SOMMARIO
3 Mario
4 -----------5 Mario
Fancello
-------------Fancello
Disagio
Elenco di altri video a disposizione (a c. di M. Fancello)
Note informative
7 ------------
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Precisazioni (a c. di M. Fancello)
8 Maurizio
Sciaccaluga
"Doppio invisibile"
10 Monica
Silvi
Archeologia Contemporanea
11 Mauro
Ghiglione
Trascrizione dell'intervento (a c. di M. Fancello)
26 Mario
Fancello
28 Mauro
Ghiglione
L'arte non è fatta per essere compresa
32 F. Ravaschio
A. Gandini
Incontro con l'artista Mauro Ghiglione
Sottolineature
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Conversazione con Rosa Leonardi (a c. di M. Fancello)
42 ------------
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Scheletri nell'armadio: Giovanni Papini
Cantarena
Anno II - Numero7
Settembre 1999
Periodicità trimestrale
Direzione e redazione
Mario Fancello
Silvana Masnata
Rosangela Piccardo
Mirella Tornatore
Realizzazione grafica
Mario Canepa
Mauro Grasso
Rosangela Piccardo
Produzione e distribuzione in proprio
Per contatti ed informazioni
Scuola Media Statale V. Centurione
Salita inferiore Cataldi, 5
16154 Genova
Fax 010 / 6011225
Posta elettronica
[email protected]
In copertina:
Manifesto per la mostra/Poster for the exhibition
"Sottsass at work", Hannover,1994.
Courtesy Centro per l'Arte Cont. L. Pecci, Prato.
In quarta di copertina:
Mauro Ghiglione,
"Festina lente" (Titolo provvisorio)
cm 300 x 150 + dimensioni variabili
Mauro Ghiglione durante l'incontro,
fotografie di Mario Fancello
COMUNICATO:
Ringraziamo per la collaborazione
la Federazione Democratici di Sinistra.
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DISAGIO
Dalla data di nascita della videoarte ad oggi sono trascorsi più di trent'anni: un arco di tempo non
ancora sufficiente a sensibilizzare l'istituzione scolastica. Eppure i lavori in video si sono così
rapidamente moltiplicati da costringere anche il più trasognato e frettoloso testimone ad
avvedersene. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno d'autismo cognitivo che dilata a dismisura la
sua inesplicabilità là dove i filmati sono più meritevoli di lode.
Titoli e autori a non finire si affollano dinanzi agli occhi. Difficile operare una scelta. Ma se si vuole
ad ogni costo additare un esempio concreto, senza alcuna pretesa di farlo assurgere a modello
onnicomprensivo, potrebbe essere citato "fine fine Millennio" di Giacomo Verde (1984-87-88, 10'):
un'opera di videopoesia intensa ed attualissima in cui gli effetti estetici, l'estensione lirica e il
richiamo alle responsabilità personali e collettive sono genuinamente e profondamente
interconnesse.
L'arte non è morta né è solo eredità del passato. L'artista d'oggi colloquia con chiunque sia
disponibile all'ascolto. Spetta a noi liberarci dalle bende dei pregiudizi.
Tenere lontani i giovani dalle espressioni artistiche che hanno affidato ai recenti mezzi tecnologici il
loro messaggio produce una deprivazione culturale molto grave. È tempo di porre mano alle
vastissime raccolte di videoarte esplorandole con sicurezza e libertà: la sicurezza delle nostre
soggettive preferenze e la libertà, propria degli allievi, di tirare le somme ed esprimere giudizi
attraverso la gioia di potersi rapportare a tu per tu con le idee.
Noi della Scuola Media Centurione stiamo scandagliando da molto la videoteca della Galleria
Leonardi V-idea e rivolgeremo quanto prima la nostra attenzione al parco video della gallerista
Caterina Gualco.
Sarebbe utile intrecciare una rete di scambi che permetta l'ampliamento delle conoscenze e la libera
circolazione delle opere in video. Se ci sarà la volontà di tutti non sarà utopia.
Caterina Gualco, via Nino Bixio, 2/6 s., Genova.
Galleria Leonardi V-idea, piazza Campetto, 8A/4-5, Genova.
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ELENCO DI ALTRI VIDEO A DISPOSIZIONE
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24.
M. Giusti - N. Loppi - F. Todini, Marina Abramovic, (Arte), Avvenimenti, RAIDUE,
3 luglio '97.
Pierre Coulibeuf, The star. Marina Abramovic, (Arte), 3 marzo '99.
L. De Ambrogi, Marinetti. "Il grande comunicatore", (Documentario d'arte), +3, '95(?).
F. Garcìa Lorca - Marco Ferreri, Yerma, 1934, (Teatro), RAIDUE, (?).
Teatro dell'Archivolto, L'incerto palcoscenico, (Teatro), +3, 2 ottobre '95.
Robert Bresson, Il processo di Giovanna d'Arco, 1963, RAITRE, 4 aprile '96.
Dedicato a Fellini, (Danza, letture, brevi sequenze filmiche), TMC, 14 settembre '94.
Darius Milhaud - Bronislava Nijnska, Le train bleu, 1924, (Danza), +3, 23 agosto '95.
Manuel De Falla - Léonide Massine, Le tricorne, 1919, (Danza), +3, 23 agosto '95.
Victor Ullate - Luis Delgado, Arrayan Daraxa, Spoleto '93, (Danza), Maratona d'estate,
RAIUNO, 17 settembre '94.
Victor Ullate - Jeronimo Maeso, Arraigo, Spoleto '93, (Danza), Maratona d'estate, RAIUNO,
17 settembre '94.
Julio Lopez - Antonio Vivaldi - Astor Piazzolla, Due mondi, 1990(?), (Danza), Maratona
d'estate, RAIUNO, 3 settembre '94.
DV8 Phisical Theatre, Dead dreams of monochrome men, 1990, (Danza), +3, 7 giugno '95.
DV8 Phisical Theatre, Strange fish, 1993, (Danza), +3, 7 giugno '95.
Twyla Tharp - Philip Glass, Oppositions (In the upper room), (Danza), Maratona d'estate,
RAIUNO, 28 settembre '96.
Trisha Brown - Peter Zummo, Newark (Niwe weorce), 1987, (Danza), +3, 19 luglio '95.
Philippe Decouflé - Francois Roussillon, Abracadabra, 1998, (Danza), ARTE, 14 ottobre
'98.
Philippe Decouflé - Francois Roussillon, La planète Decouflé, 1998, (Documentario di
danza), ARTE, 14 ottobre '98.
(proseguirà nel prossimo numero)
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NOTE INFORMATIVE
Mercoledì 16 febbraio 1999 l'artista Mauro Ghiglione ha incontrato gli alunni della III B e della
III C nell'auditorium della scuola media di Salita Inferiore Cataldi.
Mauro e gli studenti di IIIB e IIIC a conclusione dell'incontro. Sono visibili, in mano agli allievi, i cataloghi della
mostra Sospensioni tra la Memoria e l'Oblio.
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Dopo l'esperienza del precedente anno scolastico abbiamo ritenuto più idoneo ridurre il numero dei
partecipanti a due sole scolaresche per non disperdere eccessivamente la concentrazione dei ragazzi.
E in effetti l'interessamento e l'assenso al dialogo sono stati più diretti e costruttivi.
Al termine del confronto, Mauro ha consegnato ad ognuno dei presenti il catalogo di una sua
esposizione personale, intitolata Sospensioni tra la Memoria e l'Oblio, allestita nel 1997, ed ha
inoltre donato un'opera , da inglobare nel piccolo nucleo della collezione in fieri.
Ringraziamo pubblicamente l'Artista per la Sua disponibilità ad affrontare con reale interesse le
tematiche connesse all'educazione degli adolescenti e a supportare le nostre iniziative didattiche con
suggerimenti vari.
La trasposizione dell'intervento è, come sempre, priva della convalida da parte di chi quel confronto
ha sostenuto in prima persona. Ci sentiamo perciò unici e immediati responsabili degli accidentali
travisamenti in cui possiamo essere incorsi.
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PRECISAZIONI
Il presente numero non è corredato dell'aggiornamento del curriculum di Ghiglione in quanto
Mauro, durante una recente conversazione telefonica (1 luglio '99), aveva manifestato una certa sua
avversità per quest'uso comune.
Preferisce inoltre non datare le sue opere perché le ritiene svincolate da precisi dettami storiografici.
Se esse sono attuali, lo sono indipendentemente dall'anno o dal periodo in cui sono state composte.
L'opera è per Mauro il veicolo dell'idea, attorno alla quale si coagula il fare artistico, che dà luogo
ad un processo di reciproca metamorfosi tra l'agire e il pensare, al cui termine l'idea di partenza,
anche se più o meno radicalmente modificata, costituisce il motore d'avvio senza il quale l'opera
stessa non si sarebbe configurata.
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"DOPPIO INVISIBILE"
"Assente sempre. Tutto è successo senza di me"
Samuel Beckett - Finale di Partita.
Tradendo impunemente quell'ansia d'assolutismo ed immanenza che sembra oggi pervadere gran
parte della creatività artistica e rinunciando ad una pratica tragica o etica del "fare arte", Mauro
Ghiglione mette in scena l'Attesa. Nelle sue opere - dove nulla succede poiché tutto è già avvenuto amara è la contrapposizione tra la stabilità della materia e l'assenza dell'uomo, tra la sopravvivenza
del mondo e la perdita del desiderio. Impalpabili ed imperscrutabili - sfondi atoni nello spirito oltre
che nella resa cromatica - i lavori di Ghiglione sarebbero scenografie adatte alle pieces di Beckett e
Ionesco, ai testi di Pinter, a spettacoli atti a mostrare l'incongruenza e l'assurdità delle aspirazioni
umane. Come Ercole ed Atlante o la Terra e la Luna nelle Operette leopardiane, anche il vetro e la
pietra dei lavori di Mauro non sembrano avvedersi della presenza dell'uomo o forse - ancor più
drammaticamente - han solo intuito come questa non possa essere se non relativa: seppure un dì
Narciso ebbe di che specchiarsi nella calma piatta del liquido vetro, nessuno - tranne lui - se ne
accorse. E niente - ovviamente - mutò. Palcoscenico di inutili aneliti ad Essere, di inutili bramosie a
Divenire, queste opere recano seco la terribile eterna sospensione del mondo, il registro di pausa
proprio della materia, la rigida e ferrea legge dell'immutabilità della Natura.
"La tendenza artistica non è espansione, ma contrazione. L'Arte è l'apoteosi della solitudine"
(S. Beckett). Mauro Ghiglione - sulle orme di Charles Augustus Lindbergh e di The Spirrit of
St. Louis, del gabbiano Jonathan Livingstone - scopre e vive la poetica e l'astrazione del volo,
guarda dall'alto e da lontano la pratica attiva e coinvolgente del costruire. Come accade alla terra se
vista dal cielo, le creazioni di Ghiglione perdono frequentemente i rapporti con la realtà circostante,
divengono irraggiungibili ed estranee, appaiono oltremodo non calpestabili. Ed è proprio la certezza
dell'impossibilità di segnare queste opere - la sicurezza di non poter marcare il territorio con
un'orma, una traccia del nostro avvenuto passaggio - che le allontana da noi, le rende panorami
inconsueti ed impassibili, le connota - eteree e rarefatte - nell'universo della pausa e della
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riflessione. Interazione proibita, dunque, poiché "non è l'uccello, l'uomo: mai l'uomo volerà" - come
disse il Vescovo al Sarto.
Omaggi adornati come are di pietra e vetro, all'Attesa ed alla Sospensione, i lavori di Mauro
Ghiglione dimorano in una dimensione distante dalla nostra, incuranti del frenetico ed ansimante
procedere dei nostri destini. Suggeriscono sovente una domanda - Dove andrei, se potessi andare,
come sarei, se potessi essere, cosa direi se avessi una voce …? - ma non si dilungano nel suggerire
la risposta. Guardandoli mi dico che forse i miei anni migliori sono finiti. Quando la felicità era
ancora possibile. Ma non li rivorrei indietro. No, non li rivorrei indietro.
Maurizio Sciaccaluga
Genova, settembre 1994
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ARCHEOLOGIA CONTEMPORANEA
Sum over histories è il titolo della personale di Mauro Ghiglione, esposta alla galleria Martano di
Torino fino al 30 giugno '99. Pietre litografiche, densimetri, termometri e compassi sono oggetti
che, nell'impossibilità di essere utilizzati, vengono svuotati del loro normale significato per
assumerne uno più profondo, in questo senso l'artista gli dona una funzione concettuale diversa. È
arte intenta a far coincidere la sua essenza con la realtà fisica dell'oggetto e lo supera. Oggetto in
quanto strumento di comunicazione. Oggetto come testimone di un passato appena percepito. Uno
degli elementi che compone l'installazione Festina lente, il cono, è il punto d'incontro tra presente,
esterno del solido, e il ricordo puro, il suo interno; l'opera entra nella nostra dimensione
coinvolgendoci a tutto tondo. Ghiglione non trasporta semplicemente del materiale nel contesto
artistico, spazio-galleria, bensì lo identifica con ciò che egli chiama tempo zero, un tempo nullo e
inesistente che permette l'impossibile: calcolare, ad esempio, la dispersione energetica remota o
forse mai esistita (Termorilevazione di calore andato). Nell'opera 17 centimetri d'aria davanti ad un
manoscritto il vecchio compasso in ferro battuto esiste per ciò che deve fare: misurare. Ponendo
però l'accento sull'inutilità e il paradosso di questo gesto. Sono storie della storia, tasselli di un
mosaico allo stesso modo dipendenti e indipendenti gli uni dagli altri. È' il relatore di una ponderata
analisi che rispecchia un disagio interiore in bilico tra la volontà, il controllo e l'inattuabilità di
successo; tra il vecchio ed il nuovo, tra la progettazione attenta e la casualità. Viene richiesta allo
spettatore una maggiore attenzione, una lettura più contemplata e ragionata rispetto a quella
intuitiva che superi la riconoscibilità dell'oggetto in quanto tale, ed esso non esiste solo perché
l'uomo ne sia fisicamente il beneficiario, ma si fa reperto archeologico obliato e silenzioso di un'arte
chiamata grigia. Sfuggendo ad una precisa definizione rimanendo ai margini dell'impersonale. La
memoria, a cui l'autore dà un valore storico, e il tempo sono le costanti di questa ricerca.
Monica Silvi
CORRIERE DELL'ARTE
Sabato 19 giugno 1999
Mauro Ghiglione alla Galleria "Martano"
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TRASCRIZIONE DELL'INTERVENTO
Legenda
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MG
RR
FR
JT
FB
MM
CM
RP
MF
-
Mauro Ghiglione
Ragazzi, alunni delle classi, III B, III C
Fabio R.
Jacopo T.
Federica B.
Matteo M.
Claudia Meschinelli
Rosangala Piccardo, professoressa d'Educazione Artistica
Mario Fancello
Manca un lungo pezzo iniziale perché non presente in registrazione.
-
MG -[ … ] oggi questo non va interpretato per l'arte; oggi quello che avviene nel
mondo avviene a livello mondiale, quantomeno per la civiltà occidentale è già
comunicazione … [ironizzo].
MF -[Gli porgo il microfono e lui accenna ad un gesto di rifiuto]. Sì, per forza! È per
lasciarti un po' a tuo agio …
MG - Devo proprio?
MF - Sì.
MG - Ma non mi sentite?
MF - Perché non registra; non registra se non lo tieni e se non hai il microfono, …
MG - Non importa. Ah, va be', eee, che stavo dicendo? No, ecco, stavo dicendo che
senza la figura di critici che hanno scoperto e portato (attraverso i canali della
comunicazione eee tecno… anche tecnologica che abbiamo oggi) a conoscenza di
tutto il mondo dell'operato di questa … Adesso io parlo di Keith Haring perché
pensavo fosse quello che avete visto sui diari, eccetera, però non era solo lui; c'era
11
-
-
-
… eee …, va be', … erano almeno una decina questi
MF - Basquiat.
MG - Sì, Basquiat, poi c'era quell'altro che faceva il becchino … beh, adesso mi
sfugge, va be'. Ad ogni modo sono stati fatti conoscere alla comunità internazionale,
quindi il critico svolge anche questa funzione, ché senza di lui non potremmo parlare
di graffitisti ed arte - diciamo - neoselvaggia; è stata anche definita qui da noi, in
Europa, negli anni Ottanta. Quindi il critico è una figura determinante che è diversa
dallo storico. Lo storico d'arte è quello che si occupa di ciò che già è storicizzato, ciò
che già dovreste studiare a scuola - non so se qua o alle superiori o …-. Il critico
militante è quello che invece segue nelle gallerie quelli più illuminati, anche negli
studi degli artisti, e collabora e si adopera perché vengano fuori quelli che lui ritiene
insieme agli artisti essere dei valori da proporre alla collettività; quindi è vero che ha
la capacità di influire, di influenzare, anche se questo a me non piace molto, perché
[si schiarisce la voce] la capacità d'influenzare che ha (e che non si può non
riconoscere) deriva anche dal fatto che ci sia un popolo di persone che sono disposte
a farsi influenzare; voglio dire, io col vostro professore ho detto sovente, mi pare, che
è legittimissimo che a dei ragazzi, poi a delle persone adulte, l'arte - e l'arte
contemporanea - non interessi, lo trovo anche giusto, a volte trovo che possa anche
essere noiosa per certi aspetti, quindi lo trovo …; la cosa che non trovo
assolutamente invece giusta perché inve… (la vedo proprio come un'ingiustizia nei
confronti …) è non avere la possibilità di scegliere, cioè io voglio che uno dica a me:
"Di queste robe non m'interessa niente", però deve essere una scelta, non dev'essere
che voi non avete mai saputo quello che avviene, e qui io volevo parlare un attimo,
me l'ero anche scritto, perché [di] tutto quello che ho scritto non ho detto ancora
niente [ridacchia].
MF - Dovrai tagliare.
MG - Sì, sì, va be'. Eee una cosa che secondo me è importantissima è la curiosità.
La curiosità è quella che, almeno a me personalmente, ha fatto avvicinare a questo
mondo ed ero forse poco più grande di voi, insomma no, un po' più grande ma
non …, e la curiosità ritengo essere un motore molto forte per la crescita diciamo sia
individuale che della civiltà. Ora ritengo anche che la curiosità possa diventare a
volte pericolosa perché porta alla voglia di esperire, di fare delle esperienze che se
non sono, come dire, ben indirizzate o quantomeno supportate da aiuti diciamo di
istituzioni come possono essere la scuola il professore o genitori o compagni può
diventare pericolosa, mi riferisco in particolare, non so se voi conoscete Jim
Morrison o avete conosciuto o sentito …
RR - [Voci di sottofondo].
MG - No? Chi è che non lo conosce?
RR - [Voci di sottofondo].
MG - Jim Morrison era il leader dei Doors.
RR - [Voci di sottofondo].
MG - Quello che si è …,sì, che è morto; è stato suicidato e ha avuto … ha
attraversato tutta una serie di esperienze che riguardavano principalmente il mondo
della droga per esempio. E a me aveva colpito in una delle ultime interviste quando
gli chiedevano della sua diciamo avventura (che poi ha avuto anche come dire sul
versante del successo una qualche gratificazione insomma) e lui ha risposto che tutto
quello che aveva fatto l'ha fatto per semplice curiosità. Ora secondo me una persona
che per certi versi si può ritenere geniale avrebbe avuto il dovere, quantomeno nei
confronti dell'umanità, di esprimersi in maniera più compiuta, in maniera più … più
organica; non so come dire; il fatto che fosse rimasto lui solo con questo grande
desiderio di … di esprimersi, di conoscenza e di esigenza di fare delle esperienze se
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-
-
-
non è stata…; c'era stato secondo me questo vuoto, diciamo dal punto di vista sia
umano che di supporto, e ha portato diciamo a vedere un'esistenza di un essere
umano tutto sommato abbastanza bruciata; ecco, questo è, a mio modo di vedere, una
grande perdita, un delitto che l'umanità ha nei confronti di vite che poi prendono
queste direzioni; quindi (se per rispetto alla curiosità) io ritengo che voi dobbiate
chiederlo soprattutto alla scuola che vi venga presentato tutto ciò che può costituire
interesse per voi. Io sono qui adesso …; parlo a ruota libera d'arte e d'arte
contemporanea, ma ritengo che questo valga rispetto ad ogni disciplina perché
dev'essere …; diciamo la scuola è il luogo che io vedo come deputato, cioè nato
appositamente per far comprendere, per far conoscere e dopodiché solo così voi
potete scegliere; scegliere significa anche quindi aver fatto un'esperienza su
determinati ... eee ... - [tossisce] scusate - eee aver fatto un'esperienza su determinati
campi del sapere e la capacità di fare esperienza secondo me è determinante, diventa
diciamo una ... una ... una ... una cosa importantissima in quello che è il mondo
dell'arte; cioè senza il fruitore, cioè senza che voi andiate a vedere l'opera e mettete
in campo quelle che sono le vostre conoscenze, le vostre emozioni a prescindere dai
critici, io sono d'accordo questo, ancorché uno può gettare via [si schiarisce la voce]
il giudizio di un altro solo se lo conosce, quindi non possiamo dire siccome è un
critico non m'interessa. É bene sempre approfondire poi caso mai si scarta e e e
questo è importante perché la capacità critica è la capacità quindi di fare delle
esperienze direttamente noi con l'opera o con l'installazione o con … perché - questo
non ne ho ancora parlato - gli artisti di arte contemporanea operano con un mucchio
di strumenti che vanno dalla tecnologia al video al computer piuttosto che al … alla
performance, che sono diciamo delle piccole operazioni di teatro della durata di
mezz'ora, un'ora
MF - Aspetta un attimo, un secondo, perché qui in fondo abbiamo la telecamera,
vorremmo un po' riprendere
RR - [Rumorosi commenti, battimani e tifo da stadio perché il ragazzo, che vuole
partecipare direttamente al dibattito, è stato da me sollecitato a porsi dinanzi alla
videocamera e a fare uso del microfono].
MG - Devo dargli il microfono?
MF - Non lo vuole.
FR - Cioè, volevo solo dirle che secondo me …
MF - [Rivolto a Fabio] Girati verso la telecamera. [Fabio volge il viso verso la
videocamera] Ecco.
FR - Eh, volevo dirti, cioè, io vado a vedere una mostra, cioè, io …, cosa …, cosa
pensa che sarebbe giusto fare? Cioè, almeno un'opinione personale: io non vado a …
a …, cioè vado a vedere un quadro, una mostra, penso e vedo cosa mi rappresenta
per me il quadro, ma per me …, poi dopo leggo cosa ha detto l'artista, cosa dice il …,
eh
MF - Stai dicendo delle cose, secondo me, giuste.
FR - Cioè, io vado a vedere il quadro e penso a quello che rappresenta per me; poi
quello che dice il critico è un'altra cosa, poi magari posso fare un riscontro tra quello
che ho pensato io e quello che dice il critico e cerco di vedere cosa è giusto. Poi
un'interpretazione giusta di un quadro non penso che ci sia perché un quadro può
sempre … vuol dire molte cose, cioè un artista appunto dice io questo quadro l'ho
fatto così perché secondo me rappresenta questo, che poi
MF - E, secondo me, anche l'artista non "sa" sempre cosa voglia dire.
FR - Eh, appunto. Poi è quello che provoco negli altri. Secondo me, è da considerare
tanto quello che un quadro significa per la gente nel senso che le reazioni diverse
della gente che ha quando lo guarda. Questa è la cosa …
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Mauro Ghiglione durante un momento del colloquio.
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-
-
MF - Passagli il microfono.
MG - Allora. È vero. Quello che hai detto è vero. Io, a questo punto, a me mi si apre
un problema di questo tipo, eee per l'arte in ge [in genere], tutta, non soltanto quella
contemporanea. Non è un fenomeno, a me spiace, ma non è un fenomeno popolare o
di massa. Eee mia mamma ancora adesso, quando riceve delle sue amiche, va in
difficoltà perché non riesce a spiegare quello che fa suo figlio e allora tende a
nascondere le opere. Questo per … Mia madre è una persona semplice, con una
cultura medio-bassa. Dico questo perché …, per, diciamo, cogliere …, cioè avere
quella che io ho chiamato la possibilità di avere un'esperienza individuale. Davanti a
un'opera - qualunque opera - occorre avvicinarsi per gradi. Cosa intendo? Intendo
che eee … eee … Io per primo ho detto che l'arte contemporanea a volte risulta
difficile, ostica, e a volte anche noiosa. Perché? Perché siamo in quel territorio
diciamo di ricerca che è quella più evoluta rispetto a tutta la storia dell'arte che c'è
stata, e quindi è un po' come quando in un altro settore leggiamo il testo di … Io, se
leggo il testo di un professore, di un chirurgo, capisco poco e nulla; probabilmente se
lo legge un altro chirurgo gli risulta …, perché è un problema di linguaggio. Quindi
siccome è un linguaggio che è diverso dallo scrivere, dove lo scrivere voi imparate
dalla prima elementare, abbiamo tutti imparato e quindi abbiamo portato le nostre
conoscenze fino a un certo standard, fino a un certo livello e dopodiché lo
utilizziamo a nostro … e quindi [tossisce] lo utilizziamo per parlare, per scrivere.
L'arte è un linguaggio a sua volta e a sua volta necessita di essere conosciuto.
Probabilmente se tu passi davanti alla Gioconda provi delle cose - no? - , provi delle
cose
FR [Risposta non intellegibile].
MG - È esatto. Bravo. Chi è questa
[Suona la campanella].
MG - Chi è questa? Ah. Provi delle altre. Benissimo, sì. Questa è una dichiarazione,
è una dichiarazione, adesso …
CM - Mi dispiace devo andare in un'altra classe. Grazie.
MG - Arrivederci, arrivederci.
Dimmi. [Rivolto a me che gli ho fatto cenno di volergli parlare "privatamente"].
RR - [Gran chiasso da parte dei ragazzi che parlano tra di loro e per conto proprio].
MG - Va be'. Va be'. Vado avanti o no? Non so. Vado avanti, vado avanti o …
Allora …
MF - [Sollecito gli alunni a fare silenzio] Eh, ragazzi! Allora! Torniamo a far silenzio
perché la pausa dell'intervallo ve la siete fatta e non era in previsione.
MG - Va be', c'è stata una dichiarazione d'amore, quindi un attimo di … Va be'.
MF - e anche pubblica e registrata.
MG - Anche pubblica. [Rivolto all'alunno] Te, te ti sei fregato, guarda.
Allora io son stato ripreso.
[Ridacchio].
Sono stato ripreso perché vi faccio poche domande. Allora adesso te [Fabio] sei nel
mirino perché [ridacchia] …
MF - [Dico qualcosa che non riesco a decifrare].
MG - No, no, no. Invece, rispetto a quello che cercavo di dirvi prima: che occorre un
avvicinamento all'arte, a questo linguaggio un pochino più graduale e questo avviene
purtroppo attraverso lo studio. Eee, attraverso lo studio. Dico purtroppo se vi viene
imposto; perché, se fosse una scelta, studiare è una cosa molto stimolante. Ora io
volevo chiederti, farti questa domanda: tu m'hai detto che hai visto la Gioconda e
quindi avrai fatto delle considerazioni
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-
-
-
FR - [Dice qualcosa].
MG - Va be', allora … No, no, ho capito. Se tu passassi davanti - o non so se l'hai già
visto insomma - a un quadro tutto bianco, a una tela bianca, cosa succederebbe
dentro di te?
FR - Ne avevo vista una che [Non riesco a capire come concluda la frase].
MG - E cosa è successo dentro di te? Niente?
FR - Cercavo di interpretare cosa volesse dire l'artista.
MG - No, però io vorrei che foste onesti eh, nel senso …
MF - Mi spiace … Siediti anche. Però stai un attimo qui, perché se no non si sente
niente. [Il ragazzo viene infatti da me invitato a sedersi accanto a Mauro].
RR - [I ragazzi accolgono Fabio con grida e battimani].
MG - Allora… Però io voglio che mi rispondi onestamente, come fossi un tuo amico,
non come fossi un professore dove devi dire delle cose intelligenti, nel senso … Se tu
fossi davanti a …- io adesso ho detto la Gioconda ma puoi tu dirmi un quadro che in
qualche maniera ti ha colpito - e se viceversa passi davanti a una tela bianca cosa è
successo dentro di te?
FR - Io, cioè, un'interpretazione che darei adesso … sono diverse da quelle che avrei
dato quando ho visto la Gioconda, quando avevo più o meno sei anni. La Gioconda
adesso, sarà un quadro bellissimo rivalutato da tutti, ma adesso i quadri così, diciamo
un po' formali, …; cioè sto un po' svalutando nel senso che è un quadro che
rappresenta, non è astratto cioè. Sarà perché forse mi piacciono di più i quadri astratti
nel senso per vedere cosa rappresenta. Secondo me la Gioconda è, diciamo, una
prova di quanto sia bravo (adesso nella mia ignoranza non mi ricordo neanche …
Leonardo? Chi l'ha fatto?) …
MG - È lui, è lui; è lui è lui.
FR - ecco, cioè, di quanto fosse bravo a dipingere, di quanto fosse bravo a ritrarre
questa donna; e … niente. Invece un quadro astratto è più da capire, nel senso …
cioè …
MG - T'incuriosisce di più.
FR - Sì, perché nella Gioconda dico: Com'è bravo questo a
MG - Scusa, scusa. Io adesso ho fatto questo esempio, però in verità io vorrei trovare
una cosa, che tu ci fossi davanti e che ti faccia dire: Per me è una cazzata! Allora
MF - Mi raccomando …
RR - Un linguaggio un po' più formale.
[Chiasso da parte dei ragazzi].
MG - Ma …, scusate, ma … adesso … una cazzata mi sembra … È sul vocabolario
eh!
MF - Tante cose sul vocabolario …
MG - E non si possono dire?
MF - La scuola è [ipocritamente moralista. Non si sente quel che abbia risposto, ma
ricordo essere in sintesi questo il senso della mia affermazione].
MG - Io vi chiedo scusa se ho detto questa parolaccia.
RR - L'ha fatto Clinton con i filmati.
MG - No. Va be', va be', va be'. Allora io vorrei trovare un esempio dove c'è un'opera
che ti ha detto qualcosa, giusta o sbagliata che sia, e un'opera che invece ti ha fatto
dire questa è una …
RR - Bip, bip.
MG - Benissimo. Per cui mi è venuta in mente la tela bianca, ma potrei parlarti della
Merda d'Artista - Si può dire? È un'opera. Si può dire? È il titolo di un'opera, no? piuttosto che …, non so. C'è, c'è qualcosa che hai visto, che tu hai rifiutato
completamente nel senso che non è successo niente dentro di te e hai trovato …, ti
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sei addirittura sentito preso in giro? A me a volte capita di vedere delle persone che
magari si avvicinano, cioè in linea generale sono le prime volte che frequentano il
mondo dell'arte, diciamo dell'arte contemporanea, e la sensazione è che si sentono
prese in giro. Tu hai parlato di Leonardo e hai introdotto un concetto di tecnica, nel
senso che ho visto quanto era bravo; ma la tecnica in generale è l'ultima cosa, in
un'opera, che la fa diventare opera piuttosto che alto artigianato; no? [Rivolgendosi a
me che gli avevo fatto cenno] Dimmi.
MF - […] Ti volevo solo avvertire che c'è un ragazzo che voleva ancora parlare […]
MG - [Rivolgendosi a Jacopo]. Tu sei un artista? Tu ti sei rovinato oggi [ridacchia].
Eh, non so se avete capito. Cioè, vi è mai capitato di sentirvi essere presi in giro da
un'opera o da una situazione?
FR - Ah, sì, cioè, io, cioè, avendo visti pochissimi …, cioè, nella mia piccolezza,
avendo visto pochissimi quadri e opere, non ho avuto un'impressione così, però certe
volte penso quando un artista … Ho visto che c'era un uomo stilizzato, proprio la
faccina
MG - Sì.
FR - proprio … senza corpo in mezzo a un quadro bianco, con …, cioè senza titolo
praticamente, e questo era
MG - era quanto.
FR - un'opera. Niente. Allora io ho detto sicuramente avrà un significato. Io non lo
capisco. Potrebbe essere l'uomo nel …, un uomo piccolissimo nella complessità del
mondo; qualche cosa che
MG - Va be'. Al di là di quello che potrebbe essere, ti sei sentito
FR - No, perché
MG - inadeguato; quanto meno - dice - questo mi prende in giro.
FR - No, perché mi sembrava cioè, secondo me, un artista è una persona (magari una
definizione sbagliatissima sarà sicuramente) però secondo me un artista è una
persona che riesce a fare o a pensare delle cose che una persona diciamo normale non
riesce a fare, nel senso …, non è che sia un superuomo. Un artista deve ricercare
delle sensazioni, deve ricercare delle cose che una persona normale non riesce a
trovare subito. Però penso che - una cosa del genere - siamo capaci [a dare]
un'interpretazione più o meno tutti, almeno poi. Che non si vada poi nel banale.
Magari vent'anni fa una tela bianca così era una cosa, uno scandalo; adesso, al giorno
d'oggi, è quasi una banalità vedere una tela bianca, ché ne ho già visto un paio, con
titoli diversi; poi, dico: adesso non vogliamo fare sempre tele bianche … Magari
quella persona che l'ha fatta magari non è poi un artista così vero, nel senso che è una
persona che l'ha fatta solo per far vedere che l'ha capita, cioè una cosa del genere,
non so se
MG - Sì, sì, ho capito. Eee, ho capito quello che … [prende in mano il microfono
lasciatogli da Fabio]. Tu adesso, tu hai introdotto un nuovo elemento, che è quello
eee diciamo del nuovo, nel senso che una tela bianca …, tu dici una la vedo
volentieri perché capisco che è il risultato ultimo di una ricerca pittorica eee quindi
sono disposto anche a capire perché l'ha fatta; se ne vedo tante (è questo - no? - che
dici) se ne vedo tante comincio a … E questo è vero nel senso … Indubbiamente
vero proprio perché l'arte contemporanea è fatta sovente … La componente tecnica,
cioè quella che in Leonardo ti fa apparire la Gioconda più bella di quello che è,
inteso proprio la maestria del dipingere, nell'arte contemporanea questo viene meno
perché gli artisti rifiutano proprio come scelta in nome dell'idea. Quando Fontana
taglia la tela è un gesto che diventa innovativo e dirompente; è chiaro che poi il
ripeterlo non ha … non ha … perde di significato - no? - nel senso che al di là del
fatto che poi lui abbia ripetuto più volte per ragioni anche mercantili, perché poi gli
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artisti debbono anche mangiare nel senso [sorride] …, quindi le opere, che fanno, in
generale poi vanno sul mercato. Ecco, quindi … Ohé! Tocca a te eh! Tocca a te.
RR - [Ridacchiare dei ragazzi, battimani nei confronti di Jacopo e tanto tifo -ironicoda stadio].
JT - Volevo dire che ho provato le stesse cose che ha provato il mio compagno
guardando una tela bianca e io …
MF [Invito l'allievo ad occupare lo spazio di ripresa]. […] la telecamera ti riprende
meglio.
JT - No, no. Io le ho provate guardando un video che aveva portato il prof. Fancello.
Era un video molto probabilmente predadaista, come ha detto il prof, e a me ha
sciuscitato
RR - [Risata collettiva].
JT - Cosa ho detto? Va be'. Ha suscitato come un senso di rabbia e
MF - [Cerco di far tacere i ragazzi che continuano a scherzare sull'episodio]. Va
bene. Ora basta.
MG - Chi era: Sturli? Sturli?
JT - No.
MF - Non so. Qual era?
JT - era quello della Cantante Calva.
MF - Ah, La Cantatrice Calva di Ionesco. Ah, "dadaista", allora - sì - c'è [un
aggancio].
MG - Allora ti ha fatto rabbia …
JT - perché era qualcosa che un po' non rientrava nei miei canoni, in cui io racchiudo
l'arte. C'è …, anche perché noi poi … molti sono portati a pensare l'arte soltanto
come un quadro o una scultura o qualcos'altro e quando si vede appunto una tela
bianca non viene riconosciuta da noi come arte. È questo il punto.
MG - Bene, allora
JT - E poi volevo dire un'altra cosa, che secondo me Leonardo, che ha dipinto la
Gioconda, e uno che magari espone una tela bianca ci sono due differenze, perché
quello che espone la tela bianca lo fa per esprimere un proprio senso, una propria
condizione mentale oppure …
MG - mh mh [annuisce per indicare d'aver compreso]
JT - invece Leonardo lo faceva soltanto per …, secondo me, dal punto di vista
estetico, del quadro, della bellezza in sé.
MF - Io non sono d'accordo, su Leonardo, che voglia esprimere solo l'aspetto
estetico.
MG - No, neanch'io, ma va be', questo non vuol dir niente. Due cose mi son venute in
mente mentre parlavi, eee, la prima: hai introdotto il concetto di estetica eee non è
precisamente così, nel senso che Leonardo non aveva preoccupazioni principalmente
estetiche nel senso eee questi sono tutti problemi che riguardano la fruizione
dell'opera eee quindi chi la guarda nel senso che un'opera, sia un quadro bianco sia la
tela di Leonardo, ha i fanatici, che possono essere persone diverse e sovente lo sono,
in generale poi si sintetizza il tutto col dire è bellissima, e questo è un concetto
diciamo estetico. Eee sulle motivazioni che muovono un artista a lavorare sovente
l'estetica, ancorché sia una preoccupazione che c'è (per quanto mi riguarda c'è per
esempio) però diciamo è fra le ultime, è una cosa che io so che c'è, nel momento in
cui l'opera la do alla collettività e che la fruisce so che ci sarà una fruizione anche a
livello estetico e quindi quando compongo un'opera può essere che metta una cosa
piuttosto che in un altro per diciamo gestire questo rapporto prettamente visivo del
fruitore con l'opera, ma sicuramente le motivazioni che muovono un artista a lavorare
e a fare un'opera sono completamente diverse, sovente a centottanta gradi diverse,
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rispetto a quello che poi si dice dell'opera, sovente quello che si dice dell'opera è più
ricco di quello che l'artista mette in campo e qui intervengono di nuovo … diventano
preziosi sia i critici che gli appassionati che i galleristi eee poi c'è un aspetto che noi
non abbiamo ancora toccato che adesso ci arriviamo attraverso quello che hai detto;
tu hai detto: ci sono delle espressioni ar… hai parlato di un video che ti ha fatto
inca… [si corregge] venir rabbia perché, hai detto, stava al di fuori da quello che
erano i miei parametri per … le mie … i miei criteri per stabilire quel …, i miei
modelli artistici di riferimento, stava al di fuori, quindi mi ha fatto … mi ha dato
fastidio insomma, eee, io intanto vorrei sapere quali sono, i criteri voglio dire; ma in
maniera semplice, non è che voglio dei … cioè cos'è che voi … che vi fa ricondurre
una cosa in un mondo … dici questo fa parte dell'arte e questo no. Non so se ci avete,
eh? Come chi l'ha detto [rivolto a Jacopo]. Tu lo devi dire. Cioè cos'è che ti fa dire
questa tela bianca fa parte di un fare artistico e viceversa se la trovo in un negozio di
colori è una tela da comprare per farci un quadro
JT - [Risponde qualcosa ma non si sente nulla].
MG - Eh, appunto, io volevo sapere quali sono secondo voi i modelli, i riferimenti
che vi fanno dire di una cosa l'accetto come arte, cioè è ascrivibile al mondo
dell'espressione artistica piuttosto che no, questo [Termina qui il lato A del nastro e si
perdono perciò alcune battute del dialogo. Al momento della ripresa della
registrazione c'è un gran chiasso: parlano sia i ragazzi sia noi adulti].
MF - Ho visto che sei poco convinto [credo che mi stia rivolgendo ad un alunno]. Sei
la cavia.
RR - [Parlare dei ragazzi]. Diglielo. - Glielo dico io.
MG - Lui va aiutato poi
MF - Sì, gli metterò un più sul registro.
C'è un ragazzo, che faceva a me una domanda perché non aveva il coraggio di farla a
te, diceva: ma quale argomento stiamo trattando? Perché non gli era chiara [la
discussione].
MG - Neanche a me.
MF - [Ridacchio]. Allora va bene.
MG - Dunque, adesso …, da dove eravamo rimasti? Tu hai coinvolto lui, che …?
Che stavo dicendo?
RR - [Intervengono più voci di ragazzi].
MG - Sì, il problema è: da dove indietro? Dove eravamo? Da dove, da dove
dobbiamo ripartire? Da lui? [ Da Jacopo].
MF - Eh, sì. Cioè, lui mi pareva volesse dire qualcosa, tu stavi parlando prima, quindi
dal momento in cui si era interrotta la cassetta se puoi riprendere. Mi pareva che
stessi chiedendo i parametri in base ai quali
MG - Sì, i modelli di riferimento vostri per cui vi fanno accettare una cosa che vedete
che sta all'interno dell'arte piuttosto che quello che sta al di fuori prendendo come
spunto la sua osservazione che io mi sento di condividere. Anche a me è successo per
diverse cose che ci sono state situazioni che mi hanno urtato, mi hanno dato fastidio
insomma, e che questo mi sembra importante, perché è già il fare un esercizio critico,
cioè rifiutare qualcosa secondo me è importantissimo quanto accettarla, e io volevo
cercare di capire per voi, attraverso quello che avete potuto vedere a scuola, in
viaggio, in vacanza, che ha a che fare con l'arte, ciò che secondo voi può rientrare
dentro quando vedete oppure no, oppure se è qualcosa che vi urta insomma.
FR -Cioè, io volevo solo dire, che avevo già detto prima, che, secondo me, i canoni ,
cioè, quello che avevi detto anche te a Jacopo, … ([rispondendo a un suo compagno
che gli chiede se ha già pagato il canone]sì, l'ho già pagato) i canoni, cioè questo
posso dire: che questo è arte e questo no secondo me soltan[to] dipendono dal
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soggettivo di una persona, che secondo me è una cosa che … cioè ogni persona …
cioè per una persona … vede la Gioconda e dice questa secondo me non è arte e io
non posso andare a dirgli di no, questa è arte, l'han detto tutti, sono cinque miliardi di
persone che lo dicono e tu non puoi essere l'unico scemo che dice no. Cioè, secondo
me una persona va lasciata libera d'interpretare l'opera, come gli piace, ovviamente
può anche sbagliare, ma quello che volevo … che stavo dicendo prima …
MF - […] questa è anche una cosa sulla quale io son d'accordo, però c'è da tener
conto eee quando uno si esprime ha il diritto di esprimersi individualmente [Mi viene
porto il microfono e ripeto la frase] quando uno si esprime ha il diritto di esprimersi
individualmente, però c'è anche un discorso di comunicazione per cui deve essere
anche un linguaggio comprensibile dagli altri, cioè ci deve essere una base comune
sulla quale probabilmente nessuno, o quasi nessuno, non è in accordo - no? - perché
altrimenti … Poi su questa base si può essere in disaccordo totale o meno. Poi c'era la
questione, io non ho seguito le ultime parole che diceva Mauro, però chiedeva anche
quali erano secondo te, almeno quando era rimasto prima dell'interruzione, i canoni,
cioè le regole o quello che vuoi, per cui diceva vedo un'opera, una tela bianca, in
galleria dico un'opera d'arte, la vedo invece dal corniciaio e dico una tela ancora da
dipingere. Ecco, per esempio, oppure altre cose, secondo te, pensaci un attimo, non
lo saprei rispondere nemmeno io probabilmente, però pensaci un attimo; secondo te
quand'è che dici che un'opera può essere considerata … presa in considerazione
come un qualcosa d'artistico e quando invece assolutamente non lo è?
FR - Dipende dal contesto secondo me. Dal contesto appunto. Poi, per esempio, se in
una tela bianca così, … in una galleria, secon…, cioè, quella che ho visto io almeno
la firma c'era, l'artista, c'era un titolo, una tela bianca così: una persona sbadata non ci
vede un'interpretazione, magari l'interpreta solo in una data circostanza nel senso: io
la vedo lì [sospira], allora siccome è una galleria d'arte ci deve essere pur qualcosa
che è artistico, allora la persona s'immagina che cosa potrebbe essere, invece se la
vede
MF - Scusa se t'interrompo un attimo. [Rivolto agli alunni]. È un dialogo - un
attimo - con Mauro, [correggendomi] non un dialogo … [Non capisco cosa io dica,
ma il senso complessivo della frase credo sia questo: io spesso non sono in accordo
con le idee di Ghiglione o, meglio, Ghiglione non è in accordo con le mie
convinzioni ]. … e però sembra che qua ci sia il concettuale, c'è Kosuth - eccetera poi magari ne riparleremo in altra sede.
MG - No, dunque, dunque …, no, io volevo un attimo sistematizzare quello che ha
detto lui. Lui ha detto: una tela bianca se la vedo dal corniciaio è da comperare, se la
vedo in galleria mi ci avvici… mi ci accosto come un'opera d'arte e quindi questo va
bene; l'ho detto anch'io prima. L'arte contemporanea è fatta anche di luoghi, di luoghi
deputati. La galleria è un luogo dove vengono esposte opere di rice[rca], ma allora io
faccio … - sposto un attimo - se tu questa tela, che non è né in galleria né in un
negozio di corniciaio, la trovi nella casa di un tuo amico, cosa pensi?
PR - Penso che ora
MG - Pensi che l'ha messa lì per caso, in attesa di farci un quadro suo papà o pensi
che sia un'opera da vedere?
PR - […] se è firmata comincio a prenderla in considerazione, se non è firmata no.
C'è un titolo.
MG - No, io invece [ridacchia]… Se mi fai la firma … La tela bianca non si firma, se
no non è più bianca, eh!
MF - [Parole non distinguibili. Credo di aver detto a Mauro che c'era una ragazza,
Federica, che chiedeva la parola].
MG - Sì, sì. Sì. Io ho finito subito, volevo però arrivare al punto. Voglio arrivare al
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punto. Eee … Per essere in presenza di un'opera d'arte davanti a una tela bianca
bisogna che ci sia l'artista che ha detto: Questa è un'opera d'arte. Allora, con questo
dietro, quella diventa un'opera d'arte. Allora, quando tu la trovi in galleria, diciamo il
messaggio che passa lateralmente è questo: un artista l'ha appeso lì per dire: questa è
un'opera d'arte. Allora s'innestano tutta una serie di meccanismi che te la fanno
vedere con degli altri occhi; quindi …, però dietro deve esserci la dichiarazione di
dire: [Mauro, seduto, si volta per prendere un bicchiere di carta (posato sul piano del
banco che si trova alle sue spalle) e, indicandolo all'interlocutore, aggiunge:] io
faccio questo. Questa è un'opera d'arte. Se no è un bicchiere.
RR - [Voci di ragazzi in sottofondo].
MG - Te hai parlato troppo adesso. [Suppongo si riferisca a Fabio].
RR - [Voci di ragazzi].
MF - Anche lui. [Immagino d'aver indicato Jacopo].
JT - E vabbé.
FB - Perché - secondo me - comunque è un'opera d'arte quella che fa in una galleria,
perché comunque c'è un pensiero dietro; cioè l'artista ha pensato, mentre la metteva
lì, che per lui rappresentasse - cioè rappresentava - qualcosa; invece una tela in un
negozio …, cioè nessuno ha pensato niente dietro quella tela quando l'hanno fatta,
quindi non significa niente.
MG - È' verissimo. È' verissimo. Adesso hai detto bene quello che volevo, che ho
detto io prima; cioè, ci deve essere l'artista che dice: Questa è il risultato della mia
produzione intellettuale, mentale, il mio pensiero. Tuttavia, tuttavia mi sembra che si
debba poter dire: È un problema che esiste. Cioè conoscere [Federica cede il
microfono a Mauro e si sente subito meglio nella registrazione]. No, figurati. Datemi
del tu, se no me ne vado, eh [sorride]. Tuttavia mi sembra che il problema ci sia, nel
senso che il problema di confondere una tela bianca con un'altra tela bianca è un
problema che esiste. Il vedere uno scolabottiglie e riconoscerlo come opera d'arte o
vederlo in una cantina e riconoscerlo come scolabottiglie mi sembra che sia un
problema che c'è.
MF - Scusa Mauro. Apro una parentesi. Eee. Scolabottiglie: l'ha pronunciato perché
Duchamp aveva esposto, oltre che l'orinatoio, aveva esposto anche altri oggetti.
RR - [Vari e simultanei interventi dei ragazzi. Una persona pone una domanda a
Mauro].
MG - E purtroppo no, purtroppo no. In una tela bianca non ci si può immaginare
niente.
RR - [Qualcuno dice qualcosa].
MG - Eh? No, purtroppo no, e perché questo è il punto, nel senso che, quando io
sono andato su questo esempio: Gioconda, tela bianca, e accennando al fatto che
essendo un linguaggio l'arte - e la sua storia pure, no? - , perché quando Leonardo ha
fatto la Gioconda si scriveva anche in un altro modo - no? -; quindi il linguaggio si è
evoluto, sia scritto che parlato, e anche quello dell'arte si è evoluto; e quando io dico,
ho detto, che per cogliere diciamo in una maniera più corretta, senz'altro più corretta,
occorre avvicinarcisi attraverso lo studio e la conoscenza di quello che è avvenuto,
sicuramente, è probabile, io penso che sia così, che due persone a digiuno
completamente provano le stesse emozioni davanti alla Gioconda o alla tela bianca.
Non so se siete d'accordo.
RR - [Viene detto qualcosa].
MG - Eh?
RR - [Quel qualcosa viene ripetuto].
MG - [Sorride] E questo per arrivare a dire che quelli di voi ai quali potrà interessare
l'arte, bisogna che si armino di pazienza e comincino a studiarla dagli albori fino ad
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oggi, insomma. Questo perché, secondo me, è indispensabile per poterne fruire, per
poter capire perché quella tela bianca è lì; in questo senso nella tela bianca non ci
puoi vedere quello che vuoi, perché se tu alle spalle hai, diciamo, tutti i processi
mentali e e di … e le ragioni per le quali le opere nascono (e nascono in maniera
diversa) quando tu vedi quella tela bianca non hai tante possibilità di spaziare, capisci
che è stata fatta per quelle ragioni, cioè all'interno di un linguaggio perché, aggiungo
questo, nel Novecento soprattutto, [si schiarisce la voce], ma anche prima, prima era
semplicemente più diluito nel tempo, ma nel Novecento appare in maniera più
eclatante, ogni nuovo movimento tende sempre ad azzerare e a negare quello che è
stato fatto in precedenza, e se tu non sai quello che è avvenuto prima, cioè quello che
altri uomini, altri artisti hanno fatto prima, difficilmente capisci quello che è stato
fatto dopo, da questo punto di vista … Non so se
MF - Eee, una cosa …
MG - Sì.
MF - Poi tu deciderai come proseguire, però siccome il tempo che rimane a
disposizione è poco … Mi è piaciuto che tu abbia parlato di queste cose, però resta
anche "Chi sei?", "Cosa fai?", "Perché sei venuto qui?".
MG - Perché sono venuto qui non lo so. Ve lo dico: Chiedetelo a lui. [Ridacchia]. Io
non lo so.
MF - Però "Chi sei?", "Cosa fai?" anche.
MG - No. Sì, sì. Eee. Sì. Penso che sia la cosa meno interessante in assoluto, ma se
devo farlo lo farò.
MF - Penso, già che sei qui, [che] i ragazzi si domanderanno anche: Ma poi, tutto
sommato, cosa faceva? Dipingeva con i pennelli o senza pennelli? È fondamentale?
Non è fondamentale?
MG - Ma io, per esempio, siccome con le parole ho anche …vado abbastanza in
difficoltà, ho portato un po' di cataloghi di lavori che ho fatto, se volete ve li do, se
no li lasciamo lì, perché non è che vi voglia angosciare
RR - [I ragazzi sovrappongono le voci per affermare il loro gradimento]. No, no, va
bene. Ci fa vedere …
MG - Eh, eh, sì [ridacchia]. Poi però, poi a me piacerebbe molto di più (proprio
perché il ruolo, diciamo, di professore né mi piace né sono in grado di farlo, perché
io non ho davvero da insegnare niente a nessuno) mi piacerebbe che uno mi
chiedesse delle cose, quello che gli viene in mente, compreso il fatto che se uno …
ecco …, scusa …, mi è venuto in …, volevo dire una cosa a lui [indica Fabio] prima
- scusate eh se … - che invece è importante, eee lui continua a sostenere che [correggendosi:] insomma a sostenere! - dice che c'è una fruizione, dell'opera,
individuale, molto individuale, che uno può anche dire che la Gioconda è brutta, se
[non] ho capito male, eh! Non lo può dire in verità.
RR - [Si sente qualcuno intervenire. Penso sia la voce di Fabio che puntualizza
qualcosa].
No, no. Io credo che l'unico approccio corretto sia questo: o noi rifiutiamo, cioè
diciamo a … a me non m'interessa, l'espressione artistica non m'interessa quindi né
mi attrezzo per conoscerla, ed è una scelta; diverso invece è avere questo
atteggiamento e poi invece dare dei giudizi. È molto diverso, nel senso che io non
accetto che uno mi rifiuti il lavoro di Picasso; lo accetto che lo metta in discussione
completamente se lo conosce, se conosce le motivazioni, i critici che l'hanno
sostenuto, le ragioni per le quali è diventato Picasso; le conosce e allora poi mette in
campo il suo giudizio e sosterrà le sue argomentazioni e motivazioni per dire: non
vale nulla. Ma eee invece dare dei giudizi senza essere un minimo attrezzato …;
questo ritengo che valga per ogni disciplina. Noi possiamo dire tutto di tutti, basta
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avere i titoli per poterlo fare. Ecco, questo sì. Cioè: io non ammetto che uno vede la
Gioconda per la prima volta e dica una cazzata, non
RR - Sssssss
MG - Ah, scusate [ridacchia]. Però, però adesso fatene …, secondo me non è una
parolaccia, io non so [ridacchia]. Va be', va be'. Questo ci tenevo a dirlo perché penso
sia importante, ecco, nel senso: possiamo dire qualunque cosa di tutto purché
abbiamo acquisito gli strumenti per dirlo; se no diventa un semplice esercizio di
aggressività o di supponenza che non porta da nessuna parte, neanche sul piano della
crescita vostra, insomma, voglio dire. Uno però legittimamente può decidere che quel
campo, quel settore, quella disciplina letteraria, artistica può non interessare - no? però l'approccio deve essere consapevole che è stata una scelta sua e che lui si
occuperà d'altro nella vita e avrà assolutamente il diritto di farlo insomma; ecco,
questo ci tenevo a dirlo.
MF - [Mauro mi guarda in modo interrogativo] Eh, decidi tu.
MG - Decido io? Su che?
MF - Come continuare.
MG - Ah, dunque, giusto, perché, dunque adesso io dovrei dirvi perché sono qua, eee
MF - No, non "dovrei", puoi.
MG - posso dire perché sono qua e cosa faccio. Ora, se siete d'accordo, vi do due
libretti.
RR - Sì, sì.
MG - Va bene. Li do.
MF - Siamo a Genova eh, Mauro.
MG - Eh?
MF - Siamo a Genova. Tutto quello che è gratis …
RR [Chiacchierare dei ragazzi].
I - Sssssss. Zitti!
MG - Ah, eee, sicco… Io ho pensato di portarvi un catalogo perché mi risulta
difficile a parole dire quello che faccio. Non state a leggere, guardate le immagini e
basta [ridacchia]. Eee questo perché abbiate grossomodo un'idea delle cose che
faccio. Se vi vengono delle curiosità dalle più banali alle piùùù … banali, fate pure
delle domande.
JT - Volevo chiederLe perché in molte delle … [s'interrompe perché nell'aula viene
detto qualcosa e poi riprende] - sfogliando questo catalogo - in molte delle opere
apparivano manoscritti antichi, con … Volevo chiederLe il perché.
MG - Allora eee, in effetti il manoscritto è un la… è un … il manoscritto antico,
antico …, ora lì alcuni sono lavori manoscritti del 1700, altri sono più recenti, sono
del 1900, eee io lo prendo proprio come, quando lo inserisco nelle opere, lo prendo
proprio in luogo del disegno, il disegno di persona eee sconosciuta, cioè. Quindi - no
RR - [Dicono qualcosa].
MG - qui… [ride] qui… [ride] quindi non il Leonardo, non il grande disegnatore,
bensì persone sconosciute, che, facendo dei segni su un foglio per dire probabilmente
tutte altre cose, [si schiarisce la voce] lasciano comunque una traccia che diventa un
disegno, secondo me a volte molto bello, che ha a che fare con delle … con
l'Astrattismo per esempio. L'interesse mi è nato diversi anni fa perché avevo avuto
l'incarico di smantellare un … l'archivio del manicomio di Ferrara insieme ad un
amico e trovammo i manoscritti dei pazzi dei primi del Novecento, erano eee …, la
cosa che mi colpì tanto era che la maggior parte delle persone rinchiuse lì in quel
periodo non erano assolutamente pazzi, ma ci erano finiti per eee … ma … il caso
più frequente era quello di situazioni familiari che tendevano o per ragioni di eredità
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o per ragioni di interesse a … a … cioè conveniva che quella persona fosse dichiarata
pazza. Eee questo era il caso, per esempio, di molte donne, donne che non si erano
sposate, che erano sole e, andando avanti negli anni, le famiglie, i conoscenti
avevano interesse a farle rinchiudere eee queste persone, che sovente erano anche
persone
- quantomeno quelle che hanno lasciato la traccia su questi manoscritti erano persone anche con una cultura piuttosto alta e una sensibilità piuttosto alta ed
erano lettere che venivano scritte o al direttore del manicomio o a qualche parente, e
alcune erano delle vere e proprie poesie, e la cosa che mi colpì fu proprio questo
passaggio sul ... di queste esistenze che non lasciavano alcuna traccia salvo quella,
che casualmente avevo scoperto e questo mi aveva fatto nascere l'esigenza di … in
qualche maniera recuperare tutte queste storie possibili, che non sono state, che non
hanno segnato, che non hanno lasciato nessuna traccia, nessuna … diciamo … della
loro esistenza, sì, ecco. Questa è un po' diciamo la scintilla che mi fece … e poi c'è la
componente estetica, che alcuni io li trovo davvero proprio belli a prescindere dal
contenuto. Non gradisco in genere che vengano letti e sovente li metto capovolti
proprio per questo.
RR - [Voci di ragazzi. Battimani].
MM - [Rivolgendosi dapprima ai suoi compagni di scuola:] Grazie, grazie, [e poi a
Mauro:] Allora volevo chiedere come mai certi titoli sono scritti in questa maniera.
Ad esempio sospeso scritto esse o esse peso [SOS - Peso] e assolutamente scritto
assolu … asso lu e mente tra parentesi [assoluta(mente)]. Come mai?
MG - [Ridacchia]. È un'indicazio…, il titolo è una cosa sovente …, nel mio caso
viene abbastanza dopo; non è che io penso il titolo e faccio l'opera. È un'indicazione
di lettura. Perché assolutamente è scritto così? In quel lavoro … è un lavoro che
voleva in qualche maniera ricreare il cosmo e c'era questo groviglio di fili sospeso
sopra che era … voleva essere una certa maniera irrazionale di rapportarsi a questi
problemi
- sì, quello [risponde a una domanda di Matteo non percepita in
registrazione]-, quindi assolutamente era un mio indirizzo che voleva dire: stiamo
trattando questioni - diciamo tra virgolette - "assolute". E mente l'ho messo tra … fra
virgolette perché, in quanto tali, queste questioni hanno a che fare con la menzogna,
insomma, e quindi mentire, insomma. Per esempio, insomma, sospeso: il discorso è
uguale; quello è un foglio di carta che sospende delle pietre e S O S è stato messo
tutto maiuscolo proprio per dare un segnale di allarme, insomma di pericolo. Non so
se …
RR - [Dicono qualcosa].
MG - Eh?
RR - [Ripetono]
MG - Ma no …, come area di rischio, che è poi ascrivibile al fare artistico, una una
una un manoscritto, un foglio di carta, anche piuttosto vecchio, che sospende delle
pietre, la sensazione che penso che io volevo dare a chi lo guarda è quello di una
sensazione di precarietà e come tale pericolosa.
MF - C'è Federica che chiede che cosa è l'arte grigia, cosa sia l'arte grigia.
MG - Chi è che l'ha letto? Chi è che l'ha letto?
RR - Lei, lei.
MG - Io ho detto di non leggere, eh! No [ride], figurati. Allora. Questa storia qua
- dell'arte grigia - me la chiedono sempre; non so come mai, perché non … ad ogni
modo noi avevamo fatto, lavorato con un gruppo di artisti eee e la nostra
preoccupazione era di capire quali possono essere - diciamo - le eee le ragioni e che
indirizzo possa avere la ricerca, in che direzione muoversi, se utilizzare questi
assemblaggi piuttosto che la tecnologia, piuttosto che eee che un altro strumento che
altri artisti utilizzano, quindi avevamo un po' queste problematiche rispetto a un fare
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contemporaneo [si schiarisce la voce] e io avevo detto questo, avevo detto che l'arte
contemporanea oggi vive in un'area grigia; avevo individuato [ridacchia] questo
colore proprio perché mi sembrava il colore che più fosse neutro, nel senso che …, in
un'area dove le contaminazioni sono già tutte avvenute. Contaminazioni: intendo un
linguaggio che passa dentro un altro eee per diventare un'altra cosa ancora. Mi
sembrava che oggi gli artisti lavorino in una dimensione di questo tipo e quindi il
linguaggio da costruire e da trasgredire era un fatto, è , e lo penso ancora, è un fatto
molto individuale, cioè, oggi come oggi, non le vedo le possibilità che nascano dei
movimenti ancorché poi da una parte; dall'altra si tende a …, ci sono i critici che
tendono a dire: c'è una situazione di fotografia piuttosto che una situazione di artisti
concettuali nuovi che cioè … queste mi sembrano che siano tentativi abbastanza
obsoleti eee fatti un po' sulla scorta della memoria di quello che è già avvenuto, mi
sembra che gli artisti lavorino molto oggi individualmente, e questo chiaramente fa
loro perdere di forza perché si impongono meno al pubblico
MF - [Dico qualcosa].
MG - Sì, ho finito.
MF - È una cosa che ti darà molto fastidio, però te la chiedo lo stesso … - penso -.
Sicuramente il tuo operare è come quello di ognuno: ha dietro, alle spalle, la cultura
che ha acquisito, assimilato. Dovendo mettere delle etichette, - sicuramente tutta la
cultura - però quali movimenti artistici o di altro genere, in poche parole, riesci a
trovare (non uno solo, più d'uno) riesci a trovare come non so …, dare loro una
paternità nei tuoi confronti …
MG - [Domanda qualcosa].
MF - Sì, al tuo lavoro.
MG - Ma, guarda
MF(?) - [Voce di fondo. Forse sono io che aggiungo qualcosa].
MG - Sì. Ma, dunque, io … non è una domanda neanche difficilissima, nel senso …
sul piano prettamente espressivo, cioè delle cose che faccio, delle cose che poi si
vedono, eee la tecnica che io utilizzo è quella dell'assemblaggio. L'assemblaggio è
un'evoluzione del vecchio collage - in poche parole -, eee va nelle tre dimensioni,
possono essere usati più di un materiale. Da questo punto di vista un riferimento
all'Arte Povera è inevitabile nel senso che i poveristi utilizzavano questa tecnica,
questa tecnica espressiva, ma i poveristi a loro volta non erano i primi, quindi è un
modo di esprimersi che risale ai primi del Novecento e l'hanno utilizzato svariati
artisti. Questo rispetto alle cose che si vedono. Lo dico, a me non piace, è una cosa
che mi dà fastidio, però siccome io ho un profondo rispetto di chi va a vedere le mie
opere, qualcuno mi ha detto, anche i critici autorevoli, che faccio dei lavori come i
poveristi, io non ho … non sono in campo queste motivazioni, però lo accetto, ve lo
dico, ma in alcuni casi mi sembra anche di poterlo vedere quindi te lo … ve lo dico.
Rispetto invece, se la tua domanda era rispetto invece all'approccio al fare e al
pensiero che sottostà alle opere, i maestri per me sono altri, e non sono neanche poi
molti, ma - voglio dire - potrei dire Piero della Francesca, Duchamp e … e … se …
Vi bastano?
RR - No.
MF - Possono bastare.
MG - Eh?
RR - No. Sì. [Alcuni dicono no, altri sì].
MF - [Gli altri artisti sono evidentemente comprensibili] … invece Piero della
Francesca … Dimmi perché. Lo immagino.
MG - Be', Piero della Francesca nell'ambito degli artisti rinascimentali
indubbiamente è quello che dava più spazio al lavoro mentale nelle sue opere, nel
25
senso [Termina qui la registrazione. Il dialogo era invece proseguito per una decina
di minuti ancora].
SOTTOLINEATURE
La separazione delle frasi dal loro ambiente è un sommovimento sismico che muta visceralmente le
tonalità di senso delle affermazioni.
Non è l'unico atto arbitrario. Ogni intervento o non intervento lo è e la fedele trascrizione di un
discorso è la più ipocrita di tutte. L'intraducibilità di qualunque fatto non deve tuttavia allontanarci
dal proposito di capire e comunicare.
Ci scusiamo con i lettori se la nostra maniacale adesione al "vero" c'induce ad effettuare
osservazioni banalissime da un lato e a perdere la giusta percezione delle cose dall'altro.
1)
[Rivolto ad uno studente]: <<Voglio che mi rispondi onestamente come fossi un tuo amico,
non come fossi un professore, dove devi dire delle cose intelligenti>>.
2)
La curiosità è il motore che ci fa avvicinare al mondo dell'arte, in particolare, e a tutta la
conoscenza, in generale. Però può diventare pericolosa se esercitata fuori da certi parametri.
3)
La scuola è il luogo deputato alla conoscenza, e solo là dove c'è conoscenza sussiste la
possibilità di scegliere.
4)
La capacità di fare esperienze è determinante per maturare la capacità critica.
5)
Possiamo dire qualunque cosa di tutto purché abbiamo acquisito gli strumenti per dirlo; se
no diventa un semplice esercizio di aggressività o di supponenza.
Per accostarsi ad un'opera d'arte in modo corretto occorre possedere una conoscenza
approfondita della storia dell'arte.
6)
7)
La lettura di un lavoro artistico è un problema di linguaggio.
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8)
La tecnica è l'ultima cosa in un'opera che la fa diventare opera piuttosto che alto artigianato.
9)
Nell'arte contemporanea la maestria viene rifiutata dagli artisti in quanto privilegiano l'idea.
10)
Fra le motivazioni che muovono un artista a lavorare il più delle volte l'estetica è agli ultimi
posti.
11)
Spesso ciò che si dice dell'opera è più ricco di quanto l'artista metta in campo.
12)
L'arte del Novecento è fatta anche di luoghi. Ad esempio le gallerie d'arte.
13)
Per riconoscere come artistico un oggetto qualsiasi occorre sapere che l'artista l'ha presentato
come opera d'arte, ossia come risultato di un suo pensiero.
14)
[Riferendosi a vari suoi lavori artistici]: Alcuni manoscritti sono del Settecento altri del
Novecento e li inserisco capovolti nelle mie opere in luogo del disegno. È un metodo come
un altro per recuperare la memoria di vicende esistenziali che hanno sottoposto a dura prova
diverse persone ingiustamente escluse dalla società.
15)
Arte Grigia è una definizione estemporanea che ho dato a quelle espressioni artistiche che
attualmente vivono in un'area neutra, dove la ricerca è diventata un fatto individuale e non
più di movimento.
16)
Mie ascendenze artistiche sono rintracciabili in Piero della Francesca, in Duchamp e
nell'Arte Povera.
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L'ARTE NON È FATTA PER ESSERE COMPRESA
Un'opera è tanto più notevole quanto meno la si comprende. Quanto meno è comprensibile, tanto
più è giusta. Sì, è vero, per l'arte è la cosa migliore. L'arte non è fatta per essere compresa. Solo
così emerge propriamente il valore e il compito dell'arte. Perché di cose comprensibili ce n'è
abbastanza, e naturalmente anche quelle sono importanti. Ma per l'arte è molto meglio suscitare
negli uomini una forza di immaginazione e di intuizione che magari vada anche oltre. Questa è la
mia metodologia.
Joseph Beuys, Arte e politica. Una discussione, Guanda, Parma, 1994, pp. 98 e 102.
Nel mio ruolo di artista mi ci trovo bene proprio perché posso rispondere con il fare piuttosto che
con le parole delle quali, non so perché, ma ho sempre diffidato. Ecco perché penso di avere
qualche problema a parlare d'arte. Non sono neanche un insegnante (nel senso che non ho nulla da
insegnare) e quindi la mia preoccupazione maggiore sta in che cosa scrivere per suscitare almeno un
debole interesse, condizione fondamentale perché una seppur distorta e incontrollata comunicazione
avvenga.
La prima cosa che mi viene in mente è che tutti, anche se purtroppo non lo sanno, hanno in qualche
modo a che fare con l'arte, in particolare con quella contemporanea.
E penso che tutti abbiano una propria idea sull'arte anche se molto generale, e che sia con questa,
anche se vaga e incerta, che il quotidiano si confronta alla velocità della luce, determinando
comportamenti, nuove idee, prese di posizione.
Perché proprio nel quotidiano la società si esprime con infiniti segni, messaggi, modelli cui tendere,
modelli cui rifuggire; e in questo esprimersi gli strumenti di espressione utilizzati hanno radici e
ragioni in ciò che è, o è stata, la ricerca artistica "contemporanea".
Ecco perché, come prima cosa, vorrei che si prendesse consapevolezza dell'importanza che riveste il
conoscere ciò che avviene in questo mondo apparentemente salottiero e chiuso. Per far sì che
attraverso la propria capacità critica quell'idea vaga e incerta dell'arte diventi sempre più
focalizzata, personale, autorevole e puntuale. E se, come credo, la conoscenza modifica la
percezione, i comportamenti, le prese di posizione, e forse anche le nuove idee saranno senz'altro
differenti, perché pregne di un esercizio critico altrimenti assente.
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Vorrei anche riservare uno spazio all'arte che non si può comprendere, intendendo quell'arte che
non può per sua natura riflettersi in organizzazione di discorso, più o meno razionale, che non ci dà
apparentemente alcun aggancio con il linguaggio scritto o parlato, che ci nasconde le sue
motivazioni più profonde. È quella della quale in qualche maniera io mi occupo, perché, a mio
avviso, è portatrice di una maggior complessità e di una maggior ricchezza, offre più livelli di
lettura, e quindi paradossalmente più democratica, sottraendosi per necessità ai diktat delle lobbies
dell'ultima ora. E visto che questo è un testo che circolerà prevalentemente nella scuola, ed anch'io
non voglio sfuggire alla logica della comprensione, vorrei far comprendere quanto è importante
quell'arte che non si può comprendere.
… Mettiamo - cosa che capita raramente - che io esca da un teatro ed abbia visto un ottimo lavoro
di Shakespeare. In Shakespeare non c'è nessun "messaggio" da capire, ma io in quel dramma ho
vissuto qualcosa. Sarebbe assurdo uscire dall'Otello e dire: adesso ho imparato che non devo
essere geloso; o dal Macbeth, dicendo: non devo essere ambizioso. Questo significherebbe
semplicemente non aver compreso affatto il tutto. La poesia per me e quindi l'arte non è una
questione di involucro, di confezione. Lo è diventata oggi per via dell'andazzo generale. Agli
studenti insegnano ad analizzare un testo e poi si dice loro: adesso dobbiamo scoprire che cosa in
effetti l'autore ci ha voluto dire. Dopo di che, con faticosi metodi di interpretazione, alla fine
appurano questo: bene è meglio che male, o qualche altra scemenza del genere. Così si è scoperto
che cosa l'autore ci ha voluto dire. Con ciò, in sostanza, tutto il problema artistico viene ridotto a
una questione di confezione. Il ragionamento è il seguente: l'artista ha un messaggio, lo avvolge
nella carta natalizia - che sarebbe la forma poetica -, lo spedisce al destinatario, il quale basta che
tolga l'involucro, per avere il messaggio. In effetti l'artista potrebbe anche spedire il messaggio
direttamente, ma allora non sarebbe arte.
Quindi in sostanza siccome io voglio sottrarmi a queste analisi perché non le ritrovo giuste, la mia
posizione diventa la seguente: quanto più la cosa è incomprensibile, tanto meglio.
Oggi l'attenzione generale è rivolta quasi esclusivamente alla devastazione dell'ambiente. Ma esiste
un fenomeno al quale si presta molta meno attenzione, ed è la devastazione del mondo interiore,
che è altrettanto incombente e altrettanto pericolosa. E contro questa devastazione del mondo
interiore si può cercare di intervenire con una piantumazione di alberi interiori, cioè, per esempio
facendo delle belle opere, che è come piantare un albero interiore. Non si pianta un albero solo per
ricavarne delle mele, ma un albero è semplicemente bello, ed è importante che ci sia, non
solamente perché serve a qualcosa. E così è per molti artisti, tentano di creare qualche cosa che
poi semplicemente esiste e può diventare patrimonio comune dell'umanità, semplicemente perché è
bene che esista.
(…) Non pensiate che l'artista sia colui che illumina con le sue verità mentre il fruitore colui che
deve essere illuminato, altrimenti il messaggio subliminale che passa è il seguente: il destinatario è
un po' più stupido o un po' più ignorante dell'autore e va indotto a pensare.
Ognuno di voi sa pensare - non ha bisogno di me.
Io parto dal principio che il fruitore delle mie opere è come minimo intelligente e illuminato al pari
di me. perché dovrei indottrinarlo? Prima di tutto voglio intrattenerlo, e forse riuscirò ad
arricchirlo interiormente. Se quello che ho fatto lo ho fatto bene, magari lo renderei persino felice
per un paio di minuti.
Ma io ho bisogno di lui e tutta la produzione artistica ne ha bisogno, ha bisogno della sua capacità
di avere delle esperienze.
Questa è la mia metodologia, non è qualcosa di grandioso, dico solo che questa è una mia scelta.
Joseph Beuys, Arte e politica. Una discussione, Guanda, Parma, 1994.
Questo monologo di J.B. evidenzia che le mie tesi affondano radici in posizioni già affrontate ma
che non sono certo ancora state acquisite come valori dalla collettività, il processo di rapida
storicizzazione alla quale l'arte contemporanea viene sottoposta e che a volte dietro spinta degli
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stessi artisti viene cercato pone anche questo problema: quello della rapida morte di qualsiasi
istanza vitale presente nel fare artistico. Infine occorre aggiungere che è determinante non assumere
queste tesi in modo semplicistico: voglio dire che si possono anche prestare alla conclusione che
quindi tutto ciò che l'uomo fa con determinazione sia arte. Non è così, non precisamente. Il "quid"
che differenzia sta nella complessità (per esempio di un contenuto) in relazione alla semplicità (per
esempio del linguaggio utilizzato), ma anche viceversa.
Cercherò di spiegarmi parlando di una mia mostra che ho allestito a Torino ultimamente, che porta
come titolo: "sum over histories" (somma sulle storie, o delle storie) mutuato dalla teoria del fisico
americano Richard Feynman.
Questa della cosiddetta somma delle storie è l'idea che non esiste una storia singola per l'universo,
bensì che c'è una raccolta di ogni storia possibile e che tutte queste storie siano altrettanto reali.
Ecco è proprio la possibilità che mi dà l'arte di cristallizzare, di rendere più reale del reale ogni
singola storia possibile, e addirittura quelle impossibili (è sufficiente averle pensate), che mi ha fatto
fare questa scelta di campo perché da tempo costituisce una sorta di idea fissa.
Ho sempre mantenuto presente e vivo un concetto fondamentale: lo spazio è relativo o comunque
determinato dalla dimensione stessa dell'opera dell'artista, dalla sua capacità di sospendersi, dalla
possibilità di riflettersi, dal senso delle proporzioni e dalle diverse situazioni oggettive che si
vengono a creare ogniqualvolta si tratti di installare.
In una serie di opere per me molto significative, anche per il loro dualismo, che si chiamano "Attriti
de-iscritti", ho utilizzato sia la fotografia del manoscritto della prima pagina del Finnegans Wake di
J. Joyce che manoscritti autentici di sconosciuti di un paio di secoli fa e utilizzati come cesoia tra
una tela bianca ed una lastra di plexiglas per mettere in scena l'incidente che determina l'opera
(cesoia-memoria) e soprattutto per evidenziare la doppia spazialità voluta dall'opera, una doppiezza
che può sembrare identica, ma che nella sua assenza è invece ineluttabilmente differente. E devo
dire che il lavoro consiste precisamente in questa dualità di un'immagine che non c'è che si duplica
in un'altra completamente assente. Questo è un esempio di raddoppiamento in uno spazio
totalmente concettuale, uno spazio che a me sembra essere sempre di più lo spazio della memoria di
ogni possibile immagine.
Questo, che un po' a ruota libera sto scrivendo, vale come rumore di fondo, che mi circonda mentre
lavoro o penso, insieme alla lucida percezione che qualche volta provo rispetto alla rispondenza tra
la massima speculazione matematico-scientifica e un certo irrazionalismo. Rispetto alle opere che
ho realizzato e che sto continuando a realizzare e che alcune forse avete visto mi sembra che la
dissolvenza rispetto ad un senso sia diventata irrimediabile, e ogni dato umano bandito, rimangono
solo alcune tracce, sulla cui capacità di segnare voglio astenermi dal farmi un'opinione: il discorso
rimane volutamente sospeso, mi pare che anche le opere siano consapevoli di questo. Il mio
linguaggio pur variando dal freddo al caldo non abbandona mai una sua densità e risonanza lirica,
anche se poi è una liricità che avverto più come debolezza da risolvere o se espressa solo per essere
negata. Ho sempre pensato che un'opera debba portare in sé le ragioni della sua esistenza e le
ragioni che la negano. L'arte mi offre una zona di silenzio dove le cose ritrovano un po' dello
spessore perduto, come un peso (il peso è una costante del mio lavoro, come il manoscritto o il
vetro o il piombo) che le assoggetta alla gravità terrestre frenando la propria caduta verso spazi
pericolosamente siderali.
Le cose che presento hanno, (o hanno sempre avuto) una frequentazione con il reale, la materia è
liricità, quella appunto che vorrebbero negare. È un corpo con una memoria che si dona come
immagine momentaneamente liberata dal dubbio, sia dal meccanismo dell'assurdo che da quello
dell'impossibile (termometri per misurare la densità di una scrittura per modulistica, la forza di
gravità messa in scacco da un foglio di carta, ecc.). Ogni mia opera ha una struttura ellittica, o
almeno a me piace immaginarla così, nel senso che ogni logica che si presenta si dibatte in sé ai fini
di rimanere in una concentrazione che conservi la memoria del dramma. Sottolineare l'importanza
della parola scritta con un gesto non significa rinchiudere entro i limiti dell'arte il dramma di una
storia possibile, e una visione drammatica delle storie possibili mi pare inevitabile.
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Queste in verità sono parole che si organizzano in un discorso, che mi sembra possano dare la
misura di ciò che intendo per complessità, - cose anche che non possono esser dette a parole - e che
forse possono anche dare un senso alla lettura delle opere in mostra, ma, ne sono certo,
assolutamente inutili ai fini della determinazione della loro esistenza come opera d'arte, quest'ultimo
e più importante status viene loro attribuito dagli uomini che le fruiranno - sempre che decidano di
farlo - e i livelli di lettura che verranno attivati prescinderanno nella maniera più assoluta dalle
motivazioni che mi hanno spinto a realizzarle, è un'affermazione che dico senza amarezza,
costituisce la sfida principale: dedicare l'intera esistenza all'arte (con tutto ciò che questo comporta)
rischiando di non fare arte affatto.
Mauro Ghiglione
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INCONTRO CON L'ARTISTA
M. GHIGLIONE
Introduciamo la breve relazione dell'incontro con l'Artista (redatta da due alunni della IIIB che
hanno sentito la necessità di puntualizzare i fatti secondo il loro modo di vedere) confessando
timidamente di non aver saputo sottrarci alla tentazione di eliminare due peccaminosi errori
ortografici. Tutto il resto è conforme allo scritto originale.
Martedì 16 Febbraio 1999 la mia classe durante la terza ora è inaspettatamente venuta a conoscenza
di un incontro con un artista, organizzato dal prof. Fancello il "nostro" insegnante di ed. artistica;
eravamo quindi timorosi di fare brutta figura di fronte all'artista e all'altra classe, la 3^ C
accompagnata dalla prof. ssa. Piccardo la loro docente di ed. artistica.
Il primo impatto è stato un po' freddo poichè non riuscivamo a "rompere il ghiaccio" dopo quindici
minuti circa, posi una domanda ma, di certo non mi aspettavo di dover andare vicino a lui con tanto
di microfono e telecamera, mi fu subito detto dall'artista di dargli del tu perchè come affermato dal
sig. Ghiglione non era un professore.
Si stava parlando di come noi concepivamo un critico d'arte gli dissi che, secondo me, quando egli
esprime un parere su un quadro, non rappresenta la collettività del pubblico che va ad osservare il
quadro ma, ha il potere di influenzare la gente. Poi abbiamo parlato di quello che secondo noi era
arte, in merito a questo Jacopo, un mio compagno, ha chiesto se esistevano dei canoni per definire
ciò che è un'opera d'arte e, ciò che non lo è.
L'artista ha risposto con una metafora che era anche una domanda: ci ha chiesto qual era la
differenza tra una tela bianca esposta in una galleria ed una in un negozio di vernici. Io trassi le mie
conclusioni e, risposi che dipendeva da svariate cose: il contesto (in una mostra ,o il luogo come la
galleria d'arte); se aveva un titolo o portasse la firma di un artista.
Non abbiamo poi trattato altri argomenti ma, abbiamo approfondito quelli prima menzionati;
l'incontro volgeva ormai al termine e l'artista ci ha lasciato degli opuscoli raffiguranti le sue opere
con delle brevi spiegazioni a lato.
Ritornati in classe dopo pochi minuti arrivarono il prof. Fancello e Mario Ghiglione l'artista che ci
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mostrò l'opera che aveva donato alla scuola.
Dopo di che l'incontro come questo "articolo" arriva alla sua conclusione.
Fabio Ravaschio Alessandro Gandini
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CONVERSAZIONE
CON ROSA LEONARDI
Sabato 5 dicembre '98 mi sono veduto con Rosa Leonardi con l'intenzione d'ottenere da lei un
sintetico resoconto della sua attività di gallerista, un'energica rievocazione degli ambienti artistici
in cui ha lavorato e lavora e una rapida esposizione delle sue idee e progetti per il futuro.
Rosa ha in apparenza accolto la richiesta ma ha in realtà giocato a rimpiattino con me per tutto il
tempo del colloquio.
Legenda
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RL
MF
-
MF - Com'è cominciata la tua attività artistica, nel campo dell'arte?
RL - Oddio, Mario.
[Risata da parte di Rosa e poi anche mia].
MF - Quando? Quando è cominciata? E rievoca.
RL - Eee … [Pausa], eee …
MF - Parla chiarissimo perché poi mi fai aguzzare l'udito. [Ridacchio].
RL - La prima volta che ho sentito parlare di arte contemporanea sono stati gli anni
Cinquantanove - Sessanta, ché ho cominciato a prendere coscienza; poi negli anni Sessanta
ho cominciato a venire a Genova a guardare qualche cosa. Ma soprattutto è stato Edoardo
Manzoni che mi ha parlato della possibilità di poter aprire una galleria, eccetera. Io ho
afferrato subito. Mi ha interessato subito questo tipo di lavoro e mi sono trasferita a Genova
e abbiamo aperto questa galleria [La Polena] con grande fatica, tant'è vero che - quando
abbiamo anche inaugurato - c'erano ancora le impalcature e si doveva finire ancora di
pagare il muratore [accenna ad una risata] che ci aveva aiutato.
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-
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Rosa Leonardi
Mario Fancello
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-
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-
MF - Dove?
RL - In Sottoripa, nella torre di Caricamento, quella che c'è ancora adesso; non so … non
mi ricordo più nemmeno … Vico Morchi era la … Eee lì è iniziata l'avventura sia con
Battisti, Ezia Gavazza … Battisti che portava tutti i critici allora più conosciuti, quei
giovani, come da …, adesso non mi vengono … Umberto Eco è stato nella mia Galleria;
quello di Bologna, come si chiama? Ce lo aggiungerai tu.
MF - Barilli?
RL - Barilli! Eee, di giovani chi c'era? [Pausa]. Poi … eee … Me li farò venire in mente.
MF - Sì.
RL - Te li dico perché poi li puoi aggiungere tranquillamente, e poi anche Argan, Nello
Ponente, e - come si chiama? - Filiberto Menna. Tutti. Li abbiamo conosciuti tutti. Da lì
abbiamo cominciato il lavoro. Dapprima un pochino più tentennante, eccetera. E poi siamo
partiti. Abbiamo cominciato a fare mostre molto importanti. E lì - mi ricordo che in quello
spazio lì - avevamo fatto il Gruppo Zero, la Cinetica con quella mostra che si chiamava
Mostra Strutturale Plastica e Sonora, in cui c'erano la Cinetica e la musica di Gelmetti,
Grossi. La prima volta, che credevo d'impazzire, ho sentito la musica di Grossi, che era
quella Concreta e che me la sono sorbita … sorbettata [ridacchiando] - poi tu lo toglierai
[richiesta, poco convinta, di censura] - per un mese.
MF - Non tolgo niente.
RL - [Ride]. Dico: da lì è cominciata l'avventura con molta …, devo dire, dapprima eee
[pausa] … Non è che abbiamo conosciuto subito il successo; poi però, piano piano,
insistendo … Abbiamo fatto anche un po' di fame. Avevo le scarpe anche bucate, diciamo.
Finiti i soldi; gli affitti da pagare, eccetera … Poi però sono sorti i primi collezionisti, di cui i
primi due in assoluto erano Accame e l'architetto Invernizzi. Abbiamo cominciato a vendere
qualche cosa e la Galleria fio… ha cominciato a fiorire, dopodiché ci siamo trasportati
- sempre con l'aiuto soprattutto di Accame e l'architetto Invernizzi,
MF - Eee, scusa,
RL - che ci ha dato il fido MF - Accame: Vincenzo?
RL - Dottor Accame. No, Luigi Accame, che era il presidente eee del teatro, allora; è stato
presidente degli architetti. Una persona molto … Ma se mi metto a descrivere tutto ti
vengono fuori delle cose …
MF - [Ridacchio].
RL - E' meglio che
MF - Sì.
RL - me le fai dire in sintesi,
MF - Certo, certo.
RL - perché altrimenti figurati. Poi se vuoi scrivere un libro, ti autorizzo.
MF - [Ridacchio].
RL - Perché … Eee sono diventati rapidamente … L'architetto Invernizzi era abbastanza …
già pronto, quello che ha comprato Piene, eccetera; mentre invece
MF - Scusami, puoi mettere anche i nomi? Invernizzi?
RL - [Rosa risponde ancor prima che abbia terminato di porle la domanda] Otto Pie[ne].
[Correggendosi] l'architetto Invernizzi?
MF - Ingegnere. Sì.
RL - Il nome non me lo ricordo più,
MF - Nemmeno io.
RL - poi me lo faccio venire [in mente] … Lino Invernizzi! E poi il dottor Luigi Accame,
poi sono sorti … Ci siamo trasportati … Ci hanno dato la possibilità di andare nella Banca
Passadore, abbiamo organizzato la nuova galleria; era a pian terreno. Fatta …, era molto
bella …, allestita da …, cioè … l'aveva arredata … preparata - poi troveremo la frase
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giusta - di … di … da Fronzoni.
MF - Sì.
RL - e quindi abbiamo conosciuto anche lui; ci aveva fatto anche la casa. E da lì è
MF - Fronzoni: i nomi, i nomi.
RL - Angelo Fronzoni.
MF - Sì.
RL - E poi c'è stata la casa fatta da lui a … in via Caffaro. Insomma da lì siamo andati
avanti. Abbiamo fatto una serie di mostre una più interessante dell'altra: Sonia Delaunay,
Hartung, Magnelli, tutti gli artisti svizzeri - da Max Bill, Lohse, Glattfelder - molti altri nomi
che adesso in questo momento non mi vengono in mente, ma tutta la parte …, e c'eravamo
un po' specializzati appunto sull'arte astratto - geometrica. Poi sono rimasta lì sempre …, un
pochino più accanto. Più che veramente la parte diciamo - come dire? - commerciale della
situazione la mia era quella di parlare con gli artisti e soprattutto, non so, Fontana,
Castellani, che in quel periodo - no? - erano spesso a Genova, la Dadamaino, … Non te li sto
a raccontare tutti perché altrimenti ci vuole
MF - [Ridacchio].
RL - un libro di co… E io sono sempre stata soprattutto vicino agli artisti,
MF - Mh.
RL - perché Manzoni preferiva interessarsi lui delle cose. E da lì è partito il tutto fino al
1978. Dopodiché mi ero un po' stancata, mi sembrava che la Galleria calasse un momentino,
eee avremmo dovuto andare verso il Minimalismo, gli americani. Nel frattempo era sorta La
Bertesca invece con la parte che guardava all'Arte Povera e alla Pop Art americana. Eee
sono uscita dalla Polena e sono andata un po' nella … alla Forma, che era per metà nostra,
insieme a Minetti, il quale Minetti è una persona intelligentissima ma anche difficile da
[ridacchia] - non ce lo metti - da controllare.
MF - Io ce lo metto. Non dire quello che non vuoi. [Ridacchio].
RL - No. Ah! Poi mi viene il discorso da controllare. Insomma mi sono accorta di essere
caduta dalla padella nella brace. E poi allora sono andata alla Saman Gallery, ho collaborato
con Ida Gianelli e lì ho anche capito diverse cose; stava facendo una buona operazione,
soprattutto sugli americani eee dopo ancora, oltre lì, sono stata con la Locus Solus: Vittorio
Dapelo e Uberta [pausa] Sangennaro, [Sannazzaro] … mi pare,
MF - Mi pare di no, un altro nome.
RL - Uberta, sua moglie, comunque poi ti so dire il cognome. Dopodiché peròòò, dopo aver
collaborato con tutte queste gallerie, avendoli conosciuti tutti, mi è saltato il ticchio di
andarmene per conto mio, perché non mi andava bene, tutti …, come si … E' difficile
esprimere queste cose, ma c'era un modo di vedere … eeh …, la formazione del mercato,
strategie da seguire e queste sono cose che si devono far … far comperare, queste non
devono andare …, queste … ,cioè … che a me non piacevano e quindi mi sono decisa di
andarmene per conto mio, pagare di persona come sto pagando [ridacchia] ancora adesso e
ho aperto Leonardi V - idea, nel 1985; dapprima in San Lorenzo; qui sono stata, adesso non
ricordo più bene se un anno o un anno e mezzo, ma non mi andava bene nemmeno lì perché
c'era un architetto che voleva intrigarsi nel mio lavoro e allora ho preso quello in cui sono
ancora adesso aprendo anche la biblioteca. Anche perché, secondo me, la galleria proprio in
senso tradizionale, oggi come oggi, non ha più possibilità di … insomma ha meno possibilità
di sopravvivere ,benché le cose ti cambiano sotto … sotto gli occhi, sotto il naso e te non te
ne accorgi nemmeno ma le cose stanno mutando. E adesso sono qui alle prese con Mario
Fancello [ridacchia] che mi vuole eee [pausa] intervistare e proprio non so dire proprio non
MF - [Ridacchio].
RL - non so dire niente [ridacchia], solo che chiedo che qualcuno mi segua e mi dica se
faccio male, se faccio bene, ho bisogno di persone che cerchino di capirmi perché,
francamente, non è che mi capisca molto del tutto nemmeno io; cioè è una ricerca la mia,
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-
una ricerca continua e una cosa che è sicura è che veramente sono cambiate le cose e la
società, compresa anche quelli che si sforzano di seguire, è molto indietro nei confronti di
quello che il mondo sta … di quello che sta succedendo al mondo d'oggi, eee, cioè indietro,
ma non so come dire, indietro, è difficile da dire perché il passato è necessario, dobbiamo
ricordarcelo; però c'è anche un qualche cosa che sta scivolandoci addosso, eee, ecco qui mi
trovo veramente un pochino - come dire? - …, dovrei rifletterci …, non posso farlo … un
…un … Nella prossima intervista ti dirò questa cosa qui, perché è molto difficile da
inquadrare, perché non è vero che il passato …, anzi dobbiamo ricordarcelo molto bene,
dobbiamo fissarcelo bene in testa perché si corre il rischio di perdere proprio veramente
l'identità di quello che siamo stati e quindi di conseguenza nemmeno di quello che
diventeremo (se io farò in tempo a vederlo, ma questo me lo lascio per la prossima …,
MF - [Ridacchio].
RL - partendo da questo punto, me lo lascio per la prossima intervista); dimmi un pooo'
MF - Sì. Volevo domandarti, eee: hai incontrato Manzoni, quindi ti sei interessata all'arte;
però prima ? Cioè è stata una cosa un po' così? Un colpo di fulmine? Era già qualcosa che
cresceva - eh - dentro di te quest'interesse? Oppure …? Non so, vedi tu di rispondermi.
RL - No, io sono sempre stata un tipo … mmhh … curiosa, senza nessuna preparazione
specifica, ma, prima di conoscere Manzoni, io avevo una boutique, mi ero già aperta una
boutique, prima piccolina, poi un po' più grande e avevo già … Si può dire che sono stata la
[ridacchia] prima - come dire? - a Voltri, però anche a Genova: cominciavo già a fare le
sfilate negli alberg …, nell'albergo Zolési, che allora era un albergo così. Quindi eee
veramente in me la natura … alla ricerca …, un po' perché avevo bisogno di fare qualche
cosa - no? - . Mio marito era uno statale. Io insomma volevo in qualche maniera svolgere
qualche attività. Si vede che ne avevo bisogno. E quando svolgevo le attività io andavo
sempre a cercare … Cioè non potevo fare la sarta - come dire? - la sarta normale - no? dovevo avere una … aprire una boutique e cominciare a fare … Allora si sentiva appena, e
io ho fatto almeno tre sfilate da Zolesi con le indossatrici, che già allora non mangiavano
niente, soffrivano di anoressia, ed è stata una bella esperienza. E per me l'arte proprio
assolutamente non … Mi piacevano dei bei film, sì ecco. Per esempio i film … Già seguivo
… Allora era subito dopo la guerra, c'erano padre Arpa e Claudio …, come si chiama?
MF - Claudio Fava.
RL - Claudio Fava, che veniva e ci facevano vedere film: da Dreyer, da Bergman. Ecco
queste cose qui. Ecco sono stata sempre molto vivace come … come … Dopodiché ho
incontrato Manzoni che aveva questa idea di aprire uno spazio, una galleria. Io ho captato
subito e ho cercato di immedesimarmi nelle cose, in questo questo lavoro e che ho amato
immediatamente eee trovando il modo di informarmi: chiedevo a tutti (Gianni Stirone per
esempio mi è stato di molto aiuto) a tutti, a quelli che potevo chiedere. E da lì abbiamo
conosciuto appunto tutte queste persone - torniamo di nuovo dall'inizio - che tutti questi
critici: Battisti, … Però è lunga, facciamola in due o tre puntate.
MF - [Ridacchio]. Eee, una cosa: non so se ho capito bene, cioè se gli abiti erano disegnati
da te o …?
RL - No. Disegnati no. Io avevo imparato …, ero andata in una scuola che allora … - era
venuta poi in via Roma - che si chiamava Ars et Labor e quindi avevo imparato a tagliarmi i
modelli, a metterli su come volevo io, e qualche volta appunto … Ecco finora non mi era
mai venuto in mente di poter disegnare dei modelli, …, anche perché la mia cultura era
modesta. Non è che fossi una …, però era solo la mia te… E da lì è cominciato il mio
interesse. Ecco, per esempio un certo gusto … la mania di togliere tutti gli orpelli; per
esempio, non so, se trovavo un modello che secondo me aveva troppi fronzoli li portavo …
Ecco, mi distinguevo in questo … in questo senso. Come del resto mi sono sempre anche
distinta anche nelle cose: detesto anelli, detesto collane, detesto …; o tutt'al più una cosa o
due ma moltooo … e quindi anche molto sobrie. Quindi anche in questo lavoro … Lo
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svolgevo in questa maniera. Quindi subito sono stata abbastanza conosciuta, senza contare
che io avevo una zia e una madre che facevano le sarte per aiutare in casa. Mia zia - che si
chiamava Amabile, che era conosciutissima a Voltri, - e mia madre Teresita erano zia e
nipote che tutte e due esercitavano il lavoro di sartoria. Quindi ero già un po' dentro nel
lavoro; però disegnare modelli veri e propri no; ma che io subentrassi e che mettessi lo
zampino in questo senso …, perché amavo moltissimo la semplicità. Secondo me la classe e
il modo di essere proprio parte soprattutto dalla semplicità.
MF - Ecco. Due domande.
RL - Poi finiamola.
MF - Vuoi dire così presto? Abbiamo appena iniziato.
RL - No, dai. Poi facciamo la seconda, facciamo la seconda puntata.
MF - Sì.
RL - Ce lo puoi mettere che facciamo la seconda puntata. [Lo dice ridacchiando].
MF - Sì, però aspetta. Volevo dirti: tanti dicono che la galleria è ormai superata e si cerca
qualche altra strada: però mi pare di capire che non si sia ancora … mmh … mmh … cioè
non si sia individuata ancora bene la strada da percorrere alternativa alla galleria. Ecco l'altra
domanda: Che cosa proporresti a qualche giovane che volesse ereditare il lavoro del
gallerista? Però visto nel contesto dell'evoluzione futura, se hai delle previsioni e dei
consigli da dare.
RL - [Sospirando] Una domanda molto … La seconda
MF - Sì.
RL - soprattutto è molto difficile. E la prima: Finora, secondo me, a me pare che la galleria
potrebbe essere superata, la galleria così intesa … Non a caso io ho aggiunto la video - arte,
ho aggiunto la ricerca sulla tecnologia perché si sentiva che c'era un qualche cosa che si
muoveva. Però la parte … la parte - come si può dire? - economica …; ché, secondo il mio
punto di vista, tutto quello che si faaa di pubblico non porta …; perché, finora almeno, per
conto mio, anche se le opere si sono molto smaterializzate (qualche volta sono solo scritte:
vedi il Concettuale, vedi il Fluxus, vedi tutte le cose …) però è sempre il mercato, è sempre
il collezionista … Per me finora sono ancora necessari la galleria, l'artista e il collezionista,
[breve pausa] e il critico [breve pausa] volendo. Però i tre indispensabili sono gallerista eee
mmh - come si chiama? - artista e collezionista. E il punto dolente è proprio questo, che …
eee … Qui è un discorso che vorrei provare a farlo dopo, perché bisognerebbe parlare di
tutte le altre gallerie che avevano e fatto il mercato, che avevano in qualche maniera portato
avanti artisti e davano loro la possibilità in qualche maniera di vivere. Poi, naturalmente,
l'artista che si affermava di più guadagnava di più guadagnava di meno, ma sotto un certo
aspetto c'era ancora la possibilità di fare una scelta, di portare avanti artisti, eccetera. Ad un
certo momento però è venuto fuori appunto delle strategie che non erano quelle di prima e,
secondo, - questo è un mio ragionamento - secondo me, le gallerie si sono adagiate in questa
… in questa cosa e purtroppo non abbiamo creato ricambi. Galleristi della mia generazione
- della mia età - non hanno mai fatto giovani, non hanno mai portato, perlomeno pochissimi,
… Se ne sentono adesso qualcuno che lo stanno facendo, ma non con la passione necessaria;
mentre invece io - subito, da quando sono uscita dalla Polena - ho sentito proprio il bisogno
di andare a pescare, a scavare. Quindi non so; per rispondere io dovrei dire … avrei dovuto
dire due parole: secondo me non è ancora finita, non s'è ancora esaurita. Anche se potrebbe
essere esaurita, la galleria secondo me serve; ma però dovremmo essere in più, dovremmo
continuare come prima, perché i galleristi del passato [sorride] vedendo che
economicamente …
E invece la seconda?
MF - In senso pratico, che cosa consiglieresti a un giovane che volesse intraprendere
l'attività di gallerista?
RL - Prima di tutto deve avere la passione come un artista che ha di fare. Di non pensare a
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grandi capitali. Deve cominciare così, in maniera semplice, adagio adagio. E deve avere la
capacità di conoscere e di capire le persone; non di conoscerle ma di capire. E questo mondo
è un mondo un po' particolare, che è difficile trasferirlo. Mi ci vorrebbe un ragazzo qui e che
vivesse con me, che potessi pagarlo abbastanza bene, che vivesse con me, che osservasse
tutto quello che faccio io e che poi mi criticasse anche, che mi dicesse quello che secondo lui
- dopo un po' che è qui - si dovrebbe fare, perché è un lavoro difficile. Fare il gallerista è
veramente un lavoro difficile, fare il mercante no; ma fare il gallerista sul serio è molto
difficile: la ricerca. Eppure, se un ragazzo … se un giovane deve … vuole riuscire …
Ripeto, se è miliardario, se parte credendo di fare grossi nomi si trova senza soldi, perché i
miliardi non bastano per partire da certe …, bisogna che se li sappia gestire e deve anche
cercarsi qualcosa di nuovo da far crescere lui e questa è una capacità che non te li dà i soldi
- anche i soldi! - , ma se non hai la capacità
MF - Certo.
RL - non combini niente e corri il rischio di rovinarti completamente, e quindi, secondo il
mio punto di vista, [per] fare il gallerista veramente bisogna essere tagliati, bisogna
prepararsi, bisogna avere la te[sta(?)], cioè averlo dentro. È' come fare …, insomma come
l'artista fa una ricerca sul suo lavoro e deve avere la costanza di continuare e deve credere
veramente, lo stesso un gallerista, se vuol fare, … E poi è una domanda un po' … un po'
complicata questa. Te la farò … poi … la risposta,
MF - Sì.
RL - Te la spiegherò un'altra volta. Mano mano mi faccio venire … [Ridacchia].
MF - [Ridacchio].
RL - Perché, dovessi dire come faccio io ad andare avanti, non te lo so dire: contando
sull'elemosina. Chiedo l'elemosina.
MF - Allora un'ultima domanda, perché vedo che sei insofferente. [Ridacchio].
RL - Sì, sì, anche perché è difficile. Sono romanzi questi, perché se dovessi raccontare come
sono andata avanti - come del resto se lo chiede anche la gente - non lo so nemmeno io con
precisione. Cioè, lo so perché qui ci sono; ma [parola non comprensibile] non credo che
nessuno possa vivere come vivo, come mi sono condannata a vivere io per portare avanti
liberamente il mio lavoro. E li capisco. Se uno si vuol rassegnare ha perfettamente ragione.
E poi bisogna a un certo momento uscirne; cioè, devi in qualche modo sfociare in un
qualche cosa. E adesso sono lì. Dico: o sfocio o non sfocio.
MF - [Rido].
RL - Se devo chiudere è il momento di chiudere; non ho nessuna intenzione, ma dico:
adesso è il momento di fare un salto di qualità.
MF - Ecco. Ti volevo dire …Una domanda. Adesso sono diventate due però. Allora, la
prima era che, quando abbiamo parlato tante volte insieme, tu avevi accennato a un tuo
indirizzo nella scelta degli artisti e delle opere da esporre … Eee … non voglio dirlo io. Sei
tu che l'hai detto tempo fa e me lo ripeti qui adesso davanti al registratore.
RL - Cioè? Co… [Cosa]? Scusa.
MF - Allora devo dirti io quello …?
RL - No.
MF - Tante volte tu mi hai detto che il tuo indirizzo va a trecentosessanta gradi. No?
RL - Trecentottanta.
MF - [Mentre Rosa dice trecentottanta io, in sovrapposizione, proseguo a parlare]. Vuoi
spiegare? Ah! A trecentottanta! Ancora di più?
RL - Trecentonovanta, trecento… No. Eee, non so. Ecco. Questa è una cosa anche che oggi
va anche un po' di moda. É da un po' di tempo che la si fa andare di moda. A seconda di che
artisti fai … Cioè devi sempre fare determinati artisti, perché se non fai quei determinati
artisti non sei niente e nessuno: Quello che hanno deciso di far diventare! Sono i venti artisti
così. Io invece assolutamente sono … Mi è impossibile … Non c'è nessuno che riesce a
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costringermi. Non potrei vivere costretta in una cosa di questo genere. Questo anche con
molti galleristi. Se ne sono accorti troppo tardi. Quindi - scusa - adesso perdo anche …
anche il filo. Ma però io ho sempre … Dici … Scusa mi hai detto la veri…?
MF - Cioè: il tuo indirizzo. Eee
RL - Ecco, quando qualcuno, per esempio uno, Enrico Pedrini, - così ce lo facciamo stare mi dice:
MF - [Sorrido].
RL - Devi - come dire? - identificarti in qualche cosa. Farti conoscere per un … Come dire
tu sei quella che fai queste cose. E gli ho detto che, siccome lui è più giovane di me e io
morirò prima, e deve scrivere che sono l'identificazione della non identificazione. Eee lui mi
aveva detto anche un'altra parola; cioè, va be', comunque è la stessa cosa. Se proprio uno mi
vuole etichettare, deve dire che sono l'identificazione di una … della … della non
identificazione; perché non mi piace proprio identificarmi, fossilizzarmi in qualche …
L'avevamo già fatto con La Polena. Poi invece, secondo me, l'arte si esprimeee … Poi
naturalmente c'è la ricerca che m'interessa moltissimo. Però poi la ricerca deve essere portata
avanti da più artisti. Insomma, qui andiamo lontano. Io sono …; ecco: non voglio essere
identificata come qualcuno che ha seguito solo una parte dell'arte, perché l'arte secondo me
- ripeto - gira non a trecentosessanta gradi ma a più, e ci sono artisti che hanno bisogno di
interessarsi di questo, di quest'altro; l'importante è la loro autenticità e la loro capacità di
dirti qualche cosa diii …, ma non solo e sempre innovativo, perché non è necessario; ma che
sia sincero, che sia voluto; e portarlo avanti, seguirlo, cominciare da giovani e portarli
avanti. E' per quello che vorrei avere un pochino più di possibilità adesso, per farli muovere
e portarli avanti. Comunque è un lavoro interessante.
MF - Eee. L'altra domanda, che spero sia l'ultima (perché appunto così ti lascio tranquilla),
RL - Non ne posso più. Poi dico: Ho detto un mucchio di stupidaggini, perché, per carità …
Dimmi.
MF - Eee. Allora. Nel tuo percorso di gallerista, hai, come ambiente esterno, hai trovato
ostacoli? Hai trovato aiuti? Quali ostacoli maggiori? Quali aiuti maggiori?
RL - Ma … , non so. Da parte dei galleristi che potrebbero essere della mia generazione lì
per lì non ho trovato ostacoli perché non ho dato fastidio a nessuno. Mi sono tolta di mezzo
e mi sono aperta uno … Anzi … So che mi guardavano così, con una certa bonarietà, una
certa simpatia; come per dire: Quella è un pooo' … E maggior parte dicevano: E ma quella
chiude in due anni, in tre anni. Quindi non ho ricevuto praticamente …. A meno di qualche
fatto proprio parti… [particolare(?)] personale, che non mi sembra il caso …, perché io non
do importanza a queste cose e quindi nessuno si accorgeva di me. Ma, ti dirò, anche molti
galleristi [correggendosi] anche i collezionisti, il mio lavoro non è che l'abbiano …; forse
cominciano adesso a vedereee qualche cosa, cominciano ad accorgersi, e adesso comincio a
sentire un pochino più di ostilità, perché naturalmente quando si rendono conto che una
persona lavorava sul serio, lo faceva con cosa, poi in qualche maniera cercano in qualche
modo di stuzzicarti. Ma io non do molta importanza a queste cose. Cerco di andare avanti il
meglio possibile. Qualche volta mi schizzo un po', maa [ridacchia], come tu sai bene, ché mi
conosci [ridacchia], però poi in effetti io continuo. Devo essere tranquilla con me stessa. Poi,
anche se non sei condivisa o se non ti ritengono all'altezza o se ti ritengono all'altezza, il
giudizio degli altri m'importa al punto che non - ecco! - che uno non mi pensi una disonesta,
che non pensi che io sia una sfruttatrice, eccetera. Poi del resto gli altri possono pensare ciò
che vogliono. Insomma non … E quindi non è che abbia trovato molti nemici; qualche volta
qualche antipatico …, qualche antipatico [ridacchia] … Non ho incontrato … Anzi non so
fare … In secondo tempo, dopo, c'è qualche gallerista che vorrei anche ringraziare, come
laaa, per esempio, la Martano, che invece, secondo me, … Quando sono uscita avevo delle
difficoltà a inserirmi in un certo mondo, perché io ero soprattutto amica con gli artisti. Io ho
sempre capito gli artisti, mi sono sempre interessata di loro e non troppo del mercato o
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delle cose. Quindi ho trovato un po' di difficoltà. E lei è una delle poche da cui ho trovato
dei consigli giusti.
Basta adesso, Mario! Basta! Questo ti autorizzo a metterlo: Basta, basta, , basta, basta, basta,
basta.
MF - [Ridacchio]. Mi arrendo per ora.
RL - Sono tutte sciocchezze, perché stabilire veramente cos'è che ti fa fare quello che sto
facendo io è molto difficile, molto diff…, perché costa moltissimo quello che sto facendo,
ma non per dirlo … ma costaaa …, devi appunto rinunciare a determinate cose per ottenerne
delle altre e tante volte le rinunce sono facili ma nello stesso tempo diventano anche difficili,
anche perché tante volte sei un po' costretto a far rinunciare anche chi ti sta vicino a certe
cose, perché il mondo oggi [sospira] ha bisogno …, mi dispiace parlare - come dire? - di …
[pausa di silenzio] … etica, ma va a finire che se a qualche modo non si insiste a un modo di
lavorare [sospira] come di … - è difficile da spiegare - pulito, sentito, eccetera, si corre il
rischio veramente di …, crolla tutto - eh! - , anche nella letteratura, anche nelle … nelle altre
arti, nelle altre discipline specifiche, perché il mondo sta banali…, in qualche maniera non si
possono dare giudizi, ma un pochino banalizzando, specialmente poi in Italia, ma non perché
l'Italia sia …, gli Italiani sono anche in gamba, però quando cominci a leggere che, non so,
in Francia i giovani studiano sino, non so, ci sono, che sino a diciassette - diciotto anni
vanno a scuola l'ottanta per cento, da noi non arrivano nemmeno al cinquanta, al quaranta, al
trenta, questo è un segno veramente brutto e così è in tutte le cose, quindi queste sono cose
che bisogna in qualche maniera arginare, che bisogna che la scuola, tutti quanti …, secondo
me bisogna partire da lì, perché ormai certe mentalità si sono formate ed è difficile … ecco
poi anche, per esempio, siamo una nazione, anche questo mi spaventa un momentino, che
abbiamo più motorini; in Germania c'è il trenta per cento che ha il motorino e in Italia siamo
l'ottanta per cento che hanno tutti il motorino, i giovani, eccetera. E io mi chiedo appunto,
come diceva il giornalista, se è perché stiamo bene, siamo ricchi o se invece è perché si ha
mancanza di cultura, mancanza di capacità di capire come va il mondo. Insomma è un
momento che bisogna darsi da fare, Mario [ridacchia]. Non so, quel poco che posso io lo
faccio con tutto il cuore, però di più non posso fare.
MF - Va bene, ti ringrazio, come ti ho detto mi arrendo, mi arrendo.
RL - Non ne posso più. NON NE POSSO PIU'. MARIO BASTA!
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SCHELETRI NELL'ARMADIO:
GIOVANNI PAPINI
Il terzo scheletro, assai molesto, stanato dal collega Roberto Timossi, docente di Lettere alla Media
Centurione, è impersonato dall'aspra penna di Giovanni Papini. Il libretto, anche se violentemente
polemico, avrebbe richiesto d'esser restituito, su queste pagine, per intero. Ci limitiamo invece a tre
sole citazioni e rimandiamo gli interessati alla lettura diretta dell'opuscolo.
<<Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le
scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son
nate dall'insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di
uomini che spesso non erano stati a scuola o non v'insegnavano.
Sappiamo egualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità
formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi
ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali.
Soltanto per caso e per semplice coincidenza - raccoglie tanta di quella gente! - la scuola può
essere il laboratorio di nuove verità.
Essa non è, per sua natura, una creazione, un'opera spirituale ma un semplice organismo e
strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene
neppure a quest'ultimo ufficio - perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle
volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori.
Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istituiti per soddisfare a bisogni
pratici e prettamente borghesi>>.
Giovanni Papini, Chiudiamo le Scuole, Roma, Millelire Stampa Alternativa, 1992, pp. 4-5.
[La scuola] <<Insegna (pretende d'insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la
pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la
pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori.
Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità
non tenendo conto delle infinite diversità d'ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di
bisogni ecc. >>.
Op. cit., p. 9.
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<< L'unico testo di sincerità nelle scuole è la parete delle latrine >>.
Op. cit., p. 11
L'e-mail di Roberto Timossi.
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