
al fine di diminuire il disagio del ricovero;
- diminuire la spesa ospedaliera e favorire un migliore utilizzo dei posti letto.
In particolare il campo di applicazione previsto è la dimissione di pazienti
problematici con ulteriore degrado delle condizioni di salute rispetto all’in­
gresso o che presentano i seguenti problemi:
- aggravamento della non autosufficienza o perdita dell’autosufficienza;
- necessità riabilitative che non possono essere supportati dal nucleo familiare;
133
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 10
- problemi di comprensione linguistica e culturale;
- pazienti senza fissa dimora o in condizione di clandestinità.
Il progetto, iniziato nel 2001 è tuttora in corso.
L’attività prevista consiste in:
- identificazione infermieristica dei bisogni del paziente al momento del ri­
covero seguita da una rivalutazione medica ed infermieristica delle condi­
zioni del paziente in previsione della dimissione (3 giorni prima);
- valutazione congiunta con la famiglia (nel caso in cui ci siano le condizioni
per la dimissione) relativamente alla loro disponibilità per il livello assisten­
ziale che può garantire e alle ipotesi di attivare i servizi territoriali (servizio
sociale, servizio domiciliare, servizio infermieristico, Sert, Simap), l’unità di
valutazione geriatrica per un eventuale trasferimento in Residenza sanitaria
assistita, di trasformare il ricovero ordinario in ricovero di lungodegenza, di
richiedere alla direzione sanitaria il trasferimento in una struttura conven­
zionata;
- organizzazione del rientro al domicilio da parte della caposala.
Prima della dimissione, l’équipe infermieristica cura in modo dettagliato la
trasmissione delle informazioni sanitarie utili per la gestione a domicilio del
paziente coinvolgendo anche i familiari. L’obiettivo è anche quello di diffon­
dere pratiche di buona salute per vivere al meglio nel proprio ambiente di
vita. Il medico, nel contempo, contatta il medico curante del paziente al fine
di garantire la continuità terapeutica e per creare un contatto diretto tra ospe­
dale e territorio.
Primi risultati
I primi dati mostrano un incremento dell’adozione della procedura della
dimissione protetta: nel 2001 i pazienti dimessi con tale modalità sono stati 29,
nel 2002, 57 e nel 2003, 61.
Gli indicatori individuati:
- segnalazione di disservizi da parte dei pazienti, dei familiari e degli opera­
tori dei servizi coinvolti nella dimissione. Lo standard di riferimento, che è
l’assenza di segnalazioni, è stato raggiunto al 100%;
- gradimento degli utenti in dimissione protetta, rilevato attraverso il questio­
nario di soddisfazione aziendale. Lo standard di riferimento è il
raggiungimento del 100% di utenti soddisfatti (utenti che hanno espresso il
giudizio “Molto buono + Buono” alla valutazione complessiva) rispetto al
96,2% ottenuto nelle indagini del 2001;
- n. di re-ospedalizzazione entro 3 mesi dall’ultimo ricovero in ospedale. Lo
standard è una riduzione del 90% delle re-ospedalizzazioni. Nel 2001 si è
registrato uno scostamento positivo del 3,1% dallo standard, mentre nel
134
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 10
2002 e nel 2003 si è registrato uno scostamento negativo rispettivamente
del 5,8% e del 16,2%.
Risultati attesi
Per l’utenza:
- minore ricorso all’ospedalizzazione per la risoluzione dei problemi di salute;
- possibilità per il paziente complesso di vivere nel proprio ambiente di vita.
Per l’organizzazione:
- miglior utilizzo dei posti letto;
- possibilità di incidere sul flusso dei ricoveri in modo più appropriato, più
sicuro, ed economicamente più favorevole.
Conclusioni
L’attuazione della procedura di dimissione protetta, in tutti i casi in cui è
stata applicata, ha riscontrato un alto gradimento dell’utenza e ha permesso
una migliore gestione dei pazienti a complessità assistenziale alta.
10.6. L’umanizzazione del percorso assistenziale diabetico: il metodo delle
“categorie assistenziali” e il rapporto con gli standard internazionali
HPH
MARCELLA FILIERI, SERGIO CORTOPASSI, ROBERTO CAPIFERRI, GIUSEPPE MARTINI, MAIDA
PERCO, RENZO PIZ - Azienda USL 5 di Pisa
AUTORE REFERENTE: MARCELLA FILIERI, Responsabile U.O. Sviluppo, Ricerca e For­
mazione, Azienda USL 5 di Pisa, Via Zamenhof 1, 56100 PISA – tel.: 050
954291, fax: 050 954321, e-mail: [email protected]
Premessa
Presso l’Azienda USL 5 di Pisa è in corso l’analisi critica di alcuni percorsi
assistenziali con l’obiettivo di renderli coerenti con le strategie della rete
HPH e con la definizione del PSR Toscano 2002 - 2004 che prevede un “per­
corso guidato del cittadino attraverso l’organizzazione sanitaria con lo
scopo di mettere nella corretta relazione tutti i componenti del team, che
per quel determinato problema di salute seguono specifiche linee guida con­
divise”.
Di seguito viene descritto il metodo di lavoro ed i risultati ottenuti nell’ana­
lisi del percorso assistenziale del paziente diabetico.
135
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 10
Obiettivi del progetto
Migliorare il percorso diabetico mediante l’applicazione di un metodo di
lavoro che integri i contenuti professionali improntati ai principi dell’EBM con
le corrette modalità organizzative e con gli aspetti relazionali ispirati ai princi­
pi della promozione della salute. Il metodo prevede la individuazione di indi­
catori di processo e di esito per il monitoraggio dei risultati. Gli indicatori
dovranno contribuire a definire un “budget di percorso”.
Target e azioni specifiche
Il progetto è rivolto a:
- i professionisti aziendali coinvolti in un percorso di formazione-laboratorio;
- gli utenti del percorso diabetico in qualità di valutatori del percorso attra­
verso il metodo dei focus group;
- i cittadini destinatari di specifiche iniziative di comunicazione, anche attra­
verso una rinnovata carta dei servizi.
Metodo di lavoro e risultati
Utilizzando la formazione del personale interessato al percorso diabetico
(intraospedaliero e territoriale) come momento di “laboratorio”, i professioni­
sti si confrontano e descrivono le fasi attuali del percorso del paziente diabetico
focalizzando per ciascuna di esse l’esistenza o meno di linee guida, protocolli,
procedure, modulistica finalizzati a:
1. valutazione clinico-sociale-psicologica del paziente e dei suoi bisogni;
2. applicazione di pratiche diagnostiche e terapeutiche evidence based;
3. riduzione dei rischi clinici per il paziente;
4. informazione, educazione, partecipazione del paziente e della famiglia;
5. valutazione degli esiti clinici.
Lo strumento chiave per l’analisi e l’ottimizzazione del percorso è rappre­
sentato da uno schema a matrice rielaborato presso l’Azienda Usl 5 a partire
da una proposta dell’ISS e dall’Agenzia Sanitaria delle Marche in tema di ge­
stione per processi professionali e percorsi assistenziali.
Tale strumento fa riferimento alle cosiddette “categorie assistenziali” alcu­
ne delle quali (valutazione del paziente; educazione del paziente) coincidono
con alcuni standard internazionali HPH.
Per ciascuno dei 5 punti di osservazione vengono individuati specifici indi­
catori, proposti e condivisi dai professionisti.
In particolare, con riferimento ai punti 1 e 4 è in corso di sperimentazione
l’individuazione e l’applicazione dei substandard e dei relativi indicatori pro­
136
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 10
posti dal WHO Regional Office of Europe relativi agli standard HPH n. 2 (patient
assessment) e n. 3 (patient information and intervention).
Un’importante modalità di valutazione dei risultati sarà data dal confronto
dei risultati di due focus group da tenersi a distanza di un anno l’uno dall’altro,
ciascuno dei quali coinvolgerà 14 pazienti diabetici selezionati secondo spe­
cifici criteri di inclusione predisposti dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
alla quale è stata commissionata l’indagine.
Conclusioni
Il riorientamento dei professionisti, spesso ancora legati al proprio ruolo
professionale nell’organizzazione, verso l’obiettivo di soddisfazione comples­
siva del cittadino è stato un compito non facile da affrontare mediante l’attivi­
tà formativa; tuttavia lo spirito di squadra da perseguire mediante la formazio­
ne, insieme con il forte sostegno della direzione aziendale costituiscono le
leve irrinunciabili da utilizzare per il miglioramento dei percorsi assistenziali
in generale. Nel caso del percorso diabetico il metodo adottato si è rivelato
efficace per individuare le criticità attuali e per indicare la strada verso il mi­
glioramento. I professionisti sono attualmente impegnati in lavori di gruppo
finalizzati alla l’implementazione delle linee guida, protocolli, ecc. risultati
carenti in fase di analisi. Il monitoraggio nel tempo degli indicatori proposti,
insieme con i risultati dei focus group consentiranno una valutazione definiti­
va dei risultati
Il percorso assistenziale, dopo aver superato le conferenze di consenso con
gli operatori interessati, entrerà nella fase di sperimentazione applicativa e
produrrà due canali di comunicazione:
1. in Carta dei Servizi, all’interno degli impegni aziendali, rivolto verso i citta­
dini;
2. nel Foglio Accoglienza, sezione della Carta, rivolto agli utenti che entrano
nel percorso.
Bibliografia
1. CASATI, PANELLA, DI STANISLAO, VICHI, MOROSINI, Gestione per processi professio­
nali e percorsi assistenziali, Istituto Superiore di Sanità, Agenzia Sanitaria
Regionale Marche, Ministero della Salute.
2. WORLD HEALTH ORGANIZATION, Self assessment tool for health promotion
standard and indicators in hospitals (Draft), Copenhagen, WHO Regional
Office for Europe 2004.
137
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
138
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
La promozione della salute per i bambini
e gli adolescenti in ospedale
11.1. Il progetto OMS “Promozione della salute per bambini ed adolescenti
in ospedale”
FABRIZIO SIMONELLI, MARIA JOSÉ CALDÉS PINILLA, KATALIN MAJER, PAOLO MORELLO MAR­
CHESE - Centro di Coordinamento della Rete HPH Toscana, Ospedale Pediatrico
A. Meyer di Firenze
AUTORE REFERENTE: FABRIZIO SIMONELLI, Centro di Coordinamento della Rete HPH
Toscana, Ospedale Pediatrico A. Meyer, Via Pico della Mirandola 24, 50132
Firenze – tel.: 055 5662311, fax: 055 5662940, e-mail: f.simonelli@ meyer.it
Breve introduzione del contesto
La salute intesa come un processo di crescita sociale e personale volto all’au­
to-realizzazione comincia nella prima infanzia e perdura fino alla fine della vita.
Gli ospedali dovrebbero avere un ruolo sempre crescente nel promuovere una
crescita sana dei bambini e adolescenti, implementando pratiche di cultura del­
la salute, e aiutando i bambini ed adolescenti attraverso gli episodi cruciali di
sviluppo che loro attraversano. Lo sviluppo di queste capacità di vita è un ob­
biettivo essenziale nell’educazione della salute e nelle attività di promozione
della salute, anche ospedaliere. La promozione della salute per bambini e ado­
lescenti in ospedale deve anche coinvolgere i loro familiari, prendendo in con­
siderazione non solo il bambino o l’adolescente, ma anche la loro unità familia­
re, inteso come una risorsa fondamentale per la loro promozione della salute.
Obiettivi generali
Questo progetto mira allo sviluppo e lo scambio di conoscenze, competen­
ze, standards e buone pratiche di promozione della salute negli ospedali
pediatrici e nelle divisioni pediatriche di ospedali generali, seguendo i princi­
pi e i criteri dell’Health Promoting Hospitals Network, coordinato dall’Ufficio
Europeo OMS di Barcellona.
Obiettivi specifici
- Sviluppare una cultura e pratica ospedaliera basata sul rispetto dei diritti
dei bambini e adolescenti in ospedale;
139
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
- adeguare il setting ospedaliero tenendo conto dei bisogni di promozione
della salute dei bambini e adolescenti;
- sviluppare ricerche e studi sui bisogni di promozione della salute dei bam­
bini e adolescenti in ospedale;
- creare una mappa di buone pratiche ospedaliere;
- promuovere una nuova Comunità di Pratica e un Open Network internazionale
sul tema della promozione della salute per bambini e adolescenti in ospedale;
- elaborare raccomandazioni e linee-guida concernenti la promozione della
salute per bambini e adolescenti in ospedale.
Gruppi target
-
Parenti dei bambini e adolescenti ospedalizzati;
bambini e adolescenti ospedalizzati con malattie acute;
bambini e adolescenti ospedalizzati con malattie severe/croniche;
staff ospedaliero;
bambini e adolescenti visitatori.
Metodologia di lavoro
Per raggiungere questi obbiettivi il progetto prevede di attivare 5 infrastrut­
ture:
1. un Gruppo di Lavoro internazionale per lo scambio di idee, conoscenze ed
esperienze su questo tema;
2. un Osservatorio sulle attività di promozione della salute per bambini e ado­
lescenti in ospedale, per identificare e disseminare le conoscenze e le pra­
tiche esemplari su questo tema;
3. una Comunità di Pratica, per promuovere la cultura della salute, il confronto
scientifico e culturale, la disseminazione dei risultati, le relazioni professionali;
4. un Open Network di ospedali, istituzioni e associazioni, che acquisisca e
diffonda nuovi modelli e iniziative di promozione della salute per bambini
e adolescenti in ospedale;
5. un Sistema di Dialogo e Comunicazione su Internet (Website): per condivi­
dere le conoscenze scientifiche, per scambiare informazioni tra i partner
sulle attività e i risultati; e per sostenere la Comunità di Pratica e l’Open
Network.
Risultati attesi
1. Elaborazione di un documento-guida, con i principi e i significati propri
della Promozione della Salute per Bambini e Adolescenti in Ospedale;
2. definizione di un set di Diritti fondamentali del Bambino in Ospedale, e
140
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
3.
4.
5.
6.
7.
8.
sua condivisione e diffusione negli ospedali per bambini e nelle divisioni
pediatriche di ospedali generali;
sviluppo di attività di ricerca sui bisogni di promozione della salute di bam­
bini e adolescenti in ospedale;
costruzione e disseminazione di una mappa di buone pratiche europee di
promozione della salute per bambini e adolescenti in ospedale;
definizione di una cornice per la promozione della salute per bambini e
adolescenti in ospedale basata sull’evidenza, attraverso standards e indica­
tori condivisi;
elaborazione di raccomandazioni e linee-guida per le attività di promozio­
ne della salute per bambini e adolescenti in ospedale;
sviluppo, attraverso tutta la Regione Europea dell’OMS, di una Comunità
di Pratica, dedicata a questo tema, ed attiva nel panorama generale di pro­
mozione della salute;
creazione di un nuovo Open Network di ospedali, università, istituzioni e
associazioni, che lavori su questo tema e sviluppi relazioni di co-operazio­
ne sulla promozione della salute per bambini e adolescenti in ospedale
coinvolgendo reti e programmi internazionali.
Primi risultati
-
È stata preparata la versione bozza del documento-guida.
È stato istituito il Gruppo di Lavoro.
È stato realizzato il Sito Internet.
È stata avviata l’Indagine di sfondo.
Conclusioni
Al momento si può constatare che il percorso progettuale è stato iniziato
con un largo e qualificato coinvolgimento di partners di tutta la Regione Euro­
pea dell’OMS, su mandato dell’Ufficio Europeo di Barcellona.
11.2. Il Laboratorio Clinico Pedagogico per ottimizzare l’assistenza
pediatrica
S EBASTIANO G UARNACCIA 1, D ANIELA M ANFREDI 1, E MANUELE D’A GATA1, B ENEDETTA
VENTURELLI2, ROSARIA AVISANI3, ENRICO COMBERTI4, GIOVANNA FERRETTI1, LUIGI DANIELE
NOTARANGELO1, RAFFAELE SPIAZZI1 - 1Dipartimento di Pediatria, Ospedale dei Bam­
bini, A.O. Spedali Civili Brescia; 2Ufficio Comunicazione e Relazioni con il
pubblico A.O. Spedali Civili; 3Direzione Sanitaria, A.O. Spedali Civili; 4U.S.D.
Aggiornamento e Certificazione Qualità, A.O. Spedali Civili
141
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
AUTORE REFERENTE: SEBASTIANO GUARNACCIA, U.O. Laboratorio Clinico Pedagogico
e Ricerca Biomedica, Ospedale dei Bambini, Clinica Pediatrica Università di
Brescia, Spedali Civili, Via del Medolo 2, 25123 Brescia - Tel.: 030 3849283,
fax: 030 3849284, e-mail: [email protected]
Introduzione
Nato all’interno dell’Ospedale dei Bambini di Brescia, il Laboratorio Clinico
Pedagogico si propone di approfondire la tematica della comunicazione e
dell’educazione al fine di contribuire al miglioramento dell’assistenza al bam­
bino ed alla sua famiglia, creando una rete di collaborazioni e sinergie tra i
diversi “attori” coinvolti nel processo di educazione. In questa rete, il Labora­
torio diviene riferimento culturale e traino per il coinvolgimento di soggetti
operanti a diverso titolo nel Servizio Sanitario e nelle Istituzioni pubbliche e
private già oggi coinvolte nel progetto (la Scuola, la Farmacia, le Associazioni,
le Società Scientifiche, ecc...).
Obiettivi/Target
- Strutturare, intorno al bambino ed alla sua famiglia, una “rete” di intervento
in termini di prevenzione, terapia e di autogestione.
- Configurare il Laboratorio Clinico Pedagogico come Centro di Comunica­
zione, Educazione e Formazione Sanitaria, che si faccia promotore di qua­
lità per:
- l’utenza (bambino/famiglia);
- l’azienda e gli operatori sanitari;
- l’ambiente esterno all’ospedale, in particolare la scuola e i centri educati­
vi e ricreativi maggiormente frequentati dai bambini;
- le altre Aziende Ospedaliere;
- le Società Scientifiche;
- le Istituzioni Sanitarie e Sociali (ASL, Regione, Ministero della Salute, Or­
dini e Collegi Professionali, Comuni, Aziende Municipalizzate, ecc...).
Strumenti/indicatori
Le attività del Laboratorio sono orientate alla promozione e allo sviluppo
del progetto educativo, principalmente attraverso:
- La strutturazione, sperimentazione e diffusione di materiale educativo ca­
ratterizzato da una propria linea editoriale e stilistica e sarà costituito da:
- Prodotti multimediali, quali cd-rom, portali web, videogiochi.
- Materiale informatico educativo cartaceo: libricini con storie da colorare,
schede interattive, percorsi didattici nelle scuole, ecc...
142
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
- Materiale ludico: domino, puzzle, tombola, strumentazioni mediche ripro­
dotte come giochi, ecc...
- Un ambulatorio di educazione (Asma, Diabete, Epilessia) per bambini di
Scuola Materna e Scuola Elementare, ragazzi di Scuola Media Inferiore e
Superiore, e per genitori.
- Iniziative di Informazione e Formazione, in collaborazione con la Forma­
zione Aziendale,: corsi ECM, convegni, formazione a distanza.
- Indicatori di apprendimento e gradimento (questionari, griglie, giochi cognitivi).
Conclusioni
Il Laboratorio Clinico Pedagogico è un centro che supporta e alimenta la
comunicazione, l’educazione e la formazione del bambino, della sua famiglia
e di tutti gli “attori”; di conseguenza permette di migliorare la gestione della
malattia in termini di autogestione, di adesione al piano terapeutico, di qualità
della vita.
11.3. Un’esperienza di lavoro multidisciplinare sull’abuso e maltrattamento
all’infanzia in un ospedale pediatrico
FULVIA NEGRO, GEMMA ISAIA, ANNA PELOSO, ALGA BEVILACQUA, IDA BERTOTTI, ROSALINDA
GEMELLO, CARLA BAIETTO, FRANCESCO ASTORINO, LUCIA CIRAMI, LAURA DE MICHELIS, CRI­
STINA ODDONE, SILVIA MURDOCCA - Gruppo di Lavoro su maltrattamento e abuso
ai minori, Azienda O.I.R.M. S. Anna di Torino
AUTORE REFERENTE: FULVIA NEGRO, O.I.R.M., Piazza Polonia 94,10126 To - tel.:
011 3135832, fax:0113135214, e-mail: [email protected]
La rilevazione, la diagnosi, la presa in carico ed il trattamento dell’abuso
sessuale e del maltrattamento ai minori costituiscono problemi complessi in
cui si intrecciano aspetti medici, psicologici, sociali e giuridici; ciò rende indi­
spensabile il coinvolgimento di più figure professionali. L’esperienza clinica e
l’analisi della letteratura evidenziano la necessità di costruire, tra i diversi pro­
fessionisti coinvolti, un linguaggio ed una modalità di intervento comuni e
condivisibili. Nella nostra azienda nell’anno 2000-01, sostenuto da un proget­
to finanziato di Azione Positiva del Ministero del Lavoro e del Comitato Nazio­
nale di Pari Opportunità, si è tenuto il “Corso di formazione per operatori/
operatrici addetti/e all’assistenza di minori abusati attraverso un’organizza­
zione di lavoro in rete”. Il corso di tipo esperienziale-teorico aveva il fine di
raggiungere una comune cultura di lavoro tra operatori di professionalità di­
versa e differente, attraverso un apprendimento dall’esperienza condotta in
gruppo, per il riconoscimento ed il trattamento dell’abuso all’arrivo nell’istitu­
143
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
zione. In seguito si è costituito, su motivazione spontanea, un Gruppo di La­
voro multidisciplinare (NPI, Pediatra, Psicologo, Chirurghi pediatrici, Infer­
mieri professionali, Assistente sociale) per il rilevamento e l’iniziale presa in
carico dei casi di abuso e maltrattamento su minore. “Il Gruppo di Lavoro su
abuso e maltrattamento ai minori” dell’O.I.R.M. ha ottenuto il riconoscimento
da parte della Regione Piemonte ed istituzionalizzato come equipe
multidisciplinare con compiti specifici rispetto alle equipe territoriali. Nel 2002,
in base alle indicazioni emerse dall’analisi dell’attività si è reso necessario atti­
vare uno specifico ambulatorio cui fare riferimento con disponibilità di risorse
umane e materiali. L’“Ambulatorio Dedicato”, medico ed infermiere/a dedica­
ti, ha lo scopo di poter dare al bambino/a con sospetto di abuso/maltratta­
mento l’attenzione ed il tempo necessario a raccogliere il racconto dell’ac­
compagnatore/bambino e soprattutto per permettere al bambino di “fidarsi”
degli operatori. Il principio su cui si fonda l’”Ambulatorio Dedicato” vuole
essere quello di ridare ad un bambino, che è stato violato nel corpo e nello
spirito”, usando i mezzi più idonei alla sua età (linguaggio, giochi), la consi­
derazione come persona e la rassicurazione sul suo stato di salute fisico. Dal
gennaio 2003 all’aprile 2004 sono afferiti all’ambulatorio 63 bambini (130 visi­
te totali), inviati dall’interno dell’ospedale (DEA, Ambulatori, reparti) e dai
servizi esterni (medici di base, consultori, servizi sociali, comunità, altri ospe­
dali, scuole e forze dell’ordine...). La metodologia del lavoro sul modello
interdisciplinare e di condivisione emotiva per un fenomeno così complesso
e problematico, anche per gli operatori, che richiede per l’avvio delle cure il
dispiegamento di una vera e propria task-force.
11.4. Assistenza domiciliare integrata nel bambino oncologico
EDVIGE GOMBACH (Responsabile infermieristico Dipartimento chirurgico), GIULIO
ANDREA ZANAZZO (Dirigente Medico U.O. Emato-Oncologia), STEFANO RUSSIAN
(Dirigente Medico Direzione Sanitaria) - IRCCS Burlo Garofolo - Trieste
Introduzione
Il ricovero ospedaliero in assoluto determina stress, paura e sentimento di
impotenza. Dal punto di vista del bambino queste sensazioni, sul piano emo­
zionale, sono notevolmente amplificate. Anche se molto è già stato fatto (pre­
senza dei genitori, camerette colorate, sala giochi, ecc...), c’è ancora qualcosa
che possiamo fare?
L’articolo 3 della Carta dei Diritti del Bambino in Ospedale (Bioetica, 2003),
enunciando il diritto a ricevere il miglior livello di cura e assistenza, specifica
che il ricorso all’ospedalizzazione deve essere limitato “alle situazioni in cui
144
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
non sia possibile far fronte alle esigenze assistenziali...in altro modo” e che “
vengono favoriti day hospital e assistenza domiciliare...”.
Anche il Piano Sanitario Nazionale 2002-2004 pone tra gli obiettivi quello di
incrementare l’adozione di strutture socio-sanitarie alternative (quali
l’ospedalizzazione a domicilio).
L’unità operativa di Emato-oncologia del nostro Istituto, ha quindi avvertito
l’esigenza di iniziare un percorso che porti progressivamente ad una gestione
integrata del bambino con patologia oncologica nella quale il ruolo dell’assi­
stenza domiciliare sia centrale.
Il progetto non solo risponde ad un diritto fondamentale del bambino
cronicamente ammalato, ma offre altresì vantaggi al paziente/famiglia, (mi­
nor rischio infettivo, migliore continuità assistenziale, riduzione del costo so­
ciale secondario all’ospedalizzazione) nonché al Sistema Sanitario (miglior
ottimizzazione delle risorse territoriali e riduzione dei costi ospedalieri).
Obiettivo
Creare una rete assistenziale ai soggetti d’età 0-18 anni con diagnosi di tu­
more maligno durante le fasi di chemioterapia antiblastica più intensa tale da
garantire a domicilio:
- prelievi;
- gestione di presidi (CVC, sondino);
- piccola chirurgia (rimozione suture, medicazioni);
- monitoraggio dei parametri vitali;
- supporto nutrizionale (enterale o parenterale);
- proseguimento dei trattamenti antibiotici parenterali;
- trattamenti chemioterapici di intensità minore;
- controlli e gestione degli effetti collaterali dei farmaci;
- controlli e gestione di eventuali malattie intercorrenti;
- supporto psicologico e pedagogico;
- educazione al self care;
- terapie palliative nel terminale.
Materiali e metodi
Il progetto è suddiviso in fasi.
Studio di fattibilità e del bacino d’utenza: è stata inviata ai Direttori generali
delle 6 ASS una copia del progetto, con richiesta di indicare i referenti di dire­
zione sanitaria con i quali discutere gli aspetti tecnico organizzativi.
Il medico e l’infermiera del Centro, responsabili del progetto, si sono recati
nelle 5 ASS che hanno risposto, per illustrare il progetto ai referenti individuati.
145
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
Alla fine hanno aderito 4 ASS (per due Aziende si è stilato un Protocollo
d’Intesa).
Accordi Interaziendali: verificata la fattibilità del progetto, gli operatori del
Centro, i responsabili del servizio infermieristico dell’ASS, un pediatria del­
l’ospedale territoriale e un rappresentante dei PLS di quel territorio si sono
riuniti una o più volte per concordare azienda per azienda:
- le competenze di ciascuna figura implicata;
- la procedura di attivazione dell’assistenza domiciliare;
- le linee guida comuni all’assistenza del bambino oncologico;
- la modulistica da utilizzare;
- il fabbisogno formativo del personale territoriale.
Aggiornamento del personale sanitario territoriale: il personale
infermieristico dei distretti territoriali di ogni singola ASS ha frequentato, a
rotazione, per un periodo di 3 settimane per ciascun distretto, uno stage indi­
viduale con tutor presso il Centro per formarsi sui bisogni del bambino
oncologico.
A distanza di un anno dall’attivazione, si prevede di valutarne: efficacia,
efficienza, soddisfazione dell’utente in termini di qualità percepita, soddisfa­
zione degli operatori.
Risultati e commento
Sono state così definite le procedure di attivazione dell’assistenza
domiciliare:
- Ogni nuova diagnosi viene segnalata via fax con apposita scheda dalla
caposala del Centro alla caposala del distretto d’appartenenza del bambi­
no. S’invia anche la versione aggiornata di alcune procedure scritte (prelie­
vo da CVC, medicazione e sostituzione del tappo del CVC, dieta per
neutropenici, norme igienico-ambientali); la stessa cs del Centro verifica
telefonicamente con la collega del territorio se gli infermieri del distretto
hanno partecipato alla fase di aggiornamento e concorda le date per lo
svolgimento dello stage.
- Il medico del Centro informa telefonicamente del nuovo caso il PLS/
MMG del bambino (in talune circostanze essi vengono informati anche
dal distretto) e chiede di prescrivere l’attivazione dell’assistenza
domiciliare. Nell’impossibilità di reperire il curante il responsabile me­
dico del distretto ha facoltà di attivare l’assistenza domiciliare in via prov­
visoria.
- Gli infermieri del territorio ed il PLS vengono al Centro a conoscere il bam­
146
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
bino e la famiglia prima della dimissione. In tale occasione vengono fornite
notizie sulla diagnosi, sul programma terapeutico (di cui viene consegnato
uno schema) e individuati i bisogni del bambino a domicilio. Vengono an­
che concordate le modalità di dimissione (date, trasporto, fornitura provvi­
soria di farmaci e presidi).
- Nell’accordo con la ASS 3, geograficamente distante dal Centro, è previ­
sto invece che venga convocata nella sede del distretto una riunione di
Unità di Valutazione Domiciliare (UVD) cui partecipano il medico e l’in­
fermiere del Centro, il PLS, il pediatra dell’ospedale territoriale, il coor­
dinatore medico e infermieristico del distretto, gli infermieri domiciliari
del distretto, l’assistente sociale, lo psicologo. Al termine delle riunione
la proposta assistenziale viene presentata alla famiglia per l’approvazio­
ne.
Contemporaneamente alla dimissione (ricovero ordinario, Day Hospital o
ambulatoriale), il Centro invia al distretto per fax o e-mail, entro le 14 del
giorno precedente a quello delle procedure, l’apposita scheda di richiesta pre­
stazioni che riporta generalità del paziente, motivo del ricovero, data di
dimissione, data del prossimo ricovero, presenza di condizioni particolari, le
prestazioni richieste nelle relative date.
L’assistenza domiciliare viene erogata dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 16
con ampia flessibilità (anche al sabato o alla domenica). Se le condizioni del
bambino variano, è previsto che la comunicazione al Centro sia data dall’assi­
stenza domiciliare o dalla famiglia stessa.
I prelievi eseguiti a domicilio vengono recapitati dal distretto al laboratorio
di riferimento con la dicitura URGENTE e gli esiti vengono trasmessi direttamen­
te dal Laboratorio al Centro via fax entro le 13 del giorno stesso.
Dopo 6 mesi dall’entrata in vigore degli accordi i protocolli prevedono una
riunione collegiale ASS/Centro per valutare i risultati e correggere eventuali
imperfezioni organizzative.
A 15 mesi dalla firma della convenzione con l’ASS1 e a 2 da quella con l’ASS
3 i risultati ottenuti sono i seguenti.
Tab. 1
ASS
ASS 1
ASS 3
Pazienti eleggibili
15
1
Pazienti assistiti a domicilio
11
1
Percentuale
73,3%
100%
In particolare sono stati assistiti tutti quelli con leucemia o linfoma non
Hodgkin, mentre la percentuale più bassa di effettivo utilizzo della domiciliare
(meno della metà dei casi) si è avuta nei linfomi di Hodgkin.
147
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
Le prestazioni più frequentemente erogate nell’ambito della convenzione
sono state elencate nella Tab. 2.
Tab. 2
prelievi
medicazioni del cvc
sostituzione tappo
rilevazione parametri vitali
sedute di logopedia, fisioterapia
terapie parenterali (antibiotici, fattori di crescita..)
altro
25 %
20 %
20 %
12 %
12 %
10 %
1%
La percentuale di accessi ospedalieri risparmiati dall’assistenza domiciliare
è stata del 30% circa.
Per quanto riguarda gli assistiti delle altre ASS c’è stato un effetto “emulazione”
che ha indotto molte famiglie a chiedere l’attivazione dell’assistenza domiciliare
al di fuori di una formalizzazione interaziendale. In questi casi gli accordi sono
stati presi direttamente dal Centro in via informale ed amichevole con il perso­
nale infermieristico del distretti e con i laboratori convenzionati, utilizzando
comunque la stessa modulistica e lo stesso schema organizzativo.
Queste esperienze “pilota”, vissute come gratificanti dagli operatori del ter­
ritorio, spingono gli stessi a premere con le proprie direzioni sanitarie per
arrivare alla formalizzazione di accordi.
Bibliografia
BIOETICA - Rivista interdisciplinare, n. 1, marzo 2003, Editore Zadig, Milano, pp. 67-74.
11.5. “Ri-scoprirsi naturalmente”. Laboratorio multisensoriale per
disabili neuropsichici
Associazione Famiglie Neuropsichiatria Infanzia Adolescenza, - U. O. Neurop­
sichiatria Infantile Ospedale “G. Salesi”, DIRETTORE: CESARE CARDINALI
AUTORE REFERENTE: LUIGINA CENCI, Dirig. Med. Neuropsichiatria, U.O. Neurop­
sichiatria Infantile, Via F. Corridoni 11, 60123 Ancona – Tel.: 071 5962504,
fax: 071 5962502, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
Il progetto si configura come un vero laboratorio multisensoriale, in cui
148
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
l’approccio ludico-comunicativo permette al bambino disabile psicofisico il
pieno coinvolgimento nelle esperienze educativo-riabilitative, proposte attra­
verso attività visive, auditive, tattili e cinestetiche.
Il modello riabilitativo gruppale, che caratterizza le attività all’interno del­
l’Ospedale Diurno Terapeutico dell’Unità Operativa Neuropsichiatria Infanti­
le (U.O.NP.I) del “Salesi” è stato applicato per la realizzazione del Progetto
pilota educativo-riabilitativo, rivolto al bambino con diversa abilità.
Le attività svolte sono avvenute a diretto contatto con la natura, nell’Oasi
Ripa Bianca di Jesi e nel Parco Urbano di Villa Colloredo di Recanati, favoren­
do la fruizione dell’ambiente mediante l’esercizio plurisensoriale (tatto, olfat­
to, vista, udito), accrescendo così la percezione e la consapevolezza del tem­
po come fattore dinamico, mediante la personale sperimentazione del ritmico
fluire e delle modificazioni esterne ad esso connesse, attraverso il mutamento
delle stagioni, pur nella stabilità dello scenario e/o il consolidamento delle
esperienze nella limitrofa stanza-laboratorio all’uopo allestita.
Il progetto ha fornito una opportunità pratica di sperimentare nuovi spazi e
tempi, che conduce verso un processo di strutturazione ed organizzazione
più integrata del proprio senso di identità nell’ambiente.
Aiutare i genitori di bambini, con diverse abilità nello sviluppo neuropsichico
in età scolare, ad uscire, insieme con i propri figli, dall’isolamento dell’am­
biente familiare ed ospedaliero per immergersi nella bellezza della natura;
con il coinvolgimento immediato ed integrato di tutti i partners, secondo com­
petenze specifiche e culture diverse, che hanno individuato i singoli bisogni
ed hanno trovato soluzioni pedagogiche condivise.
Obiettivi
Obiettivo del programma è stato quello di offrire e far vivere ai bambini un
“ambiente speciale” in cui e attraverso cui favorire lo sviluppo della sensorialità
e del contatto sociale.
Innescare un processo di consapevolezza della relazione corpo/spazio/
oggetto aiutando il portatore di una disabilità psicofisica a sviluppare la per­
cezione dello spazio in un ambiente naturale.
Migliorare, nel disabile, la consapevolezza interpersonale, la sensibilità, la
comunicazione e la qualità delle relazioni.
Promuovere la consapevolezza del tempo come fattore dinamico per svi­
luppare la percezione del tempo nella mutevolezza dello scenario: l’alternarsi
del giorno con la notte, il susseguirsi delle stagioni, il passare delle ore.
Gruppo/i Target
- U.O.NP.I. FA.NP.I.A. e WWF delle Marche hanno ottenuto a fine 2001 un
149
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
-
-
-
contributo dalla Regione Marche l.r.n.48/1995 per la realizzazione del pro­
getto;
Gen. 2002/Dic. 2003: incontro con le famiglie per arruolamento dei bambi­
ni proposti per la partecipazione al progetto;
11 incontri tecnici di progettazione e programmazione fra l’équipe di ricerca;
40 incontri di 2 ore ciascuno con 2 gruppi di bambini (20 incontri per grup­
po) ad opera di due conduttori (educatori ambientali) all’interno dell’Oasi
Ripa Bianca di Jesi e di Villa Colloredo di Recanati;
incontri di supervisione e consulenza ai conduttori dell’esperienza;
2 incontri di analisi e valutazione dei dati raccolti e condivisione del percor­
so effettuato con le famiglie, gli insegnanti di sostegno e la neuropsichiatra
di riferimento dell’U.O. Salesi;
incontri fra l’équipe di ricerca per analizzare i dati raccolti;
realizzazione di un depliant divulgativo;
stesura di bozza del volume concernente l’esperienza;
presentazione pubblica del volume “ri-scoprirsi naturalmente” laboratorio
multisensoriale per disabili neuropsichici.
Presentazione e valutazione dei risultati
Far vivere al bambino disabile neuropsichico esperienze reali nella natura,
per sviluppare la percezione corporea e dello spazio/tempo.
Bambini ed educatori insieme per 6 mesi.
8 bambini, 7 maschi e 1 femmina, 7/14 anni, 2 gruppi, 4 bambini ciascuno
con diversa disabilità neuropsichica (Ritardo Mentale, Cromosomopatia, Di­
sturbo Pervasivo dello Sviluppo)
le famiglie dei bambini disabili coinvolti nel progetto.
Conclusioni
Il progetto, unico nel suo genere nella Regione Marche, si è proposto di
aiutare il bambino disabile psicofisico a sviluppare la propria identità attraver­
so la conoscenza diretta e individuale dell’ambiente naturale e non, in uno
spazio comunicativo in grado di stimolare contemporaneamente la reciproci­
tà e l’interazione nel piccolo gruppo.
11.6. La campagna regionale di riduzione del rischio di morte improvvisa
del lattante (SIDS) in Toscana: rilevazione epidemiologica dei fattori
di rischio.
RAFFAELE PIUMELLI1, NICCOLÒ NASSI1, LUCA LANDINI1, ROSA GINI2, ADA MACCHIARINI3,
150
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
PAOLO MARCHESE MORELLO4 - 1Centro Regionale di riferimento per lo studio e
prevenzione della SIDS, Azienda Universitaria-Ospedaliera Meyer-Firenze;
2
Agenzia Regionale di Sanità; 3Associazione genitori “Semi per la SIDS”; 4Di­
rettore Azienda Universitaria-Ospedaliera Meyer
AUTORE REFERENTE: RAFFAELE PIUMELLI, Centro Regionale di riferimento per lo stu­
dio e prevenzione della SIDS, Ospedale Pediatrico Meyer, Via P. Della
Mirandola 24, 50100 Firenze - tel.: 0555 662447, e-mail: [email protected]
Premessa
Il Centro Regionale di riferimento per lo studio e la prevenzione della SIDS
è stato istituito nel 1996 presso l’Ospedale Pediatrico Anna Meyer di Firenze.
La missione di tale struttura è quella di far fronte alle numerose problematiche
di ordine etico, sociale e scientifico sollevate dalla SIDS.
Le attività del Centro sono essenzialmente rappresentate da:
- programmi di monitoraggio domiciliare dei bambini a maggior rischio di SIDS;
- gestione clinica dei bambini con storia di “Eventi Apparentemente Rischio­
si per la Vita-Apparent Life-Threatenig Events” (ALTE);
- supporto alle famiglie colpite da SIDS;
- campagne per la riduzione del rischio;
- attività scientifica e di ricerca.
Nel 1996 è stato effettuato un primo tentativo di promuovere una campa­
gna di riduzione del rischio consistente nella diffusione presso i punti nascita
della Toscana dell’opuscolo “Per Loro è Meglio”.
Tuttavia, l’impossibilità di una valutazione della reale efficacia di suddetta
campagna unita al progressivo cambiamento della composizione etnica della
nostra regione, che ha aumentato di fatto il numero di persone non raggiungibili
dal messaggio di riduzione del rischio, ci ha indotto a promuovere una nuova
campagna preceduta dalla valutazione del grado di conoscenza dei fattori di
rischio di SIDS in Toscana.
Piano regionale
Il piano strategico si è basato sui seguenti punti:
1) organizzazione di una Consensus Conference tra i direttori delle tre Aree
Vaste Regionali, i rappresentanti dei pediatri di famiglia e dell’associazione
genitori;
2) organizzazione di incontri con i responsabili dei punti nascita, dei pediatri di
famiglia, dei pediatri consultoriali e delle ostetriche della regione Toscana;
3) raccolta dati sul grado di conoscenza dei fattori di rischio per SIDS prima
dell’inizio della campagna;
151
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
4) distribuzione di materiale cartaceo (opuscoli, posters) e diffusione di un
breve documentario informativo su emittenti regionali;
5) raccolta dati sul grado di conoscenza della SIDS dopo la campagna.
Al momento attuale sono stati completati i primi 4 punti.
I dati sono stati raccolti tra il 7 gennaio e il 28 febbraio 2004 tramite un
questionario consegnato ai genitori di bambini di circa 3 mesi al momento
della vaccinazione presso 74 centri vaccinali selezionati della Toscana, corri­
spondenti a circa il 25% del totale.
Risultati
I risultati ottenuti hanno confermato l’inefficacia della prima campagna di
riduzione del rischio se si prende in considerazione il grado di conoscenza del­
l’opuscolo “Per Loro è Meglio” (solo il 22% degli intervistati ha dichiarato infatti
di conoscere l’opuscolo). Se invece consideriamo la percentuale di bambini
posti a dormire supini (55,09%) possiamo affermare che un certo livello di in­
formazione è stato comunque trasmesso, probabilmente grazie alle numerose
attività divulgative organizzate dal Centro e culminate con l’organizzazione del­
la settima conferenza mondiale sulla SIDS tenutasi a Firenze nel Settembre 2002.
Dai dati raccolti emerge tuttavia una percentuale ancora molto elevata di
bambini posti a dormire su un fianco (38,3%), posizione che è comunque
gravata da un rischio di SIDS di circa tre volte superiore a quella supina. Altro
dato significativo è stato la scarsa conoscenza delle misure di riduzione del
rischio di SIDS da parte dei genitori appartenenti a popoli a forte migrazione.
Gli obiettivi principali della campagna regionale saranno quindi rappresentati
dall’eliminazione della posizione sul fianco durante il sonno e su una maggiore
penetrazione del messaggio “back to sleep” presso i popoli a forte migrazione.
Contiamo di raggiungere il primo obiettivo con la trasmissione di una corretta infor­
mazione da parte degli operatori sanitari che, in base ai nostri dati, rappresentano il
veicolo principale di informazione per i genitori e con i quali ci siamo confrontati
negli incontri che hanno preceduto la campagna. Per quanto riguarda invece il
superamento delle barriere linguistiche abbiamo provveduto a tradurre l’opuscolo
“Per Loro è Meglio” in quattro lingue: spagnolo, inglese, arabo e cinese.
L’efficacia del nostro intervento sarà valutata tramite un nuovo questionario
che sarà distribuito con le medesime modalità entro la fine del corrente anno.
11.7. L’allattamento al seno: ruolo degli operatori sanitari
OLGA GUARESE (C.S.), M. LUISA MADDONNI (Ost.), SIMONA STAFFIERI (Ost.), DONATEL­
LA GROTTOLO (I.P.) - Distretto Alto Garda e Ledro, A.P.S.S. Trento
152
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
AUTORE REFERENTE: OLGA GUARESE, U.O. Ostetricia Ginecologia Arco, e-mail:
[email protected]
Premesse
“ Se tutti i bambini fossero allattati esclusivamente al seno nei primi sei mesi
di vita, si stima che circa 1,5 milioni di morti infantili l’anno sarebbero evitate
e la salute e lo sviluppo di milioni di altri bambini sarebbero notevolmente
migliori”: per l’UNICEF e l’OMS l’allattamento esclusivo al seno è alla radice
della salute e dunque promuovere l’allattamento al seno nei reparti di mater­
nità e nei nostri ospedali, significa sicuramente promuovere la salute del bam­
bino e della mamma.
I benefici dell’allattamento per il bambino sono:
- riduzione dell’incidenza incidenza delle malattie infettive;
- riduzione del rischio di asma e allergie;
- miglioramento delle capacità psico-attitudinali del bambino come confermato
recentemente da uno studio in Danimarca [Vestergaard M. et al., 1999] che
evidenzia la relazione tra la durata dell’allattamento e lo sviluppo del cervello;
- protezione da meningite da haemophilus influenzae nei primi cinque-sei
anni di vita [Silvefverdal Sa., Bodin L., Olcen P., 1999];
- a lungo termine aumento della massa ossea e quindi minor incidenza di
osteoporosi in età adulta;
- riduzione dei rischi dell’obesità e del soprappeso.
I benefici per la mamma sono:
- nell’immediato post partum diminuzione dei rischi di emorragie;
- aumento dell’autostima materna e della fiducia nelle proprie capacità fisi­
che ed emotive [Locklin M., 1995], favorendo un’ottimale relazione madre
bambino;
- riduzione, a lungo termine, del rischio di tumore al seno [Furberg H. et al.,
1999], di cancro alle ovaie, di fratture al femore nelle donne oltre i 65 anni
che hanno allattato.
Naturalmente i benefici di una coppia madre bambino in salute, si trasmet­
tono all’intero nucleo famigliare e poi fino al tessuto sociale.
Dunque l’allattamento al seno ha dei benefici per l’intera società perché
può ridurre notevolmente le spese sanitarie, è ecologico in quanto risorsa
rinnovabile e naturale, non produce sprechi ed è economico.
Obiettivi
La nostra U.O. si pone come obiettivo quello di assicurare la riuscita
dell’allattamento al seno attraverso l’adozione del protocollo UNICEF; in que­
sto modo tutti gli operatori sanitari forniranno alle neo mamme informazioni
153
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
uniformi sull’allattamento e sostegno adeguati; e inoltre creare una rete di
supporto anche a livello territoriale mantenendo l’interazione con la struttura
ospedaliera.
Target
Operatori sanitari.
Donne in gravidanza e puerpere che si rivolgono alla nostra U.O.
Strumenti
-
Definire un protocollo scritto e farlo conoscere a tutto il personale sanitario.
Fornire a tutto il personale sanitario le competenze necessarie per attuarlo.
Informare tutte le donne in gravidanza sui benefici e le tecniche per allattare.
Aiutare le madri ad iniziare l’allattamento nella prima mezz’ora dopo il parto.
Attuare il rooming-in, ossia sistemare i neonati in stanza della madre 24 ore
su 24 durante la permanenza in ospedale.
- Non somministrare altri alimenti o liquidi diversi dal latte materno, tranne
su prescrizione medica.
- Non usare succhiotti o tettarelle durante il periodo dell’allattamento al seno.
- Favorire la creazione di gruppi di sostegno alla pratica dell’allattamento al
seno in modo che le madri possano rivolgersi e confrontarsi in tali gruppi.
Valutazione dei risultati
- Percentuale di allattamento esclusivo al seno alla dimissione delle puerpere.
- Distribuzione di questionari di valutazione dell’assistenza alle neomamme.
- Follow-up a distanza.
Conclusioni
Gli operatori sanitari sono fattori determinanti per il successo o il fallimento
dell’allattamento; infatti si è visto che un adeguato supporto da parte di opera­
tori motivati ed adeguatamente formati, incentiva notevolmente l’allattamento
materno, con tutti i benefici che ne conseguono.
Bibliografia
1. CHANG-CLAUDEJ, EBY N., KIECHLE M., BASTERT G., BECHER H., Breestfeeding and breast
cancer risk in young women”, British Medical Journal, 307, 1993, pp. 17-20.
2. FURBERG H. et al., Lactation And Breast Cancer Risk, “International Journal
of Epidemiology”, 28, 1999, pp. 396-402.
154
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
3. IBFAN, What scientific research says, “Ibfan action park”, 12, 1998.
4. LOCKLIN M., Telling the world: low income women and their breestfeeding
experiences, Jhumlact, 11(4), 1995, pp. 285-291.
5. SILVEFVERDAL SA., BODIN L., OLCEN P., Protective Effect of Breestfeeding: an
Ecologic Study of Haemophilus Influenzae Meningitis and Breestfeeding
in a Swedish Population, “International Journal of Epidemiology”, 28, 1999,
pp. 152-156.
6. UNICEF, Breestfeeding, the foundation for a healthy future, New York, august
1999.
7. VESTERGAARD M., O BEL C., HENRIKSEN T. B., SORENSEN H. T., Duration of
Breestfeeding and Developmental Milestones During The Latter Half of
Infancy, “Acta Paediatrica”, 88, 1999, pp. 1327-1332.
11.8. La “narrazione” dei sentimenti degli operatori come strumento
professionale nel lavoro sanitario in neonatologia e pediatria
NICOLETTA VINSANI (caposala Pediatria), MARIA CLAUDIA MENOZZI (Inf. Prof. Pe­
diatria), A VE LUPI (caposala Neonatologia), PAOLA C RISTOFORI (Inf. Prof.
Neonatologia), PIERGIUSEPPINA FAGANDINI (psicologa Dipartimento Materno In­
fantile) - Dipartimento Materno Infantile, direttore G. BANCHINI - Azienda Ospe­
daliera Arcispedale Santa Maria Nuova- Reggio Emilia
AUTORE REFERENTE: MARIA CLAUDIA MENOZZI, U.O. Pediatria, Azienda Ospedaliera
Arcispedale Santa Maria Nuova, Viale Risorgimento 80, 42100 Reggio Emilia
- e-mail: [email protected]
I percorsi formativi delle professioni di cura sono finora prevalentemente
improntate all’apprendimento di un sapere fondato sull’oggettività, le tecni­
che, l’operatività.
Soggettività, sentimenti e vissuti sono ritenuti quasi sempre un ostacolo alla
“professionalità” e perciò estromessi dalla formazione accreditata.
Gli operatori, sprovvisti di momenti formativi sulla gestione delle emozioni
loro e dei pazienti, si sono spesso “difesi” dall’affettività. I sentimenti hanno
così finito per essere un “non detto” delle professioni sanitarie, anche nelle
situazioni ospedaliere ad alta intensità emotiva come i reparti che ricoverano
neonati, bambini e adolescenti. Taciuti o negati, nascosti o repressi, ma pur
sempre presenti, i sentimenti hanno assunto forme diverse, talora manifestan­
dosi in modo distorto e non di rado deleterio sia per gli operatori (la nota
sindrome del burn-out) sia per gli utenti.
Il progetto è iniziato nel 1993 nell’U.O. di Neonatologia e nel 2000 nell’U.O.
di Pediatria ed è tuttora in corso. Lo scopo principale è quello di sperimentare
155
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
e attuare un percorso formativo orientato a formare figure professionali sani­
tarie in grado di operare nella gestione dello stress e dei conflitti relazionali, di
fornire sostegno e counselling in situazioni di gestione emotiva del dolore,
dei traumi, dei lutti. Il percorso formativo ha quindi l’obiettivo di:
- condurre gli operatori a considerare i sentimenti come un’opportunità e
una risorsa, una ricchezza indispensabile nelle situazioni del prendersi cura
soprattutto di neonati, bambini, adolescenti e delle loro famiglie;
- fornire strumenti che aiutino gli operatori a riconoscere i sentimenti, propri
e altrui, dare loro voce, educarli e gestirli perché non emergano disordina­
tamente, ma possano umanizzare la dimensione professionale.
Per raggiungere tali obiettivi si è pianificato l’utilizzo di 2 strumenti
metodologici qualitativi:
- Focus group, che sono stati effettuati mensilmente per due anni dall’équi­
pe infermieristica della pediatria per la discussione dei casi più problematici
ricoverati in reparto. In Neonatologia viene utilizzato dal 1993 il gruppo
mensile di discussione dei casi con il personale medico ed infermieristico
secondo il modello di Bion. In entrambi i percorsi è risultata sempre più
chiara la funzione del gruppo come luogo di confronto e contenitore del­
le angosciose e talvolta conflittuali situazioni che si creavano non solo tra
il personale e i genitori, ma anche all’interno del gruppo stesso degli ope­
ratori. Ambedue le modalità di lavoro di gruppo hanno evidenziato come
il trovare il tempo internamente per fermarsi a pensare, osservare, scrive­
re e discutere in gruppo, svolga un’importante funzione di contenimento
e modulazione del potenziale persecutorio dei vissuti emotivi che dilaga­
no nel lavoro quotidiano. Riflettere sull’esperienza emotiva dei piccoli e
dei genitori durante la degenza ha infatti permesso di riflettere anche sui
sentimenti degli infermieri e dei medici nel rapporto con i pazienti e con
i colleghi.
- Narrazione: l’espressione e la condivisione di sentimenti così forti, di soli­
to nascosti e/o negati, è possibile solo se non c’è il timore del giudizio e
se, accanto alla discussione in gruppo, si riescono a trovare altre modalità
di espressione (poesie, racconti, sogni, rappresentazioni teatrali, immagi­
ni fotografiche, disegni...). Hanno iniziato i genitori inviando lettere per
raccontare la loro esperienza in reparto. Gli operatori nel loro percorso di
crescita prima hanno iniziato ad osservare, hanno raccolto e condiviso i
racconti dei bambini, dei genitori e degli altri famigliari e poi si sono rac­
contati. Attraverso la narrazione è stato possibile esprimere comunicazio­
ni molto più complesse rispetto a quanto viene detto “nel gruppo” e con
una caratteristica di maggiore intimità, dialogo interiore fino all’uso del
linguaggio poetico. “Storie” raccontate su entrambi i versanti della rela­
156
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 11
zione di cura, quella degli operatori e quella degli utenti e le loro fami­
glie.
Conclusioni
La narrazione come dono della propria esperienza vissuta può diventare
ambito/strumento privilegiato per “l’ascolto” dei sentimenti e permette di ri­
considerare l’agire professionale nei suoi profondi e complessi significati
relazionali.
Riteniamo in questo modo alimentare una nuova cultura dei Servizi Sanitari
Ospedalieri che sappia assumere la vita emotiva nella professionalità. Questa
esperienza aumenta la consapevolezza che l’ospedale non può essere solo un
posto fisico per la cura, la malattia, la morte ma deve offrire anche un posto
della mente e nella mente per pensare la vita, la malattia e la morte.
157
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Parte III
Poster
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
160
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Sommario dei Poster
167
169
171
173
175
176
179
183
184
186
187
189
191
192
194
196
12.1. P. ANTONIOLI, F. ANZIVINO, E. CARLINI, Piano ferrarese per
l’emergenza caldo estivo 2004: un’esperienza di continui­
tà assistenziale
12.2 D. PROCICCHIANI, G.B. CAMURRI, R. ZOBOLI, Continuità assi­
stenziale e riabilitazione del paziente emiplegico
12.3. G. BORGHI, S. LOMBROSO, L. LUZZI, M. MARZEGALLI, G. POLVANI,
S. SCALVINI, Ospedale e territorio: una integrazione possi­
bile per alcune tipologie di pazienti cardiopatici
12.4. R. CERRI, C. DEVARDO, F. RIPA, M. RAVERA, P. PANARISI, Il caregiver
come risorsa per la gestione del paziente
12.5. B. VINASSA, R. VALFRÈ, P. GIULIANO, V. VOTTERO, C. GALOTTO, P.
SGUAZZI, Ospedale e territorio: il nostro legame e la nostra
continuità è il nostro assistito
12.6. C. PONZETTI, S. G. CALVETTO, L. IANNIZZI, E. ROVAREY, R. GRIMOD,
R. DAMÉ, G. GALLI, La continuità assistenziale nella rete HPH
della Valle d’Aosta: lo stato dell’arte
12.7. M. G. DE ROSA, L. BONAFEDE, A. TOSELLI, R. BONO, R. SALOMO­
NE, F. BORASO, Sviluppo di un sistema informativo volto al
monitoraggio della dimissione protetta nella ASL 17
12.8. R. BERTAMINI, E. VALDUGA, Integrazione ospedale /territorio
12.9. F. ROCCO, F. GADDA, S. CASELLATO, V. ORTOLANI, Progetto
“dimissione protetta”
12.10. A. GIGLIOBIANCO, S. CECCHELLA, Il percorso dimissioni protette tra ospedale e territorio in un distretto dell’azienda
USL di Reggio Emilia – il distretto di Guastalla
12.11. G. SACCHETTI, L. SACCHI, C. GREGARI, B. FACCHETTI, I. FINZI, A.
AMOROSI, Il Centro di salute e ascolto per le donne immi­
grate e i loro bambini: luogo di ricerca e di proposta di
cambiamenti organizzativi nei servizi materno infantili
12.12. A. FORACCHIA, A. VENTURINI, Integrazione tra i servizi territo­
riali e ospedalieri per le donne migranti a Reggio Emilia
12.13. G. BENAGLIA, A. VENTURA, A. BERTROZZI, C. VENTURA, Informa­
zione e formazione interculturale nella protezione della
madre e del bambino
12.14. A. FERRETTI, D. GIORGETTI, Pasti unici e pasti etnici in ospe­
dale
12.15. P. BORGOGNONI, P. FAGANDINI, M. RAVELLI, L. CERULLO, Attra­
versare confini
12.16. L. PASQUARIELLO, C. PONZETTI, M. MUSI, G. CARRARA, L. PLATI,
H. ZEN, R. ORIANI, B. DAGNES, Dal percorso formativo “Ver­
161
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
199
12.17.
201
12.18.
203
12.19.
205
12.20.
207
208
12.21.
12.22.
210
12.23.
210
12.24.
213
12.25.
214
12.26.
217
12.27.
219
12.28.
221
12.29
222
12.30.
so un ospedale senza dolore” dell’azienda USL Valle d’Aosta
alla gestione del paziente con dolore sul territorio
M. PESENTI CAMPAGNONI, A. CASTIGLION, O. TORRETTA, La com­
prensione del dolore e della sofferenza in ospedale: un pro­
getto di formazione del personale mediante osservazione
antropologica
L. CANAVACCI, E. MENONI, A.M. ALOISI, M.G. D’AMATO, A. GRASSO,
R. MARCHINI, M. GIACCHI, Assistenza e trattamento del dolore.
Uno strumento di indagine su conoscenze, atteggiamenti e
comportamenti di infermieri e medici
A. VENEZIANI, F. PICCA, S. MIGLIORINI, I. FRATI, V. FUSARI, A. APPICCIA­
FUOCO, Verso la creazione di un acute pain service nell’ambi­
to del progetto HPH “ospedale senza dolore”
L. COLONNA, C. SESTINI, M. CALAMAI, La rilevazione dei bisogni
formativi in tema di dolore: analisi delle risposte a un que­
stionario
S. SOTTILI, Ospedale senza dolore: l’esperienza continua
R. MASSEI, M. CANELLA, A. CAZZANIGA, L. FERRAIOLI, A. INVERNIZZI,
M. BOSIO, A. ZOLI, P. CALTAGIRONE, Il progetto ospedale senza
dolore come strumento di comunicazione aziendale
F. RIPA, A. DE LUCA, L. RESEGOTTI, P. ZAINA, La rete HPH Pie­
monte e Valle d’Aosta e “l’Ospedale senza dolore”
M. MONTEROSSO, G. ALBERTINI, M.G. ALLEGRETTI, B. BORTOLAMEOTTI,
D. CHIUSOLE, G.M. GUARRERA, F. DALLAPÈ, G. MENEGONI, B. PARODI,
D. PEDROTTI, C. PONTALTI, P. ROMITI, E. BALDANTONI, Ruolo del
comitato per l’ospedale senza dolore nel promuovere una
effettiva partnership tra professionisti e pazienti
L. ANGELINI, D. CRESPI, M. GALBIATI, M. G. MEZZETTI, C. RADICE, F.
RIZZI, L’ospedale senza dolore: promuovere una cultura per
migliorare il benessere del paziente
M.T. VITALE, M.E. LA GRASSA, D. COVA, E. COFRANCESCO, Le tecni­
che di rilassamento nella cura del dolore: reiki e paziente
oncologico anziano
A. BERNASCONI, A. CAVALERI, A. GAMBA, G. GENDUSO, N. MONZANI,
A. MORETTO, A. RAIMONDI, A. RUSSO, M. SALA, R. SPERANZA, L.
TUCCINARDI, A.VIRTUANI, Indagine conoscitiva sulla prevalen­
za del dolore nei pazienti ricoverati e su atteggiamenti e
conoscenze del personale sanitario
F. DALLAPÈ, B. BORTOLAMEOTTI, C. PONTALTI, M.G. ALLEGRETTI, G.M.
GUARRERA, G. MENEGONI, M. MONTEROSSO, B. PARODI, D. PEDROTTI,
P. ROMITI, E. BALDANTONI, Ruolo del comitato per l’Ospedale
senza dolore nel processo di adeguamento agli standard Joint
Commission International. L’esperienza di Trento
D. PEDROTTI, M. ALLEGRETTI, B. BORTOLAMEOTTI, F. DALLAPÈ, G.
GUARRERA, G. MENEGONI, M. MONTEROSSO, B. PARODI, C. PONTALTI,
P. ROMITI, E. BALDANTONI, Trattamento del dolore post – ope­
ratorio. Raccomandazioni del comitato per l’ospedale senza
dolore
A. SALVATERRA, E. ANESI, Emersione di una patologia sottodia­
gnosticata: la “sindrome delle apnee ostruttive nel sonno”;
162
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
224
12.31.
226
12.32.
228
12.33.
229
12.34.
230
12.35.
232
12.36.
233
12.37.
235
12.38.
237
12.39.
239
12.40.
240
12.41.
242
12.42.
245
12.43.
247
12.44.
249
12.45.
251
12.46.
253
12.47.
problematiche di asimmetria informativa e “governance”.
Esperienza di un ospedale distrettuale nel Trentino
S. ZILOCCHI, G.F. MININI, N. PELI, R. AVISANI, U. A. BIANCHI, S.
PECORELLI, Perineal care: un moderno programma di tutela
della salute della donna
E. BOTTACCHI, G. CORSO, M. PESENTI CAMPAGNONI, A. ANTICO,
C.ALLEGRI, C. PONZETTI, Integrazione ospedale / territorio ­
Prato: progetto assistenziale territorio ospedale per le ma­
lattie cerebrovascolari
R. VEDOVELLI, P. ABELLI, A. CAJELLI, R. AQUILANI, L’ospedale
che nutre bene: un progetto di qualità in riabilitazione
M. COSER, R. MERLO, E. PESARESI, La visita odontoiatrica nelle
scuole materne
M. P RANDINI , A. M IORELLI , L’ossigeno ventiloterapia
domiciliare in Provincia di Trento: un difficile equilibrio
tra salute e risorse
S. CAPRILLI, L. BENINI, F. MUGNAI, “Gli incontri con gli ani­
mali” all’Ospedale Pediatrico Meyer: valutazione della
realizzabilità del progetto
M. BRASI, S. CONCETTI, A. M. PIETRANTONIO, A. BARALDI, A.
ANANIA, Lo Stone Center dell’Ospedale di Carpi: modello
di percorso multidisciplinare centrato sulla persona per la
diagnosi, trattamento e prevenzione della calcolosi urinaria
N. VINSANI, T. PELLI, D. MANFREDI, La terapia del sorriso e
della comunicazione
E. MANICARDI, M. LINCE, M. GANASSI, Procedura per l’attiva­
zione di consulenza infermieristica per pazienti diabetici
U.O. EDUCAZIONE ALLA SALUTE e LEGA ITALIANA PER LA LOTTA CON­
TRO I TUMORI, Un’esperienza di teatro in ospedale “L’uomo
che smise di fumare”
A. ZANOBINI, Azioni di comunicazione per il sostegno al
governo clinico regionale - aprile-giugno 2004
M. CORDONI, G. MICHELI, F. PRATESI, A.M. BASSO, L. CIAMPI, E.
MUGNAINI, Modello di relazione-comunicazione HPH nell’ambito della prevenzione cardiovascolare
M. MARCUCCI, S. ARDIS, A. MERLI, G. DI QUIRICO, L. PULITI, A.
DI VITO, M. ROSSI, M. GIRALDI, Percorso formativo per i vo­
lontari del pronto soccorso
S. ARDIS, M. MARCUCCI, A. MERLI, G. DI QUIRICO, L. PULITI, A.
VINCENTI, M. DE GENNARO, M. GIRALDI, Persone a rischio di
discriminazione in ospedale: aiutiamole a difendersi
S. ARDIS, M. MARCUCCI, G. DI QUIRICO, L. PULITI, A. DI VITO, M.
ROSSI, M. GIRALDI, Aiuto ai familiari delle persone che acce­
dono al Pronto soccorso
A. BELFIORE, V. O. PALMIERI, G. PALASCIANO, Arte e cultura in
ospedale: l’esperienza della clinica medica “Augusto
Murri”, Policlinico, Bari
A. CAZZANIGA, L. FERRAIOLI, A. INVERNIZZI, M. BOSIO, A. ZOLI, P.
CALTAGIRONE, La prevenzione delle lesioni da decubito in
ambito ospedaliero, analisi delle Best Current Evidence
163
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
254
12.48.
257
12.49.
258
12.50.
259
12.51.
261
12.52.
263
12.53.
265
12.54.
266
12.55.
268
12.56.
269
12.57.
271
12.58.
273
12.59.
275
12.60.
Based ed elaborazione di un processo aziendale di preven­
zione
A. MARIANI, E. POGGI, C. BENEDETTO, A. FILIPPI, Empowerment
delle pazienti sottoposte a linfoadenectomia ascellare per
neoplasia mammaria
M. PARPANESI, P. SIRONI, Indagine conoscitiva sulle abitudini
al fumo dei dipendenti di reparti a rischio dell’Azienda
Ospedaliera di Cremona
R. ALBERTAZZI, D. CANDIOLI, Verifica della qualità percepita dal­
l’utente in un percorso di promozione della salute relativa
al trattamento riabilitativo della lombalgia
A. BOLOGNANI, M. FLORIANI, S. SCARAMUZZA, Progetto “Soprai­
mille”. Collaborazione tra Centro Salute Mentale e Società
degli Alpinisti Tridentini
M. ALBERTINI, M. CHIODEGA, A. FILIPPI, A. CAZZOLLI, D. GROTTOLO,
M. ROSA, B. PENASA, RAR: referente alcologico di reparto
L. CARMELLINI, A. SANNICOLÒ, A. FLAIM, F. CICCARONE, V. LEONI, M.
PRANDINI, Attuazione del sistema qualità: valutazione della
soddisfazione dell’utente presso un servizio di fisiopatologia
respiratoria- Dati preliminari
A. APPICCIAFUOCO, M. MANFREDI, P. MINALE, G. ERMINI, P. CAMPI,
C. MENICOCCI, C. TAZZER, A. ALESSANDRI, R. GUADAGNO, I. FRATI,
D. MAZZOTTA, R. BRUNETTI, R. PREDONZANI, F. SIMONELLI, P. MORELLO
MARCHESE, Progetto HPH interregionale “Allergia a scuola”:
verso la realizzazione di un sito web per adolescenti
V. BRUSAFERRO, F. BAZZANI, Y. KOOMEN, G. MATTEVI, F. MIORI, B.
VILLOTTI e A. SALVATERRA, Ruolo dell’educazione sanitaria nel­
la terapia dell’asma
D. COSTI, M. GARAMANTE, M. FERRARI, S. GALERO, G. ROSARIO, L.
CAMORANI, Il counselling infermieristico per l’informazione
terapeutica al paziente psichiatrico sugli psicofarmaci pre­
scritti
G. GUANDALINI, N. MAZZINI, Un servizio di informazione e va­
lutazione degli ausili tecnici come strumento di promozio­
ne della salute
S. CORTOPASSI, M. FILIERI, L. MORELLI, R. GUERRINI, A. D’ALESSAN­
DRO, I giovani del servizio civile quale risorsa nel processo
di accoglienza ospedaliera
A. APPICCIAFUOCO, G. RANDELLI, F. BUONO, D. BELLUCCI, A. MATUCCI,
G. MARIN, M. MANFREDI, P. CAMPI, A. MARTINI, C. RUSSO, Proget­
to HPH “Musica in Ospedale”: per la realizzazione di una
migliore accoglienza ed assistenza del paziente nel Nuovo
Ospedale di San Giovanni di Dio – ASL 10 Firenze
P. ABELLI, V. PARISI, P. LOMBARDI, P.G. MAGGI, R. VEDOVELLI, L.
MAGGI, G. GHIGNI, M. ZUCCHELLA, G. CAMPO, R. AQUILANI, La pre­
venzione primaria della malattia cardiovascolare: eccesso
di peso, alimentazione, attività fisica e lipidi ematici di una
popolazione di adolescenti.
164
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
277
279
280
282
283
285
287
288
290
292
294
296
298
299
301
302
304
12.61. D. MICHELLINI, A.M. FERRARI, C. CAMPARI, Alimentarsi bene per
crescere meglio: risultati finali
12.62. S. BOSI, A.M. FERRARI, S. DE FRANCO, R. BOSI, R. CAVALLI, G.
AZZARONE, M. PEDRONI, C. SPAGGIARI, R. TOFFANETTI PANNELLA,
O. MALVONI, Le vie del Fumo
12.63. D. MICHELLINI, A.M. FERRARI, C. CAMPARI, Alimentarsi bene per
crescere meglio: comunicare come?
12.64. P.A. MILANI, S. CAMPETELLA, P.A. LOMBARDI, P.G. MAGGI, A.
ZANCAN, P. ROVATI, L. SONETTI, T. BRIGADA, C. RAMPINI, F. CATA­
NIA, R. AQUILANI, La promozione della salute nell’anziano:
riduzione del rischio di caduta
12.65. F. CARBONARO, A. MATTUZZI, G. BELLANTE, B. DE MORI, A.
BERNARDI, Intervento di sensibilizzazione sulla malattia
diabetica rivolto alla cittadinanza: esperienza di 6 anni
12.66. C. SPAGGIARI, S. BOSI, A. M. FERRARI, “Baby no smoke”. Pro­
getto sperimentale pediatri di famiglia
12.67. L. DONATI, Dal progetto “Conoscere il consultorio”
12.68. M. ANFOSSO, Progetto Vita
12.69. M.G. BAÙ, V. DONVITO, E. MAZZOLI, C. PERIS, C. PICCO, G. POP­
PA, Donne in ospedale: S. Anna- focus sulle pari opportu­
nità attraverso la sensibilizzazione
12.70. E. AGOSTI, P. GROSSO, G. GULINO, D. LEVI, T. LUBRANO, M. PAIN,
C. PONZETTI, Esperienza di una ricerca/azione. La WHP in
un’azienda sanitaria
12.71. F. SIMONELLI, A. ZAPPULLA, K. MAJER, M. J. CALDÉS PINILLA, C.
TEODORI, La formazione come opportunità di sviluppo
organizzativo della rete HPH
12.72. L. ROSSETTI, G. MAGNANI, D. MILANI, I. PO, A. M. PIETRANTONIO,
C. CARAPEZZI, R. BONATTI, S. CENCETTI, Dalla esperienza di
confronto con la sofferenza, alla proposta di una cultura
di salute
12.73. S. ARDIS, M. MARCUCCI, A. MERLI, G. DI QUIRICO, L. PULITI, A.
VINCENTI, E. GAMBOGI, D. BEVILACQUA, M.A. MALERBI, M. GIRALDI,
R. GOTTARDI, Ignoranza: un terreno fertile per la discrimi­
nazione in sanità
12.74. R. GAGNO, Realizzazione eventi pubblici di promozione
ed educazione alla salute
12.75. A. M.CIRLA, R. FAZIOLI, L. GALLI, C. MEINECKE, Esperienza di
promozione della salute durante il lavoro infermieristico.
Ergomotricità per la prevenzione dei disturbi muscolosche­
letrici
12.76. N. PULERÀ, G. MATTEELLI, A. SCOGNAMIGLIO, A. SANTOLICANDRO,
Confronto tra popolazione generale e dipendenti ASL
afferenti ad un centro antifumo: l’esperienza del “Centro
per il trattamento e la prevenzione dei danni indotti dal
fumo di tabacco” di Livorno
12.77. G. GADDOMARIA, D. COSTI, L. TAGLIABUE, Il progetto gestione
del rischio nel dipartimento di salute mentale di Reggio
Emilia
165
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
306
307
310
311
314
12.78. G. MORINI, D. COSTI, A. PINOTTI, M. POLETTI, La documentazione
di qualità del dipartimento salute mentale come supporto alla
valutazione e gestione dei rischi lavorativi
12.79. R. ROSSO, Il Sistema Qualità nell’Azienda Ospedale Università
San Martino di Genova
12.80. M. C. AZZOLINA, I. M. RACITI, R. ARIONE, P. PANARISI, Paziente onco­
logico e continuità assistenziale
12.81. A. BRANDI, P. GIOACHIN, R. MARILLI, Linee guida aziendali sulla
prevenzione delle cadute nel paziente anziano: risultati di una
sperimentazione
12.82. S. CORONA, M. CASTELLETTO, La promozione della salute attraverso
una campagna di comunicazione sul diabete mellito. L’esperienza
dell’Azienda per i Servizi Sanitari n. 6 “Friuli Occidentale” ­
Pordenone.
166
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Poster
12.1. Piano ferrarese per l’emergenza caldo estivo 2004: un’esperienza
di continuità assistenziale
P. ANTONIOLI1, F. ANZIVINO2, E. CARLINI1 - 1Direzione Medica di Presidio, 2U.O. di
Geriatria. Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara, in collaborazione
con: Assessorato alla Sanità e Servizi alla Persona-Comune di Ferrara, Azienda
USL di Ferrara, Associazioni di Volontariato “AUSER, ARCI, ACLI, CRI”
AUTORE REFERENTE: PAOLA ANTONIOLI, Azienda Ospedaliera Universitaria di
Ferrara, Corso Giovecca 203, 44100 Ferrara - tel.: 0532 236210/288, fax:
0532 236588, e-mail: [email protected]
Condizioni naturali di elevata temperatura hanno un impatto sulla salute ben
più grave nelle persone anziane, in condizioni di salute precarie e con ridotte
capacità individuali, familiari e sociali di fronteggiare situazioni difficili. In con­
siderazione delle condizioni climatiche particolarmente pesanti osservate an­
che nella nostra Provincia nell’estate 2003 e dei dati epidemiologici di morbilità
e mortalità relativi, in particolare, al periodo giugno-agosto 2003, è stato predi­
sposto il Piano per l’Emergenza Caldo Estivo per coordinare tutti gli interventi
socio-assistenziali per i cittadini anziani residenti nel Comune di Ferrara.
Il Gruppo target di riferimento è stato identificato sulla base dei seguenti
criteri: residenza nel Comune di Ferrara, età > 75 anni, essere affetti da malat­
tie cardiovascolari, respiratorie, neurologiche, diabete, neoplasie e/o essere
portatori di disabilità e/o essere in una situazione abitativa precaria e/o non
avere parenti/persone di riferimento e/o non essere seguiti dai servizi territo­
riali sociali o sanitari.
Il Piano prevede alcune tappe di sorveglianza ed intervento che possono
essere così schematizzate:
Fase della rilevazione del bisogno: costruzione di un sistema in grado di
segnalare le persone che sono più a rischio sia per problematiche sociali che
sanitarie. I canali di informazione-segnalazione possono essere vari ma, nella
maggioranza dei casi, sono identificabili nei MMG, nei Centri Sociali e nel
Servizio Sociale del Comune.
Fase della telesorveglianza: è affidata alle Associazioni del “Volontariato” che
mettono in atto un controllo periodico (uni o plurisettimanale) in cui, attraverso
un questionario, valuta se insorgono possibili problemi assistenziali.
167
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Fase dell’intervento diretto: qualora nell’intervista telefonica insorgessero
dubbi sulla appropriatezza delle risposte, il volontariato concorda con l’uten­
te, dove possibile, una visita a domicilio, secondo uno schema di valutazione
standardizzato in una apposita scheda. Si possono ipotizzare alcune situazio­
ni tipiche:
- La situazione appare tranquilla per cui si concorda di proseguire con la
telesorveglianza.
- Vi sono elementi di dubbio per cui si concorda un’altra visita a breve termi­
ne (1-2 giorni).
- Si rileva una situazione diversa dal passato e preoccupante per cui si coin­
volge il MMG per un controllo clinico a domicilio ed eventualmente, con
lui, si valuta la necessità di attivare l’Unità di Valutazione Geriatrica (UVG)
territoriale.
- Solo se la situazione fosse veramente critica si attiva l’emergenza territoria­
le, tramite il 118, per l’eventuale ricovero.
Fase del ricovero: è la soluzione che deve essere riservata nei casi in cui la
precarietà della situazione o clinica o di abbandono sociale renda non gestibile
la persona a domicilio. Anche in questo caso le strategie sono differenziate e
graduali:
- Ricovero in Centro Diurno;
- Ricovero in Casa Protetta (ricoveri di sollievo);
- Ricovero in Ospedale.
Ricovero in Ospedale: è stata definita una procedura per il ricovero di que­
sti pazienti che prevede in sostanza:
- una corsia preferenziale di accesso al PS;
- l’occupazione dei posti letto liberi nelle varie medicine ma con visita, in
tempi stretti, dell’UVG-Ospedaliera per valutare la dimissibilità;
- l’apertura di uno o due reparti chiusi nel periodo estivo che saranno dedi­
cati esclusivamente a tali pazienti.
In ogni caso questi pazienti saranno seguiti con un programma di
monitoraggio e di dimissione protetta o a domicilio o in strutture residenziali
(RSA e Case Protette).
Tutti gli operatori coinvolti, in particolare i soggetti deputati alla telesorveglianza
e al controllo domiciliare, parteciperanno a specifici momenti formativi.
Per valutare l’efficacia del sistema, sono stati posizionati negli snodi critici
indicatori “di necessità”, finalizzati a cogliere i bisogni della popolazione target
e l’appropriatezza della risposta fornita dal sistema.
Grazie al contributo di tutti gli attori coinvolti nel Piano è stato possibile
realizzare un approccio sistemico di intervento e risposta ai bisogni della po­
polazione anziana a fronte di un problema particolarmente rilevante per le
conseguenze registrate. Da sottolineare il valore aggiunto legato alla
metodologia di intervento applicata.
168
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.2. Continuità assistenziale e riabilitazione del paziente emiplegico
D. PROCICCHIANI, G. B. CAMURRI, R. ZOBOLI - Unità Operativa di Recupero
Rieducazione Funzionale (direttore: dott. G. B. Camurri) Ospedale S. Maria
Nuova di Reggio Emilia
AUTORE REFERENTE: DONATELLA PROCICCHIANI, RRF Ospedale S. Maria Nuova, Viale
Risorgimento 80, 42100 Reggio Emilia – tel.: 0522 296163, fax: 0522 296266,
e-mail: [email protected]
La nostra unità operativa tratta, in regime di degenza, circa 300 pazienti l’anno.
Di questi, il 40% sono emiplegici per un ictus cerebrale recente. Per questi pazien­
ti, che sono i più gravi della nostra casistica, dalla fine degli anni ‘90, abbiamo
cominciato a riflettere su come migliorare la preparazione della dimissione.
Spesso la riabilitazione in regime di degenza ospedaliera dei soggetti
emiplegici lavora in un setting protetto e autoreferenziale, dal quale è esclusa
ogni relazione con l’esterno. Ci si accontenta che il paziente sia clinicamente
stabile e recuperi alcune abilità, in particolare camminare con l’aiuto della
fisioterapista. L’autonomia personale è poco curata, i rapporti con la famiglia
sono occasionali, la prognosi di recupero è imprecisa e tardiva, la dimissione
è decisa e comunicata in maniera affrettata, ci si dimentica degli ausili che
saranno necessari a casa. Nessuno si sente responsabile della futura qualità di
vita del paziente e della sua famiglia. Fino a pochi anni fa, anche se con cre­
scente disagio, questo era anche il nostro modo di lavorare.
Tra i motivi che ci spingevano al cambiamento c’erano il malessere degli
operatori e la conflittualità con la famiglia al momento della dimissione. Molto
ha influito anche l’insistenza della letteratura in lingua inglese sulla necessità
di cominciare a organizzare la dimissione fin dal momento dell’ingresso. Da
queste sollecitazioni è iniziato, nel 2001, il nostro progetto di miglioramento
della preparazione della dimissione.
Il progetto si propone l’obiettivo di facilitare la dimissione discutendo in
anticipo i problemi che il paziente e la famiglia avranno a casa.
Gli indicatori individuati sono:
- la riduzione dei tempi di degenza,
- l’aumento della percentuale dei dimessi a domicilio,
- la riduzione della conflittualità con le famiglie.
Come riferimento di baseline utilizziamo il 2000, l’ultimo anno intero prima
dell’inizio dell’azione di cambiamento.
Il gruppo di pazienti target del progetto sono gli emiplegici, perché sono i
più gravi, sono numerosi, restano ricoverati a lungo e consumano circa la
metà delle nostre risorse.
169
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Il principale intervento organizzativo è stato la costituzione di un team
interdisciplinare in cui gli operatori condividono valori e obiettivi: la restituzio­
ne dell’autonomia al paziente e il raggiungimento della migliore qualità di vita
possibile. Di conseguenza, già al momento dell’ingresso, serve una prognosi
funzionale precisa sul livello di autonomia previsto alla dimissione. Per misura­
re obiettivi e risultati, e scambiare informazioni abbiamo adottato scale di valu­
tazione. Esistono riunioni periodiche del team per la preparazione di progetti e
obiettivi e per la loro successiva verifica. Abbiamo posto molta enfasi sul recupero
di tutte le abilità personali: camminare, lavarsi, vestirsi, andare in bagno, parla­
re, scrivere, uscire, riprendere i rapporti con il lavoro, la famiglia e gli amici.
Coinvolgiamo le famiglie fin dall’ingresso, ascoltando le loro preoccupazioni e
rispondendo alle loro domande. Per i pazienti privi di un sufficiente sostegno
familiare, richiediamo, molto precocemente, la collaborazione delle assistenti
sociali. La data della dimissione viene concordata con almeno due settimane di
anticipo, sono prescritti gli ausili necessari a casa. Inoltre, coloro che lo deside­
rano vanno a casa per il weekend. Dopo la dimissione seguiamo il paziente con
un trattamento ambulatoriale per alcune settimane.
Nel 2000, anno di baseline per il nostro progetto, la durata della degenza si
poteva considerare buona, mentre la percentuale di dimessi a domicilio era
bassa. I risultati, in termini di riduzione dei tempi di degenza e aumento dei
dimessi a domicilio, già visibili nel 2001, sembrano consolidarsi negli anni
successivi.
Tab. 1
numero pazienti
età media
durata degenza
% dimessi a domicilio
2000
118
74,3
37,5
78,4
2001
127
72,4
33,6
83,7
2002
137
73,0
28,0
88,9
2003
144
69,8
27,3
87,3
I reclami, già pochi in precedenza, sono ora azzerati. Si prevede di attuare
un’indagine qualitativa per conoscere e capire meglio le esigenze, le difficol­
tà, le aspettative, il punto di vista dei pazienti e dei loro familiari e il loro
gradimento sull’attività svolta dal team. Lo strumento adottato sarà quello del­
l’intervista semistrutturata, che consente un livello di approfondimento mag­
giore, un rapporto diretto con l’intervistato e può fornire elementi in grado di
guidare interventi futuri di miglioramento.
Conclusioni: il progetto ha conseguito buoni risultati fin dai primi anni.
Con la durata della degenza si sono ridotti i costi, senza riduzione dei
risultati misurati dalle scale di valutazione. Constatiamo un aumento del­
la soddisfazione delle famiglie, e in generale un clima più sereno per i
170
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
pazienti e gli operatori. Le famiglie si sono mostrate più collaboranti del
previsto e reagiscono positivamente quando si vedono ascoltate e aiuta­
te. Di contro, per alcuni operatori questo modo di lavorare risulta troppo
impegnativo, sia da un punto di vista fisico che emozionale. Alcuni di
essi, con noi all’inizio, hanno preferito chiedere il trasferimento e rinun­
ciare.
12.3. Ospedale e territorio: una integrazione possibile per alcune tipologie
di pazienti cardiopatici
G. BORGHI1, S. LOMBROSO2, L. LUZZI3, M. MARZEGALLI4, G. POLVANI5, S. SCALVINI6 ­
1
Regione Lombardia D.G. Sanità/CEFRIEL; 2A.O. Busto Arsizio; 3Regione
Lombardia D.G. Sanità; 4A.O. San Carlo Milano; 5IRCCS Fondazione
Cardiologico Monzino Milano; 6IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri
Gussago
AUTORE REFERENTE: GABRIELLA BORGHI, U.O. Programmazione Direzione Genera­
le Sanità Regione Lombardia, Via Pola 9/11, 20124 Milano – tel.: 02­
67653325, fax: 02-67653128, e-mail: [email protected]
Contesto
Partendo dalla situazione epidemiologica attuale dei pazienti post acuti che
presentano ampie situazioni di cronicità o necessità di riabilitazione, si è volu­
to sperimentare e valutare modelli assistenziali al domicilio dei pazienti, qua­
le valore aggiunto rispetto al ricovero in ospedale.
La Regione Lombardia, basandosi su alcune iniziative presenti sul territorio,
ha attivato, nel dicembre 2002, il progetto CRITERIA (Confronti fra Reti Integrate
TEcnologiche per gestire a domicilio pazienti post acuti e cronici – RIcerca
Applicata), che ha cofinanziato nell’ambito dei progetti di ricerca del Ministe­
ro della Salute.
CRITERIA1 sperimenta due innovative modalità di gestione al domicilio di pa­
zienti cardiopatici:
- Ospedalizzazione Domiciliare Riabilitativa postcardiochirurgica;
- Telesorveglianza Sanitaria domiciliare.
Obiettivi
Elaborare due percorsi sanitari appropriati utilizzando modalità assisten­
1
Si veda: http://www.sanita.regione.lombardia.it/ricerca_progetti/ministeriali/progetto_criteria.pdf
171
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
ziali alternative al ricovero ospedaliero, garantendo continuità assistenziale ai
pazienti e ponendosi come alternativa valida in termini di:
a) cura, con riduzione delle riammissioni o delle giornate di degenza;
b) miglioramento della qualità di vita del paziente che è messo in grado di
restare nel proprio ambiente sociale e di relazione;
c) miglioramento della qualità dell’assistenza (grado di soddisfazione
dell’utenza e degli operatori);
d) risparmio di risorse, basato anche sull’utilizzo delle nuove tecnologie
biomedicali e dell’informazione. Ulteriore obiettivo: valutare le tariffazioni
sperimentali indicate a livello iniziale di progetto, affinché tali percorsi pos­
sano essere introdotti a regime.
Per ognuno dei modelli di gestione è stato definito, congiuntamente dai
partecipanti a CRITERIA, un protocollo clinico condiviso, ed elaborato un per­
corso sanitario appropriato ed in rete che utilizza anche la telemedicina.
1. Ospedalizzazione Domiciliare Riabilitativa post cardiochirurgica - per una
durata di non più di 28 giorni per 200 pazienti. Gli IRCCS Cardiologico
Monzino e Fondazione Maugeri seguono pazienti rispettivamente nelle aree
di Milano e Brescia.
Il percorso, con il supporto di un telemonitoraggio su ECG, consente di
dimettere il paziente e di continuare a seguirlo verificandone i parametri
funzionali dal domicilio. Al protocollo sono ammessi pazienti operati di
bypass aorto-coronarico e/o di correzione di patologia valvolare che ri­
spondano a predefiniti criteri, quali ad esempio: profilo di rischio
preoperatorio Euroscore compreso tra 0 e 10; assenza di complicanze, va­
lori di emoglobina maggiori o uguali a 8,5; ecc...; oltre alla presenza di un
adeguato contesto abitativo e di un familiare. Al paziente, dimesso dopo 3­
4 giorni dall’intervento, viene consegnato un elettrocardiografo
transtelefonico monotraccia con il quale invierà un tracciato giornalmente
o in caso di disturbi. Il percorso ha una durata minima di 15 giorni e massi­
ma di 28. Il programma riabilitativo domiciliare prevede standard minimi
di servizio in termini di accessi domiciliari di medico, fisioterapista, infer­
miere.
2. Telesorveglianza Sanitaria Domiciliare - per una durata di sei mesi per
300 pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico. Gli IRCCS Maugeri e
Monzino, nonché l’A.O. di Busto Arsizio seguono pazienti rispettivamente
nelle aree di Brescia, Milano e Busto Arsizio.
Il numero di pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico è in continua cresci­
ta nei paesi occidentali. CRITERIA propone, per questi pazienti medio gravi, un
programma domiciliare basato su un telemonitoraggio attraverso ECG
monotraccia e l’assistenza di personale infermieristico di riferimento. I pazienti
ammessi devono avere una diagnosi di scompenso cardiaco (classi NYHA II-IV)
172
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
ed un ricovero ospedaliero nei precedenti sei mesi. Il reclutamento può avveni­
re sia da parte del MMG sia da parte dell’ospedale in fase di dimissione, con
consenso del paziente ed accordo del MMG. Il paziente riceve un apparecchio
per l’invio transtelefonico dell’ECG monotraccia che viene inviato ad Centro Ser­
vizi, operante 24/24 h per 365 giorni annui, che lo pone in collegamento con
l’infermiera tutor e con l’equipe cardiologica ospedaliera a cui trasmette anche
altre variabili fisiologiche quali peso, diuresi, temperatura, e sintomatologia.
Le informazioni sul paziente sono utilizzabili in linea e sono accessibili sia
all’ospedale che al MMG. Il servizio vuole ridurre le instabilizzazioni della
malattia e conseguentemente le riospedalizzazioni, nonché gli accessi impro­
pri al Pronto Soccorso.
Infine poiché la Fondazione Maugeri (www.fsm.it) e il Centro Cardiologico
Monzino (www.cardiologicomonzino.it) operano con due differenti Centri
Servizi (HTN e MEDICALL), il Cefriel (www.cefriel.it) svilupperà un applicativo
web per rendere comuni e disponibili le informazioni di progetto.
Risultati: coinvolti ad oggi circa 150 pazienti. Il Cergas (Università Bocconi)
condurrà la valutazione del progetto che ci si augura possa confermare i primi
dati di gradimento dei pazienti per queste modalità di cura.
12.4. Il caregiver come risorsa per la gestione del paziente
R. CERRI, C. DEVARDO, F. RIPA, M. RAVERA, P. PANARISI - ASO San Giovanni Battista Torino
Introduzione
La riduzione delle giornate di degenza indotta dall’attenzione all’efficienza
produttiva derivata processo di aziendalizzazione ha portato alla conseguen­
te contrazione del tempo di ricovero, ma la famiglia non sempre è preparata
ed è in grado di gestire le dimissioni precoci, soprattutto per i pazienti che
necessitano di proseguire le cure o di assistenza al domicilio. Nel 2003 la no­
stra azienda ha peraltro trasferito 274 pazienti in dimissione protetta, una strut­
tura aziendale dove sono ricoverate persone che per problemi sociosanitari
non possono rientrare direttamente al proprio domicilio.
L’attuale discrepanza fra bisogno assistenziale e risorse disponibili suggeri­
sce di coinvolgere maggiormente l’entourage del paziente nell’assistenza. D’al­
tro canto i pazienti con patologie croniche irreversibili oggi sono inseriti in un
sistema di cure dove la distribuzione del lavoro, delle attività e delle responsa­
bilità è organizzata in sottosistemi omogenei (cure ospedaliere, cure domiciliari,
cure residenziali) non sempre fra loro interagenti ed integrati.
Il paziente nel suo percorso può passare da un sistema ad un altro rischian­
do di perdere i propri riferimenti terapeutici ed assistenziali. Il disorientamento
173
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
prodotto può portare l’utente alla richiesta di ricovero inappropriato. L’A.S.O.
può contribuire allo sviluppo di un programma di gestione globale che superi
la divisione settoriale esistente, contribuendo con le proprie risorse al sistema
integrato di supporto assistenziale per l’utente curato nel proprio ambiente
familiare; da questa considerazione è nato un progetto sperimentale.
Obiettivo
Gli obiettivi del progetto si concretizzano nel valorizzare il ruolo della fami­
glia e del caregiver nel sistema aziendale, utilizzarli come risorsa nella gestio­
ne del paziente con problemi cronici invalidanti, facilitare il processo di inte­
grazione fra ospedale e territorio.
Sviluppo del progetto
Per la realizzazione del progetto sono state coinvolte le Strutture aziendali
che maggiormente inviano i pazienti alle cure domiciliari o in RSA: Oncologia
Medica, Endocrinologia Oncologica, Geriatria, Radioterapia.
Il progetto si configura sul modello plan, do, check, act e si articola nei
seguenti aspetti:
- individuazione dei momenti assistenziali utili al training del caregiver at­
traverso la valutazione del percorso assistenziale dei pazienti
- definizione del percorso di training del caregiver
- raccolta delle procedure e dei protocolli consolidati ed utili per la forma­
zione del caregiver
- stesura della lista di controllo per l’attuazione della fase sperimentale
La sperimentazione avrà luogo a partire dal mese di luglio.
Valutazione
Il progetto sarà valutato attraverso:
- il livello di raggiungimento degli obiettivi assistenziali previsti dai training
- il grado di soddisfazione del parente e/o della figura di riferimento
Considerazioni ulteriori
L’impatto positivo del progetto sulle Strutture aziendali e la sua diffusione
potrà ridurre le richieste improprie di ricovero per i pazienti dimessi dalle
nostre strutture e le consulenze informali e formali richieste dai parenti che
assistono i propri familiari al domicilio. Ma soprattutto potrà rappresentare un
valore aggiunto per i pazienti e per gli stessi famigliari, che potranno global­
mente partecipare in modo integrato al processo di diagnosi e cura.
174
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.5. Ospedale e territorio: il nostro legame e la nostra continuità è il
nostro assistito
B. VINASSA, R. VALFRÈ, P. GIULIANO, V. VOTTERO, C. GALOTTO, P. SGUAZZI - Distretto 3
Orbassano (To)
AUTORE REFERENTE: BARBARA VINASSA, ASL 5 Orbassano, via Papa Giovanni XXIII
9, 10043 Orbassano (To) – tel.: 011 9036460, fax: 011 9036462, e-mail:
[email protected]
L’esigenza di garantire la continuità dell’assistenza sanitaria anche successi­
vamente al ricovero ospedaliero prevede l’utilizzo di appropriati modelli or­
ganizzativi, da utilizzare nella fase precoce di dimissione, concordati tra strut­
ture ospedaliere e strutture territoriali.
Tali modelli si debbono basare su una corretta valutazione delle necessità
assistenziali post-ricovero del paziente in dimissione da parte del personale
ospedaliero e sulla messa a disposizione di idonei interventi di sostegno, con­
cordati con la struttura ospedaliera, da parte delle strutture territoriali.
Situazione di avvio
L’ASL 5 in questi ultimi anni si è adoperata per affrontare, con competenza
ed efficacia, le situazioni di bisogno che si possono prefigurare e che più
frequentemente rappresentano la problematicità che l’organizzazione
ospedaliera in accordo e collaborazione con la realtà assistenziale territoriale
deve operare a risolvere: pazienti con bisogni sanitari ospedalieri residui, pa­
zienti autosufficienti con bisogni sanitari NON ospedalieri, pazienti NON
autosufficienti con bisogni sanitari NON ospedalieri, pazienti autosufficienti con
bisogni socio-assistenziali.
Obiettivo
Perfezionamento delle procedure organizzative già in atto anche mediante
la codificazione del programma immaginato e coinvolgimento dell’ASO S. Luigi
Gonzaga in una definizione di DIMISSIONE PROTETTA.
Strategie
È prevista la stesura di una serie di documenti volti ad una maggiore infor­
mazione al paziente e famigliari dei percorsi già programmati, ad un migliora­
mento della trasmissione di informazione delle caratteristiche assistenziali
dell’utente tra Ospedale e Territorio, ad un maggior coordinamento e
condivisione rispetto al bisogno del ricoverato tra Direzione Sanitaria e Con­
175
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
sorzio Socio-Assistenziale di riferimento ed anche ad una raccolta di dati circa
le condizioni abitative/economiche, della convivenza del paziente al momen­
to del ricovero per dare la possibilità agli Operatori di meglio programmare le
esigenze di dimissione.
Metodologia
Creazione di un tavolo di lavoro composto da gruppo progettuale HPH
“DIMISSIONI PROTETTE” dell’ASL 5 e dalla Direzione Sanitaria dell’ASO S. Luigi
che avrà il compito precipuo di analizzare le specifiche realtà operative e di
produrre i documenti di cui sopra.
Risultati
Il tavolo di lavoro si è riunito tre volte ed ha messo a punto:
A) Modulo Autocertificativo da somministrare al momento dell’accettazione
al ricovero contenente informazioni utili alla lettura del bisogno in ordine
alle modalità di dimissione (caratteristiche strutturali domicilio, conviven­
za, reddito).
B) Opuscolo Illustrativo dei percorsi da intraprendere, a seconda del biso­
gno, da consegnare al momento del ricovero al paziente e/o ai famigliari.
12.6. La continuità assistenziale nella rete HPH della Valle d’Aosta: lo stato
dell’arte
C. PONZETTI (Direttore Sanitario); S. G. CALVETTO, L. IANNIZZI, E. ROVAREY (Diret­
tori di Distretto); R. GRIMOD, R. DAMÉ (Coordinatrici Territoriali delle professio­
ni sanitarie); G. GALLI (Responsabile Area Comunicazione e Coordinatore
Regionale Rete HPH) - Azienda USL Valle d’Aosta
Lo sviluppo dei rapporti tra Ospedale e Territorio nella Regione Valle d’Aosta
al fine di garantire una ottimale continuità assistenziale è, storicamente, uno
degli obiettivi del Servizio Sanitario Regionale la cui priorità è stata affermata
sia dagli ultimi due Piani Sanitari Regionali sia dai Piani di Attività Aziendali
del recente quinquennio.
Gli strumenti riconosciuti come fondamentali sono stati individuati nella
presa in carico territoriale, la dimissione protetta, l’assistenza domiciliare, il
coinvolgimento partecipativo delle componenti professionali, il coinvolgimento
costante e continuo del livello regionale.
La Regione Valle d’Aosta ha un’unica Azienda USL, che gestisce l’attività sia
ospedaliera sia territoriale, finanziata su base budgetaria per il raggiungimento
176
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
dei livelli essenziali di assistenza e per la messa in pratica di progetti regionali;
l’accordo di programma viene siglato tramite la stipula annuale del Piano
Attuativo Locale (PAL) che definisce obiettivi, standard, livelli di performance
e strumenti di misura.
I servizi sociali vengono direttamente erogati dall’Assessorato alla Sanità/
Salute e Politiche Sociali della Regione che quindi assume anche la compo­
nente gestionale dei servizi resi al cittadino.
Questa molteplicità di attori ha creato nel tempo alcune criticità relative
principalmente alla condivisione del metodo di lavoro, la definizione delle
competenze, la sovrapposizione dei ruoli in alcuni ruoli e processi.
La necessità della condivisione dei percorsi ha indotto l’Azienda Sanitaria
ha sviluppare una nutrita serie di progettualità che si sono concretizzate nel
corso di quest’anno in merito alla dimissione protetta ed ai profili di cura con­
divisi.
Progetto Integrazione
L’integrazione tra ospedale e territorio, è una condizione indispensabile al
fine di garantire la continuità delle cure a domicilio e in struttura residenziale
o semiresidenziale facilitando le dimissioni precoci e riducendo i tempi di
degenza.
Obiettivi primari
- Garantire la continuità assistenziale sanitaria e socio sanitaria in un ottica
integrata al fine di ridurre i tempi di ricovero e facilitare le dimissioni pre­
coci.
- Favorire il mantenimento dei soggetti presso il proprio domicilio attraver­
so lo sviluppo e la diffusione dei servizi domiciliari, in particolare in forma
integrata, contrastando il ricorso alla istituzionalizzazione e con un indub­
bio vantaggio per la qualità della vita.
- Mettere in atto una fattiva collaborazione sia in termini di coordinamento
formale che di sostanziale integrazione degli interventi, tra i diversi ambiti
assistenziali sanitari (ospedalieri e territoriali) ed i servizi sociali delle Re­
gione Valle d’Aosta.
Obiettivi secondari
- Migliorare e ampliare le conoscenze tra ospedaliere e territorio attraverso
l’informazione e la formazione.
- Condividere tra gli Enti e tra i professionisti, le procedure applicative
al fine di favorire la continuità assistenziale sia in struttura residenzia­
177
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
le sia a livello domiciliare (ADI), utilizzare strumenti comuni e condi­
visi.
- Individuare gli utenti a rischio sociale attraverso l’uso di indicatori e scale
di valutazione per facilitare le dimissioni.
- Formulare progetti individualizzati, che coinvolgono gli operatori
ospedalieri, territoriali, i degenti ed i loro famigliari già durante il ricovero
per permettere l’individuazione di soluzioni idonee per garantire la conti­
nuità delle cure.
- Facilitare la comunicazione tra i vari operatori e tra i MMG, dal territorio
all’ospedale e viceversa.
Progetto Profili di cura
I profili di cura o percorsi diagnostico - terapeutici sono piani interdisciplinari
mirati a definire la migliore sequenza di azioni (gestione integrata), nel tempo
ottimale, degli interventi assistenziali, rivolti a target specifici di pazienti, cioè a
quelli con particolari diagnosi o che possono richiedere procedure specifiche.
La gestione integrata tra Medici di Medicina Generale (MMG), Pediatri di
Libera Scelta (PLS) e la Struttura Specialistica, in tutte le situazioni cliniche, ma
in particolare nel disease management di una patologia cronica, richiede pri­
ma di tutto una condivisione di obiettivi. Questa è possibile dopo che i vari
attori del procedimento si siano confrontati in più riprese e dove si siano det­
tati degli obiettivi di buona pratica clinica, definiti con i criteri della EBM.
Al fine di elaborare un progetto operativo la filosofia che deve spingere le
varie figure professionali è fondata sulla centralità del paziente quale obietti­
vo dei servizi offerti e della regolazione della domanda. Il malato cronico deve
potere ricevere le cure adeguate sia dallo specialista che dal MMG, dosando
gli interventi dei professionisti a seconda delle necessità specifiche del decor­
so della malattia.
Nella prima fase di applicazione della gestione integrata possono non ri­
dursi significativamente i costi di assistenza, ma si aumenta il valore della pre­
stazione sanitaria razionalizzando i comportamenti clinici con conseguente
corretta distribuzione delle risorse.
Nel medio - lungo termine la riduzione delle complicanze può portare ad
un miglioramento della qualità della vita dei pazienti ed ad una riduzione dei
costi di assistenza.
Il Modello Operativo
- Proposta da parte del Distretto della patologia da considerare sulla base
delle evidenze epidemiologiche sui bisogni di salute analizzati nei Piani di
Zona.
178
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
- Inserimento della patologia e del progetto nei piani strategici dell’Assesso­
rato alla Sanità e della Direzione Aziendale.
- Riunione convocata e condotta dal Direttore del Distretto alla presenza dei
MMG distrettuali, (PLS se necessario), dell’équipe della Struttura Specialisti­
ca Ospedaliera di riferimento e degli eventuali Specialisti Territoriali inte­
ressati nosologicamente, per definire e condividere obiettivi, strumenti, tempi
del progetto attraverso un contatto diretto tra i professionisti interessati.
- Costituzione del gruppo di lavoro.
- Analisi dei dati epidemiologici disponibili e delle procedure di presa in ca­
rico tradizionalmente in atto nel distretto.
- Rivisitazione organizzativa del percorso assistenziale, tenuto conto della si­
tuazione geografica e delle risorse umane e strumentali disponibili a livello
locale e a livello specialistico e dei rapporti già esistenti con il presidio
ospedaliero.
- Ricerca delle evidenze.
- Pre-testing del profilo all’interno del gruppo di lavoro.
- Testing all’interno del Distretto.
- Affinamento del profilo sulla base dell’esperienza.
- Invio del profilo ai medici di tutta la regione per condivisione e messa a
disposizione sul sito internet aziendale della principale documentazione di
letteratura.
- Consensus conference aziendale per la validazione del profilo.
- Approvazione da parte del Collegio di Direzione e della Commissione
Paritetica Regionale con la definizione delle modalità di monitoraggio della
performance del profilo.
- Emanazione del Profilo da parte della Direzione Strategica Aziendale.
Profili di cura elaborati (validati dalla consensus conference aziendale e in
attesa di approvazione formale):
- Profilo di cura per la gestione dello scompenso cardiaco - Distretto 2 di Aosta.
- Profilo di cura per la gestione dell’ipertensione arteriosa - Distretto 3 di Chatillon.
- Profilo di cura per la gestione del diabete mellito - Distretto 4 di Donnas.
Attualmente i profili di cura sono consultabili e disponibili sul sito:
www.uslaosta.com
12.7. Sviluppo di un sistema informativo volto al monitoraggio della
dimissione protetta nella ASL 17
M.G. DE ROSA1, L. BONAFEDE2, A. TOSELLI3, R. BONO3, R. SALOMONE1, F. BORASO4 ­
1
Direzione Sanitaria di Presidio Ospedaliero; 2Servizio Assistenza Sanitaria
179
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Territoriale ASL 17, 3Servizio di Assistenza Sociale Ospedaliera, 4Direzione
Sanitaria ASL 17
AUTORE REFERENTE: MARIA GRAZIA DE ROSA, Direzione Sanitaria Ospedaliera, Via
Ospedali 14 Savigliano (CN) - tel./fax: 0172719117/24, e-mail:
[email protected]
Introduzione
Dalla fine del 1999 è stato avviato un progetto di collaborazione tra la ASL
17 e il Consorzio Monviso Solidale che ha portato alla costituzione del Servi­
zio Sociale Ospedaliero. Le finalità del servizio sono quelle di raccogliere le
problematiche dei pazienti ospedalizzati in difficoltà, di integrare l’istituzione
sanitaria - ospedaliera e territoriale - con quella sociale, per il raggiungimento
delle specifiche soluzioni individuate attraverso la mediazione, la semplifica­
zione e la realizzazione dei progetti assistenziali.
Le attività prevalentemente svolte dal servizio sono di consulenza e di
segretariato sociale, nonché dirette a garantire la prosecuzione dell’assistenza
extraospedaliera.
Ad oggi sono stati seguiti complessivamente n. 1.829 casi, circa 460casi/
anno, di cui nel 2003 circa il 65% non autosufficienti. Tale esperienza ha in­
dotto ad alcune riflessioni relativamente alla necessità di una più precisa defi­
nizione dei ruoli e delle strategie necessarie per la migliore integrazione delle
risorse disponibili. A tale scopo è iniziata una collaborazione tra Direzione
Sanitaria, Servizio di Assistenza Territoriale e Servizio Sociale Ospedaliero per
la realizzazione di un progetto volto ad individuare le più appropriate moda­
lità di intervento, attraverso la valutazione ed il monitoraggio delle differenti
tipologie di pazienti, dei loro problemi e delle specifiche risposte.
Obiettivo e gruppo target
Nella prospettiva di favorire la continuità delle cure ed il coordinamento
degli interventi la nostra area di approfondimento si è rivolta in prima istanza
allo sviluppo di un sistema informativo e ad una metodologia di analisi ad
oggi insufficienti. Il sistema informativo è infatti necessario e preliminare per
valutare la struttura, il processo e l’esito delle attività inerenti i differenti per­
corsi assistenziali, in particolare quello della dimissione protetta. In prima istan­
za è stato valutato l’esistente e analizzate le informazioni così come oggi di­
sponibili.
Per quanto riguarda l’analisi delle attività fin qui svolte dal servizio sociale
ospedaliero, si dispone di un archivio cartaceo di registrazione delle
segnalazioni e degli interventi effettuati dal servizio.
Tale documentazione è talvolta carente e le informazioni sono difficilmen­
180
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
te sintetizzabili; pertanto a fine 2003 è stato sviluppato un registro
informatizzato, tale archivio è stato strutturato in modo tale da poter disporre
di informazioni complete e - mediante link con altri archivi informatizzati o
cartacei - integrabili (SDO, pazienti ADI, Registri protesi ausili); ciò al fine di
poter seguire il paziente dal momento della segnalazione al servizio fino al
realizzazione degli specifici interventi (attivazione ADI/ADP ecc..., inserimento
in strutture protette, ottenimento di protesi ausili, ottenimento sussidi ecc...).
Presentazione e valutazione dei risultati
Si forniscono le informazioni più significative ed inerenti il percorso assi­
stenziale in studio ad oggi disponibili.
Tab. 1. Anni 2000-2003 ricoveri effettuati nei 3 presidi ospedalieri della ASL17
2000
n. casi
Ospedale di Savigliano 12.739
Ospedale di Saluzzo
6.153
Ospedale di Fossano
3.289
Totale
22.181
2001
n. casi
12.284
6.075
3.252
21.611
2002
n. casi
11.575
4.934
2.267
18.776
2003
n. casi
9.917
4.278
1.492
15.687
Tab. 2. Anni 2000-2003 casi segnalati al Servizio Sociale Ospedaliero
Ospedale di Savigliano
Ospedale di Saluzzo
Ospedale di Fossano
Totale
2000
n. casi
155
167
73
395
2001
n. casi
169
210
79
458
2002
n. casi
172
219
85
476
2003
n. casi
173
215
112
500
Totale
n. casi
669
811
349
1.829
1995
1996
1997
1998
­
­
­
187
242
119
119
156
156
210
210
277
464
302
544
1999
2000
2001
2002
2003
totale
226
294
327
400
396
2.072
306
532
411
705
436
763
516
916
503
899
3.236
5.308
Tab. 3. Anni 1993-2003 casi di ADI attivati
1993/94
N. casi
Distretto 1 Saluzzo
Distretto 2 SaviglianoFossano
Totale
Tab. 3. segue
N. casi
Distretto 1 Saluzzo
Distretto 2 SaviglianoFossano
Totale
181
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Come si osserva dal confronto tra le tabelle 1 e 3, a fronte di una diminuzio­
ne dei ricoveri ospedalieri, che nel periodo si attesta sul valore medio dell’8%,
si segnala un incremento dei casi in ADI mediamente pari al 30% anno.
Tuttavia dai dati in possesso al Servizio di Assistenza Territoriale si segnala
una differenza nei due distretti per quanto riguarda le ADI attivate secondo
modalità protetta di dimissione (22,2 versus 46,3%).
Queste sono considerazioni preliminari che dovranno essere confermate
dall’analisi delle informazioni che saranno disponibili con il nuovo flusso in­
formativo.
Si riporta una breve analisi dei casi segnalati e registrati secondo le nuove
modalità nel primo trimestre 2004 e per la sola sede di Saluzzo. I casi segnalati
sono stati complessivamente n. 87, l’età media è 76 aa., di questi il 75% sono
ricoverati in reparti di tipo medico e con una degenza media di 19 giornate a
ricovero.
Nel 51% i casi segnalati vivono in famiglia, nel 44% sono soli, e nel 5% sono
già ospitati in comunità.
I pazienti disabili o non autosufficienti costituiscono il 74% del totale. Dei
casi segnalati il 37% rientra al proprio domicilio mentre dopo la fase di ricove­
ro il 46% dei pazienti necessita di ulteriore o definitiva ospedalizzazione in
strutture protette.
Conclusioni
Nell’ambito delle attività volte alla integrazione ospedale territorio è impor­
tante evidenziare le caratteristiche della richiesta, analizzare come la compo­
nente sanitaria e quella sociale si coordinano nelle diverse fasi del ricovero,
valutare in modo più puntuale il bisogno assistenziale residuo dei pazienti
ospedalizzati, far emergere le criticità delle attuali modalità operative e
monitorare eventuali interventi effettuati e/o risultati perseguiti. Il percorso
da monitorare sarà dunque dall’ingresso in ospedale alla presa in carico del
servizio sociale ospedaliero e dalla dimissione protetta alla presa in carico del
servizio cure domiciliari.
Con l’introduzione del nuovo sistema informativo sarà possibile disporre di
indicatori più specifici di cui, a titolo esemplificativo, se ne riportano alcuni:
Indicatori di struttura:
- n. medio di interventi per operatore;
- caratteristiche dell’utenza (età, sesso, caratteristiche sociali, MDC –DRG
ecc...);
- analisi descrittiva delle segnalazioni/interventi.
Indicatori di processo:
- Tipologia di segnalazioni/prestazioni (per reparto, per distretto, per MDC);
- Tempo medio segnalazione - dimissione (per età, per MDC).
182
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Indicatori di esito:
- richieste ADI ecc.../ADI ecc... attivate;
- valutazione eventuali differenze distributive (ad esempio per distretto)
Indicatori di efficienza;
- Numero di giornate di ricovero risparmiate.
Parallelamente alle analisi in corso saranno sviluppate specifiche azioni, inerenti
in particolare la revisione delle attuali modalità di segnalazione dei casi e l’integra­
zione tra i servizi coinvolti. Per tali attività sarà pertanto possibile monitorarne i
risultati e sviluppare, mediante la diffusione delle informazioni una maggiore con­
sapevolezza negli operatori sia sui reali bisogni assistenziali sia sui risultati ottenuti.
12.8. Integrazione ospedale/territorio
R. BERTAMINI, E. VALDUGA - Servizio Infermieristico Territoriale Distretto Alto
Garda e Ledro APSS Trento
Motivazioni
L’ospedale negli ultimi anni, si trova costretto sempre più spesso ad abbre­
viare i tempi di degenza ed a dimettere in tempi brevi utenti che hanno ancora
necessità di cure mediche e/o infermieristiche.
Nella pratica quotidiana, veniva rilevato dagli operatori impegnati in ambi­
to territoriale quanto fosse grande il disagio delle famiglie e degli utenti che,
dimessi dall’ospedale tornavano al domicilio ancora bisognosi di cure ed assi­
stenza. Disagi legati in primo luogo ad adattare l’ambiente domestico alle nuove
esigenze del paziente, alle complicazioni burocratiche necessarie per ottene­
re i materiali necessari, al tipo di assistenza da fornire al loro congiunto, com­
pito per il quale non sempre erano preparati.
Lo sforzo notevole è stato quello di interfacciare organizzazioni diverse quali
quella ospedaliera e quella territoriale, rilevare quali erano le difficoltà rispet­
to ad un intervento congiunto dell’una e dell’altra parte e progettare un inter­
vento integrato per proseguire a domicilio quanto iniziato in ospedale per
sviluppare un modello di gestione integrata dei pazienti tra servizi territoriali
e ospedalieri che consenta di fornire al paziente un livello assistenziale suffi­
ciente e di supportare l’ambiente familiare nella gestione di un malato che
non ha più una reale necessità di proseguire il ricovero in reparti per acuti.
Il progetto è stato diviso in tre fasi:
- nella prima fase è stato costituito un gruppo di lavoro che ha elaborato una
scheda di passaggio di informazioni dall’ospedale al territorio;
- nella seconda fase c’è stato un confronto tra operatori dell’ospedale e del terri­
torio nel quale è stato perfezionato il progetto sul piano metodologico ed ope­
183
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
rativo, valutando il gradimento della scheda da parte degli operatori, la diffu­
sione del suo utilizzo, l’efficacia della scheda nel passaggio di informazione;
- nella terza fase è stata elaborata ed implementata una scheda che consen­
tisse il passaggio di informazioni dal territorio all’ospedale per quei pazien­
ti in carico ai Servizi Territoriali che venivano ricoverati in ospedale.
Obiettivo
Garantire la continuità dell’assistenza dei pazienti in dimissione dall’ospe­
dale, favorendo il reinserimento a domicilio attraverso un efficace lavoro inte­
grato tra operatori dell’area sanitaria.
Gruppo a cui si riferisce il progetto
Utenti in dimissione ospedaliera per i quali il ricovero non è più la risposta più
idonea ma che continuano ad avere necessità di assistenza infermieristica, utenti
in carico al servizio infermieristico territoriale che vengono ricoverati in ospedale,
famiglie che hanno necessità di supporto infermieristico per poter seguire i loro
congiunti che presentano una patologia che ne limita l’autonomia.
Presentazione dei risultati
L’utente viene dimesso e torna al proprio domicilio solo dopo che la fami­
glia, in collaborazione con il personale del territorio ha preparato un ambien­
te adatto, ha a disposizione farmaci e materiale sanitario necessario, la fami­
glia è stata opportunamente addestrata da personale sanitario per quel che
riguarda l’assistenza da fornire al proprio congiunto.
Conclusioni
Questo progetto ha consentito di garantire la continuità dell’assistenza dei pa­
zienti in dimissione dall’ospedale, favorendone il reinserimento al domicilio, mi­
gliorandone la qualità della vita, tutto questo grazie ad un costante ed efficace
lavoro di integrazione tra operatori sanitari impegnati dentro e fuori l’ospedale.
12.9. Progetto “dimissione protetta”
F. ROCCO1, F. GADDA1, S. CASELLATO1, V. ORTOLANI2 - 1Unità Operativa di Urologia,
IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico di Milano; 2Fondazione Ricerca e Tera­
pia in Urologia RTU - ONLUS
AUTORE REFERENTE: FRANCESCO ROCCO, Dir. Unità Operativa di Urologia - IRCCS
184
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Ospedale Maggiore Policlinico di Milano Pad. Beretta EST, Via F. Sforza, 20100
Milano - tel.: 02 55034549, fax: 02 50320584, e-mail: [email protected]
Introduzione
Le attuali necessità di rapido turn-over nei reparti chirurgici comportano
spesso una dimissione che, seppur corretta sul piano clinico, per il paziente
può essere fonte di preoccupazione e angoscia legate anche alla perdita di
un’assistenza continua e specialistica.
La Fondazione per la Ricerca e Terapia in Urologia (RTU) - ONLUS patroci­
na un nuovo progetto di assistenza sul territorio in collaborazione con l’Ospe­
dale Maggiore Policlinico di Milano.
Obiettivi
- Estendere l’attenzione al malato chirurgico urologico al di fuori della strut­
tura ospedaliera attraverso l’attuazione del progetto “Dimissione Protetta”.
- Offerta di una visita domiciliare gratuita a pazienti sottoposti a interventi
chirurgici urologici con lo scopo di:
- controllare che il decorso clinico a domicilio sia regolare;
- rispondere ad eventuali domande o perplessità che fossero rimaste insolute
o sopravvenute circa lo stato di salute o la terapia da eseguire a domicilio;
- informare il Medico Curante circa la situazione clinica del paziente;
- concordare con il Medico Curante le misure più opportune per la conva­
lescenza;
- controllare e confermare il successivo programma terapeutico nelle sue
diverse parti (terapia, esami di controllo, visite ambulatoriali successive).
Gruppi target
Medico Specialista della divisione:
- partecipa all’attività clinica del reparto, conosce il paziente e ne segue il
decorso post-chirurgico;
- concorda con il paziente e i familiari alla dimissione la data della visita domiciliare;
- visita a domicilio il paziente;
- informa il Medico Curante del decorso clinico del paziente.
Segreteria:
- aggiorna il database pazienti;
- archivia i dati sensibili dei pazienti.
Paziente:
- residente nell’ambito del territorio di competenza dell’ASL Milano Città;
- sottoposto ad intervento chirurgico urologico di chirurgia medio-alta;
185
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
- acconsente tramite consenso informato scritto e controfirmato al progetto.
Risultati
Tutti i pazienti a cui il progetto è stato proposto hanno accettato l’iniziativa.
Il Feedback del progetto è stato valutato tramite un apposito questionario
di gradimento in cui sono stati indagati: l’efficienza dell’organizzazione, la
competenza degli operatori e il grado di soddisfazione del paziente.
Conclusioni
Dall’analisi dei questionari di gradimento si può affermare che i risultati
preliminari del Progetto “Dimissione Protetta” sono molto positivi.
12.10. Il percorso dimissioni protette tra ospedale e territorio in un
distretto dell’azienda USL di Reggio Emilia – il distretto di Guastalla
A. GIGLIOBIANCO1, S. CECCHELLA2 - 1Direzione Sanitaria Ospedale di Guastalla, 2 Di­
rettore del Distretto di Guastalla. Azienda USL di Reggio Emilia
AUTORE REFERENTE: ANDREA GIGLIOBIANCO, Via Donatori di sangue n. 1, Guastalla
(RE) - tel.: 0522 37259, fax: 0522 837288, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
La complessità del ricovero per alcuni pazienti richiede al momento della
dimissione un percorso socio – sanitario che deve vedere coinvolti tutti gli
attori presenti sul Territorio: il Medico di Medicina Generale, Il Servizio
Infermieristico Domiciliare, l’Assistente Sociale.
Obiettivo/i
Garantire una continuità assistenziale al paziente dal momento del ricovero
alla dimissione dall’Ospedale attraverso una comunicazione continua con il
MMG, per la condivisione del percorso assistenziale.
Garantire inoltre che, qualora il pazienti necessiti a domicilio di presidi e/o
farmaci, la segnalazione al SID e alla Farmacia Interna sia tempestiva per assi­
curare la puntuale fornitura di materiali.
Gruppo/i target
Il Medico Ospedaliero attiva il MMG e la Farmacia Interna dell’Ospedale; la
capo sala dell’Unità Operativa attiva l’Assistente Sociale ed il SID.
186
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Presentazione e valutazione dei risultati
Gli indicatori che saranno utilizzati:
- numero di dimissioni protette e numero di progetti attivati;
- numero di segnalazione al SID e/o al MMG al di fuori dei tempi e delle
modalità concordate;
- fornitura di presidi o farmaci al di fuori dei tempi stabiliti sul totale delle
forniture richieste.
Conclusioni
Il ricovero ospedaliero rappresenta, rispetto al tema della continuità delle
cure, un momento critico non solo per il paziente, ma anche per i familiari. Il
raccordo tra il medico di medicina generale (MMG), tutore “longitudinale”
della salute del paziente e il medico ospedaliero (MO), tutore “trasversale”,
rappresenta la chiave per garantire una dimissione protetta.
12.11. Il Centro di salute e ascolto per le donne immigrate e i loro bambini:
luogo di ricerca e di proposta di cambiamenti organizzativi nei
servizi materno infantili
G. SACCHETTI1, L. SACCHI1, C. GREGARI1, B. FACCHETTI2, I. FINZI3, A. AMOROSI4 - Azienda
Ospedaliera S. Paolo di Milano - 1Ginecologa presso il Centro di salute e ascolto
per le donne immigrate e i loro bambini dell’A.O. S. Paolo; 2Laureanda in psico­
logia presso la facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca;
3
Psicologa e psicoterapeuta della Cooperativa Crinali – Donne per un mondo
nuovo; 4Coordinatore HPH A.O. S. Paolo
AUTORE REFERENTE: ALESSANDRO AMOROSI, Direzione Sanitaria Azienda Ospedaliera
S. Paolo, via di Rudinì 8, 20142 Milano - tel.: 02 81844490, e-mail:
[email protected]
Il Centro di salute e ascolto per le donne immigrate e i loro bambini, pro­
getto integrato tra le Aziende ospedaliere S. Paolo e S. Carlo, con la collabora­
zione della Cooperativa Crinali, in rete con i servizi territoriali per la famiglia è
attivo dal gennaio 2000. Ha avuto dall’inizio come obiettivo principale l’ac­
cesso delle madri e dei bambini stranieri ai servizi ospedalieri che assistono il
percorso riproduttivo delle donne e i loro bambini nel primo anno di vita. Il
centro nasce con alcune caratteristiche organizzative e assistenziali diverse
dai normali ambulatori d’ostetricia o di pediatria: l’accesso libero, le presta­
zioni non solo sanitarie ma anche psicologiche e sociali e insieme a figure
professionali tradizionali, come ginecologa, ostetrica, pediatra, psicologa e
187
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
assistente sociale, ci sono le mediatrici linguistico culturali, nuova figura “ponte”
tra le utenti straniere e gli operatori italiani.
In quattro anni di attività il Centro ha effettuato circa 15.000 prestazioni a
circa 3.500 donne e 1.000 bambini. Sono state effettuate soprattutto visite oste­
triche in gravidanza, ma anche visite ginecologiche, ecografie, visite e
certificazioni per la legge 194, visite a neonati nel primo anno di vita, corsi di
accompagnamento alla nascita, consulenze psicologiche sia individuali che
di gruppo, consultazioni transculturali di gruppo, colloqui sociali. Sono stati
organizzati corsi di formazione per gli operatori che approfondissero le
tematiche di relazione con la diversità, la conoscenza delle tradizioni sulla
gravidanza e il parto, l’educazione e le cure del bambino in altre culture, i
flussi migratori e l’esperienza della migrazione. Il Centro collabora inoltre,
grazie alle sue mediatrici linguistico culturali, con l’Istituto Superiore di Sani­
tà, nell’indagine multicentrica sull’interruzione volontaria di gravidanza e sul­
la conoscenza e l’utilizzo dei contraccettivi nelle donne immigrate. La
metodologia è sempre stata quella del lavoro d’équipe interdisciplinare, con
momenti di supervisione periodici e le mediatrici presenti in tutte le attività.
Quest’anno, partendo dall’esperienza del centro, abbiamo realizzato uno
studio sul momento della dimissione e del ritorno a casa della mamma stra­
niera con il suo bambino in collaborazione con la facoltà di Psicologia del­
l’Università degli Studi di Milano Bicocca.
La ricerca parte dall’ipotesi che il momento delle dimissioni dopo il parto
costituisca un’occasione importante, sia per offrire alle puerpere indicazioni
per la gestione del bambino e di se stesse, sia per orientarle all’utilizzo delle
risorse sociosanitarie disponibili in ospedale e nel territorio.
Il momento delle dimissioni dopo il parto è un periodo delicato, nel quale la
relazione della coppia con il bambino e con il nuovo ruolo si va impostando non
senza difficoltà. L’avvio della vita a casa con il neonato è fonte d’ansie e preoccu­
pazioni, tanto più per le donne immigrate, prive del loro contesto di supporto
culturale al ruolo materno e in difficoltà per motivi linguistici e d’identità.
Lo studio ha voluto verificare se i messaggi dati in occasione delle dimissio­
ni post partum siano adeguati allo scopo di fornire elementi d’informazione,
rassicurazione e orientamento a queste coppie.
La ricerca ha utilizzato l’osservazione delle puerpere durante il periodo di
degenza, e i colloqui di follow-up in coincidenza con le visite pediatriche,
con l’obiettivo di trarre spunti e fornire elementi di conoscenza e riflessione
rispetto al vissuto ed ai problemi della condizione di neomamma in terra stra­
niera.
Dall’indagine è emerso che il problema principale rimane quello della com­
prensione linguistica. Spesso il marito agisce da interprete per la moglie in
tutti gli ambiti, questo non aiuta la donna a diventare più autonoma e causa
distorsioni rispetto a tematiche che da sempre appartengono all’universo bio­
188
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
logico e culturale femminile. L’utilizzo sistematico della mediazione culturale
anche nel reparto di neonatologia, agevolerebbe quindi il passaggio delle in­
formazioni e chiarirebbe il significato degli aspetti più strettamente culturali
legati ai bisogni delle neomamme. Un secondo aspetto riguarda le primipare,
più bisognose di chiare indicazioni relative alla cura del bambino e di sé, che
le rassicurino sull’adeguatezza delle proprie competenze materne. Ciò richie­
de un’attenzione particolare da parte delle puericultrici (specialmente per la
medicazione del cordone ombelicale ed il bagnetto) e la realizzazione di una
videocassetta (tradotta in più lingue) che mostri le principali cure rivolte al
bambino. Infine il sentimento di solitudine ed isolamento delle mamme stra­
niere, il bisogno di condivisione d’emozioni, timori, esperienze ed aspetti più
pratici, suggerisce la costituzione di piccoli gruppi informativi e d’esperienze
pratiche, con la presenza durante la degenza della mediatrice culturale.
12.12. Integrazione tra i servizi territoriali e ospedalieri per le donne
migranti a Reggio Emilia
A. FORACCHIA1, A. VENTURINI2 - 1Consultorio Familiare e CSFS Distretto di Reggio
Emilia, 2U.O. Ostetricia e Ginecologia Arcispedale S. Maria Nuova (RE)
AUTORE REFERENTE: ANDREA FORACCHIA - tel. 0522 332203, e-mail: andrea.
[email protected]
Breve introduzione del contesto
Di fronte al numero sempre crescente di popolazione immigrata e al suo
cambiamento qualitativo (con un aumento della componente femminile che
ha raggiunto nel 2002 il 42%) è contemporaneamente aumentata la richiesta
di servizi in campo sociale e sanitario.
Il servizio consultoriale ha visto cambiare la sua utenza che rispetto agli
inizi della attività (anni ’70) quando si rivolgeva ad una utenza prevalente­
mente autoctona e di livello socio-culturale medio-alto, si rivolge oggi ad una
rilevante percentuale di popolazione di provenienza extra-comunitaria: que­
sto ha portato alla attivazione al suo interno di spazi particolarmente dedicati
ad alcune fasce di popolazione che necessitano di particolare attenzione.
I problemi di più frequente riscontro in un cammino di avvicinamento e di
utilizzo dei servizi sono:
- Lingua: la difficoltà di comunicazione ostacola la esposizione e la compren­
sione adeguata della storia clinica e spesso anche dei sintomi più comuni.
- Cultura: nella sua accezione più ampia costituisce, con alcune popolazioni,
l’ostacolo di gran lunga più difficile e non superabile con la semplice “buo­
na volontà reciproca”.
189
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
- Difficoltà di spostamento/scarsa mobilità: il/la paziente si presenta ai servi­
zi sia territoriali che, soprattutto, ospedalieri in orari compatibili con le esi­
genze familiari.
- Abitudini di vita e alimentari.
- Difficoltà abitative.
- Difficoltà di natura socio-economica.
- Fenomeni di violenza/pressioni esterne.
Mentre per alcuni di questi problemi le soluzioni sono immediatamente
possibili e alcune sono già in atto (es. mediazione culturale, utilizzo di cana­
li di informazione multilingue, attivazione dei servizi sociali ecc...) per altre
occorrono interventi di più ampia portata (es. fenomeni legati alla violenza
e alla forzata “omertà”, problemi socio-economici e abitativi) in cui l’ambito
sanitario può e deve costituire uno stimolo e fornire indicazioni ma in cui
una reale soluzione si può trovare solo a livello di scelte economiche e po­
litiche.
Obiettivo/i
Pur nella consapevolezza dei limiti sopra accennati si individuano alcune
strategie già praticabili e già attuate o in via di realizzazione da parte delle
strutture territoriali e ospedaliere:
- presenza istituzionalizzata del mediatore culturale nei luoghi e tempi di
maggiore presenza di cittadini di diverse etnie;
- istituzione di protocolli condivisi tra gli operatori e ratifica scritta delle con­
suetudini;
- possibilità di prenotazione diretta delle visite specialistiche e degli es. stru­
mentali da parte delle Strutture Esterne (SE), che dispongono in quel mo­
mento del mediatore culturale;
- esecuzione in un unico luogo e momento del più alto numero possibile di
prestazioni;
- individuazione di un referente interno alla struttura ospedaliera;
- individuazione di metodiche di follow-up per i casi riferiti alla struttura
ospedaliera e per i casi dimessi da questa;
- adozione di una modulistica uguale o compatibile;
- fornitura al paziente inviato dalla SE all’ospedale di indicazioni chiare e
multi-lingue.
Gruppo/i target
Immigrati senza permesso di soggiorno e/o con grandi difficoltà di comu­
nicazione.
190
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Presentazione e valutazione dei risultati
Considerando che il progetto è in corso d’opera verrà fatta una valutazione
dei risultati durante l’autunno 2004.
12.13. Informazione e formazione interculturale nella protezione della
madre e del bambino
G. BENAGLIA1, A. VENTURA1, A. BERTOZZI2, C. VENTURA2, A. CHIARENZA2, A. GIGLIOBIANCO1
- 1Ospedale Civile di Guastalla; 2AUSL di Reggio Emilia
AUTORE REFERENTE: ALICE BERTOZZI, AUSL Reggio Emilia, Via Amendola 2, 42100
Reggio Emilia – tel.: 0522 335764, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
Il progetto rappresenta una parte del più ampio progetto europeo “Migrant
Friendly Hospitals”, che ha come obiettivo quello di rendere l’accesso dei
cittadini stranieri ai servizi ospedalieri più semplice ed equo.
Si è scelto di effettuare la sperimentazione presso l’Ospedale Civile di
Guastalla, in quanto è risultata essere la zona con la più alta concentrazione di
immigrati della Provincia di Reggio Emilia.
Sulla base di una valutazione dei bisogni, che ha evidenziato la necessità di
un maggior empowerment dell’utente straniero, è stato deciso di organizzare
un corso di formazione per l’area materno-infantile sulle seguenti tematiche:
1. Servizi sanitari del distretto
2. Allattamento, svezzamento e alimentazione
3. Igiene del puerperio e del bambino
4. Educazione sanitaria sulla gestione delle malattie più frequenti della ma­
dre e del bambino (febbre, diarrea, raffreddamento...)
Obiettivo/i
Formare ed informare gli utenti stranieri sui servizi offerti dagli ospedali e
dal territorio e sulla gestione delle patologie di base, al fine di favorire un
utilizzo più consono dei servizi.
Gruppo/i target
Donne straniere che abbiano partorito tra il primo luglio 2003 ed il 29 feb­
braio 2004.
191
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Presentazione e valutazione dei risultati
L’adesione all’iniziativa è aumentata progressivamente nel corso del tempo
(4 lezioni da 3 ore circa ciascuna, diluite in 5 settimane).
Al termine degli incontri sono stati somministrati questionari di autovaluta­
zione e di gradimento su contenuti, organizzazione e materiale distribuito du­
rante il corso.
Da una prima analisi dei dati è emersa una sostanziale soddisfazione dei
partecipanti in merito ai contenuti ed alle modalità organizzative. Inoltre, molti
hanno manifestato l’interesse a partecipare in futuro ad altre iniziative di que­
sto tipo.
12.14. Pasti unici e pasti etnici in ospedale
A. FERRETTI, D. GIORGETTI - Servizio Logistico Alberghiero Azienda Ospedaliera
Arcispedale Santa Maria Nuova- Reggio Emilia
AUTORE REFERENTE: ANNAMARIA FERRETTI, Servizio Logistico Alberghiero, viale Ri­
sorgimento 57, 42100 Reggio Emilia - tel.: 0522 296796, e-mail:
[email protected]
Dall’analisi dell’utenza afferente al nostro ospedale si evince la presenza di
una molteplicità di etnie e la necessità pertanto di differenziare l’offerta di
erogazione dei pasti in relazione ai diversi bisogni per favorire un migliora­
mento della qualità del servizio per soddisfare maggiormente gli utenti. Nell’Aprile 2004 si è dato il via ad un progetto di miglioramento della ristorazione,
tuttora in corso e rivolto a tutti gli utenti ricoverati.
In particolare gli obiettivi sono:
- rendere più familiare la struttura sanitaria anche per la popolazione stranie­
ra attraverso l’utilizzo dei piatti tipici dei loro paesi (lo scopo è quello di
facilitare il mantenimento delle proprie abitudini di vita);
- offrire alle persone ricoverate, di qualsiasi cultura, la possibilità di scegliere
all’interno del menù ospedaliero un piatto tipico delle proprie tradizioni;
- introdurre nel menù ospedaliero una possibile scelta di piatti unici comple­
ti da un punto di vista nutrizionale;
- far precedere la divulgazione del menù da informazioni alimentari rivolte
all’utente degente e ai propri familiari, in modo da suggerire un nuovo modo
di alimentarsi, sano, che limiti l’eccesso di proteine di origine animale e
orienti verso nuovi modelli nutrizionali (lo scopo è quello di fornire mes­
saggi educativi forti perché provenienti da un ambiente che tradizional­
mente è deputato alla cura e alla prevenzione);
192
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
- favorire l’integrazione fra culture diverse rispetto anche alle abitudini ali­
mentari.
Le azioni già messe in campo sono state:
- indagare sulla provenienza prevalente della popolazione straniera;
- tradurre il menù ospedaliero in varie lingue (arabo, cinese, indiano ed in­
glese);
- la possibilità da parte del degente di individuare immediatamente sul menù
la presenza di pietanze che contengono carne di maiale (il piatto contenen­
te questo tipo di carne viene individuato perché scritto con carattere e colo­
re differente).
Le azioni ancora da intraprendere:
- incontrare i mediatori culturali (o rappresentanti) per conoscere le abitudi­
ni alimentari e le varie ricette;
- stabilire le ipotesi di piatti tipici da preparare, il loro valore nutritivo (a ra­
zione), il loro inserimento in menù e la relativa frequenza, le risorse da
impiegare;
- indagare, anche tramite internet, sull’impiego di piatti unici nei menù di
comunità (ospedali, asili, ecc...). La fattibilità delle ricette, la loro speri­
mentazione e la modalità di estensione nella realtà ospedaliera sarà concor­
data con i coordinatori di cucina;
- studiare una modalità idonea per divulgare il messaggio educativonutrizionale, sia per guidare la scelta del menù da parte degli utenti, che
per fornire loro quelle conoscenze utili al fine di esprimere il gradimento.
Fondamentale è lo studio su come comunicare agli utenti il messaggio
educativo/nutrizionale in quanto è obiettivo del servizio che tale iniziativa
possa incidere sulle abitudini di vita degli utenti anche fuori dal contesto
ospedaliero. Gli utenti saranno coinvolti direttamente, rendendo la presenta­
zione dei menù attraverso forme grafiche “appetibili” e che attirino l’attenzio­
ne ed anche attraverso l’apporto degli operatori che curano la distribuzione
dei pasti. Altra azione di coinvolgimento capillare sarà la consegna di una
lettera a tutti gli utenti, per i primi mesi di introduzione dei nuovi menù con la
presentazione dell’iniziativa e l’invito a comunicare eventuali suggerimenti.
La pubblicazione su mass media locali e la diffusione del ricettario dei piatti
unici ed etnici all’interno dei reparti di degenza contribuirà a sensibilizzare la
popolazione e i familiari in merito alle tematiche nutrizionali e a un nuovo
modo di concepire l’alimentazione all’interno del nostro ospedale. Gli opera­
tori di cucina e quelli che curano la distribuzione, saranno formati e coinvolti
nel progetto affinché il messaggio sia fatto proprio anche dalle persone ad­
dette al servizio. Verrà infine pianificata la raccolta dei dati relativa al gradi­
mento degli utenti.
193
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Gli indicatori individuati per misurare e monitorare le azioni messe in cam­
po nel tempo sono:
- il gradimento degli utenti rilevato attraverso il questionario di soddisfazione.
Lo standard di riferimento è il raggiungimento dell’80% di giudizi positivi;
- n. di nuove ricette sperimentate e preparate. Lo standard è l’inserimento del
piatto unico 2 volte a settimana;
- la produzione di un nuovo menù con piatti unici, di un ricettario e di mes­
saggi educativi da diffondere. Lo standard è la produzione di 2 menù (1
invernale e 1 estivo) e di messaggi educativi plurimi.
I risultati attesi sono: per l’utenza, il gradimento dei piatti proposti; per gli
operatori, il gradimento dei menù cucinati; per l’organizzazione, un miglioramen­
to del servizio di ristorazione e la diffusione di messaggi educativi-nutrizionali.
Conclusioni
Riteniamo che il progetto, in un contesto multietnico come quello reggiano,
sia particolarmente importante perché favorisce l’integrazione reciproca, il ri­
spetto e la conoscenza delle diverse culture, la personalizzazione dei bisogni
del cittadino-utente anche attraverso l’educazione nutrizionale.
12.15. Attraversare confini
P. BORGOGNONI (caposala ostetrica e ginecologia), P. FAGANDINI (psicologa dip.
Materno Infantile) - Dipartimento Materno Infantile, direttore G. BANCHINI, M.
RAVELLI (responsabile Area Qualità), L. CERULLO (ricercatrice sociale Area Quali­
tà) - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria Nuova- Reggio Emilia
AUTORE REFERENTE: PIERGIUSEPPINA FAGANDINI, U.O. Pediatria, Dipartimento Ma­
terno Infantile, Viale Risorgimento 80, 42100 Reggio Emilia - tel.: 0522
296772, e-mail: [email protected]
Gli stranieri residenti nella provincia di Reggio Emilia (al 31/12/01) sono 23.137,
di questi 22.437 (4,8% della popolazione residente) sono di nazionalità extra
UE. Rispetto al 2000 si è visto un incremento dei residenti di nazionalità extra
UE pari al 18,2%. Reggio Emilia rimane la provincia della Regione Emilia Romagna
con la quota maggiore di stranieri sulla popolazione residente.
Le nazionalità africane continuano ad essere prevalenti nel panorama
reggiano, tuttavia rispetto agli anni passati si registra un forte incremento di
immigrati provenienti dall’Est-Europeo e dall’Asia.
Le etnie maggiormente rappresentate sono in ordine decrescente quella
Nord-Africana, Est-europea, Sud-Asiatica e Centro-Africana.
194
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
L’ospedale ha visto incrementare negli ultimi anni la sua utenza straniera,
siano essi immigrati residenti che non residenti, indigenti o paganti/coperti
dal SSN. La fascia di età dell’utenza straniera più rappresentata è quella che va
dai “15 a 44 anni”, che nel 2002 è stata costituita da 2003 utenti. Al contrario le
fasce di età meno rappresentate sono quelle che vanno dai “65 ai 74 anni” e
“oltre 75 anni”.
Il progetto vede coinvolti i reparti di Pediatria, Ostetricia e Ginecologia e
Nido del Dipartimento Materno Infantile.
Dall’analisi approfondita del contesto di partenza si evince:
- un aumento della popolazione immigrata che è portatrice di esigenze, va­
lori, aspettative, attribuzioni di significato del tutto peculiari e diversi da
quelli dell’utenza locale in quanto influenzati dalla diversa cultura;
- una situazione di disagio e di difficoltà vissuta dagli operatori nell’attivi­
tà clinico-assistenziale quotidiana rivolta agli stranieri, dovuta sia ad evi­
denti problemi linguistici che ostacolano la comunicazione operatoreutente, sia alla non adeguata conoscenza dei reali bisogni degli immi­
grati;
- una disparità sul piano della salute fra persone con background etnico e
culturale diverso;
- una visione dell’ospedale come primo punto di accesso dell’utenza stranie­
ra che non sempre compie un uso e un accesso appropriato dei servizi;
- una necessità d’informazione ed educazione del paziente adeguata alle di­
versità culturali.
Partendo da queste premesse, il progetto si propone di:
- indagare il vissuto degli immigrati per conoscere e comprendere meglio le
loro necessità, bisogni di cura, come vivono il ricovero e quale significato
attribuiscono a tale esperienza, i loro orientamenti di valore e le categorie
di pensiero che utilizzano;
- indagare il vissuto degli operatori rispetto agli immigrati per conoscere i
problemi che maggiormente incontrano nell’interazione con essi; ossia in­
dividuare gli aspetti critici, i momenti di disagio nel lavoro quotidiano su
cui proporre eventuali azioni di miglioramento;
- creare percorsi che rispondano adeguatamente alle diversità culturali;
- promuovere la qualità dei servizi e un “setting” culturalmente competente;
- fornire un’educazione ed informazioni adeguate alle diverse culture nell’area materno-infantile.
La metodologia studiata prevede l’impiego di strumenti qualitativi che, pur
non essendo in grado di produrre numeri sui quali fare delle valutazioni stati­
stiche, consentono un buon grado di approfondimento e forniscono elementi
che possono guidare interventi di miglioramento.
195
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Nello specifico gli strumenti di ricerca adottati sono:
- interviste semi-strutturate rivolte alla donna o alla coppia immigrata condotte con
l’ausilio delle mediatrici culturali di lingua cinese ed araba e di psicologhe. L’in­
tervista è stato ritenuto lo strumento più idoneo in riferimento agli obiettivi prefis­
sati in quanto non coglie solo una valutazione ma “cosa sta dietro una valutazio­
ne”, “il come e il perché delle cose” (ad es. aspettative, valori, usi, bisogni ecc...);
- focus group utilizzati con gli operatori sanitari (medici, infermieri, ostetri­
che, personale ausiliario). Il focus, è stato considerato come la tecnica più
appropriata per effettuare un’esplorazione qualitativa sulle principali aree
tematiche ritenute critiche e percepite come rilevanti dagli operatori
nell’erogazione del servizio offerto all’utenza straniera. Da altre esperienze
si rileva infatti che tale tecnica è molto utile nei casi in cui si vogliono ap­
profondire aspetti che riguardano l’interazione operatore/utente o aspetti
legati alle emozioni e al vissuto personale da parte degli utenti.
I risultati attesi sono:
- un miglioramento della soddisfazione dell’utenza immigrata in momenti
fondamentali della vita e della strutturazione della famiglia, quali la gravi­
danza, la nascita e ricoveri per malattia dei figli;
- una facilitazione della comprensione e dell’interazione con lo straniero e la
sua famiglia, una maggiore collaborazione fra paziente straniero e persona­
le sanitario e un miglioramento della qualità del servizio offerto, dei percor­
si ambulatoriali e di ricovero. Inoltre il progetto fornisce alla comunità un’oc­
casione di riflessione sui significati culturali diversi della gravidanza, della
nascita e della formazione della famiglia.
12.16. Dal percorso formativo “Verso un ospedale senza dolore”
dell’azienda USL Valle d’Aosta alla gestione del paziente con dolore
sul territorio
L. PASQUARIELLO (Resp. S.S. Terapia Antalgica), C. PONZETTI (Direttore Sanitario), M.
MUSI (Dirigente U.B. Oncologia), G. CARRARA (Psicologa), L. PLATI (DDSI, Ufficio
Infermieristico), H. ZEN (DDSI, Ufficio Infermieristico), R. ORIANI (Coord. Inf.), B.
DAGNES (Coord. Inf.) - Comitato per l’Ospedale senza Dolore Ausl Valle d’aosta
AUTORE REFERENTE: LORENZO PASQUARIELLO, Resp. Struttura Semplice di Terapia
Antalgica Ospedale Regionale, Viale Ginevra 3, 11100 Aosta - tel.: 0165
543378, fax: 0165 543740, e-mail: [email protected]
Contesto
Le Linee Guida nazionali del progetto “Ospedale senza Dolore” (marzo
196
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
2001), invitavano le USL Italiane a costituire un Comitato ad hoc per ogni
ospedale o Azienda (in breve COSD). La nostra Azienda recepiva tali indica­
zioni con delibera 1936 del 24/9/01.
Tra i suoi primi atti il COSD ha deliberato di effettuare una indagine di
prevalenza del dolore nel nostro Ospedale e per farlo si è appoggiata ad una
esperienza già in corso, il progetto “Verso un Ospedale senza dolore”, pro­
mosso in Italia dai Dottori Visentin e Trentin di Vicenza.
Dopo la rilevazione della prevalenza è stato organizzato un corso base di
formazione sul dolore per tutti gli infermieri e i medici del nostro ospedale,
allo scopo di realizzare, ciascuno nell’ambito del proprio servizio, dei progetti
migliorativi di assistenza al paziente con dolore. Il Corso è stato accreditato
ECM e finora si è svolto in due edizioni (11 punti nel 2002 e 8 nel 2003). Una
terza edizione è in corso di accreditamento.
Si sono così formati circa 530 infermieri e circa il 50% dei medici presenti
nel nostro Ospedale (220 circa). Questo corso ha rappresentato a suo tempo
una primizia in quanto in nessun Ospedale che aveva aderito alla iniziativa
“Verso un Ospedale senza Dolore” si era fino ad allora realizzata la cosiddetta
fase 2 (quella della formazione).
Durante le prime due edizioni è stato formato un gruppo di tutor che affian­
casse i gruppi di miglioramento continuo della qualità che si sono formati in
ogni reparto, così da essere di aiuto nella progettazione del loro intervento.
Nel novembre 2003, a conclusione della prima parte dell’iter formativo, si è
svolta una Giornata di Formazione Aziendale (anch’essa accreditata) durante la
quale è avvenuto lo scambio di esperienze relativamente ai progetti iniziati che
erano (e sono): il dolore durante la medicazione delle ulcere ischemiche, il dolore
durante le manovre diagnostiche, terapeutiche e di nursing in Rianimazione, il
dolore da episiotomia in corso di parto naturale, il dolore postoperatorio dopo
interventi di resezione endoscopica in Urologia, il dolore da cambio di medica­
zione postoperatoria nel paziente neoplastico in ORL, Efficacia della terapia nel
dolore in Oncologia, dolore e manovre di fisioterapia in Neurologia.
Mentre questi progetti sono in fase avanzata di realizzazione, è in via di
accreditamento la terza edizione del Corso che verrà allargato alle infermiere
territoriali e ai fisioterapisti, essendo stata rilevata l’importanza di continuare a
domicilio il pain management iniziato in ospedale. La stessa struttura delle
giornate di corso è stata modificata per offrire ai partecipanti anche i risultati
già ottenuti con le sessioni precedenti.
Nell’ottica di interessare il maggior numero possibile di operatori, si sono
svolte 2 giornate a tema anche presso la sede locale del Diploma Universitario
di Infermiere per sensibilizzare anche gli allievi della Scuola che lavoreranno
nel nostro Ospedale.
Anche per i medici di medicina generale è in fase di accreditamento un
corso ad hoc sulla gestione dei pazienti con dolore.
197
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Obiettivi
Prendere coscienza e misurare il problema “dolore”.
Progettare e realizzare corsi di sensibilizzazione e formazione sulla gestio­
ne del paziente con dolore.
Avviare un percorso di miglioramento continuo della qualità nel campo
“dolore”.
Gruppi Target
- Personale medico:
- Formazione di base e avanzata
- Personale infermieristico:
- Formazione di base
- Progettazione di interventi di miglioramento
- Personale territoriale e della riabilitazione:
- Formazione di base
- Realizzazione di interventi di miglioramento
Valutazione dei risultati
- Realizzazione del percorso formativo ottobre 2002/marzo 2005:
100 medici di base;
650 II.PP.;
30 terapisti della riabilitazione.
- Attivazione dei programma di miglioramento continuo della qualità:
16 reparti ospedalieri in fase avanzata di realizzazione dei loro progetti;
5 reparti in fase iniziale di progettazione.
- Realizzazione di una cartella infermieristica con inserimento del parametro
“dolore”.
Conclusioni
La realizzazione di un Progetto formativo così vasto non sarebbe stato pos­
sibile senza la decisiva collaborazione della Direzione Generale della Azienda
USL che ha permesso ogni attività in orario di servizio. Ci auguriamo che l’im­
portanza dell’argomento permetta anche ad altri Ospedali di intraprendere
una strada simile che riteniamo decisiva per promuovere una “cultura della
salute” all’interno dei nostri Ospedali senza dimenticare l’importante peso di
una gestione territoriale attenta ai bisogni reali della popolazione e pronta a
supportare le terapie iniziate in ambito ospedaliero.
198
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.17. La comprensione del dolore e della sofferenza in ospedale: un
progetto di formazione del personale mediante osservazione
antropologica
M. PESENTI CAMPAGNONI (Direttore della UB Medicina e Chirurgia d’Urgenza e
Accettazione), A. CASTIGLION (Responsabile Ufficio Progetti Innovativi, Dire­
zione Generale), O. TORRETTA (Antropologo)
AUTORE REFERENTE: MASSIMO PESENTI CAMPAGNONI, Direttore della UB Medicina e
Chirurgia d’Urgenza e Accettazione, Ospedale regionale, Viale Ginevra 3,
11100 AOSTA - tel.: 0165 543350, e-mail: [email protected]
Contesto
Il dolore è più di un semplice evento neurofisiologico, è indivisibile dalla
vita di ogni giorno accompagnando eventi fisiologici (gravidanza, mestrua­
zioni, ecc...) oltre che malattie e traumi. Non tutti i gruppi sociali e umani
rispondono e comunicano ai professionisti il proprio dolore nello stesso modo,
essendo la percezione del dolore influenzata da fattori sociali, culturali e psi­
cologici. Sinora troppo poca considerazione, rispetto ai già peraltro trascurati
aspetti biologici, è stata concessa agli aspetti culturali e narrativi del problema
e alle storie legate alla sofferenza. Scarsa, infatti, è la competenza del persona­
le a identificare e capire contestualmente, non solo in modo quantitativo, l’espe­
rienza della sofferenza e a distinguere i linguaggi che stanno alla base della
comunicazione umana della sofferenza stessa secondo i diversi modelli etnici
e culturali. L’Azienda USL VdA, consapevole di queste necessità, ha, quindi,
promosso un progetto formativo, in prosecuzione del progetto iniziato nell’anno 2002 “Verso un ospedale senza dolore”, per migliorare la comprensio­
ne del dolore e della sofferenza utilizzando conoscenze, strumenti e tecniche
specifiche della antropologia medica.
Obiettivi
Identificare e capire contestualmente l’esperienza della sofferenza, quindi
non solo in modo quantitativo; suggerire eventuali attitudini alternative verso
il fenomeno; definire e misurare la soddisfazione del paziente; concorrere
allo sviluppo di modelli utili al miglioramento dei servizi sanitari e clinici esi­
stenti; contribuire allo sviluppo di appropriati programmi attitudinali rivolti al
personale; organizzare un corso di formazione medico antropologico, utile
ad accrescere le conoscenze del personale curante; produrre un manuale di
antropologia medica, strumento didattico permanente utilizzabile anche dal
personale rimasto escluso dalla formazione. Al termine del corso il parteci­
pante avrà una diversa percezione del problema sofferenza, avrà acquisito
199
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
competenze di carattere culturale del fenomeno; avrà acquisito capacità di
distinguere i linguaggi che stanno alla base della comunicazione umana della
sofferenza.
Fasi progettuali
Il progetto è articolato su 8 moduli che, sinteticamente, rappresentano le
seguenti fasi:
1) Ricognizione dei bisogni formativi del personale destinatario dell’intervento
attraverso l’esplorazione preliminare delle storie dei malati (gravi e/o seri),
dei disabili, ecc...., e la narrativa della esperienza malattia. Più precisamen­
te, con la tecnica di analisi etnologica e di osservazione partecipante, un
antropologo, in qualità di osservatore passivo, si immergerà nella realtà
quotidiana da esaminare. Il lavoro prevede: la osservazione della interazione
clinica e/o del processo riabilitativo; la comprensione della costruzione
narrativa della malattia e della sofferenza come esperienza psico-sociale;
la definizione dei criteri generali in grado di guidare le operazioni comuni­
cative di etichettatura e spiegazione della malattia, oltre che il processo di
ricerca della cura e di valutazione degli approcci terapeutici antecedenti
ed indipendenti dagli episodi della malattia; interviste con il personale sa­
nitario sul lavoro svolto; partecipazione agli incontri dello staff.
Questa fase ha avuto inizio il 15 aprile u.s.
2) Effettuazione di percorso formativo pilota rivolto a medici, infermieri, fisiote­
rapisti e psicologi operanti nei reparti di medicina d’urgenza e accettazione,
neurologia, oncologia, pediatria, servizio di terapia antalgica. Saranno trattati i
seguenti argomenti: dolore e cultura, corpo, individuo e malattia, analisi dei
modelli clinici (come si sa durante la loro interazione il paziente ed il medico
costruiscono, nella maggior parte dei casi, realtà cliniche differenti basate sulle
loro particolari percezioni culturali e sui loro modelli sanitari. Modelli che va­
riano oltre che socioeconomicamente anche da società a società ed
etnicamente), Qualità delle comunicazioni del dolore, L’antropologia medica
ed i suoi orientamenti teorici, Le origini storiche della disciplina.
3) Conclusioni e verifica finale.
4) Produzione di manuale di antropologia medica utilizzabile anche dal per­
sonale escluso dal presente percorso formativo.
5) Divulgazione alla popolazione dei risultati del lavoro svolto.
Il progetto ha avuto inizio il 15 aprile 2004. La conclusione è prevista per il
31 marzo 2005.
Risorse utilizzate
Complessivamente la formazione riguarderà 32 operatori sanitari (9 medi­
200
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
ci, 17 infermieri, 3 fisioterapisti, 3 psicologi) per un totale 274 ore individuali
di formazione (24 ore individuali di teoria e 250 ore di stage in produzione) e
8.768 ore aziendali. Il costo previsto è pari a euro 25.473,00.
Il progetto è oggetto di cofinanziamento del FSE – obiettivo 3.
12.18. Assistenza e trattamento del dolore. Uno strumento di indagine su
conoscenze, atteggiamenti e comportamenti di infermieri e medici
L. CANAVACCI1, E. MENONI2, A. M. ALOISI3, M. G. D’AMATO1, A. GRASSO1, R. MARCHINI2,
M. GIACCHI1 - 1U.O.C. Promozione della Salute, Dipartimento di Fisiopatologia,
Medicina Sperimentale e Sanità Pubblica, Università di Siena; 2Dipartimento
di Scienze Neurologiche e del Comportamento, Università di Siena; 3Diparti­
mento di Fisiologia, Università di Siena
AUTORE REFERENTE: MARIANO GIACCHI, U.O.C. Promozione della Salute, Diparti­
mento di Fisiopatologia, Medicina Sperimentale e Sanità Pubblica, Via Aldo
Moro, 53100 Siena - tel.: 0577 234092, fax: 0577 234090, e-mail:
[email protected]
Introduzione
La letteratura internazionale è concorde nell’evidenziare un atteggiamento
diffuso a causa del quale il dolore (nelle sue diverse espressioni) viene quoti­
dianamente sottostimato e trattato inadeguatamente nelle nostre realtà sanita­
rie, sebbene sia oggi possibile ricorrere a presidi efficaci in tal senso.
In particolare nei malati ricoverati nelle strutture sanitarie di ricovero e cura,
la percentuale di coloro il cui dolore è fronteggiato in maniera insoddisfacente
è molto alta (40-50% dei ricoverati) e con maggiore difficoltà per quelle fasce
di popolazione più vulnerabili quali bambini, anziani, malati in fase termina­
le, cerebropatici.
A sostegno di tale atteggiamento concorrono diversi fattori: tra questi, come
è stato più volte denunciato, l’opinione che il dolore sia un evento naturale
che accompagna “inevitabilmente” l’iter diagnostico e terapeutico; la diffi­
coltà, anche culturale, ad accettare la centralità del paziente nella rilevazione
dei dati relativi al dolore e nel suo trattamento; le difficoltà oggettive a co­
struire scale adeguate di misurazione del dolore; l’impreparazione diffusa
tra gli operatori dovuta alla mancanza di una formazione di base sull’ap­
proccio al dolore; la mancanza di protocolli sulla terapia del dolore e sul­
l’uso degli analgesici.
Il progetto “Ospedale senza dolore” si propone di affrontare tale situazione
al fine di contrastare il dolore e le sofferenze evitabili, causate alle persone
dalle malattie e dai presidi diagnostici e terapeutici adottati per curarle, per
201
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
mezzo di un radicale mutamento degli atteggiamenti e dei comportamenti
che deve coinvolgere non solo il personale di assistenza ma tutti i cittadini.
Il progetto Ospedali senza dolore fa esplicito riferimento a quanto deli­
neato nelle Linee guida per l’“Ospedale senza dolore” contenute nel docu­
mento messo a punto dalla Conferenza Stato-Regioni (Provvedimento 24
maggio 2001 – Gazzetta Ufficiale 29 giugno 2001) ad integrazione di quan­
to statuito nel precedente accordo riguardante le linee guida nazionali in
tema di cure palliative; costituisce inoltre specifico riferimento la Legge n.
12 dell’8 febbraio 2001 che ha riformato la normativa vigente in tema di
oppioidi.
Tuttavia, per essere efficacemente affrontato, il dolore deve essere conside­
rato nella prospettiva di un continuum olistico, di sintesi cioè rispetto ai biso­
gni complessivi del malato e ai percorsi assistenziali. In questo senso è appar­
so particolarmente utile predisporre uno strumento di maggiore potenza co­
noscitiva rispetto alla sola analisi dei comportamenti clinici rispetto al dolore.
È stato dunque elaborato un questionario a risposte strutturate volto ad inda­
gare le conoscenze, gli atteggiamenti e i comportamenti di tutto il personale
medico ed infermieristico in relazione ai vari aspetti caratterizzanti la terapia
del dolore (clinici, psicologici ed etici).
Obiettivo generale e target
L’indagine conoscitiva mira ad acquisire informazioni su conoscenze, at­
teggiamenti e comportamenti di infermieri e medici dell’Azienda Ospedaliera
Universitaria Senese, dell’Azienda Usl 7 di Siena e dei medici di medicina ge­
nerale relativamente al trattamento dei pazienti con dolore.
Obiettivi specifici
- Acquisire informazioni relativamente al bisogno formativo del personale
medico e infermieristico delle Aziende.
- Acquisire informazioni sulla gestione di questo problema all’interno dei re­
parti e nel territorio.
- Individuare modalità per il miglioramento e/o l’ottimizzazione di tale gestione.
Risultati e conclusioni
In questa fase del progetto è stato messo a punto il questionario quale stru­
mento di analisi delle conoscenze delle opinioni e dei comportamenti degli
operatori, caratterizzato da un approccio basato sulla consapevolezza della
necessità di considerare il dolore e la sua cura nei termini non solo fisiologici,
ma anche psicologici, etici e relazionali, nonché dalla valutazione del lavoro
202
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
interdisciplinare e d’èquipe quale indispensabile prerequisito per una corret­
ta assistenza dei pazienti.
In termini generali il progetto vuole portare ad un miglioramento della cono­
scenza dei livelli organizzativi e dei bisogni di formazione del personale sanita­
rio in questa materia e dunque contribuire significativamente all’avanzamento
dei livelli di qualità nei percorsi assistenziali relativi dei pazienti con dolore.
Un migliore controllo del dolore è infatti una precondizione essenziale af­
finché le persone malate possano gestire la loro sofferenza in maniera digni­
tosa e mettere a frutto le risorse residue per migliorare la loro qualità di vita in
rapporto allo stato di salute.
12.19. Verso la creazione di un acute pain service nell’ambito del progetto
HPH “ospedale senza dolore”
A. VENEZIANI1, F. PICCA2, S. MIGLIORINI3, I. FRATI4, V. FUSARI4, A. APPICCIAFUOCO5 - 1Me­
dico U.O. Anestesia e Rianimazione, 2Infermiera Direzione Sanitaria, 3Uffi­
cio Infermieristico, 4Staff Amministrativo Direzione sanitaria, 5Direttore Sa­
nitario – Osp. Nuovo S. Giovanni di Dio ASL Firenze
Introduzione
L’adesione dell’Ospedale Nuovo San Giovanni di Dio al progetto HPH
Ospedale Senza Dolore, ha aperto nuovi scenari per l’attenzione verso il
problema del dolore acuto. Il corso di formazione obbligatorio, che ha coin­
volto tutti gli infermieri e circa un terzo dei medici di area chirurgica e DEA,
ha potuto rilevare come sia elevato l’interesse per questo argomento e la
motivazione a poter cambiare radicalmente atteggiamento. Si è quindi reso
opportuno mettere in pratica uno degli elementi essenziali della fase di at­
tuazione dell’Ospedale Senza Dolore: la misura del dolore. In analogia con
un modello sviluppato dal Prof. Rawal in Svezia, la Direzione Sanitaria e
Infermieristica d’intesa con l’U.O. di Anestesia e Rianimazione hanno rite­
nuto opportuno investire sulla creazione di una figura infermieristica addet­
ta al coordinamento del controllo del dolore postoperatorio nei reparti in
modo da garantire per 24-48 ore post intervento chirurgico, un’analgesia
ottimale per ogni paziente, definita con una scala di misurazione da un pun­
teggio d’intensità del dolore ≤ 3, da mantenere costante eventualmente con
aggiustamenti della terapia. La figura infermieristica dedicata è un tramite
tra la figura del medico anestesista che prescrive la terapia al momento della
dimissione del paziente dalla sala operatoria, e l’infermiere di reparto che
esegue la terapia e misura regolarmente l’entità del dolore di ogni singolo
paziente. Essa ha una funzione facilitatrice nei riguardi degli altri colleghi di
203
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
corsia per ciò che concerne la messa in atto delle tecniche di misurazione
del dolore e l’applicazione della terapia. Il suo compito inoltre è quello di
acquisire ed elaborare i dati inerenti il controllo del dolore postoperatorio
per ottimizzare la terapia anche attraverso una successiva possibile stesura
di protocolli specifici. É stato previsto un suo impiego per cinque giorni alla
settimana con un orario flessibile dalle 9.00 alle 16.30 in modo da poter
attuare in parte un controllo dei pazienti operati il giorno precedente e in
parte di quelli operati lo stesso giorno.
Resoconto dell’attività
Dopo un iniziale periodo di training orientativo con il supporto dei me­
dici dell’U.O. di Anestesia e Rianimazione, dal 1 febbraio u.s. l’infermiera
ha cominciato un’attività autonoma giornaliera. Inizialmente il controllo
postoperatorio si è limitato agli interventi chirurgici “maggiori” e preva­
lentemente in reparti dove per tradizione vi è un controllo del dolore da
parte del personale infermieristico già di buon livello. Successivamente si
è allargato anche alle altre divisioni di chirurgia. L’organizzazione del la­
voro prevede la presa in carico dei pazienti in sala operatoria dove vengo­
no registrati la sede, il tipo di intervento e di anestesia ed il trattamento
antalgico previsto. Successivamente nel postoperatorio continua l’annota­
zione di una serie di parametri che assicura il monitoraggio delle condi­
zioni del paziente e una verifica dell’efficacia dell’analgesia impostata non­
ché dei possibili effetti collaterali. In tal modo viene assicurato un control­
lo del paziente e una rilevazione del dolore che implementa quella esegui­
ta dagli infermieri del reparto con frequenza sempre più crescente, e che
permette di apportare eventuali correttivi alla terapia e un controllo suc­
cessivo dell’effetto.
I dati relativi al primo trimestre di attività hanno interessato 400 pazienti, e
pur riconducibili ad un periodo di osservazione piuttosto breve evidenziano
che:
- il pain score medio rilevato dopo 3-5 ore dalla fine dell’intervento, rappre­
sentativo dell’efficacia dell’impostazione della terapia antalgica è stato in
genere, fatte poche eccezioni di poco superiore al valore di tre;
- il numero medio di volte che ogni malato è stato seguito al di là dei controlli
infermieristici di reparto è compreso tra le 3 e le 4;
- l’intervento dell’infermiera ha permesso in 130 casi una correzione (talvolta
un semplice aggiustamento) della terapia in genere sempre coronato da
successo.
E’ stato acquisito dopo un iniziale utilizzo di materiale cartaceo, un compu­
ter palmare dedicato alla rilevazione dei dati del dolore postoperatorio. Tale
sistema facilita il lavoro e abbrevia il tempo attualmente dedicato all’immis­
204
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
sione dei dati permettendo inoltre una semplificazione della successiva ela­
borazione.
Dalle impressioni generali ricavate dal contatto con i pazienti, gli infermieri
di reparto, le AFD e i colleghi anestesisti, l’impatto di questa nuova figura è
stato recepito in maniera del tutto positiva. Per ciò che concerne una più ap­
profondita valutazione dell’efficacia, questa sarà realizzata mediante un con­
trollo di indicatori clinici prefissati ed analizzati a scadenze prefissate concer­
nenti l’implementazione dell’analgesia nei vari reparti dell’ospedale e com­
prendente:
- incremento del numero di “schede di rilevazione dolore” correttamente com­
pilate dal personale infermieristico;
- valutazione e confronto del punteggio medio del dolore dopo 3 ore dal
termine dell’intervento o dall’ammissione al PS;
- numero di correzioni terapeutiche adottate per ogni singolo paziente;
- punteggio medio del dolore per ogni tipologia di intervento o di patologia
acuta dolorosa;
- tipologia ed entità delle possibili complicanze e degli effetti collaterali rela­
tive all’uso di farmaci analgesici;
- incremento del consumo dei farmaci per singole classi farmacologiche;
- grado di soddisfazione dell’utenza espresso da questionari di gradimen­
to.
12.20. La rilevazione dei bisogni formativi in tema di dolore: analisi delle
risposte a un questionario
L. C OLONNA 1, C. S ESTINI 2, M. C ALAMAI 3 - Comitato per l’Ospedale Senza Do­
lore (COSD), Azienda USL 8, Arezzo - 1Coordinatore progetto HPH e
COSD, 2Corso di Laurea in Scienze Infermieristiche, 3Direttrice Sanita­
ria AUSL 8
AUTORE REFERENTE: LUCIO COLONNA, Resp. Rete Aziendale di Terapia Antalgica
Azienda USL 8, c/o Direzione Sanitaria, via Fonte Veneziana 8, 52100 Arezzo;
tel.: 0575255652, fax: 0575-254125.
Introduzione
L’esigenza di trattare il dolore acuto e cronico nei reparti ospedalieri è am­
piamente documentata da indagini prospettiche e retrospettive, osservazionali
e randomizzate, nazionali e internazionali. Gli ostacoli che si frappongono a
costruire una risposta a questa esigenza sono stati individuati in numerosi
fattori, fra i quali particolare rilevanza assumono, fra gli altri:
- l’atteggiamento di alcuni operatori e degli stessi malati, che spesso ritengo­
205
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
no che il dolore sia ineluttabilmente legato alla malattia;
- difficoltà di tipo organizzativo;
- modello assistenziale fondato sulla centralità della malattia, anziché sulla
persona malata;
- le carenze formative sul dolore, che si registrano sia nei corsi universitari e
specialistici per i medici, sia in quelli per gli infermieri.
La premessa di qualsiasi intervento teso a aumentare la sensibilità e la capa­
cità di trattamento del dolore è quella di aumentare le conoscenze specifiche
fra gli operatori sanitari, in un contesto di trasformazione del processo assi­
stenziale da “disease centred” a “patient centred”.
Obiettivo della rilevazione
Individuare il bisogno formativo in materia di dolore nelle Unità Operative
di area medica delle cinque Zone della Provincia di Arezzo, attraverso l’analisi
delle risposte ad un questionario distribuito fra il personale infermieristico e
medico. Costruire un progetto formativo che punti a riempire i vuoti culturali
più evidenti.
Popolazione target. Tutti gli operatori sanitari coinvolti nel processo assi­
stenziale nelle Unità Operative di Medicina Interna e Specialistiche dell’AUSL
8, pari a oltre 500 unità, come primo step da trasferire successivamente anche
fra i cittadini (scuole, ospedali, forze social, ECC....) in sincronia con le Asso­
ciazioni del Volontariato.
Metodi e risultati
Il questionario, costituito da 13 domande a risposta binaria (vero/falso),
conteneva affermazioni concernenti metodi di somministrazione dei far­
maci analgesici, conoscenze farmacologiche sugli effetti collaterali di al­
cune categorie di analgesici, efficacia di alcune tecniche analgesiche, rap­
porti con il malato e interpretazione dei suoi bisogni. Le domande erano
distribuite nel questionario in modo randomizzato e veniva richiesto al­
l’operatore di rispondere in modo autonomo, senza conoscere le risposte
dei colleghi.
Le risposte ai questionari hanno evidenziato un bisogno formativo mirato
in modo significativamente maggiore su:
- la necessità di considerare la persona malata al centro del processo as­
sistenziale (circa il 20% dei medici intervistati ed oltre il 50% degli infer­
mieri non sono d’accordo sulla necessità di credere “sempre” al mala­
to);
- migliorare le conoscenze sulla farmacologia e sulla conoscenza degli effet­
ti collaterali degli oppiacei (p. es., quasi l’80% dei medici ritiene che la
206
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
depressione respiratoria non sia la complicanza più frequente nel consu­
mo di oppiacei; oltre il 60% dei medici e degli infermieri intervistati pensa­
no che buona parte dei malati ai quali vengono somministrati oppiacei a
orari fissi divengano dipendenti);
- fornire agli operatori gli strumenti per la valutazione quali – quantitativa
del dolore (oltre il 90% ha risposto positivamente all’affermazione se­
condo la quale “il dolore va misurato regolarmente come i parametri
vitali”).
Le risposte fornite dagli infermieri hanno mostrato una significativa correla­
zione fra le 5 Zone della provincia (indice di correlazione 0,86), mentre è
risultata bassa la correlazione fra i medici e gli infermieri (indice di correlazio­
ne 0,50), manifestando in tal modo da un lato bisogni formativi almeno in
parte diversi, dall’altro la necessità di un modello organizzativo basato sul
confronto ed in particolare sull’audit clinico.
Conclusioni
I risultati del questionario hanno contribuito a evidenziare gli obiettivi di­
dattici del progetto formativo sulla valutazione ed il trattamento del dolore
nelle U.O. Mediche dell’Azienda USL 8. Le differenze riscontrate fra il perso­
nale medico ed infermieristico hanno evidenziato il bisogno di un’organizza­
zione del lavoro fondata sul miglioramento continuo della qualità delle pre­
stazioni attraverso l’uso sistematico di momenti di confronto clinico.
12.21. Ospedale senza dolore: l’esperienza continua
S. SOTTILI - Clinica San Carlo, Via Ospedale 21, 20137 Paderno Dugnano (MI)
– tel.: 02 99038227, fax: 02 99038223, e-mail: [email protected] o
[email protected]
Il programma di Ospedale senza dolore” della Clinica San Carlo, iniziato
nel 1999, prosegue negli anni con successivi aggiornamenti.
Partito in prevalenza come programma per la gestione del dolore acuto
postoperatorio, si è poi dilatato al trattamento del dolore cronico benigno per
poi arrivare al trattamento del dolore da cancro.
Le metodiche per il trattamento del dolore si sono nel tempo affinate e,
all’uso costante da anni di terapie antidolorifiche per infusione venosa o
peridurale controllate con pompe infusionali, si sono aggiunti presidi come la
stimolazione elettrica peridurale e la messa a dimora di cateteri spinali, en­
trambi collegati a stimolatori o pompe infusionali impiantate sottocute nell’addome del Paziente.
207
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
L’attività della Clinica è poi proseguita con la istituzioni di corsi ECM per
“Ospedale senza dolore” che già hanno visto tre edizioni e che richiamano
operatori sanitari anche da Ospedali di Milano e hinterland. In modo partico­
lare l’ultimo convegno, che si svolge in due sessioni, è stato aperto a medici,
infermieri, farmacisti ospedalieri e fisioterapisti. Queste ultime due categorie
sono state inserite in ottemperanza al dettato delle linee guida nazionali (Il
testo definitivo delle “Linee Guida” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
in data 29 giugno 2001) e al manuale di applicazione di tali linee guida, già
approvato da una commissione scientifica della Regione Lombardia e in atte­
sa di essere reso esecutivo con la pubblicazione sul Bollettino Regionale.
Nello stesso spirito la Clinica ha organizzato un incontro sull’argomento
“dolore” con il pubblico, in collaborazione con il Comune di Novate Milane­
se: tale incontro si è tenuto nell’aula consiliare del comune, e manifestazioni
analoghe sono in programma per la fine del 2004 anche a Paderno Dugnano,
sede della Clinica, e in altri comuni limitrofi.
Tutto questo riflette il compito di “Ospedale che insegna la salute” che da
tempo viene perseguito su varie categorie, e i cui risultati verranno valutati
alla fine del 2005, con un confronto con i dati appena raccolti seguendo le
indicazioni del programma nazionale “la giornata del sollievo”, che servono a
confrontare dati di prevalenza del dolore in ospedale.
Il programma del trattamento del dolore ha una finalità volta a coinvolgere
il più possibile tutti coloro che vengono a contatto con il sintomo dolore, per
combattere una battaglia comune contro un segnale corporeo che, quando
non più utile, diventa rapidamente inutile e dannoso.
12.22. Il progetto ospedale senza dolore come strumento di comunica­
zione aziendale
R. MASSEI (Direttore DEA), M. CANELLA (Dirigente medico U.O. Anestesia 1), A.
CAZZANIGA (Direttore SITRA), L. FERRAIOLI (Componente SITRA), A. INVERNIZZI (In­
fermiere AFD, Responsabile area dip. DEA), M. BOSIO (Direttore struttura
Qualità), E. CRISTOFORI (Struttura Qualità), A. ZOLI (Direttore Sanitario
Aziendale), P. CALTAGIRONE (Direttore Generale) - Azienda Ospedaliera “Ospe­
dale di Lecco”, Regione Lombardia
AUTORE REFERENTE: LAURA FERRAIOLI, SITRA, Azienda Ospedaliera “Ospedale di
Lecco”, Via dell’Eremo 9/11, 23900 Lecco - tel.: 0341 489060, fax: 0341
489093, e-mail: [email protected]
Il dolore continua ad essere una dimensione cui non viene riservata ade­
guata attenzione, nonostante sia stato scientificamente dimostrato quanto la
sua presenza sia invalidante dal punto di vista fisico, sociale e emozionale.
208
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Secondo quanto rintracciato nella letteratura corrente tutti i tipi di dolore sia
acuto che cronico, in tutte le parti del modo, sono inadeguatamente trattati, il
dolore potrebbe essere trattato in oltre il 90% dei pazienti affetti da cancro, ma
tuttora meno del 50% riceve un adeguato trattamento, il dolore cronico è la
causa più frequente di sofferenza e disabilità che seriamente influisce sulla
qualità della vita, il 77% dei pazienti lamenta dolore dopo un intervento chi­
rurgico.
Al fine di giungere a considerare il dolore fisico un segno imprescindibile
nella valutazione clinica ed assistenziale della persona l’Azienda Ospedaliera
di Lecco ha promosso un’indagine interna rivolta sia agli operatori che alle
persone assistite, con la finalità di disegnare la dimensione epidemiologica
del dolore e definire in seguito le metodologie formative, informative atte a
aiutare operatori e pazienti a dare una risposta efficace ed efficiente al dolore
in tutte le sue dimensioni di manifestazione.
L’obiettivo principale è quello di sensibilizzare gli operatori sanitari del­
l’azienda alle problematiche del dolore acuto e cronico: riconoscimento, defi­
nizione, misurazione e trattamento. La definizione del percorso formativo è la
diretta declinazione degli obiettivi che si perseguono attraverso la costituzio­
ne del Comitato Ospedale Senza Dolore. Il progetto formativo vede la crea­
zione di gruppi di lavoro aziendali aventi la finalità di: approfondire le diverse
aree tematiche del dolore, recuperare la letteratura scientifica esistente, ela­
borare indagini atte a misurare la dimensione del fenomeno in ambito
aziendale, definire metodi e strumenti per la rilevazione e gestione del dolo­
re.
Gli obiettivi specifici sono quelli di acquisire conoscenze rispetto alla di­
mensione del dolore in ambito ospedaliero, conoscere le modalità e i criteri di
rilevazione del dolore e saper utilizzare la scala di rilevazione valutazione
proposta.
Allo stato attuale il lavoro del Comitato si è focalizzato sulla stesura di linee
guida per la gestione del dolore chirurgico post operatorio. Su tale tematica è
stato effettuato un corso di formazione, strutturato in 10 edizioni, con la parte­
cipazione di medici ed infermieri pari all’80% dei programmati. Sono stati for­
mati circa 113 medici e 214 infermieri, per un totale di 327 persone. Il lavoro
del Comitato continua con l’attuazione delle linee guida predisposte e con la
stesura di documenti relativi ad altre due aree: la parto-analgesia e il tratta­
mento del dolore nelle procedure invasive.
Il valore aggiunto del lavoro svolto in Azienda su questa tematica sta nella
definizione univoca delle modalità di trattamento e nella messa in atto di un
processo di sensibilizzazione dei pazienti. La formazione effettuata ha per­
messo di strutturare meglio un processo di comunicazione con il paziente
finalizzato alla conoscenza preventiva del problema e alla condivisione delle
modalità di trattamento.
209
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.23. La rete HPH Piemonte e Valle d’Aosta e “l’Ospedale senza dolore”
F. RIPA, A. DE LUCA, L. RESEGOTTI, P. ZAINA - Rete HPH Piemonte e Valle d’Aosta
Nella conferenza HPH di Torino del novembre 2003 una sessione molto
articolata è stata dedicata ad un tema particolarmente attuale: l’Ospedale sen­
za dolore.
La rete HPH Piemonte e Valle d’Aosta, prendendo spunto anche da signifi­
cative esperienze già sviluppate in alcune Aziende (ASL 1 Torino, ASL 4 Tori­
no, ASL Chivasso, ASL Casale, ASL Vercelli, ASL Valle d’Aosta, Ospedale
Gradenigo Torino, ASO San Giovanni Battista Torino) ha avviato pertanto lo
specifico progetto regionale, che si inserisce comunque nel contesto delle
iniziative già indirizzate a livello regionale.
Le Aziende che si sono trovate in un primo incontro preliminare presso
l’ospedale Molinette nel mese di gennaio e negli incontri successivi hanno
condiviso le reciproche esperienze, sottolineando alcune dimensioni centrali
su cui impostare specifici progetti di miglioramento relativi in particolare alla
“consapevolezza” del dolore da parte dei vari attori in campo, al ruolo che
può rivestire in tale ambito la formazione/informazione, all’esigenza di defi­
nire sotto il profilo più squisitamente tecnico standard di riferimento per gli
Ospedali e, più in generale, per i sistemi aziendali in una logica generale di
integrazione. Tali dimensioni, peraltro, possono rappresentare altrettanti sti­
moli per la ricerca di specifiche azioni da sviluppare nelle Aziende.
In tal senso è stato avviato una prima ipotesi di progetto il cui obiettivo è
quello di ridisegnare il percorso del paziente nell’Ospedale senza dolore e nel
territorio di riferimento, andando a considerare in modo specifico i momenti
in cui egli si trova ad affrontare l’esperienza del dolore, per evidenziare le
criticità e quindi porre in atto strumenti e metodologie di gestione in termini
di comunicazione e di valutazione della percezione.
Le iniziative avviate in Piemonte e Valle d’Aosta porteranno un contributo im­
portante nei prossimi cinque anni allo sviluppo della rete HPH anche sul tema del
dolore e, in generale, sulla centralità della persona nello specifico ambito.
12.24. Ruolo del comitato per l’ospedale senza dolore nel promuovere
una effettiva partnership tra professionisti e pazienti
M. MONTEROSSO1, G. ALBERTINI2, M.G. ALLEGRETTI1, B. BORTOLAMEOTTI1, D. CHIUSOLE3,
G. M. GUARRERA1, F. DALLAPÈ1, G. MENEGONI1, B. PARODI1, D. PEDROTTI1, C. PONTALTI1,
P. ROMITI1, E. BALDANTONI3 - 1Comitato Ospedale Senza Dolore dell’Azienda Sa­
nitaria per i Servizi Sanitari – Trento; 2Associazione “No Pain for Children”;
3
Direzione Ospedale di Trento
210
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
AUTORE REFERENTE: MICHELA MONTEROSSO, Direzione Medica Ospedale di Trento,
largo medaglie d’oro, 38100 Trento – tel.: 0461 903027, fax: 0461 903118
Introduzione
Una efficace gestione del dolore nei pazienti, ricoverati in ospedale o assi­
stiti a domicilio, deve consentire ai professionisti di affrontare la dimensione
della cura in modo integrato con quella relativa alla capacità da parte dei pa­
zienti e dei loro familiari di adottare comportamenti idonei per la gestione ed
il controllo del sintomo dolore
Questo comporta il coinvolgimento attivo e responsabile del paziente nelle
cure e l’ascolto attento dei professionisti, in particolare riguardo ai soggetti
con difficoltà di comunicazione (bambini, anziani, stranieri) ed al fatto che il
dolore viene vissuto e di conseguenza riferito in modo diverso in relazione
alla propria storia personale e alla cultura di appartenenza dei singoli.
Obiettivi
Descrivere il percorso seguito dal Comitato per un Ospedale Senza Dolore
(COSD) della APSS nella predisposizione di linee guida locali per l’informa­
zione dei pazienti e dei loro familiari.
L’obiettivo specifico è quello di mettere in grado i pazienti di riferire ai
professionisti le proprie aspettative sul dolore, di realizzare una effettiva alle­
anza terapeutica per il controllo del dolore stesso attraverso la condivisione
del piano di cura per la gestione del dolore, formare i professionisti sanitari ad
una efficace gestione del dolore, utilizzando strumenti validati e condivisi (li­
nee guida e procedure) in una modalità di effettiva partnership con i pazienti.
Target
- Personale
- formazione del personale sanitario;
- conoscenza ed utilizzo di strumenti di rilevazione e monitoraggio del dolore;
- informazione sulla possibilità di utilizzare mediatori culturali.
- Pazienti
- predisposizione di materiale informativo sulla gestione del dolore, inclu­
so quello audiovisivo;
- indagini annuali sulla qualità percepita e la soddisfazione.
- Comunità
- iniziative di visibilità del Comitato (comunicazione interna ed esterna);
- informazione sui risultati delle indagini di soddisfazione;
- organizzazione di eventi culturali centrati sul problema del dolore.
211
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Presentazione e valutazione dei risultati
Azioni sul personale. Formazione del personale sanitario:
- partecipazione al master in “terapia antalgica e cure palliative dell’età
pediatrica” di un medico pediatra e di un anestesista dell’area pediatrica,
anche grazie alla collaborazione della associazione onlus “No Pain for
Children che partecipa al COSD;
- partecipazione al corso “gestione del dolore postoperatorio” frequentato
da infermieri dell’area chirurgica;
- partecipazione a 3 seminari organizzati dal Servizio Formazione APSS sul
dolore acuto postoperatorio nel periodo 2003-2004. Sono in programma 2
seminari sul dolore cronico nel paziente oncologico;
- formazione ed addestramento alla gestione del dolore postoperatorio di tutto
il personale medico ed infermieristico dell’U.O. Chirurgia Pediatrica dell’Ospe­
dale S. Chiara tenuto dall’anestesista che ha frequentato il master sopra citato;
- messa a disposizione di strumenti di facile utilizzo per la rilevazione ed il
monitoraggio del dolore anche nei pazienti di età pediatrica o con difficoltà
di comunicazione;
- avvio negli ospedali di Trento e Rovereto di un progetto pilota che prevede
l’intervento di mediatori culturali su chiamata delle unità operative nelle
quali è maggiore l’afflusso degli utenti stranieri, con monitoraggio qualiquantitativo degli interventi con apposita scheda.
Azioni sui pazienti:
- consegna di materiale informativo per la gestione del dolore ai pazienti
dell’area medica, chirurgica e materno infantile;
- conduzione di due indagini annuali, con apposito questionario, sulla sod­
disfazione dei cittadini in occasione della “giornata nazionale del sollievo”.
Nel 2004 l’indagine è stata mirata ai piccoli pazienti;
- presenza presso tutte le strutture APSS del poster del Comitato “Cambia
volto all’Ospedale – basta al dolore inutile”.
Azioni sulla comunità:
- presenza nel sito web aziendale dei documenti e delle attività del COSD;
- diffusione dei risultati delle indagini di soddisfazione a mezzo media (gior­
nali, televisioni locali, conferenze stampa);
- progettazione di incontro con associazioni di mediatori culturali per un con­
fronto sulla percezione e manifestazione del dolore nelle varie etnie.
Conclusioni
Il progetto si propone di modificare conoscenze, atteggiamenti e compor­
tamenti dei professionisti per metterli in grado di identificare, valutare e tratta­
re i diversi tipi di dolore nei pazienti assistiti negli ospedali della APSS e a
212
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
domicilio in ambito provinciale, educando i pazienti alla gestione del dolore e
fornendogli strumenti conoscitivi e culturali per renderli compartecipi del pro­
cesso di cura che li riguarda.
12.25. L’ospedale senza dolore: promuovere una cultura per migliorare
il benessere del paziente
L. ANGELINI1, D. CRESPI2, M. GALBIATI3, M. G. MEZZETTI3, C. RADICE1, F. RIZZI4 - Istituto Clini­
co Mater Domini di Castellanza (VA) - 1Direzione Sanitaria; 2Ufficio Qualità e
Formazione; 3Ufficio Comunicazione; 4Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione
AUTORE REFERENTE: DEBORA CRESPI, Istituto Clinico Mater Domini, via Gerenzano
2, 21053 Castellanza (VA) - tel.: 0331 476282, fax: 0331 476204, e-mail:
[email protected].
Breve introduzione del contesto
L’Istituto Clinico Mater Domini è una struttura sanitaria in cui circa il 65%
dei posti letto è dedicato all’attività chirurgica. Il dolore, e il dolore post-ope­
ratorio in particolare, rappresenta dunque un importante realtà con la quale
confrontarsi per assicurare al paziente un benessere fisico ed emotivo.
Il 1 agosto 2002, l’Istituto ha deciso di varare il progetto “Ospedale senza dolore”.
Si tratta di una scelta volta a rendere il ricovero, ed il relativo intervento
chirurgico, come un fenomeno episodico nella vita del paziente, che modifi­
chi il meno possibile le sue abitudini di vita.
Obiettivi
Il progetto si pone i seguenti obiettivi:
- trattare in modo organico e continuativo il dolore (acuto, cronico, post­
operatorio);
- prestare attenzione alla componente oggettiva e soggettiva del dolore;
- adottare per ogni prestazione di accoglienza diagnostica e terapeutica tutte
le strategie necessarie (farmacologiche, ambientali, alternative) per ridurre
il dolore;
- predisporre ulteriori modalità per aumentare il benessere del paziente.
Gruppo target
Sono stati individuati tre gruppi target:
- Il paziente.
E’ stato predisposto un opuscolo divulgativo in cui vengono illustrati i di­
213
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
versi aspetti di dolore: perché si manifesta, quali sono le tipologie, come si
valuta, che cos’è la terapia del dolore e in cosa consiste.
- Operatori sanitari.
- Gli infermieri professionali: nel corso del 2003, l’Istituto si è fatto promo­
tore ed organizzatore di un iter formativo con lo scopo di aggiornare il
personale, non solo sugli aspetti terapeutici del dolore, ma anche su quelli
psicologici e comunicativi che coinvolgono il paziente.
- I medici. L’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione ha predisposto i
protocolli per il trattamento del dolore post-operatorio per le attività di
chirurgia generale, chirurgia vascolare, ortopedia e urologia. Successiva­
mente, è stata attivata un’indagine per verificare la rispondenza dei proto­
colli creati rispetto alla tipologia dei pazienti trattati. Si è utilizzata una scheda
di misurazione del dolore che rileva il dolore percepito dal paziente. Sulla
base di questi risultati, i medici delle Unità Operative coinvolte potranno
così aggiornare i protocolli di trattamento del dolore in uso.
Valutazione dei risultati
- Dall’inizio del 2004 gli opuscoli divulgativi sono a disposizione degli utenti.
- Tutto il personale è stato coinvolto nei corsi di formazione, la partecipazio­
ne è stata del 90% circa.
- Sono stati creati quattro protocolli di trattamento per il dolore post-opera­
torio che potranno essere adeguati in base all’analisi delle schede di misu­
razione del dolore.
- Le schede di rilevazione sono state distribuite a partire dal 7 gennaio 2004
fino ad aprile. Sono state quindi raccolte e analizzate, al fine di valutare i
risultati emersi.
Conclusioni
I corsi di formazione hanno fornito nuovi strumenti per migliorare l’assi­
stenza e affrontare con maggior competenza e professionalità il problema del
dolore percepito.
Parallelamente, il paziente si è sentito coinvolto nell’iniziativa, consapevole
di fornire indicazioni utili per il proprio benessere e per migliorare la qualità
dell’assistenza erogata.
12.26. Le tecniche di rilassamento nella cura del dolore: reiki e paziente
oncologico anziano
M.T. VITALE1, M.E. LA GRASSA1, D. COVA1, E. COFRANCESCO2 - 1UOC di Onco-Geria­
214
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
tria, Istituto Geriatrico “Pio Albergo Trivulzio”, Milano; 2Dip. di Scienze Me­
dico chirurgiche, San Donato, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di
Milano
Background
La terapia farmacologica del dolore nel paziente anziano è molto delicata,
in quanto il soggetto anziano è più sensibile ai sovradosaggi e presenta un
aumentato rischio di effetti collaterali. Nell’ambito delle strategie complemen­
tari e di supporto nel paziente oncologico anziano, particolare interesse rive­
stono le tecniche di distensione e rilassamento, spesso efficaci nel lenire il
dolore, innocue e gradite ai pazienti.
Reiki, che ha le sue radici nel buddismo tibetano, è un antico e semplice
metodo di cura tramite il tocco delle mani. Si tratta di una tecnica “dolce”, di
rilassamento ed analgesia, efficace nella terapia del dolore (anche oncologico),
nell’assistenza pre- e post-operatoria, durante i trattamenti chemio e
radioterapici, nel malato oncologico avanzato e terminale e negli stati depres­
sivi in genere.
Reiki viene classificato dal National Center for Complementary and Alter­
native Medicine (National Institute of Health) tra le terapie energetiche della
“biofield medicine” o medicine del campo energetico (http://nccam.nih.gov/
health/whatiscam/index.htm). In questo specifico contesto ideologico Reiki
si pone nell’ambito della medicina delle energie sottili, che ha la possibilità
non solo di curare la malattia a livello fisico, ma anche di agire sugli elementi
psicoenergetici della personalità, promuovendo la reintegrazione e il
riallineamento del complesso corpo-mente-spirito.
Come tecnica di contatto manuale (Touch Therapy), Reiki si può collocare
tra le più efficaci tecniche di rilassamento e analgesia. Durante la seduta Reiki,
infatti, si ottiene un rilassamento profondo con riduzione della pressione
arteriosa sistolica e della tensione dei muscoli del collo, e l’aumento delle IgA
salivari [J Adv Nur 2001; 33: 439]. Il rilassamento inoltre riduce i sintomi secon­
dari alla chemioterapia (dolore, nausea) e sostiene emotivamente il paziente
oncologico in trattamento chemioterapico, riducendo l’ansia, la depressione,
la confusione, il senso di rabbia e la stanchezza [Psychooncology 2001; 10:
490].
Obiettivo
Scopo del presente studio è valutare se Reiki, in supporto alle terapie con­
venzionali, possa contribuire ad alleviare i sintomi/segni correlati alla patolo­
gia neoplastica nel paziente oncologico anziano e migliorare la qualità del­
l’assistenza.
215
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Gruppi target
a) Pazienti oncologici anziani in stadio avanzato o terminale, ricoverati pres­
so reparti di oncologia, geriatria o hospices (progetto “Ospedale senza Do­
lore”);
b) Personale sanitario (infermieri, fisioterapisti, caregivers, altri) (progetto
“Tutela della salute e prevenzione del burn out negli operatori della salu­
te”).
Metodi
Studio pilota, prospettico, osservazionale. Arruolati 15 pazienti (11 fem­
mine) di età tra 62 e 87 anni, affetti da cancro in stadio avanzato e con per­
formance status secondo Karnofsky tra 50 (notevole assistenza) e 10 (stato
terminale). Tre malati sono stati accompagnati alla morte. Cartella
infermieristica informatizzata: i parametri clinici sono stati registrati a ca­
denza settimanale. Per ciascuno di questi è stato assegnato uno score di
intensità da 0 (assenza di sintomo/segno) a 10 (massima espressione). Per
ciascuna seduta sono stati registrati profondità del rilassamento e riscontro
soggettivo. A fine ciclo è stato registrato l’indice di gradimento del tratta­
mento da parte del paziente.
Risultati
Sono stati eseguiti 5,7 (range 3-8) trattamenti Reiki per paziente, a cadenza
bi-trisettimanale. Nella tabella 1 sono riportati gli score (valori espressi come
medie).
Tab. 1
basale
dopo Reiki
basale
dopo Reiki
dolore
7,1
4,1
agitazione
7,4
2,8
astenia
7,1
5,2
insonnia
6,5
3,1
dispnea depressione
5,8
5,7
3,5
2,7
nausea
6,9
3,4
vomito
5
3,8
Il rilassamento, alla fine delle sedute Reiki, era medio-profondo nel 90% dei
pazienti, il riscontro soggettivo di “sentirsi meglio” nel 94%, l’indice di gradi­
216
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
mento 9,5 (score da 0 a 10). Elevato il gradimento anche da parte del persona­
le sanitario, che si è sentito molto gratificato e motivato.
Conclusioni
Nel paziente anziano affetto da tumore in fase avanzata, Reiki si dimostra
efficace nell’alleviare i sintomi e migliora la qualità di vita. Nel malato termi­
nale riduce il dolore, infonde serenità, apre alla speranza. Reiki presenta un
elevatissimo indice di gradimento da parte dei pazienti. Nell’infermiere/ope­
ratore sanitario che tratta, Reiki sostiene la relazione, riduce l’ansia nella
cura, aumenta l’empatia, sviluppa amore e compassione. L’inserimento di
Reiki nella formazione professionale dell’infermiere può offrire un utile
mezzo per valorizzarne la professionalità e migliorare il rapporto con il pa­
ziente, trasformando la ‘manipolazione’ del paziente, a volte ruvida e veloce
per necessità contingenti, in una vera e propria ‘terapia di contatto’.
12.27. Indagine conoscitiva sulla prevalenza del dolore nei pazienti ri­
coverati e su atteggiamenti e conoscenze del personale sanitario
A. BERNASCONI, A. CAVALERI, A. GAMBA, G. GENDUSO, N. MONZANI, A. MORETTO, A. RAI­
MONDI, A. RUSSO, M. SALA, R. SPERANZA, L. TUCCINARDI, A.VIRTUANI - A.O. S.Gerardo di
Monza
La A.O. S.Gerardo di Monza ha sviluppato un progetto complesso: verso un
ospedale senza dolore.
Una tappa significativa del progetto è rappresentata da una indagine cono­
scitiva su:
- prevalenza e intensità del dolore nei pazienti ricoverati;
- atteggiamenti e conoscenze degli operatori sanitari.
Strutture interessate
I presidi ospedalieri S. Gerardo (vecchio e nuovo ospedale) di Monza e
Bassini di Cinisello.
Tutti i reparti di degenza, ad eccezione di psichiatria e neonatologia.
Pazienti
Sono stati reclutati tutti i pazienti presenti in un determinato giorno, di età
maggiore o uguale a 6 anni, ricoverati almeno dal giorno precedente e previo
consenso informato.
217
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Personale sanitario
Tutto il personale medico ed infermieristico, fisioterapisti e psicologi.
Metodologia di indagine
a) Rilevazione tramite questionari anonimi di:
A’: presenza, intensità e tipo di dolore avvertito dal paziente
A’’: dolore avvertito dal personale infermieristico sullo stesso paziente e
terapia attuata
B: atteggiamento e conoscenze del personale sanitario sul dolore
b) Misurazione del dolore su scala NAS.
Elaborazione dei dati
Il rapporto, di tipo descrittivo, è stato articolato in 6 sezioni. Le prime 5
relative al questionario riferito ai pazienti (A’ e A’’) e l’ultima riguardante gli
operatori sanitari (B):
- tassi di risposta
- caratteristiche dei pazienti
- dolore percepito dal paziente
- dolore riconosciuto dagli operatori sanitari
- trattamento del dolore
- atteggiamenti e conoscenze sul dolore
Conclusioni
L’indagine conoscitiva, svolta forse per la prima volta contemporaneamen­
te in un grande struttura ospedaliera, ha visto un lungo lavoro di preparazione
e di coinvolgimento degli operatori. Solo così è stato possibile avere tassi ele­
vati di risposta per la rilevazione del dolore nei pazienti e per il questionario
di conoscenza distribuito agli operatori sanitari.
La giornata di rilevazione si è accompagnata ad una campagna informativa
della cittadinanza, con stand posti all’ingresso dei presidi ospedalieri e con
articoli di stampa.
In entrambi i presidi circa il 50% dei pazienti non riferisce dolore. La per­
centuale di pazienti con dolore intenso è inferiore al 10% (9,2% S. Gerardo,
8,2% Bassini). Molto più distribuito è il dolore lieve o moderato. Così vi sono
differenze nelle tre aree considerate per ospedale S. Gerardo e ospedale Bassini.
La evidente discrepanza tra dolore segnalato dal paziente e dolore avvertito
dagli infermieri è a volte causata da una sovrastima da parte dell’operatore
sanitario.
218
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
L’approccio terapeutico prevalente conferma una attitudine persistente a
dare analgesici al bisogno, piuttosto che impostare una terapia costante. L’uso
di oppioidi conferma la resistenza da parte dei medici ad usare questa classe
di analgesici.
Infine un numero consistente di sanitari ha risposto al questionario di co­
noscenza personale.
I questionari raccolti tra gli operatori sanitari sono stati 763.
Il percento totale di risposte esatte è stato del 53,4%.
Tra i 206 medici che hanno compilato il questionario vi è stata una percen­
tuale di risposte esatte del 63,1 %, mentre tra i 532 infermieri la percentuale
positiva è stata del 50,0%.
Tutti i dati ricavati dalla specifica realtà della A.O. S. Gerardo stanno ora
indirizzando le successive tappe del progetto verso un ospedale senza dolo­
re:
- corsi di aggiornamento specifici nelle unità operative, dove vi è maggior
riscontro di dolore
- inserimento nella cartella clinica, medica ed infermieristica, della rilevazione
quotidiana del dolore tramite scala NAS
- promozione dell’uso degli oppioidi.
12.28. Ruolo del comitato per l’Ospedale senza dolore nel processo di
adeguamento agli standard Joint Commission International.
L’esperienza di Trento
F. DALLAPÈ1, B. BORTOLAMEOTTI1, C. PONTALTI1, M.G. ALLEGRETTI1, G.M. GUARRERA1,
G. MENEGONI1, M. MONTEROSSO1, B. PARODI1, D. PEDROTTI1, P. ROMITI1, E. BALDANTONI2
- 1Comitato Ospedale Senza Dolore dell’Azienda Sanitaria per i Servizi Sanitari, Trento; 2Direttore Ospedale di Trento
AUTORE REFERENTE: FRANCA DALLAPÈ, U.O. Chirurgia Pediatrica, Ospedale di
Trento, Largo Medaglie d’oro, 38100 Trento - tel.: 0461 903835, fax: 0461
903835
Introduzione
La versione 2003 del modello di accreditamento secondo Joint Commission
International-JCI prevede tre nuovi standard (COP 17, 18, 19) centrati sulla
valutazione e la gestione del dolore. L’Ospedale S. Chiara di Trento ha iniziato
nel secondo semestre del 2003 il percorso di adeguamento agli standard JCI.
La Direzione di Ospedale ha chiesto la collaborazione del Comitato per l’Ospe­
dale senza dolore (COSD) istituito nel 2002 dal Direttore Generale della Azienda
Provinciale per i Servizi Sanitari-APSS al fine di raccogliere ed elaborare dati
219
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
relativi alla valutazione ed al trattamento del dolore nei pazienti ricoverati, e
di ottenere informazioni ed indicazioni utili per avere un approccio di sistema
del problema dolore.
Obiettivi
Descrivere il percorso seguito dal COSD per la predisposizione di linee
guida locali relative alla educazione del paziente sul dolore coerenti con gli
standard JCI e le azioni per la loro applicazione.
Descrivere come il COSD ha identificato gli strumenti per la rilevazione
sistematica del dolore nei pazienti ricoverati e le modalità per la registrazione
nella cartella clinica integrata, secondo gli standard JCI.
Gruppo target
Personale medico-infermieristico:
- iniziative formative sulla valutazione e la gestione del dolore;
- attività di consulenza allo specifico gruppo di lavoro per l’adeguamento
agli standard JCI.
Materiali e Metodi
- ricognizione della documentazione esistente sulla informazione del paziente;
- ricerca bibliografica di strumenti validati per la valutazione del dolore;
- identificazione di uno strumento informativo per il paziente idoneo per l’area
medica, quella chirurgica e quella pediatrica;
- predisposizione di linee guida locali sulla gestione del dolore;
- realizzazione degli strumenti per la raccolta dei dati relativi a valutazione,
monitoraggio e gestione del dolore coerenti con gli standard JCI;
- avvio di un percorso formativo indirizzato alle diverse figure professionali
che intervengono nel processo di cura.
Conclusioni
Le azioni intraprese hanno consentito all’Ospedale di intraprendere il pro­
cesso di adeguamento agli standard relativi alla cura del paziente che richie­
dono non solo aspetti di tipo formale/documentale, ma modifiche
comportamentali nella pratica quotidiana. Ciò è particolarmente significativo
nell’ambito del dolore, ancora considerato spesso un fattore ineluttabilmente
legato alla dimensione della malattia, e come tale spesso trascurato e non
adeguatamente trattato.
220
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.29. Trattamento del dolore post – operatorio. Raccomandazioni del
comitato per l’ospedale senza dolore
D. PEDROTTI1, M.G. ALLEGRETTI1, B. BORTOLAMEOTTI1, F. DALLAPÈ1, G.M. GUARRERA1,
G. MENEGONI1, M. MONTEROSSO1, B. PARODI1, C. PONTALTI1, P. ROMITI1, E. BALDANTONI2
- 1Comitato Ospedale Senza Dolore dell’Azienda Sanitaria per i Servizi Sanitari, Trento; 2Direttore Ospedale di Trento
AUTORE REFERENTE: DINO PEDROTTI, U.O. Anestesia e Rianimazione, Ospedale di Trento,
largo medaglie d’oro, 38100 Trento - tel.: 0461 903298, fax: 0461 903355
Introduzione
Un adeguato trattamento del dolore post-operatorio contribuisce significa­
tivamente al miglioramento della morbilità perioperatoria, valutata in termini
di minor incidenza di complicanze postoperatorie anche ascrivibili alle tecni­
che di terapia antalgica, specie se invasive, di riduzione delle giornate di
degenza e dei costi, in particolare nei pazienti ad alto rischio sottoposti ad
interventi di chirurgia maggiore.
L’anestesista, per le sue peculiari conoscenze sulla fisiopatologia e terapia del
dolore acuto, si trova nella condizione di poter coordinare il team responsabile del
trattamento del dolore acuto, come dimostrate anche in esperienze internazionali.
Obiettivi
- Sviluppo da parte degli anestesisti di un adeguato piano di formazione ed
addestramento per il personale ospedaliero, con identificazione di aree di
intervento prioritario, in modo da prepararlo all’uso efficace e sicuro dei
protocolli analgesici per un adeguato trattamento del dolore postoperatorio.
Il piano di formazione continua deve includere sia gli aspetti relativi alla
valutazione del dolore che, in una seconda fase, quelli relativi alla com­
prensione delle diverse tecniche analgesiche più sofisticate (PCA, Analgesia
epidurale, altre tecniche loco-regionali);
- predisposizione di strumenti di informazione rivolta ai pazienti per ottene­
re il massimo risultato dai trattamenti eseguiti anche cercando di fugare i
preconcetti che riguardano, ad esempio, la dipendenza da oppiacei e
l’ineluttabilità del dolore postoperatorio ed enfatizzare i vantaggi legati al
buon trattamento postoperatorio;
- utilizzo in tutti gli ospedali della APSS di linee guida di trattamento del dolore
acuto postoperatorio e per la misurazione del dolore e della efficacia
terapeutica. Le raccomandazioni sono state adottate dal COSD e la loro
implementazione è finalizzata a far diventare la valutazione del dolore uno
dei parametri di misurazione corrente alla stregua di quelli così detti “vitali”
221
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
come la frequenza cardiaca, respiratoria, la pressione arteriosa e la tempera­
tura corporea che sono regolarmente monitorate durante le ventiquattro ore.
Gruppo target
Pazienti sottoposti ad intervento di chirurgia pediatrica.
Personale medico-infermieristico della unità operativa di chirurgia pediatrica
dell’Ospedale Santa Chiara.
Valutazione dei risultati e conclusioni
Il progetto condotto come sperimentazione pilota nella Chirurgia Pediatrica
dell’ospedale S. Chiara a partire dall’estate 2003, ha avuto dei riscontri favorevoli
in termini di soddisfazione del bambino e dei genitori, oltre che degli operatori
sanitari e ci proponiamo di estenderlo ad altre unità operative di area chirurgica.
12.30. Emersione di una patologia sottodiagnosticata: la “sindrome delle
apnee ostruttive nel sonno”; problematiche di asimmetria
informativa e “governance”. Esperienza di un ospedale distrettuale
nel Trentino
A. SALVATERRA, E. ANESI - U.O. Pneumologia, Servizio di Fisiopatologia Respira­
toria Nuovo Ospedale di Arco (TN)
AUTORE REFERENTE: ALESSANDRO SALVATERRA, tel.: 0464 582453, fax: 0464 882417
Introduzione
Definizione di “Sindrome delle apnee ostruttive nel sonno” (OSAS) nel 1976;
prima terapia efficace: 1981; primo paziente trattato in Trentino: 1990.
Epidemiologia: 2-4% della popolazione adulta; elevata morbilità e mortalità
correlate a ipersonnia diurna, deficit cognitivo, ipertensione sistemica, iperten­
sione polmonare, infarto miocardico, aritmie cardiache ed elevato rischio di
incidenti automobilistici e/o lavorativi; esiste una terapia efficace con un rispar­
mio di risorse socio-sanitarie di € 1.500/anno/paziente. La storia del Centro del
Sonno inizia nel 1990, nel 1995 Riconoscimento del Modulo “Centro Disturbi
respiratori nel sonno”; 1999: Certificazione di Centro del Sonno ad Indirizzo
Cardiorespiratorio AIMS (Associazione Italiana Medicina del sonno).
I numeri
1994: esami 50, pazienti in CPAP 15.
1997: esami 150; in CPAP 30.
222
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
2001: aumento del personale (3,3 tecnici + 1,7 medici) e dei mezzi diagnostici
(2 polisonnigrafi fissi + 4 portatili) esami anno 650.
Al 2003 nel Trentino: studiati 2.100 soggetti; diagnosi di OSAS: 1.050; in
terapia con CPAP 440; prevalenza già diagnosticata: 0,6% (max 1,2% nel di­
stretto sede del Centro del Sonno).
Emersione della patologia e diagnostica condizionate da:
- Cultura sui disturbi del sonno: chi russa dorme bene!
- Autopercezione della malattia: il paziente che russa non sa di russare.
- Interdisciplinarietà: gli altri specialisti non conoscono la “nuova” malattia.
- Assenza di voci di tariffario adeguate.
- Sviluppo dell’attività in condizioni di iso-risorse umane.
- Ubicazione periferica del Centro del Sonno: minore “visibilità”, ma maggio­
re possibilità di specializzazione.
- Terapia dell’OSAS non farmacologica, economica, circa € 3.000/paziente/ogni
5 anni: ridotta induzione di spesa sanitaria e ridotti interessi economici correlati.
Le azioni ed i risultati
- Comunicazione: articoli di stampa ed interviste TV.
- Iniziative di Formazione: 1 corso specifico e 7 interventi in congressi locali.
- Protocolli interdisciplinari di screening, diagnosi e terapia con le U.O. di
Pediatria, ORL, Neurologia e Pneumologia.
- Progetto di formazione per i medici di medicina generale e gli specialisti
(focalizzando il rischio cardiovascolare dell’OSAS), e per altre figure: Poli­
zia stradale, medicina legale, medicina del lavoro, ufficio patenti di guida
(rischio di incidenti stradali e sul lavoro da sonnolenza da OSAS: il 3% dei
morti per colpo di sonno, il 20% degli indicidenti stradali totali).
- Innovazione nella gestione delle liste di attesa (nel 2001 i tempi di attesa
erano di 9 mesi): introduzione del triage per le indagini diagnostiche: pa­
zienti a rischio 1 mese, a rischio intermedio 2-3, a basso rischio oltre 4 mesi;
per le visite di controllo: a rischio 10 gg., a basso rischio 40 gg.
- Individuazione di nuove prestazioni: calcolo di tempi e costi (controllo di
gestione): Polisonnografia € 527,00; monitoraggio cardiorespiratorio € 230,00
con proposta di inserimento nel tariffario provinciale
- Innovazione nei protocolli di diagnosi e terapia dell’OSAS; organizzazione
completamente ambulatoriale, al posto del ricovero, dimostrandone la mag­
giore efficienza (risparmio di oltre € 1.200/diagnosi-paziente) e pari effica­
cia (compliance alla CPAP: 80% dopo 5 aa) imperniate su uno staff tecnicoinfermieristico qualificato e motivato.
I punti critici attuali
Rallentamento nello sviluppo dell’approccio interdisciplinare; impossibili­
tà a garantire il follow-up (rapporto Ospedale-territorio).
223
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Discussione
L’epidemiologia, la gravità della malattia, il successo terapeutico hanno prodotto
una domanda crescente evidenziata dalle liste di attesa. Sotto questo impulso l’Am­
ministrazione Aziendale ha risposto nel tempo adeguando le attrezzature. Nono­
stante 10 anni di attività ed i risultati raggiunti non si è ancora colmata la asimmetria
informativa sull’OSAS fra lo specialista ed il paziente, il medico di base, la program­
mazione sanitaria; la possibilità di una vera governance globale dell’OSAS, che coin­
volga i vari specialisti, l’Ospedale ed il territorio, è frenata dal mancato recepimento
dell’OSAS negli obiettivi del Piano Sanitario Provinciale e quindi dell’Azienda Sani­
taria e del Piano delle attività di formazione del personale.
Conclusioni
L’emersione dell’OSAS in Provincia di Trento è un fatto compiuto; a tutt’og­
gi i risultati raggiunti sovrastano i punti critici ancora da risolvere; la lunga
“gestazione” di questo Centro, in assenza di politiche e strategie sanitarie spe­
cifiche, pone interrogativi all’organizzazione sanitaria sul come governare una
emergente, nuova, domanda di salute di grande impatto epidemiologico.
12.31. Perineal care: un moderno programma di tutela della salute della
donna
S. ZILOCCHI, G. F. MININI, N. PELI, R. AVISANI, U. A. BIANCHI, S. PECORELLI - A.O. Spe­
dali Civili di Brescia
AUTORE REFERENTE: ROSARIA AVISANI, A.O. Spedali Civili di Brescia - tel.: 030
3995959, fax. 030 3995954, e-mail: [email protected]
Breve introduzione di contenuto
L’incontinenza urinaria, il prolasso genitale e le disfunzioni ano rettali sono
patologie diffuse nella popolazione femminile e inducono rilevanti
problematiche non solo individuali e familiari, ma anche sociali, sanitarie,
economiche e politiche. Tali patologie trovano tutte una comune origine
patogenetica nella disfunzione del perineo e quindi possono in gran parte
essere pervenute attraverso una adeguata cura del perineo: il Perineal Care.
Presso il Dipartimento Ostetrico-Neonatologico e Ginecologico degli Spedali
Civili di Brescia è in corso un programma di prevenzione perineale che ha
come target la popolazione femminile dell’area bresciana. Si tratta di un arti­
colato programma che prevede in primo luogo la diffusione della conoscenza
delle strutture pelvi-perineali e della loro funzione oltre che il riconoscimento
delle condizioni che causano danno perineale e la pubblicizzazione delle
224
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
possibilità di cura del perineo. La prevenzione si basa quindi su di un inter­
vento educativo inteso a indurre la presa di conoscenza culturale del perineo,
ma fondamentalmente è anche il riconoscimento precoce dei soggetti a ri­
schio e la programmazione di piani di cura riabilitativi specifici.
Obiettivi
Gli obiettivi perseguibili con il perineal care a breve e a lungo termine sono:
a) La riduzione dell’incidenza della incontinenza urinaria e del prolasso che attual­
mente colpiscono una parte specifica della popolazione femminile: per l’incon­
tinenza urinaria si stima che ne soffrano in Italia il 7% delle donne al di sotto dei
50 anni, il 16% di quelle tra i 50-64 anni e il 17% di quelle sopra i 65 anni;
b) Il miglioramento dell’autostima della donna, della sua qualità di vita e della
sua sessuologia;
La riduzione della chirurgia invasiva e una riduzione della spesa sanitaria:
in Italia la spesa per gli assorbenti ammonta a 500 miliardi l’anno.
Gruppo target
L’intervento si sviluppa in diversi momenti lungo tutto il ciclo vitale, percorso
biologico e riproduttivo della donna: adolescenza, prima della gravidanza, in gra­
vidanza, nel primo puerperio, nel puerperio secondo, ad evento ostetrico conclu­
so ed in menopausa, con il coinvolgimento di numerose e differenziate figure
sanitarie: ostetriche, infermiere, ginecologi, puericultrici, dietiste e psicologi.
Valutazione
Indicatore:
Misura:
Numero donne (R1) che non presentano fattori di rischio
perineale e segni disfunzionali
_______________________________%
Numero complessivo di puerpere
Indicatore:
Misura:
Numero donne (R2) che presentano fattori di rischio perineale
lievi disfunzionali
_______________________________%
Numero complessivo di puerpere
Indicatore:
Misura:
Numero donne (R3) che presentano numerosi fattori di rischio
perineale e importanti disfunzionali
_______________________________%
Numero complessivo di puerpere
225
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Conclusioni
Il programma “Perineal Care” è uno strumento preventivo di largo impatto
socio-sanitario ed economico. Punto di forza è la certezza dei risultati, seppure
a distanza, a fronte tuttavia di notevole dispendio di energie professionali ed
economiche Altro aspetto estremamente positivo è la integrazione operativa
di diverse figure professionali, che devono collaborare strettamente, con di­
mostrata gratificazione e crescita culturale per tutti.
Gli intereventi informativi, educativi, assistenziali e terapeutici hanno im­
pegnato e impegnano tutte le figure professionali elencate nella presentazio­
ne. Ogni famiglia professionale ha portato le proprie competenze ponendo al
centro la donna, la sua salute e la sua qualità di vita.
12.32. Integrazione ospedale/territorio - Prato: progetto assistenziale
territorio ospedale per le malattie cerebrovascolari
E. BOTTACCHI1 (Direttore UB di Neurologia), G. CORSO1 (Specialista neurologo presso
la UB di Neurologia), M. PESENTI CAMPAGNONI1 (Direttore della UB Medicina e
Chirurgia d’Urgenza e Accettazione), A. ANTICO1 (Direttore della UB di Chirur­
gia Vascolare), C. ALLEGRI2 (Direttore di Distretto), C. PONZETTI2 (Direttore Sanita­
rio Azienda USL Valle d’Aosta) - 1Ospedale Regionale di Aosta, 2Azienda USL
Valle d’Aosta
AUTORE REFERENTE: EDO BOTTACCHI, Viale Ginevra 3, 11100 Aosta - tel.: 0165
543610, fax: 0165 543264, e-mail: [email protected]
Contesto
L’ictus è la terza causa di morte e la prima di invalidità permanente nei
paesi occidentali.
L’età rappresenta oggi il principale fattore di rischio e di conseguenza il costan­
te invecchiamento della popolazione, la minore mortalità cardiovascolare ci indi­
cano che occorre prepararsi ad un aumento di casi di ictus nei prossimi anni.
E’ necessario organizzare meglio l’assistenza in fase acuta ed effettuare con­
creti programmi di prevenzione.
Nell’ottica della prevenzione nasce il Progetto PrATO (Progetto Assistenza
Territorio Ospedale) che mira mediante l’applicazione di una carta di rischio
per la malattia cerebrovascolare ad identificare in una certa fascia di popola­
zione le persone a rischio per inviarle ad effettuare uno screening di II° livello
al fine di meglio approfondire i fattori di rischio e mettere in atto tutte quelle
strategie comportamentali e terapeutiche per prevenire l’insorgere di una
malattia cerebrovascolare.
226
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Obiettivi
1. Somministrare la Carta del rischio Cerebrovascolare nel Distretto n. 1 di
Morgex sulla popolazione di età compresa fra 60 e 70 anni e mettere in atto
idonei interventi preventivi al fine di ridurre la prevalenza degli accidenti
cerebrovascolari nel quinquennio successivo.
2. Validare la metodologia per una eventuale estensione ad altre fasce di età
ovvero ad altri distretti della Valle d’Aosta.
3. Promuovere l’integrazione fra Ospedale e Territorio, fra i diversi Specialisti
e i Medici di Medicina Generale.
Materiali e Metodi
Il Progetto PrATO si applica alle persone residenti nel Distretto n. 1 di Morgex
in Valle d’Aosta.
La fascia di popolazione interessata è quella di età compresa tra i 60-70, è
assomma a 2.400 abitanti dei 23.000 totali del Distretto.
Lo screening sarà completamente gratuito, rientrando tra i “Progetti Obiet­
tivo” dell’USL della Valle d’Aosta.
Il Progetto PrATO prevede di applicare ai probandi la “Carta del Rischio
Cerebrovascolare” (CRC) allo scopo di identificare i possibili portatori di ri­
schio Cerebrovascolare.
Molto semplice da applicare, la CRC prevede tra i suoi items: età del pazien­
te, pressione Sistolica, anamnesi di Cardiopatia e tabagismo.
La CRC, che sarà somministrata dal Medico di Medicina Generale (MMG),
determina un punteggio di “rischio” che nel caso superi il valore numerico
di 1.000, considerato il limite sopra il quale esiste un reale rischio ictus, por­
ta alla necessità di sottoporre il probando ad una fase clinica detta di II°
livello.
Si stima che circa 400 dei probandi abbiano un “rischio maggiore di 1.000”
e che quindi accederanno allo screening di II° livello.
Questa fase, svolta dagli specialisti ospedalieri (neurologi, chirurghi vascolari,
medici di Pronto Soccorso) comporta l’esecuzione di un esame clinico mirato
agli aspetti vascolari, esami ematologici, ECG ed Ecocolordoppler vasi del
collo.
Conosciuti dal team di II° livello i risultati di questi esami clinici e strumen­
tali verranno definiti gli interventi sanitari necessari attraverso la formulazione
di un “piano terapeutico” da inviare al medico di medicina generale.
MMG che provvederà a mettere in atto tutte quelle procedure terapeutiche
necessarie a correggere i problemi emersi (stile di vita, terapia farmacologica
di ipertensione, dislipidemia, ecc....) ed effettuerà il follow-up nei 5 anni suc­
cessivi.
227
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
I MMG hanno iniziato la compilazione della CRC per i primi pazienti nel
mese di giugno 2004.
Le prime visite di II° livello inizieranno il 19 giugno.
Il progetto terminerà nel marzo del 2005.
Risultati attesi e conclusioni
In Valle d’Aosta è attivo da anni un Registro Regionale dell’ictus che ci per­
mette di conoscere il numero di nuovi ictus anno/100.000 abitanti.
L’Incidenza di primo ictus in VdA è di 240 casi anno/100.000 abitanti.
Nella popolazione in esame (60-70 anni) nel distretto di Morgex sono attesi
da 80 a 90 ictus nei prossimi 5 anni, e di questi l’80% si verificherà in coloro
che avranno avuto un punteggio alla CRC maggiore di 1.000 secondo quanto
previsto dalla letteratura [W.G.T. Coppola et al British Journal of General
Practice,1995].
Considerando gli effetti preventivi di “cambiamento di stile di vita e terapia
antipertensiva, ipolipemizzante e antiaggregante” ci attendiamo di veder
modificata l’incidenza attesa di ictus nella popolazione studiata di una per­
centuale tra il 25% e 40 % con circa 30 casi di ictus evitati.
E’ in programma l’estensione del progetto agli altri tre distretti della Valle
d’Aosta
12.33. L’ospedale che nutre bene: un progetto di qualità in riabilitazione
R. VEDOVELLI (Direzione Sanitaria), P. ABELLI (Direttore Sanitario), A. CAJELLI
(Servizio Cucina), R. AQUILANI (Servizio metabolico nutrizionale) - Fondazio­
ne Salvatore Maugeri Istituto Scientifico di Montescano
AUTORE REFERENTE: ROSA VEDOVELLI, FSM Istituto Scientifico di Montescano, via per
Montescano 31 – tel.: 0385 247241, fax: 0385 61386, e-mail: [email protected]
Obiettivi
Attuare un sistema di programmazione della nutrizione dei degenti orienta­
to per patologia assecondandone nel contempo le preferenze.
Metodologia
La nutrizione è una terapia importante per il recupero di soggetti affetti da
patologie invalidanti. Allo scopo il nostro Istituto ha ideato un progetto che si
dispiega in due fasi. I° fase: ristrutturazione dell’alimentazione offerta dall’Isti­
tuto in modo da ottenere un alto grado di soddisfazione dei degenti (>70%),
228
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
periodicamente quantificabile. II° fase: costruzione di pacchetti di alimenta­
zione specifici per le tipologie di malattie del nostro Istituto, a parità di perso­
nale e strutture del Servizio Cucina.
La presente relazione riporta i risultati della I° fase del progetto condotta in
12 mesi a periodicità trimestrale su un totale di 2.133 ricoverati, Sono riportati
i risultati in percentuale.
Item
Quantità
Qualità 90
Cottura 88
Condimento
Soddisfazione relativa
I piatto
92,8
90
88
89,4
81,4
II piatto
94,3
89,6
91,6
93,9
83,1
Contorni
92,6
89,2
87,4
76,9
73,1
Frutta
94,3
83
80,2
Percentuale di pazienti esprimenti soddisfazione globale per il vitto 79,4%
+- 4,4% (range 73,1% -83,1%)
Discussione: i risultati evidenziano la necessità di migliorare il condimento
dei contorni che, pur accettabile (soddisfazione >70%), ha avuto l’effetto di
ridurre il grado di soddisfazione globale che altrimenti sarebbe stato superio­
re all’80%.
Conclusioni
L’alto grado di soddisfazione dei pazienti rappresenta una premessa indi­
spensabile per passare alla fase successiva.
12.34. La visita odontoiatrica nelle scuole materne
M. COSER, R. MERLO, E. PESARESI - Ospedale S. Lorenzo Borgo Valsugana (Tn)
La prevalenza della carie nella popolazione infantile si è drasticamente ri­
dotta negli ultimi 30 anni: ormai acquisito l’obiettivo OMS per il 2000 (50% di
bambini caries-free a 6 anni), l’Azienda Sanitaria del Trentino è concentrata
sul prossimo riferimento per il 2010 (80% caries-free a 6 anni).
Anche la distribuzione di questa patologia è però cambiata: dai valori piut­
tosto uniformi di qualche decennio fa, all’attuale 20% dei bambini di scuola
elementare portatori dell’80% delle carie.
Per incidere il più precocemente possibile sulla notevole predisposizione
alla carie di questa piccola fetta di popolazione infantile, le igieniste dentali
del nostro Ospedale hanno inserito nella tradizionale attività di animazione
sulla salute orale nelle scuole materne, la visita odontoiatrica con specchiet­
229
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
to e specillo per tutti i bambini, i quali hanno risposto meglio di quanto
previsto.
12.35. L’ossigeno ventiloterapia domiciliare in Provincia di Trento: un
difficile equilibrio tra salute e risorse
M. PRANDINI, A. MIORELLI - Servizio di Fisiopatologia Respiratoria-Ospedale di
Arco (TN)
AUTORE REFERENTE: MARIO PRANDINI, e-mail: [email protected], tel. 0464
582415, fax: 0464 582417
Introduzione
Oltre 20 anni fa è stato dimostrato che la ossigenoterapia a lungo termi­
ne (OLT) è l’unica terapia in grado di modificare la storia naturale dei pa­
zienti affetti da insufficienza respiratoria cronica secondaria a broncopatia
cronica ostruttiva. Per quanto riguarda la ventiloterapia a lungo termine
(VLT) studi successivi hanno dimostrato analogo risultato nei pazienti af­
fetti da malattie neuromuscolari ed alcune patologie toraco-polmonari. In
provincia di Trento nel 1988 una deliberazione della Giunta Provinciale
affidava tutte le competenze relative alla OLT (eseguita mediante
concentratore o ossigeno liquido) ad un unico centro (Fisiopatologia Re­
spiratoria di Arco). Nel 1993 venivano affidate a tale centro tutte le compe­
tenze relative alla ventiloterapia domiciliare, infine una recente delibera­
zione attribuiva allo stesso centro tutte le competenze relative alla
ossigenoterapia, mantenendo alla Medicina Generale la competenza rela­
tiva alla ossigeno terapia a breve termine mediante ossigeno gassoso (pe­
riodo massimo di prescrizione 2 mesi).
Obiettivo
Il governo della OLT-VLT è assai complicato: da un lato l’incremento della
patologia rende necessario prescrivere la terapia ad un numero sempre mag­
giore di persone, dall’altro il numero delle risorse è finito. Lo scopo della no­
stra attività è quello di ottenere risultati terapeutici positivi, nel rispetto dell’ef­
ficienza e dell’economicità del servizio.
Attività
L’ attività per la OLT e per la VLT si articola nei seguenti punti: studio e
selezione dei pazienti, consegna delle attrezzature, educazione dei pazienti e
230
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
dei familiari, istituzione di registro dei pazienti, controllo domiciliare degli
stessi e delle attrezzature, controllo telemetrico di pazienti selezionati. Attual­
mente risultano in OLT 456 pazienti (272 liquido, 181 concentratore, 3 gasso­
so), 131 in VLT (dei quali 67 anche in OLT), 10 ventilati per via tracheale, i
restanti per via nasale.
Risultati
Il costo dell’ossigeno liquido in Trentino è di 0,34 cent/litro ed il costo an­
nuo per tale presidio nel 2003 è stato di 962.756,04 €. I concentratori vengo­
no noleggiati al costo unitario di 72,3 € al mese. Il costo derivante dal noleg­
gio dei concentratori nel 2003 è stato di 161.176,75 €; è previsto inoltre un
rimborso per la spesa relativa ai consumi di energia elettrica: 51,65 € e 64,56
€ mensili rispettivamente ai pazienti che li utilizzano meno o più di 17 ore al
giorno (costo minimo annuo circa 112.183 €). Per quanto riguarda i pazienti
ventilati il costo varia in relazione al tipo e al modello di ventilatore, in base
alla patologia: si passa dai 5.000 € dei ventilatori che vengono usati dai pa­
zienti che necessitano di ventilazione per meno di 15 ore al giorno, ai 29.300
€ per i ventilatori necessari a pazienti totalmente dipendenti, che necessitano
anche di un secondo ventilatore di riserva. Nel 2003 in provincia di Trento
sono stati dimessi 41 pazienti con ventilatore, dei quali 39 con ventilatore da
5.000 € (totale 195.000 €), uno con ventilatore da 11.000 € ed uno con
ventilatore da 15.200 €, per una spesa totale di 221.200 €. Non indifferente è
anche il costo del materiale d’uso: 74.738,95 €, nel 2003. Per alcuni pazienti
infine, viene eseguito il controllo telemetrico domiciliare: costo di circa 4.149
€ nel 2003. Bisogna infine considerare il costo delle visite domiciliari: solo la
spesa per il carburante dell’ automezzo risulta essere di circa 3.100 € all’anno.
A questi costi si devono aggiungere quelli relativi al personale ed alla struttu­
ra: nel 1997 abbiamo valutato che il costo delle visite infermieristiche domiciliari
era di £ 121.000 per ogni paziente (attuali 62,49 €). Di fronte a tali costi (costo
totale anno 2003 circa 1.539.303 €) bisogna valutare il dato clinico: conside­
rando che oltre il 70% dei pazienti in OLT e circa il 90% dei ventilati non si
sono più ricoverati dall’inizio della terapia e che soprattutto i pazienti total­
mente dipendenti da ventilatore soggiornerebbero a lungo nelle terapie in­
tensive condizionandone pesantemente attività e costi (il costo giornaliero
per letto in UTI è superiore ai 1.000 euro), si può ritenere di aver comunque
indotto un risparmio, seppure indiretto.
Conclusioni
Si ritiene di poter affermare che l’ossigeno ventiloterapia domiciliare a lun­
go termine ha consentito di ottenere risultati positivi sia per quanto riguarda
231
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
l’aspetto sanitario, sia per quanto riguarda l’aspetto economico. L’attribuzione
di tale attività ad un unico centro di costo ha consentito di erogare un servizio
di elevato contenuto qualitativo, con attenzione sempre rivolta al massimo
rigore gestionale.
12.36. “Gli incontri con gli animali” all’Ospedale Pediatrico Meyer:
valutazione della realizzabilità del progetto
S. CAPRILLI, L. BENINI, F. MUGNAI - Servizio Terapia del dolore, AOU Meyer
AUTORE REFERENTE: SIMONA CAPRILLI, Servizio Terapia del dolore, AOU Meyer, Via
L. Giordano 13, 50131 Firenze – tel.: 055 5662456, fax: 055 5662400, e­
mail: [email protected]
Introduzione
All’ospedale pediatrico A. Meyer di Firenze è iniziato nel 2002 un progetto
di inserimento di animali nei reparti come supporto a bambini ricoverati. L’ini­
ziativa è partita dal presupposto che gli animali possano essere un importante
aiuto in situazioni di disagio, sulla base di ricerche degli ultimi anni. Il proget­
to “incontri con gli animali” è nato da una collaborazione tra l’AO Meyer, la
Fondazione Livia Benini e l’associazione Antropozoa ONLUS e si inserisce
nell’ambito del progetto “Ospedale Senza Dolore” come intervento per mi­
gliorare la qualità di vita del bambino in ospedale.
Obiettivi
Questo lavoro mira a studiare gli esiti ambientali dell’inserimento degli ani­
mali nell’ospedale pediatrico A. Meyer, nel senso di vedere quali siano state le
reazioni da parte di genitori ed operatori sanitari e dei bambini ricoverati.
Target
Sono stati presi in considerazione i seguenti indicatori: la partecipazione dei
bambini agli incontri con gli animali, la presenza di eventuali infezioni portate
dai cani, il livello di benessere e capacità di partecipazione dei bambini, il gradi­
mento da parte dei genitori e il gradimento da parte degli operatori sanitari.
Gli strumenti utilizzati sono: analisi delle infezioni ospedaliere dal parte del
Comitato Infezioni Ospedaliere (CIO), una scala grafica di autovalutazione
(discomfort scale), tre scale comportamentali, l’analisi delle produzioni grafi­
che, 2 questionari autocompilati per genitori e operatori.
232
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
I risultati indicano:
- che non si è rilevato aumento nella presenza di infezioni;
- che la partecipazione agli incontri con gli animali nei reparti è stata mag­
giore delle aspettative;
- che gli incontri con gli animali hanno prodotto degli effetti benefici sul
bambino (miglioramento della percezione del contesto, presenza di buo­
ne capacità di interazione);
- che i genitori sono molto favorevoli all’inserimento degli animali in ospedale;
- che anche il personale sanitario è favorevole, sebbene necessiti di infor­
mazione circa la non pericolosità dei cani.
In conclusione l’inserimento di animali nei reparti pediatrici nel nostro ospe­
dale appare fattibile considerata la partecipazione alle attività da parte dei
pazienti ricoverati, la soddisfazione espressa da genitori e dal personale e la
mancanza di eventi avversi. È stato inoltre rilevato un generale consenso da
parte di genitori e del personale sanitario, nonché un generale benessere de­
scritto dai bambini ricoverati.
12.37. Lo Stone Center dell’Ospedale di Carpi: modello di percorso
multidisciplinare centrato sulla persona per la diagnosi,
trattamento e prevenzione della calcolosi urinaria
M. BRASI (Direttore Unità Operativa Urologia), S. CONCETTI (Direttore Presidio
Unico), A. M. PIETRANTONIO (Direttore), A. BARALDI (Direttore Unità Operativa
di Nefrologia e Dialisi), A. ANANIA (Dirigente Medico Direzione Sanitaria) ­
Ospedale di Carpi, AUSL di Modena
AUTORE REFERENTE: ANNE MARIE PIETRANTONIO, Direttore Ospedale di Carpi, AUSL
di Modena, Via Cav. Molinari 2, 41012 Carpi (MO) - tel.: 059 659402, fax:
059 659401, e-mail: [email protected]
Premessa
A far tempo dal mese di ottobre del 2003, la unità operativa di Urologia
dell’Ospedale B. Ramazzini di Carpi (Modena), ha istituito un percorso
multidisciplinare finalizzato alla diagnosi, al trattamento, follow up e preven­
zione della calcolosi urinaria, definito “Stone Center”.
Obiettivi
Il percorso è finalizzato a realizzare i seguenti obiettivi:
- ottimizzare il percorso clinico dei pazienti affetti da calcolosi inviati da Pronto
233
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Soccorso o dai Servizi Ambulatoriali, garantendo una immediata diagnosi e
trattamento;
- istituire un programma di follow up che prende in considerazione anche gli
aspetti di prevenzione con il coinvolgimento di altre figure professionali,
quali il nefrologo e il dietologo;
- fornire al paziente gli strumenti per una corretta informazione circa il tratta­
mento e sulle modalità più idonee per prevenire le recidive.
Il percorso del Paziente
L’accesso allo Stone Center può avvenire secondo due modalità:
1. tramite invio dal Pronto Soccorso, in caso di colica renale;
2. dall’Ambulatorio della Calcolosi, previa indicazione del MMG, in casi sele­
zionati dagli urologi.
Un team multiprofessionale composto da urologo, radiologo, neurologo
e dietista, prende in carico il paziente secondo una logica che vede le di­
verse figure professionali integrate ed il paziente in posizione centrale, di
core.
Il percorso prevede l’esecuzione in rapida sequenza di una visita urologia
ed indagini strumentali quali ecografia, radiografia e tac multidimensionale,
per valutare l’urgenza del trattamento e la tipologia di intervento da adottare
(litotrissia o altra metodica).
All’atto della dimissione il personale di reparto provvede alle prenotazioni
per le valutazioni cliniche successive: follow up urologico, visita nefrologica e
dietologica.
L’Opuscolo Informativo
L’informazione al paziente viene fornita anche attraverso la consegna di
uno specifico opuscolo che contiene la descrizione dei rischi del trattamento
a cui dovrà essere sottoposto, elementi indispensabili per esprimere un con­
sapevole consenso, e di essere informato su come interpretare e gestire even­
tuali problemi clinici insorti in seguito al trattamento. L’opuscolo fornisce in­
formazioni circa le indicazioni e i vantaggi del trattamento della calcolosi
urinaria con litotrissia o eswl (extracorporeal shock waves lithotripsy), la tec­
nica dell’intervento e le possibili complicanze, oltre ad un orientamento per la
corretta interpretazione dei segni e sintomi che possono comparire a seguito
dell’intervento.
Nell’opuscolo sono contenute importanti indicazioni sui comportamenti da
seguire dopo la dimissione (attività fisica, dieta, assunzione di farmaci), non­
ché i riferimenti per i contatti con l’unità operativa di urologia in caso di insor­
genza di problemi clinici.
234
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Conclusioni
Il percorso realizzato nell’ambito dell’unità operativa di Urologia dell’Ospe­
dale di Carpi, ha consentito una ottimizzazione dell’erogazione delle presta­
zioni cliniche, nonché di migliorare il livello di soddisfazione dei pazienti,
l’efficacia del trattamento e del percorso di cura che include la necessità di
attenzione anche agli aspetti di prevenzione. L’elaborazione di un opuscolo
informativo ha consentito di migliorare la compliance dei pazienti mediante
gli strumenti dell’informazione e della educazione alla salute. In definitiva il
percorso “orientato al paziente” ha consentito di conseguire un importante
obiettivo di qualità, da individuarsi nella volontà di sostituire il concetto di
“trattamento”, col concetto di “care”.
12.38. La terapia del sorriso e della comunicazione
N. VINSANI (caposala Pediatria), T. PELLI (coordinatrice gruppo AVO Pedia­
tria), D. MANFREDI (coordinatrice gruppo Creativ-educare Pediatria) - Dipar­
timento Materno Infantile Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa Maria
Nuova- Reggio Emilia, direttore G. Banchini
AUTORE REFERENTE: NICOLETTA VINSANI, U.O. Pediatria, Dipartimento Materno In­
fantile, Viale Risorgimento 80, 42100 Reggio Emilia, tel.: 0522 296243, e­
mail: [email protected]
Dall’esperienza, dalle riflessioni e dall’analisi della letteratura si evince l’im­
portanza di offrire al bambino ricoverato la possibilità di continuare a giocare
e a sorridere anche quando la sua vita viene sorpresa da eventi imprevisti e il
suo “mondo bambino” viene sostituito dal “mondo sanitario”. Giocare per un
bambino malato non è evitare esperienze difficili e dolorose ma è l’espressio­
ne del tentativo di attraversarle senza soccombervi, è la strada per sopravvive­
re alla malattia potendola pensare.
L’obiettivo quindi dell’U.O. di Pediatria è quello di offrire ai bambini ricove­
rati un ambiente e delle opportunità che siano vicino al suo mondo attraverso
l’assistenza di operatori professionalmente preparati sia dal punto di vista tec­
nico che psicologico ed anche con la presenza di volontari che possano con­
tribuire a rendere la situazione di malattia accettabile per il bambino favoren­
do il più possibile momenti di gioco.
Le azioni messe in campo sono:
- Creazione di un ambiente ospedaliero più accogliente: le pareti del corri­
doio sono state dipinte con murales; in corsia, poiché le stanze si trovano
235
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
sul lato destro, su ogni porta è stato disegnato un vagone di un treno da cui
si affaccia il personaggio di una fiaba; all’interno di ogni stanza è stato ap­
peso il poster in cui si narra la fiaba del personaggio dipinto sulla porta e
sulla testata di ogni lettino è stato appeso un quadretto raffigurante il perso­
naggio della fiaba in modo da identificare il bambino non come un n. di
letto ma come un componente del racconto; le divise delle infermiere sono
state colorate di rosa o di verde.
- Presenza di due acquari, uno in sala giochi e l’altro nella sala d’attesa del
day hospital con lo scopo di praticare in forma, ancora “rudimentale “ la
pet-therapy in attesa di avere a disposizione un servizio veterinario.
- Creazione di uno spazio ad hoc (sala giochi) per le attività ludiche-ricreati­
ve, fornita di giocattoli e piccoli arredi, donati da scuole, associazioni spor­
tive e privati.
- Creazione, nella sala giochi, di un punto di collegamento (tramite l’utilizzo
del PC) con le scuole di Reggio Emilia in modo da permettere al bambino
ricoverato di comunicare con i propri compagni di classe facendolo così
sentire non più “isolato” dal “suo mondo”.
- Praticare l’attività di clown terapia.
Dal 7 Luglio 2003 questa è praticata dall’associazione VIP nei 2 reparti piloti
di Pediatria e di Recupero Rieducazione Funzionale (solo adulti). Gioco e risata
sono gli strumenti del clown dottore che indossando il camice usa la fanta­
medicina per rendere meno traumatico il ricovero ospedaliero. Il clown dottore
coinvolge l’intero reparto, medici e infermieri, contagiando tutti con l’allegria.
Studi recenti hanno avvalorato che la risata influisce positivamente nei processi
di guarigione e, come sostiene Patch Adams, “la gioia è una fonte inesauribile
di buona salute”. I clown sono presenti in ospedale ogni sabato dalle 15 alle 18
e intrattengono i piccoli ricoverati nelle stanze di degenza e nella sala d’attesa
delle visite urgenti pediatriche, i bambini che attendono di essere visitati.
Per realizzare tutto il progetto è stato fondamentale stabilire una collabora­
zione continua con alcune associazioni di volontariato presenti nel territorio
reggiano.
Le associazioni AVO e Creativ-educare presenti in reparto rispettivamente
dal 1992 e dal 2000, gestiscono l’attività ludica e la sala giochi del reparto
intrattenendo i bambini nella sala giochi o nelle loro stanze di degenza, orga­
nizzano feste e spettacoli in occasione del Natale, Pasqua, carnevale, festa
della mamma, oppure si occupano di sorvegliare i bambini nel caso i genitori
si debbano assentare dal reparto.
Per agevolare l’ingresso in reparto dei volontari, sono stati organizzati corsi
di formazione tenuti dal personale sanitario e dalla psicologa della pediatria.
Dal 16 Giugno 2004 è operativa, non solo in pediatria ma in tutti i reparti in
cui sono ricoverati bambini o adolescenti, l’ass. Casina dei bimbi che mette a
236
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
disposizioni i propri volontari in casi di emergenza e all’occorrenza, per sostitu­
ire i genitori che sono impossibilitati ad accudire il proprio figlio durante il rico­
vero (ad es. genitori anch’essi ricoverati in ospedale o assenti perché all’estero).
Conclusioni
Il progetto ha evidenziato l’importanza dell’utilizzo di risorse presenti sul
territorio, i volontari delle associazioni, come sinergia di forze per raggiunge­
re quello che è un obiettivo comune: aiutare il bambino ad affrontare al me­
glio il suo soggiorno in ospedale. Inoltre l’esperienza testimonia l’importanza
dell’aspetto psicologico legato alla malattia, un tempo sottovalutato rispetto
all’aspetto medico-terapeutico, e quindi la necessità di fornire un setting a
misura di bambino e attento alle sue esigenze.
12.39. Procedura per l’attivazione di consulenza infermieristica per pa­
zienti diabetici
E. MANICARDI, M. LINCE, M. GANASSI - Azienda Ospedaliera Arcispedale Santa
Maria Nuova- Reggio Emilia
AUTORE REFERENTE: MARCO GANASSI, Dipartimento Area Medica 1°, Viale Risorgi­
mento 80, 42100 Reggio Emilia, tel.: 0522 295913, fax: 0522 295896, e­
mail: [email protected]
L’analisi del contesto sociale dell’utenza afferente al nostro ospedale, ha
evidenziato la necessità di un intervento educativo durante la degenza ordi­
naria al paziente diabetico trattato con insulina per la prima volta nelle varie
unità operative, attraverso un intervento uniforme e coordinato rispetto alla
successiva presa in carico da parte del Servizio di Diabetologia territoriale di
appartenenza. La segnalazione giungeva da parte dell’Associazione Diabetici,
che a sua volta raccoglieva l’esigenza dei pazienti di avere informazione, edu­
cazione e trattamento omogenei sia in ambito ospedaliero che dopo la
dimissione. L’analisi del percorso del diabetico all’interno del nostro ospedale
ha inoltre evidenziato l’assenza di una procedura comune riguardante la ge­
stione e la dimissione di questo tipo di malato.
Obiettivo
Del progetto è garantire ad ogni degente con diabete di tipo 1 di nuova
diagnosi o con diabete di tipo 2 sottoposto ad una nuova terapia insulinica
sicurezza nella continuità terapeutica dopo la dimissione e sino alla presa in
carico da parte del centro antidiabetico di riferimento territoriale.
237
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Tutto il personale delle strutture ospedaliere di degenza ordinaria e day
hospital dell’Azienda S. Maria Nuova è chiamato a segnalare la necessità di
intervento educativo per pazienti diabetici degenti nelle varie Unità Operati­
ve all’Infermiere referente dell’Ambulatorio Diabetologico, mediante apposi­
to modulo di richiesta reperibile in Intranet.
La consulenza, potrà essere svolta al letto del malato o presso l’ambulatorio
Diabetologico.
La consulenza dura dai 60 ai 90 minuti ed ha lo scopo di:
a. educare il paziente diabetico ad utilizzare correttamente la siringa da insu­
lina e/o una penna per l’iniezione dell’ormone, fra le varie disponibili in
commercio e che gli verrà consegnata.
b. Educare il paziente ad adeguare l’apporto di insulina in base al riscontro
glicemico preprandiale.
c. Educare, ove necessario, il paziente ad eseguire correttamente il controllo
della glicemia mediante striscia reattiva e lettura della medesima mediante
glicemometro, che pure verrà consegnato al paziente, fra quelli che hanno
vinto la gara d’appalto (se non già in possesso del paziente).
d. Educare il paziente ad una corretta compilazione del diario glicemico.
e. Educare al riconoscimento ed alla correzione delle ipo e delle iperglicemie.
f. Fissare, ove necessario, un incontro di educazione alimentare con la Dietista.
g. Verificare l’apprendimento di quanto sopra insegnato.
h. Consegnare materiale illustrativo che consenta di ricordare meglio quanto
insegnato e di aumentare le conoscenze.
i. Consegnare un kit composto da:
- Penne per insulina o siringhe in numero sufficiente a raggiungere il ser­
vizio di diabetologia di pertinenza territoriale secondo quanto concorda­
to col medesimo.
- Insulina per n ciclo di terapia.
- Glicemometro più strisce reattive e pungidito sempre in numero suffi­
ciente ad un passaggio in cura sicuro.
- Diario glicemico.
- Comunicazione scritta per il servizio di diabetologia che segnala quanto
effettivamente appreso dal paziente.
Al termine della consulenza viene consegnata al paziente una lettera di
dimissione contenente le informazioni fornite al paziente e l’elenco del materiale
di cui egli è stato dotato. Alla dimissione il paziente viene inoltre segnalato telefo­
nicamente al Servizio di Diabetologia Territoriale che lo prenderà in carico.
Il progetto è iniziato il 3 maggio 2004. Gli indicatori selezionati sono:
- Numero di richieste di consulenza infermieristica (rilevazione da parte dell’Am­
bulatorio Diabetologico, a mezzo delle copie del modulo di consulenza).
- Segnalazione in registro apposito degli eventi non conformi.
238
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Conclusioni
Riteniamo che il progetto presentato sia un modo razionale di garantire a
tutti i diabetici ospedalizzati un’educazione essenziale ed uniforme alla ge­
stione della terapia insulinica e degli episodi ipoglicemici, che permetta loro
di raggiungere in modo programmato e senza disagi il servizio di diabetologia
di pertinenza territoriale.
12.40. Un‘esperienza di Teatro in ospedale “L’uomo che smise di fumare”
U.O. EDUCAZIONE ALLA SALUTE e la LEGA ITALIANA PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI - Azienda
Sanitaria di Firenze, Ospedale S. Maria Annunziata
AUTORE REFERENTE: CLAUDIA RUSSO, Dir. U.O. Educazione alla salute, via S. Salvi
12, Firenze – e-mail: [email protected]
“Il 5 giugno alle ore 17,30 presso lo spazio Front office dell’ l’Ospedale S.M.
Annunziata (Ponte a Niccheri) l’U.O. Educazione alla Salute dell’ASL di Firen­
ze, la Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori sezione di Firenze, la Direzio­
ne Sanitaria dell’O.S.M.A., il Gruppo Teatrale delle Scuole Pie Fiorentine AGeSC - hanno presentato la commedia dal titolo “L’uomo che smise di fuma­
re” liberalmente tratta da un racconto di P.G. Wodehouse. Gli studenti della
scuola, attori in questa occasione, parlano di temi preziosi per la salute, por­
tando il messaggio ai degenti, ai loro familiari e agli operatori dell’ospedale
con un innovativo modello comunicativo: giovani che si fanno carico
“educativo” verso gli adulti e offrono spunti di riflessione appunto con un
testo teatrale.”
Nel 2001 quasi il 38% degli uomini ed il 23% delle donne fumavano in Euro­
pa con varie differenze tra i paesi. Il consumo di tabacco tra i giovani era
compreso tra il 27% ed il 30% nella regione Europa con una leggera tendenza
al rialzo
In Toscana fumano comunque ancora quasi mezzo milione di uomini e più
di 350.000 donne, pari rispettivamente al 33% ed al 22%. Nell’insieme, la To­
scana ha la stessa proporzione di fumatori dell’Italia, ma il comportamento è
diverso fra uomini e donne: le donne toscane infatti, al contrario degli uomini,
fumano nettamente di più di quelle italiane. Anche fra i più giovani ci sono
molti fumatori. Prima dei 20 anni fuma già un ragazzo ogni 5.
La riflessione che sottende al progetto HPH, caratterizzato da azioni inte­
grate nella convinzione di costruire un network tra tutti i soggetti che possono
sinergicamente impegnarsi contro il fumo, ha portato ad individuare tra gli
obiettivi più specifici, la collaborazione con i “giovani” e la “scuola”.
L’iniziativa fa parte delle azioni previste nel progetto HPH dell’Ospedale S.
239
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Maria Annunziata “Ospedale senza fumo”; l’idea di realizzare una rappresen­
tazione teatrale sul tabagismo, la voglia e la necessità di proporre materiale
nuovo e più adatto, ha portato gli operatori a costruire un modello comunica­
tivo secondo il quale l’apprendimento è favorito dalla sollecitazione di inter­
rogativi piuttosto che dalla somministrazione di un prodotto preconfezionato,
consapevoli che il processo educativo avviene più facilmente per elaborazio­
ne diretta piuttosto che attraverso l’esposizione di dati ed informazioni rigide.
Molte sono le tessere del complesso innovativo modello operativo adottato: la
oramai collaudata formula dell’educazione tra “pari” (durante la creazione della
rappresentazione), e poi la possibilità dei giovani di rivolgere il messaggio agli
adulti, e ancora il testo teatrale che si offre a svariate interpretazioni, ed aperto al
dialogo ed alla riflessione, l’opportunità per i degenti dell’Ospedale di riflettere
con leggerezza su un tema come quello del tabagismo e sulle sue conseguenze.
Lo spunto innovativo dell’iniziativa è stato notevole, ed ha dimostrato come
l’ospedale possa diventare soggetto capace di favorire la più ampia informazio­
ne e partecipazione della popolazione, coinvolgere e/o accogliere i soggetti
che possono coprire un ruolo nell’influenzare positivamente le scelte di salute
della comunità, aumentando la tendenza a prendere decisioni verso uno stile di
vita libero dal fumo: MMG, personale medico ed infermieristico, insegnanti,
giovani, genitori, testimoni del tessuto sociale, politico, economico e culturale.
Occorre adottare politiche di intervento globali capaci di sviluppare allean­
ze e sinergie attraverso la partecipazione attiva di tutti i soggetti che hanno
competenze e responsabilità in ambito educativo, sanitario, politico, econo­
mico, del volontariato e dell’informazione. L’intento deve essere quello di pro­
muovere, con esempi positivi ed azioni persuasive, unitamente al rispetto della
normativa vigente sul divieto del fumo, la formazione di una cultura ampia­
mente diffusa e condivisa del “non fumo”.
12.41. Azioni di comunicazione per il sostegno al governo clinico regionale
- aprile-giugno 2004
A. ZANOBINI - Dirigente responsabile Settore Formazione, Comunicazione e
Supporto al Governo Clinico Regionale – Direzione Generale Diritto alla sa­
lute Regione Toscana, Via Taddeo Alderotti 26/n, 50139 Firenze – tel.: 055
4383439, fax: 055 4383466, cell. 335 7107487, e-mail: a.zanobini@regione.
toscana.it
Breve introduzione del contesto
Nel mese di Gennaio 2004 hanno preso avvio due organismi del Governo
clinico regionale – Istituto Toscano Tumori e Organizzazione Toscana Tra­
240
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
pianti - come sviluppo e consolidamento di strumenti e azioni programmate
già da tempo previste e attuate con i Piani sanitari della Toscana. Si è inoltre
voluto rafforzare il sistema già consolidato di collaborazione con le associa­
zioni per la donazione del sangue attraverso forme nuove di partecipazione
ed invito alla “cittadinanza sociale”. Tutto in un periodo molto concentrato:
da aprile a giugno 2004.
Obiettivo/i
Gli obiettivi che ci siamo posti con le azioni di comunicazione e le azioni
collegate sul territorio sono così riassumibili:
a) valorizzazione degli effetti interni sugli operatori di azioni di comunicazio­
ne esterne per sviluppare il senso di appartenenza e di orgoglio di squa­
dra;
b) rafforzamento dell’identità dei sistemi di governo clinico “forte” all’interno
della più ampia cornice del sistema sanitario della Toscana;
c) potenziamento dell’orientamento dei cittadini su argomenti a forte impatto
sociale come l’oncologia, il sistema regionale donazione-trapianto, il siste­
ma trasfusionale.
Gruppo/i Target
a) Oncologia – La Toscana ha scelto di fare del sistema oncologico regionale
un Istituto mettendo in rete e rendendo disponibile e trasparente tutte le
opportunità ed eccellenze in oncologia presenti nel territorio toscano. Con
l’azione si è mirato inoltre a creare dei punti omogenei di prima accoglien­
za sul territorio attraverso il forte coinvolgimento delle aziende sanitarie e
uniformando anche l’immagine e la cartellonistica. Il problema
dell’oncologia è infatti spesso quello dell’orientamento e dell’informazio­
ne mirando a far sì che l’utente possa entrare in un percorso assistenziale
senza dover andare alla ricerca di soluzioni terapeutiche segmentate e non
coerenti fra loro. L’azione ha avuto anche il forte obiettivo di sviluppare il
senso di appartenenza degli operatori che lavorano nella rete oncologica
ora Istituto Toscano Tumori.
b) Donazione-Trapianto – Come ben sappiamo un sistema efficiente di dona­
zione trapianto si fonda su tre pilastri: 1) eccellenza trapiantologia 2) una
rete più ampia di operatori, attenta e consapevole; 3) una comunità solida­
le e donante. L’Azione di comunicazione, in collaborazione con le associa­
zioni di volontariato, ha mirato ad uscire dall’ormai superata visione
moralistica dell‘”essere più buoni” nella consapevolezza che il cittadino
adulto vuole ormai sapere soprattutto l’uso da parte del sistema delle pro­
prie azioni di solidarietà. Per questo abbiamo agito anche qui sia sull’uni­
241
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
verso degli operatori con il rafforzamento dell’identità dell’Organizzazione
Toscana Trapianti, sia sull’universo dei cittadini con messaggi che rafforzi­
no la percezione della qualità del sistema organizzativo in cui va a collo­
carsi il “dono”.
c) Sistema trasfusionale – donazione – Si è voluto uscire anche qui da schemi
ormai abusati e puntare al rafforzamento della chiave “senso civico” per una
campagna sulla donazione del sangue che usa linguaggi sicuramente nuovi.
In questo caso è stato forte il coinvolgimento delle associazioni dei donatori
di sangue attraverso la creazione di diversi gruppi di lavoro che hanno pro­
dotto strumenti ed in particolare azioni verso la scuola ed i giovani.
Presentazione e valutazione dei risultati
Sui tre settori di intervento possiamo in sintesi trarre degli elementi di valu­
tazione da una parte sul numero di accessi alle accoglienze oncologiche, dal­
l’altra dall’incremento degli indici di donazione-trapianto e donazione san­
gue. Elementi di valutazione sono dati inoltre dalla numerosa partecipazione
dei cittadini alle iniziative pubbliche assunte sui temi in oggetto.
Conclusioni
La filosofia di comunicazione adottata in questi ultimi due anni dall’Asses­
sorato al Diritto alla Salute della Regione Toscana nelle campagne di promo­
zione della salute e nelle altre iniziative quali quelle qui sinteticamente de­
scritte ha come macro-obiettivo l’universo dei cittadini, ma punta in modo
efficace a “parlare” soprattutto al microcosmo dei 50.000 operatori del servi­
zio sanitario della toscana che sono i primi agenti della promozione della sa­
lute e le prime risorse da mobilitare per agire sul patrimonio della salute.
Operatori motivati e con l’orgoglio di appartenere ad un servizio sanitario
di qualità sono la garanzia perché si realizzi il contenuto della headline da noi
scelta: “Sistema pubblico. Cresce la salute”.
12.42. Modello di relazione-comunicazione HPH nell’ambito della
prevenzione cardiovascolare
M. CORDONI1, G. MICHELI1, F. PRATESI 2, A.M. BASSO2, L. CIAMPI3, E. MUGNAINI3 - 1U.O.
Cardiologia Ospedale Villamarina Piombino, 2Direzione Sanitaria di Presi­
dio Ospedaliero Piombino - Cecina - Portoferraio, 3U.O. Educazione alla Sa­
lute ASL 6 Livorno
AUTORE REFERENTE: MARIO CORDONI, via Muratori 3, 57025 Piombino (LI) - tel.:
360 483498, fax: 0665 67250, e-mail: [email protected]
242
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Nell’ambito del progetto internazionale HPH (Health Promoting Hospital),
è stato impostato nell’Ospedale di Piombino un progetto di prevenzione se­
condaria della cardiopatia ischemica, con intervento strutturato sui fattori di
rischio coronarico (fdr), con particolare riguardo a colesterolemia,
trigliceridemia e obesità.
Le diverse professionalità coinvolte, i diversi ambiti logistici in cui svolgere
l’azione e la necessità di rendere i soggetti a cui è rivolto il progetto a loro
volta protagonisti nella diffusione del messaggio, ha reso necessaria la crea­
zione di un sistema di diffusione della “cultura della salute”.
Obiettivi specifici
a) formazione del Personale sanitario ospedaliero e dei Medici di Medicina
Generale (MMG) - destinatari indiretti del progetto - ai fini di una appro­
priata e omogenea informazione per gli Utenti ricoverati e gli Assistiti, sulla
corretta alimentazione e adeguato stile di vita per prevenire le malattie
cardiovascolari;
b) coinvolgimento dei MMG per la definizione dei protocolli operativi;
c) rilevazione in pazienti cardiopatici ischemici noti o soggetti con 2 o più fdr
accertati - destinatari diretti del progetto - dei valori dei fdr basali, messa in
atto di interventi correttivi multidisciplinari di tali fdr e controlli semestrali
fino al completamento quinquennale del progetto con verifica finale dei
risultati correttivi sui fdr allargata alla popolazione;
d) coinvolgimento completo della locale associazione di volontariato “Amici
del Cuore” costituita da pazienti cardiopatici e loro familiari.
Tempi di attuazione del progetto: 5 anni, di cui – primo anno dedicato alla
formazione – secondo e terzo anno arruolamento dei pazienti – quarto anno
rilevazione e controllo dei fdr esaminati – quinto anno completamento delle
rilevazioni e elaborazione statistica.
Azioni svolte sul personale sanitario: è stato completato nel 2003 l’inter­
vento formativo con le finalità sopra descritte su tutto il personale sanitario
dell’Ospedale Villamarina di Piombino (Medici e non Medici, tutti quelli a
qualsiasi titolo a contatto con gli Utenti ricoverati) e su tutti i MMG della zona,
mediante lezioni con esercitazioni e verifica valutativa finale. Con i MMG è
stato anche concordato il protocollo gestionale degli Utenti destinatari diretti
del progetto.
Azioni svolte sulla comunità: a) 6 incontri annuali con la popolazione, a
cura della locale Associazione Amici del Cuore, per approfondimento e rin­
forzo educativo su tematiche inerenti il progetto di prevenzione cardiovascolare
243
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
ed i fdr considerati. b) Sperimentazione del modello di rilevazione del rischio
percentuale di sviluppare eventi cardio-cerebro vascolari nei prossimi 10 anni,
mediante le nuove carte del rischio italiane presentate dall’Istituto Superiore
di Sanità nell’aprile 2004.
Tale sperimentazione, ampiamente pubblicizzata è stata svolta in un gran­
de Centro Commerciale toscano per 2 giorni consecutivi su centinaia di
pazienti, per valutare la affidabilità e fattibilità della rilevazione e
quantizzazione complessiva dei fdr sulla popolazione destinataria diretta
del progetto HPH.
Risultati attesi: a breve termine appropriatezza e omogeneità di informa­
zione fornita dal Personale sanitario ospedaliero e dai MMG sulla corretta ali­
mentazione per prevenire le malattie cardiovascolari a medio termine
coinvolgimento al progetto dei pazienti cardiopatici ischemici o ad alto ri­
schio, minimo 500 a lungo termine contenimento dei fdr previsti nel progetto
nei destinatari diretti. Rilevazione della ricaduta del progetto sulla popolazio­
ne generale, mediante una indagine a campione “consecutivo” dei valori
lipemici, già eseguita nel territorio relativo all’Ospedale di Piombino negli anni
1986 e 1996.
Indicatori di risultato: – numero di lezioni svolte, numero di operatori sa­
nitari coinvolti, questionari di valutazione di apprendimento su corretta
tipologia di alimentazione – controllo basale e semestrale di colesterolemia,
trigliceridemia, peso corporeo e BMI e andamento percentuale del rischio.
Risultati ad oggi - formativi definitivi sul personale: 12 lezioni. Numero di
persone coinvolte 462 (98,2% del totale). Apprendimento nei 20 quiz pre­
corso: risposte esatte 57,9%. Stessi quiz post-corso: risposte esatte 97,1%. Gra­
dimento (giudizio su 4 livelli, con il 4° ottimale): utilità 3,80 - efficacia 3,92 ­
interesse 3,85.
Risultati sulla comunità: partecipazione crescente della popolazione
alle riunioni di informazione sanitaria rispetto al 2001 (+ 28% 2002; +34%
2003). Validazione definitiva del sistema delle carte del rischio italiane
ad espressione percentuale, per poter passare alla fase successiva del
progetto HPH.
Il coinvolgimento di tutto il personale sanitario ospedaliero, di tutti i MMG
della zona, della Associazione Amici del Cuore di Piombino, dei pazienti
cardiopatici o a rischio di cardiopatia e di un numero crescente di familiari
consente di valutare affermativamente i risultati fino adesso conseguiti, in
quanto tutti gli interessati risultano di fatto paritariamente attori nella costru­
zione del sistema salute cardiovascolare locale.
244
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.43. Percorso formativo per i volontari del pronto soccorso
M. MARCUCCI1, S. ARDIS1, A. MERLI2, G. DI QUIRICO1, L. PULITI1, A. DI VITO1, M. ROSSI1,
M. GIRALDI1 - 1Azienda USL 2 Lucca, 2Pedagogista Clinico
AUTORE REFERENTE: MORENO MARCUCCI, Ospedale Campo di Marte, Palazzina Ex
ONMI, Piazza della Concordia, Lucca – fax: 0583 970114, e-mail:
[email protected]
Introduzione
Il Pronto soccorso è un “territorio di confine” dell’ospedale e come tale è di
difficile gestione. L’impegno del personale per fornire una risposta sanitaria
appropriata di fronte ad una emergenza sanitaria è massima. In questo luogo
gli aspetti tecnici della professione sanitaria hanno il sopravvento assoluto
sugli aspetti umani di cui la sanità necessita. Per questo motivo abbiamo rea­
lizzato un progetto di aiuto alle persone che accedono al Pronto soccorso,
attuato tramite volontari. A tal fine è stato necessario realizzare un programma
di formazione rivolto ai componenti dell’Associazione dei Volontari Ospedalieri
(AVO) che hanno aderito alla nostra idea.
Il percorso formativo necessario doveva rispondere a due diversi ordini di
necessità. In primo luogo i volontari dovevano conoscere sommariamente
l’organizzazione ed il funzionamento del Pronto soccorso ed in particolare
del triage. Questo è un obiettivo formativo facilmente raggiungibile. In secon­
do si doveva fornire una formazione di base sulle tecniche di aiuto psicologi­
co mirate alla possibile casistica della sala di attesa del Pronto soccorso. Le
persone che sostano in sala di attesa possono avere un familiare con una pa­
tologia grave all’interno del Pronto soccorso ed essere quindi in ansia. Quan­
do la situazione è molto grave possono essere impauriti. Per alcuni questo è il
luogo dove inizia il lutto per la morte di una persona cara. Quando invece la
patologia per cui si trovano li è lieve, può essere molto lungo il tempo di
attesa. In questi casi chi aspetta può vivere l’attesa con rabbia e diventare
aggressivo verso il personale sanitario. A fornire aiuto questa gamma di emo­
zioni e reazioni era necessario preparare i volontari.
Obiettivo
Far acquisire ai volontari ospedalieri le conoscenze adeguate per fornire
aiuto psicologico alle persone in sala di attesa di Pronto soccorso.
Target
I destinatari diretti del corso erano rappresentati dai volontari ospedalieri.
245
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Gli effetti della formazione erano destinati alle persone con sofferenza psico­
logica in sala di attesa.
Azioni
Abbiamo disegnato un percorso di formazione di 16 ore. Due ore sono
state dedicate ad illustrare l’organizzazione del Pronto soccorso ed il funzio­
namento del triage. Altre 10 ore (due ore al mese) sono state dedicate ad
affrontare i seguenti argomenti: accoglienza, relazione di aiuto, modelli di
comunicazione sanitaria, comunicazione verbale, comunicazione non verba­
le, significato simbolico della malattia, lutto, relazione di aiuto nel lutto, colle­
ra, relazione di aiuto nelle reazioni aggressive. Quattro ore sono state dedica­
te ai role-play, rivisti e commentati in aula tramite sistema audio-video a cir­
cuito chiuso.
Un manuale di tecnica di comunicazione (da noi prodotto per corsi di for­
mazione analoghi destinati ai sanitari) è stato distribuito ai volontari. Durante
le lezioni abbiamo verificato che il manuale era uno strumento importante in
quanto ad ogni incontro, durante i dibattiti, appariva evidente che questo ve­
niva studiato dai volontari.
Valutazione dei risultati
La valutazione dell’efficacia didattica del corso è stata provata nelle ultime
quattro ore dello stesso, quando abbiamo impegnato i volontari nei role-play.
Abbiamo osservato che i volontari riuscivano a mettere effettivamente in pra­
tica quanto appreso durante le lezioni precedenti. La capacita di ascolto è
risultata eccezionalmente elevata. Anche la capacità di comunicare la com­
prensione empatica e l’accettazione positiva incondizionata sperimentata nel­
le simulazioni è stata molto elevata.
L’efficacia del corso è risultata evidente anche nella pratica nella pratica. I
volontari hanno affrontato con sicurezza situazioni che risultano difficili an­
che per i sanitari, quali il lutto o l’aggressività.
In futuro potremo effettuare una ulteriore valutazione dell’efficacia com­
plessiva del progetto mediante gli indicatori per questo individuati.
Conclusioni
L’utilizzo dei volontari in compiti che non potremo svolgere come istituzio­
ni può aiutarci a dare qualità a quanto oggi viene fatto in ospedale. Fornire ai
volontari gli strumenti per fare ciò è un nostro dovere. Non dobbiamo mai
dimenticare fra gli strumenti che forniamo anche una formazione di livello
adeguato al compito che affidiamo.
246
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.44. Persone a rischio di discriminazione in ospedale: aiutiamole a
difendersi
S. ARDIS1, M. MARCUCCI1, A. MERLI2, G. DI QUIRICO1, L. PULITI1, A. VINCENTI1, M. DE
GENNARO1, M. GIRALDI1 - 1Azienda USL 2 Lucca, 2Pedagogista Clinico
AUTORE REFERENTE: ANTONELLA VINCENTI, Presso U.O. Malattie Infettive, Ospedale
Campo di Marte, Lucca – e-mail: [email protected]
Introduzione
La discriminazione rappresenta la violazione dell’articolo 1 della Dichiarazione
dei diritti umani e come tale costituisce atto inumano e degradante per la dignità
della persona. Episodi di discriminazione ai danni di persone HIV positive si veri­
ficano nei nostri ospedali, soprattutto fuori dai reparti di malattie infettive che
curano abitualmente le persone HIV positive, e devono essere presi in considera­
zione se pensiamo di umanizzare i nostri ospedali. In Italia le denunce di episodi
di discriminazione subite dalle persone HIV positive sono più rare rispetto ad altri
paesi, ma questo non corrisponde ad un minor numero reale di atti di discrimina­
zione [Fabiani B., 2002]. La paura di subire ulteriori conseguenze negative impe­
disce alle persone HIV positive che hanno subito una discriminazione di denun­
ciarla. Anche in uno studio promosso dal nostro Comitato Etico Locale abbiamo
evidenziato che la maggior parte degli utenti HIV positivi del nostro ambulatorio
di malattie infettive non ha fiducia nelle possibilità di tutela dei loro diritti e ritiene
che denunciare una discriminazione potrebbe costituire un pericolo di danno
ulteriore [Vincenti et al., in Ardis et al., 2003]. E’ necessario ricordare in premessa
che la discriminazione delle persone HIV positive è considerata dall’ONU uno dei
motivi principali del fallimento delle campagne di prevenzione di questa malattia
[si vedano per esempio: Alto Commissariato per i Diritti dell’Uomo, Nazioni Unite
E/CN. 4/1997/37 oppure A/36/56 oppure E/CN. 4/2001/80].
Nel nostro progetto di umanizzazione degli ospedali della nostra USL, su ri­
chiesta del Comitato Etico Locale, abbiamo inserito un progetto di prevenzione
della discriminazione delle persone HIV positive. In questo ambito abbiamo
realizzato varie azioni (formazione del personale, carta dei diritti e dei doveri
delle persone HIV positive, creazione di un gruppo per il monitoraggio della
discriminazione) e fra queste incontri con le persone a rischio di discriminazio­
ne per aumentare le loro possibilità di tutela in caso di discriminazione.
Obiettivo
Aumentare la capacità di accedere ai sistemi di tutela dei diritti per le perso­
ne HIV positive che subiscono discriminazione nei servizi sanitari. Prevenire
la discriminazione delle persone HIV positive nei nostri ospedali.
247
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Target
Il progetto è stato elaborato in collaborazione con l’associazione omoses­
suale “L’altro volto” di Lucca e gli iscritti di questa associazione rappresentano
il primo target. Prevediamo di ripetere gli incontri anche con gli iscritti
all’ANLAIDS e con gli iscritti dell’Arcigay.
Azioni
Il progetto prevede la realizzazione di due incontri serali con le persone a
rischio di discriminazione (sieropositivi, ma anche omosessuali e transessuali)
per insegnare a riconoscere la discriminazione in ambito sanitario. Nelle le­
zioni viene illustrato anche il funzionamento dell’ufficio di tutela presente nella
nostra USL e le modalità con cui è possibile tutelare il proprio diritto a non
subire episodi di discriminazione.
Agli incontri partecipa personale sanitario dell’ospedale e il Coordinatore
del Comitato Etico Locale.
Valutazione dei risultati
Far crescere la coscienza dei propri diritti e far conoscere le modalità di tutela
dovrebbe far crescere il numero di segnalazioni ai nostri uffici di tutela. Tuttavia,
se le altre azioni di prevenzione messe in atto funzionano, gli episodi di discrimi­
nazione nei nostri ospedali dovrebbero diminuire fino a sparire del tutto e quindi
non si dovrebbero avere più segnalazioni di episodi di discriminazione. Quindi il
risultato atteso non è l’aumento delle segnalazioni di episodi di discriminazione
perché i pazienti hanno acquisito la capacità di difendersi, ma nessuna segnala­
zione di discriminazione perché l’ospedale è diventato più umano.
Conclusioni
L’ospedale come luogo o edificio non può essere definito disumano o uma­
no. Solo le donne e gli uomini che operano al suo interno possono umanizzarlo.
Bibliografia
1) FABIANI B., Aids: poche denunce di discriminazione. Paese delle favole o
paura? In Vita online, http://web.vita.it/home (inizio → medicina e salute
→ aids), consultato il 10/11/02.
2) VINCENTI et al., Discriminazione del paziente HIV positivo in ospedale. Stu­
dio su pazienti ambulatoriali, in ARDIS S. et al., Positivo scomodo, Ed. Roche,
Pisa 2003.
248
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.45. Aiuto ai familiari delle persone che accedono al Pronto soccorso
S. ARDIS, M. MARCUCCI, G. DI QUIRICO, L. PULITI, A. DI VITO, M. ROSSI, M. GIRALDI ­
Azienda USL 2 Lucca
AUTORE REFERENTE: SERGIO ARDIS, Via del Pozzetto 24, Pescia (PT) - cell. 335
6146737, fax. 0583 970114, e-mail: [email protected]
Introduzione
Noi sanitari abbiamo una buona attenzione alla sofferenza fisica, tutta­
via spesso trascuriamo la sofferenza psicologica o spirituale dei nostri pa­
zienti. Per questo cerchiamo di dare il massimo ai nostri pazienti dimenti­
cando che in alcuni casi in ospedale sono presenti altre persone che sof­
frono.
I familiari dei pazienti gravi vivono con ansia, paura, tristezza quanto sta
accadendo, ma anche chi aspetta a lungo per una patologia più lieve soffre
questa attesa e talvolta diventa aggressivo incrementando la conflittualità tra
personale sanitario e utenza.
Nel nostro progetto di umanizzazione dell’ospedale abbiamo incluso azio­
ni rivolte alle persone in sala di attesa al Pronto soccorso. Non avendo risorse
da destinare a questo progetto abbiamo richiesto la partecipazione dell’Asso­
ciazione Volontari Ospedalieri (AVO), già da anni presente in vari reparti del
nostro ospedale.
Obiettivo
Il progetto ha lo scopo fornire aiuto competente alle persone che sostano
in sala di attesa in Pronto soccorso. L’aiuto è rivolto sia ai pazienti sia ai fami­
liari che aspettano in sala di attesa. Rendere attivo un flusso informativo dalle
sale di cura del Pronto soccorso verso i familiari è un ulteriore scopo del pro­
getto che contribuisce al primo.
Target
I destinatari del progetto sono rappresentati dall’utenza del pronto soccor­
so che beneficia dell’umanizzazione di questo settore. Target secondario del
progetto sono il personale del Pronto soccorso e i volontari AVO.
Azioni
I volontari AVO sono stati coinvolti sin dalla fase di progettazione. E’ stato
249
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
definito un protocollo che stabilisce il ruolo dei volontari e le interazioni con
il personale del Pronto Soccorso.
I volontari hanno richiesto la realizzazione di un corso di formazione sia
per conoscere il funzionamento del Pronto Soccorso, sia, soprattutto, per ac­
quisire le conoscenze psicologiche necessarie per fornire aiuto psicologico in
Pronto soccorso. Il corso è stato realizzato tramite una ventina di lezione te­
nute da medici esperti in tecnica di comunicazione sanitaria.
Prima di iniziare l’attività di aiuto in Pronto soccorso i volontari hanno in­
contrato il personale medico ed infermieristico per conoscersi ed abbattere i
timori e le diffidenze reciproche.
Durante il periodo di formazione i volontari hanno manifestato paura ad
affrontare da soli questo compito. Per questo motivo è stato necessario un
periodo in cui il servizio è stato svolto da due volontari contemporaneamente
per turno.
Nella prima fase abbiamo limitato l’attività dei volontari a due ore al giorno,
dalle 10 alle 12, durante le quali si concentra un picco di elevata affluenza di
pazienti. Attualmente stiamo concordando le modalità per estendere l’attività
ad un altro turno di due ore al giorno.
Valutazione dei risultati
Come indicatori di risultato, oltre che ricorrere alla valutazione dell’impatto
sul personale del Pronto soccorso, mediante questionario, ci auspicheremo
una diminuzione del numero delle segnalazioni che giungono all’U.O. Comu­
nicazione e Marketing, designata a raccogliere le segnalazioni di disservizio
da parte dei cittadini.
Conclusioni
Sicuramente il modo migliore di umanizzare un ospedale è garantire il ri­
spetto dei diritti dell’uomo in ospedale, mentre in seconda istanza potremmo
dire che umanizzare è rispondere ai bisogni umani. Fornire aiuto psicologico
ai familiari delle persone che accedono ai servizi di emergenza non è un com­
pito istituzionale di un ospedale e non rientra nel rispetto dei diritti dell’uo­
mo, ma sicuramente è un sistema per rendere l’ospedale più rispettoso dei
bisogni dell’uomo.
Il personale negli ospedali è sempre più carente ed i carichi di lavoro im­
pongono ritmi sempre più frenetici. Non avremmo potuto pensare di realizza­
re questo progetto se non avessimo avuto a disposizione una risorsa preziosa:
l’operosità dei volontari.
250
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.46. Arte e cultura in ospedale: l’esperienza della clinica medica
“Augusto Murri”, Policlinico, Bari
A. BELFIORE, V. O. PALMIERI, G. PALASCIANO - Clinica Medica “Augusto Murri”,
Azienda Ospedaliera Policlinico, Università degli Studi di Bari
AUTORE REFERENTE: ANNA BELFIORE, V. S. T. D’Aquino 8/C, Bari - tel.: 080 5592961,
e-mail: [email protected]
Premessa
Il connubio fra arte, cultura e salute ha origini remote: la malattia, alle origi­
ni dell’arte medica, era ritenuta un evento individuale e sociale, che richiede­
va l’intervento attivo dei vari “attori” che operavano nel contesto sociale del
paziente.
Con l’avvento della medicina scientifica, la malattia è stata sempre più
“atomizzata”, separata dal contesto sociale, e trasferita in luoghi di cura, in
cui l’oggetto di attenzione è diventato l’organo malato. L’“approccio
sistemico” o bio-psico-sociale in medicina, pur riconoscendo al modello
biomedico un’importanza fondamentale, riconsidera la malattia e la salute
in termini “relazionali”, e sottolinea l’interdipendenza degli aspetti fisici,
psicologici e sociali che condizionano reciprocamente l’insorgenza e lo svi­
luppo della patologia.
L’arte e la cultura diventano, in tale prospettiva, parte integrante di un pro­
gramma di miglioramento continuo della qualità dell’assistenza sanitaria, in
quanto permettono di rivalutare la natura relazione e multisistemica della sa­
lute e della malattia.
Obiettivi del programma culturale
La Clinica Medica “Augusto Murri”, del Policlinico di Bari ha avviato un
programma culturale allo scopo di:
- Migliorare la qualità dell’accoglienza e degli ambienti ospedalieri, attraver­
so interventi di modesto impegno economico, realizzabili grazie al contri­
buto di generosi sostenitori (es. fioriere nei corridoi, sale di attesa gradevo­
li, biblioteca di reparto, pinacoteca, sala TV).
- Favorire l’interazione dell’equipe ospedaliera con i pazienti e i loro visita­
tori.
- Facilitare l’interazione fra l’ospedale e la città e favorire la democratizzazione
della cultura, offrendo ai cittadini (pazienti, parenti, personale ospedaliero)
la possibilità di partecipare ad eventi culturali.
251
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Programma culturale
Le principali iniziative culturali promosse in clinica sono state:
1) La pinacoteca della clinica: E’ costituita da circa 100 affiches di celebri ope­
re di artisti del XIX e XX secolo, distribuite sulle pareti dei corridoi, delle
sale di attesa, delle stanze di degenza e di ambulatorio. Oltre all’indiscutibile
pregio estetico, la pinacoteca offre l’occasione, a cittadini e utenti, di sof­
fermarsi sulla qualità e il significato dei diversi stili pittorici rappresentati
(in particolare l’impressionismo e l’espressionismo).
2) La biblioteca di reparto: è stata realizzata grazie alle continue donazioni di
libri da parte di sostenitori delle iniziative culturali della clinica; in un pri­
mo tempo, per timore che alcuni volumi potessero essere portati via, si era
provveduto a realizzare un catalogo dei libri e si era designato un respon­
sabile della distribuzione dei libri. Da circa un anno si è ritenuto più oppor­
tuno lasciare i libri a disposizione di tutti senza un particolare controllo,
nell’ottica di “...meglio un libro letto che un libro rinchiuso in un armadio”.
3) I concerti in clinica: sono realizzati con frequenza bisettimanale o mensile;
il medico che svolge la funzione di “responsabile culturale della clinica”,
ha il compito di programmare gli eventi musicali, di mantenere i rapporti
con gli artisti e le associazioni e istituzioni culturali della città (conservato­
rio musicale, teatri). La varietà del repertorio permette di favorire l’interes­
se di un pubblico molto eterogeneo per età ed interessi culturali: sono stati
realizzati concerti di musica classica, di musica popolare, musica etnica,
jazz; recentemente si è dato spazio anche a manifestazioni più propria­
mente teatrali. Il programma di ogni evento culturale viene diffuso tramite
locandine che riportano il programma ed un breve curriculum degli artisti.
I concerti si svolgono in un’aula immediatamente contigua al reparto di
degenza; l’aula è dotata di 50 posti a sedere ed è attrezzata con una pedana
su cui è collocato un pianoforte a mezza coda, acquistato grazie al contri­
buto benevolo di generosi sostenitori.
Risultati
L’impatto del programma di arte e cultura sullo stato di salute dei soggetti
coinvolti (pazienti, personale sanitario, visitatori) è oggetto di una valutazione
di tipo quantitativo e qualitativo attraverso una serie di indicatori. Da segnalare:
la richiesta di informazioni sui programmi culturali da parte di ex-degenti; la
diffusione dell’iniziativa in altre U.O.; l’organizzazione di un convegno dedica­
to a “L’arte e la cultura negli Ospedali della Puglia”; la pianificazione di un corso
per la formazione dei responsabili culturali ospedalieri; la stipula di protocolli
di gemellaggio fra Ospedali e Istituzioni Culturali (biblioteche, conservatorio)
per la diffusione del programma “Arte e cultura negli Ospedali”.
252
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.47. La prevenzione delle lesioni da decubito in ambito ospedaliero,
analisi delle Best Current Evidence Based ed elaborazione di un
processo aziendale di prevenzione
A. CAZZANIGA (Direttore SITRA), L. FERRAIOLI (Componente SITRA), A. INVERNIZZI
(Infermiere AFD, Responsabile area dip. DEA), M. BOSIO (Direttore struttura
Qualità), A. ZOLI (Direttore Sanitario Aziendale), P. CALTAGIRONE (Direttore
Generale) - Azienda Ospedaliera “Ospedale di Lecco”, Regione Lombardia
AUTORE REFERENTE: LAURA FERRAIOLI, SITRA, Azienda Ospedaliera “Ospedale di
Lecco”, Via dell’Eremo 9/11, 23900 Lecco - tel. 0341 489060, fax: 0341 489093,
e-mail: [email protected]
La prevenzione delle lesioni cutanee da decubito rappresenta un’importan­
te area di attività infermieristica in ambito ospedaliero, all’interno della quale
la condivisione e l’utilizzo di un protocollo di prevenzione contribuisce alla
diminuzione dell’insorgenza di lesioni, nonché ad un miglioramento delle
prestazioni di assistenza infermieristica. Per una buona pratica infermieristica
sono necessarie conoscenze di natura scientifica derivanti da: sperimentazioni
cliniche, studi sull’assistenza infermieristica, confronto con le esperienze in­
ternazionali; tutto ciò trova la sua massima espressione nelle linee guida. Da
questo presupposto è partita la stesura di un documento che si pone quale
strumento metodologico e conoscitivo al servizio di un’assistenza
infermieristica evidence based.
L’analisi di 4 linee guida presenti in letteratura (AISLeC – EPUAP- NICE –
AWMA) ha condotto all’elaborazione di un processo di prevenzione con le
finalità di:
- evidenziare i contenuti dell’assistenza infermieristica;
- migliorare le prestazioni infermieristiche attraverso l’utilizzo di un linguag­
gio comune e di una pratica standard basata su letteratura aggiornata;
- ridurre l’incidenza delle lesioni cutanee da decubito;
- limitare i costi attraverso l’utilizzo appropriato delle risorse e dei materiali
disponibili;
- individuare ed utilizzare indicatori utili alla valutazione della qualità del­
l’assistenza infermieristica.
Accanto a queste finalità il protocollo si pone anche come strumento in
grado di uniformare i comportamenti operativi degli infermieri salvaguardan­
do al contempo un’assistenza infermieristica personalizzata.
L’Obiettivo generale è quello di implementare la rilevazione sistematica
del rischio di sviluppare lesioni da decubito, definire i punti di attenzione
per la pianificazione dell’assistenza infermieristica, elaborare strumenti utili
per l’educazione del paziente e del care giver. Gli obiettivi specifici sono di
253
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
fornire conoscenze teoriche e pratiche inerenti l’assistenza infermieristica
nella prevenzione delle lesioni da decubito alla luce delle nuove evidenze
scientifiche, di definire ed implementare il processo di prevenzione e di
implementare l’utilizzo sistematico della scala di Braden per la rilevazione
del rischio.
Il progetto è attualmente in fase di sviluppo. E’ già stato elaborato il protocollo
ed è stata effettuata la formazione di tutto il personale interessato. E’ stata inoltre
effettuata una prima rilevazione che ha dimostrato la situazione seguente:
Pazienti valutati
% maschi
% femmine
% pz. < 70 aa
% pz. a rischio
% pz. con lesioni su quelli a rischio
% materassi utilizzati su persone a rischio
% pz. con Braden < 16 sul totale
N=443
55%
45%
61%
32%
29%
35%
14%
L’esperienza fino ad ora effettuata permette di sostenere come un processo
articolato di formazione e sensibilizzazione del personale possa permettere di
ottenere un approccio concreto al problema delle lesioni da decubito e poter
mettere in atto azioni che devono essere monitorate nel tempo e sottoposte a
revisione. La conoscenza del problema permette inoltre di migliorare la co­
municazione con il paziente e sensibilizzarlo ulteriormente rispetto alle misu­
re di prevenzione da attuare.
12.48. Empowerment delle pazienti sottoposte a linfoadenectomia
ascellare per neoplasia mammaria
A. MARIANI1, E. POGGI2, B. CUSENZA1 (Tdr Coordinatore), A. FILIPPI2 (C.S.) - Azienda
Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento, Presidio Ospedaliero di Arco; 1U.O.
Medicina fisica e riabilitazione, Direttore: Dott. Roberto Albertazzi; 2U.O. Chirur­
gia, Direttore: Francesco Ricci
AUTORE REFERENTE: ANNAMARIA MARIANI, Presidio Ospedaliero di Arco, U.O. Medi­
cina Fisica e Riabilitazione, Via Francesco I di Borbone 1, Arco (Tn) - e­
mail: [email protected]
Premesse
La letteratura internazionale e l’esperienza di anni di lavoro dimostrano che
le pazienti operate di linfoadenectomia per neoplasia mammaria riferiscono
254
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
che nella fase iniziale post chirurgica i problemi principali che debbono af­
fondare sono i seguenti:
- timore nell’ uso del braccio dal lato operato;
- comportamento da tenere nella vita quotidiana per prevenire il linfedema;
- timore di dover affrontare da sole eventuali complicanze senza sapere a chi
rivolgersi.
Abbiamo pertanto ritenuto utile per le pazienti sottoposte a trattamento
chirurgico di mastectomia o di quadrantectomia con svuotamento linfonodale
presso la chirurgia dell’Ospedale del Distretto Alto Garda e Ledro program­
mare un percorso terapeutico ed informativo gestito in collaborazione tra U.O.
di Chirurgia e U.O. di Medicina Fisica e Riabilitazione con i seguenti obiettivi:
- evitare i dolori e le limitazioni articolari alla spalla;
- favorire una rapida ripresa delle attività quotidiane evitando che la pazien­
te si auto limiti nel timore di possibili conseguenze secondarie;
- fornire alla paziente tutte le informazioni che le possono essere utili a pre­
venire la insorgenza di eventuale linfedema;
- fornire recapiti e numeri telefonici dei medici di riferimento.
Sintesi del programma
Il programma prevede un totale automatismo nella gestione degli appunta­
menti e delle visite in quanto la paziente, angosciata per la diagnosi e per le
procedure chirurgiche si troverebbe in difficoltà ad autogestire gli appunta­
menti.
Il percorso clinico terapeutico prevede una visita fisiatrica pre-operatoria,
direttamente prenotata dalla caposala della chirurgia, nella quale si valuta
l’articolarità della spalla ed eventuali altre situazioni da tenere presenti nel
trattamento post-operatorio.
In tale occasione verrà anche programmato l’inizio della terapia di
mobilizzazione post chirurgica da effettuare orientativamente 4-5 gg. dopo la
dimissione dalla chirurgia (dimissione mediamente in terza giornata) con con­
trollo fisiatrico all’inizio della terapia.
Eventuali proroghe di degenza o complicanze vengono segnalate a cura
della caposala del reparto chirurgico.
Rieducazione post operatoria:
Il programma riabilitativo post operatorio si articola in 5 sedute con i se­
guenti obiettivi:
- mobilizzazione della spalla e arto superiore;
- rinforzo muscolare;
255
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
- superamento del timore della paziente di riprendere le attività quotidiane;
- consigli sull’uso dell’arto superiore e sulle strategie da adottare per preve­
nire il linfedema;
- consegna alla paziente di foglio informativo con recapiti telefonici e moda­
lità di contatto diretto in caso di insorgenza di complicanze (è prevista in
seconda fase la preparazione di volumetto con esercizi da eseguire a domi­
cilio e norme di comportamento).
In altre esperienze anche all’interno della nostra Azienda Sanitaria è stato
scelto di effettuare un trattamento di brevissima durata (da 1 a 3 gg.) con la
consegna di un manuale sugli esercizi da eseguire a domicilio, questa metodi­
ca si è rivelata efficace in pazienti con buona capacità di autogestione, ma in
alcune pazienti ha creato ulteriore motivo di ansia e difficoltà nella esecuzio­
ne degli esercizi a domicilio.
Si è pertanto preferito fornire alla paziente solo una pagina in stile FAQ
(domande frequenti) con linguaggio positivo e tranquillizzante e i recapiti
telefonici cui rivolgersi in caso di dubbi o problemi. Il foglio viene consegnato
direttamente alla paziente con l’indicazione di mostrarlo al proprio medico di
base che pertanto viene coinvolto nella cura della paziente e nella gestione di
eventuali complicanze.
La rimozione dei punti di sutura è prevista in occasione della visita di con­
trollo chirurgica.
Al termine del ciclo di trattamento viene programmata direttamente dalla
Segreteria della Riabilitazione una visita di controllo ad un mese circa alla
quale la paziente accederà con normale impegnativa del curante.
Durante la vista verrà verificata la situazione clinica, il grado di
coinvolgimento della paziente nel progetto riabilitativo e valutata la eventua­
le necessità di ulteriore trattamento.
Risultati
I parametri in fase di monitoraggio i cui risultati verranno presentati nel
poster sono:
- % di pazienti operate che hanno seguito il percorso clinico riabilitativo;
- % di pazienti che riescono entro due settimane dall’intervento a riprendere
ADL;
- % di pazienti che si sono rivolte ai servizi di riferimento per complicanze
insorte entro un anno dall’intervento.
Prospettive future
- valutazione del grado di compliance della paziente al programma di infor­
256
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
mazioni e prevenzione con controlli a distanza di un mese e sei mesi dal
termine della terapia;
- valutazione in occasione del primo controllo del grado di soddisfazione
dell’ utente sul iter del percorso clinico terapeutico.
12.49. Indagine conoscitiva sulle abitudini al fumo dei dipendenti di
reparti a rischio dell’Azienda Ospedaliera di Cremona
M. PARPANESI1, P. SIRONI2 - Azienda Istituti Ospitalieri di Cremona; 1Presidio Ambu­
latoriale Territoriale, 2Unità Operativa di Neurologia
AUTORE REFERENTE: MAURO PARPANESI, Presidio Ambulatoriale Territoriale, Azien­
da Istituti Ospitalieri di Cremona, Viale Trento e Trieste 15, 26100 Cremona
– tel.: 0372 405853, fax: 0372 405877, e- mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
Il Piano Sanitario Nazionale 2002-2004 ha inserito la lotta al tabagismo tra gli
obiettivi diretti a promuovere comportamenti e stili di vita per la salute. Oltre ad
auspicare la drastica diminuzione del numero dei fumatori il Piano pone l’accento
sulle necessità del rispetto della normativa esistente sul divieto di fumo. L’OMS, nel
1993, ha sancito che i servizi sanitari sono il punto cardine dell’azione per ottenere
una drastica riduzione dell’abitudine al fumo. Negli ultimi decenni, importanti studi
epidemiologici hanno individuato nel fumo di tabacco la principale causa evitabile
di malattie e di morte nei Paesi industrializzati; nonostante ciò in molti ambulatori,
ospedali e altre strutture sanitarie, si continua a tollerare il fumo degli operatori, dei
pazienti e dei visitatori. Questa situazione, oltre a violare il diritto dei non fumatori a
soggiornare in ambienti liberi dal fumo, rappresenta un messaggio contraddittorio
e diseducativo. L’Azienda Istituti Ospitalieri di Cremona, nell’ambito di una policy
aziendale sulla promozione della salute negli ambienti sanitari secondo le indica­
zioni dell’OMS, ritiene prioritaria una strategia di intervento multisettoriale mirata
tramite il progetto in corso attraverso la valutazione conoscitiva delle abitudini al
fumo mediante la somministrazione di un questionario.
Obiettivo/i
- Valutare l’abitudine tabagica dei dipendenti delle U.O. di Pneumologia,
Cardiologia e Ostertricia che per le loro caratteristiche intrinseche sono con­
siderati centrali per una corretta educazione sanitaria contro il fumo attra­
verso la somministrazione di un questionario;
- valutare la possibilità di inserire i fumatori in un percorso di disassuefazione;
- promuovere stili di vita sani all’interno dell’Ospedale.
257
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Gruppo/i Target: il progetto è rivolto ai dipendenti dei reparti di Pneumo­
logia, Ostetricia e Cardiologia.
Presentazione e valutazione dei risultati: sono stati distribuiti 80 questio­
nari per circa 135 operatori sanitari. Sono stati restituiti 9 questionari.
Conclusioni: è in corso l’elaborazione dei questionari.
12.50. Verifica della qualità percepita dall’utente in un percorso di
promozione della salute relativa al trattamento riabilitativo della
lombalgia
R. ALBERTAZZI1, D. CANDIOLI2 - Fisioterapisti dell’U.O. Medicina Fisica e Riabili­
tazione Ospedale di Rovereto (TN), C.so Verona 4, 38068 Rovereto (TN) - tel.:
0464 453297, fax: 0464 453514; Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari
della Provincia Autonoma di Trento - 1Direttore U.O. Medicina Fisica e Ria­
bilitazione Ospedale di Rovereto (TN), 2Coordinatore fisioterapista dell’ U.O.
Medicina Fisica e Riabilitazione Ospedale di Rovereto (TN)
Motivazioni
Oltre i tre quarti delle persone adulte sperimentano il mal di schiena (o
lombalgia) nel corso della propria esistenza e la maggior parte in età lavorativa. Questa patologia ha un costo sociale e sanitario enorme per spese medi­
che e per giornate di lavoro perse. Nella maggioranza dei casi si tratta di algie
comuni non correlate a cause specifiche. Fra le cause più significative riferite
dagli studiosi per queste forme, vi sono le posture e i movimenti incongrui, il
sovrappeso, gli stress psicologici e una forma fisica scadente. Si è evidenziata
la necessità, nella pratica clinica, di favorire un “approccio attivo” per curare
la persona colpita da mal di schiena nella sua globalità ricorrendo ad un
coinvolgimento diretto del paziente.
Da diverso tempo, nel nostro servizio, il trattamento riabilitativo della
lombalgia segue un percorso particolare che prevede la partecipazione attiva
dei nostri utenti ad un “corso di formazione” in cui vengono preparati per
gestire autonomamente il loro problema.
In pratica il trattamento, previsto in 8 lezioni, prevede tre elementi:
- un software educativo computerizzato sulle cause e sulle metodologie di
prevenzione della lombalgia che consente al paziente di poter interagire al
fine di riuscire ad essere protagonista del proprio recupero ed apprendere
i vari aspetti del problema;
- una proposta terapeutica con lezione teorica e addestramento agli esercizi
di auto-mantenimento nell’ottica della back school;
258
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
- un fascicolo di rinforzo da consegnare al termine del percorso che serva a
ricordare i concetti acquisiti e per l’auto-mantenimento a domicilio.
Obiettivo
Avendo standardizzato questo modo di lavoro, ci siamo posti il problema di
verificare la qualità percepita dai nostri utenti.
Abbiamo pensato di raggiungere l’obiettivo con la predisposizione di un
questionario da far compilare ai pazienti alla fine del “corso colonna”.
La raccolta dei dati e la compilazione del questionario è stata affidata ad
una studentessa del D.U. di fisioterapia della scuola di Rovereto, la quale sta
preparando una tesi sull’ argomento.
Target
Popolazione tra i 20 e i 65 aa. affetta da lombalgia semplice.
Indicatori
Gli indicatori scelti per il monitoraggio, concentrati in dieci domande, sono
i seguenti:
- valutazione dell’ aspetto organizzativo;
- valutazione della professionalità degli operatori;
- valutazione dell’ efficacia dell’intervento.
12.51. Progetto “Sopraimille”. Collaborazione tra Centro Salute Mentale
e Società degli Alpinisti Tridentini
A. BOLOGNANI1, M. FLORIANI1, S. SCARAMUZZA2 - 1Centro Salute Mentale, Distretto
Sanitario “Alto Garda e Ledro”, Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari,
Provincia Autonoma di Trento, 2Laureanda Corso in Tecnica della Riabilita­
zione Psichiatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di
Verona
AUTORE REFERENTE: MILENA FLORIANI, Centro Salute Mentale, via Capitelli 50, 38062
Arco (Tn) – tel.: 0464 582280, e-mail: [email protected]
Introduzione
Sulla scia di alcune esperienze, italiane ed estere, di utilizzo della montagna
come scenario riabilitativo per pazienti affetti da patologie psichiatriche è sta­
to avviato questo progetto, nato da un formale accordo tra il Centro Salute
259
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Mentale del Distretto Alto Garda e Ledro dell’ A.P.S.S. e la Sezione di Riva del
Garda della Società degli Alpinisti Tridentini (S.A.T.– C.A.I.).
Il progetto è stato ideato, formulato ed attuato da un gruppo congiunto di
operatori sanitari del CSM e di soci della SAT di Riva. Le rispettive competen­
ze, in ambito sanitario ed in quello legato alla frequentazione della montagna,
vengono così a confrontarsi e fondersi, in un lavoro sinergico.
Nella prima fase, di progettazione e preparazione, gli operatori del CSM
hanno definito la “cornice riabilitativa” all’interno della quale costruire l’espe­
rienza, individuando gli obiettivi da raggiungere, fornendo elementi teoricopratici per facilitare la gestione del gruppo e dei singoli. Da parte loro i soci
della SAT di Riva hanno messo a disposizione le loro competenze e specifiche
conoscenze, guidando l’individuazione di strumenti, tecniche e proposte
realizzabili “sul campo”.
Nella fase attuativa gli operatori del CSM, che hanno partecipato attivamen­
te a tutta l’esperienza, hanno avuto la funzione di monitorare i risultati, inter­
venire e risolvere gli inevitabili problemi, più genericamente svolgere una
essenziale funzione di tutoraggio nei confronti degli utenti. Al contempo i
soci della SAT di Riva hanno presentato e gestito gli aspetti tecnici dell’inizia­
tiva, guidato il gruppo su un percorso esperienziale, individuato le migliori
proposte in relazione alle capacità dei singoli e del gruppo.
Obiettivi
Stimolare l’aggregazione; favorire il contatto con realtà “esterne”, creando
opportunità di socializzazione con persone ed ambienti esterni al “circuito
psichiatrico”; stimolare la ripresa del contatto col proprio corpo; acquisire com­
petenze, anche sul piano tecnico, nel campo della manualità, dell’uso appro­
priato dell’attrezzatura, di dimensioni specifiche dello “ambiente natura”; di
accrescere, attraverso il confronto con gli altri e con l’ambiente, la conoscenza
di sé e l’autostima.
Gruppo Target
Nell’attuale fase (che può essere considerata sperimentale) l’iniziativa è sta­
ta proposta a dieci giovani utenti (età 20 – 39 anni) del Centro di Salute Men­
tale, individuati ed indirizzati a questa esperienza dallo psichiatra curante sul­
la base di una riconosciuta motivazione e nel quadro di un programma di
riabilitazione più ampio. Si è tenuto particolarmente conto della composizio­
ne del gruppo; tutti i partecipanti al gruppo presentano una diagnosi di Di­
sturbo Psicotico o di Disturbo di Personalità.
260
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Presentazione risultati ottenuti
Nella fase sperimentale sono state effettuate sei uscite (in rifugio, sulla neve,
in parete ecc...) ognuna delle quali preceduta da un incontro “informativo” e
seguita da un incontro di riflessione sull’esperienza vissuta, sui rapporti intrat­
tenuti, sulle proprie reazioni ecc....
Ogni uscita è stata monitorata con l’uso di una scheda personale di valuta­
zione allo scopo di verificare l’andamento individuale sul piano generale ed il
raggiungimento di specifici obbiettivi precedentemente fissati.
Alla fine di questa fase sperimentale a tutti i partecipanti (utenti, operatori e
collaboratori) è stato proposto un questionario di verifica rispetto al gradi­
mento dell’esperienza.
Conclusioni
Gli elementi fondanti il progetto sono stati la sua originalità, la ricerca di
una impostazione coerente sin dalle prime fasi progettuali, l’idea di creare
sinergie molto forti con elementi esterni.
Da una parte i risultati ottenuti sui singoli soggetti e sul gruppo nel suo
insieme sono, anche se solo iniziali, molto confortanti. Dall’altra l’esperienza
attuata ha permesso di ricercare nuovi linguaggi di applicazione della teoria
della riabilitazione psichiatrica, attraverso l’uso di uno strumento atipico ed i
cui contorni sono ancora in buona misura da delineare. La positività dei risul­
tati ottenuti giustifica quindi la prosecuzione dell’esperienza e, parallelamen­
te, un lavoro di ricerca ed individuazione di basi teoriche che portino alla
creazione di tecniche più precise ed utilizzabili.
12.52. RAR: referente alcologico di reparto
M. ALBERTINI, M. CHIODEGA, A. FILIPPI, A. CAZZOLLI, D. GROTTOLO, M. ROSA, B. PENASA
- Distretto Alto Garda E Ledro, A.P.S.S. Trento
AUTORE REFERENTE: MONICA CHIODEGA, Servizio Infermieristico Distretto Alto Garda
e Ledro – e-mail: [email protected]
Obiettivi
Il RAR (Referente Alcologico di Reparto) è un operatore sanitario, formal­
mente riconosciuto dall’Azienda Sanitaria, opportunamente formato con cor­
si specifici per realizzare attività di counselling e di informazione a persone e
famiglie con PAC (problemi alcolcorrelati) che opera all’interno dell’Unità Ope­
rativa.
261
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Gli obiettivi del RAR sono:
1. Individuare in ambito ospedaliero i problemi alcolcorrelati nelle persone
ricoverate, indipendentemente dalla patologia che ne ha motivato l’acces­
so, attraverso uno screening condiviso da tutto il personale delle Unità
Operative supportato da altri esami diagnostici.
2. Garantire, prima della dimissione, a tutte le persone positive allo screening
per PAC o a rischio di PAC, rispettivamente un colloquio di motivazione,
possibilmente con la presenza di un familiare o un colloquio breve che
permetta di focalizzare il problema, dare corrette informazioni, fornire
materiale informativo, indicare percorsi per facilitare il cambiamento, con
invio ai programmi territoriali.
3. Incrementare nei reparti ospedalieri l’informazione, la formazione, la
sensibilizzazione e la responsabilità degli operatori e dei pazienti ricovera­
ti sull’importanza degli stili di vita personali come determinanti del proprio
benessere e del proprio star bene con gli altri.
Target
1. Tutti i pazienti ricoverati nella struttura
2. Familiari delle persone con problemi alcol correlati
3. Operatori sanitari
Valutazione dei risultati
1.
2.
3.
4.
Numero di colloqui effettuati/n. pazienti ricoverati in ospedale;
numero di arrivi al Centro di Alcologia e/o nei centri di riabilitazione (Club);
numero di iniziative promosse dal gruppo RAR;
monitoraggio dell’attività, ricerca e verifica attraverso incontri periodici tra
gli operatori RAR ed il Centro di Alcologia, per una programmazione, valu­
tazione, confronto, aggiornamento e sostegno dell’attività.
Conclusioni
L’esperienza di questi anni ha chiaramente dimostrato che un momento
“prezioso” come quello dell’ospedalizzazione (momento in cui la persona è
particolarmente “debole”, dipendente ed in condizione di accettare soluzioni
e proposte altrimenti negate e rifiutate), si è rivelato “sotto-utilizzato” e scarsa­
mente ottimizzato per l’identificazione di persone con PAC o a rischio di PAC.
L’istituzione della figura del RAR, ha portato a triplicare i contatti con perso­
ne con PAC o a rischio di PAC ricoverate; aumentare gli ingressi nei gruppi di
auto-mutuo-aiuto ed ha suscitato nuove coscienze e sensibilità fra gli opera­
tori sanitari.
262
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.53. Attuazione del sistema qualità: valutazione della soddisfazione
dell’utente presso un servizio di fisiopatologia respiratoria- Dati
preliminari
L. CARMELLINI, A. SANNICOLÒ, A. FLAIM, F. CICCARONE, V. LEONI, M. PRANDINI - Ospedale
Civile di Arco
AUTORE REFERENTE: MARIO PRANDINI, e-mail: [email protected], tel.: 0464
582415, fax: 0464 582417
Introduzione
Il concetto di “Qualità” solo da poco ha iniziato a ricevere la dovuta consi­
derazione nell’ambito della assistenza sanitaria, come diritto di ogni cittadino
e dovere del personale sanitario. Questa considerazione deve indirizzare l’or­
ganizzazione alla soddisfazione dell’utente che dipende non solo dal fatto
che quello che viene eseguito venga eseguito in maniera corretta, secondo le
norme di buona pratica medica, ma anche da come la prestazione viene per­
cepita dall’utente stesso. La “Qualità” rappresenta il cardine su cui basare la
visibilità e la credibilità di una organizzazione.
Il Servizio di Fisiopatologia Respiratoria si occupa di diverse attività: centro
di riferimento provinciale per i disturbi respiratori del sonno e riferimento
provinciale per l’ossigenoventiloterapia domiciliare; eroga il 90% della attività
di fisiopatologia respiratoria ed il 70% di quella allergologica della provincia.
Obiettivo
Valutare l’impatto della nostra attività sull’utente. Abbiamo chiesto a tutti i
soggetti che afferiscono al Servizio di compilare un questionario nel quale si
chiede di valutare una serie di punti relativi alla attività medico infermieristica
ed alla logistica. La distribuzione dei questionari è iniziata il 2 maggio u.s ed i
dati che presentiamo sono relativi ai primi 260 questionari.
Risultati
Abbiamo raccolto il 100% dei questionari distribuiti e nessun utente si è
rifiutato di compilarlo. 98 questionari riportavano solo giudizio di buono e
ottimo. 162 questionari riportavano almeno 1 giudizio di sufficiente o insuffi­
ciente. Nessuno giudizio pessimo.
Nello specifico, alla domanda 1: “come giudica la prestazione ottenuta” in 2
casi si otteneva il giudizio di insufficiente.
Alla domanda 2: “come considera la prestazione rispetto alle Sue aspettati­
ve?” in 3 casi il giudizio era di insufficiente.
263
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
La domanda 3: “come giudica l’ accessibilità al servizio” ha evidenziato la
maggiore criticità. 7 giudizi di insufficiente per quanto riguarda il punto “faci­
lità” di prenotazione. 32 insufficiente per quanto riguarda il punto: “segnaleti­
ca all’ interno dell’ ospedale.”.
Anche la domanda 4 “lista d’ attesa” ha messo in luce criticità con 17 insufficiente.
Le domande 5 e 6 attinenti alla accoglienza della sala d’ attesa ed al tempo
trascorso nella sala d’ attesa ottenevano rispettivamente 1 insufficiente ed 3
insufficiente.
La domanda 7 relativa alla disponibilità di medici e personale paramedico
otteneva 3 insufficiente per quanto riguarda il personale medico e 2 insuffi­
ciente per il personale paramedico.
La domanda 8, relativa alla privacy otteneva 4 insufficiente per quanto ri­
guardante l’ accettazione e 4 insufficiente per quanto attinente all’espletamento
della prestazione.
La domanda 9, riguardante le informazioni ricevute otteneva 6 insufficiente
al punto relativo alle modalità di preparazione alla prestazione, 3 insufficiente
per quanto riguarda la diagnosi, 5 insufficiente per quanto attinente la terapia,
2 insufficiente per quanto riguarda il ritiro dei referti.
Discussione
2 questionari hanno dato giudizio di insufficiente per tutte le domande,
mentre la maggior parte dei questionari presentava giudizi sia positivi sia ne­
gativi. I punti più critici sono stati quelli relativi alla domanda 3: ”come giudi­
ca l’ accessibilità al servizio” (39 risposte negative) e quelli relativi alla doman­
da 4: “lista di attesa” (17 risposte negative). Per quanto riguarda la domanda 3,
al punto “facilità di prenotazione” bisogna considerare che la nostra attività
non viene gestita dal CUP e quindi spesso gli utenti devono eseguire diverse
telefonate prima di contattarci; per quanto attinente il punto “segnaletica all’
interno dell’ ospedale” bisogna sottolineare che l’ospedale è funzionante da
solo 3 mesi e quindi non tutto è predisposto in maniera ottimale. Per quanto
riguarda la “lista di attesa” bisogna considerare che i questionari sono stati
distribuiti nel periodo di maggior incidenza di sintomatologia allergica da pollini
e pur avendo aumentato di un terzo il numero delle sedute non siamo riusciti
a contenere il periodo di attesa a meno di 40 giorni.
Conclusioni
La distribuzione dei questionari è risultata assai utile per comprendere qua­
li sono i nostri punti di debolezza sui quali operare per migliorare ed è risulta­
ta altresì utile per farci comprendere come sia effettivamente necessario agire
per far percepire al paziente la qualità della prestazione ottenuta.
264
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.54. Progetto HPH interregionale “Allergia a scuola”: verso la
realizzazione di un sito web per adolescenti
A. APPICCIAFUOCO1, M. MANFREDI2, P. MINALE3, G. ERMINI4, P. CAMPI4, C. MENICOCCI2, C.
TAZZER3, A. ALESSANDRI5, R. GUADAGNO5, I. FRATI5, D. MAZZOTTA6, R. BRUNETTI7, R.
PREDONZANI8, F. SIMONELLI9, P. MORELLO MARCHESE10 - 1Coordinatore Progetto HPH ASL
10, 2U.O.S. Laboratorio di Immunologia e Allergologia, Nuovo Ospedale San Gio­
vanni di Dio ASL 10 Firenze, 3U.O. Allergologia, Dipartimento di Medicina inter­
na Ospedale San Martino, Genova, 4U.O.S. Allergologia ed Immunologia Clinica
Nuovo Ospedale San Giovanni di Dio ASL 10 Firenze, 5Management staff Nuovo
Ospedale San Giovanni di Dio, ASL 10 Firenze, 6Management staff Ospedale
S.M. Annunziata ASL 10 Firenze, 7U.O. Educazione alla salute ASL 10 Firenze,
8
Coordinatore Progetto HPH Regione Liguria, 9HPH Network Regione Toscana,
A.O. Meyer-Firenze, 10Coordinatore Progetto HPH A. O. Meyer- Firenze
La letteratura internazionale degli ultimi anni concorda nel rilevare un signi­
ficativo aumento delle malattie allergiche con conseguente sempre maggior
impatto sociosanitario ed economico. Un appropriato management delle ma­
lattie allergiche permette di arrivare prima ad una diagnosi corretta e di evitare
terapie inadeguate con indubbi vantaggi per quanto riguarda la qualità della
vita e la spesa sanitaria. Programmi preventivi multidisciplinari che educano
alla conoscenza della malattia e dei percorsi diagnostico-terapeutici corretti sono
pertanto molto importanti. La U.O.S. Allergologia ed Immunologia Clinica e la
U.O.S. Laboratorio di Immunologia ed Allergologia della ASL 10 Firenze insie­
me alla U.O. Allergologia dell’Azienda Ospedaliera San Martino di Genova han­
no elaborato un programma educazionale comune, elaborando strategie con­
divise e creando una alleanza tra specialisti allergologi, pediatri, educatori sanitari, insegnanti, alunni e loro genitori per migliorare la conoscenza delle malat­
tie allergiche e favorire lo sviluppo di una coscienza dei processi di salute. E’
stato sviluppato un Progetto cooperativo interregionale nell’ambito del Program­
ma HPH che coinvolge la Regione Toscana e la regione Liguria.
Scopo del Progetto
- Realizzare un programma educazionale per adolescenti informandoli su
come identificare, prevenire e curare le malattie allergiche.
- Rafforzare il legame tra Ospedale e Territorio.
- Realizzare un sito Web educazionale per adolescenti sul tema dell’allergia.
Metodi
Partecipanti: sono stati coinvolti gli alunni delle scuole medie inferiori di
265
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Genova, Scandicci e Firenze, gli specialisti dei Servizi di Allergologia ed
Immunologia Clinica e Laboratorio, gli educatori sanitari e gli insegnanti.
Protocollo: è stato elaborato un protocollo educazionale in merito alle ma­
lattie allergiche e loro fattori di rischio che si articola in lezioni in classe, distri­
buzione di materiale informativo e dispense agli alunni di scuola media infe­
riore, proiezioni video, visite ed esperienze pratiche in laboratorio di
Allergologia per il riconoscimento degli aeroallergeni. I nostri Ospedali han­
no aperto le porte ad alunni, insegnanti e genitori coinvolgendo attivamente i
ragazzi ed aiutandoli ad elaborare loro stessi materiale educazionale in forma
scritta e grafica dedicato ai loro coetanei.
Risultati
L’attività svolta si è concretizzata nella realizzazione di un opuscolo
educazionale “Io e l’allergia” scritto dai ragazzi stessi in un linguaggio sempli­
ce e condivisibile da altri adolescenti e pubblicato dalla U.O. Educazione alla
salute della ASL 10 Firenze, di un CD-ROM e nell’allestimento di una mostra
dei disegni dei ragazzi presso i Presidi Ospedalieri.
Tutto il materiale sarà inserito in un sito WEB educazionale dedicato. At­
tualmente il volume “Io e l’Allergia”è consultabile nel sito regionale HPH,
“www.meyer.it/hph”, alla voce “documentazione- Esperienze eccellenti”.
Conclusioni
Il progetto che verrà esteso negli anni futuri ad altre scuole ed altre Regioni
si propone come modello al fine di migliorare l’outcome di salute dei servizi
sanitari e la qualità dell’assistenza nel campo delle malattie allergiche.
12.55. Ruolo dell’educazione sanitaria nella terapia dell’asma
V. BRUSAFERRO, F. BAZZANI, Y. KOOMEN, G. MATTEVI, F. MIORI, B. VILLOTTI e A. SALVATERRA
- Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, Unità Operativa di Fisiopatologia
Respiratoria, Ospedale Civile di Arco (TN)
AUTORE REFERENTE: VITO BRUSAFERRO – e.mail: [email protected]
Introduzione
Nella gestione delle malattie croniche e fra queste l’asma bronchiale, vi sono
diverse difficoltà da superare. Esse riguardano in particolare i rapporti del
paziente con la sua malattia (conoscenza delle cause, sua evoluzione nel tem­
po, accettazione della malattia come malattia cronica), con la terapia (in parti­
266
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
colare la conoscenza del meccanismo d’azione dei farmaci, dei loro effetti
collaterali, della loro tossicità nell’assunzione cronica), il rapporto tra il pa­
ziente, la famiglia e l’ambiente lavorativo ed infine il rapporto tra il paziente
ed il medico curante.
Come già evidenziato dalla letteratura e dall’esperienza quotidiana, affron­
tare questi problemi significa voler migliorare la compliance del paziente nei
riguardi della terapia e il suo rapporto con la malattia, al fine di ottenere un
miglioramento della qualità di vita, una riduzione dei costi sociali, dei costi
sanitari, dei costi economici.
Obiettivo
Valutare l’impatto di un programma educativo riguardo il rapporto tra pa­
ziente e malattia ed in particolare il rapporto tra paziente e terapia.
Azioni
Abbiamo somministrato un questionario a 100 pazienti con asma cronico;
successivamente, guidati dai risultati raccolti, abbiamo avviato un programma
di educazione sanitaria per migliorare e “correggere” le conoscenze ed i com­
portamenti laddove erano più carenti. In pratica un infermiere ha spiegato a
tutti i pazienti l’utilità e l’uso del misuratore di picco di flusso e l’uso degli
aerosolizzatori pressurizzati; i medici durante ogni visita di controllo hanno
spiegato sistematicamente i concetti fondamentali della malattia asmatica (cause
scatenanti, infiammazione bronchiale, iperreattività bronchiale, broncospasmo), hanno ricordato i concetti fondamentali sulla proprietà e sull’uso
dei farmaci (preventivi, curativi, broncodilatatori) ed hanno richiamato poi
l’attenzione sulle terapie preventive e di mantenimento che devono essere
modulate attraverso i dati raccolti con monitoraggio del picco di flusso.
Dati
Il 32% dei pazienti era consapevole dell’utilità della misurazione ripetuta
delle prove spirometriche e dell’utilità della misurazione quotidiana del picco
di flusso; ancora il 32% sapeva elencare esattamente i nomi commerciali dei
farmaci esclusivamente preventivi; il 33% conosceva il nome dei farmaci
broncodilatatori e spiegava in maniera corretta il loro utilizzo.
Dopo tre anni è stato somministrato nuovamente lo stesso questionario a
40 soggetti che avevano avuto nel tempo almeno 2 controlli/anno presso i
nostri ambulatori. Per quanto riguarda le conoscenze abbiamo riscontrato un
risultato notevolmente soddisfacente: il 57% è ora consapevole dell’utilità del­
la misurazione ripetuta delle prove spirometriche e dell’utilità della misura­
267
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
zione quotidiana del picco di flusso; il 72% sa elencare esattamente i nomi
commerciali dei farmaci preventivi. Per quanto riguarda la terapia, il 77% co­
nosce e usa correttamente i farmaci broncodilatatori.
Conclusioni
I risultati dimostrano l’importanza del ruolo dell’educazione sanitaria nella
conoscenza e nel trattamento dell’asma bronchiale. L’apporto educativo del
personale medico e tecnico-infermieristico ha infatti determinato una mag­
giore conoscenza della malattia e dei metodi di autovalutazione della stessa, e
un miglioramento nell’utilizzo dei farmaci inalatori.
12.56. Il counselling infermieristico per l’informazione terapeutica al
paziente psichiatrico sugli psicofarmaci prescritti
D. COSTI, M. GARAMANTE, M. FERRARI, S. GALERO, G. ROSARIO, L. CAMORANI - Diparti­
mento di Salute Mentale, Azienda USL di Reggio Emilia, Via Amendola 2,
42100 Reggio Emilia
AUTORE REFERENTE: DORELLA COSTI - tel.: 0522 335499, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
L’informazione terapeutica al paziente psichiatrico sugli psicofarmaci pre­
scritti è un progetto che i centri di salute mentale (CSM) della Reggio Emilia
Health Authority hanno attuato da alcuni anni nel contesto del progetto
aziendale sull’educazione terapeutica.
L’informazione terapeutica (informazione, decisione, supporto) è la pre­
scrizione di specifiche informazioni basate sull’evidenza ad uno specifico
paziente, caregiver o consumatore, proprio nel momento giusto per aiu­
tarlo a prendere una specifica decisione o per un cambio di comportamento.
Obiettivo/i
- Migliorare la qualità della comunicazione relativa alle indicazioni
terapeutiche con il paziente e la sua famiglia per favorire anche una miglio­
re qualità delle cure.
- Condividere con il paziente e la sua famiglia le principali informazioni rela­
tive all’uso della terapia psicofarmacologica, favorire l’autonomia del pa­
ziente e del personale infermieristico nell’educazione all’uso dei farmaci e
nell’identificazione degli effetti indesiderati.
I CSM hanno promosso la diffusione di istruzioni operative riguardanti l’iden­
268
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
tificazione ed il trattamento degli effetti indesiderati dei farmaci, predisposte
con linguaggio non tecnico e comprensibile sulle indicazioni che richiedono
l’uso del farmaco, per aiutare il paziente e la famiglia ad individuare eventuali
effetti avversi, spesso transitori, e a riconoscere i segni e i sintomi che richie­
dono una valutazione rapida da parte del medico specialista.
Sono state realizzate e distribuite agli utenti dei CSM schede informative
sulle principali tipologie di psicofarmaci prescritti.
Gruppo/i target
Pazienti psichiatrici e relative famiglie.
Presentazione e valutazione dei risultati
La valutazione dell’applicazione del progetto è basata sulla predisposizione
ed aggiornamento di schede informative per pazienti e familiari sugli effetti
indesiderati dei farmaci, e sulla evidenza della loro diffusione.
I risultati conseguiti riguardano la elaborazione di schede informative per i pa­
zienti e familiari relative alle diverse categorie di farmaci sulle modalità di corretta
utilizzazione, sugli effetti indesiderati e sulle misure pratiche di riduzione dei disa­
gi; tali schede sono disponibili presso tutti i CSM e vengono consegnate, all’inizio
del trattamento terapeutico e, se occorre, anche a trattamento già iniziato, durante
una seduta di counseling in cui si verifica anche la comprensione del paziente.
12.57. Un servizio di informazione e valutazione degli ausili tecnici come
strumento di promozione della salute
G. GUANDALINI, N. MAZZINI - Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della
Provincia Autonoma di Trento
AUTORE REFERENTE: GIOVANNI GUANDALINI, Ospedale Riabilitativo Villa Rosa, Pergine
(TN) – tel.: 0461 501500, fax: 0461501580, e-mail [email protected]
Introduzione
Nel mondo riabilitativo l’ausilio è diventato in questi ultimi anni un elemen­
to terapeutico sempre più importante ed essenziale per permettere la maggior
autonomia possibile alle persone “diversamente abili”, per facilitare l’assistenza
dei loro care-givers, per permettere una vita di qualità.
D’altra parte il mondo degli ausili in quest’ultimo decennio ha avuto un
enorme sviluppo; l’aumento del loro uso/consumo ha trainato un’innovazio­
ne tecnologica che permette di disporre di una vastissima scelta di presidi
269
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
quali: carrozzine ortopediche ad auto spinta, leggere, super leggere,
personalizzate, elettroniche, a uso multiplo; sistemi di postura fabbricati con
materiali sofisticati ad alto contenuto tecnologico; sistemi di domotizzazione
delle abitazioni per favorire il rientro al domicilio e per attivare strategie di
prevenzione della disabilità; ausili per la mobilizzazione delle persone; ausili
per la prevenzione dei decubiti, ausili informatici per facilitare la comunica­
zione in condizioni estreme di difficoltà, ecc...
Il principio di una sanità che pone al centro dei suoi interventi il paziente
stesso e i suoi care-givers si è definitivamente affermato, e per quanto riguar­
da gli ausili si è concretizzato nella personalizzazione degli ausili stessi, nell’adattamento al singolo per la soluzione del problema posto in una prospet­
tiva curativa e preventiva.
L’attenzione riservata alla “cronicità”, intesa non solo come malattia croni­
ca, ma come condizione cronica che include la disabilità come possibile stato
esistenziale con pieno diritto di cittadinanza, ha comportato per il personale
sanitario la necessità di acquisire competenze sul mondo degli ausili, adegua­
ta ai bisogni espressi dai pazienti.
Obiettivo
Il regolamento per le prestazioni di assistenza protesica, decreto del Mini­
stero della sanità n. 332, recita: “la prescrizione dei dispositivi protesici” ovve­
ro delle ortesi, delle protesi e degli ausili, “è redatta da un medico specialista
del Ssn, competente....”, e inoltre la “prescrizione costituisce parte integrante
di un programma di prevenzione, cura e riabilitazione delle lesioni o loro
esiti....”, la prima prescrizione deve comprendere “diagnosi circostanziata....
indicazione del dispositivo..., un programma terapeutico...”.
Con il decreto è stato sancito il ruolo che i programmi di ausiliazione rive­
stono per permettere la partecipazione del soggetto con diversa abilità alla
vita sociale, ma soprattutto il conteso istituzionale nel quale si collocano.
L’ospedale Villa Rosa impegnato nella cura delle gravi disabilità, da alcuni
anni ha attivato un’articolazione specificamente dedicata alle problematiche
poste dai piani integrati di ausiliazione dei pazienti attraverso un’articolazio­
ne organizzativa, il servizio “Abilita”.
Il servizio di informazione e valutazione degli ausili “Abilita”, si avvale di
un approccio metodologico che in coerenza con il mandato istituzionale e in
conformità a servizi analoghi nel territorio nazionale, è in grado di:
- valutare il bisogno espresso dall’utente;
- considerare la domanda esplicita o implicita del paziente e/o del suo nu­
cleo di curanti;
- ricercare le soluzioni come parte di un progetto elaborato dall’equipe che
ha in cura la persona;
270
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
- coinvolgere il paziente e i suoi care-givers nella scelta, adattamento e ap­
prendimento all’uso oltre che nella manutenzione dei presidi.
Nel servizio lavora una terapista a tempo pieno, un secondo fisioterapista per
l’equivalente del 50% del tempo, e un fisiatra è il responsabile medico dell’orga­
nizzazione. Il servizio è alloggiato in un proprio spazio che si compone di un’area
ufficio e di un’area per la valutazione dei pazienti e per i colloqui. Si compone
anche di uno spazio quale piccolo deposito e mostra di ausili. La rete virtuale di
servizi in internet con le diverse banche-dati consente di disporre di un’ampia
possibilità illustrativa e la rete informatica aziendale consente una rapida e effi­
cace comunicazione con le altre articolazioni aziendali coinvolte.
Gli obiettivi principali del servizio Abilita sono:
- aumentare l’appropriatezza dell’ausiliazione e migliorare la soddisfazione
dell’utente;
- ridurre i tempi di individuazione e assegnazione degli ausili favorendo i
percorsi amministrativi per le autorizzazioni;
- monitorare gli “abbandoni “ dell’ausiliazione;
- promuovere l’aggiornamento e coadiuvare alla formazione dei clienti interni;
- offrire consulenza ad altre articolazioni provinciali per i progetti di
“domotizzazione” delle abitazioni, e per favorire la partecipazione alla vita
sociale dei disabili.
Risultati
Vengono presentati i risultati quali-quantitativi raggiunti in due anni di atti­
vità, 2002-2003.
In prospettiva si realizzeranno strategie per favorire un adeguato riutilizzo
degli ausili che sono riconsegnati all’azienda sanitaria, in collaborazione con
il Distretto di Trento e Valle dei Laghi (cui fanno capo le attività di verifica di
congruità sanitario-amministrativa, le procedure d’autorizzazione e di con­
trollo dell’erogazione degli ausili per tutto il territorio provinciale) al fine di
mantenere un alto standard di prestazioni e un maggior controllo della spesa,
per quanto di competenza.
Un altro filone di sviluppo possibile è la consulenza on-line, un servizio di
telemedicina che utilizzerebbe postazioni polifunzionali.
12.58. I giovani del servizio civile quale risorsa nel processo di accoglienza
ospedaliera
S. CORTOPASSI, M. FILIERI, L. MORELLI, R. GUERRINI, A. D’ALESSANDRO - Azienda USL 5
di PISA
AUTORE REFERENTE: SERGIO CORTOPASSI, Responsabile U.O. Assicurazione di Quali­
271
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
tà e Accreditamento Azienda USL 5 di Pisa, Via Zamenhof 1, 56100 Pisa –
Tel.: 050 954207, fax: 050 954321, e-mail: [email protected]
Introduzione del contesto
Nel corso degli ultimi 10-15 anni si è registrato un radicale mutamento nel
rapporto tra i cittadini ed i servizi, in modo particolare quelli sanitari, che, per la
loro peculiare funzione ed importanza sull’incidenza della vita quotidiana, sono
stati, nel settore pubblico, quelli di gran lunga più interessati al cambiamento.
I cittadini che accedono in una struttura ospedaliera, si trovano spesso in
un contesto la cui organizzazione e gli orari si discostano dalle abitudini della
vita quotidiana. Tutto ciò è reso ancora più difficile dalle caratteristiche strut­
turali dell’edificio.
Obiettivo
Il progetto si pone l’obiettivo di fornire un’accoglienza personalizzata e
l’orientamento ai cittadini e ai loro familiari che accedono ai servizi.
Al fine di garantire il miglioramento dell’accoglienza, l’umanizzazione e l’in­
formazione ai cittadini italiani e stranieri all’interno del Presidio Ospedaliero
F. Lotti di Pontedera la direzione aziendale dell’Ausl 5 di Pisa ha previsto l’in­
serimento dei volontari del Servizio Civile nei percorsi assistenziali.
I volontari del Sevizio Civile, inoltre, collaboreranno con l’URP alla gestio­
ne del processo di tutela. I cittadini, infatti, possono far riferimento alla strut­
tura per problematiche di tipo logistico, relazionale, assistenziale che posso­
no intervenire durante l’utilizzo delle strutture.
Il progetto si pone infine l’obiettivo di migliorare la gestione del tempo dei
pazienti ricoverati attraverso iniziative educative finalizzate al miglioramento
della propria salute e attraverso attività culturali e ricreative negli intervalli di
tempo non occupati dalle cure.
Target
Il target è costituito dall’utenza che entra in contatto con la realtà ospedaliera
sia per il ricovero sia per prestazioni di tipo ambulatoriale e diagnostiche con
particolare riguardo per i cittadini non autosufficienti e stranieri.
Con l’inserimento dei volontari del Servizio Civile tutti i cittadini inseriti nei
percorsi ospedalieri saranno personalmente accolti, dotati del materiale infor­
mativo necessario attraverso la consegna di una cartellina di accoglienza.
Per l’utenza straniera, a seguito di uno studio mirato sul tasso di ricovero
dei cittadini extracomunitari, le informazioni necessarie sono state redatte in
lingua inglese e albanese.
272
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
L’accoglienza è prevista anche per i familiari ed è comprensiva di aiuto per
l’espletamento di pratiche burocratico-amministrative necessarie sia durante
il ricovero sia al momento della dimissione. Quanto detto per facilitare il col­
legamento con il territorio. A tal proposito saranno coinvolte le strutture sani­
tarie territoriali e le strutture sociali competenti.
I volontari del Servizio Civile saranno affiancati e seguiti da due Operatori
Locali di Progetto dipendenti dell’Azienda USL5 che provvederanno oltre al
tutoraggio anche a fornire specifica formazione teorico pratica.
Presentazione e valutazione dei risultati
Al momento attuale sono stati predisposti i materiali informativi, anche
multilingua, ed è stata stipulato un accordo di partenariato tra l’Azienda USL 5
di Pisa e l’ARCI Valdera per l’impiego di 6 volontari del servizio civile
Dalla piena realizzazione del progetto che andrà a regime nei primi mesi
del 2005 quando saranno disponibili le nuove leve di volontari ci attendiamo
il miglioramento della qualità percepita da parte degli utenti dei nostri servizi
ospedalieri.
Indagini di customer satisfaction ci consentiranno la valutazione dei risulta­
ti che saranno pubblicizzati nella relazione annuale di tutela e presentati alla
Conferenza dei Servizi nonché utilizzati per costruire azioni di miglioramento
mirate.
Conclusioni
L’introduzione dei volontari del Servizio Civile nella struttura ospedaliera, a
nostro avviso, contribuisce ad avvicinare ulteriormente i servizi al cittadino, a sem­
plificare la comprensione delle informazioni fornite, ad essere elemento di stimo­
lo e di confronto tra i professionisti che operano all’interno dei servizi. Ulteriore
ricaduta positiva del progetto consiste nel formare giovani cittadini che alla fine
della loro esperienza diventano consapevoli dell’offerta sanitaria del territorio,
capaci di trasmettere quanto appreso nel loro ambiente di vita. L’esperienza vis­
suta, inoltre, può rappresentare per il giovane volontario anche uno stimolo per
indirizzare consapevolmente le eventuali e future scelte lavorative.
12.59. Progetto HPH “Musica in Ospedale”: per la realizzazione di una
migliore accoglienza ed assistenza del paziente nel Nuovo Ospedale
di San Giovanni di Dio – ASL 10 Firenze
A. APPICCIAFUOCO1, G. RANDELLI2, F. BUONO3, D. BELLUCCI4, A. MATUCCI5, G. MARIN5,
M. MANFREDI6, P. CAMPI6, A. MARTINI7, C. RUSSO8 - 1Coordinatore HPH Area Fio­
273
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
rentina, 2Resp. Coordinamento Ospedale-Territorio, Presidente Ass. cult. Cori
Ensemble3, 4Segretaria Ass. Cult. Cori Ensemble, 5Reparto di Reumatologia,
6
Reparto di Allergologia e Immunologia Clinica, 7Ostetricia Nuovo Ospedale
San Giovanni di Dio, 8U.O. Educazione alla Salute
La voce è il più antico e facile strumento a disposizione dell’uomo. La mu­
sica è un linguaggio dello spirito, esattamente come il pianto o il riso. Tutti
possono cantare e/o provare gioia o relax ascoltando musica, perché la musi­
ca aiuta a sentirsi meglio. La nostra proposta è aiutare il paziente e l’operatore
a sentirsi meglio con i nostri brani musicali.
Scopi del progetto
- Rafforzare l’idea di un Ospedale che cerca di far sentire i pazienti benvenuti
durante il loro ricovero.
- Aiutare i pazienti a sentirsi meno preoccupati durante la terapia.
- Trasmettere la sensazione che la musica permetta una maggiore serenità
che si traduce in una migliore collaborazione tra pazienti ed operatori.
Metodi
Il coro ha iniziato la sua cooperazione con il Nuovo Ospedale di San Gio­
vanni di Dio due anni fa ed ha iniziato il progetto “Musica in Ospedale” un
anno fa nel Reparto di Reumatologia. All’inizio abbiamo preferito un approc­
cio discreto andando a cantare nel reparto due volte al mese un repertorio
che, vista l’età e la tipologia dei pazienti, comprendesse canzoni della tradi­
zione popolare toscana o brani famosi della musica leggera, ponendo parti­
colare attenzione a non disturbare la privacy e a non interferire nella routine
paziente/operatore. Abbiamo consegnato ai “lungo-degenti” copie del nostro
repertorio affinché potessero cantare con noi la volta successiva. Successiva­
mente siamo passati ad una frequenza settimanale ed abbiamo partecipato ad
eventi specifici organizzati dal Reparto di Reumatologia ed eseguito concerti
itineranti o nell’Aula Muntoni dell’Ospedale durante giornate particolari come
gli open days oppure il periodo natalizio.
Al momento stiamo seguendo anche altri due nuovi progetti:
- la sala di attesa del reparto di Allergologia ed Immunologia dove cantiamo
ogni settimana per alleviare l’attesa dei pazienti che effettuano le prove
allergologiche;
- Ostetricia e Nursery, dove, sempre settimanalmente, cantiamo per mamme,
papà e neonati un repertorio di Ninne Nanne durante un momento chiama­
to “Coccole e musica”, volto a rafforzare un’atmosfera intima e rilassata o a
confortare i piccoli nelle incubatrici.
274
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Risultati
I pazienti accolgono il coro con curiosità e a volte perplessità ma successi­
vamente con gratitudine e spesso cercano di cantare con noi anche quando le
loro condizioni lo consentono poco (pensiamo soprattutto alle visite sporadi­
che al Reparto di Rianimazione). I pazienti gradiscono lo svolgimento del pro­
getto e spesso si informano su quando ritorniamo in reparto: questa è la no­
stra maggiore ricompensa.
12.60. La prevenzione primaria della malattia cardiovascolare: eccesso
di peso, alimentazione, attività fisica e lipidi ematici di una
popolazione di adolescenti
P. ABELLI (Direttore Sanitario Istituto Scientifico di Montescano FSM), V. PARISI
(Vicedirigente didattico Istituto L. G. Faravelli di Strabella), P. LOMBARDI (As­
sessore alla Cultura comune di Strabella), P.G. MAGGI (Assessore ai Servizi
Sociali comune di Strabella), R. VEDOVELLI (Dirigente medico di Direzione Sa­
nitaria Istituto Scientifico di Montescano FSM), L. MAGGI (Vicedirigente didat­
tico Istituto L. G. Faravelli di Strabella), G. GHIGNI (Vicedirigente didattico
Istituto L. G. Faravelli di Strabella), M. ZUCCHELLA (Vicedirigente didattico Isti­
tuto L. G. Faravelli di Strabella), G. CAMPO (Vicedirigente didattico Istituto L.
G. Faravelli di Strabella), R. AQUILANI (Servizio Fisiopatologia MetabolicoNutrizionale Istituto Scientifico di Montescano FSM)
AUTORE REFERENTE: PAOLA ABELLI, Fondazione Salvatore Maugeri Istituto Scienti­
fico di Montescano, via per Montescano n. 31 (PV) - tel.: 038 52471, fax: 038
561386, e-mail: [email protected]
Introduzione
La malattia cardiovascolare dell’adulto (infarto, ictus, arteriopatia obliteran­
te periferica) ha la sua base di sviluppo nell’infanzia e nell’adolescenza. Una
alimentazione aterogena e una vita sedentaria in periodo adolescenziale sono
fattori di rischio per la malattia cardiovascolare dell’adulto.
Scopo del nostro lavoro è stato quello di quantificare nutrizione ed attività
fisica di una popolazione di adolescenti.
Metodologia
Sono stati reclutati 199 studenti dell’Istituto Tecnico e per Geometri L.G.
Faravelli di Strabella (PV), di età tra i 14 ed i 17 anni, 120 femmine e 79 maschi.
Dopo la rilevazione dei dati antropometrici, ciascun adolescente ha compila­
275
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
to un diario alimentare (3 giorni) ed uno di attività fisica. Sono stati eseguiti
prelievi ematici per la determinazione della concentrazione dei lipidi.
Risultati
Tab. 1. Distribuzione in % dei pesi
Peso normale
Soprappeso
Obesità
83,5
13,5
3
Eccesso di peso
(sovrappeso+obesità)
16,5
Tab. 2. Principali caratteristiche dell’alimentazione
variabili
Popolazione intera
KCAL
KCAL/Kg peso corporeo
Carboidrati (grammi)
Proteine (grammi)
Lipidi (grammi)
Grassi totali >30% KCAL totali
71,2%
Grassi saturi ≥ 10% KCAL totali
47,2%
Carboidrati raffinati >12% KCAL totali
72,6%
Maschi
2644±702
46±10
371±118
98±29
96±30
61,9%
50,8%
61,9%
Femmine
2044±432
40±10
287±81
70±18
74±19
78,3%
44,5%
80,7%
Tab. 3. Attività fisica discrezionale
<1 ora/settimana
Calorie consumate giornalmente per l’attività fisica nel caso
in cui quest’ultima fosse > 1 ora settimanale
Maschi Femmine
35,4%
55,8%
359±200
161±124
Tab. 4. Concentrazione dei lipidi ematici
Variabili
Colesterolo totale ≥ 200 mg/dl
Col tot 171-199 mg/dl
Col tot ≤ 170 mg/dl
Trigliceridi ≥ 150 mg/dl
Maschi
5%
30%
65%
6,6%
Femmine
18%
43%
39%
3%
Conclusioni
Un’importante quota di adolescenti ha uno stile di vita (nutrizione, attività
fisica) e tassi ematici di lipidi inadeguati per una efficace prevenzione prima­
ria della malattia cardiovascolare dell’adulto.
276
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.61. Alimentarsi bene per crescere meglio: risultati finali
D. MICHELLINI1, A.M. FERRARI2, C. CAMPARI2 - AUSL di Reggio Emilia - 1Settore di
Pediatria di comunità, 2Dipartimento di Sanità Pubblica,
AUTORE REFERENTE: ANNA MARIA FERRARI, SIP di Montecchio, AUSL, via Marconi
18, Montecchio (RE) – tel.: 0522 860170, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
E’ noto che la sedentarietà, un’alimentazione troppo ricca in calorie, con un
elevato apporto di grassi di origine animale e di colesterolo, sono sovente
responsabili dell’insorgenza di malattie cardiovascolari e metaboliche, che
hanno costi personali (in termini di qualità della vita) e collettivi (intesi come
spesa sanitaria e sociale) altissimi.
La sensibilizzazione al problema dell’obesità in età pediatrica, spesse volte
associato a scarsa attività fisica, svolge quindi un ruolo centrale e decisivo
nella divulgazione di una cultura di un’alimentazione equilibrata e corretta e
di adeguati stili di vita.
Obiettivo/i
- Favorire la conoscenza dei comportamenti alimentari e l’adozione di standard
nutrizionali sani (P.S.N. 1998-2000).
- Promuovere “stili di vita” idonei a favorire la buona salute.
- Costruire un progetto “esportabile”, documentando tutte le fasi operative, i
materiali prodotti, i risultati
- Valutare il raggiungimento degli obiettivi sopra citati attraverso metodi og­
gettivi (confronto dati epidemiologici).
Gruppo/i target
Nel 1999-2000 è stato proposto a 44 classi di 1° Elementare della provin­
cia di Reggio Emilia (812 alunni) un progetto di promozione e di educazio­
ne alla salute in campo alimentare svolto nell’arco dei 5 anni di scuola e
articolato in modo tale che tutti “attori” dell’iniziativa (maestre, alunni e fa­
miglie, dietista, pedagogista, insegnanti ISEF) potessero sinergicamente col­
laborare.
Presentazione e valutazione dei risultati
Il progetto formativo è stato monitorato, tramite questionari specifici proposti in momenti diversi a genitori e alunni, al fine di valutare i risultati rag­
277
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
giunti; a questa indagine epidemiologica hanno partecipato 26 classi coinvol­
te (campione) e 7 classi non coinvolte (controllo) nel percorso formativo.
La rilevazione dei dati epidemiologici nel campione ha riguardato svariate
variabili:
- Valutazione auxologica (peso, altezza, eccesso ponderale secondo i
percentili di Cole): l’eccesso ponderale in 1° elementare era del 72%, in 5°
elementare del 70%. L’aumento dei normopesi nelle bambine è stato bilan­
ciato da una diminuzione nei maschi.
- Dati anagrafici, breve anamnesi clinica e variabili socio-economiche della
famiglia: un titolo di studio materno basso e la provenienza dalle regioni
del centro-sud Italia sono associate ad un maggiore eccesso ponderale del
bambino.
- Attività ludiche motorie del bambino: la percentuale di bambine sedentarie
è dimezzata tra l’inizio e la fine del progetto. Questa diminuzione è meno
evidente nei maschi, che però dimostrano complessivamente una maggio­
re predisposizione all’attività ludico-motoria sin dalla 1° elementare.
- Abitudini alimentari del bambino: l’apporto calorico/die è maggiore al 1°
anno che al 5° (2181 vs 1902), l’introduzione di colesterolo diminuisce sen­
sibilmente. Un apporto calorico eccessivo caratterizza in 5° elementare il
35% del campione rispetto al 48% del controllo.
- Come mi vedo, come vorrei essere (1° elementare): il bambino ha una cor­
retta percezione del proprio stato ponderale.
- Questionario Vero/Falso/Non so sulle conoscenze nutrizionali degli alun­
ni: i bambini che hanno partecipato al progetto hanno una conoscenza de­
gli argomenti significativamente maggiore rispetto ai bambini che non han­
no partecipato al progetto.
- Questionario Vero/Falso/Non so sulle conoscenze nutrizionali dei genitori:
sia i genitori di classi aderenti al progetto che quelli di classi non aderenti
dimostrano un’elevata consapevolezza e conoscenza dei temi in ambito ali­
mentare.
Conclusioni
L’eccesso ponderale è un problema multifattoriale:
- Famigliarità: da intendersi non solo come componente genetica ma soprat­
tutto come patrimonio socio-culturale, abitudini e stili di vita della famiglia.
- Attività fisica: è certamente un importante fattore di “contenimento” dell’ec­
cesso ponderale.
- Apporto calorico e qualità della dieta: è un ovvio determinante che però
nel nostro studio non sembra essere il principale.
- I bambini che hanno partecipato al progetto dimostrano una conoscenza
complessiva sull’alimentazione migliore.
278
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.62. Le vie del Fumo
S. BOSI1, A. M. FERRARI2, S. DE FRANCO3, R. BOSI4, R. CAVALLI4, G. AZZARONE4, M.
PEDRONI5, C. SPAGGIARI6, R. TOFFANETTI PANNELLA7, O. MALVONI8 - 1 Responsabile Pre­
venzione Lega contro i Tumori, ONLUS Sezione di Reggio Emilia; 2 Diparti­
mento Sanità Pubblica AUSL di Reggio Emilia; 3 Presidente Ordine dei Medici
di Reggio Emilia; 4 AUSL di Reggio Emilia; 5 Medico Medicina Generale; 6 Pe­
diatra; 7 ASMN di Reggio Emilia; 8 IPASVI
AUTORE REFERENTE: ANNA MARIA FERRARI, Dipartimento di Sanità Pubblica AUSL
di Reggio Emilia. Servizio Igiene Pubblica Reggio Sud Montecchio Emilia, Via
Marconi 18 – tel.: 0522 860170, fax: 0522 860140, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
“Le vie del Fumo” è una rassegna didattica multimediale dedicata alla pre­
venzione dell’abitudine al fumo negli adolescenti che si sviluppa attraverso
giochi, laboratori, mostre espositive per rispondere all’esigenza di offrire stru­
menti metodologici e tematici aggiornati a docenti ed operatori sanitari e per
dare agli studenti (dai 13 ai 18 anni) la possibilità di affrontare il problema
fumo con una modalità emotivamente coinvolgente.
Obiettivo/i
Offrire una possibilità di riflettere in modo originale e completo sui diversi
aspetti che caratterizzano la simbologia e l’immaginario legati alla sigaretta.
Nonostante, infatti, siano chiariti gli effetti nocivi che il fumo attivo e passivo
provoca alla salute, smettere di fumare è una scelta estremamente impegnati­
va ed ambivalente. Ogni fumatore vuole abbandonare la sigaretta ma non sa
decidersi a farlo. Attraverso le rassegne espositive si evidenzia quanto siano
ancora forti e radicate le immagini positive che influenzano le idee e il gesto
del fumare.
Gruppo/i target
Studenti dai 13 ai 18 anni, docenti, operatori sanitari, popolazione generale.
Ai diversi gruppi target vengono proposti percorsi diversificati compren­
denti area informatica scientifica, laboratorio video, laboratorio informatico,
laboratorio scientifico, laboratorio dell’immaginario legato al fumo, laborato­
rio psicologico, laboratorio del respiro. Inoltre ai docenti ed agli operatori
sanitari vengono offerti “scuole senza fumo” e laboratorio metodologico. Tut­
ti vengono sottoposti a test di ingresso e di congedo.
279
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Presentazione e valutazione dei risultati
La mostra è stata visitata da circa 8.000 persone.
Sono stati elaborati questionari per valutare le conoscenze e il gradimento.
Gli strumenti proposti nella mostra sono stati utilizzati nella didattica da molte
scuole.
Conclusioni
Il bilancio della rassegna, che ha visto la collaborazione di personale esper­
to volontariato e istituzioni locali, è senz’altro positivo. Soddisfacente l’afflus­
so dei visitatori (8.000 persone).
In particolare è stato centrato l’obiettivo di offrire ai visitatori un’esperienza
coinvolgente dal punto di vista emotivo, oltre che originale e utile per appro­
fondimenti tematici nei suoi contenuti. E’ infatti innegabile che per affrontare
in modo adeguato i problemi della prevenzione, occorre far leva sulle com­
ponenti che appartengono all’immaginario legato alla sigaretta, in larga parte
ancora connotato positivamente, nonostante le conoscenze specifiche posse­
dute sulla nocività ed il danno individuale recato da certi comportamenti. Dare
una forma esplicita e una voce a questo immaginario significa cominciare un
processo di elaborazione più maturo del proprio vissuto rispetto al fumo e,
dal punto di vista di chi si occupa di prevenzione, significa creare le sole
condizioni necessarie ed efficaci per la riuscita dell’intervento.
12.63. Alimentarsi bene per crescere meglio: comunicare come?
D. MICHELLINI1, A.M. FERRARI2, C. CAMPARI2 - AUSL di Reggio Emilia - 1Settore di
Pediatria di comunità, 2Dipartimento di Sanità Pubblica
AUTORE REFERENTE: ANNA MARIA FERRARI, SIP di Montecchio, AUSL, via Marconi
18, Montecchio (RE) - tel.: 0522 860170, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
Sempre maggiore attenzione è rivolto al problema dell’eccesso ponderale
in età infantile, quale determinante di salute; è noto inoltre che stili di vita sani
contribuiscono al miglioramento della qualità della vita.
E’ stato proposto un progetto di educazione alimentare agli alunni della
scuola elementare ritenendo la scuola la sede privilegiata per interventi di
educazione e formazione; in un tale contesto, il messaggio sanitario dove­
va essere mediato da modalità comunicative consone al linguaggio dei bam­
bini.
280
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Obiettivo/i
- Favorire la conoscenza dei comportamenti alimentari e l’adozione di standard
nutrizionali sani (P.S.N. 1998-2000).
- Promuovere “stili di vita” idonei a favorire la buona salute.
- Costruire un progetto “esportabile”, documentando tutte le fasi operative, i
materiali prodotti, i risultati.
- Valutare il raggiungimento degli obiettivi sopra citati attraverso metodi og­
gettivi (confronto dati epidemiologici).
- Rendere i bambini e le loro famiglie protagonisti attivi.
Gruppo/i target
Nel 1999-2000 è stato proposto a 44 classi di 1° Elementare della pro­
vincia di Reggio Emilia un progetto di promozione e di educazione alla
salute in campo alimentare. Il percorso didattico, svolto nell’arco dei 5
anni di scuola, ha visto la collaborazione di diversi professionisti ed enti
impegnati a promuovere una corretta alimentazione associata all’attività
motoria.
La metodologia utilizzata prevedeva che l’acquisizione di conoscenze av­
venisse tramite esperienze personali: animazioni in classe con le dietiste, espe­
rienze sul campo, attività ludico-motoria.
Presentazione e valutazione dei risultati
Dalla valutazione dei questionari conoscitivi (Vero/Falso/Non so, Come mi
vedo, Cosa mi piace mangiare) è emerso che gli alunni hanno una conoscen­
za degli argomenti significativamente maggiore rispetto a quelli che non han­
no partecipato al progetto.
Nel corso dello svolgimento del progetto sono stati realizzati i seguenti
materiali: cartelloni tematici; gioco della frutta; VHS: La colazione, Ghiro-Ghi­
ro, alieno alimentare, Flic e Floc, Intervento della dietista in classe; trasmissio­
ne televisiva: Cinque minuti di buona alimentazione; svariati CD interattivi;
gioco educativo: Giocando con gusto.
Conclusioni
Si ritiene che le modalità comunicative adottate, che vedevano i bambini
protagonisti attivi di percorsi fatti di gesti, racconti, esperienze, siano stati par­
ticolarmente significativi per il raggiungimento dei risultati.
281
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.64. La promozione della salute nell’anziano: riduzione del rischio di
caduta
P. A. MILANI (Direttore Sanitario HTC Health Tracking Center, Stradella, Pavia),
S. CAMPETELLA (Servizio di Neuropsichiatria HTC), P.A. LOMBARDI (Assessore alla
Cultura Comune di Stradella, Pavia), P.G. MAGGI (Assessore ai Servizi Sociali,
Comune di Stradella, Pavia), A. ZANCAN (Fisiatra Fondazione S. Maugeri,
Pavia), P. ROVATI (Servizio di Nutrizione Clinica AO di Pavia), L. SONETTI
(Terapista della Riabilitazione – HTC), T. BRIGADA (Terapista della Riabilita­
zione – HTC), C. RAMPINI (Terapista della Riabilitazione – HTC), F. CATANIA
(Terapista della Riabilitazione – HTC), R. AQUILANI (Consulente Scientifico HTC)
AUTORE REFERENTE: PIERA ADELE MILANI, HTC, Via Martiri Partigiani 33, 27049
Stradella (PV) - tel.: 0385 246861, fax: 0385 43363, e-mail: [email protected]
Introduzione
Le cadute rappresentano un importante evento negativo per la salute del­
l’anziano determinandone una minaccia per le capacità di autonomia fisica e
soprattutto per la sopravvivenza. Inoltre i costi dell’ospedalizzazione e del­
l’eventuale assistenza post-ospedalizzazione sono elevati.
Scopo del nostro intervento è stato quello di ridurre il rischio di caduta nella
popolazione anziana del Comune di Stradella (PV).
Metodologia: La nostra ipotesi di lavoro è che una riduzione della capacità
del cammino (velocità < 84cm/sec nel o�; 74 cm/sec. nella o
+) rappresenti un
rischio elevato di caduta. La metodologia di intervento è stata descritta
nell’abstract book edito dal 7° Congresso HPH di Torino 2003. [1]
Risultati
-
Flusso della popolazione anziana pervenuto alla valutazione del cammino:
Popolazione anziana (≥ 65 anni): n. 2.847 (=26,9% della popolazione di
Stradella)
�
Risposte ai questionari pervenuti: n. 468 (=16,44%) (65% o
+, 35% o )
Denuncianti problemi quotidiani nel camminare, lavarsi, vestirsi, svolgere
mansioni fisiche n. 369 (=79%)
Rientranti nei criteri di inclusione perla valutazione del cammino: n. 126
(=34,1%)
Evidenziata ridotta capacità del cammino n. 46 (=12,5% della popolazione
denunciante problemi)
282
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Tab. 1: Dati demografici ed antropometrici dei 46 soggetti con ridotta capacità del
cammino
Sesso
• 37o
+/9o
Età (anni)
74±4,5
Peso (Kg)
68,7±14
BMI (Kg/m2)
27,9±4,5
Tab. 2: Risultati della valutazione del cammino (dati espressi come x ± D.S. con
analisi statistica)
Velocità del cammino (cm/sec)
Metri percorsi in 6 minuti
Difficoltà di respiro durante test
(Scala di Borg: 0=nulla 10=max)
Percezione di difficoltà durante il
test (VAS 0= nulla 20= max)
Prima del Dopo il ciclo
ciclo terapia
73±17
95,5±17
251±74
337±74
Significatività
p< 0,000
p< 0,000
2,63±2,5
1,54±1,9
n.s.
6,95±6,5
4±4,2
p< 0,02
Conclusione
L’intervento dimostra l’efficacia di un ciclo di educazione al cammino e di
fisioterapia per migliorarne l’efficienza, uno dei principali fattori contro il ri­
schio di caduta nell’anziano.
Tuttavia molto rimane da attuare da parte delle autorità politico-sanitarie
per ottenere un maggiore coinvolgimento della popolazione.
Bibliografia
1. MILANI P. A., LOMBARDI P., MAGGI P., ZANCAN A., CAMPETELLA S., AQUILANI R., Una
rete territoriale tra Centro Medico privato ed Istituzione Pubblica per la
promozione della salute dei soggetti anziani. 1° fase: prevenzione della
disabilità, 7° Conferenza Nazionale degli Ospedali per la Promozione della
Salute, Torino 21-22 novembre 2003.
12.65. Intervento di sensibilizzazione sulla malattia diabetica rivolto alla
cittadinanza: esperienza di 6 anni.
F. CARBONARO, A. MATTUZZI, G. BELLANTE, B. DE MORI, A. BERNARDI - Unità Operati­
va di Geriatria, Ambulatorio diabetologico, Ospedale S. Maria del Carmine,
Rovereto (Tn)
AUTORE REFERENTE: ANNALISA MATTUZZI,GABRIELLA BELLANTE, Ambulatorio diabe­
tologico, Ospedale S. Maria del Carmine di Rovereto, TN - telefax: 0464 453398,
E-mail: [email protected]
283
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Premessa
Dagli studi epidemiologici è emerso che per ogni diabetico noto c’è un
altro soggetto affetto da malattia diabetica (M.D.) non ancora diagnosticata.
Infatti il diabete può rimanere asintomatico per molti anni pur essendo già
diagnosticabile attraverso il semplice esame della glicemia. D’altra parte la
mancata diagnosi di M.D. è pericolosa in quanto può condizionare lo svilup­
po e l’evoluzione delle complicanze micro e macro angiopatiche.
Scopo
Scopo del nostro intervento è stato quello di sensibilizzare la popolazione
verso una precoce diagnosi di M.D. e di identificare i soggetti a rischio di
diabete o già affetti da malattia asintomatica, attraverso un controllo casuale
ed estemporaneo della glicemia.
Metodo
Nel corso degli ultimi 6 anni il team dell’Ambulatorio Diabetologico dell’Ospe­
dale di Rovereto, in collaborazione con la C.R.I. e l’Associazione Diabetici della
Vallagarina ha effettuato delle uscite approntando uno stand in centro città. In
tali occasioni sono state fornite informazioni, materiale illustrativo e un control­
lo estemporaneo della glicemia su sangue capillare mediante glucometro. Ai
soggetti fuori range è stata offerta una consulenza diabetologica immediata e
suggerito un successivo controllo glicemico di laboratorio, essendo la glicemia
su sangue capillare non valida per una diagnosi. Per la diagnosi di M.D. ci siamo
riferiti ai nuovi criteri della Società Italiana di Diabetologia emanati nel 2000.
Risultati
Nella tabella seguente sono riassunti i dati relativi a numero di uscite per
anno, controlli glicemici effettuati e glicemie rilevate fuori range.
Tab. 1
N. di uscite annuali
N. pazienti sottoposti al test
N. glicemia alterate (>110 mg/dl)
%
1998
1
350
15
4,2 %
1999
1
280
8
2,8%
2000
1
200
6
3%
2001
2
295
14
4,7%
2002
3
731
53
7%
2003
3
789
62
7,8%
Commento e conclusione
Il successo di questa iniziativa ci ha incoraggiato a ripetere le uscite più
284
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
numerose nel corso di questi ultimi anni. Inoltre, abbiamo potuto verificare
che la diagnosi di M.D. è stata formulata nello 0,5-1% dei soggetti testati per
anno, attraverso le persone inviate successivamente al nostro Ambulatorio
Diabetologico dal Medico di Medicina Generale, per una conferma diagnosti­
ca.
12.66. “Baby no smoke”. Progetto sperimentale pediatri di famiglia
C. SPAGGIARI1, S. BOSI2, A.M. FERRARI3 - 1Pediatra di Famiglia, FIMP, 2Responsabi­
le Prevenzione Lega contro i Tumori – ONLUS Sezione di Reggio Emilia; 3Di­
partimento Sanità Pubblica AUSL di Reggio Emilia
AUTORE REFERENTE: ANNA MARIA FERRARI, Dipartimento Sanità Pubblica AUSL di
Reggio Emilia, Servizio Igiene Pubblica Reggio Sud Montecchio Emilia, Via
Marconi 18 – tel.: 0522 860170, fax: 0522 860140, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
Nell’ambito del progetto regionale tabagismo è iniziato nel 2003 il progetto
pilota baby no smoke per i pediatri, coordinato dalla LILT di RE in collabora­
zione con l’AUSL di RE. Il progetto intende sensibilizzare le famiglie sui danni
da esposizione al fumo attivo e passivo durante l’infanzia, offrire un rinforzo
motivazionale alle mamme ed ai genitori che hanno smesso di fumare duran­
te il periodo della gravidanza, dare informazioni sui centri per smettere di
fumare, sensibilizzare i preadolescenti sull’importanza di non cominciare a
fumare. Infatti il tabagismo è la principale causa di morte prevenibile. L’abitu­
dine al fumo si instaura di solito in adolescenza, la gravità dei danni sollecita
una prevenzione primaria che va attuata molto precocemente, tramite proget­
ti multidisciplinari. Dal 2001 a Reggio Emilia è iniziato il progetto “Baby no
smoke” che prevedeva un intervento di counselling da parte delle ostetriche
rivolto alle donne in gravidanza e ai loro partners; in questi anni il progetto ha
evidenziato la necessità di una stretta collaborazione con i Pediatri per un
supporto informativo e motivazionale alle famiglie nel periodo successivo alla
gravidanza.
Obiettivo/i
Proteggere l’infanzia dall’esposizione al fumo passivo attraverso la forma­
zione dei pediatri di famiglia alla gestione del counselling motivazionale spe­
cialistico sul tema del fumo e il rinforzo motivazionale strutturato ai genitori
fumatori che si sono astenuti dal fumo durante al gravidanza; sensibilizzare i
preadolescenti.
285
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Gruppo/i target
Pediatri di famiglia, genitori, preadolescenti.
Presentazione e valutazione dei risultati
Nel progetto sono previste le seguenti verifiche: rilevazione abitudine al
fumo dei genitori dei nuovi nati in carico, valutazione dell’efficacia del pro­
gramma informativo attraverso interviste random ai genitori dei nuovi assistiti
effettuate dalla LILT di Reggio Emilia, ente coordinatore del progetto, verifica
di efficacia del progetto da parte dei pediatri dopo un anno sul 50% delle
madri rimaste astinenti durante la gravidanza.
Conclusioni
Poiché l’evidenza internazionale sulla valutazione ed efficacia degli inter­
venti di prevenzione dell’abitudine al fumo indicano la necessità di antici­
pare l’introduzione dei programmi di sensibilizzazione nella fascia di età dai
5 ai 9 anni, l’inserimento dei pediatri in una rete di interventi risulta fonda­
mentale.
Il tabagismo è la principale causa di morte prevenibile. In seguito alle
campagne di disinformazione delle multinazionali del tabacco, l’opinione
pubblica è stata per anni erroneamente convinta che l’inquinamento am­
bientale fosse più nocivo del fumo. Le sostanze presenti nel fumo di sigaret­
ta sono altamente tossiche. Una di queste, la nicotina, induce dipendenza,
con meccanismo biochimico simile alle altre droghe. Il tabagismo è una
tossicodipendenza. L’abitudine al fumo si instaura di solito in adolescenza,
la gravità dei danni sollecita una prevenzione primaria che va attuata molto
precocemente, tramite progetti multidisciplinari. Dal 2001 a Reggio Emilia è
iniziato il progetto “Baby no smoke” che prevede un intervento di counselling
da parte delle ostetriche rivolto alle donne in gravidanza e ai loro partners;
in questi anni il progetto ha evidenziato la necessità di una stretta collabora­
zione con i Pediatri per un supporto informativo e motivazionale alle fami­
glie nel periodo successivo alla gravidanza. Il Pediatra di famiglia risponde
alle caratteristiche del professionista sanitario che può ottenere risultati effi­
caci nel continuare la motivazione per i genitori dei nuovi nati e nella pre­
venzione del fumo in adolescenza. Con il rapporto di fiducia che si instaura
con la famiglia, il Pediatra può incidere positivamente, fin dalle prime età
della vita, sui fattori che influenzano l’inizio dell’abitudine tabagica, agendo
in stretta collaborazione e coordinamento con le altre agenzie educative del
territorio.
286
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.67. Dal progetto “Conoscere il consultorio”
L. DONATI - Psicologa, Coordinatrice Consultorio di Riva del Garda (Trento)
Il Consultorio di Riva del Garda, all’interno dello “Spazio Adolescenti” ha
attivato nel maggio 2002
il progetto “Conoscere il Consultorio”, finalizzato ad aiutare i ragazzi a co­
noscere ed usufruire del Servizio.
Dall’analisi dei dati, dalle considerazioni derivate dall’attività e dalla rasse­
gna della letteratura, si coglie la difficoltà degli adolescenti ad utilizzare i Ser­
vizi Sanitari in generale.
Ci sembra invece importante favorire questa possibilità soprattutto per un
Servizio come il nostro che può dare spazio a domande legate alla affettività,
sessualità, alle consulenze ginecologiche, ostetriche, psicologiche e dell’assi­
stente sociale.
Nel passaggio ad una maggiore autonomia complessiva pare importante
aiutare i ragazzi a conoscere ed a sentirsi “legittimati” ad usufruire dei servizi,
in particolare quelli sanitari. Attività spesso difficile per loro che si sentono
ancora in un’area di confine tra infanzia ed età adulta.
Abbiamo elaborato un progetto che è stato proposto ai ragazzi delle scuole
medie superiori e dei centri educativi del nostro territorio che prevedeva di
poter visitare il Consultorio, in modo che la conoscenza del servizio, della sua
localizzazione, delle sue funzioni e dei suoi operatori potesse avvenire in si­
tuazioni più neutre sia perché realizzate con il gruppo dei pari, sia perché
mediate da adulti tipo insegnanti o educatori che potessero essere meno coin­
volgenti rispetto ai genitori.
L’organizzazione prevede una riunione con gli insegnanti e gli educatori
all’inizio dell’anno scolastico in cui concordare come preparare i ragazzi al­
l’incontro, consegnare del materiale e costruire poi un calendario delle visite,
preferibilmente relative a classi singole del secondo anno o a gruppi omoge­
nei. Agli insegnanti ed agli educatori viene chiesto anche di raccogliere do­
mande e curiosità dei ragazzi che verranno utilizzate all’interno dell’incontro.
Durante la visita i ragazzi possono “familiarizzare” con la struttura e con gli
operatori, conoscere le opportunità ed i servizi erogati, ed avere le prime ri­
sposte rispetto alle loro domande.
Le scuole hanno progressivamente aderito all’iniziativa e quest’anno abbia­
mo avuto la “visita” di classi provenienti da tutti gli istituti superiori del nostro
territorio, anche di quelli professionali con utenza prevalentemente maschile.
Questo ci sembra il primo di una serie di indicatori di risultato che stiamo
287
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
analizzando e che hanno a che fare con la valutazione dei dati di frequenza e
di utilizzo del servizio che abbiamo predisposto.
Tab. 1: Attività “Conoscere il Consultorio”
2002
2002/2003
2003/2004
Totale
n. incontri
8
8
19
37
n. insegnanti
20
15
29
64
n. alunni
64
111
208
383
12.68. Progetto Vita
M. ANFOSSO - Infermiere Dirigente U.O. Attività Infermieristiche ASL 1 Impe­
riese Liguria
“Il progetto vita” è un progetto con spirito sociale.
Al “progetto vita” hanno partecipato medici e infermieri dell’ A.S.L. n. 1
Imperiese membri del Centro di Formazione I.C.R. “Riviera dei Fiori”. Tutti
coloro che hanno partecipato sono Istruttori IRC BLS e BLSD, PBLS, PTC.
Si vuole sottolineare quanto la preparazione professionale e didattica sia
stata presa in considerazione dallo Staff aziendale al fine di poter essere a
disposizione di tutti con un corso alla portata di tutti che vede come obiettivo
unico il bene della persona.
Supporti didattica: Strumenti: audiovisivi, cartacei, dispense, simulatori, ma­
nichini, defibrillatori didattici.
Obiettivo
Lo scopo del progetto è stato quello e a tutt’oggi in pieno svolgimento, di
agire nella criticità della morte improvvisa dovuta nella maggioranza dei casi,
ad un’aritmia cardiaca chiamata “fibrillazione ventricolare”, che può anche
essere il primo, e purtroppo fatale, sintomo di un problema di cuore.
Strutturazione
Il corso è articolato in una intera giornata suddiviso nel seguente modo.
Al fine di poter meglio comprendere la preparazione di coloro che frequen­
tano il corso stesso si procede ad un pre-test valutativo per identificare le
conoscenze di ogni singolo partecipante; segue la prima parte della lezione
288
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
teorica ove vengono illustrate le tecniche di base del BLS, dopo di che si passa
nei settori di simulazione didattica ove si mettono in pratica tecniche e meto­
diche di valutazione e azione dei vari casi clinici.
A conclusione della prima parte della giornata e, una prima valutazione da
parte degli istruttori, (rapporto: un istruttore ogni quattro partecipanti) si pas­
sa alla seconda parte della teoria rivolta alla defibrillazione e alla tecnica spe­
cifica. Una volta conclusa la teoria si procede nuovamente alla simulazione
dei casi clinici ove il partecipante gioca un ruolo di primo piano.
Nel pomeriggio quando i partecipanti hanno ritenuto di aver dissipato
dubbi, perplessità e discusso delle incertezze con il gruppo dei docenti ven­
gono avviate le due prove valutative, quella teorica e quella pratica. La gior­
nata si conclude con la discussione finale e la rivalutazione delle criticità
riscontrate.
Si tenga presente che oltre alla formazione rivolta alla criticità cardiaca du­
rante il corso vengono trattate anche altre situazioni di emergenza che porta­
no inevitabilmente se non ad una fibrillazione ventricolare, ad un arresto cardio
come le ostruzioni delle vie aeree. Infatti, tutti coloro che frequentano il corso
oltre ad acquisire tecniche specifiche nella rianimazione cardio-polmonare
affinano la metodologia pratica per la tecnica della disostruzione.
Target
Il progetto ha avuto avvio nel 2002 rivolto in prima battuta a tutto il perso­
nale medico, infermieristico, tecnico, ed assistenziale di tutta l’Azienda Sanita­
ria, sia in ambito ospedaliero che territoriale. Nel progetto sono stati inclusi
anche tutti i medici di base della provincia di Imperia.
Hanno partecipato al corso circa duemila dipendenti e vedrà la sua conclu­
sione a fine del 2004. Certamente si è già partiti con training di riverifica al fine
di poter mantenere in tutti coloro che hanno frequentato il corso sempre vive
le tecniche specifiche.
“Ma non basta”.
Come è stato detto, l’obiettivo non vuole essere solo quelli di appannaggio
delle tecniche “salva vita”.
Rivolte a pochi eletti, ma a tutti. La vita del prossimo si salva per la strada,
nelle case, sul lavoro e non solo negli ospedali; allora meglio sarebbe dire:
basta poco per far tanto.
Alla luce di quanto sopra in contemporanea con il corso rivolto a personale
sanitario è partito il corso rivolto a personale laico –volontari- “militi” delle
pubbliche assistenze infatti oggi la provincia di Imperia consta di circa trecen­
to volontari abilitati dalla Commissione dell’ Emergenza per la defibrillazione.
Ma non basta il corso ha preso finalmente l’ ultima e la più decisiva svolta,
289
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
ossia rivolto a tutti nei settori più disparati: nelle scuole, nel Corpo della Poli­
zia di Stato, nel Corpo dei Vigili del Fuoco, nel Corpo dei Vigili Urbani, ma
anche a coloro che non hanno nulla a che fare con l’ emergenza.
Un progetto direi degno di essere citato è quello primo nella provincia in
cui la IV° Superiore dell’ Istituto ITIS della città di Imperia ha frequentato tutto
un corso di BLS che si è concluso con un prodotto finale didattico “video” in
cui si vuole far comprendere come messaggio conclusivo che tutti possono
fare molto con poco per gli altri con la formazione di dodici esecutori BLS.
Certamente per la riuscita del progetto che ancora oggi è in cammino e
continuerà a vivere, è da imputarsi all’ impegno incessante e continuo di tutti
gli istruttori IRC medici ed infermieri che senza di loro nulla sarebbe stato
possibile fare.
Valutazione: Pre-test; Post-test; Attestati BLS.
12.69. Donne in ospedale: S. Anna- focus sulle pari opportunità attraverso
la sensibilizzazione
M. G. BAÙ, V. DONVITO, E. MAZZOLI, C. PERIS, C. PICCO, G. POPPA - OIRM S. Anna,
Torino
RESPONSABILE DEL PROGETTO: GRACE RABACCHI, Direttore Sanitario Presidio S. Anna
ASO OIRM S. Anna Torino - C.so Spezia 60, 10126 Torino – tel.: 011 3134200,
fax: 011 3134238, e-mail: [email protected]
Finalità
Il progetto si propone di migliorare la situazione lavorativa delle figure pro­
fessionali femminili, attraverso l’acquisizione di abilità specifiche e
l’empowerment, al fine di garantire l’accesso a compiti e ruoli che siano stati
identificati come di quasi esclusiva pertinenza maschile per l’alta critici pre­
sente all’interno dell’ASO OIRM- S. Anna Torino.
Obiettivi
Condurre una analisi retrospettiva storica e culturale, nonché attuale sui
dati delle presenze femminili in aree medico- sanitarie all’interno della azien­
da ASO OIRM - S. Anna, che ha visto un numero crescente di medico-donna
impegnate nell’ambito delle attività di assistenza al parto e del trattamento
chirurgico delle patologie femminili.
Identificare situazioni di emarginazione lavorativa al fine di comprendere i
meccanismi di insorgenza e conseguentemente attuare soluzioni collettive (in­
290
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
formazione, sensibilizzazione, monitorizzazione dei meccanismi di relazione
uomo-donna).
Empowerment sia “gender-oriented” che, indipendente dal genere sulla
scorta di una sempre più crescente richiesta di formazione e valorizzazione
delle competenze mediche.
Diffusione della teleformazione e teleinformazione sulla tematica della cul­
tura delle Pari Opportunità.
Trasferibilità della nostra esperienza.
Descrizione sintetica del progetto
Il progetto nasce in un contesto lavorativo ad alta specializzazione mater­
no-infantile: si tratta di una realtà aziendale con una componente femminile
ben rappresentata che vede, analogamente ad altre realtà aziendali, una non
corrispondente presenza di tipo proporzionale al salire dei livelli gerarchici.
Per la specifica tipologia del settore si assiste al continuo interagire della strut­
tura sanitaria con utenti donne e logiche di rapporti prettamente femminili
(parto, maternità) e all’aumento della presenza di donne medico coinvolte. Si
propone di analizzare la realtà lavorativa di tali figure, sia passata che attuale,
di aiutarle nello svolgimento dei compiti lavorativi, incrementandone l’espe­
rienza, e sostenendole nei percorsi di carriera meritati.
Azioni
Analisi delle reali attività lavorative e delle mansioni svolte dalle donne
medico, azioni di sensibilizzazione e counselling sulle problematiche comu­
nicative delle relazioni lavoro-uomo-donna, seminari, interviste, ricorso ad
esperienze innovativi di formazione.
Vantaggi attesi
Diffusione della cultura delle pari opportunità in un settore (area chirurgi­
ca) ad elevato contenuto culturale, che richiede professionalità e continuo
aggiornamento a fronte di un carico lavorativo e di rischio rilevante; settore
che a livello nazionale presenta una connotazione prevalentemente maschile
dei ruoli.
Risorse
Il progetto è finanziato dal Fondo Sociale Europeo Linea E 1.2.
291
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Realizzazione
Si realizza attraverso l’istituzione di una borsa di studio per la raccolta e la
pubblicazione dei dati, la presenza di un tutor in sala operatoria, i seminari, le
interviste, il report finale e un convegno conclusivo.
Formazione personale
La formazione tecnica del personale coinvolto si attua grazie alla presenza
di un tutor esperto in tecniche chirurgiche dedicato al training direttamente in
sala operatoria, rivolto alle sei donne medico nell’ambito di un corso specifi­
co.
Utilizzo nuove tecnologie
Studio pilota di fattibilità diretto ad un gruppo di sei donne per l’acquisizione
di abilità tecnico-chirurgiche, che si avvale di un tutor esperto e monitoraggio
in itinere dell’attività svolta. Utilizzo della rete telematica per il supporto
formativo e informativo. Ruolo di controllo del Comitato Pari Opportunità
aziendale che ha promosso tale iniziativa.
12.70. Esperienza di una ricerca/azione. La WHP in un’azienda sanitaria
E. AGOSTI1, P. GROSSO2, G. GULINO3, D. LEVI4, T. LUBRANO5, M. PAIN6, C. PONZETTI7 ­
1
Servizio Prevenzione e Protezione, ASL 9 Ivrea; 2Servizio Fisica Sanitaria,
ASL 9 Ivrea; 3Direzione Medica Ospedaliera “Ospedali Riuniti del Canavese”,
ASL 9 Ivrea; 4S.C. Ortopedia e Traumatologia, P.O. ASL 9 Ivrea; 5Servizio Me­
dico Competente ASL 9 Ivrea; 6Servizio Prevenzione e Protezione, ASL 9 Ivrea;
7
Direzione Aziendale, USL AOSTA
AUTORE REFERENTE: ELIANA AGOSTI, Servizio Prevenzione e Protezione, ASL 9 Ivrea,
Via Aldisio 2, 10015 Ivrea (TO) - tel.: 0125 414701, e-mail: [email protected]
Introduzione
Ogni situazione di rischio che coinvolga la collettività richiede una risposta
adeguata al fine di ridurre il danno.
Obiettivi
La nostra ricerca-azione ha come obiettivo generale la promozione della salute
nei luoghi di lavoro nell’accezione della salute, tutela e sicurezza dei lavoratori
292
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
con l’obiettivo specifico di promuovere il ruolo attivo del lavoratore nella gestione
della propria salute al fine di acquisire capacità di controllo ed autogestione.
Materiali e Metodi
La ricerca-azione non è solo un intervento, ma è una metodologia per co­
noscere nell’agire e cambiare. Le indicazioni dell’ISPELS (WHP) sono state da
noi applicate in maniera proporzionale alle risorse impiegate. Il metodo di
ricerca utilizzato è servito per approfondire la conoscenza della nostra realtà
nel suo complesso. La struttura logica in cui si evidenziano i campi d’indagine
e le relative variabili analizzate comprende: Tre entità, Due relazioni e gli
attributi per ciascuna entità. L’analisi riguarda 19 corsi di formazione per un
totale di 395 partecipanti.
Abbiamo individuato gli aspetti rilevanti della ricerca in: Tre entità: Entità
A, individua tutti i lavoratori, oggetto della ricerca, cui rivolgere la promozio­
ne e tutela della salute; Entità B, individua gli infortuni accaduti in Azienda
nell’arco temporale 1999-2000 ed è in relazione con l’entità A; Entità C indivi­
dua la formazione, è in relazione con A. Due relazioni: la relazione con l’en­
tità (A-B), è il rischio lavorativo aziendale; La relazione con l’entità (A-C) è la
conoscenza soggettiva del lavoratore in tema di tutela e sicurezza nei luoghi
di lavoro. Gli attributi rilevanti, individuati nell’entità A sono classificabili
come variabili qualitative: Sesso, età, Scolarità (Diploma Inferiore, Diploma
Superiore, Laurea), Ruolo/Qualifica professionale, (Infermieri, Medici, Capo
sala, Tecnici, Ausiliari), Settore lavorativo d’appartenenza (U.O./Servizio). Gli
attributi rilevanti individuati nell’entità B sono classificabili come variabili
quantitative: numero degli infortuni occorsi negli anni 1999/2000/2001/2002
da cui si trae l’indice di frequenza, numero dei giorni di assenza determinati
dall’evento infortunistico da cui si trae l’indice di gravità. Le due variabili con­
siderate concorrono al calcolo dell’incremento e decremento infortunistico.
Gli attributi rilevanti individuati nell’entità C sono classificabili come variabili
qualitative: rilevazione delle conoscenze specifiche dei lavoratori prima e dopo
l’evento formativo, delle opinioni, suggerimenti, commenti e della qualità,
efficacia e rilevanza del corso. Il riconoscimento e la classificazione delle in­
formazioni raccolte ne rappresentano il substrato su cui è stata costruita la
struttura del questionario e degli items in esso contenuti.
Risultati
La valutazione, che ha per oggetto d’indagine l’efficacia dell’intervento, attra­
verso degli indicatori ci fa capire se l’azione ha prodotto i risultati e se questi sono
congruenti con gli obiettivi perseguiti, inoltre, ci fornisce sia l’ampiezza del feno­
meno su cui si è intervenuti, sia indicazioni operative per migliorare nel futuro.
293
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Nello specifico, per i 2 ambiti di indagine - Rendimento Formativo, Grado di Sod­
disfazione – tutti i risultati sono espressi in una scala di graduazione. La relazione
fra gli ambiti di indagine evidenzia 5 corsi in cui il vettore del campo d’azione è in
equilibrio (8, 17, 21, 25). Per 6 corsi (2, 11, 14, 20, 22, 27) l’equilibrio del vettore è
turbato (direzione verso la valenza negativa, espressione di una non completa
soddisfazione del bisogno), per i rimanenti 8 (10,12,13,15,16,18,19,24) la direzio­
ne è verso la valenza positiva nel senso della soddisfazione del bisogno; entrambi
esprimono l’azione dinamica - propulsiva al raggiungimento dell’obiettivo.
Conclusioni
Noi constatiamo una corrispondenza dei risultati osservati, nel senso di una
maggiore dinamicità comportamentale nell’operatività quotidiana, rivolta alla
salute e tutela del lavoratore, al fine di trovare l’adeguato equilibrio tra lo stato
di necessità, attività e gratificazione. In sintesi si può dedurre che la formazione
ha favorito l’empowerment, rafforzato la motivazione al cambiamento desumibile
anche dall’interesse dimostrato e dalle opinioni espresse dai partecipanti ai cor­
si. Non solo, ma la ricerca- azione è diventata il momento di animazione sociale,
di sollecitazione alla presa di coscienza del bisogno di formazione per promuo­
vere la salute. Infine è stato per noi un ulteriore apprendimento centrato sullo
sviluppo di nuove capacità individuali e collettive, concretizzatesi in una dina­
mica di gruppo, tale da dare un significato costruttivo agli sforzi e alle ansie
sostenute dai suoi componenti. E’ attraverso il bisogno, che la persona sviluppa
un sistema di tensioni, atte a favorire la tendenza ad uscire dal proprio spazio e
ambiente psicologico per crearne uno nuovo e migliore.
12.71. La formazione come opportunità di sviluppo organizzativo della
rete HPH
F. SIMONELLI, A. ZAPPULLA, K. MAJER, M.J. CALDÉS P., C. TEODORI - Centro di Coor­
dinamento della Rete HPH Toscana, Ospedale Pediatrico A. Meyer di Firen­
ze
AUTORE REFERENTE: FABRIZIO SIMONELLI, Centro di Coordinamento della Rete HPH
Toscana, Ospedale Pediatrico A. Meyer, Via Pico della Mirandola 24, 50132
Firenze – tel.: 055 5662311, fax: 055 5662940, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
La Rete HPH Toscana considera la formazione come:
- una significativa opportunità di innovazione del servizio ospedaliero verso
le finalità della promozione della salute;
294
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
- un importante fattore di crescita culturale e scientifica del personale ospe­
daliero in questo senso;
- un importante campo di elaborazione/confronto con altre esperienze inter­
nazionali;
- una leva strategica fondamentale per lo sviluppo organizzativo della rete HPH;
ed ha predisposto un quadro organico di attività formative indirizzato al per­
sonale ospedaliero, che è stato inserito nel programma biennale 2003-2004 de­
gli interventi formativi indirizzato al personale del SST della Regione Toscana.
Le attività formative HPH si sviluppano sia a livello trasversale che di sup­
porto ai progetti. Tali attività rispondono alle esigenze formative rilevate du­
rante gli incontri di coordinamento di Rete e rispettano le indicazioni riportate
dal Piano Sanitario Regionale 2002-2004, in tema di promozione della salute.
Obiettivi generali
Condivisione di conoscenze sulla promozione della salute; diffusione
capillare della cultura della promozione della salute in ospedale; crescita e
scambio di esperienze e metodologie; definizione della fisionomia concettua­
le della Rete HPH Toscana.
Gruppo target
L’intera Rete HPH Toscana, attraverso i singoli progetti formativi.
Attività di formazione trasversali
Laboratorio formativo per una fisionomia della Rete HPH Toscana (livello
paradigmatico, livello strategico, livello progettuale): rivolto al gruppo dei coordi­
natori aziendali HPH, ai loro coadiutori, ai coordinatori dei progetti interaziendali
HPH, e ai referenti di funzioni aziendali trasversali di rilievo per lo sviluppo HPH.
Sviluppo della promozione della salute nel contesto ospedaliero: destinato
agli operatori delle 16 ASL e AO coinvolti nel progetto HPH;
Benchmarking progettuale in promozione della salute, rivolto agli operatori par­
tecipanti ai gruppi di progettazione interaziendali e agli operatori di riferimento.
Attività formative specifiche, di supporto ai progetti
-
HPH: Ospedale senza dolore;
HPH: Ospedale senza fumo;
HPH: Umanizzazione;
HPH: Ospedale interculturale;
HPH: Sicurezza.
295
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Tutte queste iniziative formative sono rivolte agli operatori coinvolti nei
progetti interaziendali.
Focus: in particolare l’iniziativa Laboratorio formativo per una fisionomia
della Rete HPH Toscana ha un carattere innovativo. Quest’esperienza si con­
fronta con il tentativo di elaborare e condividere aspetti etici, paradigmatici,
strategici, e progettuali, capace di fornire una fisionomia specifica e di conno­
tare la crescita del progetto HPH nella Regione Toscana. L’iter formativo è
stato sviluppato secondo una metodologia di autoformazione basata su fasi di
brainstorming, di valutazione e selezione di contenuti condivisi e di sviluppo.
Primi risultati
- Avvio di interventi informativi e formativi in molti Ospedali della Rete;
- per quanto riguarda il Laboratorio Formativo:
- incremento della diffusione dei contenuti e metodologie HPH nel conte­
sto ospedaliero toscano;
- attitudine crescente al confronto;
- valorizzazione e promozione di iniziative legate al progetto HPH;
- aumento del numero degli operatori coinvolti;
- la messa a fuoco di alcuni assunti, strategie e elementi progettuali;
- maggiore spinta alla pianificazione progettuale interaziendale.
12.72. Dalla esperienza di confronto con la sofferenza, alla proposta di
una cultura di salute
L. ROSSETTI1 (Operatore P. Coordinatore, Unità Operativa Medicina I°), G.
M AGNANI2 (Servizio di Salute Mentale), D. MILANI1 (Responsabile Ufficio
Infermieristico e Tecnico), I. PO1 (Ufficio Infermieristico e Tecnico), A. M.
PIETRANTONIO1 (Direttore di Stabilimento), C. CARAPEZZI3 (Direttore Dipartimen­
to di Medicina), R. BONATTI2 (Responsabile Servizio di Salute Mentale), S.
CENCETTI3 (Direttore P.O.) - 1Azienda U.S.L. di Modena, Ospedale di Carpi;
2
Azienda U.S.L. di Modena, Distretto 1 di Carpi; 3Presidio Ospedaliero, Azienda
U.S.L. di Modena
AUTORE DI RIFERIMENTO: LORELLA ROSSETTI, Unità Operativa di Medicina I°, Azien­
da U.S.L. di Modena, Ospedale di Carpi - Via Cav. Molinari 2, 41012 Carpi
(MO) - tel.: 059 659309, fax: 059 659273, e-mail: [email protected]
Premessa
L’Ospedale di Carpi ha da tempo avviato un progetto di promozione della
296
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
salute che vede coinvolte più unità operative, finalizzato alla connotazione dei
reparti ospedalieri, oltre che quali luoghi di diagnosi e trattamento, anche come
luoghi di educazione alla salute, promozione della salute, con un atteggiamen­
to dei professionisti, medici e non medici, orientato al supporto del paziente e
della famiglia, nella gestione della malattia ma anche dell’evento morte.
La gestione dell’ammalato ed il supporto della famiglia, nell’ambito dell’evento
morte, vede interessata in particolare l’Unità operativa di Medicina ad indirizzo
Oncologico, ove quotidianamente il personale e le famiglie sono coinvolti in
situazioni di forte drammaticità e sofferenza psicologica e affettiva.
In questo contesto dal 1998 l’Unità Operativa di Medicina ha avviato una
collaborazione con il Servizio di Salute Mentale, mediante costituzione di un
gruppo tematico sull’umanizzazione della morte in ospedale.
Obiettivo
Il progetto è nato con l’obiettivo di migliorare la relazione interpersonale e
d’aiuto nei confronti dell’ammalato terminale e della famiglia e di supportare
gli operatori nella gestione di eventi a forte impatto emotivo, e di migliorare
nel complesso la qualità dell’offerta assistenziale.
Metodologia
Il programma è stato realizzato tramite incontri ripetuti tra il personale
infermieristico ed uno psichiatra che, in un’attività di gruppo, mediante l’ana­
lisi delle dinamiche psicologiche all’origine del disagio del personale ed un
supporto metodologico, ha consentito un potenziamento delle risorse perso­
nali del singolo operatore, nell’ambito di un percorso che ha consentito di
recuperare la consapevolezza degli aspetti di naturalità dell’evento morte, e
di comprendere gli aspetti culturali, di socialità ed affettività, che connotano
la parte terminale della vita.
Risultati
L’iniziativa ha consentito di conseguire tangibili benefici all’interno dell’équi­
pe in termini di sviluppo del senso di appartenenza al reparto, sviluppo della
sensibilità e l’empatia nei confronti dell’ammalato e dei familiari.
L’iniziativa ha trovato inoltre un suo sviluppo mediante il trasferimento dei
contenuti dell’esperienza nell’ambito della comunità locale mediante una serie
di conferenze che affrontano il tema della sofferenza, consentendo la
condivisione con la cittadinanza di una tematica che costituisce parte integrante
della cultura dell’Ospedale, consentendo una condivisione di valori ed un au­
mento della consapevolezza nel territorio di riferimento nel suo insieme.
297
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
12.73. Ignoranza: un terreno fertile per la discriminazione in sanità
S. ARDIS1, M. MARCUCCI1, A. MERLI2, G. DI QUIRICO1, L. PULITI1, A. VINCENTI1, E.
GAMBOGI1, D. BEVILACQUA1, M. A. MALERBI1, M. GIRALDI1, R. GOTTARDI3 - 1Azienda
USL 2 Lucca; 2Pedagogista Clinico; 3Arcigay Pisa
AUTORE REFERENTE: SERGIO ARDIS, Via del Pozzetto, 24, Pescia (PT) – tel.: 335
6146737, fax: 0583 970114, e-mail: [email protected]
Introduzione
Il progetto HPH di umanizzazione degli ospedali dell’Azienda USL 2 di Lucca
ha realizzato un progetto di prevenzione della discriminazione delle persone
HIV positive in ambito sanitario. Questo progetto, nato in collaborazione con
il Comitato Etico Locale, prevede varie azioni: carta dei diritti e dei doveri
delle persone HIV positive, formazione del personale, azioni dirette all’elimi­
nazione dei pregiudizi nella popolazione generale, azioni informative per le
persone a rischio di discriminazione, ecc... Per la formazione del personale
abbiamo realizzato un corso che tocca sia aspetti scientifici relativi alla patolo­
gia, sia aspetti tecnici dell’assistenza, sia aspetti medico-legali, sia considera­
zioni di ordine antropologico, psicologico, etico considerazioni sul ruolo dei
media nella nascita dello stigma sociale che accompagna l’infezione da HIV.
All’inizio ed alla fine del corso abbiamo somministrato ai partecipanti un que­
stionario. Vi presentiamo alcuni risultati del pre-test per evidenziare quanto
siano scarse le conoscenze del personale sanitario su questo argomento e per
poter riflettere sul fatto che la discriminazione delle persone HIV positive possa
essere nata e sia cresciuta sul terreno fertile dell’ignoranza.
Obiettivo
Obiettivo principale dei test era di valutare l’efficacia della metodologia
didattica usata. Abbiamo supposto che il basso livello di conoscenze fosse
una causa di discriminazione e su questa supposizione abbiamo costruito il
corso di formazione per personale sanitario. Il pre-test voleva confermare che
il personale sanitario non direttamente coinvolto nella cura e nell’assistenza
alle persone HIV positive non ha conoscenze adeguate sulla malattia.
Target
Il test è stato somministrato a personale sanitario medico, infermieristico,
tecnico sanitario, ed altri laureati della sanità prima e dopo il corso di forma­
zione. In totale sono stati compilati 79 questionari per il pre-test e 82 per il
post test.
298
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Valutazione dei risultati
Il questionario somministrato prima e dopo il corso prevedeva 13 domande
a risposta multipla. Al pre-test è stato dato il 51,9 delle risposte esatte, mentre
al post-test è stato il 91,3 delle risposte esatte. Analizzando i dati del pre-test si
è messo in evidenza che un operatore sanitario su 4 (25,3%) non sa che
l’allattamento al seno dei neonati figli di madri sieropositive deve essere evita­
to per prevenire la malattia. I principali effetti dei farmaci antiretrovirali non
sono conosciuti dai sanitari ospedalieri (38,0% delle risposte esatte possibili).
Meno di un sanitario su tre sa che le persone sieropositive oggi possono rice­
vere un trapianto di fegato (31,6%). Un sanitario su quattro riteneva di dover
visitare la persona HIV positiva usando la mascherina oppure indossando i
guanti mentre solo il 73,4% aveva nozione esatta delle precauzioni universali.
Solo 51,9% dei sanitari che hanno risposto al questionario sapeva che un
endoscopio usato per una persona HIV positiva non necessita di precauzioni
particolari ma deve essere disinfettato con le normali procedure. Sono un sa­
nitario su tre (29,1%) sa che la maggior parte delle persone sieropositive oggi
in Italia non sa di esserlo. Quasi la metà del personale ritiene che non ci siano
persone sieropositive sopra i sessanta anni (41,9% risponde no o non so).
Questi dati mostrano che i sanitari che non lavorano nei reparti di malattie
infettive hanno conoscenze molto scarse sull’infezione. La discriminazione
delle persone HIV positive nei reparti ospedalieri può essere dovuta, fra le
altre cause, anche dalla mancanza di conoscenza della malattia.
La formazione rappresenta una strategia, fra le altre, per prevenire la discrimi­
nazione di queste persone e rendere l’ospedale più rispettoso dei diritti umani.
Conclusioni
Se l’HPH prevede fra i suoi obiettivi l’umanizzazione degli ospedali è per­
ché oggi gli ospedali, in misura variabile, sono disumani. Un ospedale può
essere reso umano solo dall’umanità delle donne e degli uomini che vi lavora­
no dentro. Se vogliamo ospedali più umani dobbiamo scommettere ed inve­
stire sull’umanità di queste persone.
12.74. Realizzazione eventi pubblici di promozione ed educazione alla
salute
R. GAGNO - Responsabile Ufficio Educazione e Promozione della salute ASL 1
Imperiese, Regione Liguria
La programmazione dell’attività di Educazione e Promozione della salute
299
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
ogni anno prevede una serie di incontri con mostre e condivisione dei lavori
realizzati sia dall’Ufficio di Educazione alla Salute in collaborazione con l’Area
Comunicazione URP sia durante i laboratori realizzati dalle scolaresche, que­
sto permette di concentrare in una unica sede e in un tempo definito l’esposi­
zione di tutte le attività.
La funzione Educazione alla Salute è da ritenersi trasversale a tutte le strut­
ture interne dell’Azienda Sanitaria e la collocazione organizzativa atta a garan­
tire la trasversalità della funzione è quella in staff della Direzione Generale.
La trasversalità della funzione Educazione alla Salute comporta la consulta­
zione e il coordinamento metodologico da attuarsi attraverso figure di riferi­
mento, di norma individuate a livello di Dipartimenti Ospedalieri e Territoria­
li, Distretti Sanitari o Strutture con particolare valenza strategica nel campo
della Promozione della Salute.
La costruzione di collaborazioni intra-aziendali e inter-settoriali nell’ottica
di alleanze per la salute si rende indispensabile per favorire un’azione trasver­
sale su tutta l’Azienda, in modo da diffondere la maggior uniformità e omoge­
neità possibile degli interventi di Educazione e Promozione della Salute, sia
per quanto riguarda gli aspetti metodologici che i contenuti.
Al fine di garantire una ragionevole evidenza di efficacia delle attività e delle
iniziative, mirante a modificare il modo di lavorare a compartimenti stagni e
diffondere la cultura dell’Educazione alla Salute raccordandolo al più generale
concetto di Promozione della Salute mediante una corretta comunicazione sa­
nitaria con tutti i settori di intervento dell’Azienda in modo armonico e paritario.
Obiettivi
- Favorire la collaborazione tra le Strutture Ospedaliere e Territoriali nell’otti­
ca del “lavorare insieme”;
- motivare gli operatori sanitari alla partecipazione di programmi di preven­
zione e promozione della salute;
- promuovere e condividere iniziative per favorire un ambiente più adatto
alle esigenze di chi lo vive;
- valutare il lavoro annuale con una pubblica manifestazione garantendo un
confronto tra le parti coinvolte, prevedendo altresì la valutazione in itinere.
Conclusioni
Il Settore di Educazione e Promozione della Salute mediante il coordina­
mento trasversale ha voluto superare il modello statico di prevenzione a favo­
re di un modello dinamico caratterizzato dall’istituzione di un’organizzazione
per la progettazione integrata. Si è inoltre consolidata la collaborazione tra
diverse Strutture partecipanti ai progetti di educazione alla salute, mediante
300
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
l’individuazione di gruppi di lavoro e referenti di progetto, che vede il Diret­
tore di Dipartimento promotore del processo strategico di riorientamento che
punta allo sviluppo di ambienti fisici e sociali favorevoli alla salute.
In coerenza con le strategie del Ministero della Salute si è posta particolare
attenzione alla promozione di Sani Stili di Vita, a favorire il Benessere dal
punto di vista affettivo e sessuale, si è perseverato nella promozione di strate­
gie per eliminare la presenza di fumo nelle strutture.
12.75. Esperienza di promozione della salute durante il lavoro
infermieristico. Ergomotricità per la prevenzione dei disturbi
muscoloscheletrici
A. M. CIRLA, R. FAZIOLI, L. GALLI, C. MEINECKE - Istituti Ospitalieri di Cremona ­
Unità di Medicina del Lavoro, U.O. Medicina Riabilitativa
AUTORE REFERENTE: RAFFAELLA FAZIOLI, tel.: 0372 405433, fax: 0372 405656, e­
mail: [email protected]
Il presente lavoro illustra un percorso formativo e applicativo di ergomotricità
a favore di operatori di assistenza di un reparto di degenza medica. Si tratta per­
tanto di un modello sperimentale, la cui applicazione è mirata su gruppi a rischio
professionale nella movimentazione di pazienti e nelle posture incongrue.
L’intervento si articola in un modulo teorico-pratico ed ha la caratteristica di
essere costruito sulle peculiari esigenze del contesto lavorativo, anche consi­
derando i risultati emersi dalla valutazione dei rischi. “Ergomotricità” è un
neologismo che indica una tecnica di prevenzione che, partendo dal rischio
posturale proprio di ogni mansione, individua i segmenti corporei maggior­
mente interessati e propone semplici esercizi mirati, ripetibili autonomamen­
te sul luogo di lavoro per compensare il rischio e prevenire il danno persona­
le. In tal modo viene promossa la salute durante l’attività lavorativa, per quan­
to attiene l’equilibrio muscolo-scheletrico.
Si tratta pertanto di un metodo di autotrattamento sul posto di lavoro che ben si
adatta alla realtà lavorativa ospedaliera. La costruzione di tale modulo teoricopratico all’interno della nostra Azienda Ospedaliera ha coinvolto diverse U.O.,
mediche ed amministrativo/formative (Unità Operativa Ospedaliera di Medicina
del Lavoro, Unità Operativa di Medicina Riabilitativa, Ufficio Formazione, Qualità
ed Aggiornamento, Unità Operativa di Medicina e Gastroenterologia) e si rivolge
a Infermieri Professionali e ad Operatori Socio Sanitari, ossia a due figure profes­
sionali fra le più coinvolte nella mobilizzazione manuale dei pazienti.
Il modulo contempla due fasi formative. Nella prima di circa un’ora e mezzo ci
301
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
si propone di approfondire alcune nozioni di fisiopatologia del rachide e dell’ar­
ticolazione scapolo-omerale, mentre nella seconda della durata di circa due ore e
mezzo lo scopo è di analizzare le modalità di trasferimento di alcune tipologie di
pazienti, di correggere le manovre effettuate in modo non ergonomico e di inse­
gnare esercizi (numericamente limitati, di semplice memorizzazione e di veloce
esecuzione) di compenso muscolare come forma di autotrattamento preventivo.
L’esecuzione di tali esercizi è prevista sia sul posto di lavoro sia a casa; allo scopo
è stato predisposto materiale illustrativo indicante gli esercizi compensatori e gli
esercizi di rilassamento da effettuare eventualmente a domicilio.
Le criticità che si sono presentate sono state organizzative e di comunica­
zione (interne al gruppo bidisciplinare formato da Medico del Lavoro e Fisiatra/
Fisioterapista, esterne nei confronti delle altre U.O. interessate oltre che nei
riguardi della Direzione Medica), di realizzazione pratica (spazi, tempi, mo­
dulazione oraria degli interventi, predisposizione di materiale informatico e
di supporto) e di scelta metodologica (didattica formale e pratica didattica).
Un primo risultato è stato quello di riuscire a far interagire diverse profes­
sionalità, esperienze e retroterra culturali con le esigenze organizzative e di
scelta linguistico/pratica altrettanto importanti per la riuscita dell’esperienza.
La valutazione dell’impatto sia di gradimento sia di apprendimento, nonché le
verifiche di efficienza e di efficacia sono state predisposte mediante appositi
questionari somministrati in modo sequenziale nel tempo.
Questo tipo di promozione mirata può essere la base di partenza anche per
una formazione pratica associata all’utilizzo di ausili minori e maggiori
(sollevatori) nelle attività di mobilizzazione dei pazienti non autosufficienti.
12.76. Confronto tra popolazione generale e dipendenti ASL afferenti ad
un centro antifumo: l’esperienza del “Centro per il trattamento e
la prevenzione dei danni indotti dal fumo di tabacco” di Livorno
N. PULERÀ, G. MATTEELLI, A. SCOGNAMIGLIO, A. SANTOLICANDRO - “Centro per la Pre­
venzione e il Trattamento dei danni indotti da Fumo di Tabacco”- U.O.
Pneumologia - Ospedale di Livorno
AUTORE REFERENTE: NOLITA PULERÀ, UO. Pneumologia, Ospedale di Livorno, viale
Alfieri 36 - tel 0586 223453, e-mail: [email protected]
Premessa
Nell’ambito del progetto HPH “Ospedale senza Fumo”, l’azienda USL6 di
302
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Livorno fornisce ai propri dipendenti (Dip.) l’opportunità di accedere al Cen­
tro Antifumo (CA) gratuitamente e, compatibilmente con l’esigenza della UO
di appartenenza, anche in orario di lavoro. Tale disposizione è regolata da
specifica deliberazione del Direttore Generale. La popolazione generale (PG),
accede al servizio attraverso il pagamento di un pacchetto forfettario di €
92,96, comprendente una 1 visita (Spirometria, parametri vitali, misurazione
del CO, test di Fagerstrom, counselling specifico, prescrizione della terapia
farmacologica) e tutti i controlli ritenuti necessari nell’arco di 6 mesi di tratta­
mento. In tutti i casi i soggetti devono sostenere la spesa della terapia
farmacologica.
Scopo
Verificare se esiste un diverso comportamento in termini di partecipazione
e di successo tra Dip. e PG.
Risultati
Nel periodo 1/10/2000 (nascita de CA) - 31/03/2004 sono afferiti al ser­
vizio 1032 soggetti (PG 861, Dip. 171). Le donne Dip. sono state statistica­
mente più numerose (65,5 vs. 41,5% della PG). I Dip. sono risultati statisti­
camente: più istruiti (diploma+laurea 79,5 vs. 48,2%), meno coniugati (51,5
vs. 69,6%), più giovani (44,5±8,6 vs. 49,1 ± 11,9 anni). Per quanto riguarda
le caratteristiche di fumo, i Dip hanno iniziato a fumare più tardi (17,9 vs.
16,8 anni), fumano meno sigarette (21,8 vs. 26,1 sig/die), hanno un valore
di test di Fagerstrom inferiore (5,6 vs. 6,0) (differenze statisticamente si­
gnificative) e livelli di CO espirato al basale lievemente più bassi (21,6 vs.
22,1). Tutti i soggetti sono stati contattati telefonicamente dopo sei mesi e
un anno dalla prima visita effettuata: nell’occasione veniva somministrato
un questionario per la valutazione dell’astinenza, delle caratteristiche di
fumo per coloro i quali erano ricaduti o non avevano cessato, e per il gra­
dimento del trattamento ricevuto. Al controllo a sei mesi il tasso di parteci­
pazione è stato del 93% nella PG e dell’ 84% nei Dip. Il controllo ad un
anno ha rilevato un tasso di partecipazione dell’ 89% nella PG e dell’ 87%
nei Dip. Tra coloro che hanno eseguito il controllo a 6 mesi, il 43,8% dei
Dip. (femmine 40,3%; maschi 51,5%) ha riferito di essere astinente contro
il 52,8% della PG (femmine 55,2%, maschi 51,1%); è da notare che mentre
il tasso di successo è analogo tra i maschi delle due popolazioni, è signifi­
cativamente più basso tra le donne Dip. Al controllo ad un anno i tassi di
successo risultano: Dip. 42,9% (maschi 39,1%; femmine 44,4%); PG 42,3%
(maschi 46,1%; femmine 36,8).
303
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Conclusioni
I due gruppi valutati sono risultati significativamente diversi sia in termini
anagrafici (età, sesso, livello di istruzione, stato civile), che in termini di carat­
teristiche di fumo (inizio dell’abitudine, n. di sigarette fumate, entità della di­
pendenza). Per quanto riguarda la percentuale di successo al follow up, i due
gruppi differiscono per il minor tasso di successo delle femmine Dip. al con­
trollo a sei mesi. Tuttavia il controllo a un anno non mostra differenze signifi­
cative tra i due gruppi, pur notandosi un comportamento inverso delle fem­
mine rispetto ai maschi (sono più astinenti le femmine Dip.). Quindi, nono­
stante le due popolazioni studiate risultino differenti per i parametri che le
caratterizzano, per le modalità di accesso al Centro e per il fatto di dover so­
stenere o meno la spesa delle visite e del follow up, il tasso di cessazione
risulta sovrapponibile dopo un anno dall’inizio del trattamento (42,3 % PG e
42,9 % Dip.).
La recente indagine AIPO “Ospedali senza fumo” ha evidenziato una mag­
giore prevalenza di fumo nei dipendenti ospedalieri rispetto alla popolazione
generale, suggerendo che il lavorare in ambiente sanitario non è un fattore
protettivo nei confronti dell’abitudine al fumo; la nostra esperienza sembra
dimostrare che non rappresenta neppure uno stimolo aggiuntivo alla cessa­
zione.
12.77. Il progetto gestione del rischio nel dipartimento di salute mentale
di Reggio Emilia
G. GRASSI, D. COSTI, L. TAGLIABUE
AUTORE REFERENTE: GADDOMARIA GRASSI, Salute Mentale, Via Amendola 2, 42100
RE – tel.: 0522 335255/0522 335081 - e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
In letteratura è riportata la rilevanza epidemiologica degli errori sanitari e,
più in generale, degli effetti iatrogeni delle cure.
Esistono, in Italia, modalità definite dalle leggi nazionali e regionali di
rilevazione di questi eventi: le segnalazione all’Ufficio Relazioni per il Pubbli­
co e al Tribunale dei Diritti del Malato (entrambe da parte dei cittadini), le
segnalazioni al Servizio di Farmacovigilanza del Ministero da parte dei medi­
ci. E’ ampiamente documentato, tuttavia, che questi strumenti sono largamen­
te sottoutilizzati. Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) dell’Azienda Sanita­
ria (AUSL) di Reggio Emilia, che comprende Centri di Salute Mentale territo­
riali (Community Mental Health Centers), Residenze, Semiresidenze e un Ser­
304
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
vizio di Psichiatria con posti letto nell’Ospedale Generale, si è dotato anche di
altri strumenti di rilevazione di eventi indesiderati, coerentemente con le
direttive aziendali e con le normative regionali.
Obiettivo/i
- Dotarsi di un sistema efficace di rilevazione degli eventi indesiderati nella
pratica del Dipartimento di Salute Mentale.
- Valutare la praticabilità, sensibilità ed efficacia di nuovi strumenti di
rilevazione confrontati con quelli tradizionali.
Tali obiettivi vengono perseguiti confrontando le tradizionali modalità di
rilevazione di eventi indesiderati (reclami all’URP, reclami al TDM, segnalazioni
al Servizio di Farmacovigilanza) con:
- la rilevazione sistematica da parte degli operatori delle Non Conformità (man­
cata applicazione di procedure e istruzioni operative), in tutto il DSM;
- rilevazione sistematica degli Eventi Sentinella (lista predefinita e specifica
per ogni unità operativa di eventi potenzialmente indicativi di cattiva quali­
tà), in tutto il DSM;
- rilevazione secondo il modello dell’Incident reporting, nell’area di degenza
psichiatrica nell’Ospedale Generale).
Gruppo/i target
Utenti del Dipartimento di Salute Mentale di Reggio Emilia.
Presentazione e valutazione dei risultati
Sono stati valutati:
- la capacità dello strumento di intercettare gli eventi critici (Indicatore: n. di
segnalazioni per anno);
- la sensibilità dello strumento (valutazione dell’entità degli eventi da parte
del Nucleo Qualità e, per l’Incident Reporting di un gruppo misto unità ope­
rativa-staff aziendale);
- l’impegno di risorse richiesto (da parte del Nucleo Qualità).
Conclusioni
L’utilizzazione delle vecchie e nuove modalità di rilevazione delle criticità
nel Dipartimento di Salute Mentale ci ha consentito di trarre queste conclusio­
ni:
- le modalità tradizionali intercettano pochissimi eventi potenzialmente indi­
cativi di cattiva qualità;
305
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
- gli altri metodi registrano un numero di eventi significativamente maggiore,
anche se con diverso livello di accuratezza e di impegno di risorse (le Non
conformità hanno il pregio di segnalare anche eventi di tipo organizzativo
ma con livello di gravità disomogeneo, il registro degli Eventi Sentinella
permette una registrazione limitata ma semplice e attendibile, il modello
dell’Incident reporting è più sensibile ma richiede più risorse);
- l’utilizzo di un solo strumento è insufficiente per descrivere il fenomeno in
oggetto; è necessario quindi dotarsi di una pluralità di strumenti di rilevazione
della cattiva qualità delle cure.
12.78. La documentazione di qualità del dipartimento salute mentale come
supporto alla valutazione e gestione dei rischi lavorativi
G. MORINI, D. COSTI, A. PINOTTI, M. POLETTI
AUTORE REFERENTE: GIOVANNI MORINI, Via Amendola 2, 42100 Reggio Emilia –
tel.: 0522 335236, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
La normativa europea e italiana richiedono che siano individuati tutti i rischi
connessi alle attività lavorative, e che ciò venga formalizzato in un documento
contenente la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro.
Usualmente la valutazione dei rischi è elaborata mediante l’osservazione
da parte di un tecnico delle attività svolte dai lavoratori e riporta la program­
mazione delle misure previste per il miglioramento del livello di sicurezza.
Tale programmazione si concretizza con una data di scadenza.
La caratteristica dell’esperienza descritta è stata quella di sviluppare la valu­
tazione dei rischi per figure professionali di direzione dei servizi (Head of
service), partendo dalla documentazione di qualità del Dipartimento che de­
scrive i prodotti erogati e le attività in esso contenute. Il programma delle
misure per il miglioramento del livello di sicurezza è realizzata secondo un
riesame periodico delle attività adottate.
Obiettivo/i
- Migliorare la sicurezza degli operatori delle strutture sanitarie.
- Migliorare la valutazione dei rischi in base alle diverse figure professionali e
le conseguenti misure di protezione e prevenzione.
- Definizione della Tabella di classificazione delle classi di rischio.
- Definizione della Tabella di corrispondenza tra rischi e misure di preven­
zione e protezione.
306
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
- Sviluppo delle seguenti tabelle di corrispondenza, partendo dalla descri­
zione della organizzazione del Dipartimento, dai suoi prodotti erogati e
dal Sistema Informativo informatizzato che contabilizza le attività svolte
dalle varie figure professionali:
Macrostruttura aziendale � Strutture � Prodotti � Attività � Professioni � Rischi
Occasionalmente si è reso necessario adattare la valutazione del rischio di
alcune figure professionali che svolgono attività differenziate o con un diver­
so livello di rischio associato in Strutture simili.
Il documento finale, pensato per il Cliente interno, contiene una tabella in
cui sono riportate, per ogni Struttura considerata, le misure di prevenzione e
protezione con riferimento alle figure professionali presenti, secondo il se­
guente schema:
Strutture � Professioni � Rischi � Misure di prevenzione e protezione
Gruppo/i target
Operatori sanitari con funzioni di gestione dei servizi.
Presentazione e valutazione dei risultati
Miglioramento della valutazione e gestione dei rischi lavorativi.
12.79. Il Sistema Qualità nell’Azienda Ospedale Università San Martino di
Genova
R. ROSSO - Azienda Ospedale Università San Martino di Genova, tel.: 010
5555056
Introduzione
La scelta strategica aziendale è stata quella di costituire una Unità Operativa
complessa “L’Ufficio Qualità, Accreditamento e Relazioni con il Pubblico” che
portasse allo sviluppo del Sistema Qualità Aziendale avendo competenza per
le seguenti aree:
Accreditamento Istituzionale, Accreditamento all’Eccellenza secondo la
norma UNI EN ISO 9001:2000, Area della Qualità percepita, Area del Risk
Management e U.R.P.
307
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Metodologia
Si è costituita la Rete Aziendale per la Qualità che prevede, all’interno di
tutte le U.O. la figura del Responsabile Assicurazione Qualità (R.A.Q.), e di
Gruppi di Miglioramento della Qualità (G.M.Q.) composti da rappresentanti
di tutte le figure che in intervengono nel processo assistenziale. L’operazione
vede coinvolte circa 650 persone.
Tutta la Rete Aziendale è stata formata tramite corsi ECM che hanno previ­
sto oltre ai concetti base della qualità, l’approccio multidisciplinare alle
metodologie PDCA e l’utilizzo di strumenti di supporto.
Alcuni RAQ sono stati formati in modo più approfondito attraverso corsi di
formazione per “Auditor interno” e per “Valutatori dei Sistemi Qualità”, tenuti
dall’organismo di Certificazione IMQ-CSQ (Istituto Marchio Qualità ­
Certificazione Sistemi Qualità). In questo modo la struttura della rete aziendale
ha cominciato a presentare un assetto di profili e competenze eterogenee e
ben definite e ciò ha permesso di introdurre le Verifiche Ispettive Interne come
metodo sistematico.
Area Accreditamento Istituzionale
Attraverso incontri mediati con lo staff centrale dell’U.O. Ufficio Qualità,
Accreditamento e Relazioni con il Pubblico, ogni U.O. ha costruito un Docu­
mento organizzativo di reparto per ogni macroattività erogata (Degenza, Day
Hospital, Day Surgery, Ambulatorio, ecc...).
Si sono redatti 560 documenti di reparto che hanno determinato il ripensamento
ed il riorientamento dell’organizzazione interna, consentendo a RAQ e GMQ di
diventare attori organizzativi della performance clinica di reparto.
Il Documento Organizzativo di reparto è così articolato:
- Identificazione e rintracciabilità dell’Unità Operativa
- Elenco delle prestazioni erogate
- Organigramma con evidenza dei ruoli
- Funzionigramma con matrice di responsabilità e sostituzioni
- Organizzazione interna finalizzata alla continuità assistenziale 24h/24h
- Modalità di accesso
- Standard di qualità
- Strumenti di verifica
- Procedure utilizzate
Il passo successivo è stato quello di recepire per ogni U.O. (119) dell’Azien­
da Linee Guida per patologia secondo criteri EBM e che le stessa fossero tra­
dotte in percorsi diagnostico terapeutico attraverso l’utilizzo di Flow-Chart.
Il lavoro ha permesso di recepire 119 linee guida e 119 percorsi diagnostici
terapeutici.
308
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Area Qualità Percepita
Si sono sviluppati degli indicatori di performance attraverso “Indicatori di
Processo e di esito della cura”, entrambi sono stati inseriti come obiettivi delle
Unità Operative nella scheda di budget.
Gli Indicatori di esito della Cura” sono stati formulati secondo la metodologia
del Canadian Council on Health Services Accreditation che prevede le seguenti
fasi:
1. Formulazione dell’indicatore
2. Domande chiave
3. Descrizione e tipologia
4. Scopo rationale e utilizzatori
5. Formula
6. Definizione delle variabili di base e delle modalità di rilevazione
7. Limitazioni ed esclusioni
8. Analisi dei dati
9. Riferimenti bibliografici
Il lavoro ha permesso di recepire 119 indicatori.
Per quanto riguarda gli indicatori di processo, sono stati utilizzati 3 stru­
menti: i questionari, i reclami e i Focus Group. Il Lavoro ha visto la
somministrazione di 4.000 questionari che hanno indagato tutti i processi as­
sistenziali, l’analisi dei reclami ed i focus group hanno permesso di rilevare le
criticità maggiori e quindi di poter mettere in atto azioni correttive adeguate.
Area ISO 9001:2000 i risultati
La strategia aziendale è stata quella di avviare il processo di accreditamento
all’eccellenza secondo la Norma UNI EN ISO 9001: 2000 nelle diagnostiche
trasversali e nei Servizi di supporto – Servizio di Anatomia, Istologia, Citologia
Patologica e Citogenetica; Radiologia Cattedra “R”; Laboratorio di Analisi Cen­
trale; Servizio di Nutrizione e Dietetica Clinica – per estendere il dominio alle
Degenze e alle Unità Strategiche – Neurologia e Centro Ictus; Servizio di Pre­
venzione e Protezione; Ufficio Qualità, Accreditamento e Relazioni con il Pub­
blico; Affari Generali e Legali; Formazione e Aggiornamento.
Sono attualmente in via di Certificazione le seguenti U.O.: Nefrologia e Dia­
lisi, Neonatologia, Malattie Infettive Adulti, Clinica Urologia, Chirurgia Gene­
rale e Trapianti d’Organo.
Area Risk Management
Il progetto avviato all’interno di 2 Unità Operative, prevede un approccio
metodologico basato sulla mappatura sia del rischio clinico che farmacologico,
309
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
attraverso l’analisi e la scomposizione dei processi arrivando alla costruzione
di una Master List o elenco dei possibili errori/guasti riferiti alla singola se­
quenza del processo individuata.
Il progetto, attualmente in fase iniziale, vedrà l’utilizzo sia della tecnica
dell’Incident Reporting, attraverso la somministrazione al personale delle U.O.
pilota, di una scheda di segnalazione dei “possibili errori”, sia della tecnica
dell’HFMEA o “analisi dei modi di guasto/errore e dei loro effetti” proposto
dalla JCAHO, privilegiando l’analisi prospettica dei processi considerati più
rischiosi, e identificandone le potenziali vulnerabilità.
Conclusioni
Il modello implementato ha favorito l’instaurarsi di un “Clima Organizzativo”
molto favorevole allo sviluppo della “Cultura del NOI e del Sentirsi Parte”, parte
attiva delle decisioni dei processi di crescita dell’organizzazione, in una pro­
spettiva di enpowerment che dia validi contributi ai processi decisionali al fine
di un continuo miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria erogata.
12.80. Paziente oncologico e continuità assistenziale
M. C. AZZOLINA, I. M. RACITI, R. ARIONE, P. PANARISI - ASO San Giovanni Battista
di Torino
Per soddisfare le esigenze di una tipologia particolare di paziente, quale
quello oncologico l’ASO San Giovanni Battista di Torino ha progettato e rea­
lizzato il Centro Oncologico ed Ematologico Subalpino (C.O.E.S.).
Il COES è una struttura .che ospita 60 posti letto di day hospital (30 posti
letto di Ematologia e 30 di Oncologia), 18 ambulatori per le visite di diverse
patologie neoplastiche (Ematologia, Oncologia Medica e Chirurgica), un Ser­
vizio Farmaceutico per la preparazione centralizzata dei farmaci antiblastici,
un’ Area dedicata allo sviluppo di terapie innovative inclusi trapianti
emopoietici autologhi ed allogenici. Il C.O.E.S. è anche la sede del Centro di
Prevenzione Oncologica (C.P.O.) e del Coordinamento della Rete Oncologica
della Regione Piemonte; rappresenta dunque a livello oncologico, il “ponte”
ideale tra la nostra Azienda e le Strutture territoriali.
Per la peculiarità dei pazienti trattati, sin dalla fase della progettazione si è
volta particolare attenzione alla umanizzazione della Struttura ed alla centralità
del paziente.
Sono state a tal fine realizzate ampie sale di attesa, nelle quali è possibile
svolgere varie attività: per esempio: isola delle chiacchiere, dei giochi
enigmistci, della spiritualità, della lettura e dell’espressività.
310
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Il “Centro Accoglienza e Servizi” (C.A.S.) si occupa di: informare circa le
modalità di accesso ai Servizi/Reparti di riferimento; gestire i rapporti con
Centro accoglienza e servizi delle altre sedi regionali di Polo e aggiornare il
sistema informativo Intranet ed Internet;attivare il Gruppo Interdisciplinare
Cure (G.I.C.) per una valutazione collegiale; accogliere l’utente; costruire per
il singolo utente uno specifico percorso assistenziale
E’ operativo un Centro accoglienza composto da un Infermiere Professio­
nale (con funzione di gestione e coordinamento), quattro operatori addetti
all’accoglienza, sette operatori addetti al trasporto.
È altresì attiva apposita Commissione Medico – infermieristica coordinata
dalla Direzione Sanitaria, che si occupa dei problemi logistici più frequenti
tramite:
- riunioni mensili con il Direttore del Dipartimento di Oncologia ed i Diretto­
ri delle Strutture Complesse afferenti al C.O.E.S.;
- riunioni bimensili, per la gestione delle criticità di carattere operativo con
personale medico, infermieristico e amministrativo, referenti di Day Hospital
e Ambulatori.
I pazienti hanno dimostrato notevole apprezzamento per tali iniziative: ciò
è stato desunto dagli appositi questionari, somministrati sistematicamente ai
pazienti afferenti al C.O.E.S.. Lodevole è l’attività svolta dalle associazioni di
volontariato, dimostrata sia attraverso la destinazione di fondi per l’acquisto
di giochi da tavolo e l’abbonamento a varie riviste sia tramite il costante sup­
porto psicologico agli utenti.
12.81. Linee guida aziendali sulla prevenzione delle cadute nel paziente
anziano: risultati di una sperimentazione
A. BRANDI1, P. GIOACHIN2, R. MARILLI2 - 1 Dirigente dell’Assistenza Infermieristica,
2
Collaboratore professionale sanitario - Azienda Ospedaliero Universitaria
Careggi
AUTORE REFERENTE: ANGELA BRANDI, Direzione Sanitaria, Azienda Ospedaliero
Universitaria Careggi; tel.: 0554 279692, fax: 0554 279080, e-mail:
[email protected]
Breve introduzione del contesto
L’indagine che viene presentata rientra nell’ambito di un progetto iniziato
nel 2002, volto alla predisposizione e implementazione di linee guida aziendali
per la prevenzione delle cadute del paziente anziano in ambito ospedaliero.
311
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
La sperimentazione, che rappresenta una fase del progetto, è stata realizzata
per verificare se le linee guida e gli strumenti di monitoraggio in essa inseriti,
elaborati attraverso la revisione sistematica della letteratura scientifica, siano
effettivamente applicabili nella pratica clinica. Sulla base dei risultati della
sperimentazione le linee guida saranno modificate per renderle strumenti di
orientamento per gli operatori e per i pazienti stessi nella promozione della
loro sicurezza e strumenti di miglioramento della qualità per l’organizzazione.
Obiettivo/i
Lo studio aveva l’obiettivo di conoscere il fenomeno caduta in tutti i suoi
aspetti analizzandolo in un contesto ospedaliero, ci si è proposti di dare una
risposta alle seguenti domande:
a. Qual è l’incidenza del fenomeno caduta nell’ospedale?
b. Quali sono le caratteristiche dei pazienti a rischio di caduta?
c. Quali sono i fattori di rischio ambientali e di struttura che aumentano il
rischio di caduta?
d. Quali sono le misure che possono essere adottate per prevenire la caduta?
e. Quanto è specifica e sensibile la scala Morse?
Gruppo/i Target
L’implementazione del progetto, al termine della sperimentazione, preve­
de il coinvolgimento di:
- pazienti ricoverati, in particolare gli anziani individuati come a rischio e
loro famiglie;
- operatori dell’A.O.U.C. appartenenti ai ruoli sanitario, tecnico e ammini­
strativo che svolgono attività di assistenza, cura e supporto all’assistenza,
nonché attività che contribuiscono alla sicurezza/comfort ambientale dei
pazienti ricoverati;
- persone afferenti agli ambulatori rispetto alle quali sarà particolarmente
evidenziato l’aspetto preventivo-educativo.
Presentazione e valutazione dei risultati
La fase di sperimentazione ha avuto luogo dal 21/10/02 al 21/04/03: il me­
todo adottato è stato quello osservazionale prospettico.
I pazienti ammessi nelle unità operative, sede dello studio, sono stati sottoposti a screening attraverso la somministrazione della scheda Morse per iden­
tificare il paziente a rischio di caduta.
Ogni evento caduta esperito dai pazienti è stato monitorizzato dall’infer­
miere rilevatore presente al momento in cui si è verificato.
312
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
Le schede di monitoraggio degli arredi e presidi e della struttura sono state
compilate dal personale in servizio una volta all’inizio della sperimentazione,
poi ogni tre mesi.
Osservazioni
I dati emersi dallo studio non consentono al momento di dare una risposta
definitiva ai quesiti oggetto della sperimentazione, ai quali sarà forse possibi­
le rispondere dopo un monitoraggio dell‘evento caduta sull’universo dei pa­
zienti ricoverati in azienda per il periodo di un anno.
Tuttavia questi risultati aiutano a rivedere alcune raccomandazioni delle
linee guida:
- la popolazione target ha un’età > ai 70 anni, e presenta almeno una delle
seguenti caratteristiche: diagnosi di malattie neurologiche, cerebrovascolari,
cardiovascolari, stato mentale alterato, deambulante autonomamente e con
aiuto;
- i fattori ambientali e lo stato della struttura sembrano influire sull’aumento
di probabilità di caduta solo come fattori secondari alle sopra descritte con­
dizioni del paziente. In presenza di queste condizioni una buona illumina­
zione, specialmente notturna, letti disarticolati e corrimano nei percorsi più
usati dai pazienti possono aiutare nella prevenzione;
- dai dati emersi dalla valutazione della scheda Morse, si può affermare che
la scala è abbastanza predittiva per quanto riguarda l’individuazione dei
pazienti che non cadranno, ma lo è molto meno per l’individuazione dei
soggetti con alta probabilità di caduta;
- la percentuale di caduti nei reparti soggetti alla sperimentazione è aumen­
tata passando da una percentuale dello 0,5% (dato emerso con l’indagine
retrospettiva) ad una percentuale dell’1,2 %. Questo dato conferma l’ipotesi
formulata dal gruppo, di una sottostima del fenomeno nelle indagine pre­
cedente e dimostra come l’assenza di un sistema di monitoraggio sistemati­
co, porti a un errata interpretazione della qualità offerta dai servizi. Si ritie­
ne tuttavia di dover dare una lettura positiva di questo dato , in quanto
dimostra che una maggiore educazione ed una maggiore responsa­
bilizzazione del personale porta a un cambiamento culturale in virtù del
quale l’evento caduta è stato percepito non come un errore da nasconde­
re, ma come un evento da monitorare, per conoscerne la dinamica e poter­
lo più facilmente prevenire.
Conclusioni
Malgrado alcune difficoltà incontrate, si ritiene che la documentazione ela­
borata possa essere ritenuta un valido strumento per il miglioramento della
313
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
qualità dell’assistenza e un esempio di percorso metodologico da seguire per
altre aree tematiche ritenute rilevanti ai fini della promozione della Best
Practice, sia a livello assistenziale che organizzativo.
Ma soprattutto, al di là degli specifici risultati ottenuti, il progetto ha contri­
buito a realizzarne altri: nei reparti soggetti alla sperimentazione ha consenti­
to di coinvolgere tutti gli operatori in un processo qualitativo di mantenimen­
to, miglioramento dell’assistenza, e di rafforzare gradualmente in loro una
cultura della promozione della salute.
12.82. La promozione della salute attraverso una campagna di
comunicazione sul diabete mellito. L’esperienza dell’Azienda per i
Servizi Sanitari n. 6 “Friuli Occidentale” - Pordenone.
S. CORONA1, M. CASTELLETTO2 - Azienda per i Servizi Sanitari n. 6 “Friuli Occi­
dentale”, 1Responsabile Ufficio per le Relazioni con il Pubblico, 2 Responsabile
S.O.C. “Area della Medicina Legale e Gestione attività sanitarie”
AUTORE REFERENTE: SILVANA CORONA, Via Vecchia Ceramica, 1, 33170 Pordenone ­
tel.: 0434 369988, fax: 0434 523011, e-mail: [email protected]
Breve introduzione del contesto
Il diabete mellito è una delle patologie più diffuse nei Paesi Occidentali,
può associarsi all’obesità e costituisce un importante fattore di rischio per le
malattie cardiovascolari, renali, del sistema nervoso periferico, della vista, ecc..
é stato riconosciuto come “malattia sociale” per il fatto di costituire un proble­
ma di sanità pubblica in quanto, da un lato, comporta un elevato carico socia­
le e assistenziale, mentre, d’altro canto, esiste una molteplicità di interventi
sanitari in grado di prevenirne le complicanze e di migliorare la qualità della
vita delle persone colpite.
Nel Friuli Venezia Giulia si stima che vi siano oltre 38.000 diabetici (con un
tasso di prevalenza del 3,43 ogni cento per abitanti, superiore alla media na­
zionale di 3,02 per cento), e in provincia di Pordenone i diabetici sono oltre
9.000 (3,2 ogni cento abitanti).
L’assistenza ai diabetici residenti sul territorio provinciale è fornita, in parti­
colare, da cinque servizi diabetologici: tre fanno capo all’Azienda Sanitaria e
due all’Azienda Ospedaliera “S. Maria degli Angeli” di Pordenone.
I bisogni e le aspettative delle persone diabetiche sono fortemente rappre­
sentate sul territorio dalle Associazioni di Volontariato, in particolare dall’As­
sociazione Famiglie Diabetici della provincia di Pordenone, che ha promosso
e sostenuto finanziariamente la realizzazione di una vasta campagna di comu­
nicazione sul diabete. Questa iniziativa si è realizzata mediante la collabora­
314
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
zione, attivata dall’Azienda Sanitaria, con l’Azienda Ospedaliera e con i medi­
ci di medicina generale. In particolare, si è costituito un gruppo di lavoro
interaziendale, coordinato dall’Ufficio per le Relazioni con il Pubblico, che ha
coinvolto vari servizi e al quale hanno preso parte diverse figure professionali
(diabetologo, dietista, nutrizionista, medico legale, farmacista, medico di me­
dicina generale) per un totale di 15 componenti.
Obiettivi
La realizzazione della campagna di comunicazione intendeva perseguire
principalmente i seguenti obiettivi:
- accrescere l’informazione sulle problematiche sanitarie connesse a una delle
patologie più diffuse nei Paesi Occidentali;
- aumentare la consapevolezza nelle persone affette dal diabete sulle possi­
bili complicanze e sulle modalità per impedire o rallentare le complicanze
stesse;
- favorire un utilizzo più diffuso e più regolare dell’esecuzione di un esame
laboratoristico (emoglobina glicata), particolarmente utile per monitorare
l’andamento della glicemia in un arco temporale dei due – tre mesi antece­
denti l’esecuzione dell’esame;
- promuovere stili di vita sani, in particolare dal punto di vista dell’alimenta­
zione e dell’attività fisica;
- migliorare l’accessibilità ai servizi diabetologici presenti sul territorio pro­
vinciale;
- rafforzare la tutela dei diabetici negli ambienti scolastici;
- fornire riferimenti certi in tema di esenzione per prestazioni specialistiche
ambulatoriali e farmaceutiche e per il rilascio/rinnovo della patente di gui­
da.
Gruppi Target
Il gruppo di lavoro ha individuato, nella provincia di Pordenone, tre princi­
pali categorie di destinatari:
- la popolazione in generale;
- le persone affette da diabete;
- i familiari delle persone affette da diabete.
Presentazione e valutazione dei risultati
Come strumenti informativi sono stati prodotti dieci opuscoli ad argomento
diversificato su questa patologia e sui riflessi che questa comporta nella vita di
tutti giorni. La serie inizia con informazioni generali sul diabete e prosegue
315
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
con indicazioni dettagliate sulle modalità di autocontrollo, sulle possibili
complicanze, sulle modalità di accesso ai cinque servizi diabetologici della
Provincia. Fornisce, poi, indicazioni per un corretto stile alimentare, norme
comportamentali per soccorrere con efficacia i diabetici nell’ambiente scola­
stico, indicazioni per il rilascio e rinnovo della patente di guida e si chiude
con precisazioni per sapersi meglio destreggiare nel difficile mondo delle esen­
zioni per prestazioni specialistiche e farmaci.
Per raggiungere efficacemente, in tutto l’ambito provinciale, i diversi
destinatari individuati, sono stati stampati oltre 60.000 opuscoli e sono stati
selezionati canali interni ed esterni diversificati per la distribuzione degli stes­
si. I canali interni erano rappresentati dai servizi diabetologici, dagli Uffici
sanitari, dalla Commissione Medica Locale per le patenti di guida, dalle
articolazioni degli Uffici per le Relazioni con il Pubblico delle due Aziende
Sanitarie e dagli spazi di maggiore aggregazione dell’utenza (sale di attesa,
sportelli, ecc.). I canali esterni erano rappresentati dagli studi dei Medici di
Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta (n. 260), dalle farmacie (n. 81),
dalle Associazioni di categoria (n. 3) e dalle Scuole (n. 80).
Come indicatore più significativo, ma anche di più immediato e agevole
riscontro per misurare l’efficacia della campagna informativa, è stato indivi­
duata la variazione dell’esecuzione di una certa tipologia di esame (emoglobina
glicata) nell’ultimo quadrimestre del 2002 in rapporto all’ultimo quadrimestre
dell’anno precedente (2001).
Tab. 1
Riferimento temporale
9-12 / 2001 9-12 / 2002
% 1-4 / 2003
%
Prestazioni (emoglobina glicata)
6.545
6.881 + 5,1
6.875 + 5,0
Utenti
5.650
6.057 +7,2
6.000 +6,2
L’analisi dei dati ha evidenziato un aumento del 5% delle richieste di esecu­
zione dell’emoglobina glicata e questa percentuale si è mantenuta costante
anche nel primo quadrimestre dell’anno successivo (2003), mentre il numero
di assistiti che hanno fatto ricorso a tale esame è percentualmente aumentato
in misura ancora maggiore. Questi persistenti incrementi portano a ritenere
che la campagna informativa abbia trovato larga diffusione e pronta applica­
zione, col risultato di determinare sia un più diffuso ricorso all’esame della
glicemia glicata (aumento significativo del numero degli assistiti che hanno
effettuato l’esame), sia una razionalizzazione del numero degli accertamenti
eseguiti (incremento dell’esame in misura percentualmente minore di quello
degli assistiti). Questo incremento è da ritenersi particolarmente significativo
e utile nella gestione della malattia diabetica, in quanto tale esame, consente
di conoscere meglio l’andamento della glicemia in un lasso di tempo medio –
lungo. Ciò consente, non solo di stare meglio, ma anche di ridurre la probabi­
316
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
CAPITOLO 12
lità di complicanze legate al diabete, tanto quelle acute (chetoacidosi e coma,
coma iperosmolare e ipoglicemico), quanto quelle croniche (neuropatia,
retinopatia, nefropatia, malattia vascolare) che, tra l’altro, costituiscono il fat­
tore più rilevante nel determinare il peso della malattia.
L’iniziativa ha permesso anche alle Aziende di raggiungere ulteriori risultati
importanti, come l’omogeneizzazione delle procedure di presa in carico delle
persone diabetiche all’interno dei vari Servizi Diabetologici; il rafforzamento
della logica di lavoro di rete interaziendale; un generale miglioramento del­
l’immagine; il consolidamento del rapporto con le Associazioni di Volontariato,
che hanno dimostrato di gradire la disponibilità ad ascoltare le loro istanze e
proposte e a trasformarle in progetti condivisi.
Conclusioni
L’aumento del numero complessivo dell’esame (emoglobina glicata) rileva­
to nell’ultimo quadrimestre del 2002 in rapporto all’ultimo quadrimestre del­
l’anno precedente (2001) e, ancor più, l’incremento persino maggiore degli
assistiti che hanno praticato tale esame inducono a pensare che la campagna
informativa abbia incontrato il grande interesse degli assistiti e abbia sortito
un importante risultato: una maggiore informazione e consapevolezza sugli
effetti della patologia e, auspicabilmente, l’acquisizione di un maggiore impe­
gno nel ricercare stili di vita corretti, tali da favorire il controllo degli effetti
della patologia e, in ultima analisi, un miglioramento della qualità di vita.
Da ultimo, anche se i dati meriterebbero un maggiore dettaglio di appro­
fondimento, al momento non disponibile, sembrerebbe di poter cogliere che
la campagna informativa abbia conseguito non solo un incremento del nume­
ro percentuale di accertamenti di emoglobina glicata eseguiti, ma anche una
razionalizzazione del numero degli accertamenti stessi.
L’iniziativa, infine, può essere considerata anche un positivo connubio di
risorse tra il settore pubblico e il terzo settore rappresentato dalle Associazioni
di Volontariato: l’uno per aver messo in campo la professionalità e l’altro per
aver messo a disposizione le risorse finanziarie e per aver dato voce ai biso­
gni dei diabetici; insieme per promuovere la salute e rafforzare la tutela della
centralità del cittadino.
317
Provincia Autonoma di Trento - Documenti per la salute n. 19
Scarica

Documenti per la Salute 19