Gentili lettori, apriamo questo numero richiamando un concetto la cui portata storica si dilata ben oltre le origini della civiltà moderna, di cui pure sta a fondamento, per abbracciare l’intero divenire del mondo umano, fino a contrarsi, nella storia presente, entro i limiti pratici della vita quotidiana di ogni singolo individuo; ci riferiamo con questo al concetto di tolleranza. La particolare incidenza di questo concetto all’interno della tradizione del pensiero occidentale non è certo sfuggita a quegli interpreti come Gadamer e Derrida, che in tempi recenti, e sotto la spinta degli avenimenti prima ancora che in risposta a un bisogno ermeneutico o decostruttivistico, si sono rivolti a ripensare l’idea di “Europa”, di spirito europeo come tema filosofico, individuandone i presupposti in una rinnovata dialettica di identità e differenza. Non v’è dubbio che su questa base, come d’altro canto già echeggiava nella formulazione di Voltaire, il concetto di tolleranza viene a costituire il principio formale, politico e morale, su cui si fondano per diritto le democrazie liberali occidentali. Tuttavia, proprio il suo essere divenuto in senso formale rende oggi questo principio assai problematico, tanto inadeguato a una sua dilatazione storica che tocchi le origini della civiltà moderna, quanto insufficiente a orientare, nel presente, l’agire pratico degli individui. Ciò che è andato perduto ci pare innanzitutto il rapporto d’interpretazione che lega l’uomo alla natura e che riconosce in quest’ultima il fondamento del divenire storico: quel rapporto veritativo che permetteva ai Philosophes del ‘700 di avere uno sguardo comprensivo, partecipe, “tollerante” appunto, nei confronti dell’eterogeneo, del differente, senza per questo doversi appellare ad un principio unitario assoluto, posto dall’esterno, né per altro verso rinunciare all’unità del vero come orizzonte fondativo del molteplice. Un importante contributo per un ripensamento del concetto di tolleranza ci viene da un recente convegno dal titolo: Europa e Paesi Bassi. Evoluzione, rielaborazione e diffusione della tolleranza nei secc. XVII e XVIII, frutto della collaborazione scientifica tra l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli il Netherlands Institute for Advanced Study in the Humanities and Social Sciences (NIAS) e dal Dipartimento di Storia dell’Università di Firenze. Una significativa ricostruzione dei contesti tematici e degli ambiti di discussione sollevati al convegno ci è offerta, su queste pagine, da Mario Agrimi, che non ha mancato di mettere in rilievo l’opera decisiva di promozione e coordinamento scientifico del convegno condotta da Antonio Rotondò. Tra le varie elaborazioni teoriche connesse al concetto di tolleranza, che sono state materia di riflessione al convegno, e di cui Rotondò ha fornito in un opuscolo a parte utilissime e approfondite linee di ricostruzione storico-critica e bibliografica, ci pare di particolare interesse, anche alla luce dei fenomeni che scuotono la vicenda umana di questo ultimo decennio di fine secolo, l’intreccio che lega l’evoluzione dell’idea di tolleranza con l’affermarsi della libertà di coscienza. A questo proposito, e a titolo di ulteriore riflessione, vorremmo qui proporre le parole con cui Spinoza apre il capitolo XX del suo Tractatus theologico-politicus (1670): «Se fosse tanto facile comandare agli animi quanto alle lingue, non ci sarebbe alcun sovrano che non regni in tranquillità, né ci sarebbero governi violenti, poiché ciascuno vivrebbe secondo la costituzione dei detentori del potere e non giudicherebbe del vero o del falso, del bene o del male, del giusto o dell’iniquo che secondo i loro decreti. Ma [...] questo non può essere. Non è possibile che l’animo di un uomo appartenga interamente a un altro, né che egli sia costretto ad abbandonare il suo diritto naturale o la sua facoltà di fare libero uso della sua ragione e di giudicare di ogni cosa. Di conseguenza è ritenuto violento quel governo che pretenda di dominare gli animi; contro questi soggetti mostra di agire ingiustamente e usurpare il loro diritto quel sovrano che voglia prescrivere a ciascuno ciò che questi deve ammettere come vero o rigettare come falso, inculcandogli opinioni che pure devono muovere il suo animo alla devozione verso Dio; queste cose appartengono di diritto a ciascun individuo; un diritto di cui nessuno, per quanto voglia, può privarsi. [...] Gli uomini son così fatti che niente sopportano con più ritrosia quanto vedere le opinioni che essi credono vere ritenute come criminali e condannato come una malefatta ciò che muove i loro animi alla pietà verso Dio e gli uomini; questo fà sì che essi finiscano con il detestare le leggi, osando agire contro i magistrati, poiché giudicano non vergognoso, ma molto bello provocare sedizioni per una tale causa e tentare imprese del genere, per quanto violente esse siano. Essendo dunque tale la natura umana, è evidente che le leggi concernenti le opinioni minacciano non i criminali, ma gli uomini che mostrano un carattere indipendente, poiché mostrano di essere fatte non tanto per contenere i malvagi, quanto per irritare i più onesti, e non possono, di conseguenza, essere mantenute senza grande pericolo per lo Stato. [...] Se dunque nessuno può rinunciare alla libertà di giudicare e pensare come vuole, e se ciascuno, in virtù di un diritto superiore di natura, è maestro dei suoi propri pensieri, non vi è Stato in cui, senza esporsi al più triste successo, si possa mai tentare di far sì che gli uomini d’opinioni diverse e opposte non dicano tuttavia niente che non corrisponda alle prescrizioni del sovrano; e che i più scaltri, in effetti, per non dire della folla, si lascino mettere a tacere. E’ un errore comune degli uomini confidare agli altri i loro intenti, tanto più quando è richiesto il silenzio; sarà dunque il più violento quel governo che nega all’individuo la libertà di dire e d’insegnare ciò che pensa; al contrario, è moderato quel governo che accorda all’individuo questa libertà». SOMMARIO 5 RESOCONTO 37 PROSPETTIVE DI RICERCA 5 Europa e Paesi Bassi: 37 Socrate e le sue fonti la storia della tolleranza nei secc. XVII-XVIII 38 Strategie di appropriazione dell’antichità 39 Ippocrate. Alle origini della medicina 9 CONFERENZA 39 La fama dei cinici 9 Le mie concezioni filosofiche 40 Hobbes e la rivoluzione inglese 40 Un nuovo interesse per Schopenhauer 13 INTERVISTA 42 L’ateismo di Fichte 13 Ragione narrativa e filosofia 42 Schelling, Fichte e Spinoza 43 Tommaso D’Aquino: una riscoperta 17 PROFILO 17 Ricordo di Emilia Giancotti 45 CONVEGNI E SEMINARI 45 Heidegger e il linguaggio 19 AUTORI E IDEE 47 Il tempo e i luoghi 19 Fine della storia 48 Leibniz e la questione della soggettività 19 L’angelo della storia 48 Seminari fenomenologici 21 Nietzsche, Deleuze: il superamento della metafisica 50 Attualità dello storicismo 21 L’ultimo libro di Félix Guattari 50 Antropologia filosofica del Novecento 22 Leo Strauss 51 Pensiero spagnolo contemporaneo 22 Jonas a Monaco 53 Le vie dell’Estetica 23 Valori inesprimibili 54 La filosofia e la sfida della complessità 24 Ricordo di Valerio Tonini 54 Giornate kelseniane 25 Pareyson in Francia 55 Dieter Henrich a Monaco 25 Ontologia dell’economia 55 Diritto e stato in Hegel 56 Comunità e società 27 TENDENZE E DIBATTITI 57 Primo piano: pensare il giardino 27 Arte e inconscio: il piacere della bellezza 28 Femminismo e filosofia 59 CALENDARIO 28 La filosofia analitica e continentale 29 La coscienza e la mente 61 DIDATTICA 30 Un uomo all’antica 61 I programmi "Brocca" 31 Il soggetto paziente 61 Convegni 32 Riviste d’autore 34 Ermeneutica letteraria 63 RASSEGNA DELLE RIVISTE 35 Figure del paradosso 70 NOVITA' IN LIBRERIA RESOCONTO Thomas de Keyser, Constantijn Huygens, Londra, National Gallery RESOCONTO C he la storia della tolleranza in Europa abbia il suo affrontati da un convegno che si è tenuto a Vico Equense, maggiore centro di convergenze e di irradiazioni a cura dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e del nell’Olanda moderna è un giudizio incontestato Dipartimento di Storia dell'Università di Firenze, nei e consolidato. E si tratta di una consapevolezza raggiunta giorni 10-12 settembre, sul tema: Europe et Pays-Bas: e trasmessa dalla stessa storiografia olandese, almeno a evoluzione, rielaborazione e diffusione della tolleranza partire dalla grande Historie der Reformatie (Amsterdam nei secc. XVII e XVIII. Si tratta di un piano di ricerca 1671-1674, 4 voll.) di Gerard Brandt, le cui traduzioni pluriennale, promosso dal Netherlands Institute for inglese e francese del primo Settecento diffondono in Advanced Study in the Humanities and Social Sciences tutta Europa il quadro denso e tormentato delle lotte (NIAS) e dal Dipartimento di Storia dell’Università di religiose e politiche combattute dal sec. XVI in Olanda, Firenze: una collaborazione scientifica internazionale di dove dalla stessa drammaticità dei conflitti emergono le grande importanza, che ha un qualificato coordinatore in prime formulazioni del problema della tolleranza, in un Antonio Rotondò, dell’Ateneo fiorentino, al quale si intreccio fortemente significativo di problemi religiosi e deve l’organizzazione scientifica del convegno, che è il di problemi politico-costituzionali. Un documento, in- primo di una serie di incontri, in cui saranno via via sieme ardito e maturo, sul diritto alla libertà religiosa è il presentati e discussi i risultati delle ricerche. Rotondò, celebre discorso rettorale De religione ab imperio iure eccellente esperto dell’argomento, ha tenuto la relazione gentium libera, che Gerard introduttiva ed ha altresì Noodt pronuncia a Leida l’ predisposto un prezioso vo8 febbraio del 1706. lumetto illustrativo delle linee e del programma di riDagli ultimi decenni del Cincerca, che ha il carattere di quecento, in non certo caun’attenta e informata guisuale connessione con le rida storico-critica e bibliovolte antispagnole, i Riforgrafica, utilissima a favorimati (soprattutto calvinisti), re una partecipazione imfiamminghi e valloni, dalle pegnata ai lavori del conveProvincie meridionali dei gno, fornendo necessari Paesi Bassi si mettono al chiarimenti di merito e di riparo nelle Provincie del metodo. Nord, in stato di secessione. La storia della tolleranza Ma più tardi la vita delle Bisogna in primo luogo nei secoli XVII e XVIII Provincie Unite è turbata da guardarsi da un uso generinuovi aspri contrasti religioco e incontrollato del consi, perché in seno al calvinicetto di tolleranza, in cui smo divampa la lotta tra arconfluiscono tre grandi miniani e gomaristi, con ricomponenti: gli irenismi di levanti implicazioni polititendenze diverse; i progetti che. Sono appunto queste di tolleranza civile distinta di Mario Agrimi travagliate vicende a recladalla tolleranza ecclesiastimare l’imporsi dello spirito di tolleranza, per cui, per ca e intesa come mezzo per neutralizzare gli effetti oltre un secolo, l’Olanda sarà la terra d’asilo di un’ dell’intolleranza ecclesiastica; le rivendicazioni della Europa sconvolta da guerre e da persecuzioni religiose e libertà di coscienza. Distinzioni certamente necessarie, politiche. Vi si cerca rifugio per motivi confessionali e che non devono comunque far perdere di vista l’unità politici; giungono esiliati in cerca di libertà e di sicurezza. complessiva del quadro, in cui le diverse “dimensioni” Numerosi sono i rifugiati dalla Francia, e poi ebrei della tolleranza possono coesistere, congiungersi o susispano-portoghesi, tedeschi, polacchi, i quali si riunisco- seguirsi. Né minore attenzione è da prestare alle varietà no in molte città della Provincia d’Olanda, ma soprattutto di significati del termine “tolleranza”, che resiste a lungo ad Amsterdam, che, dall’incontro e dallo scontro di nel suo significato originario ed etimologico di “sopporesperienze religiose, civili e politiche così intense e tare con pazienza”, prima di venire assumendo il positivo diverse, attinge le energie di un grande rigoglio della vita valore etico-giuridico di libertà. culturale, divenendo la maggiore sede europea delle Certo, il percorso storico più incisivo è quello che vede la attività editoriali e del commercio librario, con scambi trasformazione delle esigenze di tolleranza in rivendicaparticolarmente intensi con l’Inghilterra. zioni del diritto alla libertà di coscienza. E già negli ultimi Ma, dalla metà del sec. XVII, l’Olanda raggiunge, insie- anni del sec. XVI s’incontra - nella cultura olandese - uno me alla straordinaria fioritura intellettuale, un ecceziona- scritto quale la Synodus van der conscienten vryheyt le sviluppo della vita economica (e sono ben note in Italia (1582), che è forse la prima esplicita elaborazione teorile immagini del Seicento olandese consegnateci dagli ca, in età moderna, della libertà di coscienza, senza studi di Johan Huizinga) e assume il ruolo di grande dimenticare la Confessione Remostrantium (1619) di potenza mondiale. Pierre Bayle saluterà quindi l’Olanda: Johannes Episcopius, che ha un’importanza essenziale «la Grande Arche de Fugitifs», cioè la grande patria nell’impostazione del dibattito sui rapporti tra potere europea della tolleranza e della libertà di coscienza. civile e diritti della coscienza. Aspetti specifici di questa vasta problematica sono stati L’intero sec. XVI è certamente fondamentale per lo Europa e Paesi Bassi RESOCONTO Job Adriaenszoon Bercheyde, La vecchia Borsa di Amsterdam verso il 1668. Rotterdam, Museum Boymans - van Beu- studio della tolleranza, e basti solo pensare a Erasmo e alla tradizione erasmiana dell’Umanesimo cristiano, ai suoi diffusi radicamenti europei, alla sua lunga durata. Né minore rilievo ha tutta la complessa e talora sommersa tradizione “sociniana”; ma indubbiamente è la philosophia Christi d’Erasmo il profondo sostrato di quell’universalismo e irenismo religioso, di cui si nutre il migliore spirito di tolleranza. E ciò è ben tenuto presente dal programma di ricerca, che pur si riferisce ai due secoli successivi, e che si segnala inoltre per porre con forza l’esigenza di indagini circostanziate e particolari, mentre opportunamente si insiste sulle implicazioni politiche, culturali, giuridiche, sociali, economiche della storia della tolleranza o, se si vuole, della pace religiosa in Europa, che perciò richiede l’impegno di competenze multiple. Il programma dei lavori del convegno conferma la piena aderenza al piano di ricerca tracciato e va sottolineata l’ampia e autorevole partecipazione della storiografia olandese. Si tratta, come si diceva, del primo dei tre incontri previsti, dedicato a: Fondamenti, metamorfosi e dilatazioni dell’irenismo; il successivo, su La tolleranza ecclesiastica e civile, si terrà all’Università di Leida nel 1993; il terzo su La libertà di coscienza si svolgerà nella sede del NIAS a Wassenaar nel 1994. E’ particolarmente benemerita e feconda scientificamente questa collaborazione con esponenti così qualificati della storiografia olandese, che vede presenti Guillame H.M. Posthumus Meyjes, l’insigne studioso di Grozio che ha tenuto un’impegnativa relazione e ha presentato le conclusioni del convegno; Govaert C.J.J. van den Bergh, autore di studi fondamentali su Gerard Noodt; Hans Bots, cui si devono importanti studi sull’ambiente e sul pensiero groziani, ricostruiti anche attraverso l’edizione di preziose corrispondenze; Willem Frijhoff, attento indagatore dei problemi delle coesistenze confessionali nelle Provincie Unite; e molti altri qualificati studiosi. Il respiro europeo, ampio e profondo, della storia della tolleranza trova espressione piena in questa iniziativa. Le sequenze più note ed eminenti di questo complesso itinerario vanno da Erasmo a Grozio, da Spinoza a Leibniz, da Locke a Bayle, a Lecler, a Voltaire: l’Olanda e l’Europa sono quindi impegnate in un alto e umanissimo compito di civiltà. E non sorprende l’aperta e convinta adesione al progetto da parte dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, sensibilissimo alla collaborazione europea degli studi, il quale, non a caso, ha di recente inaugurato la sua “Biblioteca Europea” col poderoso e ricco volume di Paul Dibon, Regards sur la Hollande du siècle d’Or (1990), dedicato alla cultura della giovane e tollerante Repubblica delle Provincie Unite, quale crocevia della vita intellettuale e spirituale europea nel sec. XVII. Le rigorose ricerche di Dibon su André Rivet e J.F. Gronovius toccano figure che, nel loro differenziato RESOCONTO rapporto con Grozio, hanno grande rilievo nella storia della tolleranza; mentre la particolare attenzione rivolta alla intensa e libera comunicazione intellettuale assicurata dalla République des Lettres sottolinea quanto quel vasto e libero circuito di dialogo tra filosofi, filologi, eruditi e scienziati sia stato una forza attivamente operante nella storia della tolleranza. Centrale è quindi la figura di Bayle, che vive le tormentate vicende dei contrasti confessionali e poi dal “rifugio ugonotto” di Rotterdam diffonde con acutezza e grande efficacia le nuove idee di libertà religiosa e intellettuale, fondate sul programma di larga tolleranza civile esposto nel Commentaire philosophique (1686). Ma già dal 1684 egli aveva iniziato la pubblicazione della rivista “Nouvelles de la République des Lettres”, per favorire l’informazione e la libera discussione critica tra i cittadini della respublica literaria. Si passa così dalle trasgressioni dello scetticismo libertino all’affermazione dei diritti della “coscienza errante” e della libera ricerca storica, filosofica, scientifica. E non si può non ricordare che la rivista bayleana è rinata col suo titolo a Napoli, nel 1981, sotto la direzione di P. Dibon e T. Gregory. La libertas philosophandi, coraggiosamente rivendicata dal ceto civile e intellettuale napoletano del secondo Seicento, guarda con ammirazione e speranza all’Olanda. La biblioteca di Giuseppe Valletta è ricchissima di edizioni olandesi, e la storia napoletana del sec. XVII anche con le sue ricorrenti rivolte antispagnole - ha talune corrispondenze significative con le vicende dei Paesi Bassi, pur contrassegnate queste da specifiche peculiarità. E sia in Olanda che a Napoli si svolgono intense e accese discussioni cartesiane, sicché è necessario riservare qualche specifica attenzione ai rapporti tra diffusione del cartesianesimo e lotte per la tolleranza. Ma si deve sottolineare che la grande tradizione anticurialistica napoletana può, per molti versi, essere considerata un capitolo della storia della tolleranza in Europa. Lo strenuo e tenace sforzo di ridefinizione dei rapporti tra potere civile e autorità ecclesiastica rivendica la libertas philosophica contro le inquisitorie censure controriformistiche, utilizzando motivi gallicani e filogiansenisti, insieme alle esperienze delle lotte olandesi. E Grozio è autore largamente letto e utilizzato. L’anticurialismo napoletano è, come si sa, un vigoroso movimento di lotta politico-culturale, che interviene anche con energia sul terreno della problematica etico-religiosa, combattendo la morale gesuitica e la mondanizzazione e politicizzazione della Chiesa. Esso viene così esprimendo esigenze di riforma religiosa, che chiedono il ritorno della Chiesa alla pura e rigorosa disciplina evangelica. Ne è alta testimonianza l’eroico impegno della vita e delle opere di Pietro Giannone, e la tradizione giannoniana si radica con forza a Napoli e al suo interno sono da collocare anche figure di coraggiosi ecclesiastici, quali Gian Andrea Serrao e Gian Francesco Conforti, le cui proposte di riforma religiosa si intrecciano con ardite scelte politiche, quale quella del Conforti che affronterà l’eroica fine dei martiri della Repubblica Napoletana del 1799; e Vincenzo Cuoco dirà: «Conforti era il Giannone, era il Sarpi della nostra età...». Del Conforti andrà anche ricordata l’opera che va comune- mente sotto il titolo di Antigrotius (1780), nella quale è discusso criticamente il De imperio summarum potestatum circa sacra dell’arminiano olandese (ma è pure da segnalare l’importante opera inedita De conciliis oecumenicis). La polemica del Conforti con Grozio contiene certamente motivi moderati e qualche insicurezza, ma è nettissima nell’affermare la separazione del potere temporale dal potere spirituale, e ciò, per molti aspetti, differisce dalle posizioni groziane. Né il Conforti condivide la scelta di una tolleranza accordata a tutti i culti, nella convinzione che ciò porta inevitabilmente alla disgregazione politica e civile, ed è alla fine distruttivo della stessa religione. Grozio, com’è noto, è invece, insieme a Platone, Tacito e Bacone, uno dei “quattro autori” di Vico, che nel filosofo, teologo e umanista olandese coglie «un sistema di diritto universale», che lo conferma autorevolmente nella sua fondamentale visione di un’unità del genere umano, provata sul piano filosofico e filologico. Quindi Grozio è un “autore” di grande incidenza per la Scienza Nuova, la quale nello stesso tempo si oppone frontalmente a Bayle, assertore del “pirronismo storico” e dell’ipotesi, per Vico mostruosa, di una “repubblica degli atei”. Né Vico, convinto della necessità di una forte auctoritas politica per il governo dei popoli, è d’accordo con le interpretazioni groziane di Gronovius, fatte, secondo lui, «più per compiacere a’ governi liberi che per far merito alla giustizia». Per parte sua il filosofo napoletano auspicava «governi umani», alieni dalle intolleranze e dalle persecuzioni, e poiché «l’uomo soggetto naturalmente brama sottrarsi alla servitù», egli auspicava quelle repubbliche «nelle quali pii, sapienti, casti, forti e magnanimi debellassero superbi e difendessero deboli, ch’è la forma eccellente de’ civili governi». La tolleranza, la libertà di coscienza, la laicità sono un tratto essenziale della vita intellettuale napoletana moderna. Ed è per questo che - attraverso varie proposte e sollecitazioni culturali - da tempo parte da Napoli l’energico appello a recuperare la grande tradizione morale e intellettuale europea (e la storia della tolleranza ne è uno dei maggiori capitoli), la cui attiva presenza è assolutamente necessaria nell’attuale pericolosa crisi mondiale, in cui riesplodono intolleranze e fanatismo d’ogni genere. Edwin Rabbie ha svolto nel convegno una relazione sull’irenismo di Grozio nel contesto europeo, riprendendo il sagace avvertimento: «Nobis modica theologia sufficit», e quella modica theologia induce a ricordare che Benedetto Croce, tra lo scherzo e l’ironia, si diceva parcus deorum cultor et infrequens, che era un’elegante esortazione alla discrezione interiore e alla sobrietà, di fronte ai troppo facili ed esibiti commerci con l’Assoluto o col Divino. CONFERENZA Hans Albert CONFERENZA In apertura di questo incontro con Hans potrebbe essere sorretta criticamente, parte, e Albert dall’altra, in cui molti Albert, il secondo di una serie dal titolo: e anche utilmente corretta, attraverso aspetti della forte accentuazione dialetFilosofia tedesca oggi, organizzata dal le tesi di Albert. tica della Scuola neomarxista di FrancoGoethe Institut in collaborazione con Se prendiamo i primi lavori più impor- forte venivano sottoposti da Albert ad l’Università degli Studi di Milano, vor- tanti di Albert, che appaiono alla fine una analisi puntuale, e spesso anche spierei cogliere l’occasione per dire alcune degli anni Sessanta, possiamo incontrar- tata e ironica, attraverso una critica che cose di presentazione dell’opera e del vi una decisa attenzione per quei temi intendeva colpire soprattutto la mitizzapensiero di Albert, i cui testi sono in della Wertfreiheit e del Werturteil, del- zione della totalità della ragione, l’uso parte già noti al pubblico italiano. Ricor- l’avalutatività del giudizio di valore nel- della dialettica quasi come una panacea do che già nel 1972 Einaudi pubblicò la le scienze sociali, più che nelle scienze e sostanzialmente la refrattarietà di una traduzione di un dibattito, e di tutti i dello spirito, che la cultura italiana ave- parte del dibattito filosofico tedesco di commenti che ne seguirono, tenutosi a va conosciuto attraverso le discussioni lavorare in modo ampio con gli strumenColonia nel corso del Congresso di so- intorno a Weber: un’attenzione quella di ti della logica e di affrontare anche temaciologia. Nel volume che apparve con il Albert che è segnata da un deciso accen- tiche di tipo epistemologico. Va detto titolo di Dialettica e positivismo in so- to polemico nei confronti di alcuni dei che per certi aspetti alcuni degli sviluppi ciologia Albert interveniva, in modo po- tratti dominanti della cultura filosofica della Scuola di Francoforte, segnatamenlemico e chiaro, in particolare sulle tesi dell’epoca e che erano i tratti stessi con te di Habermas, hanno poi avuto la predi Habermas, concludendo poi con alcu- cui la cultura filosofica tedesca si pre- occupazione di confrontarsi con dibattiti ne osservazioni circa l’Introduzione che sentava in Italia. Penso naturalmente agli filosofici a suo tempo ignorati. a freddo e con un certo ritardo Adorno interventi su Weber, sul problema della Un altro obiettivo polemico, assai preciaveva predisposto per la presentazione Wertfreiheit, sul problema della metae- so, che Albert individua agli inizi degli del volume. Accanto a questo anni Settanta è anche il dibattesto, il Traktat über die kriti- In collaborazione con il Goethe Institut tito in teologia; la polemica sche Vernunft venne pubblicadi Albert contro ogni tentatie l'Università degli Studi di Milano to nel 1973 da Il Mulino con il vo di fondazione ultima, di titolo: Per un razionalismo critotalitarismo di una ragione tico, e due anni più tardi apparche voglia essere la ratio e ve anche presso l’editore Arnon appunto l’esame delle mando la tradu zione di connessioni tra le azioni umaPlädoyer für einen kritischen ne, faceva appunto prendere Rationalismus (Arringa per un posizione ad Albert, che nel razionalismo critico). Molto di 1968 aveva pubblicato il suo recente la “Rivista di FilosoTrattato contro la teologia fia” ha pubblicato la relazione moderna e contemporanea, dell’intervento di Albert al concontro la teologia della demidi Hans Albert vegno su Heidegger nella cultizzazione, e forse, per certi tura filosofica europea, tenuaspetti, più contro la teologia con una presentazione tosi a Torino nel 1990; un sagdi tipo protestante che non di Stefano Poggi gio questo in cui alcune delle contro quella cattolica, e cotesi heideggeriane vengono vimunque contro ogni forma di ste alla luce del problema del modernizzazione del pensielinguaggio. Questo per sottoliro teologico. Questo avvenineare che il pubblico italiano va in particolare in un testo, conosce, o potrebbe conosceassai divertente per lo stile a cura di Riccardo Ruschi re, alcune delle tesi più imporpolemico, intitolato Teologitanti di Albert. tica, che costituiscono il documento di sche Holzwege, pubblicato nel 1973, in Se poi apriamo il Lexikon der philo- una presa di posizione, che in modo cui il teologo Hebeling viene preso in sophischen Werke, un manuale di testi molto tempestivo, già agli inizi e nella esame a partire da tutte le repliche alle filosofici della tradizione occidentale prima metà degli anni Sessanta, prende- tesi di Albert e avvicinato per molti aspetpubblicato qualche anno fa da Kroner, va posizione contro alcune delle tesi in ti a quelle che sono le scappatelle dialettroviamo, alla voce Traktat über die kri- via di crescita e affermazione dell’erme- tiche dell’idealismo. tische Vernunft, un’esposizione delle tesi neutica, cogliendone alcuni aspetti tipi- Negli anni successivi l’attività di Albert fondamentali di Albert e in particolare ci e cogliendo anche quella che sarebbe è stata anche quella di promuovere la siamo richiamati dall’enunciazione del stata la capacità dell’ermeneutica di cre- conoscenza della letteratura di tipo epi“Trilemma del barone di Münchhausen”, arsi un largo consenso e un largo pubbli- stemologico, legata alla discussione sulche a sua volta compare come voce dello co. le scienze sociali di impianto anglosasHistorisches Wörterbuch der Philo- Gli anni intorno al 1968, e fino al 1970, sone. Il volume Theorie und Erfahrung sophie. Questo per dire che alcune delle sono segnati in particolare dalla parteci- (Teoria ed esperienza), pubblicato nel tesi del razionalismo critico sono ormai pazione molto attiva di Albert al già 1979 come risultato di un convegno, entrate a far parte della discussione filo- ricordato Positivismusstreit, la contro- tenutosi nel 1977 a Tubinga, raccoglie sofica di questo dopoguerra in Germa- versia intorno al positivismo nella so- molti testi in cui vengono discussi pronia, che anche agli occhi dell’osservato- ciologia tedesca. Che per positivismo blemi di fondazione delle scienze sociare non tedesco ha svolto una funzione non si debba qui intendere quello di li, con un’attenzione del tutto particolaassai importante. E dico questo anche in Comte, è cosa nota; bisogna ricordare re per quei contributi di tipo fondazionavirtù di quelle che sono le mie convin- però che questo dibattito, che si prolun- le, ma non filosofico, quindi per i prozioni personali; ritengo infatti che l’at- gò per molti anni, fino a lambire e a blemi di tipo sociologico e psicologico. tenzione con cui la cultura italiana ha superare l’esplodere degli eventi del Già nel 1971, la polemica di Albert conseguito da tempo le vicende del dibattito 1968, è un dibattito che vide la polemica tro ogni tentativo di fondazione ultima filosofico tedesco, con un’interesse pre- decisa e chiara tra Habermas, da una era stata decisa, nei confronti di Apel, in valente per certi aspetti o per certi altri, un opuscolo intitolato Transzendentale Le mie concezioni filosofiche CONFERENZA Träumereien (Fantasticherie trascendentali). Qui Apel veniva sostanzialmente criticato per quella che era l’operazione tentata e messa in atto nei suoi due grossi volumi pubblicati da Surkamp, dove veniva operata una connessione tra la cosiddetta pragmatica trascendentale e motivi della filosofia heideggeriana e del secondo Wittgestein. Questo è un punto meno noto al pubblico italiano, ma su cui è opportuno soffermarsi, poiché negli scritti precedenti, che risalgono fino agli anni Sessanta, Albert aveva posto l’attenzione su alcuni aspetti della filosofia del “secondo Wittgestein”, cogliendo le forti diversità rispetto al “primo”, in virtù di un deciso allontanamento dal programma russelliano, con la conversione verso il problema linguistico come tentativo di raggiungere una fondazione ultima: tendenze che si sarebbero sempre più fortemente manifestate e messe in atto in anni più recenti. Se queste posizioni di Albert fossero state più presenti, o avessero circolato di più, avrebbero aiutato a capire l’indirizzo preso da alcuni aspetti della discussione filosofica, analogamente a quanto il recensore della traduzione inglese della Logik der For- schung (Logica della ricerca) di Popper scriveva nel ’65 sul “Times Literatur”, che se il testo di Popper fosse stato letto un po’ prima nel mondo anglosassone certi indirizzi avrebbero preso un carattere diverso. La polemica con Apel è una polemica decisa e per molti aspetti illuminante circa la presenza, nella riflessione di Albert, della cultura di stampo anglosassone. Alcuni recensori avevano a questo proposito rimproverato ad Albert una certa anglofilia, un atteggiamento un po' di disprezzo per il mondo filosofico tedesco. Ma tutto questo è avvenuto all’insegna di una precisa linea di pensiero, che è quella che vede Albert opporsi a quella che veniva considerata la nuova ideologia tedesca, rappresentata da una compresenza di temi hegeliani e heideggeriani. Questo tipo di polemica è presente anche nei lavori più recenti, come in quello del 1982, La scienza e la fattibilità della ragione, fino ad un saggio, apparso in tedesco su una rivista italiana, intitolato: “Die Suche nach der Fundament der Erkenntnis” (La ricerca di un fondamento della conoscenza), in cui viene svolta una critica serrata di Heidegger, e anche di Husserl, che Albert considera L minismo, che a quanto dichiara esplicitamente Albert non solo il pensiero tedesco, ma anche quella parte della cultura filosofica italiana che guarda con attenzione alla Germania, potrebbe forse adottare e mettere in pratica, accettando, o ritenendo non decisivo quello spirito polemico che a volte ha fatto pronunciare ad Albert giudizi molto duri, innescando reazioni che hanno in ultima analisi impedito di leggere e affrontare i problemi posti in discussione. a concezione che io sostengo appartiene a quella direzione filosofica che si suole chiamare “razio nalismo critico”. Il razionalismo critico fa riferimento ai lavori che Karl Popper ha pubblicato negli anni ’30 e ’40 di questo secolo, soprattutto i suoi studi Logik der Forschung (Logica della ricerca) e Die offene Gesellschaft und ihre Feinde (La società aperta e i suoi nemici). Studi scaturiti da un confronto critico con il positivismo del “Circolo di Vienna”, il kantianismo della scuola Fries-Nelson, l’hegelianismo, il marxismo e altre dottrine. Le versioni oggi presenti del razionalismo critico si possono raccogliere soprattutto in tre specie: 1) un coerente fallibilismo; 2) un realismo critico; 3) un razionalismo metodico. 1) Il “fallibilismo coerente” sostiene la tesi della “fallibilità della ragione” in ogni ambito: dalla matematica e le scienze della realtà alla morale, al diritto, alla politica e alla religione. Ciò significa che per qualsiasi convinzione non vi è “nessuna garanzia di verità” e perciò “nessun fondamento sicuro”, nemmeno nell’ambito della matematica. Dunque ogni dogma e ogni dogmatismo deve essere rifiutato. Ogni soluzione di problemi deve essere considerata ipotetica e dunque, in linea di principio, rivedibile. Questa concezione si contrappone a molte dottrine filosofiche influenti, come quella di Husserl, di Dingler, della Scuola di Erlangen, di Apel, che sostiene la possibilità di fondamenti ultimi, e a molte dottrine come conditio sine qua non di certi aspetti dell’ermeneutica, e della scuola di Erlangen. Voglio concludere con alcune brevissime considerazioni sul fatto che uno degli strumenti che Albert ha fornito al lettore interessato a questi problemi è stata una utilissima raccolta, curata insieme a Ernst Topitsch e pubblicata dalla Wissenschaftliche Buchgesellschaft sul Werturteilstreit (Dibattito sul giudizio di valore): una raccolta estremamente utile, di oltre 500 pagine, in cui la vicenda del problema dei giudizi di valore viene esaminata non solo nei suoi presupposti filosofici, che al pubblico italiano sono ben noti, ma in riferimento a molti autori, alcuni noti e altri meno noti, che affrontano la discussione sul problema del valore nelle scienze sociali alla luce dei problemi propri della sociologia, della politologia e della psicologia stessa. E’ una raccolta di testi in cui le questioni filosofiche vengono affrontate guardando anche, per alcuni aspetti, se non al punto di vista applicativo, certo a quello della prassi razionale, alla possibilità di poter essere davvero uno strumento di “illuminazione”, una ripresa di alcuni motivi dell’Illu- religiose. Non si tratta tuttavia di “scetticismo”, poiché la “possibilità” della conoscenza viene mantenuta ferma. 2) Il realismo critico è quella concezione per cui il reale è in linea di principio conoscibile, anche se in questo ci si può sempre di nuovo sbagliare. Nella vita quotidiana ci sono conoscenze pure. Le scienze sono pertanto la prosecuzione critica, attraverso i migliori strumenti, del pensare quotidiano. A questo si connette la “consueta concezione di verità”, secondo cui un’affermazione “vera” è una “rappresentazione appropriata” di un effettivo stato di cose (cioè di determinati aspetti della realtà). Si definisce per lo più (fraintendendola) questa concezione come teoria di corrispondenza della verità. Essa viene oggi spesso criticata, ma io credo tuttavia che la si possa accettare. Importante è qui distinguere il “concetto di verità” (cioè il senso della parola verità), che ho appunto spiegato, da un “criterio di verità”. Con tale criterio generalmente si è concepito “un sicuro segno” (indizio) di verità. Molte sono le proposte per definire un tale criterio: evidenza, coerenza, utilità, e oggi, soprattutto, consenso (il consenso di una collettività comunicativa ideale). Tutti i tentativi di dimostrare un tale criterio sono naufragati. Perciò non vi può essere nessuna garanzia di verità. In vari modi la questione del concetto di verità viene scambiata con quella riguardante un tale criterio. Ma non si tratta di una confusione. Se ha ragione il razionalismo critico, allora può non valere la concezione kantiana che arriva a concludere che la realtà, in quanto è in sé - la “cosa in sé” -, non è conoscibile. Non ha ragione il cosiddetto “strumentalismo”, una concezione molto diffusa all’interno della teoria della scienza, secondo cui le scienze della realtà sono solo “strumenti per il dominio di problemi pratici, senza alcun “valore di conoscenza” che vada oltre. 3) Il “razionalismo metodico” rinuncia a “fondamenti CONFERENZA sicuri” che devono recare una garanzia di verità. Al loro posto esso pone l’ ”esame critico” di tutte le concezioni che entrano in questione. Ciò significa che le diverse proposte di soluzione a relativi problemi di conoscenza devono essere confrontate l’una con l’altra e valutate sulla base di determinati criteri, e viene scelta l’alternativa ogni volta migliore. Per le teorie scientifiche vengono in primo piano i criteri circa il “contenuto d’informazione”, “la capacità di chiarimento”, la “conferma empirica”. Ma la “prassi di conoscenza” delle scienze deve essere concepita solo come un caso speciale di prassi sociale, in cui si tratta dello scopo prefissato dell’ ”ampliamento della conoscenza”, del “progresso della conoscenza”. Negli ambiti ad essa inerenti della prassi sociale vi sono altri scopi prefissati, e di conseguenza anche “altri criteri” per giudicare le soluzioni dei problemi, per esempio nella morale, nel diritto, nella politica, nell’economia e nei diversi campi dell’arte. Tuttavia qui possono valere i tratti “generali” di una prassi razionale: analisi della situazione problematica, confronto delle soluzioni proposte e loro valutazione in rapporto a criteri, scelta della soluzione migliore. Questi sarebbero i tre caratteri comuni delle diverse versioni del razionalismo critico. C’è però un altro punto importante. In “opposizione” a certe versioni del “positivismo”, il razionalismo critico non respinge la “metafisica” (come “illegittima” o priva di senso). Solo, esso si schiera per un trattamento razionale anche dei problemi metafisici e mette in evidenza la stretta connessione tra metafisica e scienza. Le concezioni metafisiche, soprattutto, rivestono spesso un ruolo importante come “programmi di conoscenza” per discipline scientifiche - si pensi per esempio all’atomismo -; altre volte, spesso è possibile criticare concezioni metafisiche sulla base di risultati scientifici - si pensi per esempio al ruolo della geometria non-euclidea nella critica del kantianismo. Per ciò che concerne le scienze della cultura, si devono menzionare soprattutto “due punti” che collegano il razionalismo critico alle concezioni di Max Weber: 1) la soluzione della problematica del valore nel campo delle scienze sociali; 2) l’accentuazione del significato del comprendere e della spiegazione che comprende. 1) Il principio weberiano della libertà di valore è stato spesso frainteso. Weber non ha semplicemente rifiutato i valori delle scienze sociali. Egli ha piuttosto distinto nettamente tra; a) valutazioni nell’ ”ambito obiettivo” delle scienze sociali; b) valutazioni all’interno di “affermazioni” socio-scientifiche (teorie, ecc.); c) valutazioni nella “prassi di conoscenza” delle scienze sociali. a) E’ ovvio che le scienze sociali debbano “informare” sulle valutazioni nel loro ambito obiettivo (cioè le valutazioni della gente, i cui rapporti esse analizzano). c) E’ ovvio che gli esponenti delle scienze sociali debbano pronunciare giudizi di valore nelle loro prassi di conoscenza, analogamente come gli scienziati della natura devono valutare i loro problemi, metodi, teorie, spiegazioni ecc., per poterne scegliere i migliori. Sono queste valutazioni strumentali, che sono messe in riferimento con lo scopo della conoscenza. b) Ma “non è necessario” assumere “nelle affermazioni” giudizi di valore che vengono formulati sugli oggetti, poiché essi “non aggiungono niente alla conoscenza”. Contro questa tesi non vi è finora alcuna obiezione plausibile. C’è però una quantità di “tentativi confusi” di superarla, come per esempio nell’opera maggiore di Jürgen Habermas. 2) I filosofi che si sentono in obbligo nei confronti dell’ermeneutica di stampo heideggeriano e gadameriano, descrivono spesso la situazione come se il razionalismo critico sia diretto contro l’ermeneutica. Ciò è del tutto fuorviante. Noi sosteniamo spiegazioni che comprendono nel campo delle scienze sociali, poiché si può spiegare l’agire umano solo se si è compreso il “senso” di queste azioni. Un tale “comprendere” è un “elemento importante” nella spiegazione delle azioni. L’ermeneutica come “arte dell’interpretazione di testi” può in questo rivestire un ruolo importante. Ma essa stessa presuppone però, in quanto teoria artistica (o tecnologia), teorie di tipo usuale. Noi concepiamo dunque il comprendere e l’ermeneutica nell’ambito di un “programma di conoscenza naturalistico”, che miri a dare spiegazioni. Ciò che critichiamo è solo la degenerazione dell’ermeneutica sotto l’influsso di Heidegger e Gadamer, in cui viene abolito lo scopo originario di comprendere il senso che un autore ha collegato al suo testo: cioè la moderna “corrotta ermeneutica”. Anche la scienza dello spirito è secondo le nostre convinzioni una normale scienza “ipotetico-deduttiva”, che può servire (nella critica delle fonti) a un’ermeneutica come noi la intendiamo. Per ciò che concerne la “teologia moderna”, mi sono sempre espresso in modo critico nei suoi confronti, soprattutto in rapporto a Bultmann, Ebeling, Küng, Pannenberg, ma anche in riferimento a Schleiermacher. Il “dibattito sulla demitologizzazione” mostra in modo particolare, nell’ambito di questa teologia, il ruolo di un’ ”ermeneutica corrotta”. Si dà per esempio una interpretazione completamente diversa dei testi biblici, al punto che essi sembrano adattarsi alla moderna immagine scientifica del mondo, nascondendo in tal modo componenti essenziali del cristianesimo. Di ciò si fanno partecipi anche quei teologi che sono oggi più amati dal pubblico, come per esempio Drewermann in Germania, che dà ad intendere alla gente che egli possieda la fede cattolica, solo la traduce in un “linguaggio moderno”. La mia critica alla moderna teologia non significa tuttavia che io ammetta la teologia ortodossa. Essa contiene assunti metafisici che da tempo sono problematici. La critica della religione e della teologia appartiene alla “tradizione dell’Illuminismo” in cui si riconosce il razionalismo critico. Se oggi i filosofi affermano che l’Illuminismo ha in una certa misura terminato il suo compito, e che il filosofo può oggi accettare certe religioni, o la religione in quanto tale, come componente necessaria della cultura, questo viene reso possibile soprattutto per il fatto che “non si prende sul serio la religione nella sua pretesa di verità” e si crede di poterla giudicare sulla base delle sue “funzioni” - cioè dei suoi “effetti” sulla società - e per il fatto che anche si tiene conto di questi “effetti” in modo incompleto. A questa situazione la citata ermeneutica corrotta dà un contributo essenziale. Soprattutto non vengono presi in considerazione gli “aspetti inuma- INTERVISTA Jean-Pierre Faye INTERVISTA Il testo di Jean-Pierre Faye, La ragione heideggeriana da giudizio filosofico di- metafisica dà luogo a quella che per Faye è, narrativa. La ragione dell’Altro, (tradu- venti, “all’indietro”, nei confronti del pas- in senso letterale, una “mitologia filosofizione italiana di A. Atti, Spirali, Milano sato, giudizio storico, e nel contempo, “in ca”: una drammatizzazione, un mythos, 1992) è mosso in prima istanza da un inten- avanti”, giudizio politico. che racconta una storia di caduta, oblìo e to “genealogico” nei confronti della ragio- La connessione di giudizio storico, giudi- “non nascondimento” dell’essere. ne filosofica: la “ragione dell’altro”, cui zio filosofico e giudizio politico emerge La polemica di Faye con Heidegger e con i allude il sottotitolo dell’edizione italiana, nel progetto, che Heidegger consegna ai suoi discepoli, Jacques Derrida in testa, rappresenta più precisamente la dimensio- discepoli, “ortodossi” ed “eretici”, di “ol- vuole dunque essere politica proprio in ne “altra” del concetto, il suo “percorso trepassamento della metafisica”, progetto quanto narrativa, vale a dire “radicalmennarrativo”, quello che fa sì che lo sguardo in cui Faye da una parte scorge il palesarsi te” filosofica. E’ proprio sul livello “rizoconcettuale si costituisca e che, peraltro, di una certa retorica roboante, ma ingenua, matico”, cioè genealogico, che si colloca la passa in secondo piano rispetto al concetto, e dall’altra il trapassare dell’analisi in una connessione tra politica, pratiche narrative quando questo si è costituito come tale, sorta di “scenegiatura filosofica”. Il pro- e filosofia. Qui la filosofia incontra il suo senza cessare, con ciò, di innervarlo. Nella gramma di una Überwindung della metafi- “fondo”, nella sua dimensione di “linguagprospettiva di Faye, il concetto appare come sica appare a Faye retorico, perché equiva- gio praticato”, espressione che in Faye una sorta di nodo che si costituisce sulla le, nel cammino narrativo da cui nasce la esclude la possibilità di una mitologizzatrama della narrazionalità, in quel momen- metafisica medesima come “cosa”, e fi- zione di un linguaggio stesso, di una sua to che Faye definisce transformat che è nanche come concetto, ad arrestarsi o a ipostatizzazione. Soggetto non è il linguag“dentro” e “fuori” dalla narrazione medesi- tornare a uno stadio storico precedente a gio, il logos, l’essere in quanto connotato ma: il concetto sorge infatti fuori dalla quello raggiunto. La sovrapposizione di come “altro”; lo sguardo narrazionale di dimensione narrativa, per certi Faye sfugge al rischio, talvolta versi le si contrappone; ma d’alpresente in prospettive ontoloIn collaborazione con tra parte è un elemento della gicamente orientate alla ricerca l’Associazione Psicoanalitica Italiana narrazione da cui proviene e che di fondamenti, di una mitizzacontribuisce a far proseguire. zione dell’alterità. L’etica del La figura di Heidegger riceve linguaggio rimanda invece aluna particolare attenzione nell’ethos come categoria attinente l’opera di Faye, proprio in quanal soggetto umano in quanto stoto paradigmatica dell’intreccio rico e in quanto storicizzante; da tra filosofia e narrazione, metaconsiderarsi cioè al contempo fisica e storia. La tesi heideggecome oggetto di una narrazione riana della Vergessenheit des e come io narrante. Di contro Seins, dell’oblìo dell’essere, conalla pretesa a un surplus di “orisiste in una censura operata dalginarietà” spesso insita nei tenla filosofia nei confronti della tativi di fondazione ontologica un'intevista a Jean-Pierre Faye propria storia, cioè della narradell’esistente, e contro il decozione; è il punto di vista, già struzionismo antiantropologico, hegeliano, della verità come conla prospettiva di Jean-Pierre Faye cetto, che contrappone la verità può dunque essere definita medesima alla narrazione. “umanistica”, nel rivendicare la La censura heideggeriana agicentralità del soggetto umano sce in due sensi: nei confronti non in quanto mero latore di del “passato”, con l’oblìo delun’istanza che lo trascende, ma l’origine narrativa del concetto come unico e concreto punto di a cura di Flavio Cassinari e nei confronti del “futuro” del vista da cui le domande si ponconcetto, del suo essere parte di una “sto- una considerazione storico-cronologica (e gono: «cosa senza cui non possiamo parlaria” cui esso è consegnato. Proprio la di- dunque, malgrè Heidegger, ontico-fattua- re», come direbbe Foucault. mensione narrazionale, e in forza di ciò le) all’analisi ontologica sottesa all’intento “storica”, della filosofia fa sì che la censura programmatico di oltrepassamento della Ragione narrativa e filosofia P rofessor Faye, il suo tentativo di determinare l’elemento essenziale della filosofia tramite la nozione di “ragione narrativa”, colloca, apparentemente, il problema nei termini dell’ esposizione” di “contenuti” della ricerca filosofica. A questo proposito vengono individuati tre paradigmi: quello “cristallografico”, dove ciascun nodo concettuale rimanda ad un punto di sfaldatura, in modo che si dia un multiversum di letture; quello della “messa in sequenza” elicoidale; quello dell’”espansione galattica”. Fino a che punto questi tre paradigmi si complicano e riguardano non l’”esposizione” pura e semplice, ma la “cosa del pensiero”? Sono tre “analogie”, tentativi di descrizione di un percorso compiuto. Esse riguardano sia la struttura dell’esposizione concettuale attuata dal discorso filosofico, sia il suo procedere storico, sia, infine, il suo stesso costituirsi; questi tre aspetti sono inestricabilmente connessi. Il primo paradigma, quello “mineralogico”, tra forme di cristallizzazione e piani di sfaldatura delle stesse, riflette, a mio parere, il rapporto intercorrente fra il livello narrativo e quello filosofico, ovvero concettuale. Questa relazione si sviluppa, però, con un movimento che mi pare descrivibile come struttura elicoidale: un movimento che ritrova, cioè, le medesime “forme di cristallizzazione”, le medesime configurazioni concettuali, in momenti differenti e successivi. Vengono dunque riprese, a livelli e da prospettive diverse, le medesime questioni. L’evolversi della riflessione di Martin Heidegger per un verso, e la connessione - in questi tutt’altro che estrinseca - tra riflessione filosofica e prese di posizione politiche, per l’altro, sono a questo proposito un’esemplificazione eclatante di una ripresa del medesimo problema a stadi INTERVISTA diversi, e su piani diversi. Mi sembra che la struttura del Purgatorio, nella Commedia dantesca, che è il momento più problematico e più paradigmatico del cammino umano, possa dare l’idea del procedere elicoidale, che avviene più per “balze”, che per “scalini”. Ma anche le strutture elicoidali dello ziqqurat sumero e di quello babilonese, dove il dio scendeva sulla terra e l’uomo saliva per scrutare il cielo, sono una sorta di paradigma del pensiero narrativo, della “via alla conoscenza” primitiva, di quella dimensione originaria del lògos che Heidegger cercava nei presocratici. E così pure, con un altro riferimento ben estraneo alle tradizioni in cui Heidegger cerca l’ ”originario”, si può ritrovare la struttura elicoidale nel minareto abasside, sempre in quella regione che è la culla della cultura semitica. Questo per ciò che riguarda il paradigma della “messa in sequenza” elicoidale, che però rimanda esso stesso alla terza analogia, che esemplifica il rapporto tra pensiero narrativo e pensiero concettuale. Prima ancora che sul piano scientifico, che l’ha verificata, la “teoria del cielo” di Kant è valida su quello filosofico: siamo parte della “via lattea”, anche se queste stelle non sono più, per noi, il latte di Giunone. Il movimento a spirale stesso dà luogo a un processo centrifugo, dove le cristallizzazioni concettuali della narrazione si fanno sempre più lontane le une dalle altre e rimandano a un movimento espansivo. D’altra parte, fra questi tre paradigmi del rapporto tra pensiero narrativo e concettuale, il primato spetta a quello della “sequenza a spirale”, proprio per il fatto che è esso stesso ad animare gli altri due, quello cristallografico e quello “espansivo”. Il paradigma della spirale attiene alla questione del farsi reale del discorso, del suo diventare processo storico: quel momento sfuggente nella sua inoggettivabilità, in cui il discorso diventa evento storico, la narrazione realtà effettiva. La pallottola che uccide Robespierre è certo la realtà che irrompe nel suo discorso, è il “farsi reale” del discorso stesso; i discorsi che egli ha già pronunciato, e quello che sta pronunciando, diventano parte di quella realtà. Ma, da un altro punto di vista, questa pallottola è meno reale di quel discorso che, in senso proprio, la produce, ed è dunque essa stessa a essere parte di quel discorso. Il problema che ho tentato di mettere a fuoco è quello del punto in cui lo snodarsi del discorso, senza riguardo al suo essere “discorso del pensiero”, diventa evento, storia; il momento cioè, in cui il discorso diventa realtà. Ma neppure il movimento che ho esemplificato con la sequenza elicoidale, il più importante dei tre, attinge a qualcosa che sia definibile come “la cosa del pensiero”. Il pensiero si colloca piuttosto nello scarto, nella distanza fra il processo del linguaggio e quello del reale, o meglio, dei “reali”, cioè di quella pluralità di realtà alla quale tentiamo di attingere attraverso l’attribuzione dei nomi. A questo proposito la figura di Heidegger, almeno come punto di riferimento polemico, è per Lei rilevante, in quanto paradigma dell’intreccio fra metafisica e storia da un lato, riflessione filosofica e pensiero narrativo dall’altro. In che modo il discorso narrativo costruisce qui storicamente il proprio oggetto e la metafisica diventa politica? In che modo dalla tesi dell’oblìo dell’essere nella metafisica si arriva all’idea della necessità di un riscatto storico nell’impegno politico? Con la tesi della Vergessenheit des Seins, dell’ ”oblio dell’essere”, Heidegger si inventa una sorta di peccato originale filosofico. Smentirlo, riguardo al pensiero greco, è fin troppo facile; basterebbe pensare alla distinzione aristotelica fra l’eìnai, l’infinito del verbo essere, e l’òn, l’ente; anche se spesso nelle lingue moderne la differenza specifica non è salvaguardata e Heidegger ha certo ragione nel ribadirla. Anche nel Medioevo latino, che Heidegger conosce bene e che pure rifiuta per ragioni più spiegabili con la sociologia, che non con la filosofia, la nozione di “essere”, anche in un “antifilosofo” come Bernardo, è ben focalizzata; così pure in un altro pensatore collocato all’estremo opposto del Medioevo, Pico della Mirandola. La “differenza ontologica” è poi riconosciuta anche nel pensiero arabo, che fa parte della storia della filosofia allo stesso titolo del pensiero tedesco e di quello greco, o della rivoluzione galileiana. Credo che la nozione di “filosofia occidentale” sia priva di senso: in fondo, la “filosofia greca” propriamente detta si estende per un arco di 50 anni, mentre il pensiero arabo lavora per circa quattro secoli sui testi greci, e questo lavoro viene poi consegnato al cosiddetto “Occidente”. La Vergessenheit, l’oblìo, la censura è quella operata da Heidegger nei confronti di queste tappe del pensiero - per quel che riguarda gli Arabi, più che di censura bisognerebbe forse parlare di ignoranza. Ancora, la censura heideggeriana investe tutto il pensiero ebraico, che fino a Spinoza, per il quale le idee sono «nient’altro che narrazioni mentali», consiste in una meditazione sulla narrazione (Haggada) che si sviluppa attraverso narrazioni, mostrando in questo la sua differenza dal pensiero arabo, che rielabora concettualmente i problemi sollevati dalla grecità. Come la nascita di quella greca, anche quella della filosofia ebraica consiste, non solo in senso traslato, in un’ ”uscita dalla schiavitù”; diversa è però la strada scelta: quella della narrazione in un caso; quella dell’idea, dell’eidos, nell’altro. I due percorsi si intrecciano nel Medioevo latino, che cresce attorno al ripensamento concettuale del testo narrativo ebraico, la Bibbia; questo rimandarsi è l’altra faccia dell’antinomicità, che pure è reale, del pensiero ebraico e di quello greco. Dunque, la vera Vergessenheit, l’oblìo, la censura, non è quella di queste tradizioni di pensiero nei confronti dell’essere, ma quella di Heidegger nei confronti di queste stesse tradizioni; censura che diventa, con l’antisemitismo, una “rimozione” politica, storica. Dalla sua impostazione risultano quasi rovesciati i termini del dibattito attuale sul rapporto fra Heidegger e il nazionalsocialismo: non si tratta più di chiarire l’eventuale relazione determinante tra la filosofia di Heidegger e le sue prese di posizione politiche, ma di chiarire alcune “svolte” teoretiche con la necessità di giustificare l’impegno politico, che si caratterizza come superamento della metafisica e del nichilismo. C’è una “volontà politica” che indirizza la speculazione “metafisica”? INTERVISTA E’ dal legame stesso fra metafisica e nichilismo che affiora una volontà politica in questa gestione dell’omissione, della censura, della dissimulazione. In effetti non si tratta più di interrogarsi sulla “possibilità” di una relazione in Heidegger fra la posizione politica e il discorso filosofico. Si tratta invece di cogliere in che modo la Kehre, quella “svolta” alla quale egli stesso allude in modo oscuro, sforzandosi di farla risalire a conferenze non pubblicate del 1930 o del 1931, nasca in connessione del contrasto nei confronti di coloro che avevano affiancato Heidegger, nel primo anno dell’avvento del Terzo Reich, e che nel 1934 gli si erano rivoltati contro, negandogli la qualifica (allora di uso corrente) di “filosofo del nazionalsocialismo”. Da questo punto di vista, la Bekenntnis zu Adolf Hitler (Riconoscimento di Adolf Hitler) del 1933 si sviluppa in termini più complessi, ingarbugliati e drammatici nella Einführung in die Metaphysik del 1935. Le due opere fanno parte della medesima drammaturgia politico-filosofica, dove “pensiero dell’essere” e “verità interna del movimento” (nazionalsocialista) sono inscindibilmente connesse. La volontà politica sembra essere all’origine anche della polemica “antiumanistica” che, dopo Heidegger, guida il cammino di alcune correnti del pensiero francese. Anche la questione dell’ ”umanesimo” va riportata a quel legame e al momento di “grande pericolo”, come Heidegger lo definisce, intervenuto a seguito degli attacchi che gli provenivano dall’interno del Partito. Ma anche a questo proposito non c’è affatto, da parte di Heidegger, un tentativo di risolvere la questione; c’è al contrario la dissimulazione dell’elemento essenziale del problema con quella che può ben essere definita una “grossolana confusione”. Ancora una volta è Krieck, il carnefice filosofico di Heidegger, a denunciare violentemente quello che egli definisce “il tempo dell’umanesimo”. Possiamo udire l’eco di questo linguaggio nella risposta heideggeriana alle questioni poste da Jean Beaufret nel 1946. Quando Beaufret interroga Heidegger sull’umanesimo, egli in ciò è debitore della scoperta, negli anni Trenta, del linguaggio del giovane Marx, che definiva la propria posizione riferendosi precisamente alla nozione di Humanismus. Ciò che Heidegger ancora una volta misconosce è la vera origine di tale nozione, sulla base della quale, nella seconda metà dell’Ottocento, viene coniato il neologismo francese humanisme. L’appellativo umanista appare invece a partire dal 1539 a proposito di Giovanni Pontano; in Montaigne esso designa l’opposto di “teologo”, e viene ammesso nei dizionari francesi a partire dal 1718. Questo termine sta ad indicare un movimento di pensiero originario dell’Italia; un movimento che riassume tutto ciò che viene implicato dal termine Rinascimento, tutto ciò che viene scoperto dai Francesi alla fine del XV secolo. Dalla parte del termine “umanista” c’è dunque il pensiero italiano rinascimentale; da quella del termine “Umanesimo” ci sono Arnold Ruge e i repubblicani radicali, Heinrich Heine, Karl Marx, Friedrich Engels e quei filosofi e poeti tedeschi immigrati in Francia, che nel 1844 preparano a Parigi il numero unico degli Annali franco-tedeschi. Da una parte c’è la rottura con la scolastica medioevale, dall’altra la problematica posthegeliana da cui prende le mosse la riflessione di Marx; in entrambi i casi, non ha nulla a che fare con quell’imbelle ideologia a cui Heidegger dichiara guerra. E poi si tratta di livelli di riflessione fra loro quasi altrettanto lontani quanto la “metafisica” e il “nichilismo”. L’amalgama concettuale creato da Heidegger è, anche qui, il frutto di una strategia politica ben precisa. Qual è, infatti, il significato di ciascuno di questi due momenti della riflessione? Quello in cui appare la nozione di Humanismus segna la nascita della “critica dell’economia politica”, con l’apparizione sulla scena del “mercato”, nozione oggi più attuale che mai nel contesto dell’odierna economia di mercato. Il momento a cui fa riferimento la nozione di umanista è invece quello della critica linguistica, dell’attenzione nuova nei confronti dell’aspetto letterario dei testi, della riscoperta dei manoscritti nelle lingue originali: quella greca, per la quale Heidegger ha un rispetto quasi religioso, ma anche quelle ebraica e araba. Il punto cruciale non è qui l’acquisizione di una dimensione originaria del linguaggio, bensì la “pratica di mutuo scambio fra le lingue” e le trasformazioni semantiche che si verificano in questo scambio. Lo stesso rapportarsi della nozione italiana di umanista a quella tedesca di Humanismus, all’interno della lingua francese, è un esempio di questo scambio. Ma nel fin troppo celebre Brief über den Humanismus (Lettera sull’umanesimo) del 1946, con la sua rituale invettiva nei confronti del “malinteso senso filantropico”, ciò che emerge è solo una delle fonti narrative della pedagogia “nera”. Lei sembra avversare l’idea di un programma filosofico proposto nei termini di una definizione, sia essa il “pensiero dell’essere”, l’antiumanesimo, o il “superamento della metafisica”. Se il significato del “fare filosofia” è operativo, come si caratterizza quel coniugarsi di narrazione e concetto da Lei definito transformat? Fare filosofia, o piuttosto “ripensare filosoficamente”, consiste nel comprendere in che modo scritti come la Einführung del 1935 o il Brief über den Humanismus del 1946 siano anche la “messa in narrazione” del dialogo heideggeriano con quel potere politico nei cui confronti Heidegger ha pronunciato la sua professione di fede, la sua Bekenntnis (Riconoscimento), presentandolo come «un tornare verso l’essenza dell’essere». Ecco ciò di cui “oggi” deve chiedersi la filosofia: la narrazione agente di questa volontà heideggeriana di «trasformare dall’interno il nazionalsocialismo», come Heidegger l’ha intesa nel dopoguerra. E’ qui che occorre scorgere la nuova “rivoluzione copernicana”. Non è semplicemente una filosofia che tutto a un tratto si interessa alla narrazione, ma è l’operazione narrativa che coglie l’essenza problematica della filosofia e definisce l’ambito in cui essa si muove, senza il quale la filosofia non sarebbe che un astro solitario. L’evoluzione del pensiero di Copernico, compiutasi fra Cracovia e Padova, è divenuta un nuovo evento filosofico con Galileo, e nello stesso modo deve INTERVISTA riproporsi ancora, su un altro terreno. Pensare il transformat, consiste nel tematizzare l’evento di questo riproporsi. Il transformat è l’operazione attraverso cui il processo narrativo si trasforma in concetto; il suo evento archetipico è la genesi della scrittura. Questo è il primum, l’inizio del processo narrazionale, che è però del tutto interno al processo stesso, senza il quale non si dà filosofia. Il transformat vive nel processo narrativo che si snoda nel linguaggio, che “è” il linguaggio, che conduce dalla narrazione all’evenire del concetto. Questo pensiero del transformat è un lavoro che, per quanto mi riguarda, è ancora da compiersi; in questa mia ultima opera, che copre solo i due terzi del cammino che conto di percorrere, vi accenno soltanto. Il transformat si individua localizzando il momento in cui l’epiteto democratica, attribuito ad Atene con valenza dispregiativa per sottolineare quanto ci fosse di risibile nell’attribuzione al démos del kràtos, cioè di quella che era la prerogativa del principe o dei “migliori”, diventa un concetto, quello di “democrazia”. Il cambiamento avviene con la “rivoluzione” di Clistene, attuata con l’appoggio di «stranieri e meteci», stando ad Aristotele; esso sopravviene nel momento di una difficoltà, di una aporìa concettuale, come precisa Aristotele stesso. Questa aporìa filosofica decisiva, Heidegger non la può cogliere; per lui ancora nel 1976 la democrazia non era una soluzione soddisfacente al problema della “tecnica”, mentre era stata una soluzione «abbastanza soddisfacente» il nazionalsocialismo... In modo analogo, nel corso del lungo sforzo discorsivo heideggeriano, la svista narrativa di Ernst Krieck si trasforma nel “concetto” di “nichilismo metafisico”; anche qui è compito dell’indagine filosofica cogliere il transformat aberrato e perso nella trappola heideggeriana. Un cammino orientato, dunque, nella direzione di una “filosofia narrazionale”, di cui Spinoza appare una tappa decisiva, forse anche attraverso la mediazione di Deleuze... C’è una vicinanza impressionante fra Deleuze e lo Spinoza dei Cogitata del 1663, soprattutto quando il primo sottolinea di Nietzsche il vigore espressivo e concettuale, che «presenta le idee come eventi». A mio parere la posta messa in gioco da Nietzsche si colloca in una terribile contraddizione, quella fra la terza parte dello Zarathustra, che culmina nel “siate duri” delle Nuove tavole, e i passaggi sull’unità europea, sulla sua unione amministrativa, in correlazione con il “partito degli oppressi”, il “partito della pace”, liberato «dallo spirito di vendetta e di risentimento». Qui si scorge il senso operativo del concetto di Wille zur Macht: non volontà della potenza, ma volontà di contribuire alla potenza. Non la potenza fine a sé, ma finalizzata a questo surplus di potenza di vita. In questo senso il partito degli oppressi, il grande partito, liberato dal risentimento e dalla vendetta, ci mette a disposizione “il processo narrativo che opera al cuore di questo concetto problematico”, che possiamo d’ora in poi chiamare “volontà di potenza”. Qui comincia il cammino verso la filosofia narrazionale: «il libro mi ha raccontato cosa gli è accaduto». Non si tratta più di sapere se si sia o non si sia “nietzscheani”, ma di acquisire un altro sguardo e un’altra distanza rispetto al percorso narrativo e alla trasformazione concettuale. Operazione analoga a quella compiuta per la “volontà di potenza” va intrapresa nei confronti della nozione di metafisica. Misurare l’evento costituito dal titolo del testo di Averroè del 1190 non vuol dire un ritorno alla “metafisica” o al suo contrario, l’”umanismo”; significa invece essere in grado di valutare l’inganno del 1935. L’indagine sul transformat raggiunge risultati più eclatanti nelle forme aberrate di quest’ultimo. Ma ciò che è decisivo è trovare una nuova misura, in grado di padroneggiare maggiormente l’esplicarsi del transformat stesso. Può chiarire il senso della sua proposta, a sfondo “pratico”, non di un metalinguaggio, come Lei dice, ma di un “linguaggio praticato”, e quella di un’”etica del linguaggio”? Quando propongo un’ ”etica del linguaggio” non intendo, evidentemente, il termine etica in un senso prescrittivo, o comunque vicino a quello consegnato dalla tradizione filosofica, ma in un senso che fa riferimento piuttosto all’accezione greca. L’indagine relativa all’éthos del linguaggio riguarda il fatto che il soggetto e i concetti siano costituiti da modelli e da pratiche linguistiche; l’indagine critica relativa a questo costituirsi, e a questo modellarsi, penso che ai nostri giorni possa essere un obiettivo “etico”. “Etico” in questo senso è qualcosa di vicino a quella “responsabilità simbolica” che Thomas Mann attribuisce allo scrittore, dove il “simbolico” struttura, “informa”, la totalità del reale. Il carattere “critico” di questa indagine “etica” consiste nel tentare di definire lo scenario in cui agiscono le forze che costituiscono e modellano i soggetti; dove “scenario” è precisamente la “messa in scena” di queste forze, la marxiana “scena del mercato”, o la “scena” di Freud. La “critica” è la “messa in scena” narrativa di ciò che è in cammino per diventare concetto filosofico, è l’attenzione al momento della krìsis, della cristallizzazione e della sfaldatura per nuove cristallizzazioni. In questo senso questa “etica” è, al tempo stesso, una “critica”. Se la Sua “etica del linguaggio”, come critica “operativa”, esclude dunque l’idea di un “oltrepassamento della metafisica”, il progetto di poter giungere a un “fuori” della metafisica stessa, di potersi collocare “fuori” dal processo narrativo dal quale scaturiscono i concetti filosofici, cosa significa «uscire dalla filosofia narratrice, denudandone il processo narrazionale»? Uscire dalla filosofia narratrice significa “visitare” con essa la propria “narrazione”, rendersi conto che essa non parla solo di se stessa e dei suoi “personaggi concettuali”, come direbbe Deleuze, ma parla di altro, anche quando non sembra, e anche a sua insaputa. Così la filosofia greca parla di schiavitù e di democrazia, e Heidegger del Terzo Reich, della “verità intrinseca del nazionalsocialismo”. Lo stato di non consapevolezza di questo “altro”, di cui la filosofia parla nel suo processo narrativo, è ciò da cui occorre uscire con l’aiuto della filosofia stessa, in modo che essa metta in questione di questo processo ciò che esso dice senza dire. Siffatta PROFILO R icordare Emilia Giancotti. Non ho potuto, e non una vicenda che meriterebbe di essere raccolta e raccono tata, ma non è il caso qui. Il poco che ho detto vuol dare voluto, dire di no. Ma sono sconcertato, e non so un’idea di quello che Emilia, giovane insegnante, trovò cosa mi riuscirà di dire. E’ l’ultima cosa che avrei a Urbino: ne fece la sua casa, e intendo l’Istituto e la città mai potuto immaginare. So poco di lei. Eravamo amici, - soprattutto la città, dove poi decise di abitare in un ci si vedeva regolarmente da tempo - cene, lavori, libri, minuscolo delizioso edificio del centro storico, affacciaproblemi comuni, della città e dell’Università, anche to a un giardino, sulle mura, rivolto all’Appennino, a quando me n’ero andato a Milano. Correva stima e ponente. Negli ultimi anni si era quasi esclusivamente affetto reciproco, e non so bene perché. Forse lo sapeva concentrata nel suo lavoro (una nuova edizione delle Montaigne: perché lui è lui, e io sono io. Forse, come in opere di Spinoza) ma insieme aveva coltivato ampie qualche altro, pochi casi, il legame si annodava intorno relazioni internazionali (con l’organizzazione di due a Urbino, questo strano stupendo centro metà città metà grandi congressi, su Spinoza e Hobbes, nel 1982 e nel borgo selvaggio, dove entrambi avevamo scelto di vive- 1988, con la pubblicazione degli atti presso Bibliopolis, re, ricco di fascino e di amarezze insieme: «la nemica rispettivamente nel 1985 e nel 1992). Un tratto spinoziafigura che mi resta [...]/la sua crudele festa/quieta fra le no. mie ire» - ancora oggi, così come la vide e sentì il giovane Volponi. Emilia Giancotti era nata a Reggio Calabria il 24 ottobre Emilia era arrivata a Urbi1930. In un incontro a Urbino da Roma alla giovane no su: Donne all’UniversiFacoltà di Lettere a metà tà, ha voluto ricordare che degli anni Sessanta, fresca la sua famiglia, non di inteldi libera docenza, incaricalettuali, tenne molto alla forta di Storia della filosofia mazione culturale sua e dei moderna e contemporanea fratelli. Aveva studiato a (dal ’75 sarà ordinario alla Roma, e seguito Ugo Spiristessa cattedra); l’amico to. Il quale, come il suo Carmelo Lacorte era già qui, maestro Gentile, «rispettal’aveva preceduta di poco va molto la libertà indivinegli studi e nella carriera. duale e ci sollecitava tutti a L’Istituto di filosofia della procedere autonomamente di Livio Sichirollo Facoltà di Lettere (che porsulla strada della nostra rita il nome di Arturo Massocerca»: così Emilia teneva a lo, un autentico maestro, ricordare il suo professore. uomo eccentrico e di straSi laureò nel 1953 con una ordinaria intelligenza e cultesi sul concetto di progrestura) ebbe subito una colloso nella filosofia di Croce: cazione atipica nella tradiprogresso, ragione, libertà, zione dell’Università urbilumi - già un tema spinozianate - di rottura, si diceva no. La vita di ciascuno di allora: apertura all’esterno; cultura e politica che si noi cresce - se e quando cresce - sulle proprie radici, di scambiavano le parti; sensibilità ai problemi della città e solito a lungo inconsapevolmente; talora se ne ha codella regione - e non tutti erano d’accordo, evidentemen- scienza tardi, talora troppo tardi. Non così Emilia. Nel te. Nella confusione dei tempi (ma i tempi sembrano decennio 1963-1972 si presenta in pubblico come uno sempre confusi - pochi, come Spinoza o Hegel, sanno studioso formato, sicuro dei propri mezzi e dei propri vedere chiaro) l’Istituto cercò di portare la contestazione obiettivi: una rassegna, Nota sulla diffusione della filoall’esterno, di uscire dall’Università, sollecitare i conflit- sofia di Spinoza in Italia (GCFI 1963, n. 3); una prova su ti esistenti (un’economia povera, studenti passivi, una un testo: traduzione e commento (con A. Droetto) del società locale sostanzialmente indifferente) sui quali Trattato teologico-politico (Einaudi 1972); l’opera che riposava la buona (e in parte cattiva) coscienza sia dei fece di lei “la spinoziana” - il Lexikon spinozanum (M. Partiti di sinistra al Comune, sia all’Università. Questo Nijhoff 1970, 2 voll.): un lavoro impressionante, artigiami colpì (ero al Magistero). Feci una certa fatica a capire nale, prima che venissero sfornati lessici e concordanze, tali atteggiamenti. Sostenevo (ero anche al Comune), magari relativi ad ambiti microscopici, quindi del tutto come altri, l’unità di città e Università, e ne ho anche inutili, ad opera di quegli stupidissimi computer, che scritto. Da tempo riconosco che si trattava di un mito, fanno la gioia dei bambini e del generale Schwarzkopf. nebuloso ed ambiguo, e lo debbo anche a loro, a Lacorte Non sono un lessicografo. Utilizzo da sempre quel lessicon il quale ebbi dure discussioni, e a Emilia, più pacata co, con profitto. I suoi limiti, le sue incertezze e improma tenacissima, che mi raccontava delle sue difficoltà e prietà o manchevolezze, che certo ci sono, sono il segno, dei dibattiti che sosteneva nelle varie sedi. credo, della presenza dell’intelligenza del suo autore. L’Istituto e questi suoi rappresentanti, la loro vita intensa Non so cosa ne pensino gli specialisti. Sarebbe interese talvolta contraddittoria e disordinata, non erano né sante oggi studiarlo bene proprio alla luce delle più popolari, né amati, né dentro, né fuori dell’Università. E’ recenti esperienze. h Ricordo di Emilia Giancotti PROFILO Intanto, come ho detto poco sopra, Emilia, approdata a classici? Ho già ricordato i due congressi internazionali Urbino, vi aveva percorso tutta la sua carriera, e aveva spinoziani di Urbino e i relativi atti, e il coordinamento diretto a lungo, dopo la morte di Lacorte, l’Istituto di del gruppo di ricerca per la nuova edizione di Spinoza. filosofia. Non era venuta meno la fedeltà a una certa linea Altre mani, dobbiamo augurarcelo, raccoglieranno ora e impegno politici. Vorrei ricordare almeno, fra le tante questa ricca messe. iniziative, i due convegni internazionali: “Mao, storia e Parlare di Giancotti e parlare di Spinoza fa tutt’uno. In politica dieci anni dopo” (1986) e “L’età dello stalini- effetti nel suo lavoro e nelle sue relazioni andava sempre smo” (1989). Aderì subito alla proposta - e questo è più rassomigliando al suo autore: scomodo, eretico, ateo, tipico della sua sensibilità - di presentare ai detenuti del morale (come ha notato Alfonso Iacono) - attivo restancarcere di Turi il libro di Aldo Natoli, Antigone e il do ai margini (aggiungo io). E come Spinoza amava la prigioniero sulla vita di Gramsci in quel carcere (marzo vita. Lo sa chi l’ha vista preparare una cena per gli amici, 1991). Ma in sostanza l’attività di Emilia andava vieppiù bere vino di campagna, ballare con eleganza e sicurezza stringendo il cerchio attorno a Spinoza. E il risultato era, una sera al termine di un convegno (ce lo ricorda Jacquecome ci si doveva aspettaline Lagrée), discutere re, un approfondimento e con convinzione e tenaa un tempo un allargamencia non solo di filosofia. to di orizzonti. La sua Ci ha lasciato il 31 magcompetenza era universalgio scorso, distrutta in mente riconosciuta. pochi mesi da un tumoNon è questa la sede per re. una bibliografia (se sono Il 4 luglio abbiamo porbene informato vi sta latato le sue ceneri nel picvorando l’Istituto, che cucolo cimitero di Maciolrerà una raccolta dei suoi la, un luogo splendido scritti sparsi). Vorrei riimmerso nelle colline e i cordare però alcuni suoi boschi a un passo da Urlavori, proprio i più noti, bino, vicino a una vecma anche i più significatichia casa di amici. Dunvi di un modo di lavorare que, in fine, ancora Urbiche bada alla cosa (per no. Pochi i presenti. I fadirla con Hegel) più che migliari, gli amici, alcualla propria fama nel monni giovani, qualche studo (per dirla con Gadda). dente, il personale delIl piccolo Spinoza 1632l’Istituto, niente accade1677, uno dei più riusciti mia, nessun cerimonia“Libri di base” degli Edile. Come sempre. Il solitori Riuniti (1985): to vento del Montefelun’esposizione piana di tro, genius loci; il cielo una filosofia non certo profondo, tersissimo, e semplice, e base dell’intenuvole bianche in corsa. ro pensiero moderno; una E le parole di saluto lette storia giustamente ampia da due giovani colleghi della fortuna del filosofo amici. Una citazione di Spinoza. Dall'Opera Posthuma (1677) dai dibattiti contemporaSpinoza, qualche poesia. nei ai più recenti studi che sembrano delineare una rinascita, attraverso l’Illuminismo e l’incendio del Romanticismo, dell’idealismo tede- «Il fine al quale tendo è questo: acquistare la conoscenza sco e della sinistra hegeliana. Talora affiora nella breve dell’unione che ha la mente con tutta la natura. Fa parte monografia il taglio politico (e non solo per l’osservazio- della mia felicità anche l’adoprarmi perché molti altri ne, forse un po’ ingenua, che il nome di Spinoza ricorre l’acquistino insieme a me. ancora negli ambienti operai di Amsterdam). Ma c’è n’è L’uomo libero non pensa alla morte. La sua sapienza è bisogno, a mio avviso, per ricondurre sulla terra le menti meditazione non della morte, ma della vita. di tanti nostri pensatori che volano alto. Poi la sua Che l’uomo viva della natura vuol dire che la natura traduzione dell’Etica (presso lo stesso editore, nel 1988): è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto un ricco apparato di note, erudite solo quanto basta, per non morire.» attente alle fonti, ma, proprio qui, rivolte a sostenere l’originalità e la novità di quel pensiero, fanno di questo «La pioggia illumina/ il dietro della casa/ il riapparire commento un esempio da seguire: delucidazione e com- del sole/ lo riuscura/ rimuovevano armadi/ come tuoni» prensione del testo, non chiose a riprova dell’interpreta- (Ercole Bellucci, da Il ballo del Sanvito, 1985).» zione del commentatore. Quanti sono nella nostra lingua i veri commenti filosofici e storici delle grandi opere dei «Non scelsi mai la strada/ più battuta, ma accettai il fato/ nel suo inganno di sempre...Non vi è mai stato un nulla in cui sparire/ già altri grazie al ricordo son risorti,/ AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE Fine della storia A seguito del clamore suscitato dal suo articolo del 1989, Francis Fukuyama ha raccolto le sue tesi nel volume: The end of history and the last man (La fine della storia e l’ultimo uomo, Hamish Hamilton, London 1992), con l’intento di proporre niente di meno che una “storia universale del genere umano”, quale esito di un processo evolutivo unitario e coerente, culminante nel capitalismo e nella democrazia liberale. A una tale prospettiva fa riscontro, su tutt’altro versante, l’interpretazione storico-filosofica di Kostas Axelos, Métamorphoses (Metamorfosi, Editions de Minuit, Parigi 1992), La moderna scienza della natura è ciò che per Francis Fukuyama orienta questo processo evolutivo, poiché promette un progresso economico fondato sul capitalismo, l’unico sistema economico finora rivelatosi valido. Inoltre, la continua richiesta da parte dell’umanità del riconoscimento del proprio lavoro e della propria dignità sembrerebbe confermare la stretta connessione tra il capitalismo e l’instaurazione della democrazia liberale. Una posizione, questa, facilmente riconducibile, secondo Fukuyama, alle riflessioni di Alexandre Kojève su Hegel, ma anche, per altro verso, anticipata da Platone nella sua concezione del thymos. La storia sarebbe dunque giunta al suo termine, poiché non sembra possibile ravvisare uno sviluppo futuro differente e migliore del capitalismo e della nostra democrazia: in assenza di alternative, lo sviluppo ideologico dell’umanità completa il suo corso. Resta tuttavia da chiedersi, come riconosce lo stesso Fukuyama, se effettivamente l’attuale democrazia liberale rispetti e soddisfi pienamente le caratteristiche essenziali degli esseri umani, poiché se così non fosse, allora la nostra società non potrebbe rappresentare la fine della storia. La questione, in realtà, non viene affrontata in maniera sistematica e sostanziale da Fukuyama, che preferisce piuttosto rilevare come il riconoscimento dell’individuo nell’ambito di una democrazia liberale sia un fatto necessariamente im- personale e insoddisfacente, non essendo presa in considerazione la vita sociale privata di una persona, sebbene Fukuyama stesso non sia convinto che un riconoscimento integrale e omogeneo della persona sia attualmente applicabile alle contemporanee democrazie liberali. Di fatto, nella società contemporanea, specialmente nell’ambito del liberalismo anglo-sassone, la vita sociale è costantemente minacciata dagli interessi individuali. Gli effetti negativi di questa situazione vengono accentuati dalla pressione del mercato capitalista, che tende e parcellizzare e separare le persone. Diversamente avviene invece nella società giapponese, che Fukuyama pone tra il liberalismo anglo-sassone e il modello asiatico di autoritarismo paternalistico, ben esemplificato da Singapore. In ogni caso, fa notare Fukuyama, il vero riconoscimento della persona non può ammettere un individualismo radicale come quello proprio della società occidentale, ma deve rispettare la capacità sociale dell’individuo. Una considerazione del genere sembra contraddire proprio il paradigma della fine della storia, mostrando piuttosto come lo sviluppo attuale della società e il concetto di riconoscimento dell’individuo sembrino entrambi optare verso una combinazione di economia liberale e di politica autoritaria propria dell’Asia dell’Est. Fukuyama rinuncia ad approfondire questo pensiero; non si sottrae però dal riconoscere, in definitiva, che nessun regime e nessun sistema socio-economico è capace di soddisfare l’individuo in tutti i suoi aspetti: neanche la democrazia liberale. Di fronte a una tale analisi, che disegna una Storia in fase terminale, per la quale si dovrebbe parlare, più che di compimento, di esaurimento, suona riconfortante il disincanto di Kostas Axelos, che non crede ai fantasmi della fine dell’avventura umana e ribatte invece che «questa fine non finirà di finire, continuerà a rammemorare ciò che fu senza smettere di essere». A coloro che agitano gli spettri dell’apocalisse, provocata dall’insipienza umana, Axelos fa notare che «l’epoca che ci caratterizza è globalmente troppo piatta per essere quella del disastro». Metamorfosi, così suona il titolo dell’ultimo libro di Axelos, vuole appunto indicare che la vita, la storia e le opere dell’uomo portano in sé la loro propria fine e con essa il principio stesso di un nuovo inizio. Il disincanto in Axelos ha una virtù tonica, diventa un principio fecondamente aperto ad un nuovo rapporto con il mondo, non più segnato dall’idea del dominio. Non solo non ci appartengono le cose, ma noi stessi non ci apparteniamo; i fantasmi del potere non sono che rappresentazioni umane che rispondono col narcisismo al pensiero della morte: «i famosi centri decisionali non prendono affatto decisioni, bensì sono decisi da queste». In una tale situazione Axelos preferisce ricorrere al concetto di assunzione, nel senso laico di prendere in carico, di assumere la nostra condizione e il gioco metamorfico degli inizi e delle fini con un sentimento di amicizia. E qui l’ispirazione poetica traduce i concetti nelle parole: «siamo destinati a fiorire e appassirci nell’orizzonte della rosa del mondo che fiorisce e appassisce, torna in fiore e di nuovo sfiorisce, per conoscere un’altra fioritura». E.N./V.R. L’angelo della storia Il preciso disegno di una nuova concezione della storia, in rottura con il modello teleologico occidentale, si evidenzia nelle pagine del libro di Stéphane Mosès: L’Ange de l’Histoire. Rosenzweig, Benjamin, Scholem, (L’Angelo della Storia. Rosenzweig, Benjamin, Scholem, Seuil, Parigi 1992), una raffinata ricognizione critica nell’opera dei tre pensatori di origine ebraica. La figura dell’angelo, che assume il valore di metafora guida della filosofia di Benjamin, Rosenzweig e Scholem, tre differenti interpreti di una comune tradizione culturale ebraica, è presa dal Talmud. La leggenda narra di «angeli ricreati ad ogni istante in schiere innumeri per cantare i loro inni dinnanzi a Dio prima di essere distrutti e di scomparire nel nulla»: Ad ogni istante del tempo è assegnato il proprio angelo, la sua qualità specifica, nella quale sono condensati passato presente e AUTORI E IDEE futuro, che vengono a coesistere come tre stati di coscienza permanenti. Anticipazione dell’apocalisse nel cuore stesso della storia, l’angelo rappresenta l’istante che spezza la temporalità lineare e ripetitiva del commercio mondano per aprirsi alla percezione di un tempo puramente interiore e qualitativo. Nella contrazione del tempo fisico che diviene estensione del tempo psichico si ha una percezione qualitativa dell’istante, carico di una virtualità messianica che annuncia il compimento della storia “qui ed ora”. Attraverso la figura dell’angelo si annuncia una concezione del tempo storico come creazione permanente, emergenza inesauribile del nuovo, radicalmente diversa da quella a cui ci ha abituato la Ragione. L’intera energia della storia si attualizza nell’attimo presente: il passato che si fa vivo con il suo retaggio di ricordi, il futuro che si rappresenta nelle differenti forme dell’attesa: speranza e paura, previsione e utopia, sono presenze che si condensano nell’esperienza dell’istante, modalità di esperienza nel cuore del presente. E’ in questa attualizzazione, presentificazione dei diversi momenti dello scorrere storico - l’idea del tempo dell’ora nella formulazione di Benjamin - che si svolge in questi tre autori una critica radicale della Ragione storica e dei suoi assiomi: le idee di continuità, di causalità e di progresso. Nell’Introduzione al libro, Sthéphane Mosès fa osservare come non sia un caso che questa nuova visione della storia, che privilegia la discontinuità e i momenti di crisi rispetto all’omogeneità e all’idea di una necessità del divenire, sia apparsa in un’epoca precisa e presso tre pensatori di origine ebraica. L’epoca è quella appena successiva alla prima Guerra mondiale, vissuta come evento che segna tragicamente la rottura incomponibile di un tessuto storico e l’evenienza di un’era senza precedenti, illeggibile secondo quei modelli che, fino ad allora, avevano dato un senso all’esperienza umana. Scholem parla della morte dell’Europa, del suo “interramento”, quando per Rosenzweig si tratta della fine di una civiltà fondata sulla credenza in un Logos garante dell’ordine razionale del mondo. E’ in questo quadro che ha luogo, presso i tre pensatori, il confronto con la filosofia della storia di Hegel , quella che più radicalmente e conseguentemente incarna questa idea “progressiva” del divenire storico. L’evidenza della sofferenza umana, in questi tre autori, non si lascia ridurre ad un episodio della storia del Senso e denuncia l’assurdità di qualsiasi teodicea immanente alla storia come pure dell’idea stessa di progresso. L’esperienza diretta del tempo storico nella sua attualità propone una giustapposizione di istanti qualitativamente diversi che sfuggono alla totalizzazione in un senso determinato; ciascuno di essi è carico di una sua specificità, e tuttavia il presente non è più la soglia di transizione verso un futuro necessario, ma il luogo stesso di una serie di a venire possibili; con la scomparsa dell’idea di continuità viene meno la possibilità stessa della causalità che leghi l’istante al successivo, il presente all’avvenire. La relazione non è più univoca: a partire dallo stesso istante in cui sono date condizioni definibili, si possono aprire strade diverse che conducono a esiti diversi. Senza arrivare a negare la presenza di condizionamenti storici, il comune proposito di Benjamin, Rosenzweig e Scholem è quello di fondare una filosofia della storia che segni il passaggio dal tempo della necessità al tempo dei possibili. L’idea e il senso della speranza si riaccende così proprio sulle rovine del paradigma della Ragione dove la storia è il teatro di un Senso necessario; non più nel rimando ad un tempo dove il fine è indefinitamente spostato al termine del compimento mitico della Storia, ma nell’attualità dell’istante l’utopia torna ad essere pensabile come una delle possibilità offerte dalla complessità del processo storico. Mosès non ha difficoltà a situare questa visione della Storia, opposta al modello teleologico occidentale che caratterizza tanto la teodicea cristiana, quanto la dialet- AUTORI E IDEE tica di una ragione immanente alla Storia, nel solco della tradizione ebraica, o ancor meglio nell’esperienza ebraica della Storia, così intima al senso della catastrofe e della sconfitta. La frustrazione dei tentativi di dare un significato escatologico alla Storia si è convertita nell’Ebraismo in un messianismo che tende a relativizzare gli eventi della storia visibile per porre l’accento sulle virtualità utopiche della storia segreta. E’ nel quadro di quest’orizzonte culturale comune che si dispiegano le differenti soluzioni filosofiche dei tre autori, soluzioni che sono altresì - come suggerisce l’autore del libro - altrettante opzioni che si imponevano a quegli ebrei che volevano staccarsi dall’ortodossia come dallo spirito di assimilazione; per Rosenzweig la religione, il Sionismo per Scholem e la rivoluzione per Benjamin. E.N. Nietzsche, Deleuze: il superamento della metafisica Nietzsche, Deleuze, la filosofia: sono questi i tre termini, irriducibili l’uno all’altro, attraverso i quali si snoda l’interpretazione di Gilles Deleuze, Nietzsche e la filosofia (trad. it. a cura di Fabio Polidori, con una presentazione di Maurizio Ferraris, Feltrinelli, Milano 1992) di cui viene presentata, a distanza di quindici anni, una nuova edizione. Prescindendo sostanzialmente dall’interpretazione heideggeriana ed essendo piuttosto debitore della mediazione teoretica di Foucault, il confronto che Deleuze instaura con Nietzsche influenzerà profondamente la ricezione nietzscheana nella cultura filosofica e letteraria francese degli anni Sessanta. Come spesso accade per le monografie di Gilles Deleuze, anche quella che il filosofo francese dedicò a Nietzsche trascende sia l’ambito della letteratura critica su questo autore, sia quello del pensiero deleuzeano in quanto tale, poiché investe il problema del ruolo e della configurazione della riflessione filosofica. E’ il concetto di “doppia cattura” quello che, a parere di Fabio Polidori, meglio definisce il rapporto tra il pensatore francese e quello tedesco: non una metabolizzazione, una reductio Nietzsche ad Deleuze, ma una relazione estrinseca sia all’uno che all’altro, in cui ciò che accade è la multilateralità delle questioni filosofiche. In tal senso l’ ”interpretazione” deleuzeana di Nietzsche è ugualmente rilevante per la comprensione di Nietzsche, per quella di Deleuze e per quella della filosofia. Come sottolinea Maurizio Ferraris, che nell’ampio saggio introduttivo ricostruisce le linee di ricezione teoretica della filosofia nietzscheana come “filosofia dell’avveni- re”, la lettura deleuzeana di Nietzsche prescinde soggettivamente da quella di Heidegger, ma è oggettivamente con essa che entra in dibattito, per conquistarsi l’egemonia sulla cultura francese fra gli anni Sessanta e Settanta. Come è noto, a fronte dell’attualità politica che Baumler e il nazismo riconoscono al filosofo, Heidegger sosteneva l’attualità filosofica di Nietzsche come compimento della storia della filosofia occidentale: metafisico egli stesso quanto Aristotele, con il quale condivide il momento ontologico della riflessione. Con il richiamo alla prefazione di Michel Foucault a Differenza e ripetizione (1968), Polidori sottolinea come il tema dell’eterno ritorno, nel contesto dell’interpretazione deleuzeana di Nietzsche, ricopra lo stesso ruolo che nell’opera del 1968 viene ricoperto dalla tesi dell’univocità dell’essere: la messa fuori gioco dell’apparato categoriale. Tale operazione, ovvero la rimozione dell’elemento di mediazione fra l’unicità dell’essere e la molteplicità del differenziale, non comporta affatto la rimozione di quest’ultimo; al contrario la tesi dell’univocità dell’essere, attraverso quella dell’eterno ritorno dello Stesso, garantisce la differenzialità del molteplice, non più imprigionato nelle classificazioni concettuali. La lettura “ontologica” della riflessione nietzscheana, che accomuna Heidegger a molti suoi critici è, a parere di Ferraris, estranea all’impostazione deleuzeana, che risente, piuttosto, della mediazione teoretica di Foucault per quanto riguarda la questione della razionalità e dei suoi limiti. Nietzsche appare in tal senso come l’erede più radicale della tradizione critica dell’Illuminismo; e se la sua deve essere una filosofia dell’avvenire non lo è in quanto distruttrice degli antichi valori, ma in quanto fondatrice di nuovi. Dove, però, questi “nuovi valori” non sono una semplice contrapposizione dei “valori di vita” contro i “valori della conoscenza”, ma un radicale mutamento del concetto stesso di valore. Se l’essenza del platonismo è porre valori, è credere nell’esistenza di un “originale”, del quale esistono nel cosmo delle “copie”, delle “apparenze”, il Nietzsche di Deleuze arriva a vedere come non esistano che “copie”, ovvero “simulacri”: la sua “volontà di potenza” è «l’elemento genealogico della forza», dove «genealogico significa differenziale e genetico»; dunque «la volontà di potenza è l’elemento differenziale della forza». Quanto di Nietzsche e quanto di Deleuze vi siano in questa interpretazione è certo questione discutibile; tuttavia non è questo il modo adeguato per porre il problema della lettura deleuzeana di Nietzsche. Se infatti per Deleuze «il senso della filosofia di Nietzsche è l’affermazione pura che ha come oggetto il molteplice, il divenire e il caso», e consiste in ultima analisi in una polemica con la dialettica hegeliana, quella che emerge in questo confronto - sullo sfondo della lettura heideggeriana di Nietz- sche - è la questione del superamento della metafisica. Nella conciliazione hegeliana, frutto della scoperta del carattere negativo del positivo, il positivo finale è, appunto, il prodotto di una doppia negazione che riduce la differenza a opposizione, questa a contraddizione, e la contraddizione a unità; la “scoperta” del Nietzsche di Deleuze è, per contro, quella del carattere positivo del negativo, del portato irriducibile della differenzialità. La “fine della metafisica” non è l’unità sistematica del reale, che si articola attraverso le mediazioni delle categorie dialettiche, e Nietzsche non è il corifeo della volontà pianificatrice del soggetto che compie, malgrè lui, questa conciliazione; è invece colui che «fa della filosofia un’arte, l’arte di interpretare e valutare» e, attraverso l’affermazione della positività del negativo, della positività della differenza, contro la metafisica ne afferma il diritto all’irriducibilità, il diritto della divergenza. F.C. L’ultimo libro di Félix Guattari Non ha certo il carattere di un testamento intellettuale l’ultimo libro di Félix Guattari, Chaosmose (Galilée, Parigi 1992), uscito nelle librerie un paio di mesi prima della sua scomparsa. Questa raccolta di scritti, che hanno per oggetto i temi della psicanalisi, dell’ecologia e della sociologia, segnano piuttosto il punto della ricerca di Guattari in tutti questi campi congiunti, verso una nuova definizione del concetto di soggettività. Dispersa, aggredita o realizzata in serie dalla macchina di produzione sociale , la soggettività - come risulta dall’analisi di Félix Guattari - si trova di fronte al rischio di una regressione massmediatica, di una atrofizzazione del senso della differenza. Aprire Il cammino verso la re-singolarizzazione delle soggettività è la sfida che l’intelligenza creativa si trova oggi di fronte, sempre che sappia emanciparsi dalle vecchie prospettive settoriali; psicanalisi, letteratura, urbanistica, pedagogia devono essere dei contributi alla definizione di un pensiero che sia ecologico nel senso globale, che dunque contempli in un unico sguardo speculativo il politico, il sociale e l’esistenziale. E’ questo un tema sul quale Guattari aveva riflettuto nel saggio del 1990: Les Trois écologies (Le tre ecologie). Qui il discorso si fa propositivo e più marcatamente politico: se la crisi ecologica è il sintomo di una «degenerazione del tessuto delle solidarietà e dei modelli psichici che occorre letteralmente reinventare», il compito della ecosofia è quello di «riarticolare trasversalmente il pubblico e il privato, l’ambientale e il mentale». Il primo passo è costituito dalla definizione AUTORI E IDEE di un concetto di soggettività capace di «superare l’opposizione classica tra soggetto individuale e società», nella prospettiva di «far transitare le scienze umane e le scienze sociali, da paradigmi scientifici verso paradigmi etico-estetici», che valorizzino i fattori creativi, incrementino la comunicazione non immediatamente funzionale, siano infine capaci di reinsediare l’individuo in un universo di valori mutevoli. E.N. Félix Guattari è scomparso nella notte tra il 29 e il 30 agosto 1992 alla clinica La Borde, dove lavorava da circa quaranta anni. Nato nel 1930 a Villeneuve les-Sablons, nella banlieue parigina. Inizia gli studi in farmacia, e poi in filosofia, più interessato alla vita culturale e politica che si andava organizzando nel primo dopoguerra, che non a portare a termine la carriera scolastica. Militante della gioventù comunista, esce dal PCF nel 1956 in seguito alla presa di posizione del Partito sugli avvenimenti ungheresi. Nella sua vicenda umana e intellettuale è decisivo l’incontro con Jean Oury e François Tosquelles, psichiatri ed innovatori, con i quali ha modo di sviluppare un discorso teorico e critico sulla psichiatria e di impegno per la riforma dell’istituzione psichiatrica che si concreterà nella creazione della clinica di La Borde. Intellettuale engagé dell’estrema sinistra, Guattari ha legato il suo nome ad una serie di riviste, centri di ricerca e di iniziativa sociale. A farlo conoscere al grande pubblico è un libro scritto in collaborazione con il filosofo Gilles Deleuze, l’Anti-Oedipe, del 1972, destinato a diventare, in Italia, uno dei testi di riferimento della generazione impegnata nel movimento di sovversione e di liberazione sociale degli anni ’70. In questo testo la critica rivolta alla psicanalisi freudiana di ridurre la ricchezza e la complessità dello scenario psichico alla dialettica limitante della famiglia borghese, si coniuga con la scoperta del potenziale creativo del desiderio, dei meccanismi che lo producono e delle sue connessioni con i processi storici. La collaborazione con Deleuze rimane una costante nel lavoro di ricerca di Guattari, psicanalista, prima che filosofo, e dunque più attento alle dinamiche, alla singolarità dei processi concreti; in questo senso il suo lavoro teorico ha un carattere più immanente e “politico”. Gli anni ’80 vedono il riconoscimento internazionale di Guattari, fino a quel momento guardato con sospetto dagli ambienti istituzionali per le sue posizioni politiche e per le iniziative a favore dei gruppi marginali più diversi. Negli ultimi anni la sua riflessione teorica e politica si sposta sulle tematiche ecologiche, fino alla candidatura nelle file dei Verdi alle elezioni politiche regionali francesi. Impegno politico, sperimentazione culturale, attenzione per il sociale: nel “nomadismo” culturale di Guattari si riassumono la generosità, l’estremismo teorico e la volontà di liberazione della generazione del ’68. Delle sue opere in volume ricordiamo: Capitalisme et schizophrénie: l’Anti-oedipe (in collaborazione con Gilles Deleuze), Minuit, Parigi 1973 (trad. it., L’Anti Edipo, Einaudi, Torino 1975); Kafka. Pour une littérature mineure, Minuit, Parigi 1975; La Révolution moleculaire, Recherches, Parigi 1977 (trad. it., La rivoluzione moleecolare, Einaudi, Torino1978); L’Incoscient machinique: Elements de schizo-analyse, Galilée, Parigi 1979; Milles plateaux, capitalisme et schizophrénie, Minuit, Parigi 1980; Pratique de l’institutionnel et politique (in collaborazione con Jean Oury e Francois Tosquelles), Matrice, Parigi 1985; Les Anées d’hiver: 1980-1985, Barrault, Parigi 1986; Cartographies schizoanalytiques, Galilée, Parigi 1989; Les Trois écologies, Galilée, Parigi 1989 (trad. it., Le tre ecologie, Sonda, Torino 1991); Qu’est-ce que la philosophie? (in collaborazione con Gilles Deleuze), Minuit, Parigi 1991. Leo Strauss Nel panorama della filosofia contemporanea la figura di Leo Strauss non ha ancora trovato una tranquilla collocazione. Critico della modernità, nel solco di una cultura viva dei classici greci, i suoi saggi sul liberalismo contemporaneo, sul positivismo e la cultura di massa rimangono delle analisi capitali per leggere la crisi del moderno pensiero politico, e gli hanno valso il titolo di pensatore antiprogressista ed elitario, fautore di un liberalismo aristocratico e nostalgico di una Ellade definitivamente sorpassata. L’opportunità di conoscere questo controverso filosofo è senz’altro più semplice per il lettore francese, a cui vengono in questi giorni proposti alcuni notevoli saggi di Strauss: Qu’est-ce la philosophie politique? (Che cos’è la filosofia politica, PUF, Parigi 1992), Le Discours socratique de Xénophon (Il discorso socratico di Senofonte, Editions de l’Eclat, Parigi 1992) e gli Etudes de philosophie politique platonicienne (Studi di filosofia politica platonica, Belin, Parigi 1992). Etudes de philosophie politique platonicienne è certamente un buon viatico per entrare nei territori di riflessione di Leo Strauss: gli aspetti essenziali del conflitto tra filosofia e società politica sono qui indicati come il tema essenziale della filosofia politica classica, politica nel senso vero, che non discute di ideologie e di realtà, di fatti e di valori, ma si preoccupa di sapere «quale ordinamento politico sia l’ordine migliore», e, stabilendo la differenza tra «il coraggio e la viltà, la giustizia e l’ingiustizia, l’attenzione verso gli altri e l’egoismo», cerca di definire il concetto e di promuovere la pratica delle virtù civiche. E’ precisamente l’oblio di tutto questo il moderno atteggiamento storicistico, che tende a considerare “superati” questi temi fondamentali, che conduce allo scacco il pensiero politico di oggi nel realizzare gli ideali politici della democrazia. Per rispondere alla domanda: che cosa è politica? si deve dunque tornare, per Strauss, a lezione dai Greci, riconquistare la loro stessa tensione speculativa e morale, sbarazzandoci di quegli abiti culturali che sono solo maschere della indifferenza nichilistica. Gli obiettivi polemici del filosofo tedesco sono il positivismo e lo storicismo. Il primo perché propone una scienza sociale «priva di valutazione» e «moralmente neutra»; rifiutandosi di prendere posizione nel «conflitto tra il bene e il male», rende impossibile stabilire i parametri di ciò che è giusto, buono ed equo e si interdisce così l’interrogazione sui fini dello stesso agire politico: «Un uomo che rifiuta di distinguere tra i grandi uomini di stato, i mediocri e gli imbecilli può essere un buon bibliotecario, ma non può affer- mare nulla di pertinente in materia di politica e di storia politica». Non diversamente, l’affermazione del carattere essenzialmente storico della società e del pensiero umani giunge a negare che possano esistere un valore, o un contenuto di pensiero, valido indipendentemente dalle condizioni determinate di una epoca. Respingendo in questo modo «il problema della società giusta, ovvero di un unica società giusta», lo storicismo riduce la filosofia ad ideologia e contemporaneamente proietta la soluzione del problema politico alla fine del processo storico. A sorreggere l’analisi di Strauss v’è una grande conoscenza della materia e una virtù di scrittura che si può definire aristocratica: la capacità di lumeggiare differenti piani del discorso e di far intravvedere ulteriori significazioni del testo; ciò che Momigliano, di Strauss amico e corrispondente, ha chiamato «ermeneutica della reticenza». Si apre qui un doppio piano dell’esegesi: al discorso semplice e comunicativo che produce la leggibilità sociale del testo si affianca quella che Strauss definisce «arte di scrivere esoterica», nella cui cifra è ospitato il sapere più autenticamente filosofico, nel senso in cui la filosofia può esporre le sue verità, andando contro “l’opinione”, senza esporsi alla “persecuzione” o alla riduzione in discorso ideologico. Leggere tra le righe dei testi di una tradizione, quale quella greca, che sembrerebbe abbondantemente dissodata, mettendone in luce la perenne attualità e infine scoprirvi una traccia interpretativa utile per leggere anche i problemi di oggi è una delle migliori qualità dell’ “esoterismo filologico” di Strauss. E.N. Jonas a Monaco Dopo uno scienziato, Carl Friedrich von Weizsäcker, e un politico, Henry Kissinger, è toccato a Hans Jonas il compito di rappresentare la filosofia nella serie di conferenze dal titolo: La fine del secolo, organizzate a Monaco di Baviera da un’associazione letteraria locale e dalla Sovrintendenza generale del Teatro di Stato della Baviera. Nella conferenza Hans Jonas ha ripercorso, da testimone, alcuni momenti fondamentali della filosofia contemporanea e della sua concezione dell’essere umano e della storia, delineando come compito attuale della riflessione filosofica quello di sviluppare un’ ”etica della responsabilità”, adeguata a limitare gli effetti negativi dello sviluppo tecnologico e industriale. Da testimone, dicevamo: infatti Jonas è attivo da settant’anni sulla scena filosofica ed è stato vicino ad alcuni dei più grandi pensatori del nostro secolo: da Husserl, di cui fu allievo a Friburgo, a Bultmann e AUTORI E IDEE Heidegger, che fu relatore, a Marburgo, della sua tesi di laurea. Proprio ai suoi maestri ha fatto riferimento Jonas nel tracciare una linea di sviluppo che, nel nostro secolo, ha portato la filosofia, in una sorta di movimento dall’alto verso il basso, a ridurre le pretese di una posizione di superiorità dello “spirito” o dell’ ”uomo” nell’universo, riconoscendone la “finitezza” come un carattere essenziale: dalla “coscienza pura” della fenomenologia husserliana si giunge così, attraverso l’analisi heideggeriana dell’ ”esserci”, alla riproposizione di un problema classico della filosofia, quello del rapporto dell’essere umano con la natura, o dello spirito con la materia, che obbliga la filosofia attuale ad un’intensa collaborazione con scienze come la fisica, la cosmologia, la biologia. Fu negli anni dell’emigrazione negli Stati Uniti che Jonas incontrò le scienze della natura, e in particolare la teoria dell’evoluzione, la cui importanza non era a suo parere ancora sufficientemente riconosciuta dai filosofi. Alla luce del monismo radicale di tale teoria, il dualismo tradizionale cristiano-platonico tra corpo e anima, natura e spirito, che aveva condotto in Descartes ad una rigorosa separazione tra soggetto e oggetto, sostanza estesa e sostanza pensante, non appariva più sostenibile. Un effetto di questa separazione era che l’indagine sul corpo e sulla dimensione materiale veniva assegnata alle scienze naturali e alla medicina, mentre alla filosofia veniva affidato il campo dello “spirito”. Punto culminante di tale processo fu l’idealismo tedesco, al cui sguardo sfugge la totalità della realtà, alla cui comprensione pure esso aspirava. Muovendo dall’unilateralità di questa tradizione di pensiero, anche l’analisi heideggeriana della finitezza e l’ontologia del Dasein restavano sulla soglia del problema della costituzione di un’etica della responsabilità. L’esigenza di sviluppare tale etica deriva, secondo Jonas, dal fatto che l’umanità, risvegliatasi bruscamente dal sogno di un dominio incontrastato della natura attraverso la tecnologia, si trova di fronte all’ambiguità tragica e paradossale che è propria della sua storia. Se l’uomo deve al suo sviluppo storico-spirituale innegabili vittorie nella lotta per l’evoluzione, sono proprio tali vittorie che ora lo mettono di fronte al pericolo di un annientamento: non è così più la natura a farci paura, ma il nostro potere su di essa, ed è tale paura la motivazione da cui scaturisce l’esigenza di un’etica della responsabilità. Se l’essere umano è caratterizzato dal suo potere sulla natura, ma al tempo stesso dalla sua capacità di autolimitarsi, e se oggi tale potere di controllo della natura si estende sulla totalità dello spazio vitale, allora, afferma Jonas, nell’etica della responsabilità l'essere umano dovrà imparare a pensare la sua responsabilità di fronte alla totalità: «Nessun Dio salvifico gli sottrae il dovere che la sua posizione nella natura gli impone». M.M. Valori inesprimibili Sempre al centro del dibattito anglosassone risultano i temi e le problematiche sviluppati da Ludwig Wittgenstein. Sono recentemente apparsi due studi su questo autore, di cui il primo, Wittgenstein on ethics and religious belief (Wittgenstein sull’etica e sulla fede religiosa, Basil Blackwell, Oxford 1991), di Cyril Barrett, intende mettere in evidenza la posizione di Wittgenstein rispetto a quegli ambiti in cui le proposizioni linguistiche non hanno senso, mentre il secondo, The realistic spirit: Wittgenstein, philosophy and the mind (Lo spirito realistico: Wittgenstein, la filosofia e la mente, MIT Press, Cambridge 1991), di Cora Diamond, prende in considerazione la AUTORI E IDEE valenza realistica, costantemente presente all’interno del pensiero wittgensteiniano. Nel Tractatus logico-philosophicus Ludwig Wittgenstein distingue tra ciò di cui si può parlare e ciò che può solo essere mostrato. Solo le proposizioni empiriche sono significanti, poiché esse descrivono gli stati contingenti della realtà; tutto il resto, compresa la logica, la metafisica, la matematica, l’etica, l’estetica e la religione, non hanno senso. Sia Cyril Barrett in Wittgenstein on ethics and religious belief, sia Cora Diamond in The realistic spirit: Wittgenstein, philosophy and the mind confermano questa posizione anche in riferimento agli ultimi scritti di Wittgenstein. Secondo Cyril Barrett, l’importanza della critica, con cui il filosofo austriaco attaccò l’etica e la religione, sarebbe confermata dal fatto che questi non abbandonò mai l’opinione secondo cui le concezioni etiche e religiose non sono esprimibili in proposizioni linguistiche sensate. In tal senso Barrett arriva ad affermare che primo scopo del Tractatus fu proprio quello di testimoniare l’inesprimibilità di questi valori. A questo proposito Barrett non accetta l’opinione secondo cui per Wittgenstein le espressioni possiedono un significato in virtù del fatto di essere usate all’interno di un “linguaggio-gioco”, in quanto per Barrett solo la capacità di descrivere la realtà fornisce significato alle espressioni. L’opera critica di Cora Diamond consiste invece in un’insieme di saggi che analizzano principalmente tre temi: il rapporto tra i primi e gli ultimi scritti di Wittgenstein; l’influenza che questi subì da parte di Gottlob Frege; e la possibilità di una discussione sull’etica dal punto di vista wittgensteiniano. Chiarificante è soprattutto l’analisi che Diamond propone circa le differenze tra il pensiero di Wittgenstein e quello di F. P. Ramsey. Il concetto di mente wittgensteiniano viene prima analizzato come il regno delle proposizioni fregeane; ad esso viene poi connessa la nozione del “sé” inteso in senso non psicologico; infine viene caratterizzata come un insieme di capacità. Altro tema che per Diamond unifica il lavoro di Wittgenstein è quello dello spirito realistico che permea l’intera sua opera. Mentre la metafisica impone delle richieste filosofiche sulla realtà, il realismo si interessa del fenomeno del linguaggio, rigettando l’idea che il linguaggio sia autonomo, senza rendere ragione della realtà. V.R. Ricordo di Valerio Tonini Valerio Tonini è scomparso improvvisamente a Roma il 5 aprile 1992. Quasi un lascito culturale, il suo ultimo libro, apparso dopo la morte, I colloqui di Urbano VIII e Galileo Galilei (Editrice Magenta, Varese 1992), ricostruisce significativamente il dramma pur condividendo una comune sensibilità religiosa, si vedono schierate su posizioni opposte. Nato a Velletri nel 1901, Valerio Tonini visse i primi anni della sua vita in Toscana tra Firenze e Pisa, città tra le quali si svolse la sua formazione culturale. Durante gli anni liceali, a Firenze, ebbe come professore di filosofia Paolo Lamanna. Seguì le sue lezioni, traendone - come ebbe modo di dichiarare - una sorta di “infezione filosofica liceale”, che lo indusse poi ad iscriversi alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pisa. Ebbe allora la ventura di avere come compagni di studi personaggi come Enrico Fermi, Franco Rasetti, Luigi Fantappié, trovandosi immerso in un ambiente studentesco «vivo di appassionate discussioni» intorno alle nuove scoperte scientifiche, alle nuove tendenze artistiche d’avanguardia e alle nuove tendenze politiche liberali. Dopo aver studiato con Ulisse Dini e Giancarlo Vallauri si laureò in ingegneria e, avendo necessità immediata di lavorare e di guadagnare, si trasferì in Sardegna dove iniziò a svolgere un’intensa attività ingegneristica in opere portuali, di bonifica, in lavori stradali e minerari. A partire dagli anni Quaranta, Tonini inizia ad approfondire sempre più i suoi interessi per la filosofia della scienza. Questi suoi studi trovano una prima formulazione nei Fondamenti metodologici della relatività strutturale (1950) e lo inducono successivamente a pubblicare nel 1953 un’opera più sistematica come l’Epistemologia della fisica moderna (poi ripubblicata in una seconda edizione nel 1989). Nell’ambito della filosofia della scienza Tonini si è sempre sforzato di tradurre a livello epistemologico la piena consapevolezza della sua esperienza ingegneristica: per questo motivo, oltre a difendere una forma di realismo che rivendicava apertamente le sue origini tecnologiche, ha finito col prestare attenzione a problemi e aspetti dell’impresa scientifica che la tradizionale analisi epistemologica (più legata alla lezione neopositivista) inclinava invece a negare o a liquidare sbrigativamente. Dagli anni Cinquanta in poi Tonini si dedica con sempre maggiore intensità agli studi di filosofia della scienza, interrompendo la sua attività professionale di ingegnere. Nel 1950, oltre a collaborare attivamente al “Centro internazionale di comparazione e sintesi” di Roma (di cui diventa uno dei principali esponenti), contribuisce in modo determinante a fondare la “Società italiana di Logica e Filosofia delle Scienze” e nel 1955 dà vita ad una rivista “La Nuova Critica” che dirige con passione e generosità fino alla morte. La rivista, aperta ad autentici problemi culturali, nonché alle collaborazioni internazionali più diverse, esordisce con fascicoli pioneristici che mettono in circolazione problemi, tematiche e correnti sostanzialmente ignorate dal pensiero neopositivista: la fisica sovietica (n.1); la psicanalisi cattolica (n.2); il problema dell’istinto e dell’antistinto (n.3); le logiche simboliche (n.4); i problemi biopsicofisici (n.5); la relatività; i quanti; la cosmologia (n.6); le correnti post-neopositiviste (“dopo il neopositivismo”, n.7) ecc. Molti di questi fascicoli risultano in netto anticipo sui tempi culturali, al punto che lo stesso Tonini è costretto a pagare lo scotto di un solitario e coraggioso programma di ricerca. Questo tuttavia non gli impedisce di pubblicare, nel volgere di pochi anni, una ventina di volumi nei quali indaga vari aspetti della filosofia della scienza. Si occupa così di Cibernetica ed informazione (1964); pubblica una importante ed innovativa monografia sulle Strutture della Tecnologie (1968); analizza La scienza dell’uomo dalla psicanalisi alla cibernetica (1969); pone capo ad una nuova sistemazione del suo pensiero filosofico nell’impegnativo Scienza dell’informazione, cibernetica, epistemologia (1971); analizza i problemi della biologia ne La vita e la ragione (1973) e delinea un’interessante Epistemologia dei sistemi e sinettica (1974). A questi studi si affiancano poi altri lavori, dedicati a tematiche culturali nelle quali Tonini traduce l’inquietudine della sua ricerca personale affrontando sia il discorso teologico, cui dedica Teologia ultima (1966), sia altri argomenti d’interesse culturale e politico (come accade nel caso dell’agile monografia su Lenin del 1967, oppure ne Il taccuino incompiuto del 1984, nel quale ricostruisce la vita segreta e il dramma personale e scientifico di Ettore Majorana), sia scrivendo opere divulgative su Le scelte della scienza (1977) o su Einstein e la relatività (1981). All’estero Tonini è ammesso come membro titolare della prestigiosa “Academie Internationale de Philosophie des Sciences”, alle cui riunioni - unico italiano partecipa regolarmente dal 1961 fino al 1988, confrontando il proprio programma di ricerca con personaggi come Gonseth, I. Prigogine, P. Bernays, M. Polanyi, J. Agassi, E. Laszlo, J. Vuillemin, L. Bertalanfly, ecc. Negli ultimi anni della sua vita Tonini pubblica una serie di studi mediante i quali sposta progressivamente il proprio interesse dall’epistemologia scientifica all’ermeneutica del simbolo. Appaiono così, in rapida successione, opere come Civiltà 2000, la sfida della ragione (1985), Corpo e anima (1987), Utrum deus sit (1988), fino al più recente Bioetica e saggezza (1991), cui si può affiancare l’ultimo fascicolo da lui curato de “La Nuova Critica” dedicato al tema monografico Scienza ed umanesimo (1990) con scritti di E. Garin, F. Barone, C. Vasoli e di V. Tonini. Ma è sempre in questi anni che Tonini mette capo anche ad una ricostruzione complessiva della sua biografia intellettuale, concependola, con grande umiltà, come un contributo per una storia dell’epistemologia del Novecento». In questo volume, intitolato La realtà della natura e la storia dell’uomo (1989) Tonini intreccia costantemente la narrazione auto- AUTORI E IDEE biografica con l’intervento storico e l’esigenza teorica che urge in ogni sua pagina. F.M. a mantenersi straordinariamente accessibile, conservando la forza espositiva di una trattazione sistematica. E.N. Pareyson in Francia Ontologia dell’economia È stata recentemente pubblicata in Francia la traduzione degli Scritti sull’Estetica (Gallimard, Parigi 1992) di Luigi Pareyson, una raccolta di monografie che, sebbene non possa considerarsi tra i testi maggiori del filosofo, per la sua struttura tematica costituisce una buona introduzione alla conoscenza del pensiero di Pareyson di cui è annunciata a breve la traduzione di Filosofia della libertà. Nel volume Gesellschaftliche Koordination. Eine ontologische und kultur-wissenschaftliche Theorie der Markt-wirtschaft (Coordinazione sociale. Una teoria ontologica e di scienza della cultura dell’economia di mercato, J. C. B. Mohr, Tübingen 1991) Peter Koslowski tenta di formulare una fondazione “ontologica” dell’economia di mercato, basandosi su alcuni principi della filosofia di Leibniz. Più conosciuti in terra di Francia sono due degli allievi di talento di Luigi Pareyson, recentemente scomparso: Gianni Vattimo e Umberto Eco che, attraverso le loro opere, hanno in buona misura contribuito a suscitare l’interesse per il pensiero del maestro. Se per il pubblico filosofico italiano la comparsa dell’Estetica pareysoniana (1954) aveva avuto il significato di una emancipazione dalla impostazione idealistica crociana della riflessione sull’arte, in Francia viene messa maggiormente in rilievo l’attenzione di Pareyson per i temi esistenzialisti, per l’articolazione del rapporto tra libertà creativa e legalità della forma, temi e spunti che trovano espressione compiuta nella “teoria della formatività”. L’interesse è dunque giustamente centrato sull’esposizione del processo di formazione dell’opera d’arte, condensato nel concetto chiave di “formatività”: un fare che, mentre fa, inventa il proprio modo di fare, scopre la legalità specifica della singola forma artistica; il proprio inconfondibile “stile”. L’opera è perciò “interpretazione”, ma interpretazione sottratta all’arbitrio, verità «sospesa alla libertà», e in quanto tale sorgente di dialogo con tutte le altre interpretazioni. Il fare artistico, in quanto progetto creativo che scopre la propria libertà e la propria necessità di forma espressiva, in quanto interpretazione consapevole di una «verità inesauribile», rivela così per Pareyson un carattere ontologico «dal momento che si installa nel cuore stesso del rapporto originario dell’uomo all’essere e della persona alla verità». I temi dell’ultimo Pareyson si annunciano già in questi brevi saggi che raccolgono i testi di conferenze e articoli composti intorno agli anni 60. In tempi di metadiscorsi sull’arte dove troppo viene dato per implicito o scontato, ma dove spesso non si riesce ad afferrare il nucleo di pensiero o l’intenzione dimostrativa, non v’è dubbio che possano risultare apprezzabili anche per un pubblico colto e smaliziato come quello francese la linearità espositiva e la chiarezza di linguaggio del discorso di Pareyson che, nell’affrontare i problemi principali dell’estetica, riesce Tra i vari e mai del tutto convincenti tentativi di sviluppare un’ ”etica” dell’economia fondata su un concetto non metafisico di ragione, si possono distinguere schematicamente due tendenze: da una parte quella che si potrebbe definire della “razionalità economica”, in quanto riduce ogni istanza etica e ogni modalità del rapporto sociale a calcolo dei costi e degli utili, negando così carattere di razionalità ad ogni intervento di regolamentazione che non sia conforme alla logica del mercato; dall’altra quella della “razionalità comunicativa”, che si propone di sottoporre l’economia ed il mercato al controllo di istanze “razionali” sviluppatesi nell’ambito della discussione pubblica. Rispetto a queste forme della razionalità “post-metafisica”, Peter Koslowski sembra invece voler risuscitare antichi modelli concettuali, tentando di giungere ad una giustificazione di carattere totalizzante della realtà sociale ed economica. In Gesellschaftliche Koordination il suo intento è infatti quello di presentare una teoria “ontologica” e, sviluppata a partire da una prospettiva di “scienza della cultura”, dell’economia di mercato, che vuole essere parte di un progetto più generale di carattere “filosofico-teologico-economico”. Nello spazio di 120 pagine Koslowski si propone così da una parte di ascrivere la dimensione “economica” alle determinazioni più generali dell’essente, dall’altra di dare un nome ai fattori culturali e agli elementi normativi dell’economia di mercato. In questa sua impresa, Koslowski cerca un sostegno nella metafisica leibniziana, e in particolare in quegli aspetti della monadologia che, nella loro struttura di superficie, rinviano al modello di un mondo ottimale (quello esistente) e, in esso, ad una società di carattere individualistico. Ma più che a una “fondazione”, Koslowski giunge in realtà ad una descrizione di carattere analogico, in cui il principio strutturale della monadologia e le operazioni di coordinazione e massimizzazione del mercato si sovrappongono e si spiegano reciprocamente, nel tentativo di utilizzare l’argo- mento giustificativo di Leibniz per giustificare “metafisicamente” l’economia di mercato: come il mondo esistente è “il migliore dei mondi possibili”, così l’ordinamento economico capitalistico è il migliore degli ordinamenti economici possibili. Sulla base di questa analogia tra mondo delle monadi e mercato, non è difficile attribuire all’individuo una dimensione ontologica che trascende la sua caratterizzazione empirica come homo oeconomicus. Ma risulta poi difficile conciliare la determinazione metafisica del concetto di libertà formulato da Koslowski («la libertà del Sé mira alla realizzazione dell’essenza umana nell’esistenza individuale») con il radicale principio di individuazione della monadologia leibniziana, che sembra escludere ogni determinazione essenzialistica del Sé. Gli aspetti contraddittori e non convincenti della “ontologia dell’economia” di Koslowski appaiono ancora più evidenti non appena se ne prendano in considerazione le conseguenze etiche. Da un’etica della “coordinazione” sembra legittimo aspettarsi una teoria normativa che sia in grado di correggere i modelli “naturali” di coordinazione del mercato attraverso modelli giustificati eticamente e razionalmente. Ma invece l’etica di Koslowski non si preoccupa dei principi della giustizia sociale, economica, ecologica, e sembra considerare una tale giustizia come qualcosa di chimerico, la cui realizzazione pratica avrebbe solo l’effetto di alterare l’efficienza della coordinazione del mercato. Il suo liberalismo, giustificato metafisicamente, approda così al risultato di assegnare all’individuo il compito di correggere gli effetti negativi e distruttivi, sul piano sociale ed ecologico, dell’economia di mercato, rifiutando così ogni istanza di giustizia posta a livello istituzionale e sociale. M.M. TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Arte e inconscio: il piacere della bellezza Il giudizio di Paride, un topos della nostra cultura, è un giudizio “estetico”: Paride sceglie la bellezza, il piacere, l’erotismo, dando avvio alla “mala ora” della guerra troiana. Questa decisione di sventura, stando alla genealogia dei romanzi “troiani”, è l’atto fondatore della storia dell’Occidente, in particolare dell’Europa: esso segna in qualche modo l’ingresso nella civiltà, inaugura i valori fondativi della Kultur. Hubert Damisch, noto filosofo e storico dell’arte, nel suo ultimo libro: Le jugement de Pâris (Il giudizio di Paride, Flammarion, Paris 1992) segue l’ ”avvenire di quest’emozione”, il piacere vincente della bellezza e l’irrimediabile malanno del suo potere di seduzione, attraverso l’iconologia artistico/letteraria di questo “mito”. Il soggetto è stato ripreso anche in un dibattito pubblico al Beaubourg di Parigi dal titolo: L e beau aujoiurd’hui, dando prova di un rinnovato interesse degli estetologi e dei filosofi dell’arte in ambito francese per la dimensione non solo semiotica, ma anche qualitativo-intensiva dell’opera d’arte. Tratto specifico di questo lavoro è l’interpretazione della creazione e del piacere estetici in termini freudiano-lacaniani: la chiave di volta dell’estetico è per Hubert Damisch la pulsione sessuale, le elaboratissime variazioni sul tema della Libido da parte della cultura artistica e della sua specifica storicità. Damisch individua tre problematiche principali nell’elaborazione artistica del mito del giudizio “estetico” di Paride. In primo luogo quello della volontà e della lussuria: Venere vince con argomenti convincenti, sconvolgendo i sensi del povero giudice, il quale e ciò costituisce il secondo tema forse non è davvero libero nel giudizio, dato che rimane sconvolto dagli “attributi” di Venere. Mettendo a confronto le “virtù” delle tre dee, Venere risulta la più seducente. Qui si profila un paradosso: da un lato è un “umano” a giudicare della bellezza (ideale?) delle dee; dall’altro, questo giudizio è condizionato dagli incantesimi fatali del “fascino” di Venere. E’ in particolare Rubens, secondo Damisch, a mostrare con grande efficacia quanto la bellezza possa avere di desiderabile e di scabroso. Rubens infatti gioca su due possibilità: far vedere allo spettatore un oggetto di desiderio e al contempo rappresentare l’oggetto come oggetto di desiderio per uno o più personaggi all’interno del quadro. In tale contesto è centrale la nozione di supplemento. E’ come se Venere, con il suo “fascino”, fosse in grado di offrire un supplemento di felicità, che fa pendere la bilancia delle qualità della vita dalla parte del piacere. Questo supplemento, inoltre, appartiene al campo del visibile, è un “premio” per gli occhi, anche se offusca lo sguardo e intorbidisce l’oculatezza del giudizio. L’attenzione di Damisch per gli intrichi e le variazioni sul tema dell’iconologia è orientata dalla preoccupazione di cogliere l’inconscio all’opera nella rappresentazione artistica. Importante nell’arte è in tal senso, riprendendo l’insegnamento di Aby Warburg, non tanto ciò che si rappresenta quanto ciò che si trasforma, ossia le variazioni che si stagliano sulle ripetizioni, le torsioni significative di una figura stilistica. Al lavoro in queste sovrapposizioni, spostamenti, condensazioni di motivi e di figure “eloquenti” è proprio l’inconscio. La ragione ultima del programma di Damisch è dunque una “iconologia analitica”, ottenuta nella feconda comparazione fra linguaggio e inconscio sul piano dei processi stilistici, delle figure del discorso. Scrive l’autore: «L’arte, come l’inconscio, utilizzerebbe dunque un’autentica retorica, con i suoi tropi e la sua sintassi». Seguendo i percorsi “stilistici” seguiti dall’inconscio nella figurazione, Damisch si sofferma sul quadro di Antoine Watteau, Il giudizio di Paride (1720), che per densità e concentrazione figurativa permette di tirare le fila, o meglio le prime conclusioni, di questo lavoro d’iconologia analitica. Tre gli elementi decisivi: Venere è l’unica dea nuda di fronte al suo giudice, alquanto inebetito, sicuramente non in posizione di forza; Venere si sta spogliando e il suo viso è coperto da un velo; le altre due dee, corrucciate, se ne vanno, Giunone con un dito sulle labbra, come per trattenere un segreto terribile (la futura distruzione di Troia?), Minerva riparandosi dietro uno scudo, su cui terrifico appare il volto della Gorgone. Qui l’inconscio è all’opera, si prende gioco dei vincoli della figurabilità per mettere in scena l’ambiguità del piacere della bellezza: la Gorgone, infatti, è la maschera, il sostituto figurativo del sesso di Venere che nel quadro lo spettatore non può vedere, ma di cui il volto terrifico sullo scudo restituisce l’intrinseca verità, l’origine informe, sconvolgente tellurica. Non c’è nessuna “misura”, né grazia, all’origine del bello, solo un potere viscerale, urgente che è totalmente altro rispetto all’esercizio ponderato del giudizio. D’altra parte la Gorgone, ricorda Damisch rifacendosi a Vernant, è per i Greci figura non dell’essere umano differente da loro, bensì del totalmente Altro, dell’informe che opera come forza inquietante all’interno del figurabile. Il mito di Paride si può riallacciare allora all’energia libidinale di Freud, che ha chiamato “mitologia” la propria teoria delle pulsioni (ripresa in modo originale da Lacan, che come un’ombra percorre lo studio di Damisch). La Gorgone sullo scudo esprime il malaugurio della seduzione che comporta piacere e distruzione, che non dà piacere senza violenza, godimento senza malanno. Il mito è inteso da Damisch come forza arcaica, intensiva (ma non primitiva) sempre all’opera nel figurabile, forte di un proprio potere espressivo, che «giustifica ancora una volta il progetto di una iconologia che sappia fare un posto all’inconscio e al contempo al problema della figurabilità e della bellezza». Si profila così il terzo aspetto del mito: Paride si è sbagliato, inaugurando una serie di sventure, di cui la guerra non è forse la più grave. Ma quest’errore, sottolinea Damisch, è proprio ciò che promuove la civiltà, l’ingresso in società. Le conclusioni a cui perviene Damisch riprendono alcune significative ipotesi di lavoro presentate nella prima parte del volume, in cui l’autore, rifacendosi a Freud, annoda strettamente civiltà e malessere. La domanda è: perché l’inizio mitico della nostra storia occidentale ha tutte le apparenze di un errore di giudizio, di un verdetto truccato? Inoltre si tratta di un giudizio operato sotto la categoria dell’ ”eccesso”, TENDENZE E DIBATTITI della perdita di sé, di un giudizio quantomeno avventato, influenzato dai sensi, dalla Libido: come può allora promuovere la civiltà? L’ ”avvenire di quest’emozione”, del piacere enigmatico della bellezza, ha come origine per Damisch il legame, messo in evidenza da Freud, fra bellezza e Libido e come meta le mille variazioni sul tema che la bellezza, come consolazione della forma, saprà elaborare grazie e nonostante l’infigurabile, l’inconscio “selvaggio”. La genesi della bellezza è dunque sessuale, essa coincide con il supplemento e il risarcimento che gli uomini civili hanno elaborato per consolarsi di aver dovuto lasciare le pulsioni più “selvagge”, quelle della Libido. La bellezza è ciò che la civiltà accorda al piacere a condizione che sia riconosciuto come errore e che sia “riconvertito” in pulsione scopica, nella seduzione inquietante di una visione che tanto dà, quanto toglie allo sguardo, tanto coinvolge, quanto respinge. F.M.Z. Femminismo e filosofia Qual’è esattamente la relazione tra femminismo e filosofia? Questo è in poche parole il problema centrale che Moira Gatens affronta nel suo libro: Femminism and philosophy: perspectives on difference and equality (Femminismo e filosofia: prospettive sulla differenza e sull’uguaglianza, Polity Press, London 1991). Le due principali metodologie interpretative che si sono applicate fino ad oggi a questo problema possono essere così descritte: la prima coincide con il tentativo di estendere le teorie filosofiche, così come sono, alle modalità di vita e di pensiero dell’universo femminile; la seconda propone invece di annullare queste teorie, per crearne di nuove, che considerino prettamente il punto di vista femminile, purificate dai passati pregiudizi. Per Gatens, entrambe queste strategie interpretative non risultano soddisfacenti. Ciò di cui si sente bisogno, afferma Moira Gatens, è di un dialogo fertile, attraverso cui la teoria femminista, sempre tesa ad auto-giustificarsi tramite una grande varietà di fonti, possa considerare l’insieme complessivo del pensiero filosofico, incorporando intuizioni che le appartengono e che dipendono dalla particolare esperienza storica e culturale delle donne. Una tale interazione positiva tra femminismo e filosofia mostra che la concretizzazione dei profondi e impliciti pregiudizi sessuali in filosofia nei confronti del mondo femminile appartiene ad un lungo e complesso processo non ancora completato, e mette in evidenza l’estensione di questi pregiudizi culturali impliciti nelle categorie fondamentali del pensiero. Dato che risulta impossibile porsi da un punto di vista esterno rispetto a questi sistemi di valori, ciò che secondo la Gatens possiamo fare è di rendere espliciti i valori nascosti e i pregiudizi all’interno del sistema del pensiero, scegliendo di conseguenza che cosa accettare o rifiutare. In senso generale, è necessario innanzitutto considerare come l’opinione sulle donne si sia costruita essenzialmente in relazione ai termini di natura, corpo e passione. Per Gatens l’attuale approccio femminista alla filosofia lascia intatti i pregiudizi nei confronti delle donne. Possiamo rendercene conto se si esaminano parecchie elaborazioni filosofiche prodotte da donne, come la risposta di Mary Wollstonecraft all’opera di Jean-Jacques Rousseau, o l’applicazione del pensiero liberale al mondo delle donne ad opera di J. S. Mill e Herriet Taylor, o l’uso dell’esistenzialismo da parte di Simone de Beauvoir per interpretare la situazione delle donne: tutti questi lavori incorporano valori prettamente maschili nei loro argomenti. Interessante è anche l’analisi critica che Gatens fornisce delle scrittrici femministe contemporanee. Se autrici come Janet Radcliffe Richards e Carol MacMillan vengono incluse tra coloro che considerano la teoria filosofica come uno strumento non-problematico con cui poter criticare e analizzare il femminismo, Gatens mostra al contrario che un approccio al problema come quello proposto da Richards serve solo a dimostrare la sterilità del metodo analitico nel campo dell’indagine sociale e politica. Mary Daly e Dale Spenser sono invece considerate un esempio del tentativo di costruire una nuova teoria centrata sulle donne, nella consapevolezza che la filosofia femminista non può considerare l’esperienza femminile come ciò che può fornire un punto di vista puro e incorrotto. Il punto di forza della proposta di Gatens sembra risiedere nella struttura sistematica della sua analisi della teoria femminista in relazione alla filosofia, riuscendo a chiarire di molto i termini del confronto. Particolarmente illuminante risulta la descrizione che ella propone del femminismo francese, in relazione soprattutto a quello angloamericano, e dell’uso che esso fa della psicoanalisi, mostrando come il femminismo francese abbia offerto un esame dei pregiudizi nascosti nel pensiero, mantenendo pur sempre un dialogo con la filosofia. V.R. La filosofia analitica e continentale Grazie alla cura di Marco Santambrogio, è oggi disponibile una Introduzione alla filosofia analitica del linguaggio (Laterza, Roma-Bari 1992), che consiste anzitutto in una raccolta di saggi di filosofi italiani intorno alle tematiche di quella che, nel mondo anglosassone, è “filosofia” tout court e, in secondo luogo, in una “introduzione”, non scevra da preoccupazioni didattiche, ai problemi specifici di questa disciplina. Quest’opera intende esplicitamente colmare, in forma introduttiva, una lacuna nel panorama della letteratura primaria e secondaria inerente la filosofia analitica. Il carattere sistematico dell’opera è già indicativo, rileva Marco Santambrogio nella sua Presentazione, della tendenza della filosofia analitica a svilupparsi più come ricerca collettiva intorno a taluni problemi, che come insieme di singole figure di pensatori, per quanto rilevanti. La rinuncia a seguire un approccio storiografico è dunque in primo luogo espressione dell’effettivo strutturarsi del dibattito filosofico nell’ambito della filosofia analitica. Si dirà che anche nella filosofia “continentale” - termine con il quale, come è noto, vengono designate in ambito anglosassone talune correnti di pensiero non riconducibili alla filosofia analitica, che è appunto da intendersi come “filosofia” senza ulteriori specificazioni - quella fra un approccio “teoretico” e uno “storiografico” è una contrapposizione consolidata, e che anche per questo aspetto la distinzione tra filosofia analitica e continentale è oggi molto meno marcata che in passato. D’altra parte ciò che senza dubbio non è scomparso è proprio lo specifico stile di ricerca, che nel mondo anglosassone è improntato alla discussione collettiva dei problemi, spesso sotto forma di circolazione di papers, e che solo in un secondo tempo dà luogo alla pubblicazione di un “testo” con la struttura e il respiro di un libro; laddove nella tradizione continentale il dibattito filosofico tende piuttosto a essere un “momento secondo” che si svolge a partire da opere, concepite da ciascun singolo autore, con una loro più definita singolarità progettuale. La filosofia del linguaggio, nella misura in cui è concepita come branca disciplinare autonoma, finisce oggi per identificarsi con la filosofia analitica; anche se non è del tutto verificato l’altro senso dell’implicazione, dal momento che la filosofia analitica non si qualifica esclusivamente come filosofia del linguaggio. D’altro canto risponde alla realtà odierna della filosofia analitica stessa un suo minore difformarsi dalla filosofia continentale rispetto al passato, per almeno due ordini di ragioni. La prima riguarda la volontà di contrapposizione polemica da parte dei filosofi analitici nei confronti della tradizione filosofica, volontà che è oggi molto meno marcata che in passato. Infatti l’aver fatto passare in secondo piano l’intento programmatico di superamento della metafisica, etichetta sotto la quale venivano ricondotte, senza sostanziali distinguo, le varie correnti della filosofia “continentale”, ha comportato, da TENDENZE E DIBATTITI parte dei filosofi analitici, una maggior presa di coscienza nei confronti dei propri assunti teorici fondamentali e del loro radicarsi nella tradizione filosofica. Ciò ha portato la filosofia analitica da un lato al riconoscimento di un certo debito teorico nei confronti di pensatori appartenenti alla filosofia “continentale” come Frege, Russell, Carnap, Wittgenstein, dall’altro a una presa di distanza critica nei confronti di quelli che tradizionalmente valevano come suoi presupposti. Significativa, a questo proposito, la critica dell’empirismo condotta da Willard Von Orman Quine, se si considera che proprio l’empirismo logico può essere considerato, in connessione con la filosofia del linguaggio, la matrice della filosofia analitica. Da ciò discende il secondo ordine di considerazioni, relativo a un avvicinamento dei filosofi analitici a quegli esponenti del pensiero “continentale” ritenuti, a torto o a ragione, prossimi a talune problematiche della filosofia analitica. Avvicinamento, questo, che non è a senso unico, come dimostra l’interesse per la filosofia analitica di esponenti dell’ermeneutica, quali Paul Ricoeur e Karl Otto Apel, e l’emergere di concezioni, come quella di Richard Rorty, che partendo da posizioni neopragmatiste si collocano ormai al di fuori della filosofia analitica in senso stretto, sviluppando un dialogo che è in sintonia - anche quando è polemico - con la gnoseologia e con la discussione etica nell’ambito della filosofia “continentale”. Doppiamente significativo è poi l’attuale interesse che si riscontra nel mondo anglosassone per Jacques Derrida; in primo luogo perché esso mostra come, sollecitati da una tematica quale il superamento della metafisica, i filosofi analitici, soprattutto nordamericani, abbiano cominciato un confronto con una tradizione di pensiero radicalmente differente anche dalle proprie matrici filosofiche. In secondo luogo perché proprio la ricezione di Derrida, spesso confinata nei dipartimenti universitari statunitensi di letteratura, anziché in quelli di filosofia, dà conto della misura delle resistenze che questa ricezione e, in generale, quella della filosofia “continentale”, ancor oggi incontra nel mondo anglosassone, non solo statunitense. Resistenze di cui la recente, travagliata, concessione al filosofo francese della laurea honoris causa all’Università di Oxford fornisce una prova. F.C. La coscienza e la mente Analisi e teorie relative al funzionamento dei processi mentali ricorrono spesso nel campo della filosofia anglosassone. A testimonianza di questo costante interesse giunge lo studio di Daniel C. Dennett, Consciousness explained (Spiegare la co- scienza, Allen Lane, Londra 1992), che analizza in particolare aspetti della teoria del pensiero e della coscienza, ponendosi sulla scia del dibattito sollevato da Jerry A. Fodor con il suo: A theory of content and other essays (Una teoria del contenuto e altri saggi, MIT Press, Cambridge 1990), di cui una parte delle critiche sono state raccolte da Barry Loewer e Georges Rey in Meaning in mind: Fodor and his critics (Significato nella mente: Fodor e le sue critiche, Blackwell, Oxford 1991). E’ da più di dieci anni che Jerry A. Fodor è considerato uno dei più interessanti ed incisivi filosofi della mente. Il suo progetto coincide in generale con il tentativo di conciliare la concezione degli esseri umani come individui le cui azioni scaturiscono intenzionalmente dalle loro credenze e dai loro fini con quella che considera gli individui come un sistema fisico complesso. La conciliazione di queste due concezioni dovrebbe abolire l’affermazione secondo cui la spiegazione intenzionale, a differenza di quella proposta dalla scienza, non è una spiegazione causale. Secondo la teoria del realismo intenzionale, ogni spiegazione intenzionale implica un tipo di spiegazione causale, che per Fodor conduce alla nozione di “linguaggio del pensiero” della conoscenza umana. I pensieri sono strutture interne che possono essere caratterizzati in maniere diverse, per esempio come rappresentazioni; in tal caso essi vengono concepiti come aventi significato, in quanto tentativi, talvolta anche erronei, di rappresentare il mondo così come esso sembra essere o come potrebbe essere. Le proprietà rappresentazionali possono costituire l’aspetto più importante e interessante del pensiero, ma ve ne sono altri. Infatti le rappresentazioni vengono da noi trasformate in inferenze, e la scienza formale ha dimostrato che i ragionamenti deduttivi sono la chiave per l’organizzazione delle rappresentazioni. Quest’ultima considerazione è ora ciò che per Fodor fornisce la connessione tra la concezione della mente come un sistema rappresentazionale e quella che la considera come un sistema fisico. Dal punto di vista di Fodor il realismo intenzionale è dunque ciò che permette di arrivare ad una psicologia cognitiva, il cui compito è appunto quello di spiegare l’unione dell’aspetto intenzionale e di quello fisico tramite un modello-struttura che tiene conto dell’intenzionalità. Gli esseri umani risultano macchine fisiche, capaci di produrre inferenze; solo che la relazione tra l’organizzazione e la rappresentazione è complessa: l’organizzazione è rilevante per il rappresentare, ma la sintassi non determina la rappresentazione. In definitiva il punto centrale della ricerca di Fodor è nel riuscire ad unire una teoria della rappresentazione con una teoria dei processi mentali, una teoria del modo di rappresentare il mondo con una teoria del pensiero. In Meaning in mind , Michael Devitt, Stephen Stich, Brian Loar e Ned Block mettono tuttavia in dubbio che la psicologia computazionale proposta da Fodor possa conciliarsi con la sua psicologia intenzionale. Il progetto di Fodor costituirebbe un’erronea teoria del significato ed una descrizione inadeguata della struttura computazionale della mente e di conseguenza un’unione inadeguata delle due posizioni. Poiché il significato possiede una valenza pragmatica e relativa al contesto e alla dimensione sociale, questo evita di dare una base empirica alla teoria del significato. Fodor, al contrario, vorrebbe spiegare la nozione di rappresentazione, mostrando la base naturale del significato. L’incompatibilità di queste due posizioni genera un’importante ipotesi: se infatti non possiamo spiegare il contenuto del pensiero, possiamo però abbandonare la concezione dell’essere umano come guidata dall’agire intenzionale. Consapevole di questo dibattito, Daniel C. Dennett si propone, con il suo Consciousness explained, di mostrare che il problema della coscienza non presenta misteri legati al dualismo mente-corpo posto da Cartesio. Non esiste all’interno dell’essere umano un luogo intimo e segreto popolato di eventi misteriosi. Ciò che invece esiste è qualcosa come un congegno computazionale caotico (il cervello), in cui appaiono molteplici successioni di informazioni da cui scaturiscono risposte e affermazioni. Poiché sappiamo come determinare una struttura computazionale capace di produrre responsi, non c’è motivo, per Dennett, che rimanga aperto il problema di ciò che è in grado di rendere cosciente tale congegno. Non esistono eventi interni con la speciale proprietà di essere coscienti, intendendo la coscienza secondo la struttura mente-corpo che Cartesio ci ha tramandato. Non esiste una differenza qualitativa tra ciò che noi facciamo, quando riportiamo un contenuto conscio, e ciò che un congegno computazionale dovrebbe fare se fosse programmato per spiegare il suo modo di procedere. In tal senso Dennett propone un’immagine alternativa a quella cartesiana, e invece di descrivere il pensiero cosciente come un fugace sguardo su di un misterioso luogo interno, parla di un modello a schema multiplo. L’idea chiave risiede nel fatto che il cervello lavora senza sosta in parallelo su di un’ampia varietà di generi di interpretazioni che riceve da differenti inputs. In relazione a ciò Dennett dimostra, almeno per piccolissimi intervalli di tempo, che la distinzione tra processo preconscio e quello post-conscio non esiste nel cervello. Nonostante gli sforzi, Dennett non pare tuttavia in grado di spiegare e risolvere definitivamente il problema della TENDENZE E DIBATTITI coscienza, anche se giustificato e legittimo appare il suo rifiuto del mistero mentecorpo. V.R. Un uomo all’antica Dopo più di dieci anni dall’edizione tedesca, viene pubblicata in italiano la raccolta di scritti (elaborati tra gli anni Cinquanta e Sessanta) di Günther Anders, L’uomo è antiquato (trad. it. di M. A. Mori, Bollati-Boringhieri, Torino 1992). Erede, più di quanto non dicano le vicende biografiche, delle analisi della Scuola di Francoforte, le riflessioni sulla tecnica di Anders appaiono, più che datate, “inattuali” e accostabili, anche se con diversa profondità di pensiero, a quelle di Heidegger e Adorno. Fedele al noto adagio hegeliano, secondo il quale un mutamento quantitativo ne comporta uno qualitativo, il dominio della tecnica nelle società occidentali contemporanee muta radicalmente, a parere di Günther Anders, il rapporto tra l’uomo e gli “strumenti” tecnici, appunto, a cui egli fa riferimento. Non più dunque l’uomo soggetto degli strumenti che produce e utilizza, ma un mondo di oggetti caratterizzato da una propria e indefinita riproducibilità, oggetti che “vivono” l’uomo, il quale solo apparentemente è attivo nel rapporto con essi. Più ancora che nel rapporto di produzione definito dal “tempo di lavoro”, questa situazione risulta evidente, osserva Anders, nel rapporto di consumo, cioè nel “tempo libero”: l’uomo è appendice funzionale del processo oggettuale, e non viceversa. All’interno del mondo oggettuale, la pacificazione delle contraddizioni passa attraverso la rimozione di qualsiasi residuo di attività, ovvero di soggettività, attribuibile all’uomo; il mondo pianificato della tecnica è il mondo progettato dalla tecnica, non dall’uomo. Le ascendenze heideggeriane di questa interpretazione sono evidenti; tuttavia nell’alternativa che Anders concede all’uomo permane un residuo di umanesimo che Heidegger giudicherebbe, nel migliore dei casi, una mancanza di radicalità dell’analisi. Il carattere antiquato dell’uomo individuato da Anders consiste nel suo non essere adeguato al mondo oggettuale che si trova a consumare; la specificità del soggetto, la “soggettività offesa”, rimossa dalla partecipazione attiva al processo costitutivo del mondo oggettuale, viene rimessa in gioco, come inadeguata, nel mondo del consumo, nel mondo di ciò che “si” è prodotto. E’ vero che, soggettivamente, l’uomo vive tale inadeguatezza, tale carattere antiquato, come una mancanza, come un’incapacità di controllo del meccanismo produttivo e, quindi, come uno stato di fatto da eliminare, nella serena convinzione della possibilità di un’adeguatezza sempre più avanzata. Ma dal punto di vista oggettivo è proprio il permanere di questa inadeguatezza a determinare lo scarto fra il piano delle capacità dell’uomo di controllare la produzione, il consumo (o meglio, di controllare la produzione del consumo), e quello delle dinamiche oggettuali, divenute ormai “sovrumane”, sovrapersonali. Si verifica, anzi, fra coscienza soggettiva e realtà, un rovesciamento dialettico; quanto più l’uomo è, o crede di essere, “adeguato” alle dinamiche di produzione e consumo del mondo oggettuale, tanto meno è “uomo”, tanto meno è adeguato a se stesso. La prossimità delle analisi di Anders a quelle di Th. W. Adorno è, da questo punto di vista, palese. Tuttavia le posizioni dei due pensatori sono molto differenti, proprio in virtù dell’approccio storico-dialettico alla questione: ben marcato in Adorno, assente invece, in ultima analisi, in Anders. La sua vuole essere una descrizione fenomenologica del mondo della tecnica, che ha come scopo un’ontologia del mondo oggettuale e a una tipologia antropologica, entrambe caratterizzate in senso sovrastorico. Nelle condizioni imposte dalla tecnica, il mondo oggettuale acquisisce per Anders un’”oggettività” che prescinde dal rapporto che esso ha con gli uomini e dal rapporto che questi hanno fra di loro; rapporto che è storico, e dunque dialettico, TENDENZE E DIBATTITI come ben sapeva Adorno. F.C. Il soggetto paziente Da prospettive diverse i testi di Marco Maria Olivetti, Analogia del soggetto (Laterza, Bari-Roma 1992), e di Ubaldo Fadini, Configurazioni antropologiche. Esperienze e metamorfosi della soggettività moderna (Liguori, Napoli 1991), analizzano il costituirsi dell’uomo come soggetto. Il luogo fondativo della soggettività è individuato da Olivetti nel concetto di rappresentazione, e da Fadini in quello di finitezza. Nell’uno e nell’altro caso, filo conduttore di queste ricerche sembra essere il tentativo di trovare la fondazione del soggetto, tradizionalmente definito dall’attributo dell’attività, in una dimensione dove quest’ultima sia consustanziale a una “paticità” originaria. Il nesso fra razionalità e passione, fra “essere attivo” e “essere affetto” è anche il tema conduttore della raccolta La passione della ragione (a cura di Gianfranco Dalmasso, Jaca Book, Milano 1991) con saggi, fra gli altri, oltre a quello dello stesso Dalmasso, di Francesca Bonicalzi, Carlo Sini, Mario Vegetti. Nell’analisi filosofica del problema religioso, Marco Maria Olivetti vede una prospettiva privilegiata per porre la questione relativa alla dimensione originaria della costituzione del soggetto. In un’ottica fenomenologica, il problema di “pensare Dio” assurge per Olivetti al ruolo di paradigma della dimensione originaria del pensare tout court. Come è noto, in un’analisi di tipo fenomenologico è legittimo “mettere tra parentesi” il riferimento semantico, in quanto l’epochè riguarda la realtà esterna al fenomeno, cioè all’ ”altro”, cui l’evento segnico rinvia. L’oggetto intenzionale della religione implica tuttavia il rinvio a un “al di là” della coscienza che è peculiare rispetto a qualsiasi altro oggetto; il rimando all’ ”al di là” della coscienza è infatti nella religione talmente intrinseco all’atto di intenzionamento, da risultare ineludibile, in quanto costitutivo dell’atto stesso. Il “totalmente altro” dell’atto è dunque il suo più proprio costituente, che d’altra parte non è definibile come sua “essenza”, proprio perché è “altro” da esso. Ecco allora come la questione ontologica deve essere collocata al di fuori di una prospettiva onto-logica, cioè referenziale. Nella seconda parte della sua indagine Olivetti cerca in modo analogo di ricollocare la questione etica, o meglio, la questione dell’uomo «alla fine dell’etica», all’interno di una fondazione dell’etica stessa che è, a sua volta, fondazione dell’ontologia. A parere di Olivetti tale fondazione va ricercata allontanandosi dall’intento di determinare una qualche “essenza” dell’uomo, dall’intento cioè di svolgere la questione dell’uomo in una prospettiva onto-logica, e intraprendendo invece un cammino che ha origine anch’esso dal pensiero fenomenologico. La questione dell’essere può essere posta solo rinunciando a una tematizzazione, a una “rappresentabilità” della costituzione dell’ego. Il soggetto non viene più concepito sotto le spoglie di una metafisica della presenza, ma sotto quelle di una coappartenenza a intenzionamenti plurimi e divergenti, dove l’autoreferenzialità dell’io rimanda a un’ alterità destinataria» dei suoi intenzionamenti, ed è sua volta alterità “destinata”. Ciò non implica affatto un’adesione, da parte di Olivetti, alle posizioni della cosiddetta “etica comunicativa”, alla base della quale, a suo parere, permane un presupposto soggettivistico-sostanzialistico; piuttosto, si tratta di una ridefinizione della questione del senso «come esterno e non presentabile, ma solo ripresentabilerappresentabile nell’identità presenziale della coscienza soggettiva». Proprio la questione della rappresentazione, che nella terza parte del suo lavoro Olivetti propone come cifra dell’esistenza umana, chiude il cerchio delle considerazioni su Dio: l’affermazione della non rappresentabilità di Dio è il correlato di quella dell’intrascendibilità della rappresentazione di Dio da parte dell’uomo, per il quale Dio permane, dal punto di vista ontologico, come “totalmente altro”. Anche Ubaldo Fadini nelle sue Considerazioni antropologiche cerca una determinazione della soggettività umana, al limite dell’impostazione antropologica. Non è casuale che le tappe di questo percorso si snodino non solo attraverso filosofi, come Walter Benjamin, Carl Schmitt e Arnold Gehlen, ma anche poeti e letterati, come Elias Canetti e Paul Celan. La «coscienza antropologica della dimensione polimorfa dell’umano», per quanto pur sempre considerazione di una multidirezionalità dell’esperienza umana, deve lasciare il posto al “polimorfismo antropologico”, a una “pluralità di assoluti”, fra loro irriducibili. Fadini sottolinea come la costituzione dell’essere preceda la sua composizione, la sua fatticità: l’essere si fonda su un’operazione etica, su un’attività che «si manifesta nella molteplicità dei piani [...] in cui si articola la pratica sociale di soggetti reali, che si consolidano mediante la “riflessione” dell’agire su se stesso». Richiamandosi a Benjamin, Fadini sostiene la prospettiva di un materialismo “assoluto” che si qualifica come “antropologico”. Nella ricostruzione della soggettività, partendo dal piano ontologico e passando attraverso il terreno dell’agire storico dell’uomo, si realizza la qualificazione “politica” dell’ontologia. Da qui, sulla scorta delle indagini di Gilles Deleuze - nei confronti del quale Fadini dichiara il proprio debito - si sviluppa l’attenzione dell’autore per le “configurazioni antropologiche” storiche nell’epoca del “moderno” e del “postmoderno”. La ricerca “paziente”, proposta da Fadini nel confronto con le conside- razioni di Arnold Gehlen, mette a fuoco il concetto di “corpo”, rispetto al quale la coscienza è un sintomo. Si tratta di un rapporto direttamente proporzionale a quello fra attività e passività, fra capacità del corpo di costruire una costellazione di relazioni che definiscono la propria individualità soggettiva e capacità di essere affetto, di patire. Ogni tentativo di render conto del rapporto tra anima e corpo come relazione tra un elemento “attivo” e uno “passivo”, è infondato quanto la pretesa di porre la coscienza in posizione “normativa” rispetto alle pulsioni del corpo. Ragione e passione, intelligere e credere, libertà e desiderio, sono i poli attraverso i quali, nel volume La passione della ragione, che raccoglie gli interventi al seminario omonimo, tenutosi a Milano nel 1990, si sviluppa il dibattito sul rapporto del soggetto con l’origine del proprio essere. La questione del momento inaugurale della soggettività individuale, sostiene Gianfranco Dalmasso, viene coperta e oscurata qualora si consideri la libertà unicamente nel suo aspetto di ab-solutezza, di scioglimento del suo legame originario con ciò che la limita. L’ ”esperienza” - termine in cui risuona il concetto di limite, peiras testimonia invece del legame tra la libertà umana e la sua finitezza, che si manifesta anzitutto nel rapporto tra ragione e patire; il misconoscimento di tale rapporto avviene qualora lo si interpreti nella prospettiva di un controllo da parte delle facoltà razionali dell’uomo nei confronti della propria passionalità. Sul problema del controllo delle passioni corporee da parte dell’anima si pronuncia anche Mario Vegetti. La questione del “governo dell’anima” si gioca sulla doppia valenza del governo che l’anima esercita nel confronto delle passioni e su quello che su di essa viene esercitato dalla società, dalla famiglia e dalla polis. Le due direzioni del rapporto vengono entrambe tenute ferme nella prospettiva platonica, fortemente orientata alla possibilità da parte del soggetto di intervenire sulla propria situazione storica e di determinare il proprio destino. Viceversa, proprio perché lasciano cadere questa istanza, gli stoici possono di fatto considerare come problematica anche solo la prima direzione della relazione di “governo”, quella che intercorre fra l’anima e le passioni. Qui di fatto, a parere di Dalmasso, andrebbero ricercate le radici perdute della ratio, divenuta “ragione calcolante”, pura e semplice “misurazione” e padroneggiamento. Anche l’analisi che Francesca Bonicalzi dedica a Descartes è finalizzata a escludere un rapporto dualistico di subordinazione tra ragione e passioni. La passione è talmente consustanziale alla razionalità, che nel dualismo cartesiano di res cogitans e res extensa essa si colloca sul versante della prima: l’uomo patisce in virtù del principio razionale e non di quello materiale. Riprendendo le tematiche di un suo recente studio, Passioni della scienza. Descartes e la nascita della psicologia (Jaca TENDENZE E DIBATTITI Ludwig Wittgenstein. Disegno di Joan Bevan, Cambridge Book, Milano 1990), Bonicalzi osserva che in Cartesio, una volta abbandonato il tentativo di fondare la soggettività esclusivamente sulla razionalità del cogito, sembrerebbe possibile definire il soggetto da un punto di vista scientifico-morale, facendo riferimento all’emotività passionale. Il carattere della passione, originariamente ontologico e solo in via subordinata e derivativa psicologico, è sottolineato da Carlo Sini. La dimensione “patica” in cui si colloca l’uomo indica il suo carattere di “essere destinato”: il suo essere consegnato all’interpretazione, in quanto deciso da un’apertura peculiare di questa. Caratteristica dell’uomo è infatti quella di poter avere nozione di sé solo accogliendo un messaggio che gli si presenta attraverso segni: l’uomo non incontra, infatti, né “semplici presenze”, presenze “naturali” a lui del tutto estranee e inesplicabili, né, all’opposto, presenze “assolute”, come accade invece a Dio. Fra questi estremi l’uomo sta nel “frammezzo”, segno fra segni, e il suo “patire” è l’esser deciso dai segni che esso si trova a dover interpretare. In questo senso, sostiene Sini, il tipo di interpretazione che definisce storicamente l’uomo del moderno Occidente è «una passione e un destino». Si tratta allora di “abitare l’evento” dell’interpretazione, ovvero della passione alla quale siamo consegnati, il nichilismo. In questo “abitare l’evento” consiste l’ ”etica dell’interpretazione” che è, al contempo, “etica della passione”, mediante la quale da soggetti alle passioni si può diven- Riviste d’autore Prende sempre più piede in Francia, nel campo delle scienze umane, la formula della rivista, per così dire, d’ ”autore”: annuari, vere e proprie miscellanee di saggi critici attorno a un unico soggetto. Da segnalare, in particolare, l’uscita di tre riviste d’estetica, “La part de l’oeil” (La parte dell’occhio), “Poliphile” (Polifilo) e la “Revue d’esthétique” (Rivista di estetica), il cui tratto saliente, come è stato notato, consiste nella connessione operata in modi diversi fra riflessione sull’arte (percezione estetica, creatività artistica, teoria semiotica) e analisi puntuale e competente delle opere d’arte (elaborazione tecnica, storicità, moduli stilistici, storia critica della ricezione). Già dal titolo si può desumere il programma concertato dalla redazione (fra cui ricordiamo: Eliane Escoubas, Murielle Gagnebin, Lucien Massaert, Chaké Matossian, Luc Richir) della rivista “La part de l’oeil”: restituire all’occhio la sua parte, prendere le misure della forza e delle forme della percezione estetica, coglierne i nessi sensibili con la dimensione linguisti- ca, la struttura del segno, la sfera del vissuto, le sedimentazioni socio-culturali. Così sono stati dedicati: il n. 7 (1991) al rapporto fra arte e fenomenologia, sotto la guida di Eliane Escoubas (con interventi di Jacques Garelli, di Françoise Dastur, di Jacques Taminiaux, della stessa Escoubas, di Marc Richir); il n. 6 (1990) a “Le dessein” (con interventi di Jackie Pigeuad, di Georges Didi-Hubeman); il n. 5 (1989) a “Topologie de l’énonciation” (comprendente saggi di Daniel Arasse, Louis Marin, Jean Petitot); il n. 4 (1988) a “Voir: les procès métonymiques de l’image” (con articoli, fra gli altri, di Sarah Kaufmann, di Daniel Giovannangeli). Si tratta dunque di una rivista con una precisa linea di pensiero tirata sull’orizzonte teorico-semiotico della riflessione estetica con l’ausilio dell’occhio acuto, penetrante, di chi ha una lunga e familiare frequentazione con le opere d’arte. Nata nel 1985 a Bruxelles, la rivista è stata presentata quest’anno al Collège de France, indice del suo riconoscimento “parigino”. In particolare il n. 8 (1992) è stato accolto con notevole interesse: da un lato, dedicato a “Wittgenstein et l’esthétique”, corona tutta una serie di iniziative del Collège, coordinate da Elisabeth Rigal, sul pensiero del filosofo austriaco; dall’altro mira a cogliere sotto una nuova luce quelle zone d’ombra della percezione estetica, in cui l’esercizio logico di Wittgenstein trova, al contempo, resistenze tenaci e occasioni di chiarimenti ulteriori, fermo restando il suo rifiuto di fare dell’estetica la scienza del bello. Rigal mette in luce la diffidenza dell’autore rispetto all’arte del suo tempo, chiuso spesso in un atteggiamento critico, a volte caustico influenzato in parte da Kraus, da Loos. Ma una volta annullate le possibili ramificazioni “psicologistiche” o “sensualistiche” della riflessione estetica, qual sarebbe per Wittgenstein lo specifico dell’esperienza estetica? E, soprattutto, come egli guarderebbe e comprenderebbe un’opera d’arte? Per Fernando Gil (“Entre l’aspect et l’éternel: l’art”) l’esperienza estetica (non artistica tout court) è per Wittgenstein un esercizio della percezione, il cui tratto perspicuo è la “soddisfazione”: questa è la convenienza reciproca degli elementi in un tutto, non rinvia a sensi altri o nascosti, bensì la sua cifra è tutta nel gioco complesso delle apparenze, dei riempimenti di attese. La percezione, come nucleo dell’arte, non ha nulla a che fare con la psicologia, la quale connette l’apparenza all’essere o all’inconscio mentre, ricorda Gil, per Wittgenstein si tratta di «connettere l’apparenza all’apparenza». Centrale allora diviene la nozione di Aspekt che indica la subitanea scoperta-invenzione di una somiglianza, di un’analogia fin’allora non percepita. Cogliere un aspetto è un’esperienza «metà pensiero, metà vissuto»: è una nuova percezione, nel seno di una percezione invariata. Gil interpreta la nozione di aspetto e di soddisfazione estetica che ne deriva alla TENDENZE E DIBATTITI luce della nozione di esempio, tipica della tradizione retorica e di Kant: in entrambi i casi si tratta di un’illustratio, di un’ostensio e di un’evidentia, che Gil vede all’opera nella kantiana presentazione vivente di un’Idea e che in Wittgenstein assume la forma di una teoria del vedere: la percezione estetica vede come se interpretasse, si appoggia su un sensibile strutturato, coglie analogie oggettive fra le apparenze dei fenomeni, in quanto sensibilmente presenti, evidenti nell’illustrazione e ostensione che se ne può fare. In Wittgenstein, conclude Gil, ciò che contraddistingue la “grande arte” è il suo carattere di “profondità”, il visibile disoccultato che stupisce e meraviglia: è il mondo dei fenomeni nel suo carattere di “aurora”. Su questa linea, Plinio Walder Prado Jr. (“De l’art de juger”) riprende la teoria wittgensteiniana della visione, ma sottolinea il carattere inventivo della nozione di aspetto: in particolare nelle Ricerche logiche Wittgenstein avrebbe strettamente legato la visione degli aspetti a una filosofia dell’immaginazione tesa a cogliere, a giudicare la singolarità, l’unicità delle opere d’arte. Proprio nella nozione di aspetto, che rinvia a un particolare modo di “guardare”, Prado vede la soluzione possibile dell’antinomia kantiana di gusto: al giudizio estetico apparterrebbe uno specifico gioco di linguaggio capace di fare allusione e di cogliere l’indeterminabile e la singolarità dell’evento estetico. Linguaggio dunque che opera non tanto per ciò che dice, ma attraverso ciò che mostra e in questa esibizione, metà linguistica, metà percettiva, risiede la possibilità di una condivisione pubblica dei giudizi di gusto, una sensibilità comune forgiata su un comune vedere gli aspetti. A questo proposito, Prado ricorda in Wittgenstein la differenza fra “veder-questo”, la cui enunciazione riporta a un gioco linguistico descrittivo e ostensivo, e “vedercome”, di genere valutativo e immaginativo, che implica una sintesi dell’immaginazione che attraversa il sensibile stesso. La questione è allora capire come sia possibile trasmettere ad altri la nostra “ricezione attiva” di un opera d’arte e come questo giudizio sia condivisibile. Per Prado la risposta è chiara e indica l’antidogmatismo di Wittgenstein: significa avere occhio o orecchio per il caso singolo, sviluppare quel “sentimento delle regole” che implica un riconoscimento di regole date (culturali, sociali) e al contempo una capacità inventiva che ne sappia cogliere nuove “versioni”, interpretazioni, angolature. Il sentimento delle regole è un sentimento particolare che scorge con un colpo d’occhio particolari connessioni e analogie, “educa” la sensibilità alla molteplicità dei modi di vedere una medesima cosa, che resta la stessa, pur cambiando. E’ un essere in sintonia con le “sottili sfumature” delle cose. Anche Elisabeth Rigal (“De la recherche esthétique comme philosophie première”) sottolinea la densità teorica dell’espressione wittgensteiniana di “sentimento delle regole”, riannodandola in particolare al problema del piacere estetico. Il piacere indica un “sentimento orientato”, non interpretabile però in termini autoriflessivi: non è riducibile all’auto-affezione del soggetto per la forma delle proprie rappresentazioni. Al contrario, il sentimento delle regole conferisce un piano oggettivo al sentimento di piacere, che non è mai immediato, ma richiede un certo sapere, più o meno raffinato, un esercizio dei sensi, dello sguardo, dell’intelligenza. Centrale è allora per Rigal la nozione di “perfezione”, ciò su cui il giudizio “si regola”: perfezione indica una particolare relazione fra giudizio e regole, che da un lato evidenzia l’analogia delle problematiche logico-predicative con quelle estetiche, dall’altro ne sottolinea il carattere duttile, volta per volta singolare. Molto interessanti, in questo numero della rivista, sono infine anche gli interventi segnatamente estetici, fra cui quello di JeanPierre Cometti sulla casa viennese costruita su progetto di Wittgenstein in Kundmanngasse 19. Decisamente orientata a cogliere i problemi teorici a partire dall’interrogazione delle opere singole è la rivista “Poliphile”, il cui primo numero è dedicato al problema della malinconia in arte. Rivista annuale di arte e scienze, a cura di Nelson Gonzàles- Cortés, “Poliphile” ha due tratti caratteristici. Il primo è che i numeri sono connessi strettamente alle pubblicazioni delle edizioni Aldines di Parigi: gli interventi infatti ruotano attorno a temi o a autori, oggetti di opere di prossima uscita presso questa casa editrice. Il secondo è che si tratta di una rivista “raffinata” per la scelta fotografica, la riproduzione d’immagini e per lo “stile” degli interventi, i quali portano appunto sul terreno concreto del lavoro artistico, ponendo questioni sull’artisticità e sull’esteticità dell’arte a partire dalla sua effettiva messa in opera. Nel primo numero il rapporto fra arte e malinconia è affrontato da Yves Hersant a partire dalle pitture e dal diario (15541556) di Pontormo, pittore rinascimentale alla corte di Firenze. La scrittura di questo diario non va sottovalutata: interrotta, frammentaria, fatta a pezzi ci restituisce tutta la violenza del combattimento di un’anima e di un corpo. Nelle quotidiane annotazioni igieniche, culinarie, mediche, non bisogna scorgere solo un documento clinico da dare in pasto a psichiatri frettolosi: al contrario, questi appunti pongono la questione del rapporto fra la dimensione degli “umori, l’organismo fisiologico, in altri termini, il corpo massiccio, viscerale, e la creatività artistica del “genio”. La malinconia, sottolinea Hersant, è cifra dell’alterità e dell’alterazione propria dell’artista, in particolare nel Rinascimento: «Sentirsi essenzialmen- Albrecht Dürer, Autoritratto (1493) TENDENZE E DIBATTITI te diverso da sé, questo sarebbe il proprio dell’artista e del melanconico». Il diario di Pontormo testimonia di «questa familiarità con la morte, la propria, quella degli altri anche, quella della pittura forse». Questa intima alterazione di sé, connessa all’alterazione di un corpo non sempre sano, spesso non “igienico”, e di un’anima irriconoscibile a se stessa, conduce il pittore a toccare con mano (cioé con il pennello alla mano) tutti gli estremi e a sentirne l’intima coincidenza nell’alterità più “nera”. Così appaiono le pitture di Pontormo: malinconiche certo, eppure un concentrato di colori acidi, forti (vermiglio, rosa, blu) che ci si aspetterebbe in scene solari e gioiose e non in deposizioni, in immagini di morte. Louis Marin c’invita invece a un esercizio logico-semiotico il cui «proposito è austero»: si tratta di mettere a confronto due enunciati, il primo teologico, l’altro artistico, il cui punto comune è una struttura di enunciazione paragonabile: da un lato, la formula eucaristica, consacratoria: “Questo è il mio corpo”; dall’altro la frase caratteristica delle principali espressioni di giudizio estetico dell’avanguardia: “Questa è arte”. Entrambi gli enunciati partecipano della medesima enigmaticità; infatti, da un lato, come possono pane e vino trasformarsi in corpo e sangue di Cristo senza cambiare con ciò la loro apparenza di cose? Dall’altro, come possono un colore blu, un porta-bottiglie (Marin si riferisce qui a un quadro di Yves Klein, “Monocromo blu senza titolo”, del 1960, e al “Porta-bottiglie” di Marcel Duchamp del 1914) trasformarsi in opere d’arte senza perdere con ciò la loro sagoma e le loro proprietà di cose? Esiste in arte qualcosa come una “transustanzazione”? Marin procede passo per passo a mostrare la comune rete semantico-logica dei due enunciati retti dalla forza del deittico “questo...Hoc”, la cui identificazione indicativa “questo” (immediatamente: questa cosa qui, pane, blu, porta-bottiglie) glissa al termine della frase in significati precisi: “corpo”, “arte”. Com’è possibile quest’assimilazione del significato a ciò che era solo indicato? La chiave di volta è offerta dal verbo, anzi dal Verbo che assicura la verità dell’essere a partire dalla rappresentazione: il nocciolo primario è la terza persona singolare dell’indicativo “è”. Così il soggetto parlante si trova squalificato nel suo atto d’enunciazione a profitto della presentazione nel suo dire delle determinazioni oggettive dell’Essere, della Parola dell’Essere. Se questo è possibile nella parola consacratoria, per quanto riguarda l’arte moderna l’enunciato: “Questo è arte”, è privo di garanzie, poiché mira a operare il miracolo della trasformazione «per mezzo della semplice virtù della sua enunciazione». Occorre allora, conclude Marin, interrogarsi sulla legittimità e sull’autorità specifica di questa possibile “conversione” di gesti, oggetti, proposizioni artistici e riflettere in particolare sul carattere locale e spaziale (metaforico) di tale conversione. Infine è da segnalare il n. 21 (1992) della “Revue d’esthétique” dal titolo: “Pourquoi l’esthétique?”, che riunisce studiosi diversi per interessi e nazionalità accumunati dal desiderio di rendere omaggio a Mikel Dufrenne. Tre le linee principali d’intervento teorico: la prima è tesa a individuare le questioni di metodo dell’estetica come scienza umana, ponendosi ora problemi più spiccatamente teorici (M. Gagnebin affronta il rapporto fra psicanalisi ed estetica; O. Revault d’Allonnes rivendica la superiorità del giudizio estetico sul giudizio di gusto), ora ricostruendo le grandi correnti dell’estetica (L. Poissant connette strettamente l’estetica più recente alla filosofia pragmatica della lettura e della ricezione). Il secondo orizzonte teorico è disegnato invece da interventi più focalizzati su temi “locali” e concreti dell’arte (B. Lafargue traccia un’interessante storia del viso “cinematografico”; G. Genette s’interroga sullo statuto concettuale dell’arte del ready-made). Non sono tralasciati nemmeno possibili punti di contatto fra estetiche geograficamente lontane (G. Marchianò ricorda il pensiero di Ananda K. Coomaraswamy; M. Sakabé analizza la maschera e il gioco nel “teatro no”). Il terzo gruppo d’interventi è più strettamente connesso all’interpretazione del pensiero di Dufrenne (fra gli altri, D. Formaggio interviene sul senso del poetico; R. Court sull’ontologia della carne; M. Saison sulla nozione di trascendentale empirico; D. Giovannangeli sul rapporto fra Dufrenne e Merleau-Ponty): il rapporto intrinseco fra creazione artistica e corpo proprio e la stretta connessione fra interpretazione della natura e percezione estetica. Daniel Charles, curatore del numero, sottolinea come la nozione di natura in Dufrenne non venga intesa come terra incognita, bensì come crocevia di un’esperienza al contempo germinale, inaudita e familiare. Il “Cap Ferrat”, così il titolo di un recente articolo di Dufrenne da cui Charles prende spunto, non è né puro Essere, né simbolo umano: è abitato, reso presenza viva e intima dal vissuto degli abitanti. Il loro dialogo percettivo-affettivo (non sentimentalistico) con questo spazio è l’Einfühlung che fa di questo luogo uno posto in cui rimanere, per restare - sottolinea Dufrenne - «nei paraggi dell’originario». F.M.Z. Ermeneutica letteraria La seconda edizione italiana dell’opera di Peter Szondi, Introduzione all’ermeneutica letteraria (a cura di G. Cusatelli, Einaudi ,Torino 1992) ripropone il tema della modernità della proposta critico-ermeneutica di questo autore, già sollevata due anni fa dalla pubblicazione dei suoi studi su Celan con il titolo: L’ora che non ha più sorelle. Studi su Paul Celan (a cura di G. A. Schiaffino e C. Viano, Gallio, Ferrara 1990), cui si affiancava lo studio critico di Elena Agazzi, L’ermeneutica di Peter Szondi e la letteratura tedesca (Campanotto, Udine 1990). Nella sua breve ma densa premessa al ben articolato studio di Elena Agazzi, Gert Mattenklott indica con chiarezza come l’ “oggetto” particolare della riflessione critico-filologica di Peter Szondi sia sempre stato quello della modernità, intesa come un processo di continuo disincantamento. Già nella sua dissertazione sulla Teoria del dramma moderno (1956), elaborata sotto la guida di E. Staiger e la cui traduzione, curata da C. Cases, fece conoscere nel 1962 l’autore al lettore italiano, s’impone il tema lukácsiano del “trascendentale essere senza tetto”, che trova il suo corrispettivo nel mondo in frantumi delle forme artistiche moderne (soprattutto per ciò che concerne il teatro lirico ed epico). Il tentativo di analizzare una condizione del mondo nella prospettiva delineata dal motivo dell’autenticità e del suo contrario conduce successivamente Szondi a considerare l’estraniazione come tema dell’indagine e insieme “forma della sua attrazione”. Mattenklott insiste in particolare sugli studi su Celan, poiché è in quest’ultimi che s’esprime un’ “arte della distinzione”, dal tono melanconico, che ha come ideale «l’essere tutt’uno con l’oggetto nel modus del commiato». L’oggettivismo metodico di tale arte non può che manifestare un interesse profondo per il testo poetico celaniani, che rifiuta il convenzionale rinvio al reale, il dispositivo della mimesis, della rappresentazione. Nel suo studio critico, Elena Agazzi ripercorre l’articolarsi di una tale “arte della distinzione”, cogliendo con acutezza come l’intera ricerca di Szondi si caratterizzi per il tentativo di dare corpo ad una ermeneutica letteraria che riesca a coniugare la filologia con l’estetica, basandosi sulla concezione dell’arte storicamente realizzata. Questa sottolineatura del condizionamento storico dell’ermeneutica letteraria indica il distacco dalla linea filologica di Staiger e l’assunzione piena dell’importanza della collocazione cronologica del testo. Szondi si allontana così dalla risoluzione heideggeriana della comprensione nel Dasein, dalla riduzione della forma a contenuto e, oltre all’ermeneutica filologica, critica anche chi si limita all’analisi linguistica senza riuscire a cogliere lo spessore specifico della comunicazione letteraria. In questa prospettiva si delinea una concezione della testualità come “contesto di senso”, la cui complessità irriducibile pretende un rapporto diverso con il testo, come ad esempio quello poetico, capace di realizzare una comprensione non dimentica della pluralità dei fattori, anche e soprattutto estetici, che la rendono costitutivamente aperta e sperimentale. L’ Introduzione all’ermeneutica lettera- TENDENZE E DIBATTITI ria, consente di apprezzare pienamente la posizione di Peter Szondi rispetto ai grandi maestri dell’ermeneutica novecentesca, in primo luogo Hans-Georg Gadamer. Nell’ottica szondiana, osserva Giorgio Cusatelli, la tradizione è fatta di fratture; il che significa che la storia gioca un ruolo dialetticamente determinante nella produzione dell’opera (sul piano della sua stessa strutturazione formale e su quello delle effettive condizioni esterne della sua realizzazione) e nel definire lo scarto che separa l’interprete dal testo stesso. In questo senso, l’interprete non può che approfondire quest’ultimo scarto nella riflessione critica su di esso, non può che includere nella pratica della comprensione l’analisi della propria collocazione/determinazione. La proposta ermeneutica di Szondi è dunque quella di un sapere interpretativo capace di porsi come un “conoscere perpetuato”, continuamente ritornante sulle sue premesse, per saggiarne le potenzialità critiche. Nella sua ricognizione sul materiale ermeneutico disponibile - da Chladenius a Schleiermacher, passando attraverso Meier e Ast Szondi si sottrae tanto al vincolo oggettivo del testo, quanto a un’esaltazione del ruolo dell’esegeta, insistendo con Schleiermacher, sulla positività di un lavoro interpretativo che partecipi al processo di formazione genetica del testo. E’ qui, osserva Elena Agazzi, «che si aggiunge a questo importante fattore innovativo il primo vero interesse per un’ermeneutica specificamente destinata all’interpretazione dei testi poetici. Il fattore metaforico scioglie infatti il testo dal vincolo dell’univocità del messaggio ed apre gli orizzonti a infinite soluzioni possibili che verranno vagliate grazie all’ausilio di strumenti rigorosamente filologici». A questo tentativo di fondare un’ermeneutica letteraria capace di evitare l’invadenza approssimativa della teoresi filosofica e l’eccesso filologico, si rivolge oggi l’attenzione di una critica che non si vuole esaurire all’interno del triangolo magico Heidegger-Gadamer-Derrida. Szondi muove dalla convinzione che con “ermeneutica letteraria” si deve intendere una scienza dell’interpretazione basata sulla concezione dell’arte del nostro tempo e che si sa, proprio per questo, storicamente condizionata e cioè priva di qualsiasi “validità universale e sovratemporale”. U.F. Figure del paradosso La questione del paradosso ha assunto negli ultimi anni una posizione centrale nella riflessione filosofica. Non più considerato errore logico o espediente retorico in ogni caso da eliminare ai fini di una consistenza razionale del discorso, il paradosso sembra assurgere in maniera crescente al ruolo di autentica categoria ontologica del pensiero, esito ineludibile dell’ambivalenza e reversibilità delle formule ontologiche fondamentali. A un’ampia disamina di questa problematica e dei suoi risultati recenti è dedicato il volume collettivo dal titolo: Figure del paradosso (Liguori, Napoli 1992). Come precisa subito nell’introduzione il curatore del volume Rino Genovese, non si tratta più di considerare i paradossi ostacoli da superare, ma di studiarli nella loro “produttività”. Una concezione gnoseologica esente da paradossi comporterebbe infatti una sclerosi dei punti di vista e di riferimento, e un’apologia del “senso comune”; i paradossi, col loro effetto di “scepsi” conoscitiva, rappresenterebbero una sorta di motore della conoscenza. I due saggi di apertura propongono due ricostruzioni storiche della vicenda del paradosso: il primo, di Walter Lupi, su di un versante retorico e letterario, dove il discorso paradossale emerge come il discorso scettico per eccellenza; il secondo, di Giuseppe Varnier, su di un versante propriamente filosofico. Secondo Varnier, dopo le fortune sofistiche e la trattazione sistematica aristotelica nella Retorica e nei Topici, una radicale riflessione filosofica sul paradosso ha inizio col Romanticismo, da Hölderlin, che lo intende come contenuto più essenziale del tragico e vede l’arte come ciò che ne realizza più compiutamente la struttura, a Kleist, che lo intende come contenuto più proprio della conoscenza allontanatasi dalla sua origine, sino a Kierkegaard, che lo contrappone alla totalizzante visione dialettica hegeliana come segno più evidente del rapporto tra umano e divino, paradosso dell’Incarnazione e della Rivelazione. I due saggi successivi, di Clemens Harle e di Carla Benedetti, affrontano il problema del significato attuale del paradosso per la filosofia. La crisi crescente delle impostazioni di pensiero logiciste e formaliste sembra, per questi due autori, aver interamente ribaltato il valore epistemico del paradosso: da incidente formale o indice di un’incompletezza da colmare, a espressione di un reale ineliminabile, il manifestarsi in una forma specifica di qualcosa di ontologicamente rilevante. Harle prende le mosse da un lavoro di Deleuze (Logica del senso) per presentare il paradosso non come deviazione dalla norma logica, ma come quell’incondizionato in cui il pensiero s’imbatte passando dal condizionato alla condizione, allorché comprende che non può più cogliere quest’ultima all’interno del senso comune. Il paradosso è una modalità del senso, in cui vero e falso, o senso e non senso, non si escludono reciprocamente, ma rinviano a una loro originaria compresenza, un “essere” al di là di essere e non essere. Harle lo chiama Aussersein, “extraessere”. Benedetti muove invece dalla teoria dei sistemi, vedendo nel paradosso una conseguenza dei sistemi autoreferenziali, strut- turalmente tautologici, ossia impossibilitati a dire alcunché sul mondo. Il paradosso risulterebbe da questa impossibilità di distinguere tra sé e il mondo. In altri termini, poiché per parlare sensato dobbiamo necessariamente fare questa distinzione, mentre ogni metalinguaggio tenta invece di esprimere l’unità di tale distinzione, è proprio il punto di osservazione metalinguistico, esterno al sistema e capace di considerarlo nella sua totalità, a produrre paradossi. Se ne deduce che le posizioni metalinguistiche, anziché risolvere, aggravano il problema dei paradossi, rendendoli dirompenti. Niklas Luhmann, forse massimo teorico dei sistemi, in un saggio breve e un po’ ludico, ritiene i paradossi legati all’attività stessa del distinguere, come ciò in cui consiste in ultima istanza tutta la conoscenza. Paradossale in definitiva è il lavoro di ogni ricercatore che deve indagare sui fondamenti del pensiero stesso attraverso cui indaga. Infine ci viene presentato, per la prima volta in Italia e per la cura di Elena Esposito, un lavoro di un autore tedesco scomparso nel 1984, Gotthard Gunther, la cui opera è oggetto di un crescente interesse in Germania e nel mondo anglosassone. Nato nel 1900, Gunther ha lavorato negli Stati Uniti dagli anni Quaranta agli anni Sessanta, elaborando una critica abbastanza radicale della logica classica bivalente, minata da “un’incompletezza strutturale” che la costringe a escludere dal campo del formalizzabile tutto quanto è riconducibile all’attività di riflessione, e quindi anche la dialettica. Poiché i criteri logici della bivalenza e del codice binario rendono insostenibile la presenza - peraltro ineliminabile - del paradosso, Gunther sviluppa sin dagli anni Sessanta una complessa formalizzazione “trans-classica”, basata sul calcolo logico polivalente. Nell’insieme dei saggi che compongono il volume prevale tuttavia una visione del paradosso in senso retorico, luogo della sofistica, su di una visione del paradosso in quanto matematico, luogo del platonismo. L’attenzione prevalente è infatti alla teoria dei sistemi, quindi a un quadro problematico ancora tributario, nonostante la distanza critica, della filosofia analitica, e resta del tutto trascurato il luogo teorico privilegiato per uno studio rigoroso dei paradossi: la teoria degli insiemi. F.E. PROSPETTIVE DI RICERCA Socrate. Napoli, Museo Nazionale (raccolta Farnese) PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Socrate e le sue fonti Grazie all’opera filologica di Gabriele Giannantoni è oggi disponibile un’opera, Socratis et Socraticorum Reliquiae (collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G. Giannantoni, Bibliopolis, Napoli 1990), che raccoglie in quattro volumi l’intero corpus relativo alle fonti antiche su Socrate e sui cosiddetti socratici minori ed è destinata a diventare un punto di riferimento e di consultazione obbligato per chiunque voglia studiare il pensiero socratico e l’immagine del filosofo Socrate che la cultura antica ha riflesso attraverso i secoli. Quest’opera conclude, e in un certo senso completa, le ricerche che Giannantoni e il romano “Centro di Studi del pensiero antico”, da lui diretto, conducono da decenni. Studioso ed esperto di Socrate e delle scuole socratiche, a Gabriele Giannantoni si devono tra l’altro precedenti importanti lavori su questo tema: un’edizione dei filosofi della scuola cirenaica (I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche. Traduzione e studio introduttivo, Firenze 1958), una preliminare raccolta dei frammenti e delle testimonianze sui socratici (Socraticorum Reliquiae, collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit Gabriele Giannanantoni, Napoli 1983-1985), una traduzione italiana di tutte le testimonianze su Socrate (Socrate. Tutte le testimonianze da Aristofane a Senofonte ai Padri cristiani, Roma-Bari 1971, rist. 1986), oltre a una sintetica introduzione alla figura e al pensiero di Socrate (Che cosa ha veramente detto Socrate, Roma 1971). Per la ricchezza della documentazione, per la chiarezza con la quale il materiale è stato disposto, oltre che per il notevole rigore filologico, queste Socratis et Socraticorum Reliquiae superano di gran lunga le precedenti raccolte dello stesso Giannantoni e quella dell’inglese J. Ferguson (Socrates. A Source Book, London 1970); senza timore di esagerare si può ben dire che una tale opera possa essere appaiata, nell’ambito delle edizioni di frammenti e testimonianze relative a filosofi antichi, a ben note pietre miliari degli studi di filosofia antica, quali gli Stoici di von Arnim, l’Epicuro di Use- ner, i presocratici di Diels, ovvero - per restare in ambiente italiano - i sofisti di Untersteiner. Lo scopo che l’editore si è prefisso è stato quello di raccogliere tutto quello che su Socrate è stato scritto nell’antichità, con l’eccezione, dovuta a ragioni di carattere editoriale (la mole dell’opera sarebbe divenuta insostenibile), dei dialoghi socratici di Senofonte (Memorabili di Socrate, Simposio, Apologia, Economico) e delle Nuvole di Aristofane, che pure sono fonti essenziali per ricostruire l’immagine di Socrate, anche perché si collocano in una direzione diversa e complementare rispetto a quella platonica. Analogo è il proposito per quei filosofi ai quali si dà convenzionalmente il nome di socratici e che, secondo una consolidata tradizione, avrebbero sviluppato diversi aspetti della filosofia del maestro fondando differenti scuole (megarica, cirenaica, cinica). L’opera risulta suddivisa in sei sezioni, dedicate rispettivamente a: I) Socrate; II) Euclide e la scuola megarica; III) Fedone di Elide; IV) Aristippo e la scuola cirenaica; V) Antistene di Atene, Diogene di Sinope, Cratete di Tebe e altri esponenti della scuola cinica; VI) Eschine di Sfetto e altri socratici minori. I testi delle testimonianze in lingua originale occupano i primi due volumi dell’opera; nel terzo volume sono compresi tre preziosi indici rispettivamente della bibliografia (Index librorum), delle fonti (Index fontium) e dei nomi (Index nominum). Il quarto volume costituisce infine una sorta di commento in lingua italiana con un’ampia e approfondita presentazione per ogni filosofo trattato oltre ad una minuziosa analisi delle fonti utilizzate. Le note di commento sono un sussidio indispensabile per la lettura dei testi e per l’interpretazione che l’editore dà di esse, benché rispetto all’esposizione del proprio personale punto di vista interpretativo Giannantoni preferisca fornire il quadro generale nel quale un dato problema è stato discusso nel dibattito storico-filosofico. Un criterio editoriale adottato da Giannantoni è stato quello di riprodurre le fonti sulla base delle edizioni critiche già esistenti, ritenute al momento le più attendibili (i rinvii a queste edizioni si trovano, autore per autore, nell’Index fontium, vol. III, pp.93 sgg.), senza procedere ad una nuova edizione dei testi. E’ questo un criterio scientificamente attendibile per una raccolta di queste dimensioni; e del resto gli stessi von Arnim, Diels, Usener, fecero altrettanto, anche se da tale criterio derivano grosse difficoltà, date per esempio dal fatto che di Diogene Laerzio (una fonte fondamentale per quello che ci tramanda su Socrate e i socratici) e degli gnomologi antichi (raccoglitori di frasi sentenziose dei filosofi) non disponiamo ancora di edizioni critiche attendibili. La pubblicazione a margine di ogni testo originale dell’apparato critico, desunto dall’edizione critica utilizzata, rende possibile allo studioso di farsi immediatamente un’idea della tradizione e della costituzione del testo. Eventuali correzioni o interventi congetturali da parte di editori moderni che si riferiscono ai contenuti di pensiero sono registrati sempre con chiarezza e discussi nelle note. Accanto all’apparato critico filologico, ogni fonte ha un secondo apparato, nel quale vengono date indicazioni di carattere cronologico e bibliografico, concordanze con edizioni precedenti, rinvii a passi simili o rimandi interni. Per quanto riguarda l’ordine di disposizione delle fonti per ogni singolo filosofo, Giannantoni segue la distinzione tematica canonica, quella usata per esempio nei Vorsokratiker di Diels: biografia, aneddoti, apoftegmi, scritti e dossografia, rinunciando invece alle cosiddette “imitazioni”, cioè ai passi spuri, falsamente attribuiti all’autore in questione e che si rifanno al suo pensiero. Anche la rinuncia alla distinzione tra testimonianze sul filosofo e frammenti del filosofo (rinuncia ovviamente obbligata per il caso Socrate, che non lasciò nulla di scritto) appare assolutamente legittima e utile, dal momento che in moltissimi casi è impossibile separare chiaramente il frammento dal contesto della citazione. Nel lavoro di Giannantoni lo scrupolo filologico si accompagna costantemente con la consapevolezza di dover sempre storicizzare tutte le testimonianze che riguardano un pensatore antico, giacché lo scopo finale è quello di ricostruire di volta in volta un capitolo di storia della cultura. Questo rapporto dinamico tra filologia pura e ricostruzione della storia filosofica è cer- PROSPETTIVE DI RICERCA to un pregio essenziale di queste Socratis et Socraticorum Reliquiae, e spiega per altro la scelta di includere talvolta, tra le testimonianze su un autore, anche testi che non gli si riferiscono esplicitamente, ma che sono stati interpretati come tali: basti pensare per esempio allo scritto di Polistrato interpretato come polemica anti-Cinici, o a quei passi platonici del Sofista, del Teeteto e del Filebo contenenti allusioni polemiche contro socratici quali Euclide, Antistene o Aristippo. Pur non essendo “testimonianze” nel senso tecnico-scientifico del termine, tali testi sono importantissimi per la comprensione globale dell’autore in questione. Questa sintetica illustrazione dei principali criteri editoriali adottati da Giannantoni lascia capire quale sia il grado di complessità e quale l’importanza di questo nuovo strumento di consultazione e di studio. Una ricostruzione completa e definitiva della figura di Socrate come personalità filosofica, come fondatore della filosofia, intesa nel senso di disciplina autonoma e “genere di vita” (Socrate fu il primo a essere definito dai suoi allievi “filosofo” in contrapposizione ai “sofisti” e ai “sapienti”), è un risultato ancora lontano. La presente raccolta contribuisce però a dissipare taluni equivoci di fondo, come per esempio quello che ha fatto di Platone il testimone unico e privilegiato del pensiero socratico, e a riconsegnarci dunque un Socrate liberato dagli schemi platonico-aristotelici. Quanto ai socratici minori, quelli che Eduardi Zeller chiamava Unvollkommene Sokratiker (socratici incompiuti), la lettura delle testimonianze fa emergere personalità filosofiche mature e complesse, invertendone l’immagine svalutativa a lungo dominante negli studi di filosofia antica. Le dottrine di Euclide, Aristippo, Antistene, Eschine non vanno considerate semplici “deviazioni” rispetto a una presunta ortodossia socratica (che risulterebbe invece in Platone e/o in Senofonte): nel loro pensiero si rispecchiano invece tutte le potenzialità insite in Socrate, sviluppate da ciascuno di essi in modo originale. Uno studio attento delle loro idee o delle loro scuole (ma di “scuole” in senso proprio è assurdo parlare, mancando sedi istituzionali, ortodossie da difendere, programmi di ricerca unificanti etc.) è pertanto da considerarsi un momento ineludibile per la ricostruzione della figura storica del loro maestro Socrate. G.U. Strategie di appropriazione dell’antichità Diceva Whitehead: «La più certa caratterizzazione della tradizione filosofica europea sta nel fatto che essa consiste in una serie di note in calce alle pagine di Platone». L’ ”estate editoriale” in Francia sembra aver preso alla lettera questa affermazione, recando una “pioggia di opere” sul pensiero anti- co, tra riedizioni di testi classici e saggi critici. Di questi ultimi segnaliamo: Nos Grecs et leurs Modernes. Les strategies contemporaines d’appropriation de l’Antiquité (I nostri Greci e i loro Moderni. Le strategie contemporanee di appropriazione dell’antichità, Seuil, Parigi 1992), di Barbara Cassin; Penser avec Aristote (Pensare con Aristotele, Ed. Erès, 1992) e Aristote aujourd’hui (Aristotele oggi, Ed. Erès, riedizione, Tolosa 1992), a cura di M. A. Sinaceur; Le Philosophe-roi, Platon et la politique (Il Filosofo-re, Platone e la politica, Payot, Parigi 1992), di MichelPierre Edmond; Interprétations phénomenologiques d’Aristote (Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele, trad. franc. di J. F. Courtine, Ed. TER, Tolosa 1992) e Aristote, Methaphisique. Theta 1-3, De l’essence et de la réalité de la force (Aristotele, la Metafisica. Theta 1-3. Sull’essenza e la realtà della forza, trad. franc. di B. Stevens e P. Vandevelde, Gallimard, Parigi 1992) di Martin Heidegger. Scorrendo i testi raccolti da Barbara Cassin in Nos Grecs et leurs Modernes. Les strategies contemporaines d’appropriatrion de l’Antiquité, ci si convince che gran parte della storia della filosofia occidentale si identifica con i diversi modi con i quali sono stati letti e interpretati i Greci. La mirabile idea della curatrice è stata quella di chiedere ad alcuni eminenti lettori, apologeti, critici ed eversori della tradizione (tra tutti, valgano i nomi di J. Derrida, P. Ricoeur, U. Eco) di rivelare le proprie strategie interpretative; il che si è tradotto immediatamente per ogni autore in una autointerpretazione, in cui esporre i piani di lavoro e gli utensili della propria bottega filosofica. Ben più di Platone è tuttavia Aristotele a risultare interlocutore “contemporaneo”, per contenuti e metodi, agli interrogativi che agitano l’attualità. Tra le diverse riedizioni di testi di Aristotele è il caso di segnalare l’aggiornata traduzione dell’Etica Nicomachea (Ed. Livres de Poches, Coll. Classiques de la philosophie, Parigi 1992) a cura di Alfredo Gomez-Muller, autore anche di una mirabile introduzione all’opera dello Stagirita. Di grande rilievo critico sono poi due grossi volumi dedicati al filosofo, pubblicati con il concorso dell’Unesco sotto la direzione di M. A. Sinaceur: Penser avec Aristote e Aristote aujourd’hui, una duplice raccolta di seminari, colloqui e saggi sullo Stagirita promossi dall’Unesco a partire dal lontano 1978, data in cui ricorreva il ventitreesimo centenario della morte di Aristotele. Si può immaginare cosa abbia potuto significare anche solo fare il punto sulla bibliografia aristotelica. A firmare gli interventi sono specialisti di tutto il mondo, che si provano ad affrontare le tematiche più disparate: dalla ricezione del filosofo greco nell’antichità, nel medioevo e nella cultura araba, alle relazioni del pensiero aristotelico con l’ermeneutica e l’ontologia moderne, fino al rinnovarsi di alcune categorie o intuizioni di Aristotele nella fisica dei giorni nostri. Concetti quali quello di ilomorfismo, per esempio, sono felicemente sopravvissuti alla rivoluzione galileiana per riemergere al termine di un «percorso sotterraneo», come lo definisce René Thom, nei modelli di ricerca più avanzati. E se la tradizione aristotelica ha disseminato il pensiero filosofico fino a tutto il medioevo, un confronto continuo, produttivo anche quando si propone in termini di rottura, segna le stagioni della storia della filosofia occidentale. Ancora oggi il pensiero di Aristotele attraversa e ispira le linee di analisi di Mac Intyre e di Craven Nussbaum, per citare soltanto il campo di riflessione in filosofia morale. Esempi di questo dialogo critico sono rappresentati dai due studi di Heidegger, recentemente tradotti in francese. Il primo, Interprétations phénomenologiques d’Aristote, è un piccolo saggio redatto nel 1922, su richiesta di Paul Nartorp per concorrere alla docenza nell’Università di Marburgo. In queste pagine Heidegger espone la necessità di liberare Aristotele dalle gabbie interpretative della teologia cristiana per rendere di nuovo udibile il suono autenticamente greco della sua parola. E’ un lavoro di “decostruzione”, preliminare alla grande architettura ontologica di Essere e Tempo, necessario per risalire alle sorgenti più nascoste della metafisica, da cui Aristotele ha attinto e di cui ha tracciato la direzione e il destino. L’altro studio di Heidegger ha per oggetto il corso tenuto all’Università di Friburgo nel 1931 sul Libro Theta della Metafisica di Aristotele. Il testo si situa nel periodo che precede la Kehre, la svolta dall’analisi esistenziale di quel particolare essente che si interroga sul senso dell’essere all’essere stesso. Attraverso l’esame dei concetti di energeia e di dynamis, Heidegger procede nella rivisitazione e nella interpretazione dell’ontologia aristotelica, nella quale si esprime la caratterizzazione ontologica più autenticamente originaria dell’Essere. Concependo l’Essere come potentia e actus, realtà che è potenza e virtualità del cambiamento, secondo Heidegger Aristotele «pensa più profondamente, in senso greco, ovvero in maniera più conforme all’essenza iniziale dell’essere, di quanto non faccia Platone». Rimane comunque cospicuo l’inventario delle opere di Platone recentemente pubblicate, sempre in terra di Francia. Due dialoghi capitali: Timeo e Crizia, vengono proposti in una nuova traduzione a cura di Luc Brisson (Flammarion, Parigi 1992), ottavo volume dell’opera omnia di Platone, che l’editore francese intende pubblicare in una aggiornata veste critica, con traduzioni, note e commentari di ellenisti di valore. Ci dispensiamo dal recensire questi dialo- PROSPETTIVE DI RICERCA ghi dove è tracciata la cosmologia platonica e che - sostiene il curatore - hanno costituito «per circa venti secoli il breviario dei sapienti, dei fisici, dei medici e degli astronomi», per segnalare invece il notevole saggio di Michel-Pierre Edmond, Le Philosophe-roi, Platon et la politique, un saggio che, contro l’interpretazione scolastica e cristiana di Platone come filosofo del mondo delle idee, contemplatore del divino, lo fa ridiscendere nella Caverna a confrontarsi con gli uomini per convincerli della necessità di costruire la Città giusta. Città che vive dunque nel consenso, secondo un ordine ben lontano dal modello utopico e totalitario di cui, secondo molti esegeti, Platone sarebbe l’inauguratore. La figura stessa del filosofo-re - sostiene Edmond - ricalcata su quella del demiurgoartigiano del Timeo, avrebbe un ruolo maieutico, di stimolo alla ricerca del bene comune e di organizzatore del laboratorio politico della polis. Ricordiamo infine che, nell’ultimo quadrimestre del ’91, a Platone è stato dedicato il numero monografico della “Revue philosophique” (n. 1103, PUF, Parigi) che raccoglie una ventina di articoli sul filosofo. E.N. Ippocrate. Alle origini della medicina Se è vero che ancora oggi l’accesso alla pratica medica avviene attraverso il “giuramento di Ippocrate”, dove sono condensate le norme della deontologia professionale, poche altre scienze al pari della medicina possono vantare come ancora attuale l’insegnamento di colui che si può dire è l’inventore di tale scienza. Il libro che Jacques Jouanna ha dedicato al medico di Coo, Hippocrate (Fayard, Parigi 1992) ci presenta la vita, l’opera, il quadro storico in cui ha operato Ippocrate e la scuola che da lui prende il nome. Il quadro è quello della Grecia tra il V e il IV secolo a.C., laboratorio unico di idee e di sperimentazione. Tucidide si ingegna a creare una storia scientifica, fondata sulla conoscenza della natura umana; Platone, nel raffigurare le qualità e le competenze del politico autentico, cita sovente la scienza medica; Aristotele trova metafore e ispirazioni nella medicina per descrivere il funzionamento della macchina politica. E’ la Grecia che vede la nascita del procedimento razionale, della logica e della codificazione, delle technai: arte, scienza e tecnica in un solo nome. Con Ippocrate la medicina si emancipa dal sapere sacerdotale e dai contenuti magico-religiosi per diventare la scienza applicata alle cose umane, fondata sull’osservazione empirica dei sintomi e sulla loro codificazione per im- postare poi la diagnosi, la prognosi e la terapia. Una sequenza rimasta classica come molti dei quadri clinici presentati nel Corpus Hippocraticum, ispirato ad una dottrina eziologica che vede al centro il fondamentale rapporto tra l’uomo e l’ambiente. I fattori alimentari, climatici, geografici e perfino politici e sociali sono tenuti in conto nel valutare l’insorgenza della malattia: nell’evento patologico si manifesta perciò uno squilibrio (Dyskrasia) nell’unità dell’organismo. E’ la teoria medica dei quattro “umori” fondamentali: sangue, flegma, bile gialla e bile nera, il cui dosaggio nel corpo umano è responsabile non solo della salute e della malattia, ma - come vuole la scuola ippocratica - serve a spiegare i diversi temperamenti e le differenti tipologie degli individui. Scienza ai primi passi, laica nell’ispirazione ed empirica nell’impostazione, la medicina di Ippocrate è anche conoscenza del limiti dell’intervento medico; esemplare è la massima: «Essere utile o almeno non nuocere»; una modestia che consiglia in alcuni casi di «non curare» il malato quando i risultati della cura si rivelassero aleatori e le sofferenze imposte, inutili. Anche per riguardo a queste considerazioni la terapia privilegia la dieta rispetto ai farmaci, la prevenzione rispetto alla cura, nel più generale concetto di una medicina che si appoggi e favorisca l’opera riparatrice della natura. Scienza alle prime armi, come ci mostra Jacques Jouanna, che difende orgogliosamente l’indipendenza della propria arte. Ippocrate non si oppone al potere di Asclepio, il dio delle guarigioni miracolose, ma separa il sovrannaturale dal naturale e rivendica alla medicina la ricerca del sapere sulle cose umane, la riflessione sul significato morale della propria pratica, senza orgoglio specialistico, in colloquio con la filosofia e con le altre scienze dell’uomo che costituiscono il lascito inestinguibile della civiltà greca. E.N. La fama dei cinici La recente pubblicazione in Francia di una raccolta di testi dei Cyniques grecs, a cura di Léonce Paquet (I cinici greci, Le Livre de Poche, Parigi 1992), rappresenta la versione “tascabile” e condensata dell’edizione scientifica pubblicata in Canada nel 1975. Ciò tuttavia non impedisce a questa raccolta di proporsi come un’opera di grande impegno filologico, che mette a disposizione dei lettori testi pressocché inediti o diffusi in maniera assai limitata. Si è tentati di dire che nel mondo dei filosofi i cinici rivestono un ruolo che potrebbe essere avvicinato a quello dei clochards per convinzione, per una rivendicata scelta di libertà, portata fino alle sue forme più estreme, a scelte di vita elementari, come testimonia la vicenda esistenziale di Diogene, una figura tra le più inedite della storia del pensiero greco: “Socrate folle”, che metteva in discussione non solo i costumi della società civile, ma la sua stessa ragion d’essere, convinto della superiorità dell’ordine naturale su qualsiasi altro. Per questo integralismo naturalistico, che diventa provocatorio stile di vita, i cinici si sono trovati contro, per così dire, i filosofi di professione, contemporanei e posteri. E’ noto che fu Hegel ad affermare che essi «non sono degni di alcuna considerazione filosofica». Nel loro rifiuto della norma, della tradizione e dei luoghi comuni, i cinici incontreranno invece l’apprezzamento di Nietzsche, per il quale il cinismo è «ciò che di supremo si può raggiungere sulla terra». Di fatto, però, Antistene e i suoi discepoli dell’Accademia di Cinosarge - da cui il nome della scuola - avevano la reputazione di “cani” della filosofia nella considerazione degli avversari di altre scuole, che della lezione filosofica dei cinici non recepivano che lo scomposto “abbaiare” sentenze. La “misura” greca veniva provocatoriamente infranta dallo stile di vita dei cinici, prima ancora che dal loro linguaggio filosofico fatto di poemi, allegorie, aforismi. Per questo un giudizio morale negativo peserà sulla scuola cinica per un lungo tratto di storia, un giudizio che d’altra parte risponde in maniera speculare alla provocazione stessa che la filosofia dei cinici ostentava. Essenzialmente morale è infatti lo scopo dell’insegnamento cinico, che predicava l’autarchia, l’autosufficienza, l’indifferenza ai bisogni. Per sua natura non sistematico, l’insegnamento dei cinici è giunto a noi attraverso le testimonianze di altri filosofi, principalmente Diogene Laerzio, mentre dei testi originali non restano che pochi frammenti. Questa mancanza ha fatto sì che la conoscenza dei cinici greci passasse attraverso il filtro filosofico e morale di altri pensatori, segnando così il destino della ricezione critica di questa scuola. D’altro canto, bisogna però riconoscere che se a filosofi cinici come Diogene, Menippo, Dione Crisostomo non resta che un piccolo posto nella storia della filosofia - anche se proprio ad uno di essi, Bione, pare che spetti la paternità della forma letteraria della diatriba - la ragione è insita nell’insegnamento cinico stesso, nella riduzione cosciente e voluta dell’aspetto propriamente filosofico del loro messaggio, che si risolveva quasi sempre in una regola di vita. La radicalità di questo atteggiamento esistenziale voleva mostrare che l’uomo ha sempre a disposizione gli strumenti della sua felicità, posto che abbia coscienza delle esigenze effettive della sua natura. In questo senso vanno interpretate le affermazioni di Diogene sull’inutilità della matematica, della fisica e dell’astronomia, la sua ostilità nei confronti delle scienze speculative e il rifiuto delle costruzioni metafisiche, per puntare direttamente al raggiun- PROSPETTIVE DI RICERCA gimento della disciplina morale. Gli antichi definirono il cinismo come «la via breve verso la virtù»; appropriandosi di un buon numero di tesi ciniche, la dottrina degli stoici provvederà a smussare gli aspetti più provocatori e anticonvenzionali di questo insegnamento. Uno dei meriti di questa edizione francese è anche quello di presentare la dottrina cinica nella sua veste originale. E.N. Hobbes e la rivoluzione inglese Lo studio di Hans-Dieter Metzger: Thomas Hobbes und die Englische Revolution 1640-1660 (Thomas Hobbes e la rivoluzione inglese 16401660, Frommann Holzboog, Stuttgart 1991) presenta una visione d’insieme del sistema filosofico di Hobbes, inserendo la riflessione del filosofo inglese nel contesto delle discussioni sul problema della legittimità dello Stato e del diritto nell’Inghilterra della prima metà del Seicento. Trasferitosi a Parigi prima dello scoppio della guerra civile in Inghilterra, e ritornato nel paese natale all’epoca di Cromwell, facendosi precedere nel 1651 dalla pubblicazione in inglese del Leviatano, Thomas Hobbes fu sostenitore della sovranità assoluta come strumento per metter fine alla crisi che accompagnò la transizione allo stato moderno, di cui egli fu insieme testimone e protagonista. Parte integrante di questa crisi furono i conflitti religiosi della prima metà del Seicento, di cui una delle cause principali fu l’aspirazione al dominio spirituale da parte delle diverse confessioni religiose. Nel suo studio Hans-Dieter Metzger presenta appunto la filosofia di Hobbes sullo sfondo storico delle diverse tendenze politiche e religiose che si fronteggiarono nella guerra civile inglese. La connotazione dei conflitti dell’epoca di Hobbes come “guerre di religione” può sembrare riduttiva, se è vero che in essi furono attivi e determinanti motivi di carattere economico e politico. Ma il fatto interessante, che emerge alla luce del pensiero politico di Hobbes, non è tanto che i diversi partiti si richiamassero a motivazioni di ordine religioso, quanto piuttosto che tali motivazioni abbiano avuto un effetto pratico nella storia inglese ed europea. Nel XVII secolo era crollato l’ordine universale garantito dalla presenza di un’unica chiesa, e ad esso era subentrato il fragile ordine seguito alla pace tra le diverse chiese nate dalla riforma protestante: ma decisivo, in quest’epoca segnata dai conflitti, dall’insicurezza e dalle guerre (“l’unica passione della mia vita è stata la paura”, affermò Hobbes per caratterizzare lo stato d’animo del tempo), era il fatto che l’ordine pacifico non fosse più garantito da un sovrano: la ribellione contro la sovranità non era più in quest’epoca una questione legata al conflitto tra un sovrano legittimo e un usurpatore, ma ad una crisi di principio dell’autorità statale. Partendo da questo sfondo Metzger delinea in maniera dettagliata l’immagine di un’epoca in cui, come ha affermato Niklas Luhmann, si ristruttura radicalmente la semantica politica. Primo passo dell’analisi di Metzger sono gli Elementi di legge naturale e politica, un testo scritto da Hobbes intorno al 1640, circolato in forma manoscritta, che costituisce il primo abbozzo dell’opera sistematica fondamentale progettata dal filosofo inglese, gli Elementa philosophiae, articolata nelle tre parti De corpore (1655), De homine e De cive (1642). L’analisi di questo testo porta Metzger a prendere in considerazione la discussione sulla costituzione nel contesto della guerra civile e il confronto, negli anni dell’esilio parigino, tra Hobbes e Hyde. A questo primo nucleo tematico fa seguito l’analisi del ruolo del Leviatano nella discussione del periodo del protettorato di Cromwell, una discussione già annunciatasi nel periodo dell’esilio e proseguita fino al 1660. L’articolata presentazione di questa tematica si chiude con l’analisi del Behemoth, dialogo sulla guerra civile inglese, che precede la questione, l’ultima discussa nell’opera, della posizione e del ruolo della teologia politica nel sistema filosofico di Hobbes. M.M. Un nuovo interesse per Schopenhauer Alcune opere recentemente apparse in Italia e in Germania rafforzano l’impressione di un ritorno di attenzione e di interesse per Arthur Schopenhauer. Si tratta rispettivamente della prima traduzione italiana di un breve ma significativo testo del filosofo, L’arte di ottenere ragione (a cura e con un saggio di F. Volpi, Adelphi, Milano 1991); degli atti di un convegno svoltosi nel 1986 a Gargnano del Garda, Schopenhauer ieri e oggi (a cura di A. Marini, Il Melangolo, Genova 1991) e della prima edizione completa del carteggio di Schopenhauer con i suoi familiari, Die Schopenhauers. Der Familien-Briefwechsel von Adele, Arthur, Heinrich Floris und Johanna Schopenhauer (a cura e con un introduzione di L. Lütkehaus, Haffmans, Zurigo 1991). Da qualche anno a questa parte il mondo filosofico (e non solo quello specialistico) sembra attraversato da un ritorno di interesse per un filosofo che per tanto tempo è rimasto ai margini della discussione. Ingiustamente, perché, come scrive Alfredo Marini in una breve premessa a Scho- penhauer ieri e oggi, da uno «sguardo sovrano ed essenziale» come quello di Schopenhauer, abituato a confrontarsi solo con poche vette geniali del pensiero come Goethe, Kant, Platone, lo “spirito” dei Veda e quello della mistica tedesca, «non potevano venirci risultati, se non fondamentali». E’ del resto nota l’importanza della filosofia di Schopenhauer nella storia della cultura tedesca contemporanea, da Nietzsche a Freud a Thomas Mann, per fare solo i nomi più celebri. Questi nomi, ed in particolare quello di Nietzsche, ritornano nei diversi interventi raccolti in questo volume, di cui qui vogliamo mettere in rilievo da un lato la proposta di nuove prospettive interpretative da un punto di vista storico, dall’altro la presentazione di una lettura (o meglio: di una molteplicità di letture, condotte da diversi punti di vista) della filosofia di Schopenhauer in relazione ai temi della modernità e del cosiddetto post-moderno - si vedano ad esempio, per quest’ultimo aspetto, i saggi di Reinhard Margreiter: “Schopenhauers Beitrag zu einer Ethik der Postmoderne” (Il contributo di Schopenhauer a un’etica del post-moderno); di Peter Engelmann: “Schopenhauer, Postmoderne und Poststruktruralismus” (Schopenhauer, postmoderno e poststrutturalismo); di Marten van Nierop: “Schopenhauer und die Ambivalenzen der Moderne” (Schopenhauer e le ambivalenze della modernità). Tra le diverse prospettive di interpretazione storica vogliamo qui menzionare quella sviluppata da Alfredo Marini nel denso e articolatissimo saggio dal titolo: “Essere, soggettività e tempo in Schopenhauer (Schopenhauer e i problemi dell’eredità kantiana)”. Marini interpreta qui alcuni temi fondamentali della filosofia schopenhaueriana (la soggettività, il tempo) all’interno dell’orizzonte storico aperto dalla filosofia kantiana (filtrata in parte attraverso la lettura di Kant e il problema della metafisica di Heidegger), e indica nel «vero problema teorico lasciatoci in eredità dalla Critica kantiana» quello di «un nuovo modo di intendere l’’essere’, dopo che si è sostanzialmente rinunciato a concepirlo come ‘oggetto’ o ‘cosa’». Da ciò deriva però anche l’esigenza di una nuova comprensione della soggettività, non più intesa come contraltare dell’ ”oggettività” o di un essere pensato a partire dal modello della “semplice presenza”. E’ in questo ambito problematico della soggettività, ambito che nella storia della filosofia tedesca assume di volta in volta i nomi di “vita” (Dilthey), “prassi” (Marx), “mondo della vita” (Husserl), che Marini colloca le diverse tematiche della filosofia di Schopenhauer; ed è a partire da questo contesto che egli afferma la centralità del concetto di tempo nella suo pensiero: nonostante la nonchalance con cui Schopenhauer sembra liquidare questo problema nel Mondo come volontà e rappresentazione, osserva Marini, «un’analisi dell’uso che egli effettivamente ha fatto di questo concetto ci fa capire, senza possibi- PROSPETTIVE DI RICERCA Schopenhauer all'età di ventun'anni. Miniatura in acquarello di Karl Ludwig Kaaz, 1809 PROSPETTIVE DI RICERCA lità d’equivoco, che esso sta invece al centro di tutti i problemi del suo pensiero». Il trattatello L’arte di ottenere ragione esposta in trentotto strattagemmi venne scritto da Schopenhauer presumibilmente intorno al 1830-31, con l’intento di smascherare «gli artifici disonesti ricorrenti nelle dispute» e di sviluppare una “dialettica eristica” intesa come «l’arte di disputare, e precisamente l’arte di disputare in modo da ottenere ragione». Il testo non venne però dato alle stampe da Schopenhauer, e venne pubblicato per la prima volta con il titolo Dialektik da Julius Frauenstädt e successivamente da Arthur Hübscher, sulla cui edizione si basa la traduzione di Franco Volpi. In questo scritto Schopenhauer affronta, con una scrittura accattivante, agile e carica di ironia, alcuni problemi che troviamo presi in considerazione anche nei Parega e paralipomena sotto il titolo “logica e dialettica”. Con ciò egli non solo si muoveva all’interno di un ambito problematico “classico” della filosofia, ma anche toccava un tema in cui era maestro l’odiato Hegel. Per le diverse implicazioni storico-teoretiche legate al problema della dialettica non si può qui fare altro che rimandare al testo schopenhaueriano, e all’accurato saggio di Franco Volpi che lo accompagna, dedicato al tema Schopenhauer e la dialettica. Bisogna però almeno ricordare che mentre in Hegel la dialettica è la via maestra attraverso cui lo spirito giunge a se stesso, e costituisce così il punto per così dire più alto della logica, Schopenhauer distingue decisamente tra logica e dialettica, verità e arte della disputa, dove ciò che conta non è la correttezza dell’argomentazione, ma la sua efficacia al fine dell’ottenimento della ragione. Le lettere raccolte da Ludger Lütkehaus in Die Schopenhauers permettono di ricostruire alcuni aspetti del rapporto di Schopenhauer con la madre Johanna e con la sorella Adele, ed offrono tra l’altro un’immagine della vita mondano-letteraria condotta dalla madre del filosofo a Weimar, a diretto contatto con gli esponenti del movimento classico-romantico, tra cui Goethe, che frequentavano il suo salotto. Emergono però anche i lati negativi e drammatici della vita della famiglia Schopenhauer. Così, ad esempio, quando Johanna scrive, da una Weimar occupata dalle truppe francesi, al figlio rimasto ad Amburgo: «Potrei raccontarti cose che ti farebbero rizzare i capelli, ma non voglio, perché so che tu mediti volentieri sulla miseria degli esseri umani, tu non la conosci ancora, figlio mio, tutto quello che abbiamo visto assieme non è niente di fronte a questo abisso di desolazione». Ma non erano solo gli eventi della politica e della storia ad affliggere Johanna Schopenhauer: un anno prima il marito Heinrich Floris, in un accesso di ipocondria, si era gettato dal granaio della casa di Amburgo. A Weimar, Johanna vive a contatto con gli ambienti intellettuali, coltivando la sua passione per la letteratura, documentata nelle Sämtliche Schriften, pubblicate in 24 volumi nel 1830-31. Ma, dopo il fallimento dell’impresa familiare dovuto alla bancarotta di una casa di commercio di Danzica, il diletto dell’attività letteraria lascia ben presto il posto alla necessità di guadagnarsi da vivere scrivendo. E, a partire da questo momento di difficoltà economica, il denaro, l’interesse economico, diventano l’oggetto quasi esclusivo delle lettere tra madre e figlio e tra fratello e sorella, che, dichiarandosi addirittura grata al colera se la «esonerasse dalla storia», sembra essere quasi sorpresa dall’intensità della volontà di vivere di Arthur. M.M. L’ateismo di Fichte Con il volume Appellation an das Publikum. Dokumente zum Atheismusstreit. Jena 1798/99 (Appello al pubblico. Documenti sulla polemica sull’ateismo. Jena 1798/99, Reclam, Lipsia 1991) Werner Röhr presenta una utile e interessante raccolta di materiali e documenti sulla controversia in seguito alla quale Johann Gottlieb Fichte fu costretto, nel 1799, a lasciare l’insegnamento all’università di Jena. Nel 1794, su indicazione di Goethe, Johann Gottlieb Fichte viene chiamato come successore di Reinhold all’Università di Jena una delle città più importanti nella storia del movimento classico-romantico tedesco e nella filosofia dell’idealismo. E’ qui che scoppia una polemica che resterà nella storia dell’università tedesca, il cosiddetto Atheismusstreit del 1798-99. La polemica ebbe origine con la pubblicazione nel “Philosophisches Journal”, di cui allora Fichte era direttore, di un articolo di F. K. Forberg dal titolo: Lo sviluppo del concetto di religione, in cui l’autore sosteneva una concezione della religione di tipo kantiano-illuministico, della quale lo stesso Fichte era fautore. In appendice Fichte pubblicò lo scritto Ueber den Grund unseres Glaubens an eine göttliche Weltregierung (Sul fondamento della nostra fede in un governo divino del mondo), in cui, rifiutando le concezioni metafisiche e cosmologiche della divinità, identificava Dio con l’ordine morale del mondo. In seguito alla pubblicazione di uno scritto anonimo dal titolo: Lettera di un padre a suo figlio studente sull’ateismo di Fichte e Forberg, la rivista venne sequestrata a Lipsia e a Wittenberg per intervento del governo della Sassonia, che fece a sua volta pressioni sul granduca di Weimar perché aprisse un’inchiesta. Nonostante le intenzioni del granduca di lasciare cadere la cosa, Fichte scrisse una Appellation an das publikum gegen die Anklage des Atheismus (Appello al pubblico contro l’accusa di ateismo) in cui faceva valere, irrigidendo le sue posizioni, le ragioni della scienza contro quelle della fede. Di fronte al fallimento delle argomentazioni filosofiche, Fichte passò ad un altro tipo di strategia, e scrisse al consigliere Voigt minacciando di rivelare al grande pubblico come lo stesso Herder, a quell’epoca a capo dell’amministrazione della Chiesa evangelica nel ducato di Weimar, fosse in realtà fondamentalmente ateo. Ma nonostante questi tentativi di difesa, Fichte dovette alla fine, nel 1799, rassegnare le dimissioni che, con l’approvazione di Goethe, vennero accettate. I testi relativi a questa polemica sono stati raccolti e commentati nel passato da diversi autori: da Immanuel Hermann Fichte fino a Frank Böckelmann. Ciò che caratterizza il lavoro realizzato da Werner Röhr è l’ampiezza dei materiali presentati, che documentano la discussione in maniera assai più articolata e dettagliata rispetto ad opere analoghe. Ciò non va solo a vantaggio della precisione filologica, ma anche della vivacità con cui ci si presentano i caratteri dei diversi personaggi coinvolti nella vicenda. Così, la raccolta, completata da una Postilla di Röhr e da un apparato di note, non è solo un utile strumento di lavoro per lo studioso, ma offre anche, attraverso le vicende di uomini di cultura, politici, filosofi e cronisti, una vivace immagine della “quotidianità” della filosofia idealistica tedesca tra Kant e Hegel. M.M. Schelling, Fichte e Spinoza La prima traduzione integrale italiana dell’opera di Friedrich Wihlhelm Schelling, Dell’Io come principio della filosofia, ovvero sull’incondizionato del sapere umano (a cura e con postfazione di Antonella Moscati, Cronopio, Napoli 1991), mostra l’influsso che Fichte ebbe sul giovane Schelling, ma mette anche in luce problematiche riprese dalla riflessione contemporanea. Diversa è la prospettiva che emerge dagli Aforismi sulla filosofia della natura (trad. it. di Luigi Rustichelli, a cura di Giampiero Moretti e Luigi Rustichelli, Egea, Milano 1992), pubblicati tra il 1805 e il 1807, dove più definita è l’argomentazione schellinghiana contro il soggettivismo di stampo cartesiano, di cui Fichte finisce per apparire come esponente. Come sottolinea Antonella Moscati nella sua Postfazione, l’interlocutore principale, e non solo l’obiettivo polemico, dell’opera di Friedrich Wihlhelm Schelling è la riflessione kantiana sull’incondizionato. Il problema messo a fuoco nel saggio, che già secondo Schelling «mostra l’idealismo nel suo più fresco apparire e forse in un senso che più tardi perse», è quello di definire le PROSPETTIVE DI RICERCA condizioni con le quali, dopo Kant, si possa cogliere l’incondizionato in un principio. Kant aveva respinto la possibilità di cercare il fondamento del fenomeno, cioè del condizionato, in un principio incondizionato; si ricordi a questo proposito la soluzione kantiana delle antinomie cosmologiche, laddove il contrasto fra tesi e antitesi si mostra come contraddizione apparente, proprio in quanto presuppone come dato l’incondizionato nel mondo fenomenico. Destituendo l’incondizionato da ogni ruolo gnoseologico, Kant ne aveva anche interpretato in modo fortemente riduttivo il ruolo ontologico, arrivando, a parere di Heidegger, fino alla sua espunzione. Il problema di Schelling è invece quello di porre la domanda sul legame fra condizionato e incondizionato, e di determinarlo. E’ forse proprio questa prospettiva che lo induce ad attribuire il saggio all’idealismo «nel suo fresco apparire», così come è il carattere deduttivo di questo legame, per come esso è determinato nel sistema hegeliano, che spinge Schelling a rimarcare la distanza di un tale sistema dal proprio. Schelling infatti nega la possibilità di un legame, nel senso di una deduzione, fra incondizionato (Unbe-dingt) e “cosa” (Ding), l’oggetto condizionato (be-dingt) in quanto tale. La scelta dell’Io come luogo dell’incondizionato è certo tipica di questa fase del pensiero schellinghiano, e verrà in seguito abbandonata. Sono qui però già presenti elementi che si ritrovano anche nelle fasi successive della speculazione di Schelling. Primo fra tutti il tentativo si trovare per l’incondizionato una collocazione immanentistica, salvaguardandone la “differenza” radicale rispetto al condizionato. In questa prospettiva appare non casuale la costante presenza di Spinoza, che già in questo saggio appare come punto di riferimento, per quanto polemico: la confutazione del sistema spinoziano, intento dichiarato in sede di presentazione dell’opera, lascia il posto, nello svolgersi della trattazione, al dialogo con esso. Se è certo la speculazione dello Schelling maturo quella per la quale è oggi più vivo l’interesse, bisogna osservare d’altro canto come anche in quest’opera giovanile emergano temi che autorizzano a parlare di un credito di Schelling nei confronti, per esempio, di tutta la riflessione contemporanea sulla “differenza ontologica”. Con ancora maggiore evidenza questi temi sono presenti negli Aforismi sulla filosofia della natura, pubblicati fra il 1805 e il 1807, di cui appare ora la prima traduzione italiana ad opera di Luigi Rustichelli. Qui l’io fichteano è già interpretato come una forma, per quanto “alta”, di quel soggettivismo di stampo cartesiano che, a parere di Schelling, costituisce l’errore fondamentale di ogni indagine sulla conoscenza umana. Schelling è qui ormai avviato alla costruzione della sua filosofia dell’identità; all’impostazione fichteana egli può già rimproverare di non riconoscere effettivamente l’autonomia della natura, che la dialetti- ca di Fichte riduce a momento del processo che dall’io assoluto deduce gli io determinati. D’altra parte non si verifica qui un mutamento radicale nei riferimenti teorici di Schelling: se nello scritto Sull’io come principio della filosofia la posizione di Fichte veniva assunta come punto di riferimento per la discussione con Spinoza, in modo ancor più palese ora la polemica con quest’ultimo appare motivata da un genuino interesse per la speculazione del filosofo olandese. E’ evidentemente mutuata da Spinoza la tesi sull’univocità dell’essere, la sostanza, che è «una sola essenza, indivisibile e assolutamente unica», e che consiste solamente nel suo essere: tutti gli enti sono uguali di fronte all’assoluto, cioè nessuno consegue dall’altro, ma ciascuno deriva allo stesso modo dall’identità assoluta. Pure di ascendenza spinoziana è la tesi sul carattere immaginario di ogni divisione, così come della materia che, considerata in modo separato dalla sostanza, non è nulla di reale, o come dice Schelling, di “positivo”. Ripreso ancora da Spinoza è il carattere meccanico del complesso di differenze e divisioni, peraltro puramente immaginarie, in quanto fanno invece diretto riferimento alla sostanza, una e unica. Non meno la matrice spinoziana rieccheggia nella considerazione per cui la ragione immanente al «reale perfetto», che si identifica da un lato con la materia corporea, dall’altro con l’idea che è, in ciascun ente determinato, la copula, l’essere, la sua natura naturans, coincide con l’essere divino, e quest’ultimo con la posizione, in quanto tesi dell’identità. Natura e Spirito, come sottolinea nella Prefazione Giampiero Moretti, non sono, nella filosofia schellinghiana, poli dialettici di una relazione, se non pensati nella loro unità con Dio che è, ancora una volta, come infinito, il criterio in base al quale giudicare il «grado di realtà di una cosa (non la realtà relativa, ma la sostanzialità)». L’infinito, l’incondizionato, in quanto tale l’assolutamente altro dall’ente è dunque la misura della “realtà effettiva”, il fondamento dell’ente medesimo. F.C. Tommaso D’Aquino: una riscoperta In ambito anglosassone si sta assistendo da qualche tempo ad una rinascita d’interesse per il pensiero di Tommaso D’Aquino, nel tentativo di superare quella perdita del linguaggio della filosofia morale, propria della cultura del nostro secolo. In tal senso può essere compresa l’opinione di Alasdair MacIntyre, il quale ritiene che si debba ritornare ad un neo-tomismo, che recuperi la tradizione di pensiero iniziata con Aristotele e culminante con Tommaso D’Aquino. La critica più comune che viene rivolta al moderno dibattito filosofico sulla morale è quella secondo cui esso sembra caratterizzato dalla mancanza di uno scopo come fine della sua ricerca. A questo proposito è illuminante lo studio di Brian Davies, The thought of Thomas Aquinas (Il pensiero di Tomaso D’Aquino, Clarendon Press, Oxford 1992), che cerca di spiegare il perché una nuova lettura del grande filosofo-teologo possa essere utile ed avere senso. Brian Davies afferma molto semplicemente che il pensiero di Tommaso D’Aquino dovrebbe essere studiato e tenuto in considerazione non perché possieda una soluzione magica per ogni disputa in campo filosofico o teologico, ma perché può riuscire a far luce su molti degli interrogativi morali della nostra epoca. Lo scopo principale dello studio di Davies è proprio quello di dimostrare come il pensiero di Tommaso D’Aquino possa essere messo in relazione con i moderni problemi filosofici e teologici. Dopo aver introdotto il filosofo da un punto di vista storico, Davies prende in considerazione in maniera sistematica e chiara problemi come quello dell’esistenza di Dio, del tipo di conoscenza che è possibile acquisire riguardo agli attributi di Dio e sul tipo di linguaggio che si deve usare per esprimere questa conoscenza. Il pensiero di Tommaso D’Aquino ha esercitato un’enorme influenza sul successivo pensiero teologico, in particolare all’interno della tradizione della Chiesa Cattolica, e Davies, a questo proposito, intende descrivere in maniera rigorosa la natura di questa tradizione sistematica. V.R. NOTIZIARIO Nell'ambito dell' ESTETICA si segnalano una serie di recenti iniziative a livello nazionale e internazionale. “L’impianto della ricerca estetica comparativa in Europa dal tardo Settecento” è il tema di un progetto triennale di ricerca C.N.R., coordinato da Grazia Marchianò, con la collaborazione dei seguenti studiosi: L. Amoroso, P. Bagni, C. Gentili, S. Givone, F. Mariani Zini, R. Milani, L. Rustichelli, F. Solitario, A. Trione, S. Zecchi. Nell’ambito delle pubblicazioni di atti di convegni sono oggi disponibili quelli relativi al XI International Congress on Aesthetics, tenutosi a Nottingham Polytechnic nel 1990 (le ordinazioni vanno indirizzate a: Carol Standish, Centre for Training Development, Nottingham Polytechnic, Burton Street, Notthingam NGI 4BU). Ugualmente per quanto riguarda gli atti del Convegno: “The Future of Art”, svoltosi a Lahthi nei giorni 7-10 agosto 1990, che accolgono, tra l’altro, un ragguaglio sull’estetica italiana oggi di G. Marchianò (indirizzare le richieste a: Paijat-Hame Summer University, Kirkkokatu 16, 1514o Lahti). Il “Journal of Comparative Literature and Aesthetics” (Università di Sambalpur, Orissa) ha in programma un fascicolo speciale dedicato all’estetica italiana del Novecento con contributi di S. Benassi, L. Bonesio, A. Trione, S. Zecchi, presentati da G. Marchianò. L’iniziativa è nel quadro della collaborazione tra il Visvanatha Kaviraja Institute dell’Università di Sambalpur e la cattedra di Estetica della Facoltà di Magistero dell’Università di Siena. L’ARCO E LA LIRA è il nome della nuova collana creata da Guido Tamoni Editore di Schio, che si propone di introdurre e commentare la lettura dei classici del pensiero filosofico moderno e contemporaneo. La collana si rivolge anche al pubblico colto non specialista, o specificamente impegnato nel settore della didattica filosofica, ma generalmente interessato ad un’informazione non superficiale e “giornalistica” di aspetti rilevanti del pensiero otto-novecentesco. I primi tre volumi con cui si apre questo nuovo progetto sono: Gaetano Rametta, Filosofia come sistema della scienza. Introduzione alla lettura della Prefazione alla Fenomenologia dello spirito di Hegel; Nicola Curcio, La domanda sul nulla e sull’essere. Introduzione alla lettura di Che cos’è metafisica di M. Heidegger; Giovanni Gurisatti, Scrittura e idea. Introduzione alla lettura della Premessa gnoseologica al Dramma barocco tedesco di W. Benjamin. Prosegue la gigantesca edizione dei Sämtliche Schriften und Briefe di LEIBNIZ. Sono recentemente apparsi il primo volume della settima serie, Mathematische Schriften; sta per apparire il tredicesimo della prima serie, Allgemeiner, politischer und historischer Briefwechsel. La serie dei Philosophische Schriften (sesta NOTIZIARIO serie) resta invece ferma ai primi tre volumi e al sesto, contenente i Nouveaux Essais sur l’Entendement Humain, sebbene l’Università di Münster continui la pubblicazione annuale delle Vorauseditionen ai prossimi volumi, arrivate ormai all’undicesimo fascicolo. Vanno però menzionate anche singole edizioni o traduzioni che accompagnano il crescere del dibattito contemporaneo sulla figura di Leibniz. Su “Physis. Rivista internazionale di storia della scienza”, volumi XXVIII, nn.2 e 3, è apparso, curato da André Robinet, l’edizione critica del Phoranomus seu de potentia et legibus naturae, uno dei primi grandi testi di dinamica, scritto a Roma nel 1689. Prosegue così la ricerca di Robinet su Leibniz e l’Italia, a cui si deve anche il recente L’empire leibnizien. La conquéte de la chaire de mathématique de l’Université de Padoue (ed. Lint, Padova 1991). Ancora per quanto riguarda la dinamica leibniziana, è di imminente pubblicazione in Francia, presso l’editore Vrin, un gruppo di inediti del 1678 curato da Michel Fichant, che ha già curato la pubblicazione di De l’horizon de la doctrine humaine - Apokatastasis panton, (Vrin, Parigi 1991), un gruppo di scritti tra il 1693 e il 1715, ove il tema della Combinatoria Universale si dilata a domanda sulla possibile ripetizione ciclica degli eventi del mondo. Infine la casa editrice Cronopio di Napoli pubblica a cura di Francesco Piro la traduzione italiana di un testo giovanile, la Confessio Philosophi del 1672-1673, una piccola teodicea in forma di dialogo scritta dal filosofo all’età di ventisei anni e nella quale compaiono tutti i grandi temi del razionalismo leibniziano. Nella sua Postfazione al volume, Piro, seguendo la strategia interpretativa del suo Varietas identitate compensata. Studio sulla formazione della metafisica di Leibniz (Bibliopolis, Napoli 1990) focalizza l’oscillazione del filosofo tedesco tra riabilitazione e trasformazione della concezione “classica” del mondo come kosmos armonioso, nonché il progressivo complicarsi delle relazioni individuo-mondo nel suo pensiero. L’ISTITUTO BANFI di Reggio Emilia bandisce un Concorso per il conferimento del “Premio Ennio Sco- lari” di L. 5.000.000, istituito in memoria di E. Scolari, per onorarne l’impegno civile e scientifico di studioso e organizzatore di cultura. Il premio è destinato a ricerche inedite nell’ambito degli Studi di Estetica. La domanda di partecipazione, indirizzata al Presidente dell’Istituto, dovrà recare l’indicazione del nome, cognome, luogo e data di nascita, domicilio del candidato, e dovrà pervenire entro il 15 maggio 1993 alla sede dell’Istituto Banfi, via Pasteur 11, 42100 Reggio Emilia. Il candidato dovrà allegare alla domanda il proprio elaborato dattiloscritto in 5 copie e una dichiarazione con cui assicura di non aver ricevuto altri Premi per la ricerca che presenta al concorso, di non averla già pubblicata o in corso di pubblicazione, né integralmente né parzialmente. La cultura austriaca èquest’anno al centro degli interessi di approfondimento della CASA ZOIOSA. In collaborazione con il Consolato Generale d’Austria, sono infatti in programma un ciclo di tre lezioni con il professor Walter Zettl sull’opera di Robert Musil; la lezione di Rudolf Haller, dell’Università di Graz dal titolo “La filosofia dell’empirismo logico: una rivalutazione”; la conferenza di Walter Poduschka sulla figura dell’etologo Konrad Lorenz. Per quanto riguarda i cicli di lezioni sono in programma la seconda parte del corso: L’eredità che il pensiero filosofico del nostro secolo lascia al Duemila. E’ previsto per l’aprilemaggio prossimo un ciclo di letture sul romanzo dell’ultimo secolo, a cui sono stati invitati Aldo Gargani, Carlo Sini, Rocco Ronchi, Elio Franzini, Antonio Prete, Antonello Nociti. Gli autori al centro della riflessione saranno Dostoevskij, Proust, Joyce, Bernard, Mann e Kafka. In ambito filosofico sono programmati una lezione con Emanuele Severino, dal titolo: L’uomo e la gioia; quattro lezioni con Francesco Moiso sul tema della Filosofia della natura tra Rousseau e Nietzsche e il corso di estetica di Elio Franzini, dal titolo Le parole dell’arte sul rapporto tra l’opera d’arte e la riflessione sull’arte stessa. Giuseppe Rizzardi, docente di teologia, approfondirà in tre incontri il tema della spiritualità nella religione induista, buddhista e islamica. John Cottingham, Robert Stoothoff e Dugald Murdoch hanno dato seguito all’edizione di successo in due volumi dei Philosophical writings (1984) di CARTESIO con un volume finale, The philosophical writings, volume three: The correspondence (Gli scritti filosofici, volume terzo: la corrispondenza, trad. ingl. di John Cottingham et al, Cambridge University Press, Cambridge 1991), dedicato alla corrispondenza che tenne il filosofo, tradotta dall’originale latino e francese. Mentre i due precedenti volumi erano delle integrali nuove traduzioni, questo incorpora le traduzioni di un centinaio di lettere seguite da Anthony Kenny (Descartes: philosophical letters, 1970), a cui sono state aggiunte altre 106 lettere mai precedentemente tradotte. Poco dopo aver compiuto il settantatreesimo anno di età si è spento a Strasburgo ABRAHAM MOLES. Dopo avere studiato fisica, filosofia e psicologia alla Sorbona, Moles insegnò in numerose università e istituti superiori, tra cui, dal 1960 al 1969, la Hochschule für Gestaltung di Ulm; negli ultimi anni, prima di diventare professore emerito, fu direttore dell’istituto di psicologia sociale nell’università Louis Pasteur di Strasburgo e docente a Parigi presso l’istituto di fonetica. Fisico convertito alla cibernetica e alla sociologia, Moles è considerato, assieme a Max Bense, il principale esponente dell’estetica informazionale, cioè di quell’orientamento che intende costruire l’estetica in maniera rigorosamente matematizzata avvalendosi dei contributi della teoria dell’informazione. In opere dedicate a problemi della teoria dell’informazione, della comunicazione, dei media e della cultura, così come alla musica sperimentale, all’estetica e alla teoria dell’arte, Moles ha sviluppato una concezione per cui la “bellezza” non è altro che un valore “informativo”; ruolo dell’artista è quello di soddisfare il bisogno di variare e combinare in maniera sempre rinnovata l’insieme delle opere d’arte storicamente disponibili. Poco prima del suo ottantesimo compleanno, FRIEDRICH KAULBACH è morto. Il suo influsso sul pensiero filosofico contemporaneo proviene in particolare dalla sua interpretazione di Kant, a cui appartengono “parole chiave” come quelle di “prospettiva” e di “punto di vista”. Rispetto all’odierna attualità, al limite della moda, di cui sembra godere il prospettivismo, la posizione di Kaulbach e la sua ripresa di motivi kantiani risulta incomparabilmente sobria e pragmatica. Un’altra figura di filosofo, da cui Kaulbach ha saputo trarre particolari spunti e motivi di riflessione, è Nietzsche, che da questa interpretazione esce addomesticato dal pensiero kantiano. CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Heidegger e il linguaggio Organizzato dall’Associazione culturale italo-tedesca e dall’Istituto di Filosofia della Facoltà di Lettere e Filosofia di Messina, si è svolto nei giorni 2 e 3 aprile 1992 a Messina un Seminario di studi sul pensiero di Martin Heidegger. Il tema segnalato nel titolo: Il cammino verso la parola, ha inteso indicare nel linguaggio quella questione che il domandare heideggeriano, soprattutto dopo Essere e tempo, si è maggiormente sforzato di interrogare. A conclusione del convegno, che ha visto relazioni di C. Sini, M. Ruggenini, C. Resta e V. Vitiello, si è svolta una “tavola rotonda” in occasione della pubblicazione del volume di M. Ruggenini, I fenomeni e le parole. La verità finita dell’ermeneutica (Marietti, Genova 1992), alla quale ha preso parte, oltre ai relatori, anche E. Lisciani-Petrini. «Che cosa è degno di essere pensato in un seminario dedicato a Heidegger?». Così Carlo Sini ha esordito aprendo il seminario, rilevando subito come questa domanda appaia pretenziosa. Dire infatti «ciò che è degno di essere pensato» significa che non tutto ha la dignità del pensiero, che qualcosa ne resta escluso, appunto perché “non degno”. Nel caso di Heidegger, ciò che è degno di essere domandato è propriamente il linguaggio, dove riflettere sul linguaggio significa pervenire a parlare del linguaggio. Heidegger dice che il linguaggio è “la casa dell’Essere” e - ancora - che è la parola a conferire la presenza (l’essere) alla cosa; ma aggiunge anche che la parola, il dire, non ha Essere. Siamo così nel paradosso in quanto, se la parola è “la casa dell’Essere” e l’uomo ha la dimora nella parola, ma la parola non ha Essere, l’uomo allora ha nella parola una “non dimora”, una “dimora sbarrata”: l’uomo infatti abita nella “differenza” già da sempre differita dal linguaggio. Questa differenza tuttavia non si può pensare poiché, quando la pensiamo, siamo già nell’esercizio della differenza stessa. Si rende allora necessario risalire all’origine remota della reciproca appartenenza di poetare e pensare, all’ “iscrizione poietica” che li precede e li articola, perché solo nell’originario atto di scrittura è possibile comprendere ciò che del linguaggio resta taciuto, nascosto e inavvertito. Nella prospettiva di Mario Ruggenini l’elaborazione heideggeriana della problematica del linguaggio prende le mosse dall’incontro degli anni ’30 di Heidegger con la poesia di Hölderlin, che gli consente di affrontare la questione della finitezza in un orizzonte non più “esistenzialistico”, ma come “finitezza dell’essere stesso”. Il linguaggio è l’elemento essenziale che dispone della più alta possibilità di essere dell’uomo: è la possibilità (Möglichkeit) stessa dell’Esserci che non appartiene all’uomo, ma che da sempre decide e mette in gioco le componenti delle differenze (Dasein, uomo-linguaggio, io-altri). E’ solo nell’orizzonte del linguaggio che gli uomini incontrano e riconoscono gli altri come “altri”, intrecciando con loro un colloquio che non è mero e quotidiano “chiacchierare”, ma “colloquio celeste”, come Hölderlin lo ha chiamato, in quanto spazio di apertura del mistero del Sacro che tiene uniti gli uomini e li fa parlare, costringendoli così a fare anche esperienza della loro finitezza. Si tratta allora per Ruggenini di pensare con Heidegger e oltre Heidegger il tema ineludibile dell’alterità, al di là di ogni forma di neo-paganesimo e di neomisticismo, ma anche contro ogni ricaduta in tematiche intersoggettivistiche. Essere nel mondo significa essere sempre in rapporto con altri a partire da Altro, in virtù cioè di un’alterità che di ciascuno di noi fa un altro per l’altro, in un colloquio sempre aperto, dal quale solo la morte può sottrarci, senza però interromperne il corso. Per Caterina Resta invece solo all’interno di una ricognizione della complessa metaforica del Weg (via, cammino) è possibile affrontare la questione del linguaggio. Per Heidegger non si tratta infatti di voler formulare una nuova filosofia del linguaggio, né di parlare di esso come oggetto di una nostra rappresentazione, ma di farne “esperienza” (Er-fahrung), nel senso del corrispondere ad un cammino lungo il quale, cogliendoci di sorpresa, si concede la “cosa” del pensiero. In tal modo ciò che sembrava solo un “cammino di pensiero” (DenkWeg) viene ora a configurarsi come un “pensiero del cammino” (Weg-Denken), dove non si guarda a metodi e procedure di sorta, ma si prosegue nel bilico di un sentiero-limite a partire dal quale ogni rapporto si mostra rischioso, ma in virtù del quale soltanto è possibile fare esperienza del darsi dell’evento della parola. Secondo Resta il pensiero del linguaggio in Heidegger - come ha ben visto Derrida - è un pensiero del filo e dell’intreccio (Geflecht), della corda e del laccio, nel quale già da sempre siamo implicati e dal quale non possiamo scioglierci. Solo all’interno dell’opacità di questo intrico nel quale siamo stretti, la “cosa” stessa rimane impigliata e per noi dicibile, finalmente ascoltata e ridetta nel giusto accordo. Attraverso un’analisi “topologica” della questione del linguaggio Vincenzo Vitiello mette a confronto Benjamin e Heidegger e, con loro, tradizione ebraico-cristiana e tradizione greca. La concezione del linguaggio in Benjamin poggia essenzialmente sulla base di due categorie: parola e nome, ovvero parola creatrice di Dio e lingua riconoscitrice dell’uomo. Una concezione, questa di Benjamin, totalmente differente da quella heideggeriana, che si presenta contraria a qualsiasi affermazione onto-teologica. Inoltre mentre Benjamin considera la lingua come phonè, suono, dando al linguaggio nominale dell’uomo carattere acustico, sonoro, Heidegger, invece, attribuirebbe alla vista la caratteristica propria del linguaggio, nel suo portare le cose a manifestarsi nella parola. Da un lato dunque il primato della lingua-suono, dall’altro invece quello della lingua-vista. Una possibile convergenza tra le due posizioni è tuttavia riscontrabile, secondo Vitiello, nel comune rifiuto della concezione strumentale della lingua come segno rinviante ad altro. L’idea strumentale del linguaggio si estende - secondo Benjamin all’intera storia dell’umanità, da quando cioè il peccato originale dello spirito linguistico ha segnato una divisione originaria (Ur-teil) sottraendo nel “giudizio” il contenuto alla parola, che così diventa segno vuoto e insignificante. Tutto questo è presente nel Trauerspiel, laddove il simbolo indica l’idea della bellezza e della totalità organica e l’allegoria, invece, la frattura, il radicale korismòs tra la creatura e il suo creatore. Ciò che resta nella scrittura corrisponde ora ad una parola frammentata, la parola-macerie, che si fa espres- CONVEGNI E SEMINARI Martin Heidegger (a destra) con Rudolf Augstein redattore di “Der Spiegel” sione della dolorosa decadenza della storia, laddove in Heidegger proprio la “nientità” della parola stessa, nel suo darsi come “niente”, permette quello spazio libero necessario per il presentarsi della cosa. Questa apparente divergenza è indice tuttavia di una possibile convergenza. Quando nella prospettiva heideggeriana - la parola si presenta come niente, e quindi come spazio vuoto perché si diano le cose, questo vuoto si caratterizza sempre come indice di altro, facendo perdere alla parola la sua originaria struttura di nientità e conducendola a decadere a cosa. Tanto in Heidegger quanto in Benjamin è dunque presente un intreccio tra negativo e positivo. Come nell’essenza della tecnica (Gestell), infatti, lampeggia l’Ereignis (Evento dell’Essere) - e ciò significa che nella materialità della tecnica è da scorgere il segno che rinvia ad altro -, così l’Angelo della storia appare come il luogo della manifestazione di Dio nella miseria radicale del totale nichilismo. Il seminario su Heidegger si è concluso con una Tavola rotonda intorno al volume di Mario Ruggenini, I fenomeni e le parole. La verità finita dell’ermeneutica. Parafrasando la paradossale espressione kantiana della “socievole insocievolezza”, Girolamo Cotroneo ha aperto i lavori segnalando nella scelta della forma saggistica del libro la “incoerente coerenza” di uno studioso nei rapporti col suo problema. Il procedere “rapsodico” del testo di Ruggenini consen- te tanto all’autore quanto ai lettori di ritornare più volte, seguendo una trama ben precisa, laddove il discorso era semplicemente accennato, oppure dove già esso preludeva alla fine, senza però ancora spiegarla. Due sono i punti-forza che Enrica Lisciani-Petrini ha voluto mettere in rilievo nel suo intervento: 1) fare i conti con il nostro “esserci” storico, reimpostando la relazione finito-infinito; 2) ripensare di conseguenza l’Evento, sottraendolo all’istanza fondamentalistica della metafisica. E’ a livello del linguaggio che Ruggenini ripensa la questione dell’alterità: il mondo si presenta come quel tessuto di parole in cui le cose si danno, ma solo perché, a sua volta, esso è dato da una struttura linguistica, silente, originaria. L’importanza del volume di Ruggenini, ha ribadito Resta, risiede appunto nel modo con cui è posta la relazione finitezza-alterità: essa è pensata come esperienza del limite, per il quale l’altro dal finito si costituisce come l’altro del finito. In gioco è in primo luogo la finitezza stessa dell’essere, finito perché de-finito dal e nel rapporto con l’uomo, attraverso la parola. In modo alquanto diverso da Gadamer, da un lato, e Habermas e Apel dall’altro, e molto più vicino a Derrida, Ruggenini sembra escludere che l’intesa e l’accordo tra gli uomini possa costituirsi come un telos, anche solo ideale. L’insistenza di Ruggenini sulla dimensio- ne interumana del parlare, del dialogare, con il rischio di perdere la radicale alterità dell’Altro è stata affrontata da Carlo Sini, in base al difficile rapporto tra il “sensibile” e il simbolo e, soprattutto, al modo in cui questo sensibile rimanda e apre lo spazio ad una risposta, ad un mondo o comunque ad una significatività. Il rischio che si corre nel ripensare l’alterità - sebbene finita e altra rispetto alla tradizione - è quello di voler assumere un nuovo statuto ontologico. Ancora sul rapporto tra alterità e finitezza è intervenuto Vincenzo Vitiello, osservando come, per Ruggenini, esse appaiono strettamente intrecciate. Il finito, infatti, proprio affermando la sua finitezza, non può non “finitizzare” anche l’altro a cui si rapporta. Per mantenere “finita” questa relazione di finito-infinito, la prima strategia è quella di riportare la relazione entro la relazione, il colloquio dentro il colloquio, affrontando la questione base della filosofia: il principium firmissimum (il principio di non-contraddizione) e la non saturabilità del termine Essere. A conclusione degli interventi, Mario Ruggenini ha ribadito che se la lettura metafisica tradizionale ha voluto trasformare l’essere nel principio di un essere assoluto, in contraddittorio, qui il tentativo è invece quello di volerlo restituire al linguaggio a cui appartiene, ponendo una necessità più fondamentale di quella del principio di non CONVEGNI E SEMINARI contraddizione, e cioè la necessità fondamentale dell’apertura linguistica del mondo dei “pragmata”, dei quali in tanto si può ragionare, dibattere, in quanto sono già sempre detti in parole. In questa prospettiva, parlare significa corrispondere, in primo luogo, all’esser chiamati in discorso da parole che dicono qualcosa, ma la cui determinazione, sfuggendoci, ci porta a richiedere nuove parole al logon didonai, nel cammino costante dell’interpretazione. Il compito dell’uomo è quello di tentare la “determinazione” nel dire qualcosa di nuovo nel colloquio, sempre inquietante e mai amorevole, degli uomini e, al contempo, quello di fare esperienza della propria finitezza, che consiste nello stare inevitabile dei parlanti tra “rivelazione” e “occultamento”. Tutto ciò conduce ad un’ ”etica del discorso” come “etica della finitezza”, di quella finitezza di cui i parlanti fanno esperienza quando, frequentando il colloquio con gli altri parlanti, scoprono che “al di là del miraggio” di un accordo possibile, esiste un’alterità che li tiene uniti e li fa parlare, sempre però in vista di un’intesa precaria e finita. Questa alterità - ha concluso Ruggenini - non è nulla di trascendente o di salvifico; essa non ci richiama altrove, ma ci fa essere nel mondo, nell’inquieto appartenergli come mortali. I.B. Il tempo e i luoghi Nel corso di un dibattito al quale hanno partecipato, oltre all’autore, Maurizio Ferraris, Umberto Galimberti, Pier Aldo Rovatti, Carlo Sini, nel mese di maggio 1992 è stata presentata, alla Sala Incontri dell’ISU di Milano, l’ultima opera di Vincenzo Vitiello, Topologia del moderno (Marietti, Genova 1992). La “topologia”, nell’intendimento dell’autore, ritiene di dover assumere la dimensione della storicità in modo così radicale da porla sotto lo sguardo prospettico della sua fine, che è poi anche la sua finalità in quanto estinzione del processo. Proprio per questo la considerazione “finale” della storia - che è poi anche quella “originaria” - non può essere “cronologia”, bensì “topologia”. Multiversum contra uninversum: è questo il tema dell’opera di Vincenzo Vitiello, che intende difendere le ragioni del multiversum proprio in forza di un’assunzione radicale dell’universum. Se si vuole dar ragione allo storicismo, all’esistenza di una finalità nella storia, occorre “finire” la storia e “farla finita” con la storia; la topologia accade in quel limite, che è l’orizzonte stesso del procedere temporale, che è il tempo stesso. Il tempo non procede, sono i fenomeni che procedono nel tempo. Topologia, non topica, dice dunque Vitiel- lo, perché ai topoi si accede mediante il logos, che è sempre un “sapere secondo”, contrariamente a quanto crede Heidegger, che ritiene possibile prospettare di esso una “dimensione originaria”. La “topologia” si identifica dunque con la filosofia, e questa con il pensiero in quanto tale; questo sovrapporsi di identificazioni è precisamente ciò che qualifica “il moderno”, cioè la “fine della storia”, come termine e finalità della prospettiva storica. In questo senso il “moderno” si colloca in una posizione duplice: da una parte è categoria storica, momento della storia, dall’altra la attraversa tutta, e la trascende fondandola. Illuminante è il ruolo che Vitiello assegna a Hegel, il filosofo “più cristiano” che esista, nel suo assumere nella forma più radicale la prospettiva storica, “inventata” dal cristianesimo. Hegel avrebbe infatti intrapreso il tentativo di «liberare il tempo dalla necessità», di rendere, cioè, quel legame fra tempo e necessità individuato da Kant e conciliare la conseguente scissione fra libertà e tempo. Quello di conciliare libertà e necessità è il tentativo “politico” che avvicina Hegel a Platone nel riportare il sapere, l’azione e la vita della comunità nella storia; tentativo che fallisce, perché la libertà, come nozione ontologica, non può essere salvaguardata che “fuori” dal tempo, o identificata con esso, ma solo come limite del processo, e la libertà del singolo atto, in quanto fenomeno che cade comunque nel tempo, può darsi solo nella sospensione, nello zwischen, “tra” sensibile e intelligibile, tra tempo e “assenza di tempo”. Se in tal senso su Hegel si allunga l’ombra di Spinoza, come sostiene Vitiello, dietro Vitiello s’intravede Gentile, laddove lo spazio per la libertà si dà nella sospensione della storia, derivante dalla sua assolutizzazione. Nel suo intervento Maurizio Ferraris ha legato il tema della filosofia della storia alla questione gnoseologica, che nell’opera di Vitiello emergerebbe, a suo parere, in modo ancor più rilevante. Dal punto di vista della filosofia della storia la posizione di Vitiello si collocherebbe all’interno del tema nietzscheano dell’eterno ritorno, come cifra della fine della storia. La libertà è il sedersi di Zarathustra sulla soglia dell’attimo, dove la storia, ormai priva di tempo, si fa “natura”: l’eterno presente del “grande meriggio”, in cui i topoi non si susseguono, ma sono compresenti. L’elemento più significativo in questa prospettiva consiste nella possibilità, con la fine della storia, di fondare una logica trascendentale, dove sia superata la contrapposizione fra la logica, universale ma astratta, e la filosofia della cultura, dominata dal relativismo; prospettiva, questa, ben diversa da quella della “topologia”, che Ferraris preferisce denominare con il termine di “topica”, proprio per sottolineare la compresenza dei topoi, e salvaguardarne l’indipendenza nei confronti del logos. La filosofia “trascendentale” così fondata è la «forma logica di una ripetizione»: da topos a topos, il percorso è quello dallo Stesso allo Stesso, passando per l’Altro, dove l’io finito, che si sa come tale, pensa l’infinito come sua proiezione, e in tal modo garantisce la propria finitezza. Tematizzare il trascendentale come forma logica della ripetizione è, però, solo il primo passo, ribatte Vitiello, corrispondente al superamento dell’empiricità del cogito; resta ancora da mostrare come l’empiricità rientri in gioco. A parere di Umberto Galimberti, proprio il caratterizzarsi della prospettiva di Vitiello come topologia, anziché come topica, è ciò che determina la sua posizione nei confronti dell’ermeneutica. Dimostrare contro quest’ultima che la storia è un topos e non il luogo che accoglie tutti i topoi, significa portare l’ermeneutica stessa a un livello di verità più alto. Per entrare in questa prospettiva occorre congedarsi dall’ebraismo e dal cristianesimo, che prevedono un tempo escatologico, un senso unidirezionale, da un inizio verso una fine; occorre tornare alla figura greca del kuklos, nella quale si riassume la prospettiva “topologica”. Lo stesso Vitiello, d’altra parte, sottolinea che è proprio la concezione escatologica del tempo “inventata” dal cristianesimo (più che quella lineare, presente già nell’ebraismo) a “creare” la prospettiva storica, individuando nel processo un momento centrale (la venuta del Messia). Alla nozione di “topologia” ha dedicato il proprio intervento Pier Aldo Rovatti. Essenza della topologia è il suo determinarsi come contra-dizione: un dire che, nel momento in cui dice, si allontana da sé, si respinge, non riesce e non può “dirsi”. La topologia è rivendicazione della ricettività dello spazio, di contro alla selettività del tempo; d’altra parte, la topologia stessa comincia con la storia, non la “comprende”, nel senso che non la supera, ma le rimane accanto “contra-dicendola”. Questo “contra-dirsi”, questo convivere della storia con la propria fine, è proprio del moderno. La topologia è superiore alla storia, perché ne segnala il problema, non perché lo risolve; la topologia si pone “dentro” e “fuori” della storia. Il suo problema è in fondo ancora il problema dell’identità, che si esprime nelle figure del processo storico; e anche questa è una “contra-dizione”, perché immanente al processo e nel contempo trascendente ad esso. Emerge qui la stessa ambiguità e doppiezza che si esprime nella “presentificazione del tempo” operata dall’eterno ritorno: il tempo si nega, ma permane come momento della propria negazione. La “contra-dizione” consiste qui nel fatto che la negazione del tempo la si può cogliere solo nel tempo; e il significato consiste nell’impossibilità di uscire dalla metafisica. L’intervento di Carlo Sini ha infine posto una domanda “fondamentale” riguardo alla nozione di “topologia”, quella del rapporto fra topologia ed ermeneutica. Sini ha sottolineato come, venendo meno il testo come “prae-testo”, venga meno la verità propria CONVEGNI E SEMINARI dell’ermeneutica. D’altra parte la topologia pretende di frequentare la questione della verità; proprio in questo consiste, a parere di Sini, il punto problematico e la difficoltà, per la topologia, di mostrare la verità cui essa mira. Cercare le essenze sotto le spoglie di forme, proporre il paradigma della morfologia contro quello della successione, rischia di far ricadere ancora nel paradigma della successione. Un secondo rilievo è stato mosso da Sini sulla questione del logos. Dichiarandosi d’accordo con Vitiello in merito alla negazione della storia, e con essa della tradizione, Sini ha sostenuto come il problema nasca appunto nel momento di giustificare questa negazione. Vitiello non ha negato questa difficoltà, che tuttavia discende dalla necessità di ricollocarsi con la propria posizione all’interno della prospettiva che si vuole sospendere. F.C. Leibniz e la questione della soggettività Presso il Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste, si è tenuto nei giorni 11-14 maggio il convegno internazionale: Leibniz e la questione della soggettività, organizzato dal Laboratorio Interdisciplinare per le Scienze Naturali e Umanistiche della SISSA, in collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Trieste, con il C.N.R., con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e con la Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Il convegno è stato il primo dopo la scomparsa di quel formidabile studioso e promotore di studi leibniziani che fu Albert Heinekamp, direttore del Leibniz-Archiv negli scorsi decenni, la cui opera è stata commemorata ad apertura del convegno da Wilhelm Totok, attuale presidente della Leibniz-Gesellschaft. Due sono stati i filoni dominanti nel dibattito. Da un lato, il tema della “soggettività” suggerito dal titolo imponeva una rivisitazione dei punti nodali della monadologia leibniziana. D’altro lato, sia la figura di Leibniz, sia il luogo stesso di svolgimento del convegno suggerivano il tema dei rapporti e dei possibili momenti di complementarietà tra dimensione filosofica e scientifica. In questa direzione andava già il saluto agli intervenuti di Paolo Budinich, a nome del Laboratorio Interdisciplinare per le Scienze Naturali e Umanistiche. Il tema è stato però ampiamente ripreso da George F. R. Ellis, che partendo dalla discussione del cosiddetto “principio antropico” e delle sue applicazioni, ha sostenuto, anche alla luce della forte integrazione tra filosofia e metodo scientifico, presente in Leibniz, che ricerca scientifica e filosofia debbono riconnettersi di fronte a quei quesiti di ordine cosmologico, esistenziale, etico, che troverebbero altrimenti risposta soltanto nelle correnti antirazionalistiche oggi già presenti nel senso comune. A provarlo basterebbero gli interventi di Michel Fichant, dedicati appunto alla fase di costituzione di questa “nuova scienza”, nonché quello di Paolo Zellini sullo specifico approccio di Leibniz al concetto di numero, tema decisivo per comprendere i sottintesi teorici che sono alla base del calcolo infinitesimale nella versione leibniziana. Quanto alla “soggettività”, la conferenza di apertura di Konrad Cramer ha riattraversato il nodo della distinzione leibniziana tra “percezione” e “appercezione” alla luce delle domande della filosofia contemporanea sui limiti e le potenzialità dell’autocoscienza. Mentre sui rapporti tra ontologia e logica si è pronunciato Massimo Mugnai, con un intervento dedicato alla questione delle relazioni, uno dei temi più discussi a partire dalla Critical Exposition of the Philosophy of Leibniz di Bertrand Russel. Mugnai ha rilevato come le proposte leibniziane di formalizzazione logica degli asserti che esprimono relazioni (come “Paride ama Elena”) non mirino all’eliminazione della relazione, ma piuttosto ad una diversa espressione di essa. Di qui il loro accordo con un’ontologia che riduce le relazioni tra più individui (intermonadiche) ad astrazioni derivanti dalla simultanea considerazione degli accidenti di sostanze diverse, e che però ammette relazioni intra-monadiche, dato che ogni monade rispecchia l’intero universo. All’immagine della monade come “specchio dell’universo” si sono ricollegate poi altre due discussioni. Quella di Fabrizio Mondadori ne ha esaminato soprattutto l’aporia, per cui il mondo potrebbe constare anche soltanto di me e di Dio, ovvero potrebbero darsi mondi contenenti un solo individuo. Quintin Racionero invece, valorizzando la compresenza della dimensione della “sostanzialità” e della “soggettività” nella dottrina leibniziana dell’individuo, ha collegato l’immagine dello specchio dell’universo con quegli elementi del discorso leibniziano che sfuggono ad un’interpretazione strettamente “panlogistica”. Diversamente si è sviluppato l’intervento di André Robinet, che ponendo la stessa soluzione monadologica all’interno di quella “architettonica disgiuntiva” tra riduzione fenomenistica dei corpi e rifondazione della corporeità in termini di vinculum substantiale del Leibniz maturo, ha contestato l’immagine di un Leibniz tutto interno alla dimensione della soggettività. A queste riconsiderazioni dei nodi centrali della filosofia monadologica si sono affiancati altri percorsi di riflessione non meno significativi. Partendo dagli scritti etici giovanili del filosofo, Francesco Piro ha segnalato le loro linee di rottura e quelle (più problematiche) di continuità rispetto alla tradizione della philosophia practica di impianto aristotelico. Al rapporto tra razionalità e affettività nell’antropologia leibniziana della piena maturità doveva essere dedicato l’intervento di Antonio Lamarra, che non ha potuto aver luogo per un incidente occorso al relatore. Nell’intervento di Kiyoshi Sakai è invece emerso il tema dei rapporti tra filosofia occidentale ed orientale, ripercorrendo la vicenda della ricezione della filosofia leibniziana nel Giappone contemporaneo. Altro filone di dibattito è stato quello degli aspetti onto-teologici del pensiero di Leibniz in rapporto al divenire della Modernità. Mario Ruggenini, partendo dalla celebre domanda leibniziana «perché esiste qualcosa e non piuttosto il nulla?», vi ha visto l’emergere di una “semantica ontologiconichilista”, originata dal creazionismo di matrice cristiana, attraverso la quale l’essente viene posto sotto il segno della negatività e della bisognosità di una giustificazione esterna. Carlo Sini ha discusso della figura di Spinoza come inquietante “ombra” ambiguamente presente nel percorso teoretico del filosofo tedesco. Infine, l’altro grande nodo del rapporto Leibniz-Kant è stato discusso, sotto diversi aspetti, da Kalus-Erich Kaehler e Vincenzo Vitiello. Il primo ha esaminato le diverse risposte che Leibniz e Kant danno sull’unità e sulla finitezza del soggetto umano. Vitiello ha invece confrontato la difesa leibniziana e la critica kantiana dell’argomento cosiddetto “ontologico” (o, come specifica Vitiello, “ontologico”) a favore dell’esistenza di Dio. In entrambi i casi, sebbene per diverse ragioni, ne esce radicalmente ridiscussa l’immagine di un Kant che porta a compimento la Modernità, sbaragliando le astrattezze metafisiche di Leibniz, mentre si fa sempre più avanti una considerazione “topologica” del Moderno stesso e delle questioni che vi si pongono, in cui Leibniz e i temi da lui sollevati giocano un ruolo diversificante rispetto ai compiti del pensiero contemporaneo. Oltre ai relatori, hanno partecipato ai lavori Renato Cristin, Guido Zingari, Bianca Maria Cuomo d’Ippolito, Gino Roncaglia, Enrico Pasini, per citarne solo alcuni. Seminari fenomenologici Organizzato dal Dipartimento di Scienze filosofiche dell’Università di Bari, si è svolto un ciclo di tre seminari fenomenologici: il primo è stato tenuto da Giuseppe Semerari, il 7 aprile 1992, sul tema: I §§ 22-28, 59 e 61 di Idee II; il secondo da Ferruccio De Natale, il 28 aprile, su Enigmi e paradossi a partire dal § 2 della ‘Crisi delle scienze europee’; il terzo da Nicola Massimo De Feo, il 5 maggio, su Essere e Tempo in Heidegger. La relazione di Giuseppe Semerari ha CONVEGNI E SEMINARI riguardato i §§ 22-28, 59 e 61, dell’opera di Edmund Husserl, Idee II, con l’intento di approfondire quattro temi fondamentali: “La desostanzializzazione dell’Io” (§§ 24, 25 e 59); “La individuazione e la molteplicità dell’Io puro” (§§ 22-27-28); “La struttura temporale dell’io: il gioco di occultamento e di manifestazione dell’io” (§§ 2223); “Considerazioni dell’io attivo e passivo” (§§ 22-26-61). Per quanto riguarda il primo tema, Semerari ha osservato che in Idee II il soggetto che si desostanzializza - o si destruttura - è proprio quello della tradizione trascendentalista, universalistica, per la quale il Soggetto non coincide con nessuno dei soggetti. L’ “Io posso” husserliano oppone a questa tradizione un’interpretazione prassistica del Cogito. La desostanzializzazione operata dall’ “Io posso” husserliano consiste nella trasformazione dell’Io puro, inteso come sostanza, in un Io puro come centro di funzioni. Per quanto concerne il secondo tema Semerari ha richiamato l’attenzione in modo particolare sul § 27 di Idee II: «Esistono tanti Io puri quanti sono gli Io reali». Semerari ha sottolineato la molteplicità degli Io puri: ogni Io reale ha in sé un Io ideale. L’Io puro è dunque una delle fonti di costituzione dell’Io reale; l’altra è l’intersoggettività, alla cui tematizzazione è dedicato il § 28. Semerari ha evidenziato come l’unità dell’Io puro sia, in ultima istanza, un processo di unificazione. La trattazione del terzo tema ha portato Semerari a osservare che l’Io ha una struttura temporale, non è qualcosa di amorfo. L’Io puro e l’Io ideale sono vita vissuta secondo le scansioni della temporalità. Il gioco di occultamento e di manifestazione dell’Io riguarda la possibilità dell’Io di essere o meno attuale, di essere o meno desto. Ciò apre al quarto tema, a proposito del quale Semerari ha sottolineato come la fenomenologia husserliana si sviluppi tra Hintergrund (sfondo) e Untergrund (base di fondo). Del § 26 è stata evidenziata la “funzione illuminante” dell’Io; questa “funzione illuminante” è lo sguardo attento dell’Io. Ma come non c’è pura luce, che non abbia l’oscurità per suo sfondo, così non c’è attenzione senza distrazione. La passività è il fondo dell’attività. Alla luce di tutte queste considerazioni, Semerari ha infine avanzato un’ipotesi ancora interamente da sviluppare, per la quale, in relazione al suo carattere di produttività e alla sua stessa trascendentalità, l’Io puro husserliano può essere posto in analogia con il concetto heideggeriano dell’essere. Il seminario di Ferruccio De Natale, ha inteso collegare il § 2 e i §§ 51-52-53 dell’ultima opera di Husserl, la Crisi delle scienze europee, individuandone “enigmi e paradossi”. L’enigma del soggetto concerne la sua reificazione operata dal positivismo scientifico («Le mere scienze di fatto, creano uomini di fatto»), che riduce il mondo ad un mondo di cose (enigma del Edmund Husserl mondo). Il tema del mondo, comparso già nella V Meditazione Cartesiana, viene semantizzato nella Crisi come Lebenswelt (mondo della vita), mondo a partire da cui acquistano senso tutte le operazioni scientifiche. L’enigma del mondo sembra risolversi, pertanto, con il recupero della Lebenswelt. De Natale ha fatto riferimento, in proposito, alla lettura materialistica della Crisi, sviluppatasi in Italia intorno agli anni ’60’70, mettendo tuttavia in evidenza la necessità di non fermarsi ad un livello di lettura della Lebenswelt che ne valorizzi esclusivamente gli aspetti “emancipativi” o “eversivi”. Se «mondi della vita si danno solo al plurale» (secondo l’espressione di F. Fell- mann), nel § 51 si avanza invece l’esigenza di individuare la struttura di ogni possibile Lebenswelt. Husserl viene così a configurarsi, a sua volta, come un Galileo della Lebenswelt: occulta la contingenza, la molteplicità, congela quello slancio di disoccultamento emancipativo che la sua stessa scoperta della Lebenswelt comporta. Ma è proprio nel momento in cui Husserl sottolinea il carattere radicale costitutivo della soggettività trascendentale che si determina una serie di paradossi o “difficoltà” delineati nel § 52: 1) il contrasto tra una verità soggettiva e una oggettiva, risolto da Husserl facendo della verità un correlato soggettivo; 2) la possibilità di cogliere la Lebenswelt mediante l’epoché e il disinte- CONVEGNI E SEMINARI resse che metodologicamente l’epoché comporta - paradosso che Husserl utilizza per ribadire come l’interesse del fenomenologo sia quello del disoccultamento del mondo, dell’emergenza di esso come “polistema della soggettività trascendentale”; 3) la difficoltà di una descrizione del fluire eracliteo dei vissuti - difficoltà che riguarda esclusivamente chi permane nella mentalità scientifico-positiva. E’ il § 53 quello che sancisce il paradosso definitivo. De Natale ha sottolineato l’oscurità di questo paragrafo, già evidenziata da Enzo Paci nel 1963 e da Pieraldo Rovatti in L’esercizio del silenzio. La fondazione di una scientificità positiva presuppone un’autofondazione, che si basi sulla verità intesa come risultante dell’intersoggettività universale; quest’ultima è una parte del mondo. Il paradosso riguarda la possibilità per una struttura parziale del mondo di costituire l’intero mondo. L’elemento soggettivo (una parte del mondo) inghiotte l’intero mondo. Il cammino di Husserl è parso un “cammino interrotto”: partiti da un’immagine del mondo come congerie di fatti opprimenti (§ 2) si giunge ad una sorta di “evaporazione” del mondo; da una perdita della soggettività si perviene ad una ipertrofia della soggettività. Nell’ultimo incontro Nicola Massimo De Feo ha proposto una lettura dell’ontologia heideggeriana intesa come radicalizzazione della fenomenologia husserliana, indicando come luogo del confronto tra Husserl e Heidegger Le lezioni di Marburgo del 1925 di Heidegger, il cui nucleo centrale consiste nella problematizzazione del metodo fenomenologico husserliano. In un’epoca caratterizzata dalla rinascita della metafisica, delle metafisiche, intese come espressione della crisi della scienza, Heidegger individua il terreno d’indagine della crisi delle scienze non nel divorzio tra scienza pura e sua organizzazione, ma nel campo delle “cose stesse”. In tale prospettiva la fenomenologia husserliana rappresenta l’unico indirizzo di pensiero che apre il varco verso le “cose stesse”. La cosa stessa diviene l’essere. Husserl rimane coscienzialista per Heidegger, in quanto è rimasto chiuso in quella tradizione di approccio che, almeno da Cartesio, ha frapposto nella comprensione dell’essere la coscienza. Nelle Lezioni del ‘25 l’essere delle cose è strettamente legato all’esserci umano, ma l’uomo (contrasto Husserl-Heidegger per la formulazione della voce “Fenomenologia” per l’Enciclopedia Britannica) non può essere ridotto a soggettività trascendentale, è, invece, una soggettività esistenziale, una totalità concreta; il “carne e ossa” husserliano rimanda ad una esperienza puramente percettiva della cosa stessa. La fenomenologia, per Heidegger, deve guardare la cosa stessa nel suo manifestarsi. Ma la riformulazione dell’essere delle cose si delinea individuando nel tempo la sua struttura di pensabilità. L’essere stesso viene dopo il tempo; il tempo non è, tempora- lizza. Anche per quanto concerne l’elaborazione del tempo è stato evidenziato il limite coscienzialista, comune a tutta la tradizione occidentale, di Husserl. Le lezioni del ‘25 di Heidegger delineano i tre momenti di quel metodo fenomenologico che ormai è divenuto l’approccio dell’ontologia: 1) riduzione ontologica; 2) costruzione; 3) distruzione. L’ultima parte del seminario ha posto l’attenzione sulla diversità del porsi della Seinfrage (domanda sull’essere) nel secondo Heidegger. L’enigma dell’essere diviene un’esperienza storica. E’ stata sollevata anche la possibilità di considerare l’esperienza della Gelassnheit (rilassamento), del lasciar-essere, come un’esperienza an-archica, come la possibilità di lasciare aperti nuovi spazi emergenti. In tale prospettiva, è stato avanzato un accostamento tra il pensiero foucaultiano e quello heideggeriano. F.R.C. Attualità dello storicismo Nell’ambito dei seminari della rivista “Studi e Ricerche” (Nuova Serie), organo dell’Istituto di Filosofia e Storia della filosofia della Facoltà di Magistero di Bari, su iniziativa del Direttore della rivista medesima, Davide Bigalli, si è tenuta il 14 aprile 1992, nel palazzo dell’Ateneo di Bari, una tavola rotonda dal titolo: Attualità dello storicismo, in occasione della presentazione del volume di Fulvio Tessitore, Lo Storicismo (Introduzione a, Laterza, Roma-Bari 1991), cui hanno partecipato, oltre all’autore, lo stesso Davide Bigalli, Mario Agrimi e Enrico Rambaldi. Del libro in discussione, che coniugando magistralmente acribia filologica e limpida discorsività ripercorre i due secoli di sviluppo dello storicismo - dalle sue origini settecentesche sino ai suoi esiti nel Novecento, con F. Meinecke -, ciascuno dei relatori ha sottolineato aspetti fecondi o lamentato “assenze” e prospettato ulteriori direzioni di approfondimento, a seconda dei propri campi di interesse e della propria formazione e sensibilità scientifica. Così Davide Bigalli ha incentrato l’attenzione su quello che, nel testo di Fulvio Tessitore, è indicato come lo “storicismo degli storici” (da B. G. Niebuhr a L. v. Ranke, a J. G. Droysen), ponendo ed elaborando la questione se e fino a che punto possa accostarsi a questa particolare “forma” dello storicismo la Scuola delle Annales e la storiografia di lingua francese. Mario Agrimi ha invece posto in rilievo come in forza delle analisi di Tessitore risulti superata la consolidata immagine dello storicismo tedesco contemporaneo tutto rinchiuso nel problema della comprensione della storia e assiologicamente “neutrale”: c’è, piuttosto, da parlare di un’ “etica dello storicismo”, che si evince sia dal tema della responsabilità e della decisione in un contesto di libertà per -, nella e dalla storia, sia dal confluire dello storicismo in quelle tematiche esistenziali “alla” Meinecke, sulla cui illustrazione si chiude, per l’appunto, il volume di Tessitore. E se ad Agrimi è parsa rilevante l’assenza di Marx (e di Vico) nella trattazione di Tessitore, questa stessa “assenza” è parsa comprensibile a Enrico Rambaldi per il quale Marx va oggi letto come storico robustissimo e non come storicista. Rambaldi, a partire dalle analisi contenute nel libro in esame, ha mostrato come tra uno storicismo tutto teso a comprendere la storia in se stessa e uno storicismo che della storia vuol capire la struttura soggiacente occorra porsi il problema della storia in modo radicalmente diverso. Se, infatti, al primo tipo di storicismo (che noi potremmo dire “conoscitivistico”) si è spesso accompagnato “pessimismo” circa la possibilità di trasformare la realtà, al secondo tipo, sin dalle sue origini hegeliane e marxiane, si è accompagnato un “ottimismo” che ha acconsentito alla coercizione in nome della nobiltà del “fine” da raggiungere: di qui l’esigenza, per Rambaldi, di porre il problema della storia in modo da escludere l’ “ottimismo”, ma non la possibilità della critica dell’esistente, in vista della sua trasformazione. Nella sua replica conclusiva, Fulvio Tessitore ha, tra l’altro, ribadito come dello “storicismo” siano possibili molteplici interpretazioni, al punto da potersi parlare di “storicismi” al plurale: proprio questa possibilità, che è segno incontrovertibile della vitalità dei problemi dello storicismo, chiarifica, a nostro avviso, l’intitolazione che si è voluta, sapientemente, dare a questo fecondo incontro di studio. F.D.N. Antropologia filosofica del Novecento Il seminario tenuto dal 4 all’8 maggio 1992 da Jan Sperna Weiland, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, ha preso in esame i Maestri dell’antropologia filosofica del Novecento, individuando il pensiero di alcuni di quegli autori le cui opere hanno spesso oltrepassato i confini tra filosofia e letteratura, offrendo in maniera esplicita e pregnante le immagini dell’uomo che hanno segnato il nostro secolo. L’analisi di Jan Sperna Weiland è partita da Nietzsche, filosofo che ha determinato una svolta imprescindibile nel pensiero contemporaneo, proponendo concetti come “Morte di Dio” e “Volontà di potenza” che hanno rovesciato l’immagine del pensiero classico, segnalando una condizione teori- CONVEGNI E SEMINARI ca ed esistenziale che reclama la trasmutazione dei valori e l’immanenza del corpo vivente, privato di ogni trascendenza. I principi della morale e della fede vacillano di fronte alla “Volontà di potenza”, forza intensiva, impersonale, dionisiaca che toglie ogni centralità alla ragione fondata nella morale, spingendo l’uomo verso il proprio destino, che è il gioco “gaio” ed affermativo della vita, in cui l’esistenza non si dà mai in modo definitivo secondo una propria razionalità, ma è travolta tragicamente dalla potenza irriconducibile del patico e dell’alogico. Anche Jaspers, ha fatto notare Sperna Weiland, è stato sicuramente suggestionato dalla presenza di Nietzsche; anche per lui l’esistenza non si dà mai in modo definitivo: è esistenza possibile. L’esperienza dell’insufficienza, che ne sta alla base, determina quello slancio dell’uomo verso l’opacità di una vita intangibile, altra, che si annuncia nella realtà senza poter essere esplicata. Nell’esistenza siamo esposti al naufragio per il fatto di fallire ogni compiutezza, e nello stesso tempo siamo chiamati ad una trascendenza che si annuncia proprio in questa insufficienza della ragione di rendere l’esistenza oggetto di una ricerca scientifica. Molto vicine alle tematiche di Jaspers sono le riflessioni di Marcel, per il quale l’uomo è esistenza possibile, e in questo mondo del possibile può perdersi o agire creativamente. Sebbene sia in questo esclusa l’esperienza ineluttabile del naufragio indicata da Jaspers, anche per Marcel può tuttavia esserci una risposta scientifica per la ricerca filosofica sull’esistenza. La filosofia si origina dal rapporto con l’uomo come essere concreto e storico. Marcel si richiama qui al concetto nietzscheano di “Morte di Dio”: l’uomo contemporaneo appartiene ad un mondo infranto dall’assenza dei valori, in cui l’avere ha sostituito l’essere, e un pensiero calcolante ha disperso le tracce della riflessione autentica. Tuttavia l’esigenza insopprimibile di trascendenza presente nell’uomo continua a spingere il pensiero verso una riflessione sull’essere dimenticato. Per Sartre invece, fa notare Sperna Weiland, non c’è una interiorità misteriosa opposta all’esteriorità, non c’è dualismo di Essere e apparire. L’Essere è l’essere degli enti; pertanto non c’è un essere in sé, ma l’essere per sé della libertà umana. La libertà si muove all’interno della necessità di situazioni date, entro le quali si agisce mediante scelte responsabili e la capacità di negare ogni decisione è negazione. La libertà umana presuppone l’esistenza di soggetti liberi; l’incontro con altri soggetti permette l’integrazione dell’essere in sé nell’essere per sé, il passaggio dalla trascendenza al mondo reale storico. La domanda che accompagna Sartre riguarda allora il come vivere umanamente dopo la “Morte di Dio”. Anche Camus è estremamente vicino a queste problematiche, riconoscendo nel- l’assurdo l’elemento fondamentale della mancanza di senso e di scopo della vita. Ma l’esperienza dell’assurdità non lo porta ad un nichilismo radicale di negazione assoluta; per Camus l’esistenza è affrontare la vita e la morte senza illusioni, ma con forza e perseveranza. L’uomo assurdo è l’uomo in rivolta che afferma la vita e la gioia elementare della vita stessa. A.C. Pensiero spagnolo contemporaneo Nella sede dell’Istituto Italiano per gli studi Filosofici di Napoli si è svolto dal 16 al 20 Dicembre un ciclo di seminari dal titolo: Pensamiento Español contemporaneo, a cui hanno partecipato, in un proficuo confronto di idee, studiosi italiani e spagnoli, tra cui R. Bodei, F. Jarauta, M. Cacciari, F. Savater, G. Marramao, J. I. Linazasoro, prendendo in considerazione diverse forme di sapere: Filosofia, Architettura, Storia dell’Arte e Pittura. Riferendosi all’opera di A. Castro, Francisco Jarauta ha sottolineato come vi sia una difficoltà intrinseca, dal punto di vista filosofico, ad analizzare la situazione storica del pensiero spagnolo. Per definire le componenti strutturali della cultura spagnola, Castro individua come momento essenziale la fine del sec. XV, dove è possibile identificare quella triade di “forze simmetriche” della cultura araba, ebraica e cristiana, che sta alla radice del pensiero spagnolo contemporaneo. Il processo storico della cultura del XV sec. mette in evidenza come per la Spagna il modello imperiale non abbia permesso di creare uno sviluppo culturale. Come ha osservato Jarauta, l’unica risposta del progetto culturale spagnolo a questa situazione si riassume nell’affermazione di Castro: «la cultura è dare forma all’esperienza». In tal senso Castro mostra come nell’esperienza “mistica” spagnola il processo di omologazione della verità si esprima come vissuto culturale e sia da analizzare come sintesi di contenuti politici e morali. La non univocità del modello culturale mistico è dunque da ascrivere a quel “discorso sul mondo”, che attraverso la scomposizione del tempo dell’esperienza, ne distrugge la rappresentazione unidimensionale e unidirezionale. Sviluppando le osservazioni di Castro sulla “verità degli estremi” della cultura spagnola, Jarauta individua nel rapporto dottrinamodello culturale la rottura nei confronti del modello occidentale. La mistica è dunque nell’analisi di Castro, ma anche in quella di Zambrano, il punto di intersezione dove la soggettività si proietta nel più complesso dell’organizzazione culturale, così fortemente vissuto nell’esperienza spagnola. In tale direzione, ha sottolineato Jarauta, si muove l’analisi di Ortega Y Gasset, che sul confine del processo di analisi del mistico rintraccia gli elementi originari dell’impianto letterario del Chisciotte di Cervantes, che gli studi di Castro, Zambrano e dello stesso Ortega Y Gasset hanno problematizzato nel senso di una teoria generale dell’esperienza, a cui si connette anche un complesso e articolato processo di semantizzazione, così fortemente individuato da autori come Borges e Barthes. L’analisi del testo del Chisciotte rivela quel gioco linguistico che, rompendo con i modelli univoci della “rappresentazione del testo”, mette in evidenza lo spessore innovativo della creazione letteraria spagnola. Il Chisciotte si rivela modello letterario dell’immaginario, modello che nell’opera di Borges si problematizza come progettoorganizzazione della biblioteca del Chisciotte. La follia del Chisciotte, ha proseguito Jarauta, è infatti il tentativo di un nuovo modello del discorso, che facendo a meno di forme progressive della razionalità, sottolinea la drammaticità e la inverosimile possibilità, insita nell’esperienza dell’uomo, di un nuovo progetto storico-critico. Abitare l’immaginario, introdursi alla follia, è immagine letteraria, visione problematica del mondo. Nella saggia follia del Chisciotte è il segno che irrompe tra il forzato e univoco significato del piano della letteratura, e quello della scrittura. In tal senso possiamo dire che Cervantes problematizza il processo descrittivo-razionale dell’espressione culturale in rapporto al processo interpretativo di una teoria generale dell’esperienza soggettiva. Il dibattito è proseguito con l’intervento di Giacomo Marramao, che ha sottolineato come nella cultura spagnola, e in quella italiana, fossero rintracciabili, attraverso il processo storico della Controriforma, quei modelli di riferimento che si rintracciano nei diversi esiti culturali. In Spagna la Controriforma è stata violenta dal punto di vista etico-politico, fino a produrre una scissione opposta e simmetrica alla scissione prodottasi con la riforma protestante. E’ qui che si può rintracciare quel carattere tragico della filosofia spagnola che si discosta dal modello della filosofia italiana. In Italia la Controriforma si sviluppa infatti non nel senso tragico di quella spagnola, ma in quello di un modello di mediazione. Marramao ha rilevato come tuttavia siano determinanti gli elementi che accomunano la filosofia italiana e quella spagnola, intendendo la filosofia come quella prospettiva poliedrica e molteplice i cui esiti sono rintracciabili nei diversi ambiti del sapere. Riprendendo il tema della modernità spagnola, Marramao ha ricordato come in Maimonide, il più importante filosofo ebreo del medioevo, sia presente il tema della “differenza ontologica”. E’ soprattutto in questi filosofi, e più precisamente in questi teologi, che è possibile ripercorrere, sulla base del tema centrale della differenza ontologica, quell’aspetto teorico che più tardi Heidegger porrà al centro della propria CONVEGNI E SEMINARI Joseph Fuchs, L'Eden (1961), Musée des Arts Décoratifs di Parigi CONVEGNI E SEMINARI riflessione. Heidegger infatti, secondo Marramao, delinea il continuum della differenza ontologica, nella cesura tra Essere e Ente, “scolasticamente” intesa. Marramao si è infine ricollegato alla problematizzazione del labile confine tra Realtà e Immaginario, osservando come la dimensione letteraria e filosofica tra realtà e immaginario della cultura spagnola sia ricollegabile al tema di un universo visto come complesso segnico, ciò che Jarauta aveva definito nella cultura spagnola come processo di semantizzazione. R.L. Le vie dell’Estetica Organizzato da Luisa Bonesio, docente di Estetica presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pavia, in collaborazione con il Collegio universitario Ghislieri, il terzo ciclo di conferenze seminariali: Le Vie dell’Estetica, intendeva proporre una considerazione, più che dell’Estetica come disciplina settoriale del filosofico, delle sue frontiere, dei confini in cui essa si apre e si confronta con altre tradizioni di pensiero, oppure, all’interno della configurazione occidentale dei saperi filosofici, una considerazione di quelle posizioni che riconducono le tematiche estetiche alla speculazione filosofico-teoretica tout court. Insomma, la proposta di quest’anno era quella di osservare lo sfumare dei contorni, peraltro assai incerti, di questo ambito del filosofico, anche per sottrarre le sue tematiche alla configurazione talvolta un poco riduttiva di un’Estetica interpretata come provincia della filosofia o campo di incontro-scontro delle scienze umane. L’intervento di apertura è stato quello di Caterina Resta, con una relazione su “Heidegger e l’estetica: per un pensiero dell’inapparente” (12 febbraio 1992). Secondo Heidegger l’Estetica, avendo assunto il modello cartesiano, pone anche la creazione artistica come “oggetto” prodotto da un “soggetto”, anche se il “modo” di questo conoscere è colto non attraverso il cogito, ma attraverso un Erlebnis, un’esperienza vissuta. Ma poiché entrambi i modi della conoscenza si fondano sulla separazione tra soggetto e oggetto, in realtà sono profondamente solidali e destinano l’Estetica - come in modo esemplare accade con Hegel - a rappresentare solo l’altra faccia, e non una vera alternativa della metafisica occidentale, riconfermando l’inaugurale separazione tra sensibile e intelligibile. Dopo aver seguito le tappe più importanti della decostruzione heideggeriana, dall’esperienza greca della bellezza, alla svolta decisiva di Platone, fino a Hegel, Resta ha tentato di indicare come l’insistenza dell’ultimo Heidegger sui temi dell’En- tzug, del sottrarsi, ritrarsi, nascondersi dell’essere, del suo necessario venir meno come “movimento” essenziale di apertura, forse preludono a un’esperienza della bellezza rimasta sconosciuta ai Greci: per loro la bellezza consisteva nell’ ”apparire” dell’ente; a noi non rimane che quella, non meno essenziale, del suo tornare nell’ ”inapparente”. A sua volta Giorgio Franck, nella sua conferenza: “La crisi della distanza: un problema dell’estetica moderna” (19 marzo 1992), ha gettato uno sguardo critico su uno dei tratti caratterizzanti dell’esperienza estetica della modernità, la perdita di quella distanza che costituiva la regolamentazione simbolica di accesso all’icona, sia in quanto, propriamente, parte di un rituale sacro, sia in quanto oggetto dotato di un valore artistico. A partire dalla classica analisi benjaminiana della caduta dell’aura, Franck ha mostrato come, assieme alla distanza, vada perduta quella funzione di soglia e articolazione di spazi diversi, che l’arte assicurava in tempi passati: luogo esemplare in cui osservare questo fenomeno è l’opera di Baudelaire, in cui sia le tecniche della scrittura (l’allegoria), che gli espedienti di ampliamento della coscienza (le droghe), concorrono all’ottenimento di un unico piano comune a io e oggetti. Si tratta della perdita della scrittura come “passaggio”, funzione di soglia, che anche Benjamin, nel Passagenwerk, ha teorizzato e praticato come dispositivo per costruire la leggibilità del destino, pur mantenendo disgiunti nella loro individualità, e al tempo stesso riunibili in immagini dialettiche, fenomeni eterogenei. Il tema dell’apertura dell’Estetica al confronto con tradizioni altre da quella occidentale, è stato al centro delle conferenze di Giangiorgio Pasqualotto e di Grazia Marchianò. Marchianò, intervenendo su “Tradizione estetica in una prospettiva storica e teorica comparativa” (26 marzo 1992), ha proposto una riflessione sul significato della tradizione, che, in quanto trasmissione, paradosis, in sanscrito equivale al termine Tao (via, tracciato). La tradizione non è solo il tramandato da tempi passati, quel patrimonio di conoscenze e di stili cognitivi posseduto da ogni civiltà nelle forme che le sono proprie, ma può essere anche una tradizione vivente, una “via” attuale del sapere estetico. E’ chiaro come questa impostazione della problematica estetica guardi molto al di là dei confini modernamente assegnati in Occidente a questa disciplina, per ritornare piuttosto alla crucialità inevadibile di alcune fondamentali questioni: quella dell’identità dell’anima, che diventa identità della mente, e del ruolo dell’immaginazione, e quella della “meraviglia”, dello stupore di fronte allo schiudersi dell’ignoto, che dalle espressioni religiose migra alla filosofia. A sua volta Pasqualotto, nel suo intervento, “L’estetica del Vuoto” (2 aprile 1992), ha tracciato la mappa del significato del Vuoto nelle tradizioni estetiche, filosofiche e artistiche dell’Estremo Oriente, per poi passare a una fenomenologia di un’esperienza globale del Vuoto, quale quella che si dà per esempio in una casa da thè, ove tutto converge verso il conferimento di sacralità a un’esperienza sensibile, e la qualità sacra attribuita ai gesti e alla purificazione dalle abitudini diviene una vera e propria askesis dell’attenzione. Un medesimo risultato analitico, ha osservato Pasqualotto, lo si può raggiungere anche per esempio attraverso la lettura di uno dei celebri haiku di Basho: sorprendente, forse, per l’estetologo occidentale, è il constatare che questa forma poetica non ha soggetto - né il poeta né un sentimento che vi verrebbe espresso -, ma è la semplice registrazione di un evento, senza che questo voglia dire isolare un evento protagonista, e quindi di nuovo un “oggetto”. L’intervento conclusivo di Luisa Bonesio, “La terra celeste” (7 aprile 1992), pur sviluppando un proprio percorso, riprendeva l’orizzonte comune alle altre conferenze, sia nell’interpretazione di un’estetica “forte” e “teoretica”, e dunque lontana da posizioni ermeneutizzanti ed “estetizzanti”, sia nell’esigenza di volgersi ad altre forme e altre provenienze del pensiero. Riprendendo fin nel titolo un tema di Henry Corbin, e coniugandolo con le riflessioni di Nietzsche, Hölderlin e Heidegger, la riflessione attorno alla “terra celeste” vuol essere la ricerca di nuove possibili Heimat (patrie) del pensiero in un’epoca di tramonto della Terra: pensare, nella profonda necessità che li collega, il tema della terra, che si occulta, distrutta dall’impero della tecnica, e quello del compito del pensiero di fronte al deserto del nichilismo, vuol dire anche mettere in questione le forme e le strategie della filosofia, così come la tradizione prevalente dell’Occidente le identifica, e guardare verso il pensiero poetante e l’immaginazione attiva di Sohravardi e degli altri filosofi dell’immaginale, una dimensione per lo più rimossa o incompresa. Ma per compiere questo passo, occorre sottrarsi alla comoda immagine di un’estetica “debole”, disciplina destinata a oggetti del gusto e del soggettivismo, per reinterpretarla come il movimento originario del pensiero stesso, come, appunto, quello thaumazein, o quel sublime, in cui sorge il domandare essenziale. Il particolare successo di questa edizione dell’iniziativa, e l’importante riscontro didattico, ne fa prevedere la continuazione anche per l’anno prossimo, presumibilmente con l’adozione di una formula monotematica, articolata in quattro o cinque conferenze seminariali. Ancora una volta, il proposito è quello di invitare gli studiosi che abbiano contribuito in modo significativo e originale al campo di studi proposto che, possiamo anticiparlo, concernerà con tutta probabilità il pensiero di Walter Benjamin. (Per informazioni sul calendario e il programma definitivo, rivolgersi alla sezione filosofico-teorica del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Pavia, a par- CONVEGNI E SEMINARI tire da novembre: tel. 0382/386279, o 0382/ 386283; oppure alla sede del Collegio Ghislieri, 0382/22044). L.B. La filosofia e la sfida della complessità Nei giorni 23-26 aprile 1992, nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, si è tenuto il XXXI Congresso Nazionale della Società Filosofica Italiana sul tema: La Filosofia e la sfida della complessità, in occasione del quale si sono svolte anche le elezioni per il rinnovo del Consiglio Direttivo e della carica di Presidente della S.F.I. per il triennio 1992-1995. La complessità caratterizza numerosi aspetti della cultura e della vita contemporanee, interessando ambiti conoscitivi e discipline assai diversificati tra loro e imponendo quasi una sorta di sfida alla riflessione filosofica contemporanea. Alla sfida lanciata alla filosofia dalla questione della complessità, hanno cercato di dare risposta i numerosi e diversificati interventi al Convegno sul tema, organizzato dalla Società Filosofica Italiana, che ha messo in evidenza non solo l’ampia estensione semanticoconcettuale del termine “complessità”, ma anche la pluralità delle metodologie di approccio e delle prospettive teoretiche e speculative in grado di interrogarsi adeguatamente sull’argomento. Armando Rigobello, presidente uscente della S.F.I., nella sua relazione dal titolo: “Differenza e ulteriorità”, ha rilevato la connessione del tema della complessità soprattutto con le nozioni di differenza e ulteriorità, proponendosi di configurare un modello di pensiero in grado di interpretare il nostro fondamentale in-der-Welt-sein, o meglio il nostro sitzen in Leben, attraverso l’analisi di quelle strutture portanti che caratterizzano la condizione umana e che Rigobello definisce di “differenza interiore” e “autenticità nella differenza”: sotto forma di una estraneità interiore la differenza caratterizza la nostra autenticità, ci costituisce più intimamente, eppure ci supera ed è la condizione essenziale per comprendere la complessità sia del sé, sia del reale e per riscattarla. Muovendosi in un ambito di indagine di tipo storiografico, Franco Bianco ha invece affrontato la questione della complessità dell’agire, con particolare attenzione alle suggestioni diltheyane circa la definizione della natura della comprensione del mondo storico in relazione al soggetto umano e, in costante riferimento soprattutto all’ermeneutica di Ricouer, si è soffermato sul rapporto tra il senso dell’agire e la problematica dell’interpretazione. Sulla complessità come paradigma prevalentemente epistemologico e come cifra essenziale del pensiero scientifico contem- poraneo, si è concentrata la relazione di Evandro Agazzi, il quale, di fronte al rapido mutare dei modelli scientifici odierni, alle progressive innovazioni tecnologiche, alla complessificazione generalizzata della realtà e ai vorticosi mutamenti antropologici che ne derivano, ha insistito sulla necessità del riferimento costante a valori che si pongano oltre la mera fattualità ed efficienza tecnologica e alle questioni di senso da parte della filosofia, che in questa situazione di problematico disorientamento si trova chiamata a svolgere il suo ruolo fondamentale di controllo e di orientamento. Problematiche morali e orizzonti di senso connessi al tema della complessità, affrontato dal punto di vista di una riflessione teologica, sono stati al centro della relazione di Giovanni Ferretti, che ha riflettuto sulla complessa natura del metodo teologico. Dal punto di vista della complessità, la riflessione filosofica sul fenomeno religioso prevede dapprima l’apporto fondamentale del metodo fenomenologico, la cui descrizione eidetica deve però fare successivamente spazio ad una comprensione ermeneutica che ricerca i suoi criteri fondamentali in una ontologia di tipo esistenziale. Graduale articolazione metodologica e ampia convergenza di approcci filosofici caratterizzano, dunque, il metodo teologico e la riflessione sul fatto religioso. Come è ormai consuetudine nei convegni promossi dalla Società Filosofica Italiana, una parte degli incontri viene riservata alle questioni relative alla didattica e all’insegnamento della filosofia e, a questo proposito, Enrico Berti e Luciana Vigone si sono soffermati soprattutto sui nuovi programmi di filosofia per la scuola secondaria superiore e hanno esposto chiaramente i criteri della riforma legislativa in materia, la quale, tra le altre cose, prevede com’è noto, il progetto di estensione dell’insegnamento della filosofia oltre i tradizionali ordini di scuole superiori di secondo grado. La sfida lanciata dal tema della complessità è stata poi ripresa da Sergio Givone, secondo il quale essa può essere seriamente raccolta e affrontata da una filosofia ermeneutica, o da un “pensiero tragico” che, restituendo la riflessione filosofica, ontologicamente fondata, alla sua originaria solidarietà col mito e la religione, scopra la tragica e complessa natura della verità, la quale in tal modo ricusa ogni immagine sistematica e unitaria del mondo a favore di una visione aperta all’esercizio ermeneutico che tenga insieme libertà e interpretazione. Al “tragico” statuto della complessità tratteggiato da Givone si affianca la drammatica complessità dell’esistenza umana sottolineata dalla relazione di Sergio Moravia, per il quale comunque essa può venir positivamente riscattata in direzione di una lucida consapevolezza e della irripetibile singolarità dell’esistenza e della sua possibile apertura verso la relazione. Moravia ha cioè insistito sulla complessa identità dell’Io, sul suo statuto esistenziale, caratterizzato da una unità di “apparati significanti” in una molteplicità di “moduli esistenziali”. Il Convegno si è concluso con la relazione di Giuseppe Cantillo, che nell’ambito di una approfondita analisi sul rapporto tra storiografia filosofica e pluralità metodologiche, con riferimenti a Rorty, Rickert e Jaspers, ha avanzato una prospettiva storiografica che abbia nella organica relazione di storia della filosofia ed esperienza esistenziale, insita in ogni sistema filosofico, il suo significato essenziale. Alla relazione di Cantillo ha infine fatto seguito quella di Enrico Berti, che riflettendo sulla complessità della ragione, in un colloquio a distanza con le immagini di ragione disegnate dall’ermeneutica gadameriana e dal pragmatismo trascendentale di Apel, ha in qualche maniera riproposto l’attualità del pensiero classico e del suo modello di ragione, ripensato e centrato sul rigoroso esercizio della confutazione, che nella complessità del variare storico trova la forza dell’affermazione metafisica. G.P. Giornate kelseniane Organizzata da Letizia Gianformaggio del Dipartimento di Studi Politici e di Storia Giuridico-politica dell’Università di Siena, il giorno 3 maggio 1992 si è svolta la “IV Giornata kelseniana”, un appuntamento annuale ormai tradizionale per gli studiosi europei di Hans Kelsen. Quest’anno il seminario ha avuto per tema: Hans Kelsen on International Law. La discussione dei partecipanti è ruotata intorno alla relazione di François Rigaux, emerito dell’Università Cattolica di Lovanio, che ha sintetizzato nelle sue linee essenziali la vasta portata della riflessione internazionalistica di Kelsen. Le “giornate kelseniane” sin qui svolte hanno fatto il punto sulle più recenti acquisizioni nella letteratura critica in merito ad alcuni degli innumerevoli spunti offerti dall’imponente produzione di filosofia del diritto di Hans Kelsen. Nella “I Giornata” del 1989 venne discussa la periodizzazione delle tappe evolutive della filosofia del filosofo viennese, prendendo spunto dalla relazione di uno dei massimi esperti mondiali di “kelsenologia”, Stanley L. Paulson, curatore tra l’altro di una recente edizione critica in lingua originale dei testi più importanti di Kelsen. Gli esiti del dibattito sono stati poi raccolti nel volume a cura di Letizia Gianformaggio, Hans Kelsen’s Legal Theory. A Diachronic Point of View (La teoria del diritto di Hans Kelsen. Un punto di vista diacronico, Giappichelli, Torino 1990). Anche dalla “II Giornata” del 1990 si è ricavato un volume per gli stessi tipi, Sistemi normativi statici e dinamici. Analisi di una tipologia kelseniana, mentre sono in corso di pubblicazione gli CONVEGNI E SEMINARI atti della “III Giornata” dedicati al tema: Cognition and Interpretation of Law (Conoscenza e interpretazione della legge) e incentrati su una relazione neo-empirista di Eugenio Bulygin. Nel corso della “IV Giornata” gli aspetti politici del diritto internazionale sono stati al centro dell’attenzione dei partecipanti: la recente guerra del Golfo ha riproposto il problema della natura della tradizionale dottrina del bellum justum. Mentre giuristi come François Rigaux e François Leben si soffermavano sulle sottili distinzioni della consuetudine internazionale, un grande filosofo della politica come Felix Oppenheim insisteva sul fatto che i governi non si sono mai preoccupati della “giustizia” di una guerra che intendevano muovere contro una nazione rivale. Altri ancora, tra i quali Luigi Ferrajoli, mettevano in discussione il fatto che la guerra possa essere considerata una sanzione, quando il suo carattere principale è quello dell’imposizione di una “ragion fattasi”. La discussione ha poi evocato i problemi della distinzione tra la sanzione e la pena, dell’attribuzione di responsabilità nel diritto internazionale, nel rapporto tra ordinamenti primitivi e impiego della guerra, della natura giuridica e/o morale del diritto internazionale. Va segnalato che l’usuale procedimento scientifico di Kelsen, volto alla rigorosa separazione tra il dato conoscitivo-fattuale e il dato prescrittivo-valutativo, registra in campo internazionale un apparente indebolimento. Kelsen infatti giustificò senza alcuna difficoltà le norme retroattive di cui ci si avvalse nel Processo di Norimberga contro i criminali nazisti. Le norme retroattive sono di fatto vietate dagli ordinamenti giuridici nazionali; tuttavia Kelsen osservò che, in campo internazionale, fatti “moralmente eccezionali” autorizzano l’emanazione di tali norme, perché gli autori di questa specie di fatti devono essere considerati «moralmente responsabili da un punto di vista giuridico», anche se non esiste una norma di diritto positivo che ne preveda la punizione. Essi meritano di essere puniti e quindi deve essere formulata una norma che preveda la loro punizione (si veda Hans Kelsen, La pace attraverso il diritto, trad. it. di Luigi Ciaurro, Giappichelli, Torino 1990). L.P. Dieter Henrich a Monaco Con una giornata di studio a cui hanno partecipato otto dei suoi ex-assistenti, oggi docenti e studiosi di rilievo, e che ha visto anche la presenza di HansGeorg Gadamer, suo maestro a Heidelberg, l’Università di Monaco di Baviera ha festeggiato i sessantacinque anni del filosofo Dieter Henrich. Konrad Cramer (Göttingen) ha preso in considerazione uno scritto di Dieter Henrich, risalente al 1960, in cui questi discuteva il problema della dimostrazione ontologica dell’esistenza di Dio, cioè quel tentativo filosofico di derivare l’esistenza di Dio dal concetto di Dio in quanto essere supremo e perfetto. Riferendosi alla nota critica kantiana - che mette in luce l’insufficienza logica di tale tentativo di dimostrazione - Henrich aveva mostrato come l’argomentazione kantiana potesse essere applicata al concetto di un essere “superiore”, ma non a quello dell’ens necessarium postulato da Cartesio. Senza oltrepassare il livello di un’argomentazione meramente logico-formale, Cramer ha sostenuto la tesi che l’argomentazione di Henrich non toccherebbe l’esistenza di Dio come ente perfetto. Sul piano di un’argomentazione logico-formale si è mosso anche l’intervento di Friedrich Fulda (Heidelberg), dedicato al “sistema del diritto privato nella Metafisica dei costumi di Kant”. L’intervento di Jens Kulenkampff (Duisburg), con la sua interpretazione del sentimento di sé in David Hume, ha sollevato le critiche di Hans-Georg Gadamer, secondo il quale Kulenkampff avrebbe isolato i concetti di “orgoglio” e di “rappresentazione di sé”, approdando a un’errata interpretazione del pensiero di Hume. Più legato all’attualità è stato invece l’intervento di Manfred Frank (Tübingen), dedicato al tema “razionalità e coscienza di sé”, ed in particolare alla questione di come ed in che misura ciò che è immediatamente chiaro alla coscienza del singolo possa anche diventare oggetto di verifica scientifica. Frank ha sottolineato il fatto che le recenti discussioni nell’ambito della logica e dell’analisi del linguaggio hanno mostrato che le certezze immediate non sono irrilevanti solo per il fatto di non poter venire direttamente tradotte in proposizioni obiettivabili scientificamente. Ciò vale in particolare per i moti dell’animo. Affermando così l’esistenza di un ambito pre-linguistico dell’esperienza, Frank ha sostenuto una preminenza della coscienza soggettiva rispetto al sapere dimostrabile ed un’irriducibilità del mondo a “proposizioni”. Al complesso ed antico tema “causalità e libertà” è stato dedicato l’intervento di Lorenz Krüger (Göttingen), che ha posto la questione della compatibilità tra la connessione di causa ed effetto, entro cui pensiamo lo svolgersi degli eventi, e la libertà del volere umano. Nel tentativo di rispondere a questa domanda, Krüger ha indicato come le difficoltà risiedano nel concetto stesso di causa e nella sua inadeguatezza a spiegare l’esperienza: gli eventi non sarebbero da pensare come cause ed effetti concatenati l’uno all’altro come perle in una collana, ma nel loro sviluppo si darebbero continuamente delle “ramificazioni” che giustificano e rendono possibile la libertà umana. Ancora nell’ambito della filosofia pratica, Rüdiger Bittner (Bielefeld) si è chiesto perché e in che modo la ragione ci obblighi ad agire in un certo modo in vista di un determinato scopo o, in altri termini, perché, in assenza di una legge morale valida universalmente, il nostro comportamento “debba” seguire dei percorsi obbligati. Tale connessione “obbligata” tra azione e scopo non sarebbe da intendersi, ha osservato Bittner, come il comandamento di una ragione obiettiva, ma solo come derivata dall’esperienza. Al tema del “sentire” (Spüren), inteso come l’instaurazione di un rapporto “sensibile” del soggetto con se stesso, è stato dedicato infine l’intervento di Ulrich Pothast (Hannover), che ha riecheggiato alcune posizioni di Edmund Husserl, Arnold Gehlen e Martin Heidegger, e che per questo è stato accusato, nella discussione seguita al suo intervento, di mancanza di originalità. La giornata di studio è stata conclusa dallo stesso Henrich, che ha sostituito il previsto intervento di Peter Bieri (Marburg) con un contributo sulla funzione degli “intellettuali nella Repubblica federale e dopo la divisione della Germania”. Indipendentemente dai rapidi sviluppi dell’attualità quotidiana, gli intellettuali avrebbero il compito, secondo Henrich, di proporre analisi più approfondite e prospettive di lunga durata. Per risolvere i nuovi e difficili problemi connessi alla riunificazione della Germania, e per non perdere di fronte ad essi una visione d’insieme, non si ha solo bisogno, ha osservato Henrich, «del lavoro di politici lungimiranti, ma anche della distanza e dell’impegno degli intellettuali». M.M. Diritto e stato in Hegel Organizzato da Wolfgang Sünkel dal 30 aprile al 2 maggio 1992 a Norimberga - città natale di Wilhem Raimund Beyer, fondatore della Internationale Hegel-Gesellschaft, deceduto l’anno scorso -, il XIX Congresso internazionale hegeliano, dal titolo: Diritto e Stato, ha posto al centro dei dibattiti la Rechtsphilosophie, con particolare attenzione allo sviluppo dei concetti di “diritto” e “stato” dall’epoca di Hegel fino ai giorni nostri. Dal 1961, l’anno della sua fondazione, la Internazionale Hegel-Gesellschaft ha organizzato diciannove congressi internazionali, caratterizzati tutti da una imponente partecipazione di studiosi hegeliani provenienti dalle più diverse aree culturali dell’Europa occidentale e orientale, delle due Americhe, dell’Africa e dell’Asia. La storia della ricezione del pensiero di Hegel nell’Ottocento e nel Novecento si può dire sia la storia di un Giano bifronte, la storia di un filosofo da cui hanno attinto pensatori appartenenti alle più diverse correnti filosofiche, storiche, sociologiche, giuridiche, poetiche, culturali in senso lato, e last but not least, politiche. Le accurate CONVEGNI E SEMINARI ricerche di W. R. Beyer, K. Löwith, H. Kiesewetter e A. Negri ne danno puntuale testimonianza. Pertanto il lettore non si stupirà di apprendere che, al giorno d’oggi, sono attivi ben tre diversi sodalizi hegeliani, che si distinguono l’uno dall’altro a seconda della collocazione geografica e dell’ispirazione storico-politica, senza dimenticarne la strategia editoriale. Con baricentro tedesco-occidentale, legata alle figure di H. G. Gadamer e O. Pöggeler, si configura la Internationale Hegel-Vereinigung, con sede a Stoccarda, i cui membri trovano espressione in una propria collana presso l’editore Klett-Cotta di Stoccarda e negli assai prestigiosi Hegel-Studien, per i tipi dell’editore Bouvier di Bonn. Con baricentro tedesco-orientale, legata agli studiosi di quella che una volta era la Deutsche Akademie der Wissenschaften di Berlino, si è invece costituita la Societas der Freunde der dialektischen Philosophie, che in questo momento ha sede presso l’Università di Urbino - il suo presidente è D. Losurdo -, che si esprime nella rivista “Dialektik”, pubblicata per i tipi dell’editore Meiner di Amburgo, e i cui membri si sono impegnati nell’imponente progetto - diretto da H. J. Sandkühler - della Europäische Enzyklopädie zur Philosophie und Wissenschaftstheorie (Meiner, Amburgo 1990). Con vocazione del tutto al di fuori dei blocchi occidentale e orientale, slegata da qualunque istituzione e dunque tanto più gradita agli studiosi che si dicono scettici sia nei confronti dell’ontoteologia che del Diamat, si configura infine la Internationale Hegel-Gesellschaft, con sede a Rotterdam e Berlino - presidenti sono H. Kimmerle e W. Lefèvre - che dà vita alla rivista Hegel-Jahrbuch, pubblicata presso il Germinal-Verlag di Bochum. Al recente Convegno di Norimberga, il rapporto tra libertà e istituzioni è stato centrale nelle relazioni di S. Avineri, H. Ottmann e R. Zippelius. Dell’interpretazione del diritto in termini di filosofia della storia si sono invece occupati il celebre giurista W. Maihofer e i filosofi K. Bal, H. Givsan e W. Jäschke. Un posto a parte ha meritato l’opera di W. R. Bayer, che con la sua precisa ricostruzione storica, dal titolo: Zwischen Phänomenologie und Logik. Hegel als Redakteur der Bamberger Zeitung (2˚ ed. 1974), apriva nuove direzioni agli studi su Hegel. Il primato della dimensione storico-pragmatica nella concezione hegeliana del progresso della libertà, su cui ha sempre insistito Beyer, è stato messo in evidenza da E. Kiss e da R. Geffgen, M. E. Koutlouka e A. Köpke-Duttler. Sono stati, in particolare i due temi, cari a Beyer, della “costituzione sociale dello Stato” e la fondazione di una “eticità sovrastatale”, a catalizzare l’interesse dei relatori. Dal lavoro delle sezioni sono emersi quattro principali nuclei tematici. In primo luogo la considerazione logica del diritto, della quale si sono occupati F. Duque, A. Arndt, T. Oisermann, K. Seelemann, M. Siemek, M. Bykova, H. Pisarek. In secondo luogo lo studio delle fonti e della immediata ricezione di Hegel, oggetto delle relazioni di W. Neuser, P. Timmermann, C. E. Bärsch, F. Hespe, N. F. Chiang, M. Potepa. In terzo luogo è stato preso in considerazione il problema classico del rapporto teoria-prassi, non solo in Hegel, ma anche nella filosofia contemporanea. Il tema è stato affrontato da W. Schmidt-Kowarzik, M. Szívós, E. Csikós, P. Prechtel, H. Kimmerle, D. O. Dahlstrom e Z. Kuderowicz. Dell’interpretazione del diritto nell’ambito della filosofia della storia, infine, si sono occupati T. Rockmore, H. C. Lucas, B. Despot, K. Vieweg. A tal riguardo va segnalata la discussione, riproposta da R. Pozzo, sull’ipotesi di Karl Heinz Ilting concernente la possibile confusione in Hegel tra Geltungsgrund ed Entstehungsgrund, tra il piano logico e quello storico nella fondazione del diritto. Non resta che attendere gli atti - circa 150 relazioni - che usciranno nei volumi del 1992 e del 1993 dello Hegel-Jahrbuch. R.P. Comunità e società E’ possibile sviluppare nella società attuale un nuovo senso della “comunità”? Quale significato assume questo concetto in rapporto ad un auspicabile pluralismo dei valori? Qual è nel mondo contemporaneo il rapporto tra individualismo e solidarietà, tra “diritti” e “beni”? Questi ed altri problemi sono stati discussi in un convegno tenutosi a Francoforte dal 28 al 30 maggio 1991 e organizzato dall’Accademia francofortese delle Arti e delle Sienze sul tema:Comunità e giustizia. A confermare l’attuale interesse nel mondo culturale tedesco per questi temi, viene la recente traduzione di alcuni testi importanti nella discussione sviluppatasi nell’ultimo decennio negli Stati Uniti sui concetti di comunità e di giustizia: Spheren der Gerechtigkeit (Sfere di giustizia, Campus, Frankfurt a. M. 1992) di Michael Walzer e Die Idee des politischen Liberalismus (L’idea di liberalismo politico, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992) di John Rawls. La filosofia, ha osservato Jürgen Habermas nel corso del convegno francofortese, si muove oggi su un terreno in cui ci si può attendere il chiarimento di un problema filosofico “dalla lettura dei giornali del giorno dopo”. Questo riferimento della filosofia all’attualità politica, sociale e culturale è apparso quantomai evidente nel convegno in questione. Tema centrale della discussione, a cui hanno partecipato studiosi tedeschi, europei e statunitensi, è sta- ta quella tendenza dell’attuale filosofia statunitense della politica che con un’etichetta viene definita “comunitarismo” e che trova il suo più celebre rappresentante in Michael Walzer, conosciuto in Italia, oltre che per la sua opera principale Sfere di giustizia, anche per il saggio Esodo e rivoluzione, in cui lo studioso rintraccia nel testo biblico dell’esodo l’idea utopica di una “lunga marcia” di liberazione dalla schiavitù, che funzionerebbe poi da modello dei vari movimenti progressisti, e in particolare di quelli riformatori. Assieme a John Rawls e alla sua teoria della giustizia, a Robert Nozick e alla sua teoria liberale dello “stato minimale” e al tentativo di James Buchanan di determinare attraverso un calcolo razionale i “limiti della libertà, Walzer, con la sua opera sulle diverse “sfere” in cui si articola il concetto di giustizia, uscita in edizione originale nel 1983, è tra gli autori che hanno influenzato in modo più decisivo la discussione statunitense sui problemi di filosofia della politica e della società. In Sfere di giustizia egli, contrapponendosi alla concezione “contrattualistica” di Rawls, afferma che la giustizia può essere coniugata solo al plurale, e fonda questa posizione sull’impossibilità di misurare il “bene” sulla base di un unico criterio. Questa impossibilità non è però, secondo Walzer, qualcosa di negativo, di fronte alla quale bisogna rassegnarsi, ma, al contrario, un fatto positivo e liberatorio, non essendo né desiderabile né auspicabile la possibilità di stabilire un “bene” valido universalmente. Così, mentre nella storia del pensiero politico si è cercato di regola di fondare la legittimità del potere politico su un bene di tipo “superiore”, o comunque appartenente ad una sfera diversa da quella della politica, le riflessioni di Walzer sulla possibilità di una società “giusta” si fondano su una teoria della molteplicità dei “beni” e su una consapevolezza del condizionamento storico e sociale nella loro valutazione, e giungono così a distinguere il “bene” politico dal “bene” che si realizza in altre sfere (sicurezza, benessere, denaro, funzioni sociali, tempo libero, educazione e cultura, amore, religione, riconoscimento sociale). Se questa argomentazione “aristotelica” circa la pluralità dei beni può essere utilizzata in senso conservatore, per proteggere l’economia da interventi del potere politico, in Walzer essa assume una valenza “progressiva” e “di sinistra”, in quanto serve a far valere l’esigenza di una separazione del potere politico da quello economico. Le posizioni di Walzer vengono spesso classificate sotto il titolo di “comunitarismo”. Gli equivoci impliciti in tale etichetta sono stati però sottolineati, nel convegno francofortese su “Comunità e società”, dal filosofo canadese della “società civile” Charles Taylor (Montreal), che ha invitato a rinunciare a questo concetto “che non dice niente”. A parte gli equivoci derivanti da un’utilizzazione acritica del termine, il “comunitarismo” è stato recepito in Euro- CONVEGNI E SEMINARI pa come l’espressione di un pensiero che tenta di contrapporre alla crescente diintegrazione della società la possibilità di sviluppare forme differenziate di comunità, capaci di convivere all’interno di una stessa comunità sociale. Nella risposta a questo problema sembrano essersi delineate, nella riflessione statunitense, due grandi orientamenti: il primo, quello appunto rappresentato da Walzer, fa riferimento ad un nuovo senso di antichi concetti, come quelli di comunità, morale, virtù; il secondo, quello “contrattualistico” o “liberale” di Rawls, giura sulla possibilità di sviluppare nuovi principi universali nell’àmbito dei diritti umani e nuove teorie della democrazia. Per entrambi gli orientamenti costituisce un problema essenziale il significato e il valore che va conferito al pluralismo di comportamenti e di etiche che sembra tipico delle società occidentali contemporanee. Nel congresso di Francoforte queste tematiche sono per così dire state tradotte parzialmente nel linguaggio dell’etica del discorso di Habermas e di Karl Otto Apel: raggiunto l’accordo sull’accettazione dei principi della democrazia, della discussione razionale e dell’auspicabilità di una pluralità di posizioni etiche, è possibile giustificare tale accordo attraverso una “fondazione ultima” (Apel), o bisogna fermarsi al livello dell’empiria? E ancora, ciò che caratterizza la filosofia è, come vuole Apel, la riflessione sui fondamenti o piuttosto, come ha indicato Albrecht Wellmer, il filosofo deve limitarsi (senza indulgere a nostalgie per i fondamenti perduti) ad un’analisi della “grammatica interna della cultura liberale”, dunque ad un compito ermeneutico? Questi problemi, a cui, nella cultura statunitense, Richard Rorty ha risposto facendo valere una “preminenza della democrazia sulla filosofia” (sostenendo cioè l’irrilevanza delle questioni filosofiche relative ai fondamenti dal punto di vista “empirico” delle questioni poste dalla vita politica e sociale), si collocano, in Germania, su uno sfondo che non è solo accademico o teoretico ma è anche quello assai concreto di un difficile processo di unificazione politica. Così Ulrich K. Preuß ha fatto notare come nelle società occidentali contemporanee aumenti sempre più il numero di quei problemi (tecnologia genetica, eutanasia, diritto d’asilo) che mettono di fronte ad alternative in cui si scontrano morali diverse, e come questo fatto possa bloccare l’ambito delle decisioni politiche. Così, a suo parere, un nuovo costituzionalismo dovrebbe “creare la premessa della coesistenza di una molteplicità di moral communities”, prendendo congedando dal mito di una decisione rivoluzionaria violenta e rendendosi consapevole della pluralità di convincimenti morali presenti nella società. Indipendentemente da questioni di scuola o di denominazione, le tesi dei “comunitaristi” devono avere comunque un effetto provocatorio per le società “occidentali”, in quanto implicano che l’accentuazione dei diritti individuali alla libertà possa mi- nare alla base la democrazia. Così, Taylor ha messo in luce come la rigorosa separazione liberale tra stato e società non sia sufficiente a garantire l’autoregolamentazione democratica della società. Questo limite dovrebbe piuttosto venire superato da organizzazioni indipendenti, in modo che gli interessi sociali possano farsi valere realmente anche nell’ambito della politica. Una mediazione tra principi “liberali” e comunitari” è stata tentata da Wellmer. Per lui i diritti liberali fondamentali sono sì i presupposti della partecipazione alla formazione democratica della volontà. Ma, inversamente, tali diritti fondamentali restano privi di effetto se non vengono permanentemente interpretati e sviluppati. L’ambivalenza dei diritti fondamentali e dei diritti alla libertà della democrazia si mostra però nel fatto che essi non rappresentano solo i presupposti di un’essenza democratica comune, ma possono anche costituire un pericolo, in quanto implicano il diritto alla differenza e all’astensione dalle cose pubbliche. Per questo motivo Wellmer, ricollegandosi a Habermas, afferma che una “moralità” democratica può essere intesa solo in modo “procedurale”. Essa non può prescrivere il modo in cui si presenta una “vita buona”, ma solo il modo in cui bisogna comportarsi rispetto al conflitto tra diverse forme di vita. Wellmer non può però evitare un circolo: egli appoggia la comunità democratica sui diritti fondamentali e, inversamente, questi diritti sulla comunità democratica. La necessità di un procedimento circolare diventa in lui, come in altri pensatori pragmatisti, una virtù dell’epoca post-metafisica. Egli rinuncia a fondare i principi universali in cui si riconosce l’occidente su qualcosa che non sia la loro validità fattuale. Come in Rorty e nell’ultimo Rawls, il primato dei diritti rispetto al bene deve essere fondato solo politicamente e non più in maniera metafisica. Habermas può però a buon diritto domandare in che modo l’occidente possa legare altre nazioni e culture a tali princìpi, e come possa farlo in caso di necessità come è avvenuto nell’Irak di Saddam Hussein - con l’uso delle armi. Un contributo critico alla ricostruzione della “mitologia”delle società liberali è stato offerto da Nancy Frazer (Chicago). A suo parere tale mitologia conosce solo due forme legittime della reciprocità interumana: lo scambio contrattualistico di equivalenti tra individui uguali e la beneficienza, non richiesta da colui che riceve, e rispetto alla quale colui che dà non è obbligato. In quanto risulta privilegiato lo scambio tra equivalenti, le altre forme del rapporto sociale perdono di valore. Ciò ha poi come conseguenza che non possono svilupparsi “diritti civili sociali” in grado di fondare l’esigenza dei cittadini all’incentivazione delle loro condizioni di vita. J.F./M.M. Pensare il giardino Organizzato dall’Istituto di Filosofia dell’Università di Salerno e dal Politecnico di Milano, si è tenuto alla fine del 1991 a Fisciano (Salerno) il convegno dal titolo Pensare il giardino, cui hanno partecipato studiosi di filosofia e architetti. L’obiettivo era quello di ripensare il giardino come categoria filosofica, oltre che come forma del paesaggio. Sono stati ora pubblicati gli atti del convegno con il titolo omonimo di Pensare il giardino (a cura di Paola Capone, Paola Lanzara, Massimo Venturi Ferriolo, Guerini e Associati, Milano 1992). A questo volume di atti fa seguito la pubblicazione di Massimo Venturi Ferriolo, Giardino e filosofia (Guerini e Associati, Milano 1992), una ricostruzione della fenomenologia pensiero-giardino-paesaggio nella riflessione filosofica occidentale. A testimonianza dell’interesse, anche istituzionale, per queste tematiche segnaliamo il II Convegno Nazionale su Parchi e Giardini Storici. Parchi letterari, promosso dal Comitato Nazionale per lo Studio e la Conservazione dei Giardini Storici e organizzato dalla Sezione Studi Parchi e Giardini Storici della Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Milano. “Cultura del giardino” è oggi ambito d’intervento pressoché esclusivo di architetti, paesaggisti e storici dell’arte; ma non è sempre stato così, sostiene Massimo Venturi Ferriolo, ideatore e promotore del convegno di Fisciano. In tutte le antiche culture mediterranee e mediorientali l’uomo proviene, infatti, da un giardino, o in qualche modo vi è connesso: oltre all’Eden biblico basti pensare ai giardini delle antiche divinità greche, a quello delle Esperidi, al giardino della Grande Madre e così via. Al tema del giardino come grembo materno, con un percorso ricostruttivo attraverso le origini mesopotamiche e quelle delle antiche civiltà elladiche, Venturi Ferriolo aveva già dedicato lo studio: Nel grembo della vita. Le origini dell’idea di giardino (Guerini e Associati, Milano 1987). Quelle origini permangono e si perpetuano nel culto della Grande Madre e del suo giardino, grembo vitale, contro il quale combatte il Cristianesimo. Questo giardino-grembo, il keros, è il simbolo dell’eterno femminino in cui tutto si genera, uomini, animali e vegetali; un luogo “vitale”, pulsante e perciò temuto e avversato dai Profeti e dai Padri della Chiesa. L’idea di giardino, da un punto di vista filosofico, è dunque qui connessa a quella di origine dell’uomo, un’origine felice in un ambiente a lui favorevole. Viene suggerito un legame originario fra l’uomo e la natura, in uno CONVEGNI E SEMINARI Giardino «della Minerva». Parco botanico paesaggistico “Matteo Silvatico”, Salerno stato di reciproca coappartenenza: essenza della natura è quella di essere “coltivabile”; essenza dell’uomo quella di “coltivare”. L’uomo è quindi, originariamente, “essere culturale”: non si trova di fronte una natura ostile, cui deve soggiacere o che deve domare - o che deve domare soggiacendovi, come diceva Bacone - perché egli stesso “è” questa natura. La dimensione filosofica della nozione di giardino acquisisce quindi un fondamento etico: il carattere “naturale” dell’uomo, originariamente edenico, gli si impone come “stile di vita” e, in quanto tale, esso affiora nella riflessione dei moralisti inglesi del Settecento, in quella di Rousseau e in quella dei Romantici. Il sentimento morale è qui il cordone ombelicale che lega l’uomo alla natura, e l’originarietà della nozione di giardino dà conto di esso. E’ questa la tesi di fondo della ricostruzione condotta da Venturi Ferriolo in Giardino e filosofia, che ripercorre il cammino che lega la nozione di giardino all’idea di felicità, agire morale, conoscenza. Il giardino, grembo accogliente da cui l’uomo proviene, è ciò che sempre gli sta davanti. In questa prospettiva il paradiso (perduto) diventa metafora del giardino, e non viceversa: l’Eden paradisiaco biblico è un giardino fra gli altri, anzi contrapposto, come “stile di vita”, ad altri giardini, altri “stili di vita”. La ricerca del paradiso originario si caratterizza per l’uomo come eutopia, il “bel luogo”, bene supremo raggiungibile dal- l’uomo. Non come utopia: il giardino è un “non luogo”, un irraggiungibile, solo per quelle prospettive che si fondano su una contrapposizione fra l’uomo e la natura, o che pervengono a tale posizione. Prospettive che pure sono storicamente reali: dove la natura è solo “l’altro da sé” dell’uomo, un qualcosa da dominare, o a cui soggiacere, lì la techne, con cui l’uomo interviene sulla natura, non è più la cura amorosa del custode e conservatore del giardino, del “giardiniere appassionato”, ma la “volontà del soggetto progettante”, come direbbe Heidegger. Ma oltre a non essere la via della felicità, questa non è neppure la via della saggezza, di un agire morale, e neppure quella della conoscenza; rescindere il legame con il proprio luogo di provenienza significa precludersi la possibilità di agire conformemente alla propria natura e di vedere le radici del proprio sapere in quell’originario intrecciarsi di indagine e scoperta, ricerca e stupore che ha luogo nel giardino. Qui il teorein sorge dal taumazein, il sapere dalla meraviglia: “conservare il giardino” significa dunque in questo senso, fin da Platone, salvaguardare lo spazio del pensiero. Ancora per Goethe, che si rifaceva in ciò a Rousseau, la botanica poteva essere pensiero, se del francese, promeneur solitaire, se ne fosse seguito il metodo: un peregrinare solitario “per i giardini”, e per il mondo, al tempo stesso contemplativo e riflessivo, scevro da qualsiasi preoccupazione utilitaristica, fosse pure rispettosa degli equilibri naturali. Il giardino è “paesaggio assoluto”, estraneo alla prospettiva utilitaristica della fruibilità, e pertiene invece alla categoria estetica della bellezza, come ha sostenuto Rosario Assunto, autore, tra l’altro, di Ontologia e teleologia del giardino (Guerini e Associati, Milano 1989). Per Assunto, quella del giardino è «la bellezza del paesaggio a sé finalizzata»; ed è a essa che occorre “tornare”. Inoltre a suo parere la crisi conosciuta negli anni scorsi dai giardini reali sarebbe un effetto della crisi del giardino ideale. Proprio all’obiettivo di formulare un’idea universale di giardino è dunque rivolto il tentativo di Assunto, che contrappone il modello del giardino edenico alla prospettiva utilitaristica insita nella civiltà industriale moderna, che dopo aver rimosso l’idea di giardino ha eliminato anche i giardini reali, compresi quelli storici. Proprio questo aspetto è stato tematizzato durante il II Convegno Nazionale sui Parchi e Giardini storici, organizzato a Monza il 24-26 giugno 1992 dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali d’intesa con il Comitato Nazionale per lo Studio e la Conservazione dei Parchi e Giardini storici. Nel corso del convegno si è offerto un momento di riflessione sulla tematica del verde storico, tramite un raffronto con la situazione di altri paesi europei, e sulla base di una ricostruzione dell’iconografia del giardino italiano tra Settecento e Ottocento. Oggetto di dibattito sono stati anche la catalogazione, la conservazione delle CONVEGNI E SEMINARI ville storiche, la progettazione architettonica del patrimonio verde. La nozione filosofica di giardino, come è stata tematizzata al convegno di Fisciano, si colloca fuori dalla posteriore, e odierna, idea di giardino, frutto di una “riduzione” concettuale in senso paesaggistico, che si fonda sulla contrapposizione fra giardino e natura, fra il “dentro” dello spazio coltivato, lo spazio della “cultura”, e il “fuori” dei territori selvaggi, come direbbe Hans-Peter Duerr. Lo stesso Rousseau, sulle cui riflessioni si è soffermato Enzo Cocco, accetta in ultima analisi questa frattura e questa contrapposizione, anche se ne rovescia il senso: il “fuori” è una promessa di felicità; il limite - che è un recinto e uno steccato, cioè una barriera - fra il “dentro” e il “fuori” è il luogo di un mutamento antropologico. Il giardino rousseauiano («luogo storico, e come tale non etico») in quanto prodotto dalla techne fa scordare ciò che è invece palese in quello che il pensatore francese chiama verziere, asilo, Eliso, e cioè che l’uomo è ospite della natura, non suo signore. La contrapposizione fra “dentro” e “fuori” diventa quindi un “paesaggio dell’anima”, dove il “fuori” appare, di volta in volta, come minaccia o come luogo paradisiaco, “giardino delle delizie”. In questo senso Erkinger Schwarzenberg ha ricordato il vagheggiare di Socrate di un “giardino dell’anima”, luogo abitato dal divino e incontaminato dall’uomo. Significativo è che, dopo la scissione e la contrapposizione fra natura e cultura - ovvero fra uomo e natura - dove l’idea di giardino come spazio non ostile è attribuito di volta in volta all’uno e all’altro termine della relazione, l’ ”altro dell’uomo”, il “fuori” è in ogni caso concepito esplicitamente come “non umano”, come “incontaminato”, anziché come coessenziale all’uomo. Non è, evidentemente, un problema puramente accademico: ritenere il “giardino originario” nella sua coappartenenza all’uomo, come luogo di fondazione dei rapporti socio-affettivi, luogo da proteggere e da cui si è nutriti, se da un lato indica la credenza in un’origine “naturale” dell’uomo e dei suoi rapporti storici con la natura, dall’altra rimanda alla coscienza del fatto che, a livello concettuale, non può darsi una natura “estranea all’uomo”, un totalmente altro da sé, allettante o minaccioso, se non come chimera. I “giardini degli dei”, proprio in quanto “giardini”, non sono ignoti, illic non sunt leones; non sono antropizzabili allo stesso titolo del podere dietro la capanna o dell’aiuola sotto casa, ma la loro essenza non è estranea a quella dell’uomo. Da lì, l’uomo proviene e lì, forse, può tornare. La perdita della coscienza della originaria coappartenenza di uomo e natura, a cui si è sostituita invece quella della scissione e della contrapposizione, è la comune origine tanto dell’inconsapevo- CALENDARIO CALENDARIO Un corso di aggiornamento su Le forme dell’arte e l’idea del moderno, coordinato dal Prof. Aldo Trione, docente di Estetica e Preside della Facoltà di Lettere dell’Università di Salerno, si è svolto a Napoli presso l’Istituto Suor Orsola Benincasa, dall’11 maggio al 24 giugno. La formula adottata è stata quella della lezione con seminario (il giorno successivo a quello della lezione), con ampio spazio alla discussione per gli iscritti e i borsisti. Presenti: Aldo Trione, Sergio Givone, Franco Fanizza, Grazia Marchianò, Remo Guidieri, Michel Rey, Rafael Argullol, Gianni Vattimo. José Jimenez, Stefano Zecchi, Yves Hersant, Domenico Conci, Emilio Garroni. ● Informazioni: Istituto Suor Orsola Benincasa, 80100 Napoli. Organizzato dalla Société Suisse de Philosophie (SSP), nei giorni 19 e 20 giugno si è svolto un convegno dal titolo: La philosophie et le mal. Il programma ha previsto, per il giorno 19, l’apertura dei lavori da parte di Bernard Baertschi, presidente della SSP, e gli interventi di Helmut Holzhey e Alain de Libera. Il giorno successivo il tema del dibattito è stato discusso in tre differenti gruppi di lavoro. ● Informazioni: Università di Fribourg, CH-1700 Fribourg. Dal 10 al 13 settembre ha avuto luogo il XIV Congresso Nazionale di Filosofia, organizzato dalla Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia e dall’ADIF (Associazione Docenti Italiani di Filosofia). Il tema del convegno è stato: Filosofia e Cultura nell’Europa del domani. Questo il calendario degli interventi: 10 settembre, Battista Mondin: “Missione culturale dell’Europa”; Aniceto Molinaro: “L’anima cristiana dell’Europa”; 11 settembre, Enrico Berti: “Radici filosofiche dell’idea di Europa”; Vittorio Possenti: “Le componenti ideali della nuova Europa”; Vladimir Zelinski: “Il dialogo tra Russia ed Europa”; 12 settembre, Luciano Corradini: “Scuola ed educazione nell’Europa Unita”; Rocco Buttiglione: “Quale politica per l’Europa Unita”; 13 settembre, Tavola rotonda conclusiva del Congresso. ● Informazioni: Prof. Giuseppe Schiff, via Rubignacco 8/a-2, 33043 Cividale del Friuli. Dal 10 al 16 settembre ha avuto luogo, presso la Fondazione Collegio San Carlo, il secondo Corso Internazionale di Alti Studi dedicato a: Prospettive di Sociologia della Religione. Sono intervenuti due dei maggiori studiosi della materia in qualità di docenti: Niklas Luhmann, dell’Università di Bielefeld, e Thomas Luckman, dell’Università di Costanza. Alle dodici lezioni, sei per ciascuno dei due docenti, hanno preso parte quindici borsisti ed uditori provenienti da paesi della Comunità Europea, di livello post-universitario, selezionati tramite un bando di concorso internazionale. Oltre ad essi, in qualità di discussant, erano presenti: Bruno Accarino, Maurizio Bach, Claudio Baraldi, Elena Esposito, Giovanni Filoramo, Enzo Pace, Francesco Pardi, Carlo Prandi, Hartmann Tyrell. ● Informazioni: Segreteria della “Summer School” - Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, 41100 Modena. Dal 23 al 25 settembre la Internationale Schopenhauer-Vereinigung, insieme al Collège Internationale de Philosophie, ha organizzato a Parigi, sotto la direzione di Jacque Poulain e di Wolfgang Schirmacher, il convegno: Kierkegaard e l’ironia postmoderna, con relatori/relatrici dalla Scandinavia, Canada, USA, Francia, Austria, Lussemburgo, Paesi Bassi e Turchia. ● Informazioni: Internationale Schopenhauer-Vereinigung, Hallerstr. 72, D-2000 Hamburg 13. Dal 2 al 4 ottobre si è tenuto a Tubinga il primo “Convegno-Ernst Bloch”, organizzato dalla Bloch-Gesellschaft sul tema: Bloch? Tra gli altri, hanno parlato M. Riedel, M. Brumlik, K. Weigand, H. Fahrenbach, G. Raulet, B. Dietzschy, T. Hartmann-Macho, H.-E. Schiller, W. SWchmied-Kowarzik, E. Uhl, J. Teller e W. Sonnemann. In connessione al convegno si è tenuta una tavola rotonda dal titolo: L’estetica nell’epoca della cultura della simulazione, alla quale CALENDARIO hanno preso parte N. Bolz, H. Paetzold, B. Schmidt e S. Zecchi. ● Informazioni: Seminar für Allgemeine Rhetorik, Prof. Dr. G. Ueding, Wilhelmstr. 50, 7400 Tübingen. Dal 4 al 7 ottobre si è tenuto il VI Colloquio internazionale dedicato a Hamann sul tema: Johann Georg Hamann - autore e autorità. ● Informazioni: Bernhard Gajek, Universität Regensburg, Institut für Germanistik, Universitätsstr. 31, D8400 Regensburg. Dall’8 all’11 ottobre si è tenuto a SilsMaria l’annuale convegno dedicato a Nietzsche sul tema: Nietzsche e la storia naturale della morale. I relatori sono stati: Norbert Bischof (Zurigo), Friedrich Kaulbach (Münster), Peter Schlaber (Zurigo), Werner Stegmaier (Bonn), Bernhard Waldenfels (Bochum). Nell’ambito del programma generale, Grete Lübbe-Grothues (Zurigo/Münster) ha interpretato poesie di Nietzsche. ● Informazioni: Nietzsche-Haus, CH-7514 Sils-Maria. Dal 12 al 15 ottobre , l’Universidad Autonoma del Estado de Mexiko, in occasione del 500 anniversario della scoperta del continente americano, ha organizzato un convegno internazionale sul tema: Un pensiero senza confini. Sul problema delle comunità e delle differenze nello sviluppo storico dell’Europa e dell’America latina negli ultimi 500 anni. Senso e significato oggi. ● Informazioni: Prof. Dr. H. Krumpel, Universität-Gesamthochschule Paderborn, Fachbereich 1, Postfach 1621, D-4790 Paderborn. Organizzato dal Comune di Umbertite, si è svolto dal 15 al 17 ottobre un seminario internazionale dal titolo: I linguaggi della mente. Questo il calendario: 15 ottobre, Fabrizio Ciappi: “Perché i linguaggi della mente”; Paolo Rossi: “Parole e immagini”; Salomon Resnick: “Il linguaggio pittografico della mente”; Massimo Piattelli Palmarini: “L’inconscio cognitivo”. 16 ottobre, Oliver Sacks: “The Grammar of Vision”; Pierre Bovet: “Language and the Intersubjective Constitution of Identity in Schizophrenics”; Sergio Piro: “Verso una antropologia transformazionale”; Georges S. Rousseau: “The Brain and its Narratives”; Eugenio Gaburri: “Il succo del discorso”. 17 ottobre, Ruggero Pierantoni: “L’atto del disegno nel bambino: lessico, grammatica, sintassi”; Alessandro Pagnini: “Paradossi dell’irrazionalità”; Simona Argentieri: “Poliglottismo e polilinguismo nella dimensione psicoanalitica”; Remo Bodei: “Il linguaggio delle passioni”; Laura Dalla Ragione: “Se cadono gli avverbi”. ● Informazioni: Comune di Umbertide, p.zza Matteotti 1, 06019 Umbertide (Perugia). Organizzato dall’Institut für Systemische Forschung, Therapie und Beratung di Heidelberg e dalla Abteilung 3.2.3 der Psychosomatischen Kliniker dell’Università di Heidelberg, dal 15 al 18 ottobre si è svolto a Heidelberg il congresso: La realtà del costruttivismo, in cui, attraverso conferenze, tavole rotonde e seminari, sono stati discussi principi e critiche del costruttivismo. Fra i relatori: G. Böhme, O. Breidbach, H. von Foerster, C.F. Graumann, E. v. Glaserfeld, N. Luhmann, D.B. Linke, H. Maturana, G. Roth, H. Stierlin e G. Vollmer. ● Informazioni: Psychosomatische Klinik, Universität Heidelberg. Nei mesi di ottobre e novembre, la Casa della Cultura di Milano organizza un ciclo di conversazioni, a cura di Fulvio Papi, dal titolo: La filosofia contemporanea, ciò che è vivo ciò che è morto. Questo il calendario degli incontri: 15 ottobre, Pier Aldo Rovatti: “Attualità di Sartre”; 22 ottobre, Carlo Sini: “Bilancio su Heidegger”; 29 ottobre, Salvatore Natoli: “Giochi di verità: Foucault epistemologo e genealogista”; 5 novembre, Silvana Borutti: “Wittgenstein: il linguaggio come forma”; 12 novembre, Giulio Giorello: “Popper: scienza come democrazia”; 19 novembre, Maurizio Ferraris: “Derrida e la filosofia”; 26 novembre, Mario Vegetti: “Platone e noi”. ● Informazioni: Casa della cultura, via Borgogna 3, 20122 Milano. Organizzato dal Centro Internazionale Studi di Estetica di Palermo, si è tenuto nei giorni 16 e 17 ottobre a Palermo un seminario di studi dal titolo: Perché non possiamo non dirci neoclassici. Dopo la “Presentazione” di Luigi Russo, Giorgio Cusatelli ha introdotto alla discussione su: “Perché dobbiamo dirci neoclassici”; Franco Fanizza a: “Spalletti e la bellezza rinominata”; Giilo Dorfles a: “Perché possiamo non dirci neoclassici”. ● Informazioni: Centro Internazionale Studi di Estetica, Viale delle Scienze, 90128 Palermo. In collaborazione con il Consolato Generale d’Austria, il Centro culturale ‘La Casa Zoiosa’ di Milano organizza nei mesi di ottobre e novembre un seminario dal titolo: L’eredità che il pensiero filosofico del nostro secolo lascia al Duemila. Gli incontri avverranno secondo il seguente programma: 19 ottobre, Jean Petitot: “Il razionalismo scientifico come valore culturale”; 21 ottobre, Francesco Barone: “Filosofia e scienza: la nuova prospettiva su un antico rapporto”; 26 ottobre, Imre Toth: “Scienza e scienziati nell’età postmoderna”; 9 novembre, Rudolf Haller: “La filosofia dell’empirismo logico: una rivalutazione”; 16 novembre, Carlo Sini: “Un’etica per il Duemila”; 23 novembre, Corrado Mangione: “Al confine: scienza e cultura”. La quota di partecipazione è di Lire 150.000. Nel ciclo delle iniziative del Centro Internazionale di Studi Semiotici e Cognitivi della Repubblica di San Marino, si è tenuto nei giorni 20-21 ottobre un seminario dal titolo: Fonosimbolismo e linguaggio poetico. Questo il calendario: 20 ottobre, Linda Waugh: “Degrees of Iconicity in the Lexicon”; Masako K. Hiraga: “Iconicity as Principle of Composition and Interpretation: A Case Study in Japanese Short Poems”; 21 ottobre, Háj Ross: “The Taoing of a Sound-Phonetic Drama in Blake’s The Tyger”; Ivan Fonagy: “Why Iconocity?”. ● Informazioni: Università di San Marino, Contrada Omerelli 77, 47031 San Marino. Dal 3 al 5 novembre si terrà a Lipsia il congresso: Etica ed estetica, con noti relatori provenienti dall’Europa orientale e occidentale. ● Informazioni: Leipziger Gesellschaft für Philosophie und Kultur, Grassistr. 10, O-7010 Leipzig. Dal 6 all’8 novembre a Graz si terrà il simposio: Nazione e ragione, organizzato dalla Philosophische Gesellschaft dell’Università di Graz. Vi parleranno Jacques Poulain (“Der Nationalismus im Osten und die philosophische Zukunft Europas”), Ivan Djuric (“Der Historiker und der jugoslawische Raum”), Christian Meier (“Zur Funktion des Nationalen im modernen Europa”), Rastko Mocnik (“Das Nationalitätenproblem in kulturanthropologischer Sicht”), Rada Ivekovic (“Nation, Nationalität, Nationalismus”). In aggiunta ai lavori del simposio si terrà anche il seminario: Nationalismus und Frauen. ● Informazioni: Dr. Elisabeth List, Institut für Philosophie, Universität Graz, A-8010 Graz. Dal 12 al 14 novembre a Mannheim si terrà una giornata di lavoro scientifico della Sokratische Gesellschaft sul tema: Sokrates. Parleranno R. Zoepffel, Gerhardt Schmidt, Franz Vonessen, Karl Bormann, Heinrich Schipperges e Gerd Wolandt. ● Informazioni: Sokratische Gesellschaft e.V., Riedlach 12, D-6800 Mannheim 31. In occasione del settantesimo anniversario della nomina di Moritz Schlick alla Cattedra di Filosofia dell’Università di Vienna, si terrà dal 18 al 21 novembre a Vienna un convegno internazionale dal titolo: Ordine e caos in natura e nella società, organizzato dall’Istituto “Wiener Kreis”, sotto la direzione di Rainer Hegselmann (Bremen) e di HeinzOtto Peitgen (Bremen). Fuori programma avrà luogo inoltre l’incontro: Chaos und Musik. ● Informazioni: Institut “Wiener Kreis”, Museumstr. 5/2/19, A-1070 Wien. Nell’ambito della serie di conferenze dal titolo: “La filosofia in Germania oggi”, organizzata dal Goethe Institut e dall’Università degli Studi di Milano, Oskar Negt (Hannover) terrà il 23 novembre, nella sala “Crociera” dell’Università, una conferenza sul tema: La Scuola di Francoforte. Introduce Francesco Moiso (Milano). ● Informazioni: Goethe Institut, Via S. Paolo 10, Milano Il Dipartimento di Ricerche Filosofiche dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, nell’ambito delle proprie iniziative culturali, ha organizzato per il giorno 30 novembre un convegno dedicato all’Estetica di Luigi Pareyson. Interverranno Gianni Carchia, Sergio Givone, Mario Perniola, Aldo Trione, Valerio Verra. Sempre organizzato dal Dipartimento di Ricerche Filosofiche dell’Università degli Studi di Roma, nei giorni 29 e 30 gennaio 1993 avrà luogo un Convegno Internazionale dal titolo: Il Neoantico. Tecnica e possessione nella poesia e nelle arti. Saranno presenti Mario Perniola, Michel Deguy, Michel Maffesoli, Christoph Wulf, Francesco Pellizzi. ● Informazioni: Dipartimento di Ricerche Filosofiche dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, 00100 Roma. Dal 30 novembre al 4 dicembre si terrà a Madrid il II. Congreso Internacional de Filosofia de la Educacion sul tema: La filosofia dell’educazione oggi: clima filosofico e contesto pedagogico. Il congresso si articola in otto sezioni: 1. e 2., “Assiologia ed educazione”; 3 e 4, “Valori”; 5, “Assiologia e politiche educative”; 6, “Educazione e valori estetici”; 7, “Valori nelle istituzioni educative”; 8, “Deontologia professionale”. ● Informazioni: Universidad Nacional de Educacion a distancia, Departemento de la Theoria de la Educacion, Senda del Rey, E-28040 Madrid. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari I programmi “Brocca” L’interesse per le nuove proposte relative ai piani di studio e ai programmi approntati dalla “Commissione Brocca” ha coinvolto in una serie di recenti convegni (di cui abbiamo dato notizia nel numero scorso di questa rivista) anche il dibattito sull’insegnamento della filosofia. Una versione integrale dei nuovi programmi di filosofia è apparsa, fra le altre pubblicazioni, sul “Bollettino della Società Filosofica Italiana” (n. 145, gennaio-aprile 1992), con una breve presentazione di Enrico Berti, coordinatore del gruppo di lavoro che ha predisposto i programmi. Di questi dà un’interpretazione anche Domenico Massaro su “Paradigmi” (n. 29, maggio-agosto 1992). L’aspetto saliente dei nuovi piani di studio consiste, com’è noto, nell’estensione dell’insegnamento della filosofia, per gli ultimi due anni, agli indirizzi tecnologici ed economici dell’istruzione superiore. Data l’esiguità delle ore di insegnamento (due ore settimanali), si è ritenuto opportuno rinunciare ad un asse storico dell’insegnamento, per far posto ad una scelta di temi, per lo più attinenti a due grandi ambiti, l’uno di carattere conoscitivo ed epistemologico, l’altro di tipo etico-politico. I temi prescelti dall’insegnante, che spaziano dalla rivoluzione scientifica ai problemi connessi alle scienze attuali, dalle concezioni etico-politiche della modernità ai rapporti fra nuove tecnologie biologiche ed etica, saranno trattati mediante una lettura diretta dei testi di autori elencati nella bozza dei programmi, con la presenza di filosofi sia antichi che moderni nel primo anno, e di filosofi sia dell’Ottocento che del Novecento nel secondo. Pur variando nei percorsi programmatici, le finalità generali dell’insegnamento della filosofia restano comuni agli indirizzi tradizionalmente “liceali” dell’istruzione superiore e a quelli di tipo tecnologico. Tra queste finalità assume particolare rilievo quella indicata al sesto punto: «la capacità di pensare per modelli diversi e di individuare alternative possibili, anche in rapporto alla richiesta di flessibilità nel pensare, che nasce dalla rapidità delle attuali trasformazioni scientifiche e tecnologiche». Nei tradizionali indirizzi dell’istruzione liceale (che tenderanno a ristrutturarsi secondo un indirizzo classico, socio-psicopedagogico, linguistico, scientifico e scientifico-tecnologico) i nuovi piani di studio cercano di coniugare un approccio di tipo prescrittivo con un approccio che fa diversamente leva sulle possibilità di scelta autonoma dell’insegnante. Questi potrà cioè compiere una scelta di argomenti, da trattare in ciascun anno, assumendoli da un’articolata elencazione fornita dai programmi (nella quale, a parte le novità introdotte per il terz’anno, possiamo riconoscere le classiche ripartizioni dei manuali di storia della filosofia), ma dovrà comunque svolgere obbligatoriamente taluni punti: Platone ed Aristotele per il primo anno, Kant e Hegel (di cui è anticipata la trattazione rispetto ai programmi attuali), più altri due autori a scelta fra i pensatori del Seicento e Settecento per il secondo anno, ed infine due autori a scelta dell’Ottocento e due del Novecento per il terzo anno. Tutto questo in una prospettiva che non vuole essere né esclusivamente storica, né esclusivamente problematica, bensì storico-problematica, tesa cioè ad individuare alcuni grandi nodi della filosofia (costituiti da autori o da nuclei tematici) da presentare in modo cronologico. Grazie anche ad una ristrutturazione dei temi da affrontare durante il secondo anno, in cui si anticipano momenti salienti del pensiero ottocentesco, la filosofia del Novecento trova ora un’ampio spazio il terz’anno, sia in termini di filosofi che di nuclei tematici, entro cui l’insegnante potrà compiere le sue scelte. Ci sembra peraltro importante il fatto che i nuclei tematici presentati svolgono solo una funzione esemplificativa, lasciando liberi i docenti di individuare e di costruire altri percorsi. Si tratta di un’indicazione utile, tanto più che nella individuazione dei temi alcuni risultano di fatto sacrificati o tratteggiati solo in maniera allusiva. Ogni indirizzo liceale, peraltro, vede una diversa accentuazione nella individuazione degli argomenti da trattare, fermi restando alcuni punti fissi. Gli autori e gli argomenti da trattare dovranno peraltro essere affrontati a partire dalla lettura dei testi, senza che per questo si rinunci ad un necessario inquadramento storico: viene così recepito dai nuovi pro- grammi un orientamento che è maturato già da lungo tempo presso i docenti della disciplina. Un accenno particolare merita anche l’intervento in proposito di Domenico Massaro, che affronta il problema della “Storicità e centralità del testo nei nuovi programmi di filosofia”, proponendosi sia di dare una chiave di interpretazione del testo di questi programmi nell’ambito del progetto complessivo della nuova secondaria, sia di offrire alcune esemplificazioni di percorsi didatticamente praticabili. Convegni Per iniziativa dell’Istituto “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, è attivato per l’anno accademico 1992-93 un Corso di aggiornamento per docenti di filosofia, scienze dell’educazione e storia nelle scuole medie superiori di Napoli e Provincia e di perfezionamento per i giovani laureati. Tema del Corso, che si svolgerà dal 30 novembre 1992 al 30 aprile 1993, è: Storia della storiografia filosofica. Filosofie del Novecento. Il Corso si configura come spazio di dialogo formativo con alcuni tra i maggiori storici della filosofia e filosofi, per consentire ai docenti in servizio ed ai giovani laureati una ricognizione puntuale dei problemi, di contenuto e di metodo, concernente i temi proposti. Il corso si svolgerà presso la sede dell’Istituto “Suor Orsola Benincasa” (corso Vittorio Emanuele 292, Napoli) e si articolerà in due incontri settimanali, di norma il martedì ed il mercoledì dalle ore 16.30 alle ore 18.30, suddivisi in lezioni e sedute seminariali. L’ammissione al Corso è limitata a 30 laureati nelle Facoltà di Magistero, Lettere e Filosofia, Scienze Politiche e Giurisprudenza. Per ottenere l’iscrizione è necessario presentare agli uffici di Segreteria dell’Istituto Universitario di Magistero “Suor Orsola Benincasa”, entro e non oltre il 23 ottobre 1992, domanda in carta legale da L. 15.000 indirizzata al Rettore dell’Istituto, un certificato di laurea in carta legale, con votazioni degli esami di profitto, un certificato DIDATTICA di residenza in carta libera, un breve curriculum studiorum ed eventuali pubblicazioni. L’ammissione al corso avverrà per graduatoria, in base ai titoli, al curriculum presentato ed eventualmente ad un colloquio. L’Istituto assegnerà inoltre n. 5 borse di studio annuali di L. 13.000.000 ciascuna in base alle graduatorie di merito formulate in occasione dell’ammissione al Corso. Sono previste anche forme di rimborso spese, al termine del corso, per i non residenti a Napoli. L’ammissione al Corso relativa ai docenti di filosofia di Napoli e provincia sarà decretato dai Presidi o dai Collegi d’Istituto in numero di due per ogni Liceo e dovrà essere comunicato al Rettorato dell’Istituto “Suor Orsola Benincasa” entro e non oltre il 30 ottobre 1992. La frequenza è obbligatoria. A conclusione del corso è rilasciato agli iscritti, previo eventuale colloquio di accertamento, un titolo finale di frequenza. Le lezioni ed i seminari saranno tenuti da: E. Garin, A. G. Gargani, D. Antiseri, A. Bausola, M. Ferretti, B. Forte, G. Riconda, C. Sini, G. Sasso, A. Negri, V. Mathieu, N. Matteucci, P. Prini, F. Tessitore, S. Veca. L’ARIFS organizza, in collaborazione con il Seminario di Filosofia della Scuola Normale di Pisa, un convegno sul tema: La filosofia italiana tra Umanesimo e Rinascimento. L’iniziativa si svolgerà a Brescia dal 19 al 21 marzo 1993. Il calendario dei lavori è il seguente: venerdì 19 marzo, ore 15.00, Claudio Cesa: presentazione del convegno; ore 15.15, Eugenio Garin: “Umanesimo e Rinascimento: definizione dei concetti”; ore 16.15, Cesare Vasoli: “Retorica e logica tra Umanesimo e Rinascimento”; segue dibattito. Sabato 20 marzo, ore 9.00, Alfonso Ingegno: “Il platonismo nell’umanesimo italiano”; ore 10.00, Paola Zambelli: “L’aristotelismo e Pietro Pomponazzi”; segue dibattito; ore 15.00, Michele Ciliberto: “Giordano Bruno”; ore 16.00, Germana Ernst: “Aspetti del pensiero di Tommaso Campanella”; ore 17.00, Davide Bigalli: “Il pensiero politico: Machiavelli e Guicciardini”; segue dibattito. Domenica 21 marzo, ore 9.00, Paolo Galluzzi: “Galilei”; dibattito e conclusioni. Il convegno si svolgerà presso la Camera di Commercio di Brescia, via Luigi Einaudi 23. Per iscriversi occorre versare L. 50.000 sul c.c.p. 12808259 intestato a A.R.I.F.S. casella postale 103 - 25100 Brescia, ed inviare domanda di iscrizione al medesimo indirizzo. Termine delle iscrizioni: 15 gennaio 1993. Per informazioni: tel. 030.3757341, dalle 15 alle 16 tutti i giorni, esclusi festivi e prefestivi. Giordano Bruno, Incisione di C. Mayer RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Vol. 90, febbraio 1992 Institut supérieur de philosophie Louvain La Neuve Heidegger et la poésie. De Sein und Zeit au premier cours sur Hölderlin, di P. Vandevelde: se in Essere e Tempo (1927) la poesia è menzionata en passant, a partire dal primo corso su Hölderlin del 1934 la poesia si presenta come la “lingua originaria” dell’Essere, all’ascolto della quale tutto il pensiero deve porsi. Non si tratta solo di comprendere il perché di questo cambiamento radicale di prospettiva, ma anche scoprire quale sia il vero significato della poesia nelle considerazioni del 1927 e del 1934 e più in particolare il suo rapporto con il linguaggio e il pensiero. Le principe éthique d’universalité et la discussion, di M. Canivet: il principio di universalità può comprendersi in modo deduttivo o intersoggettivo, a secondo di ciò che esige l’universale applicabilità delle massime (Kant) o la loro universale accettabilità (Rawls, Habermas). L’etica della discussione di Habermas, sottomettendo le norme a discussioni reali, evita la monoliticità dell’interpretazione intersoggettiva del principio di universalità. Tuttavia anche questa soluzione presenta dei limiti. Moralité et magie, di D. Lesage: il naturale interesse che si prova per quelle persone che, in un modo o nell’altro, ci sono più vicine, pur apparendo un’attitudine egocentrica ed arbitraria, ha generato un dibattito relativo al significato morale della prossimità delle persone, dibattito che, nel mondo anglosassone, ha determinato una posizione universalista, contrapposta ad una particolarista. Prendendo spunto da queste problematiche, l’articolo analizza l’uso del possessivo “mio” nel contesto della attitudini simboliche, sviluppando l’idea che esso possa avere anche un significato magico con una portata morale. De l’originalité de la philosophie ancienne, di J. Follon: recensione di W. Jordan, Ancient concepts of philosophy (Routledge, London - New York 1990). Le “néo-médiévisme” d’Alain De Libera, di J. Follon: recensione di A. De Libera, Penser au moyen âge (Seuil, Paris 1991). Regard à l’est: essais esthétiques et politiques de Jan Patocka, di P. Seys: recensione di J. Patocka, Liberté et sacrifice. Ecrits politiques (Jêrome Millon, Grenoble 1990). tore che Lauth conosce molto bene. Christianisme et philosophie dans la première philosophie de Fichte, di J. C. Goddard: a partire da una rielaborazione del pensiero kantiano, nella prima fase della sua riflessione, Fichte tenta di dare un fondamento trascendentale al Cristianesimo sotto forma di una cristologia ascendente. Vérité kantienne et science lacanienne, di A. Kremer- Marietti. Fichte, le droit sans la morale?, di A. Renaut: c’è una trasformazione nella filosofia di Fichte circa i rapporti tra diritto ed etica: nel 1793 il diritto naturale è incluso nell’etica; nel 1796 legalità e moralità divengono ambiti più autonomi per poi riunirsi nei Discorsi alla nazione tedesca del 1807. L’articolo ricostruisce la logica di queste trasformazioni. La raison depuis l’incoscient ou le rêve de Wittgenstein, di R. Major: l’articolo affronta la problematica della decostruzione del segno in Wittgenstein e Lacan. Vie et spéculation dans l’”Anweisung zum seligen Leben”, di A. Philonenko: i rapporti tra vita e speculazione nel pensiero di Fichte; la dialettica dell’amore e dell’odio. The paternal metaphor: a lacanian theory of language, di E. Rayland-Sullivan. Idéalisme et théisme dans la dernière philosophie de Fichte, di M. Vetö: un commento alla Dottrina della scienza del 1813. REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE Vol. 46, n. 1, 1992 Universa, Wetteren Tema della rivista: “Lacan”. Acte et faute subjective, di D. e G. Miller: il problema della somatizzazione in Lacan. Le musement, de Peirce à Lacan, di M. Balat: la questione della categorie e quella del significante sono poste come emblema di una connessione tra la riflessione dei due pensatori. Luigi Pareyson (1918-1991), di X. Tilliette. Segue il “Bulletin Hobbes IV”. MAN AND WORLD Vol. 25, n. 2, aprile 1992 Kluwer Academic Publishers, Dordrecht ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Vol. 55, n. 2, aprile-giugno 1992 Beauchesne, Paris Lignes de développement de la pensée transcendentale: la recherche historique et systématique de Reinhard Lauth, di M. Ivaldo: R. Lauth (1919) ha dato vita alla più completa edizione delle opere di Fichte, corredate da importanti introduzioni. A lui dobbiamo anche magistrali studi sulla filosofia trascendentale e sulla sua evoluzione fino a Marx; tracce di questa tradizione si trovano anche in Dostoïevski, au- Transcendental background to the anthropic reasoning in cosmology, di Y. V. Balashov: l’articolo analizza le tangenze trascendentali del principio cosmologico antropico (AP), espresso per la prima volta nel 1974 dall’astrofisico Brandon Carter. L’AP appare come una variazione di una forma di “trascendentalismo naturalizzato”: come la filosofia trascendentale, questo principio studia le condizioni dell’apparire del mondo nel pensiero; ma, diversamente dal trascendentalismo filosofico, segue il cammino inverso, ponendosi la questione delle condizioni di emergenza RASSEGNA DELLE RIVISTE del pensiero nel mondo. Transcendental empiricism: Deleuze’s response to Hegel, di B. Baugh: l’empirismo di Deleuze si dice trascendentale perché ricerca le condizioni reali di tutta l’esperienza reale, non perché basa tutta la conoscenza sulla generalizzazione dell’esperienza. Un empirismo quindi che vorrebbe essere immune dalle critiche ad esso mosse da Hegel come la più povera e vuota forma di conoscenza. Difference without the flux: pragmatic vs. romantic conceptions of alterity, di I. Nevo: prendendo le mosse dalla concezione della “differenza” in Derrida, l’articolo analizza la tradizione romantica del concetto di alterità in connessione alla visione eracliteonietzscheana del flusso e anche indipendentemente da questo riferimento. Wittgenstein on language, meaning and use, di D. Nesher: la teoria del significato nelle Ricerche filosofiche di Wittgenstein. Quando si parla di significato non è chiaro se Wittgenstein intenda senso (Sinn) o referenza (Bedeutung) e quale sia la funzione d’uso nella comprensione del significato dell’esperienza linguistica. The problem of closure in Derrida (Part II), di S. Critchley: Heidegger e Derrida sul problema della fine della filosofia. Free selves, enriched values and experimental method: Mead’s pragmatic synthesis, di S. B. Rosenthal. Does Husserl have a Philosophy of history in the Crisis of european sciences?, di D. Mann: nonostante l’ostilità del rapporto tra storia e fenomenologia, nella Crisi Husserl tenta di dare senso alla storia attraverso un’analisi critica della relazione storica tra filosofia e scienza a partire dal Rinascimento. Sagacity and african philosophy, di A. S. Oseghare. Personal bodily rights, abortion and unplugging the violinist, di F. J. Beckwith Towards a Phenomenology of legal thinking, di M. Salter. Metaphor and reality, di C. A. Van Peursen: la discussione sulla relazione tra linguaggio (pensiero) e realtà trova nuovi spunti in recenti studi sulla metafora. JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY The rigour of Heidegger’s thought, di M. Weatherston. Why is there a discussion of false belief in the Theaetetus?, di H. H. Benson. Ethics and ontology: Levinas and Merleau-Ponty, di W. Busch. Is the ontological argument ontological? The argument according to Anselm and its metaphysical interpretation according to Kant, di J. L. Marion: la questione del ritardo con cui si è arrivati alla denominazione di “ontologico” per l’argomento a priori di S. Anselmo. “Les Fondateurs” and “La Découverte de l’Histoire”: Two short pieces excluded from Everywhere and Nowhere by Maurice Merleau-Ponty, a cura di D. H. Davis: due brevi contributi del 1956 di MerleauPonty. Taylor and Ricoeur on the Self, di B. P. Dauenhauer: recensione di C. Taylor: Sources of the Self: the making of the modern identity (Harvard University, Cambridge 1989) e di P. Ricoeur: Soi-même comme un autre (Editions du Seuil, Paris 1990). INTERNATIONAL QUARTERLY PHILOSOPHICAL Vol. XXX, n. 2, aprile 1992 Washington University, St. Louis Hume and the contexts of politics, di R. H. Dees: il contestualismo di Hume; guardando alla situazione politica coeva, egli è più intento a scoprire cos’è possibile fare e cosa le consuetudini richiedono, che ad applicare idee astratte come libertà e proprietà. The unity of the proposition, di L. Linsky: la questione dell’unità della proposizione nei Principles of Mathematica (1938) di Russell, in Appearance and Reality (1897) di Bradley e in Frege. Vol. XXXII, n. 1, marzo 1992 Fordham University, New York Fuller’s Synergetics and Sex Complementarity, di P. Allen: alcune ipotesi sulla complementarietà proposte da R. B. Fuller in Synergetics: explorations in the geometry of thinking (1982). Husserl and Heidegger as phenomenologists, di P. Görner: i differenti punti di vista di Husserl e Heidegger a proposito dell’intenzionalità. J. B. S. P. Vol. 23, n. 2, maggio 1992 University of Manchester, Manchester Tema della rivista: “Sartre, Derrida and Law”. Political legitimacy and discourse ethics, di D. B. Rasmussen: l’etica di Habermas, i suoi fondamenti, le sue insufficienze. Sartre on the Self-deceiver’s translucent consciousness, di P. Sutton Morris. Nonduality and Daoism, di R. P. Peerenboom: alla luce dei contributi di David Loy, l’articolo esamina la posizione del daoismo nella tradizione asiatica, con particolare attenzione all’epistemologia di Lao Zi e Zhuang Zi. On the limits of classical reason: Derrida and Aristotle, di D. A. White: prendendo le mosse dagli Analitici primi, l’articolo esamina la critica di Derrida al ragionamento classico così com’è esemplificato nel sillogismo. DIALEKTIK n. 3, 1991 Meiner, Hamburg Tema della rivista: “Individualizzazione nella società”. Kann es eine Wissenschaft vom individuellen Subjekt geben?, di Y Schwarz: il concetto e l’individualità umana; la relazione tra componenti singolari della relazione e strumenti teoretici per analizzare tale situazione; l’esempio del taylorismo. Auf der Suche nach einer Methodologie: eine kulturhistorische Annäherung an Individualität, di Y Engeström e M. Cole: un approccio all’individualità a partire dalla tesi di Vygotsky, Leont’ev, Luria e la scuola americana. Klassenzugehörigkeit und Individuum, di J. P. Terrail: il legame strettissimo tra individuo e società, per cui, ad esempio, nel campo della sociologia la storia personale si dà anche come espressione di uno sviluppo storico-sociale. Der Beitrag der Psychoanalyse zu einer meterialistischen Sozialisationstheorie, di A. Lorenzer: il problema della connessione tra base naturale dell’individuo e dimensione sociale; l’integrazione della teoria psicoanalitica della personalità in una concezione storico-materialistica della storicità dell’umana personalità, sulla scorta di un legame tra la base corporea dell’esperienza umana e le relazioni sociali. Familie und Individuation. Über die Verhältnisse von Dissens und Konsens, Autonomie und Abhängigkeit in direkter sozialer Interaktion, di A. Retzer. Der Physikalismus und die anderen Weisen der Welterzeugung. Jenseits von Reali- RASSEGNA DELLE RIVISTE smus una Antirealismus, di H. Tetens: a proposito dell’articolo “Die Wirklichkeit der Wissenschaft- Probleme des Realismus”, apparso in “Dialektik” n. 1, 1991. Geymonat, e a Giuseppe Riconda: Esistenzialismo, ermeneutica e pensiero tragico. La proposta speculativa di Luigi Pareyson. Zum Konzept einer “Wissenschaft vom Einzelnen”: Vorbemerkungen zur folgenden Diskussion, di L. Sève; Diskussionsbeitrag zu Schwartz und Terrail, di E. G. Sledziewski; Zu den Bemerkungen von Frau E. G. Sledziewski, di Y. Schwartz, a proposito del tema di questo numero della rivista. Il fenomeno del repentino e la paticità del tempo, di A. Masullo. Arbeit und Persönlichkeit. Ansatz, Ergebnisse und Konsequezen einer Längsschnittstudie des Max Planck Instits für Bildungsforschung, di W. Lempert. Aktuelle philosophische Diskussionen über Subjekt und Individuum, di J. Zimmer. Persönlichkeit und Tod. Neuere Literatur und Forschungsstand, di H. D. Strüning. ARCHIV FÜR GESCHICHTE DER PHILOSOPHIE Vol. 74. n. 1, 1992 Walter de Gruyter, Berlin, New York Sull’intreccio di logica e retorica in alcuni paradossi di Zenone di Elea, di L. Rossetti: la portata dell’elaborazione retorica dei paradossi di Zenone è stata spesso ritenuta irrilevante; dall’esame di alcuni paradossi zenoniani, tra cui quello di Achille e quello della freccia, emerge come accanto ad una consequenzialità logica in questi argomenti vi sia anche un’attenzione alla sovrastrutture comunicazionali che rimandano all’ambito della retorica. Mental disabilities and human values in Plato’s late dialogues, di C. F. Goodey. Speusipp und die Unendlichkeit des Einen. Ein neues Speusipp-Testimonium bei Proklos und seine Bedeutung, di J. Halfwassen. Newton, first principles and reading Hume, di E. Sapadin. PARADIGMI Vol. X, n. 28, gennaio-aprile 1992 Schena Editore, Brindisi A seguito della recente scomparsa, a breve distanza l’uno dall’altro, di Ludovico Geymonat e Luigi Pareyson, due veri e propri punti di riferimento per la filosofia italiana del secondo Novecento, compare in questo numero un ricordo dei due pensatori affidato rispettivamente a Giulio Giorello e Marco Mondadori: Osservazioni su Ludovico Performatività e realismo giuridico in David Hume, di M. Manfredi: prendendo le mosse da alcune considerazioni humeane circa la giustizia, la promessa, l’intenzione e la convenzione, l’articolo rileva come Hume intuisca il carattere condizionato delle espressioni verbali capaci di incidere sulla realtà in campo giuridico o religioso, aprendo quindi la prospettiva di una dimensione pragmatica e strumentale del linguaggio. Inoltre Hume colloca tali “formule verbali” all’interno di regole forti ed in quanto tali capaci di incidere profondamente sulla realtà; in questo senso la sua riflessione può essere legata al realismo giuridico scandinavo. Fritz Mauthner: la filosofia come critica del linguaggio, di A. Altamura: questo filosofo è stato oggetto di un oblio nella storia della critica filosofica, non soltanto in Italia, ma anche nei paesi di lingua tedesca ed anglosassone; per questo l’articolo intende ricostruire la genesi e lo sviluppo della filosofia del linguaggio di Mauthner, con particolare riferimento ai Beiträge zu einer Kritik der Sprache (1923). Angoscia esistenziale, “regia dell’esserci” e rassicuramento nel Mondo Magico di Ernesto De Martino, di T. Monini: dalla lettura di alcune pagine inedite di De Martino, in via di pubblicazione, dedicate al concetto di “Ethos del trascendimento”, emergono alcune riflessioni circa l’esistenzialismo di questo filosofo. Un teatro lirico in forma di prosa. La simbologia dello spazio in M. Eliade, di V. Ferrari. La legna e la cenere, di E. Severino: commento all’articolo di M. De Paoli: “La fiamma e la lampada. Riflessioni sul pensiero di E. Severino e sul nichilismo in Occidente” (“Paradigmi”, n. 26, maggioagosto 1991). Il testo del Sé. Note sull’ultimo libro di Paul Ricoeur, di D. Milani: recensione di P. Ricoeur: Soi-même comme un autre (Seuil, Paris 1990) Introduzione alla lettura del “Tractatus” di Wittgenstein, di P. Filiasi Carcano: la filosofia di Wittgenstein, con particolare riguardo al Tractatus, rappresenta uno dei frutti più emblematici della riflessione contemporanea. Infatti la cifra caratteristica della contemporaneità é senz’altro una sorta di ambivalenza, da un lato l’inesauribile accumulo di conoscenze, tecniche, benessere e ricchezze fornito dalla scienza, dall’altro la crisi dell’Occidente ed il nichilismo proposti dalla filosofia, in particolare da Nietzsche Spengler ed Heidegger. Questa ambivalenza rappresenta una delle istanze più interessanti della riflessione wittgensteiana, riflessione proposta ora come emblematica di una sorta di “distruttività” della filosofia, ora come proposta di una ricostruzione positiva e di un rinnovamento culturale. L’articolo sviluppa pertanto un lavoro analitico attorno al Tractatus, rilevando come l’attenzione posta sui problemi del simbolismo e del linguaggio rappresenti uno dei grandi meriti di Wittgenstein. Democrazia e riforma sociale, di S. Veca: l’articolo sviluppa una serie di osservazioni sull’idea di una riforma sociale alla luce di questioni che investono il passato, il presente ed il futuro. La confessione di Jean-Jacques, di L. Marchetti: il fascino e l’inquietudine che la lettura delle Confessioni di Rousseau provocano nel lettore possono essere spiegati anche attraverso un’analisi esistenziale del testo che ne rilevi la sofferta investigazione sull’origine del male. Proprio il tema dell’origine, centrale nell’intera riflessione rousseauiana, rappresenta anche il cuore di questo scritto che può essere letto come una sorta di hegeliana storia dell’esperienza della coscienza in cui la coscienza, ritrovando la propria origine, espia il proprio male e si redime. Per questo l’articolo parla di una struttura mitologica di questo scritto, individuando in esso la struttura triadica Prossimità al Divino, Decadenza, Redenzione presente in tutti i miti e le escatologie. La filosofia neognostica di Piero Martinetti, di F. Milanesi: l’articolo tenta un’originale lettura “eretica” del pensiero di Martinetti in rapporto alla gnosi: emergono infatti nella sua opera non soltanto motivi dualistici riconducibili alla gnosi, ma anche forme di sincretismo che, pur ricollegandosi direttamente alla tradizione gnostica, si sono riproposti in maniera tanto ininterrotta quanto sotterranea, in tutta la vicenda della modernità. PARADIGMI Vol. X, n.29, maggio-agosto 1992 Schena Editore, Brindisi Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, di M. Heidegger: il testo di una conferenza heideggeriana del 1962 Interpretazioni del dolore, di M. Sgobba: resoconto del convegno nazionale della Società Filosofica Italiana dal titolo: “Il dolore”, tenutosi a Matera il 3-5 ottobre 1991 Fenomenologia ed esistenzialismo, di S. RASSEGNA DELLE RIVISTE Sandrini: resoconto del convegno dell’A.R.I.F.S. (Associazione per Ricerca e Insegnamento di Filosofia e Storia) tenutosi a Brescia il 20-22 marzo 1992. Il convegno “Filosofia, formazione, professionalità”, di A. Falcioni e M. Micelli: resoconto del convegno tenutosi a Bollate il 7-9 maggio 1992. Recenti studi su Franz Brentano, di M. Sinatra. Interpretare e comunicare in Donald Davison, di P. Artuso. La pace di Lyotard. di L. Bottani: recensione di J. F. Lyotard: Peregrinazioni, legge, forma, evento (Il Mulino, Bologna, 1992) Un manuale di metafisica e ontologia, di R. Poli e L. Albertazzi: recensione di A.A.V.V.: Handbook of Metaphysics and Ontology (Philosophia Verlag, Munich, Philadelphia, Vienna 1991) FILOSOFIA Vol. XLIII, n. 1, gennaio-aprile 1992 Mursia, Milano Apre questo numero una commemorazione di Luigi Pareyson a cura di Claudio Ciancio, che riporta una conferenza tenuta da Pareyson il 5 novembre 1991 a Lecce, in occasione dell’apertura del convegno: “Metafisica ed arché”. L’ironia e il soggetto nascosto, di G. Gallino: una comprensione della cultura dell’ironia, a partire sia dallo sviluppo storico, sia dal significato teorico. Analisi del carattere di maturità del pensiero nel momento in cui appare l’ironia, della contestazione creativa che essa propone, della forza di controllo e di alleggerimento sulla realtà che sono propri del gioco, momento fondante dell’ironia. Sulla base di queste premesse, viene ricostruita la centralità del concetto d’ironia dall’Illuminismo, al Romanticismo, a Nietzsche, anche in riferimento all’evoluzione della letteratura. Fondazione, creazione e creazione artistica in Sartre, di A. Gonzi: prendendo le mosse dalla questione, presente in L’Essere e il Nulla, dell’identità di Dio come coincidenza di essenza ed esistenza, che porta Sartre a concludere circa l’impossibilità dell’esistenza di Dio, l’articolo ricostruisce la genesi di tale questione attraverso una rilettura dei primi scritti fenomenologici del filosofo che mostrano una particolare attenzione per il problema, di origine cartesiana, dell’autofondazione del cogito. L’esito di questa analisi approda ad un depotenziamento del cogito cartesiano che implica un venir meno della nozione ideale, ontoteologica di Dio come causa sui, che si autofonda, traendosi all’essere dal nulla; un nuovo autentico creatore si staglia tuttavia all’orizzonte: l’artista che crea e ricrea l’essere attraverso il potere nullificante dell’immaginazione. Si tratta di un ente privilegiato in cui essenza ed esistenza coincidono. Filosofi della tradizione nascosta. Filosofia e cultura ebraica, di E. Greblo: numerosi problemi della filosofia attuale non possono non fare i conti con la tradizione ebraica, una tradizione che, pur non portando ad una contrapposizione netta tra Atene e Gerusalemme, introduce tuttavia nella filosofia una serie di simboli, metafore, immagini particolarmente efficaci per esprimere “lo spirito del tempo”. Autori come Rosenzweig, Jabés, Jankélévitch, Lévinas pongono la questione ebraica non solo in termini storici o culturali, ma anche in termini filosofici. La teoria della relatività e il tempo universale, di E. Guillaume: in riferimento a due articoli di A. Genovesi su Bergson e Einstein (“Filosofia”, n. 2-3, 1991) viene qui proposto un articolo sulla relatività del matematico E. Guillaume, pubblicato nel 1918, che probabilmente influenzò molto Bergson. Questi, inoltre, lavorò nell’Ufficio Brevetti di Berna, in cui lo stesso Einstein fu occupato dal 1902 al 1909. l’immagine priva di ombra dell’umanista, fiducioso nella ragione e nella virtus, che a lungo ha pesato sulla storiografia dell’Umanesimo. Geo-Filosofia dell’Europa, di M. Cacciari: il concetto filosofico dell’armonia in connessione all’esserci storico dell’Europa e ai suoi confini geografici. Colloquio con Jacques Derrida, di M. Telmon: conversazione con Derrida in occasione di una sua conferenza all’Istituto di Studi Francese di Firenze nel 1990. RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO Vol. LXVIII, n. 4, ottobre-dicembre 1991 Giuffrè Editore, Milano Nel cinquantenario della morte di Henri Bergson, i primi tre articoli della rivista sono dedicati ad una chiarificazione di alcuni aspetti del suo pensiero: la questione del tempo in relazione alla morale ed alla politica (Il tempo secondo Henri Bergson, di L. Bagolini); il problema della giustizia in rapporto alle considerazioni del filosofo sulla cultura occidentale (La giustizia in Bergson. Dal monte Sinai alla montagna Cafarnao, di D. Campanale); l’emergere nascosto della problematica del diritto (Può il bergsonismo fondare un diritto?, di V. Mathieu). PARADOSSO n. 2, 1992 Pagus Edizioni, Treviso La rubrica Saggi è dedicata al tema: “Ethos e natura”, con l’intento di approfondire la riflessione sulla natura dell’ethos inteso originariamente come “esercizio” (quell’esercizio etico di cui parlarono, in diversi modi, anche Husserl e Wittgenstein) evitando l’astratta composizione tra le forme del fare da una parte e “mondo naturale” dall’altra. Ethos e natura, di V. Vitiello. La potenza in Aristotele come soglia tra natura ed Ethos, di M. De Carolis. Natura e conoscenza: tra idealismo scientifico ed empirismo estetico, di M. Donà. Theogenius, di Leon Battista Alberti: questo dialogo, composto intorno al 1440, appare caratterizzato da un tono cupamente pessimistico, che sembra porsi, secondo Garin, come il “rovescio simmetrico” della Famiglia e del De Aedificatoria; se là emergevano rigore, armonia, compostezza, misura, ragione, qua sono protagonisti bizzaria, follia, rivolta, offesa, irrazionalità, paradossalità. Due anime antinomiche quindi si alternano in Alberti, correggendo anche Lo Stato di diritto, di S. Amato: attraverso un’analisi dell’origine dello Stato e del diritto moderno e dei modelli di pensiero che li fondano, l’idea dello Stato di diritto pare basarsi su una sorta di triangolo: potere, diritto, verità. Uno sguardo da nessun luogo. Thomas Nagel e la filosofia come sapere riflessivo, di M. La Torre: un esame del recente libro di T. Nagel, tradotto in italiano con il titolo: Una brevissima introduzione alla filosofia (Il Saggiatore, Milano 1989), offre l’occasione per ripercorrere alcune fondamentali tesi di Nagel, in riferimento, soprattutto, al campo etico e metaetico. IRIDE n. 7, luglio-dicembre 1991 Ponte alle Grazie, Firenze Il principio di indeterminazione e il progresso scientifico, di H. Putnam. La meccanica quantistica: uno spettro di interpretazioni, di B. C. van Fraassen: se l’interpretazione delle teorie scientifiche rappresenta uno degli scopi fondamentali della filosofia della scienza, è indubbio che tali interpretazioni rifuggono da qualsiasi chiarezza circa la natura e le implicazioni RASSEGNA DELLE RIVISTE delle teorie considerate; al contrario le oscurità e la problematicità relative ad una teoria scientifica del passato si ripropongono costantemente, indipendentemente dal fatto che essa sia ormai stata superata: emblematici sono sia il caso della meccanica classica newtoniana, sia i problemi inerenti alla relatività di Einstein. Sorge quindi un meta-problema: comprendiamo una teoria formulandone un’interpretazione, oppure restiamo insoddisfatti finché non potremo decidere circa l’una o l’altra interpretazione? Un problema evidente anche in relazione alla meccanica quantistica. Il relativismo metaetico da Moore a Brandt, di M. Vacatello: alcune considerazioni in particolare sulla forma di relativismo che analizza il significato dei giudizi morali o le forme di argomentazione razionale, proponendosi come teoria metaetica. L’etica come misura di verità scientifica, di P. K. Feyerabend. Valutazioni critiche dell’etica politica, di D. F. Thompson: l’etica politica rappresenta quel campo di riflessione nel quale filosofi, scienziati, economisti trovano la possibilità di misurarsi concretamente con la politica pubblica. Il suo successo è anche dimostrato dalla vasta letteratura critica di cui essa è oggetto dal punto di vista, tra l’altro, realista, critico-ideologico, strutturale, personalista. Minimalismo morale, di M. Walzer: la contrapposizione tra “morale minima” (moral minimum) e “morale sviluppata” (moral maximum), tra “morale essenziale” (thin morality) e “morale completa” (thick morality). Etica e politica nell’età nucleare. Fine della deterrenza?, di F. Cerutti. Il problema della pace oggi, di E. Tugendhat. Complessità senza appigli, di N. Luhmann: un approccio al problema della complessità a partire dalla distinzione tra connettibilità completa e connettibilità selettiva. Definire la “complessità”. Una proposta, di E. Esposito. Sulla distinzione kantiana tra giudizi sintetici e giudizi analitici, di E. W. Beth: questo testo, risalente al 1953-54 nella versione tedesca e al 1942 in quella olandese, propone alcune idee estremamente rilevanti nel dibattito filosofico sull’analiticità e la matematica della filosofia kantiana. La contesa della bellezza, le metamorfosi del sublime, di G. Franck: recensione di F. Rella: L’enigma della bellezza (Feltrinelli, Milano 1991) e di L. Bonesio: La ragione estetica (Guerini, Milano 1991). Il mito e il suo altro. Note su Romantik, ermeneutica, modernità, di F. Vercellone. La frase infinita di Gargani, di M. Vozza: l’oscillazione tra filosofia e poesia di Aldo Giorgio Gargani. Capitalismo, socialismo, democrazia. Schumpeter cinquant’anni dopo, di D. Zolo. ARCHIVIO DI STORIA DELLA CULTURA Anno V, 1992 Morano Editore, Napoli Kant e Linneo. Un “superamento” scientifico-filosofico di una visione “descrittiva” della natura, di S. Marcucci: è nelle lezioni di geografia fisica, non pubblicate, e negli appunti che costituiscono l’Opus postumum che la polemica tra Kant e Linneo diviene evidente ed esplicita. Analisi dei temi centrali linneani tenuti presenti da Kant, della posizione di Kant, a livello scientifico e filosofico, circa il concetto di sistema, in generale, e, più in particolare, circa la distinzione tra classificazione artificiale e classificazione naturale. In tale prospettiva è possibile cogliere il superamento kantiano della posizione linneana. Kant e la questione del sublime, di F. Fanizza: il ripensamento kantiano del sublime significa anche un allontanamento dall’idea classicistica del sublime; ripercorrendo le tappe dell’analisi kantiana, viene scoperta la valenza dell’aspetto antropologico-psicologico del problema del sublime. Sul rapporto tra giudizio di gusto e interpretazione nella filosofia del bello di Kant, di M. Riedel. Critica del giudizio e metafisica del senso, di M. Barale: un’interpretazione complessiva della filosofia kantiana quale metafisica del senso, in rapporto alla funzione della Critica del Giudizio rispetto al progetto di una critica della ragion pura e ad una filosofia trascendentale. Finalità kantiana e teleologia hegeliana, di L. Lugarini: nonostante i numerosi apprezzamenti espressi da Hegel per la scoperta kantiana dell’idea di scopo, esiste una difformità di fondo nelle considerazioni dei due pensatori circa l’idea di finalità. Scopo come attività riflettente in Kant e come determinazione dell’oggettività in Hegel; il riferimento all’Urteilskraft in Kant ed al Begriff in Hegel; la determinazione concettuale dell’oggettività secondo fini di tipo giudicativo in Kant e sillogistico in Hegel; l’unione del concetto con se stesso hegeliano. Attività del linguaggio e produttività del pensiero in W. Von Humboldt, di A. Carrano. August Böckh: tra filologia e filosofia, di G. D’Alessio. Nota su “contingenza”, “singolarità” e “coerenza” dell’esperienza nella Critica del Giudizio, di F. Chiereghin: giudizio come fondamento della coerenza della totalità dell’esperienza; il contingente, estraneo all’attività legislatrice dell’intelletto, come oggetto della “riflessività” del giudizio. Il cielo stellato e l’analogia come fondamento nella Critica del Giudizio, di B. M. d’Ippolito. Il disinteresse nel giudizio di gusto. Fondazione e presupposizione nella Critica del Giudizio, di F. Desideri: esame della questione del disinteresse, proprio del giudizio di gusto, che rappresenterebbe il fondamento della possibilità dell’autonomia dello stesso. La dialettica di spirito e lettera nel pensiero di Friedrich Schlegel, di C. Ciancio. Il colloquio tra io e sé nello Zarathustra di Nietzsche, di E. Mazzarella: la “scienza” psicologica nietzscheana rappresenta un momento dello sviluppo della filosofia moderna che, con Cartesio, ha posto la questione dell’essere a partire da una problematica onto-teo-egologica; le ontologie nel moderno si risolvono soltanto prendendo le mosse dall’io ed a questa regola non si sottraggono né Nietzsche, né lo stesso Heidegger. Intorno a Wille zur Macht e Cristianesimo, di A. Giugliano: soprattutto a partire dalla primissima elaborazione dello Zarathustra, il discorso nietzscheano perde il carattere apparente di polemica storica, culturale, psicologica, di stampo illuministicamente ateistico, per assumere i toni di un più profondo spessore teoretico circa la questione del senso dell’accadere storico nella sua totalità. Aspetti politici della storiografia tedesca nella Repubblica di Weimar, di K. E. Lönne. Gli studi europei di filologia classica nel XX secolo, di G. Polara. Il problema Clausewitz e la letteratura monografica degli ultimi decenni, di M. Barbieri. Compare inoltre, per la prima volta in traduzione italiana, un testo del 1896-96, Che cos’è la storia della cultura? Contributo ad una istorica empirica, dello storico Karl RASSEGNA DELLE RIVISTE Lamprecht (1856-1915), fondatore a Lipsia di un “Institut für Kultur und Universalgeschichte”; ad esso è premessa una breve introduzione di G. Cacciatore dal titolo: “I ‘principi’ della Kulturgeschichte”. AUT-AUT n. 248-249, marzo-giugno 1992 La Nuova Italia, Firenze Tema della rivista: i Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis). Conversazione con Jacques Derrida: testo di una conversazione avvenuta a Napoli nel 1991 con la partecipazione di V. Vitiello, M. Ruggenini, P. Peñalver Gomez, C. Alunni, V. Verra, M. Ferraris. L’evento della svolta, di O. Pöggeler: dopo aver ricostruito il percorso lungo il quale Heidegger sviluppa il suo discorso circa l’evento appropriante (Ereignis), vengono affrontati i Beiträge come una sorta di salita verso la “svolta”. I doppi vincoli ultimi, di R. Schürmann: l’articolo affronta una delle problematiche fondamentali della riflessione heideggeriana, il suo atteggiamento nei confronti della filosofia alla luce della più ampia questione che attraversa i suoi scritti, quella dell’essere come tempo, come condizione ultima dei fenomeni. Vita e pensiero, Milano Un nuovo e diverso “ritorno a Parmenide”. L’interpretazione del Poema sulla Natura proposta da Giovanni Reale e Luigi Ruggiu, di M. Migliori: recensione della nuova edizione dei frammenti e delle testimonianze indirette su Parmenide curati da G. Reale e presentate da un saggio introduttivo di L. Ruggiu (Parmenide, Poema sulla natura, Rusconi, Milano 1991). Origine et portée de la formule dialectique du Proslogion de Saint Anselme. De l’”argument ontologique” à l’”argument mégalogique”, di C. E. Viola: riflessione sull’argomento ontologico di S. Anselmo attraverso la dialettica del concetto di “Maius” in rapporto al concetto di “Cogitari”. Essere e intellectus. Una prefazione alla metafisica, di V. Possenti: l’articolo esamina le due linee di sviluppo che si presentano alla filosofia in rapporto alla questione della possibilità della metafisica come capacità dell’intellectus-nous di attingere l’essere; una linea va positivamente dall’’intellectus alla metafisica, l’altra va dalla negazione dell’intelletto e dell’intuizione intellettuale al nichilismo speculativo. Stato della questione e bibliografia ragionata sul dialogo De Musica di S. Agostino (1940-1990), di M. Bettetini. La contrada dello straniero, di F. Duque. Seyn als Wesung: Heidegger e il nichilismo, di V. Vitiello: partendo dalla domanda sul senso dell’essere, vengono prese in esame le parole chiave del testo heideggeriano per approdare ad un confronto con Nietzsche ed Hegel. La questione dell’essere e il senso della “Kehre”, di M. Ruggenini. Il sacrificio di Heidegger, di M. Ferraris: la fenomenologia del morire e le allegorie della morte; il rapporto tra il mio autentico morire e l’esperienza del lutto e del sacrificio dell’altrui morte come questione primaria nel rapporto con la morte. RIVISTA DI FILOSOFIA Vol. LXXXIII, n. 2, agosto 1992 Il Mulino, Bologna Dalla logica teoretica alla logica pratica, di C. Cellucci: negli ultimi quindici anni la logica si è dilatata da pura logica teoretica, con fini di carattere eminentemente ideologici, tesi a giustificare la basi della certezza della matematica, a logica pratica, collegata allo sviluppo dell’informatica. Al paradigma “logica matematica” si è così sostituito il paradigma “logica computazionale” che, lungi dall’essere un semplice sviluppo tecnico della logica matematica, ha condotto, al contrario, ad uno sgretolamento di essa. Dall’esperienza del vissuto all’esperienza del pensiero. Sulle trasformazioni dei concetti di Erlebnis e di Erfahrung nei Beiträge zur Philosophie, di R. Cristin. Tra cellula e malattia, di G. Pareti: una storia della patologia tumorale agli albori della teoria cellulare. La possibilità della decisione nei Beiträge, di M. De Carolis: il problema della possibilità della decisione, che in Essere e Tempo è posta su un piano esistenziale, nei Beiträge su un piano storico. Logica trascendentale e ontologia fondamentale: Emil Lask e Martin Heidegger, di C. Demmerling: il saggio intende esaminare uno dei molteplici motivi che concorrono alla genesi di Essere e Tempo: il neocriticismo tedesco nella versione di E. Lask (1875-1915). RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Vol. LXXXIII, n. 3, luglio-settembre 1991 Pufendorf e Hobbes, di N. Bobbio. Prospettive storiografiche sul millenarismo, di A. Bettini: le interpretazioni del chiliasmo a partire dagli anni ’50 del nostro secolo. TEORIA Vol. XII, n. 1, 1992 ETS, Pisa C’è un circolo dell’autocoscienza?, di K. Düsing: uno schizzo delle posizioni paradigmatiche e dei modelli di autocoscienza da Kant ad Heidegger. Il pensare è spontaneo?, di S. Rosen: la dottrina di Kant presenta un fondamentale problema filosofico, quello della spontaneità in campo teoretico, secondo cui l’attività del pensare ci separa da ciò che pensiamo. Come è possibile risolvere tale questione? Consapevolezza e riferimento oggettivo, di G. Varnier: il problema dell’autocoscienza viene affrontato dapprima attraverso l’esame di problemi relativi al rapporto coscienza-autocoscienza da Cartesio alla filosofia classica tedesca, poi alla luce delle analisi linguistiche ed epistemologiche del fenomeno dell' (auto) consapevolezza. Autocoscienza, riferimento dell’io e conoscenza di sé, di A. Ferrarin: il dibattito contemporaneo relativo all’analisi della struttura della coscienza sotto l’influsso della filosofia analitica. Credere e sapere, di H. J. Iwand: viene qui presentato, a cura di S. Sorrentino, uno scritto inedito di Iwand che costituisce il testo incompiuto di una conferenza che il teologo tenne più volte, a partire dal 1955, sul tema: “Fede e sapere”. AQUINAS (Vol. XXXIV, Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense, Roma) ha pubblicato, nel corso del 1991, una serie di interessanti articoli, tra cui ricordiamo: Etica e morale: mira teleologica e prospettiva deontologica, Di. P. Ricoeur (n. 1, gennaio-aprile 1991) e Edith Stein: la dottrina degli Angeli, di X. Tilliette (n. 3, settembre-dicembre 1991). AESTHETICA (n. 34, aprile 1992, Centro Internazionale Studi di Estetica, Palermo) presenta uno scritto di Denis Diderot piuttosto trascurato dalla critica e qui pubblicato integralmente per la prima volta in italiano, i Pensieri sparsi sulla pittura, la scultura e la poesia per continuare i “Salons”, opera nata dalla lettura della traduzione francese delle Betrachtungen über die Malerei di C. L. von Hagendorn e dalle RASSEGNA DELLE RIVISTE visite alle gallerie olandesi, tedesche e russe nel 1773-74. PHILOLOGICA (n. 1, Giugno 1992, Dipartimento di Filosofia e Istituto di Filologia Moderna, Parma) offre ai lettori una serie di interessanti articoli a carattere filosofico e letterario; tra gli altri: Quale skoteinotes? Sul rapporto che Eraclito instaura con il suo uditorio potenziale, di L. Rossetti; Sophismata Asinina. L’analisi linguistica nella logica medievale, di L. Pozzi; Precisioni platoniche, di S. Novel Pieri; Linguaggio e teoria in Abelardo, di R. Pinzani. TELLUS (n. 7, ottobre 1992, Morbegno- SO) presenta una serie di articoli attorno al tema “Il tramonto dell’uomo selvatico”. La proposta intende sviluppare il tema del rapporto tra selvaticità della montagna e tramonto della categoria del selvaggio; proprio la caduta e la crisi della pedagogia del selvatico pare sottrarre la montagna al suo secolare stato di minorità, perdendo la sua essenza, per farle acquistare una diversa dimensione umana e spirituale. INTERSEZIONI (Vol. XII, n. 2, agosto 1992, Il Mulino, Bologna) presenta un articolo di G. Forni: Simone Weil. Il tradizionalismo rivoluzionario, che parte dall’interpretazione data da Dujardin (1975) secondo cui Weil, spostandosi dal “Bolscevismo sentimentale” all’ipotesi di “co-gestione padronato-lavoratori”, prodromo del corporativismo, avrebbe aderito ad un tradizionalismo reazionario di stampo antitecnico e anti-scientifico rivolto al passato. E’ alla luce di questa interpretazione che viene proposta un’analisi dell’ultima opera di S. Weil, La prima radice (1942-43). FILOSOFIA ’91 (Laterza, Bari, 1992) a cura di G. Vattimo e M. Ferraris, sviluppa una riflessione sulla razionalità dell’ermeneutica. Il volume si apre con un colloquio di Sergio Givone con Luigi Pareyson, a cui fanno seguito quattro sezioni: la prima, “Come argomentano gli ermeneutici”, offre interventi di M. Ferraris (Dare ragione), A. Gargani (La copia e l’originale), G. Vattimo (Ricostruzione della razionalità) e le obiezioni di E. Berti (Come argomentano gli ermeneutici?) e K. O. Apel (Autocritica o autoeliminazione della filosofia?); la seconda, “Topologie del fondamento”, presenta interventi di J. Derrida (Pupille Dell’Università. Il principio di ragione e l’idea dell’Università) e di V. Vitiello (Razionalità ermeneutica e topologia della storia); la terza, “Storia e teoria”, presenta gli interventi di U. Eco (Forma locutionis), Moiso (La natura e i simboli) e F. Volpi (L’esistenza come praxis: le radici aristoteliche della terminologia di Essere e Tempo), che esaminano alcune esperienze storiche significative del rapporto tra ermeneutica e razionalità; nella quarta appare un testo di Hans Lipps, risalente agli anni Trenta, che per la prima volta pone esplicitamente il problema della logica ermeneutica: Logica formale e logica ermeneutica. di A. Villani, e un intervento di F. Bosio su Il nazismo di Martin Heidegger. LA FILOSOFIA (Anno IX, n. 24, gennaio-aprile 1992, Massimo, Milano) presenta un numero monografico sul tema: “Estetica e poetica”. Tra i numerosi interventi segnaliamo Estetica ed etica in Kierkegaard, di G. Mollo, e L’estetica in Jacques e Raïssa Maritain, di G. Galeazzi. PER THEOLOGIE UND PHILOSOPHIE (Vol. 67, n. 1, 1992, Herder, Freiburg, Basel, Wien) propone un articolo di O. Muck, Eigenschaften Gottes im Licht des Gödelschen Arguments, sul rapporto tra problema di Dio e logica formale a partire da un frammento di Kurt Gödel del 10 febbraio 1970 dal titolo: Ontologischer Beweis (Prova ontologica). NUOVA CIVILTA’ DELLE MACCHINE (Vol. X, n. 1, 1992, Nuova Eri, Roma) pubblica le relazioni del convegno di Locarno del 1990, dedicato al tema: “Etica e politica”. Interventi di V. D. Segre, E. Berti, P. Bourdieu, H. E. Richter, M. Walzer, S. Veca, R. Bodei, A. Gutmann, D. F. Thompson, M. Viroli, M. A. Somerville, P. K. Feyerabend, C. Yturbe, P. P. Portinaro. FENOMENOLOGIA E SOCIETA’ (Anno XIV, n. 3, Piemme, Milano) presenta un articolo di F. Avanzini, L’utopia neoilluminista di Norberto Bobbio, ed uno di F. Coppellotti, Augusto Del Noce: la filosofia contro fascismo-antifascismo. Compaiono inoltre: La concezione del governo in Adam Smith, SEGNI E COMPRENSIONE (Anno VI, n. 16, maggio-agosto 1992 Capone editore, Lecce) presenta un articolo di W. L. McBride dal titolo: Sartre e il postmodernismo. Compaiono inoltre: Un “Leitfaden” per la lettura delle opere nietzscheane, di G. Rocci; Nietzsche e “il cinese di Königsberg”. Appunti di un filologo metacritico, di M. Simonetta. MARX CENTOUNO propone un volume mo- nografico dal titolo: Cronache dal centro dell’Impero. USA: crisi, conflitti sociali, politica del “nuovo ordine” mondiale nelle analisi di marxisti e radical americani, che prende in esame il dissolvimento dell’Unione Sovietica e del “campo socialista”, con il relativo superpotere degli Stati Uniti nella definizione di un “nuovo ordine” mondiale. Il volume, che si presenta NOVITA' IN LIBRERIA A. A. V. V. L’arte della persuasione scientifica a cura di M. Pera e William R. Shea Guerini e Ass., Milano giugno 1992 pp. 273, L. 40. 000 I saggi raccolti in questo libro sono un antidoto contro i due mali principali della filosofia della scienza contemporanea: la sindrome cartesiana e la sindrome anarchica che nascono entrambe dal presupposto che il gioco scientifico dipenda dal rapporto tra la mente che elabora le concezioni sotto forma di domande e la natura che fornisce le risposte come fatti e percezioni, sotto la regola di un arbitro, il metodo. In realtà il gioco scientifico è più complesso e la conoscenza scientifica dipende da una duttile arte della persuasione. A. A. V. V. L’universo della comunicazione. Prospettive europee a cura di Maria Adelaide Raschini Jaka Book, Milano aprile 1992 pp. 169, L. 23. 000 Un’analisi degli aspetti della sostanza concettuale della comunicazione come simbolarità e gestualità originarie, come linguaggio poetico, nei media e nel rapporto scienze-mass media, come immagine, come possibilità di trasparenza dell’ethos politico, come momento di riflessione antropo-sociologica. A. A. V. V. Lo straniero ovvero l’identità culturale a confronto a cura di Maurizio Bettini Laterza, Bari luglio 1992 pp. 178, L. 27. 000 Dall’antichità, alle società di interesse etnografico, alla riflessione della civiltà occidentale, la comparsa dello straniero ha sempre rappresentato un elemento incomprensibile. Attraverso una serie di saggi centrati su esempi diversissimi, il libro mostra il senso dell’alterità dello straniero. A. A. V. V. Max, Loreau, 1928-1990 Lebeer-Hossmann, maggio 1992 pp. 136, FF 165 I contributi presentati alla seduta del Dollège International de philosophie del 10 maggio 1990 in omaggio a Max Loreau, filosofo, autore del Grido. A. A. V. V. Hobbes e Spinoza. Scienza e politica Atti del Convegno Internazionale di Urbino - 14-17 ottobre 1988 a cura di Daniela Bostrenghi Bibliopolis, Napoli luglio 1992 pp. 732, L. 80. 000 Il volume contiene i saggi del Convegno Internazionale organizzato dall’Istituto di Filosofia dell’Università di Urbino in occasione del quarto centenario hobbesiano. A. A. V. V. Figure del paradosso. Filosofia e teoria dei sistemi 2 a cura di Rino Genovese Liguori Editore, Napoli aprile 1992 pp. 304 L. 30. 000 NOVITA' IN LIBRERIA Medio Evo. Il presente volume contiene un’edizione critica della traduzione in latino di Michele Scoto di una versione araba della terza parte, “Generazione degli animali”. Aubenque, Pierre Etudes sur le Sophiste de Platon Bibliopolis, Napoli maggio 1991 pp. 592, FF 548 Il Sofista non è solo il luogo dove vengono esposti i problemi particolari del platonismo, ma anche un testo centrale nella storia dell’ontologia. Il concetto di paradosso è oggi al centro non solo di una tradizionale prospettiva logico-matematica, ma anche di altri campi di ricerca. Il volume si confronta quindi con gli autori che costituiscono i punti di riferimento classici del problema (Russell, Wittgenstein, Bateson, Quine, Deleuze) per rilevare possibili ulteriori sviluppi del problema. A. A. V. V. I progressi della filosofia nell’Italia del Novecento Marano Editore, maggio 1992 pp. 599 Adorno, Francesco La filosofia antica IV. Cultura, filosofia, politica e religiosità II - VI secolo d. C. Feltrinelli, Milano settembre 1992 pp. 512, L. 28. 000 Ales Bello, Angela Fenomenologia dell’essere umano. Lineamenti di una filosofia al femminile Città Nuova Editrice Roma aprile 1992 pp. 207, L. 22. 000 La proposta fenomenologica accolta da Hedwig Conrad-Martius (18881966), Edith Stein (1891-1942), Gerda Walther (1897-1977) consente di dare un impulso originale alla ricerca filosofica attraverso un’analisi che, muovendo da settori specifici, tende a dilatarsi verso la comprensione della totalità e che fornisce, pertanto, una peculiare soluzione dei problemi che sono posti dalle scienze della natura, dalle scienze umane e dalla metafisica. Il metodo fenomenologico si mostra quindi particolarmente congeniale alla modalità femminile di approccio ai problemi. Althaus, Horst Hegel und die heroischen Jahre der Philosophie. Eine Biographie. Hanser, München maggio 1992 pp. 528, DM 58 Con un’approfondita cognizione della ricerca biografica e filosofica, Althaus ci raffigura la personalità di Hegel, facendo conflluire storia della vita, del suo tempo e filosofia. Althoff, Jochen Warm, kalt, flüssig, und fest bei Aristoteles. Die Elementarqualitäten in den zoologischen Schriften Steiner, Stuttgart maggio 1992 pp. 320, DM 80 Annas, Julia E. Hellenistic Philosophy of mind University of California Press Berkeley giugno 1992 pp. 255, $42 Elegante ricognizione delle idee stoiche ed epicuree sull’anima; un’introduzione a due antiche scuole le cui credenze sulla fisicità dell’anima spesso offrono innegabili parallelismi con i moderni approcci della filosofia della mente. Apel, K. -O. - Ketnner, M. (a cura di) Zur Anwendung des Diskursethik in Politik, Recht und Wissenschaft Suhrkamp, Frankfurt/M. giugno 1992 pp. 376, DM 26 Arendt, Hannah La banalità del male Eichmann a Gerusalemme Feltrinelli, Milano settembre 1992 pp. 352, L. 40. 000 Al suo comparire, nel 1963, questo libro provocò accese discussioni e pesanti critiche alla sua autrice, recatasi a Gerusalemme come inviata del New Yorker per il processo contro il nazista Eichmann. Assistendo a quel discusso dibattimento, la Arendt scoprì “la terrificante normalità umana” del secolo delle Ideologie Organizzate dove i servitori del Male non sono altro che piccoli, grigi burocrati del tutto simili al nostro vicino di casa (come aveva già intuito Franz Kafka). Aristotele De animalibus Michael Scot’s arabic-latin translation: Part 3. Books XV-XIX: Generation of animals: With a greek index to “De generatione animalium” a cura di Aafke M. I. van Oppenraaij H. J. Drussaart Lulofs E. J. Brill, giugno 1992 pp. 532 Il “De animalibus” di Aristotele è stato la fonte principale di conoscenza zoologica sia per gli antichi greci che per gli arabi e gli europei nel Aviau de Ternay, Henri d’ La Liberté kantienne: un impératif d’exode Cerf, Paris maggio 1992 pp. 234, FF 149 Un viaggio nelle tre Critiche suscitato dalla dinamica paradossale della legge della libertà kantiana, come libertà all’interno della responsabilità. Tre sfide che affrontano tale libertà responsabile per ciò che riguarda la religione, il diritto e la metafisica. Bachelard, Gaston La Poétique de l’espace PUF, Paris aprile 1992 pp. 214, FF 48 Il filosofo delle scienze si è interessato anche all’immaginario e alla poesia. In quest’opera, apparsa per la prima volta nel 1957, si trovano le famose pagine sulla “casa, dalla cantina al solaio”, “il nido”, “la conchiglia”, eccetera. Balibar, Françoise Einstein, 1905: de l’éther aux quanta PUF, Paris giugno 1992 pp. 128, FF 198 La storia del concetto di campo in fisica, dal momento della sua elaborazione (legata alla nozione di etere) fino al momento in cui Einstein, nel 1905, lo ha reso tale in se stesso, ponendo così, con l’ipotesi dei quanta di luce, le basi della sua modificazione e conferendogli il suo senso attuale. Bartels, Hans-P. Logik und Weltbild Leske und Budrich Opladen giugno 1992 pp. 125, DM 39 Bauman, Zigmunt La decadenza degli intellettuali Bollati Boringhieri Torino settembre 1992 pp. 240, L. 36. 000 L’autore mette al centro della sua brillante sintesi di tre secoli di storia dei rapporti tra potere e sapere le “strategie” in base alle quali gli intellettuali si sono autodefiniti come tali. Si tratta ovviamente del ruolo del lavoro intellettuale nelle società moderne, che trovò la sua definizione canonica con i philosophes dell’illuminismo e che sembra aver subito una radicale trasformazione in epoca “postmoderna”. NOVITA' IN LIBRERIA Baumgarten, Hans-Ulrich Kant und Tetens. Untersuchungen zum Problem von Vorstellung und Gegenstand M&P, Stuttgart maggio 1992 pp. 150, DM 29,80 Beckermann, A. et al. (a cura di) Emergence or reduction? Essays on the prospects of nonreductive physicalism de Gruyter, Berlin giugno 1992 pp. 315, DM 152 Raccolta di saggi sulla questione se un ricordo della teoria dell’emergenza, le caratteristiche dei sistemi complessi non possano essere fatte risalire alle caratteristiche e alla disposizione delle loro parti; schiude nuove prospettive sull’attuale dibattito sulla riducibilità del mentale al fisico. Berdjaev, Nikolaj L’idea russa I problemi fondamentali del pensiero russo (XIX e inizio XX secolo) Mursia Ed., Milano settembre 1992 pp. 320, L. 48. 000 Un avvincente e denso excursus storico introduce al nucleo centrale del libro, l’Ottocento e le sue problematiche essenziali: la filosofia della storia, la persona e l’ordine del mondo, l’umanesimo e la sua dialettica, il tema sociale, la questione religiosa e le tematiche escatologiche. Un panorama della rinascita culturale che segnò in Russia il principio del nostro secolo. Berger, Christian P. Erstaunte Vorwegnahmen. Studien zum frühen Wittgenstein. Mit einem Vorwort von A. Janik Böhlau, Köln giugno 1992 pp. 264, DM 54 Berger, Wilhelm Das Bedürfnis und sein Schatten. Vorarbeiten zu einer Philosophischen Anthropologie Karl Alber Freiburg i. Br. giugno 1992 pp. 280, DM 70 Tutte queste teorie, come si vedrà, si basano su un gesto fondante, che concepisce il concetto dell’uomo insieme al concetto della storia e che non si può più seguire incondizionatamente. Il libro svela le evidenti aporie nel tema fondamentale antropologico dei bisogni umani. Bergson, Henri Lettere a Xavier Léon e ad altri a cura di Renzo Ragghianti Bibliopolis, Napoli maggio 1992 pp. 187, L. 50. 000 Berkhof, Henrik 200 anni di teologia e filosofia. Da Kant a Rahner a cura di Michele Fiorillo Claudiana, Torino maggio 1992 pp. 462, L. 48. 000 Un intelligente Baedeker per scoprire ed approfondire i momenti critici, i punti nodali e le controversie decisive nel dibattito fra teologia e filosofia, nello sforzo di gettare un necessa- rio ponte tra cultura laica ed Evangelo. Blumberger, W. - Nemeth, D. (a cura di) Der technologische Imperativ. Philosophische und gesellschaftliche Orte der technologischen Formation. Heinz Hülsmann zum 75. Geburstag Profil, München giugno 1992 pp. 320, DM 88 Bollack, Jean Empédocle 1: Introduction à l’ancienne physique 2: Les Origines 3: Les Origines Gallimard, Paris aprile 1992 pp. 420, FF 92 Per questa tesi sostenuta negli anni ’60 Jean Bollack ha raccolto numerosissimi documenti compiendo un gigantesco lavoro filologico. Il primo volume espone il pensiero di Aristotele e dei presocratici, il secondo presenta una traduzione delle opere di Empedocle e l’ultimo fornisce un acuto commento dell’insieme. Bonar, James Moral sense (1930) Theommes Press, giugno 1992 pp. 300, £ 40 Il volume consta di saggi di Shaftesbury, Hutcheson, Hume e Adam Smith, con incursioni fra i critici contemporanei, da parte di uno dei grandi studiosi della storia intellettuale del XVIII secolo. Borne, Etienne Le Problème du mal PUF, Paris giugno 1992 pp. 128, FF 48 Quando la filosofia cerca di risolvere il problema del male, non trova soluzioni ma incontra l’uomo, l’uomo nudo al di là del mito, l’uomo solo al di qua di Dio, l’uomo prometeo e cristiano al quale non è vietato trovare nell’esperienza il senso della propria esistenza, vale a dire della propria passione. Borsche, Tilman Was etwas ist. Fragen nach der Wahrheit der Bedeutung bei Platon, Augustin Nikolaus von Kues und Nietzsche W. Fink, München giugno 1992 pp. 336, DM 68 Il libro tratta della domanda più fondamentale, più esigente della metafisica e ne segue l’evoluzione nell’arco di due millenni di pensiero occidentale. Bosanquet, Helene Bernard Bosanquet (1924): A short account of his life Thoemmes Press, giugno 1992 pp. 160, £ 32 Il resoconto della vita di uno dei più influenti idealisti britannici, Bernard Bosanquet. Bosio, Franco Martin Heidegger. Prospettive e itinerari Franco Angeli, Milano giugno 1992 pp. 160, L. 25. 000 L’analisi del pensiero di Heidegger è condotta prendendo in esame tematiche varie e diversificate, nell’intento di mettere in luce sia le ragioni più profonde del presunto “irrazionalismo” heideggeriano, sia i suggerimenti e gli impulsi più vitali che il pensiero odierno può accettare dalla sua mediazione. Boulad-Ayoub, Josiane L’Activité symbolique dans la vie sociale Université du Québec Départment de philosophie giugno 1992 pp. 217, FF 96 Una riflessione sulle descrizioni dell’attività simbolica che troviamo nel discorso antropologico sulla cultura e le rappresentazioni collettive. Bourgeois, Bernard Etudes hegéliennes: raison et décision PUF, Paris aprile 1992 pp. 416, FF 198 I saggi riuniti in questa raccolta rivelano nell’hegelismo una filosofia che può rinsaldare, lontano dalle astrazioni del liberalismo e dell’individualismo, il pieno conseguimento della libertà dell’individuo, in quanto che la ragione hegeliana, al fondo, è proprio decisione. Bouwsma, William, J. Giovanni Calvino a cura di Aldo Comba Laterza, Bari luglio 1992 pp. 441, L. 58. 000 A partire da un’approfondita analisi testuale, il libro ripercorre la vita ed il pensiero del grande riformatore. Breier, Karl-H. Hannah Arendt zur Einführung Junius-Vlg., Hamburg maggio 1992 pp. 184, DM 17,80 Brezzi, Francesca A partire dal gioco . Per i sentieri di un pensiero ludico prefazione di Paul Ricoeur Marietti, Genova febbraio 1992 pp. 134, L. 25. 000 Il gioco come rottura della ragione e del logos unificante e totalizzante; pensare a partire dal gioco può porci all’interno della misteriosa identità di gioco e sacro, legando l’Homo ludens al Deus ludens. Brockmeier, Jens ”Reines Denken”. Zur Kritik der theologischen Denkform Grüner, Amsterdam maggio 1992 pp. 331, DM 165 Brun, Jean Le Stoicisme Puf, Paris aprile 1992 pp. 128, FF 38 Fondato da Zenone verso il 300 a. C., lo stoicismo non ci ha lasciato molti scritti. Lo studioso deve dunque accontentarsi di frammenti e di citazio- ni più o meno fedeli. Qui l’autore fa il punto su questa scuola filosofica e sulle sue tre sezioni: la logica, la fisica e la morale. Bühler, Axel Einführung in die Logik. Argumentation und Folgerung Karl Alber Freiburg i. Br. giugno 1992 pp. 300, DM 38 Questo libro di testo parte dalla lingua naturale e dalle sue forme grammaticali e da qui sviluppa la logica formale. Nel punto centrale di tale esposizione si colloca la deduzione logica. Buhr, Manfred Ragione e rivoluzione nella filosofia classica tedesca Ist. Ital. per gli Studi Filosofici Napoli, marzo 1992 pp. 120, L. 30. 000 Bürger, Peter Das Denken des Herrn. Bataille zwischen Hegel und dem Surrealismus. Essays Suhrkamp, Frankfurt giugno 1992 pp. 180, DM 36 In modi diversissimi fra loro, autori come Bataille e Blanchot, Lacan, Derrida e Heidegger fanno dell’esperienza estetica lo strumento di una critica filosofica del Moderno. Lo status di questo libro fra filosofia e letteratura istituisce un rapporto tra le due, che non procede ricostruendo e criticando, ma coglie la contrapposizione con quelle come processo. Campagna, Nunzio Potere, legalità, libertà. Il pensiero di F. M. Pagano presentazione di Antimo Negri Calice Editori Rionero in Vulture aprile 1992 pp. 264, L. 35. 000 Il riformismo di Pagano a partire da uno dei suoi capitoli centrali, dal titolo, appunto, Libertà, Legge, Potere. Carr, Brian Mahalingham, Indira John Stuart Mill Harvester Wheatsheaf giugno 1992 pp. 244, £ 35 Un’analisi del pensiero filosofico di John Stuart Mill. L’autore cerca di dimostrare che l’unità organica del pensiero di Mill, dalla logica alle questioni di morale, ai fenomeni politici e sociali, ha molto da insegnare sui fondamenti filosofici dell’indagine sociale. Cavallar, Georg Pax Kantiana. Systematisch-historische Untersuchung des Entwurfs ”Zum ewigen Frieden” (1795) von Immanuel Kant Böhlau, Wien/Köln maggio 1992 pp. 480, DM 98 Centre de Philosophie politique et juridique (a cura di) Cahiers de philosophie politique et juridique, n. 20; NOVITA' IN LIBRERIA La Fondation des normes: tradition et argumentation: actes/colloque de mai 1991 Centre de publication de l’Université de Caen, giugno 1992 pp. 229, FF 126 Lo sviluppo dell’individualismo democratico si accompagna a un ineluttabile ritiro delle rappresentazioni tradizionali, cosa non priva di difficoltà. Chalier, Catherine La Patience: passion de la durée consentie Autrement, Paris aprile 1992 pp. 224, FF 98 La riscoperta di questa virtù che dà ai tempi la possibilità di far sì che uomini e cose maturino e che porta con sé il segreto di un apprezzamento positivo della passività, come disponibilità nei confronti di ciò che avviene. Charles, David et al. (a cura di) Reduction, explanation and realism Clarendon Press, Oxford giugno 1992 pp. 496, £ 18 Gli studiosi che hanno contribuito a questo volume prendono in considerazione l’ipotesi che i fenomeni studiati in campi diversissimi quali la filosofia morale e mentale, la psicologia, la biologia organica e le scienze sociali abbiano un fondamento nei fenomeni che possono essere spiegati dalle scienze di base, ma non possono essere ridotti a ciò. Chimirri, Giovanni Pensare Dio. Introduzione alla religione Edizioni Logos, Roma maggio 1992 pp. 220, L. 25. 000 Il volume analizza le principali questioni di teologia filosofica, coinvolgendo il lettore in un lavoro di meditazione personale. Cleary, John J. (a cura di) Proceedings of the Boston area colloquium in ancient philosophy: vol. 7 University Press of America giugno 1992 pp. 250, £ 17,50 Il volume contiene scritti e commenti presentati al 13˚ Convegno annuale dell’area di Boston sulla filosofia antica nell’anno accademico 199091. Colli, Giorgio Montinari, Mazzino (a cura di) Friedrich Nietzsche: Considérations inactuelles I et II; Fragments posthumes Gallimard, Paris aprile 1992 pp. 224, FF 24,50 E’ dopo una prima crisi che lo allontana da Schopenhauer e da Wagner che Nietzsche scrive queste pagine in cui denuncia la storia come un veleno per l’essere sano e pieno di gioia di vivere. Conche, Marcel Temps et destin PUF, Paris aprile 1992 pp. 213, FF 120 La presente edizione differisce dalla precedente (Mégare, 1980) per l’aggiunta di una breve nota inedita sul tempo, di una nota e di un articolo polemico relativi alla concezione kantiana del tempo. Costantini, Domenico Garibaldi, Ubaldo Penco, Maria Antonietta Introduzione alla statistica Fr. Muzzio Ed., Padova luglio 1992 pp. 320. L. 35. 000 Una visione globale dei metodi statistici attraverso la delineazione della cornice concettuale che sta dietro ad essi. Uno strumento importante non solo per gli studenti, ma anche per tutti coloro che vogliono affrontare il problema dell’incertezza nelle sue varie forme. Crimman, Ralph P. Metaphysik und Praxis. Gewissensethische Überlegungen Die Blaue Eule, Essen maggio 1992 pp. 140, DM 36 Croce, Benedetto Nuovi saggi di estetica Bibliopolis, Napoli luglio 1992 pp. 454, L. 50. 000 Curcio, Nicola La domanda sul nulla e sull'essere Introduzione alla lettura di Che cos'è metafisica? di M. Heidegger Tamoni Ed., Schio settembre 1992 pp. 207, L. 26.000 L'unica opera che consenta una lettura diacronica del pensatore Heidegger è Che cos'è metafisica?, scritto cui egli pose mano nel 1929, quando redasse con questo titolo la sua prolusione accademica e su cui ritornò a più riprese nel corso di un ventennio. Questo volume si pone l'obiettivo di affrontarne una lettura interpretativa sempre aderente al testo. Damisch, Hubert Le Jugement de Pâris Flammarion, Paris giugno 1992 pp. 240, FF 260 Sul mito di Paride, l’autore abborda la questione della bellezza in rapporto alla teoria delle pulsioni di Freud e della sua rappresentazione. Deneys-Tunney, Anne Ecritures du corps: de Descartes à Laclos PUF, Paris aprile 1992 pp. 328, FF 178 Prendendo la rappresentazione cartesiana della corporeità come un limite o qualcosa che respinge, questo saggio studia il modo in cui, in alcuni dei maggiori universi narrativi dell’epoca (La vita di Marianne di Marivaux, La monaca di Diderot, Le relazioni pericolose di Laclos) si mettono in funzione delle retoriche del corpo. Dent, N. J. H. The Rousseau dictionary Blackwell Publishing Oxford maggio 1992 pp. 260, £ 15 Una fonte concisa e completa sulle principali opere filosofiche, sociali e politiche di Jean-Jacques Rousseau. Oltre 100 voci ordinate alfabeticamente forniscono un’introduzione alla vita e all’opera di Rousseau. Dorschel, Andreas Die idealistiche Kritik des Willens. Versuch über eine Theorie der praktischen Subjektivität bei Kant und Hegel Meiner, Hamburg maggio 1992 pp. 240, DM 68 Il saggio dimostra e ricerca i motivi per cui tanto il tentativo di Kant quanto quello di Hegel di dare un fondamento razionale al libero arbitrio non riescono a essere convincenti. Drewermann, Eugen Worum es eigentlich geht. Protokoll einer Verurteilung Kösel, München maggio 1992 pp. 512, DM 34 Questo libro smaschera non solo la reale situazione della chiesa, ma offre anche un’analisi approfondita della condanna di Eugen Drewermann. Droit, Roger-Pol L’Oubli de l’Inde LGF, Paris maggio 1992 pp. 253, FF 40 Schopenhauer, Nietzsche, Victor Cousin, Edgar Quinet, Charles Renouvier hanno sempre pensato che l’India fosse una terra filosofica. Perché è stato dimenticato? Come mai, dopo un secolo, si è tornati, sotto forme diverse, alla severa antipatia di Hegel? Dumoulié, Camille Nietzsche et Artaud: pour une éthique de la cruauté PUF, Paris giugno 1992 pp. 264, FF 198 La tematica della crudeltà permette di riavvicinare l’enigma del metafisico e il mistero del religioso, nonché di riformulare la questione della scrittura: dal mito del superuomo al desiderio del “corpo senza organi”, è sempre la crudeltà come esigenza etica che muove il pensiero di Nietzsche e quello di Artaud. Dupleix, Scipion La Métaphysique: 1610 Fayard, Paris aprile 1992 pp. 906, FF 390 Segretario di Margherita di Valois, consigliere di Stato e storiografo di Luigi XIII, al soldo di Richelieu, Dupleix è il primo ad aver redatto un corso completo di filosofia in lingua francese, più volte ristampato. Eidam, Heinz Strumpf und Handschuh. Der Begriff der nichtexistenten und die Gestalt der unkonstruierbaren Frage. Walter Benjamins Verhältnis zum “Geist der Utopie” Ernst Blochs Königshausen & Neumann Würzburg giugno 1992 pp. 90, DM 24,80 In questo lavoro sulle posizioni teoretiche relative alla conoscenza di Walter Benjamin ed Ernst Bloch vengono innanzitutto elaborate le formulazio- ni delle domande di entrambi, per poi in un secondo momento poterli confrontare. Emmet, Dorothy The passage of nature Macmillan Academic and Professional giugno 1992 pp. 192, £ 29,50 Spesso si usa il concetto di processo, ma raramente lo si discute. In questo libro l’autrice osserva il modo in cui un processo differisce da una serie di eventi, fatti o anche solo cose che cambiano, affermando che la causalità si può descrivere meglio in termini di processi. Successivamente esamina vari aspetti di questo soggetto. Erdmann, K. -H- (a cura di) Perspektiven menschlichen Handelns. Umwelt und Ethik Springer, Berlin maggio 1992 pp. 210, DM 48 I relatori discutono in un dialogo interdisciplinare di teologia, filosofia, geografia, pedagogia, psicologia e scienza comportamentale, formulazione etica della domanda nei rapporti dell’uomo con la natura e l’ambiente. Escher Di Stefano, Anna Coniglione, Francesco Percorsi di filosofia contemporanea CUECM, Catania settembre 1992 pp. 338, L. 32. 000 Il volume si propone come un’analisi critica delle principali correnti filosofiche contemporanee e come un’analisi del dibattito storiografico intrecciatosi con le singole proposte teoriche. Filo conduttore la dialettica. Feron, Etienne De l’idée de trascendance à la question du langage: l’itinéraire philosophique de Lévinas J. Millon, Brignoud maggio 1992 pp. 236, FF 115 Un’interpretazione d’assieme del pensiero del filosofo Emmanuel Lévinas attraverso la problematica della fenomenologia del linguaggio. Filodemo Testimonianze su Socrate a cura di Eduardo Acosta Méndez e Anna Angeli Bibliopolis, Napoli giugno 1992 pp. 408 In Filodemo confluiscono da un lato i punti essenziali della critica antisocratica del primo epicureismo, dall’altro le testimonianze di un nuovo aspetto della polemica epicurea verso Socrate, in coincidenza con l’attenuarsi delle posizioni scettiche dell’Accademia. Fink, Eugen Natur, Freiheit, Welt. Philosophie der Erziehung Königshausen & Neumann Würzburg maggio 1992 pp. 210, DM 34 L’autore rivela la dipendenza fra natura, libertà e mondo e mostra gli NOVITA' IN LIBRERIA uomini come qualsiasi altro essere sulla terra, cosa che potrebbe trasformare il soggiorno mondano degli uomini verso una nuova moralità. Fiorentino, Fernando Filosofia religiosa di Leroux ed eclettismo di Cousin Milella, Lecce maggio 1992 pp. 470 Folk, Jacques Ma vérité est-elle la vôtre? De l’âme, de Dieu et de l’homme Nouv. éd. Debresse, 1991 pp. 319, FF 120 Un saggio filosofico sulle componenti dell’anima umana, il ruolo di Dio nei confronti degli uomini e la mentalità degli uomini. Fontenelle, Bernard Le Bovier de Oeuvres complètes Vol. 4 Fayard, Paris maggio 1992 FF 210 Riedizione di un classico nella collana Corpus des oeuvres de philosophie. Franz, Albert Philosophische Religion. Eine Auseinandersetzung mit den Grundlegungsproblemen der Spätphilosophie F. W. J. Schellings Edit. Rodopi, Amsterdam maggio 1992 pp. 372, Dfl 90 Procedendo nel testo si scopre che (e in che modo) la “filosofia puramente razionale” dell’intenzione di Schelling continua e corregge Kant, Fichte e Hegel, superando contemporaneamente la filosofia in una “religione filosofica”. Funke, G. (a cura di) Grundlagen einer transzendentalphilosophischen Systematik. Die geistesgeschichtlichen Grundlagen der unterschiedlichen Entwicklung, die die systematische Philosophie bis heute in Österreich und in Deutschland genommen hat. Steiner, Stuttgart maggio 1992 pp. 105, DM 49 Interventi all’organizzazione generale della Österr. AdW Wien e della AdW d. Wiss. un. Lit. Mainz, 8/9 marzo a Mainz. Galvan, Sergio (a cura di) Forme di razionalità pratica Franco Angeli, Milano settembre 1992 pp. 272, L. 35. 000 La convinzione che si dia una razionalità pratica è condivisa dagli autori dei contributi a questo testo. Più precisamente si riconosce il carattere razionale dell’azione umana: si ammette cioè che l’ambito della prassi sia sottoponibile ad indagine razionale. Tale indagine è inoltre incentrata su una nozione di razionalità tipica della prassi; i suoi metodi e procedimenti, non mutuabili da altri campi di ricerca, sono quindi tenuti a rispettarne la irriducibile peculiarità. Garber, Daniel Descartes’ metaphysical physics University of Chicago Press Chicago giugno 1992 pp. 488, $ 28 In questa prima trattazione avente dimensioni di libro dell’importante e influente filosofia naturale di Descartes, Garber si occupa principalmente delle definizioni di Descartes di materia e moto, il punto di unione tra gli interessi filosofici e scientifici di Descartes. Gaspar, Bernard D. Sous le signe de Yabboq: dieu en duel Nouv. éd. Debresse, 1991 pp. 142, FF 70 Un saggio filosofico che tenta di indicare come incontrarsi con Dio e cerca di definire la natura di questo incontro. Gell, Alfred The anthropology of time. Cultural constructions of temporal maps and images Berg Publishers. Leamington Spa giugno 1992 pp. 256, £ 27,50 Il volume fornisce un’analisi dettagliata delle teorie elaborate da pensatori come Durkheim, Evans-Pritchard, Levi-Strauss, Geertz, Piaget, Husserl e Bourdieu. Gerber, Klaus Zum Bilde Walter Benjamins. Studien - Porträts - Kriterien Fink, München maggio 1992 pp. 250, DM 78 Il libro riunisce trattazioni materiali sull’opera a studi sulla sua ricezione e alcuni saggi nel segno di Benjamin. Giannatiempo Quinzio, Anna L’estetico in Kierkegaard Liguori Editore, Napoli marzo 1992 pp. 197, L. 22. 000 Giard, Luce (a cura di) Michel Foucault: lire l’oeuvre J. Millon, Brignoud maggio 1992 pp. 240, FF 110 Atti degli incontri sull’opera di M. Foucault organizzati il 25 maggio 1991 al centro Sévres. Con gli interventi di storici, psicanalisti e filosofi. Girndt, H. (a cura di) Zeit und Mystik. Der Augenblick im Denken Europas und Asiens Academia-Verlag Sankt Augustin maggio 1992 pp. 132, DM 38 Golomb, Alain (a cura di) Sénèque, Apprendre à vivre: Lettres à Lucilius 2 vol. Arléa, Paris maggio 1992 pp. 143, FF 95 Continua la pubblicazione di queste celebri lettere. Gomez-Muller, Alfredo (a cura di) Aristote, Ethique à Nicomaque LGF, Paris aprile 1992 pp. 447, FF 34 In questa edizione si è conservata la traduzione di Barthélémy Saint-Hilaire, risalente al XIX secolo, accuratamente revisionata, corretta e fornita di numerose varianti. Gräfrath, Bernd John Stuart Mill: Über die Freiheit. Ein einführender Kommentar Schöningh, München maggio 1992 pp. 140, DM 16,80 Grimaldi, Nicolas Le Désir et le temps Vrin, Paris maggio 1992 pp. 507, FF 260 Il filosofo Grimaldi sviluppa qui una fenomenologia del desiderio e un’ontologia del tempo. Gros, Jean-Michel (a cura di) Pierre Bayle, De la tolérance Presses Pocket, Paris maggio 1992 FF 80 Ripubblicato integralmente per la prima volta, a suo tempo questo testo fu uno dei più letti. L’opera di P. Bayle, calvinista convertitosi al cattolicesimo e ritornato in seguito alla fede protestante, è il riflesso di una lotta costante contro i dogmi tradizionali. Grossman, Reinhardt The existence of the world: An introduction to ontology Routledge, London giugno 1992 pp. 152, £ 30 L’autore vede la storia della filosofia occidentale come una grande battaglia fra naturalisti e ontologisti e osserva in dettaglio il dibattito che separa le due fazioni. Grover, Dorothy A prosentential theory of truth Princeton UP Lawrenceville NJ giugno 1992 pp. 264, $ 27,50 La raccolta di scritti dell’autrice sulla teoria presentenziale della verità si appunta sul ruolo grammaticale dei predicati di verità e sostiene che “è vero” è una prosentenza, il cui funzionamento è assai simile a quello di un pronome. Günther, Klaus Der Sinn für Angemessenheit. Anwendungsdiskurse in Moral und Recht Suhrkamp, Frankfurt maggio 1992 pp. 416, DM 28 Il senso dell’adeguatezza non si dimostra solo nel seguire i giusti principi, ma anche nel suo uso imparziale tenendo conto di ogni circostanza. La tesi di questo libro è che quindi non dovremmo rinunciare alla ragion pratica. Gurisatti, Giovanni Scrittura e idea Introduzione alla lettura della Premessa gnoseologica al Dramma barocco tedesco di W. Benjamin Tamoni Ed., Schio settembre 1992 pp. 272, L. 29.000 Questa "Introduzione alla lettura" tenta di rendere praticabile al lettore una via interpretativa che altrimenti, data l'oggettiva difficoltà della scrittura del testo di Benjamin, gli rimarrebbe preclusa. Guyer, P. (a cura di) The Cambridge Companion to Kant Cambridge UP, Cambridge maggio 1992 pp. 496, £ 40 Un gruppo di studiosi kantiani di rinomanza internazionale esplora la rivoluzione concettuale di Kant nell’epistemologia, nella metafisica, nella filosofia della scienza, nella morale e nella filosofia politica, nell’estetica e nella filosofia della religione. Habermas, Jürgen Postmetaphysical thinking: Between metaphysics and the criitique of reason Polity Press, giugno 1992 pp. 200, £ 29,50 Il libro considera la natura e il futuro della filosofia in un’età post-metafisica. Nella prima parte, Habermas esamina l’eredità kantiana e valuta alcuni recenti tentativi di ritornare ai modi metafisici del pensiero. Nella seconda parte sviluppa e difende i concetti di ragione comunicativa. Habermas, Jürgen Nachmetaphysisches Denken. Philosophische Aussätze Suhrkamp, Frankfurt/M. giugno 1992 pp. 288, DM 20 Haldane, Elizabeth S. Descartes (1905): His life and times Thoemmes Press, giugno 1992 pp. 422, £ 48 Uno studio biografico della vita di Descartes. Halfwassen, Jens Der Aufstieg zum Einen. Untersuchungen zu Platon und Plotin Teubner, Stuttgart maggio 1992 pp. 422, DM 88 Harrington, A. (a cura di) So human a brain. Knowledge and values in the neurosciences Birkhäuser, Basel maggio 1992 pp. 336, DM 148 Questo libro avvicina neuroscienziati e studiosi di etica, sociologi e storici della scienza per esplorare il modo in cui la moderna scienza neurologica ha cambiato la nostra conoscenza di ciò che significa essere un umano e come le differenti comunità di studiosi concepiscono lo status epistemologico ed etico di queste mutate concezioni. Harris, E. Errol Cosmos and theos: Ethical and theological implications of the anthropic cosmological principle Humanities Press International giugno 1992 pp. 232, £ 27,95 Il libro cerca di dimostrare l’impatto sulle dottrine sociali, etiche e teologi- NOVITA' IN LIBRERIA che della rivoluzione scientifica del XX secolo, in particolare il Principio cosmologico antropico, uno sviluppo di enorme portata della fisica contemporanea che ha implicazioni filosofiche immensamente importanti. Harris, Errol E. Spinoza’s philosophy: An outline Humanities Press International giugno 1992 pp. 128, £ 9,95 Il libro vuole fornire una presentazione breve e semplificata delle maggiori branche della filosofia di Spinoza per chi si avvicina allo studio di questo grande filosofo del XVII secolo. I termini tecnici sono spiegati chiaramente o evitati del tutto e le idee di Spinoza vengono esposte in un linguaggio piano. Harvey, E. D. - Okruhlik. K. (a cura di) Women and reason University of Michigan Press Ann Arbor MI giugno 1992 pp. 296, $ 33 Filosofi, filosofi della scienza, storici, critici letterari, storici dell’arte e teorici della cultura affrontano l’idea di ragione e il modo in cui ha influenzato il nostro concetto di femminile a partire dal XVII secolo, il periodo in cui molti vedono la nascita della moderna idea di razionalità, fino al presente. Hecht, Helmut Gottfried Wilhelm Leibniz. Mathematik und Naturwissenschft im Paradigma der Metaphysik B. G. Teubner, Stuttgart maggio 1992 pp. 136, DM 19,80 Al centro ci sono matematica, scienza naturale e tecnica, che in Leibniz sono sempre ancorate metafisicamente e legate alla teoria della scienza. Heidegger, Martin Kunst - Politik - Technik W. Fink, München maggio 1992 pp. 328, DM 88 I. Kunst und Philosophie. II. Philosophische Politik - Politische Philosophie? III. Theologie, Geschichte und Technik. Heidegger, Martin Concetti fondamentali della metafisica. Mondo, finitezza, solitudine a cura di F. W. von Herrmann Il Melangolo, Genova giugno 1992 pp. 495, L. 60. 000 Il corso tenuto da Heidegger a Friburgo nel semestre invernale ’29-30. Heidegger, Martin Sejours Aufenthalte Trad. François Vezin Rocher, Paris aprile 1992 pp. 128, FF 120 Il viaggio che forma la trama di questo testo si è svolto nel 1962 fra Venezia e Delfi. La poesia e la filosofia greche, in particolare di Eraclito, occupano il pensiero del filosofo, che produce una riflessione sul mondo attuale e sulla tecnica. Heidegger, Martin Gadamer, Hans-Georg Intérpretations phénoménologiques d’Aristote; Un Ecrit théologique de jeunesse de Heidegger TER, Tolous maggio 1992 pp. 118, FF 69 Redatto nell’autunno del 1922, su richiesta di P. Natorp, questo breve manoscritto segna una pietra miliare sul cammino che conduce a Essere e tempo. Heidegger ci presenta, in un abbozzo assai denso e spesso ellittico, i primi risultati di una nuova interpretazione di Aristotele. Heinekamp, H. - Robinet, A. (a cura di) Leibniz, le meilleur des mondes. Tavola rotonda Domaine de Seillac (Loir-et-Cher) giugno 1990. Steiner, Stuttgart maggio 1992 pp. 295, DM 78 Organizzato dal Centre National de la Recherche Scientifique, Paris/Gottfried-Wilhelm-Leibniz Gesellschaft, Hannover. Heinzmann, Richard Thomas von Aquin. Eine Einführung in sein Denken. Mit ausgewählten lateinisch-deutschen Texten Kohlhammer, Stuttgart giugno 1992 pp. 300, DM 34 L’interesse di questa introduzione si fonda interamente sulla sua idea filosofica fondamentale, sulla filosofia dell’ascesa del mondo a Dio. I testi latino-tedeschi sono scelti in modo tale che si possa seguire questo svelamento del pensiero fondamentale nell’opera di Tommaso. Henckmann, W. - Lotter, K. Lexikon der Ästhetik C. H. Beck, München giugno 1992 pp. 270, DM 24 Con i suoi già oltre 300 lemmi il Lessico dell’estetica è il primo ampio lessico specialistico in lingua tedesca da 150 anni in qua, e presenta tutti i concetti basilari dell’estetica classica e di quella moderna. Hentschel, Rüdiger Sache selbst und Nichtdenkungsgedanke. Husserls phänomenologische Region bei Schreber, Adorno und Derrida Turia und Kant, Wien maggio 1992 pp. 180, DM 29 Herder, Gottfried Johann Idee per la filosofia della storia dell’umanità a cura di Valerio Verra Laterza, Bari luglio 1992 pp. 390, L. 56. 000 L’opera più significativa del pensiero di Herder in una seconda edizione riveduta nella traduzione e nelle note ed ampliata nella Nota bibliografica. Herder, Johann Gottfried Dio. Dialoghi sulla filosofia di Spinoza Franco Angeli, Milano settembre 1992 pp. 224, L. 28. 000 In quest’opera, per la prima volta tradotta in italiano, J. G. Herder esprime la sua convinzione profonda nell’unità dell’intera natura e nella sua intrinseca necessità. Herder unisce alla concezione spinoziana dell’unicità della sostanza la dinamicità propria della speculazione di Leibniz e la visione armonica di Shaftesbury. La sua ferma presa di posizione a favore del pensiero di Spinoza si inserisce con rilievo e significato all’interno del dibattito filosofico dell’epoca. Herdina, Ph. M. (a cura di) Methodenfragen der Geisteswissenschaften Inst. f. Sprachwiss. Innsbruck giugno 1992 pp. 330, ÖS 640 Heyd, David Genethics. Moral issues in the creation of people University of California Press Berkeley giugno 1992 pp. 290, $ 54 Genethics è la prima esposizione sistematica dei principi morali in grado di guidare le nostre decisioni sull’esistenza, sul numero e sull’identità della popolazione futura. Höffe, O. (a cura di) Einführung in die utilitaristische Ethik. Klassische und zeitgenössische Texte Francke, Tübingen maggio 1992 pp. 250, DM 26,80 Hollis, M. - Vossenkuhl, W. (a cura di) Moralische Entscheidung und rationale Wahl Oldenbourg, München giugno 1992 pp. 221, DM 98 Interventi su razionalità economica, teoria della scelta razionale e interdipendenza fra razionalità economica e morale. Honnefelder, L. (a cura di) Natur als Gegenstand der Wissenschften Karl Alber, Freiburg i. Br. maggio 1992 pp. 300, DM 78 Il libro tratta di possibilità e senso del discorso scientifico sulla natura; uno dei punti di maggiore interesse è la domanda sulla natura come istanza di orientamento. I vari saggi partono in generale da un’ipotesi: la natura si mostra solo come tale, mentre noi ci poniamo nei suoi confronti in un rapporto riflesso vitalistico o scientifico. Honnefelder, L. (a cura di) Sittliche Lebensform und praktische Vernunft Schöningh, Paderborn maggio 1992 pp. 180, DM 32 Honneth, Axel McCarthy, Thomas-Offe, Claus Wellmer, Albrecht (a cura di) Philosophical interventions in the unfinished project of enlightenment The MIT Press, giugno 1992 pp. 368, £ 15,95 Questi undici saggi di filosofi e teorici sociali riprendono gli aspetti filosofici dell’incompiuto progetto di Jürgen Habermas di ricostruzione della razionalità illuministica. Nell’ambito di questa materia, spaziano dai problemi classici ai dibattiti contemporanei. Inness, Julie Privacy, intimacy, and isolation Oxford University Press USA giugno 1992 pp. 192, $ 20 Un trattato che definisce una nuova teoria sulla natura e il valore della privacy, centrato sul concetto di intimità. Inwood, Michael A Hegel dictionary Blackwell Publishing Oxford giugno 1992 pp. 260, £ 37,50 Il volume esamina il pensiero di Hegel attraverso voci ordinate alfabeticamente che ne esplorano la terminologia. Concentrando l’attenzione su 100 termini chiave, da “assoluto” a “volontà”, si esamina l’etimologia e lo sviluppo dei termini di Hegel, sia nelle parole tedesche che nella loro traduzione inglese, greca e latina. Irrgang, Bernhard Christliche Umweltethik. Eine Einführung Reinhardt, München maggio 1992 pp. 350, DM 39,80 Jacob, Alexander De naturae natura. A study of idealistic conceptions of nature and the unconscious Steiner, Stuttgart giugno 1992 pp. 180, DM 64 Jacobi, Friedrich Heinrich Scritti kantiani a cura di Giuliano Sansonetti Morcelliana, Brescia maggio 1992 pp. 165, L. 22. 000 Dall’analisi critica del testo kantiano Jacobi trae da un lato la grandezza del pensiero di Kant, dall’altro le inaggirabili aporie da cui prendere le mosse per evidenziare i concetti di fede, credenza, ragione. Jeffrey, Richard Probability and the art of judgement Cambridge University Press giugno 1992 pp. 264, £ 10,95 Questa raccolta di saggi sulla teoria della decisione e sulla teoria della conoscenza attraversa un periodo di circa 35 anni e comprende alcune di quelle che sono diventate opere classiche del campo. C’è anche uno scritto completamente nuovo, e in molti casi l’autore aggiunge riflessioni ulteriori a vecchi saggi. Jegelka, Norbert Paul Natorp. Philosophie Pädagogik - Politik Königshausen & Neumann NOVITA' IN LIBRERIA Würzburg maggio 1992 pp. 370, DM 98 questa la domanda centrale nell’indagine sulla fede di Anthony Kenny. Jouary, Jean-Paul (a cura di) Diderot et la matière vivante Messidor Ed. sociales, maggio 1992 pp. 200, FF 90 Nel mezzo di quali contraddizioni Diderot, in pieno XVIII secolo, ha dovuto elaborare una concezione materialista del vivente. Una raccolta di testi sparsi nell’opera del filosofo che cerca di cogliere la coerenza del suo percorso. Kirscher, Gilbert Figures de la violence et de la modernité: essais sur la philosophie d’Eric Weil Presses Universitaires de Lille giugno 1992 pp. 291, FF 150 L’opera di E. Weil è una delle più attuali, in quanto rivolta a ciò che sorge nel cuore della modernità e la scuote dalle fondamenta: la violenza estrema che si è tentati di dire impensabile. Kahan, Alan Aristocratic liberalism: The social and political theought of Jacob Burckhardt, John Stuart Mill and Alexis de Tocqueville Oxford University Press Inc Oxford giugno 1992 pp. 240, £ 35 Il trattato riunisce in una singola tradizione intellettuale e ideologica tre filosofi del XIX secolo, identificando i punti di contatto nel loro pensiero. L’autore cerca anche di correggere i principali fraintendimenti sul liberalismo del XIX secolo. Kannheiser, Werner Handeln, Erleben und Emotionen in der Arbeit. Eine integrierende Betrachtung Quintessenz, München maggio 1992 pp. 240, DM 78 Kant, Immanuel Dreams of a spirit-seer (1900) A cura di Frank Sewall Thoemmes Press, giugno 1992 pp. 176, £ 12,99 I “Sogni di un visionario” (1766) appartengono all’opera precritica di Kant. Si tratta di una critica piena di spirito rivolta principalmente ai filosofi suoi contemporanei, che fa di Swedenborg il bersaglio ad hoc dei suoi strali. Kant, Immanuel Perpetual peace (1903): Aphilosophical essay Thoemmes Press, giugno 1992 pp. 218, £ 12,99 Il famoso saggio di Kant fornisce una base per un pacifismo pratico e prefigura una lega mondiale delle nazioni. Questa riedizione della traduzione inglese del 1903 contiene anche un’introduzione di cento pagine e diverse appendici. Kemper, Adolf Von den Gründen der menschlichen Erkenntnis zum Urgrund des Sein. Die philosophischen Schriften des Münsterländer Arztes Johan Anton Brüning Lit, Münster giugno 1992 pp. 156, DM 38 Kenny, Anthony What is faith? Essays on the philosophy of religion Oxford Paperbacks, giugno 1992 pp. 160, £ 5,99 Può la fede in Dio essere uno stato mentale ragionevole e razionale? E' Klenpointner, Manfred Alltagslogik. Struktur und Funktion von Argumentationsmustern Fromman-Holzbog Stuttgart maggio 1992 pp. 490, DM 148 Krumpel, Heinz Philosophie in Lateinamerika. Grundzüge ihrer Entwicklung Akad. -Vlg, Berlin giugno 1992 pp. 398, DM 48 Kubovy, Michael La freccia nell’occhio. Psicologia della prospettiva ed arte rinascimentale a cura di Manfredo Massironi Fr. Muzzio Ed., Padova maggio 1992 pp. 233, L. 36. 000 L’autore, psicologo sperimentale, racconta dettagliatamente la vivace e movimentata storia dell’invenzione della prospettiva nel XV secolo, mostrando come essa sia stata usata per raggiungere ingegnosi ed affascinanti effetti estetici. Knoppe, Thomas Die theoretische Philosophie Ernst Cassirers. Zu den Grundlagen transzendentaler Wissenschafts- und Kulturtheorie Meiner, Hamburg maggio 1992 pp. 176, DM 48 Questa presentazione sistematica dei fondamenti teoretici della filosofia di Ernst Cassirer si raccomanda come chiave per la comprensione e l’adeguata interpretazione delle opere complete. Küppers, Bernd-Olav Natur als Organismus. Schellings Naturphilosophie und ihre Bedeutung für die moderne Biologie Klostermann, Frankfurt a. M. giugno 1992 pp. 160, DM 38 La presunta attualità della filosofia della natura di Schelling si rivela un’ottica illusoria, che sostanzialmente è riconducibile a un gioco acritico fra concetto e analogia, per il quale d’altra parte, come aveva già giustamente notato Ernst Bloch, lo stesso Schelling ha fornito il modello. Kögler, Hans-H. Die Macht des Dialogs. Kritische Hermeneutik nach Gadamer, Foucault und Rorty J. B. Metzler, Stuttgart maggio 1992 pp. 288, DM 48 Kögler accosta le figure emergenti di tre diverse tradizioni occidentali, per seguire le istanze storiche e culturali del pensiero straniero. Labre, Chantal (a cura di) Lucrèce, La Nature des choses De rerum natura Arléa, Paris aprile 1992 pp. 329, FF 130 Quest’opera, uno dei grandi libri dell’umanità, inaugura al di là di ogni ambizione strettamente scientifica, una morale del materialismo, una morale del vivente, della sua fragilità, e una morale del sentimento. Körner, Un. (a cura di) Ethik der menschlichen Fortplanzung Enke, Stuttgart giugno 1992 pp. 328, DM 48 I 19 autori dai loro rispettivi campi di interesse esprimono prese di posizione impegnate sulla fondamentale riflessione etica riguardo responsabilità umana, solidarietà, libertà di coscienza e autodeterminazione. Lacharité, Normand Sémantisme et répresentation Université du Québec, giugno 1992 pp. 177, FF 120 Tre testi che si inscrivono fra le ricerche contemporanee sulla scienza cognitiva e si occupano, per strade differenti, della natura della rappresentazione. Koslowski, P. (a cura di) Neuere Entwicklungen in der Wirtschaftsethik und Wirtschaftsphilosophie Springer, Berlin giugno 1992 pp. 290, DM 98 I diversi contributi informano ampiamente sugli ultimi stadi del dibattito sui fondamenti dell’etica dell’economia e delle imprese e sullo sforzo di integrazione di teoria etica ed economica. Koslowski, P. (a cura di) Russische Religionsphilosophie und Gnosis. Philosophie nach dem Ende des Marxismus Bernward, Hildesheim giugno 1992 pp. 144, DM 28 Landolt, Eduard Systematischer Index zu Werken Heideggers. Was ist das die Philosophie? Identität und Differenz, Gelassenheit Winter, Heidelberg maggio 1992 pp. 319, DM 80 Lang, H. - Weiß, H. (a cura di) Interdisziplinäre Anthropologie Königshausen & Neumann Würzburg maggio 1992 pp. 180, DM 36 Il volume raccoglie i contributi del congresso svoltosi dal 30/11 all’1/12 1990 all’Università di Würzburg. Dal punto di vista della propria specialità, filosofi, medici, psicologi e psicana- listi si confrontano con il significato e la portata attuale dell’impostazione antropologica. Laurenti, Renato Introduzione alla Politica di Aristotele Ist. Ital. per gli Studi Filosofici Napoli gennaio 1992 pp. 158, L. 32. 000 Leinsle, Ulrich G. Vom Umgang mit Dingen. Ontologie im dialogischen Konstruktivismus Marco-Verlag, Augsburg maggio 1992 pp. 300, DM 29,80 Lemaire, Jacques (a cura di) La Pensée et les hommes, n. 20 Montaigne et la révolution philosophique du XVI siècle Ed. de l’univerité de Bruxelles giugno 1992 pp. 168, FF 91 Come il nostro secolo, l’epoca di Montaigne ha generato scoperte essenziali e crimini abominevoli, ha prodotto uno sviluppo intellettuale e culturale degno di ammirazione, ma anche ragioni per dubitare dell’umanità dell’uomo. Leroux, Robert (a cura di) Friedrich von Schiller: Lettre sur l’éducation esthétique de l’homme Aubier, Paris aprile 1992 pp. 373, FF 125 In quest’opera, apparsa nel 1795, Schiller si sforza di dimostrare che le considerazioni estetiche possono aiutare la riforma dello Stato e contribuire alla felicità dell’umanità. Liesenfeld, Cornelia Philosophische Weltbilder des 20. Jahrhunderts. Eine interdisziplinäre Studie zu Max Planck und Werner Heisenberg Königshausen & Neumann Würzburg maggio 1992 pp. 288, DM 58 Il testo dibatte a livello storico e sistematico la collocazione intellettuale della filosofia kantiana nella visione del mondo di Planck, di quella platonica in Heisenberg e di quella spinoziana in Einstein. Lloyd, S. A. Ideals as interests in Hobbes’s ”Leviathan”. The power of mind over matter Cambridge University Press maggio 1992 pp. 432, £ 40 Quest’opera propone un’interpretazione radicalmente nuova del “Leviathan” dei Hobbes, la quale dimostra come gli interessi trascendenti, interessi che vanno al di là del timore della morte, siano centrali nell’analisi del disordine sociale hobbesiana, nonché nei rimedi proposti. Lolli, Gabriele Cos’è la logica matematica? Fr. Muzzio Ed., Padova giugno 1992 pp. 161, L. 28. 000 NOVITA' IN LIBRERIA Un contributo alla chiarificazione della natura e della portata della “filosofia della logica”. Loraux, Patrice - Richir, Marc Tassin, Etienne (a cura di) Maurice Merleau-Ponty phénoménologie et expériences J. Millon, Brignour aprile 1992 pp. 256, FF 125 I testi degli incontri al Collège International de Philosophie dell’ottobre 1991. Löwy, Michaël - Sayre, Robert Révolte et mélancolie: le romantisme à contre-courant de la modernité Payot, Paris aprile 1992 pp. 304, FF 180 Al lume della rivolta e della melanconia la visione del mondo romantica appare come un’opposizione polimorfa alla civiltà moderna generata dalla rivoluzione industriale e dalla nascita dell’economia di mercato. Majetschak, Stefan Die Logik des Absoluten. Spekulation und Zeitlichkeit in der Philosophie Hegels Akad. -Vlg., Berlin giugno 1992 pp. 358, DM 84 Malebranche, Nicolas de Recherche de la vérité Galerie de la Sorbonne Paris aprile 1992 pp. 966, FF 200 Esiste in noi un’intelligenza che, essendo un’eco dell’intenzione divina, ci permette di accedere alla conoscenza del reale. Tanta insistenza di Malebranche, che affermava la superiorità della certezza intellettuale sulla fede, sulla convergenza fra la teologia e la filosofia, gli valse numerose critiche da parte dei suoi contemporanei. Manning, Rita C. Speaking from the heart: A feminist perspective on ethics Rowman & Littlefield, giugno 1992 pp. 224, £ 11,95 Il volume vuole essere un saggio originale e ambizioso della pratica morale e dell’intuizione morale che vengono suscitate da un impegno per un’etica della cura. Così facendo, la Manning tenta una sfida al sapere ricevuto nel campo della filosofia morale. Mansfeld, Jaap Heresiography in context. Hippolytus’ “Elenchos” as a source for Greek philosophy Brill, Leiden/Köln giugno 1992 pp. 380, Dfl 170 Manzoni, Claudio Il “Cattolicesimo illuminato” in Italia tra cartesianesimo, leibnizismo e newtonismo-lockismo nel primo Settecento (1700-1750) LINT, Trieste maggio 1992 pp. 114, L. 16. 850 Note di ricerca sulla recente storiografia. Mazzocut-Mis, Maddalena Mostro. L’anomalia e il deforme nella natura e nell’arte Guerini e Ass., Milano aprile 1992 pp. 164, L. 26. 000 A partire dal XIX secolo il "mostro” cessa di evocare mistero e terrore per acquistare nuovo significato e porsi al centro dell’arte e delle speculazioni dei filosofi della natura. Esso diventa quindi la manifestazione del potere vitale dei corpi viventi, la vita stessa che pulsa e che si trasforma. McGrade, A. S. (a cura di) William of Ockham: A short discourse on tyrannical government Cambridge University Press giugno 1992 pp. 256 Una valutazione della posizione del pensatore medievale Guglielmo d’Occam sui rapporti della suprema autorità spirituale, rappresentata dal papa, con l’autorità secolare autonoma rivendicata dall’impero medievale e con gli stati nazionali emergenti in Europa. McHenry, Leemon B. Whitehead and Bradley. A comparative analysis State University of New York Pr. Alabny NY giugno 1992 pp. 192, $ 15 Nella sua magnum opus “Process and Reality”, Alfred North Whitehead dichiara una particolare affinità con il filosofo oxfordiano Francis Herbert Bradley. McHenry chiarisce esattamente quanto la metafisica di Whitehead ne sia influenzata e si accordi con i principi fondamentali dell’ ”idealismo assoluto” di Bradley. McInerny, Ralph Aquinas on human action: A theory of practice Catholic Univer. of America Press giugno 1992 pp. 260, £ 31,95 Il volume presenta il carattere sistematico e unificato della teoria dell’atto morale dell’Aquinate, nelle sue relazioni con le azioni umane. Concentrandosi sulla “Summa theologiae”, McInerny sostiene che la teoria dell’azione morale dell’Aquinate è all’altezza dei bisogni contemporanei e continua a essere adeguata contro ogni critica contemporanea. McKirahan, Richard D. Jr Priciples and proofs: Aristotle’s theory of demonstrative science Princeton University Press giugno 1992 pp. 356, £ 35 Studiando gli “Analitici secondi” e i testi aristotelici correlati, l’autore ricostruisce la teoria di Aristotele dell’ ”episteme”, la scienza. Il suo proponimento è di interpretare gli “Analitici secondi” simpateticamente, seguendo la traccia del testo invece che imporgli una cornice contemporanea. McLarty, Colin Elementary categories, elementary toposes Oxford University Press, giugno 1992 pp. 280, £ 45 Introduzione alle categorie e ai topos elementari che necessitano di scarsa conoscenza matematica. Si definiscono i concetti chiave e si danno dimostrazioni elementari ma complete di teoremi. Il libro si conclude con descrizioni topiche teoretiche di insiemi, di geometria differenziale di base e di analisi ricorsiva. Meißner, Walter Wie tot ist Schrödingers Katze? Vom Platonismus der modernen Physik B. I. -Wiss. Vlg., Mannheim giugno 1992 pp. 350, DM 39 Trattazione delle lezioni sulla teoria della conoscenza dalla teoria generale della relatività alla meccanica quantistica. Sviluppo di una nuova impostazione per mezzo della fisica dell’effetto. Mensching, Günther Das Allgemeine und das Besondere. Der Ursprung des modernen Denkens im Mittelalter J. B. Metzler, Stuttgart maggio 1992 pp. 312, DM 78 Mensching ci offre una ricostruzione completa della nascita del soggetto moderno nel pensiero medievale. Sulla base di aspre contese durate quasi un millennio sugli “universali”, riesce a dimostrare come i problemi sociali si infiltrano in dispute teologiche apparentemente lontane dal mondo. Méridier, Louis (a cura di) Platon: Ion, Ménexène, Euthydème Gallimard, Paris maggio 1992 pp. 177, FF 55 In questi dialoghi Platone affronta il problema dell’arte, della poesia e del linguaggio. Il volume contiene anche il Cratilo. Mertens, Gerhard Kluxen, Wolfgang Mikat, Paul (a cura di) Markierungen der Humanität. Sozialethische Herausforderungen auf dem Weg in ein neues Jahrtausend Zum 65. Geburstag von Wilhelm Korff. Schöningh, Paderborn maggio 1992 pp. 409, DM 78 Meunier, Mario Poirier, Jean-Louis (a cura di) Platon, Le Banquet Presses-Pocket, Paris giugno 1992 pp. 234, FF 36 Un’introduzione generale analizza le difficoltà di questo testo, una raccolta di commenti ne testimonia l’importanza. Meyer, Manfred Leiblichkeit und Konvention. Struktur und Aporien der Wissenschaftsbegründung bei Hobbes und Poincaré Karl Alber Freiburg i. Br. giugno 1992 pp. 300, DM 78 Il tentativo di Hobbes di compensare con il potere dell’ordinamento arbitrario dell’uomo il perduto ordine originario finisce in una dialettica incompiuta fra potere e stato di fatto, che affligge in modo analogo anche il convenzionalismo geometrico di Poincaré. Mill, John Stuart Essays on some unsettled questions of political economy (1844) Theommes Press, giugno 1992 pp. 172, £ 12,99 I cinque saggi qui riuniti rappresentano il primo pensiero di Mill su questioni economiche e furono composti originariamente nel 1829 e nel 1830, prima che l’autore si affermasse con la pubblicazione della “Logica”, nel 1843. Miller, Richard W. Moral differences: Truth, Justice and conscience in a world of conflict Princeton University Press giugno 1992 pp. 416, £ 12,95 Addentrandosi in molti campi filosofici e delle scienze sociali, Miller presenta un resoconto del nostro accesso alla verità morale e all’interno di questa cornice sviluppa una teoria della giustizia e un’affermazione del ruolo della moralità nella scelta razionale. Milner, Jean-Claude Constat Verdier, Paris giugno 1992 pp. 67, FF 65 Un saggio sulla rivoluzione: è compatibile con il pensiero? E il pensiero richiede sottomissione? Minazzi, Fabio Alla ricerca del Képos. Considerazioni inattuali sui Seminari Varesini di Filosofia e gli immediati dintorni civili (Varese 1979-1985) prefazione di Ludovico Geymonat Editrice Magenta, Varese maggio 1992 pp. 156 Il libro ricostruisce le complesse vicende che hanno portato alla nascita prima ed alla scomparsa poi dei Seminari Varesini di Filosofia che hanno rappresentato una novità di rilievo nella vita culturale e civile della città. Misrahi, Robert Spinoza Grancher, maggio 1992 pp. 200, FF 69 Il volume dimostra come la filosofia della totalità di Spinoza poggia su una dottrina del desiderio per divenire un’etica della libertà e della gioia. Mohanty, Jitendra Nath Reason and tradition in Indian thought. An essay on the nature of Indian philosophical thinking Clarendon Press, Oxford giugno 1992 NOVITA' IN LIBRERIA pp. 320, £ 37,50 Il volume esplora il pensiero indiano attraverso i concetti fondamentali che vi sono sottesi. Fra i concetti discussi, coscienza e soggettività, linguaggio e significato, logica e verità. Per agevolare l’interpretazione, si applicano prospettive delle moderne filosofie analitiche e fenomenologiche occidentali. Moritz, Peter Kritik des Paradigmenwechsels. Mit Horkheimer gegen Habermas zu Klampen, Lüneburg giugno 1992 pp. 178, DM 28 Moulier, Yann Louis Althusser: une biographie Grasset, Paris maggio 1992 pp. 509, FF 175 Vecchio allievo della Scuola Normale superiore, a tal titolo Y. Moulier ha frequentato per lungo tempo Althusser. La presente biografia fu iniziata quattro anni fa con il beneplacito di Althusser e della sua cerchia. Il primo volume arriva fino al 1959 ma si apre sull’assassinio di Hélène, moglie del filosofo; tutto il resto viene costruito come un flash-back. Muirhead, John H. Coleridge as philosopher (1930) Thoemmes Press, giugno 1992 pp. 288, £ 40 Pubblicato per la prima volta nel 1930, il libro è una presentazione di Muirhead e un’analisi della dottrina filosofica di Coleridge. L’autore dimostra che, come filosofo, Coleridge ha conservato forti spunti di pensiero originale e che il suo sistema filosofico è molto più coerente di quanto si ritenesse in passato. Muirhead, John H. Tha platonic tradition in anglo-saxon philosophy (1931): Studies in the history of idealism in England and America Thoemmes Press, giugno 1992 pp. 438, £ 44 Una storia dell’idealismo britannico, pubblicata per la prima volta nel 1931. Muller, Philippe Tout ce que ta main. . . Age d’homme, Losanna maggio 1992 pp. 164, FF 120 La filosofia non è solo una rete di enunciati più o meno astratti che rendono conto del mondo e della realtà umana. E' anche l’itinerario di una coscienza alla ricerca di sé. Müller, Severin Phänomenologie und philosophische Theorie der Arbeit. Band I: Lebenswelt Natur - Sinnlichkeit Karl Alber, Freiburg i. Br. maggio 1992 pp. 490, DM 98 Il libro costituisce il primo volume di un’analisi fenomenologica e filosofica del lavoro moderno, nella sua storia dei significati e degli orientamenti. Münch, Dieter Intention und Zeichen. Untersuchungen zu Franz Brentano und zu Edmund Husserls Frühwerk Philosophia Verlag München maggio 1992 pp. 232, DM 89 O’Rourke, Fran Pseudo-Dionysius and the netaphysics of Aquinas Brill, Leiden/Köln giugno 1992 pp. 300, Dfl 140 Nabert, Jean Eléments pour une éthique Aubier, Paris maggio 1992 pp. 221, FF 120 Una tesi cara all’autore: la riflessione è desiderio, che non cerca un punto di partenza radicale, poiché tutto è già stato provato sul registro del sentimento, ma resta da comprendere. Oberschelp, Arnold Logik für Philosophen B. I. -Wiss. Vlg., Mannheim giugno 1992 pp. 200, DM 29,80 Introduzione alla logica centrata sui seguenti punti: logica del messaggio, logica del predicato, logica di classe e logica modale. Nagl, Ludwig Charles Sanders Peirce Campus, Frankfurt/M. giugno 1992 pp. 140, DM 17,80 L’introduzione di Nagl si accosta ai concetti fondamentali della teoria dei segni di Peirce e dimostra in che senso il suo pragmatismo, la teoria delle categorie, la teoria della scienza e la filosofia speculativa dell’evoluzione vadano messe in relazione al concetto di semiosi, il processo continuo di rimando dei segni. Olson, Alan M. Hegel and the spirit: Philosophy as pneumatology Princeton University Press giugno 1992 pp. 240, £ 17,50 Il testo esplora il significato della grande categoria filosofica di Hegel, quella di “Geist”, per mezzo di quella che Olson definisce una tesi pneumatologica. Egli sostiene che lo sviluppo di Hegel di una filosofia come pneumatologia trae origine da una valutazione della comprensione dialettica dello spirito di Lutero. Nancy, Jean-Luc Corpus A. -M. Métailié, maggio 1992 pp. 112, FF 80 Allontanandosi dalla filosofia tradizionale, l’autore porta qui la riflessione di un uomo (che ha subito un trapianto di cuore) sul corpo come limite del pensiero. Dopo il suo ultimo libro (Une pensée finie, Galilée 1991) pratica una messa in prospettiva della metafisica e della religione in rapporto al corpo. Negri, Antimo Giovanni Gentile Edizioni dell’Arcipelago Genova gennaio 1992 pp. 95, L. 20. 000 Neumann, Walter G. Praxiskritik J. Habermas’ ”Erkenntnis und Interesse” Haag & Herchen Frankfurt/M. maggio 1992 pp. 152, DM 24,80 Nickl, Peter Jacques Maritain. Eine Einführung in Leben und Werk Schöningh, Paderborn giugno 1992 pp. 160, DM 36 Nisters, Thomas Akzidentien der Praxis. Thomas von Aquins Lehre von den Umständen menschlichen Handelns Karl Alber, Freiburg maggio 1992 pp. 190, DM 58 In genere, gli uomini si trovano davanti situazioni irripetibili. Filosofia morale, giurisprudenza e teologia morale si eclissano alla generalità contingente, non appena non tengano conto di questa singolarità delle circostanze. La teoria morale di Tommaso d’Aquino in modo ineguagliabile trasforma questa particolarità in una prassi umana. Otto, M. A. C. Der Ort. Phänomenologische Variationen Karl Alber, Freiburg i. Br. giugno 1992 pp. 170, DM 48 Il luogo, che fa dell’esserci un esserequi, si frappone al tempo di quello: il momento nel luogo ha il carattere di un’eternità infinita. Si discute il mezzo dell’esserci, il corpo, in una trattazione di mezzo e fine, con un occhio al secondo imperativo categorico di Kant. Otto, Stephan Rekonstruktion der Geschichte. Zur Kritik der historischen Vernunft. Zweiter Teil: Systematische Ausarbeitung W. Fink, München maggio 1992 pp. 336, DM 88 Otto ci presenta un inventario delle contraddizioni nella critica della ragione storica, per elaborare un fondamento filosofico-metodologico della disciplina della storia dello spirito. Ottonello, Pier Paolo L’enciclopedia di Rosmini Japadre Editore, L’Aquila marzo 1992 pp. 172 Una serie di saggi che sottolineano importanti aspetti dell’opera di Rosmini. Ouaknin, Marc-Alain Méditations érotiques Balland, Paris giugno 1992 pp. 150, FF 85 Partendo da un’interpretazione dell’opera di Emmanuel Lévinas, l’autore delinea un’etica che non è più solo una branca della filosofia, ma una filosofia a pieno titolo. Pasqualotto, Giangiorgio Estetica del vuoto Marsilio Ed., Venezia settembre 1992 pp. 168, L. 28. 000 Questa ricerca ci invita a rintracciare le cause dell’impressione di smarrimento e di disagio in cui si trova spesso l’osservatore occidentale che si imbatte nelle forme d’arte della Cina e del Giappone; queste cause le troviamo non solo nella differenza storica e teorica delle culture orientali, ma nella loro esperienza vissuta: nell’esperienza del vuoto. Patar, Benoit (a cura di) Jean Buridan, Le Traité de l’âme: de prima lectura Institut supérieur de philosophie maggio 1991 pp. 891, FF 834 Quando Buridano comincia la propria carriera universitaria, verso il 1320, i filosofi si interessano particolarmente alle questioni psicologiche e al De Anima di Aristotele. B: Patar presenta un’edizione critica delle due opere maggiori di Buridano: Expositio de anima e Quaestiones de anima, ricollocandole in questa prospettiva. Peirce, Charles Sanders Categorie a cura di Rossella Fabbrichesi Leo Laterza, Bari luglio 1992 pp. 158, L. 29. 000 Un’antologia che raccoglie i testi più significativi, e nella maggior parte mai tradotti in italiano o inediti, che il filosofo americano ha dedicato al problema delle categorie. Pietsch, Christian Prinzipienfindung bei Aristoteles. Methoden und erkenntnistheoretische Grundlagen Teubner, Stuttgart maggio 1992 pp. 359, DM 78 Pinset, H. David Vacanze con Wittgenstein Pagine di diario Bollati Boringhieri Torino settembre 1992 pp. 160, L. 18. 000 Studente a Cambridge, dove era andato per seguire le lezioni di Bertrand Russell, Wittgenstein - poco più che ventenne - incontra nel 1912 David Pinset. Ne nascono una frequentazione assidua e una certa complicità intellettuale a tal punto che Wittgenstein dedicherà a lui, che definisce “il mio primo ed unico amico”, il Tractaus logico-philosophuicus. Pouivet, Roger Lire Goodman: les voies de la référence Eclat, Paris aprile 1992 pp. 180, FF 80 L’opera di Nelson Goodman, che in Francia si comincia ora a conoscere, costituisce qui oggetto di discussioni e di applicazioni. Alcuni filosofi analizzano le questioni dell’estetica, del rituale, del rapporto dell’arte e della scienza con la comprensione. Una nuova raccolta che si propone di presentare l’opera di un filosofo contemporaneo. NOVITA' IN LIBRERIA Pourtalès, Guy de Calame, Christophe Nietzsche en Italie; L’Europe des grands pianos Age d’homme, Losanna maggio 1992 pp. 124, FF 40 Troppo spesso si ricorda l’episodio torinese di Nietzsche quando, dopo una crisi apoplettica, perse l’uso della ragione. Questa fine tragica non deve però far dimenticare tutto ciò che di solare l’Italia ha portato in un’opera che non cesserà mai di essere grande. Preterossi, Geminello I luoghi della politica. Figure istituzionali della filosofia del diritto hegeliana Guerini e Ass., Milano maggio 1992 pp. 205, L. 34. 000 Il libro analizza i diversi livelli in cui si articola la politica in Hegel e mostra lo spessore del confronto del diritto pubblico hegeliano con un dibattito politico-costituzionale vivo e variegato, smentendo l’immagine monolitica della cosiddetta “epoca della Restaurazione” Putnam, Hilary Il pragmatismo: una questione aperta a cura di Massimo Dell’Utri Laterza, Bari luglio 1992 pp. 112, L. 15. 000 Il grande filosofo americano torna al pragmatismo e al confronto con la lezione di James, Peirce, Dewey, Wittgenstein per affrontare la questione se sia possibile un’alternativa tra scetticismo morale corrosivo e autoritarismo morale. Quillien, Jean (a cura di) Cahiers Eric Weil, n. 3 Université Lille III, aprile 1992 FF 90 Il volume contiene le comunicazioni su Kant e le interpretazioni del kantismo. Rametta, Gaetano Filosofia come "sistema della scienza" Tamoni Ed., Schio settembre 1992 pp. 266, L. 29.000 Il volume esamina la concezione hegeliana del negativo e della dialettica nella concretezza del suo articolarsi linguistico e concettuale. All'indagine puntuale delle strutture argomentative e delle peculiarità terminologiche della Vorrede, accompagna l'analisi del confronto instaurato da Hegel con le sue precedenti posizioni filosofiche e con i suoi grandi contemporanei filosofi e poeti. Rapp, Friedrich Fortschritt. Entwicklung und Sinngehalt einer philosophischen Idee Wiss. Buchges., Darmstadt maggio 1992 pp. 232, DM 42 Attraverso la conoscenza dello sviluppo e del senso dell’idea di progresso, si può raggiungere Disanz, e con ciò la libertà, nei confronti della situazione concreta, il punto a cui tende il libro. Raymond, Didier (a cura di) Arthur Schopenhauer: Essai sur le libre arbitre Rivages, Paris aprile 1992 pp. 180, FF 59 Il filosofo è innanzitutto un disilluso e la sua filosofia una caccia alle illusioni. In questo saggio, pubblicato per la prima volta nel 1841, si aggrappa all’illusione della libertà, della quale nega l’esistenza. Raymond, Pierre Dissiper la terreur et les ténèbres Méridiens-Klincksieck, maggio 1992 pp. 144, FF 150 Come la priorità data alle pratiche di decisione e alla politica morale e la preoccupazione della ricerca di una verità scientifica si sono affrontate nei recenti sconvolgimenti del socialismo e del comunismo. Reibnitz, Barbara von Ein Kommentar zu Friedrich Nietzsches “Die Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik J. B. Metzler, Stuttgart maggio 1992 pp. 360, DM 68 Reichel, H. -Chr. Prat de la Riba, E. (a cura di) Naturwissenschaft und Weltbild. Mathematik und Quantenphysik in unserem Denk- und Wertesystem Hölder-Pichler-Tempsky Wien maggio 1992 pp. 272, DM 43 Reiman, Jeffrey Justice and modern moral philosophy Yale UP, New Haven CT giugno 1992 pp. 336, $ 19 Analizzando teorie di Hobbes, Locke, Rousseau, Kant, Marx, Gewirth, Nozick, Rawis e altri, Jeffrey Reiman propone qui una nuova teoria della giustizia. Renner, R. G. (a cura di) Klassiker deutschen Denkens. Schlüsseltexte der deutschen Geistes- und Wissenschftsgeschichte Herder, Freiburg maggio 1992 pp. 384, DM 98 Rescher, Nicholas Ethical idealism: An inquiry into the nature and function of ideals University od California Press giugno 1992 pp. 159, $ 14,50 E’ razionale lottare per l’irraggiungibile? In questo saggio l’autore difende la razionalità e la praticabilità di una seria ricerca dei sogni impossibili. Resweber, Jean-Paul La Philosophie des valeurs PUF, Paris aprile 1992 pp. 128, FF 38 La filosofia dei valori caratterizza una corrente di pensiero nata nella prima metà del XX secolo, grazie a un clima polemico in cui si affrontano i filosofi della decostruzione (Nietzsche, Freud o Marx) e quelli della restaurazione (Sheler, Mounier, Dupréel, eccetera). Richter, Emanuel Der Zerfall der Weltenheit Vernunft und Globalisierung in der Moderne Campus-Vlg., Frankfurt/M. maggio 1992 pp. 291, DM 78 pp. 380, DM 68 ÖS 476 Richter, Ewald Heideggers Frage nach dem Gewährenden und die exakten Wissenschaften Dunckler & Humblot Berlin maggio 1992 pp. 116, DM 86 Schleichert, Hubert Der Begriff des Bewußtseins. Eine Bedeutunsanalyse Klostermann, Frankfurt/M. giugno 1992 pp. 222, DM 48 Ricken, F. - Marty, F. (a cura di) Kant über Religion Kohlhammer, Stuttgart maggio 1992 pp. 260, DM 49 Soprattutto nelle sue opere tarde, Kant elabora nuovi fondamenti filosofici sulle credenze religiose. I contributi di ricercatori tedeschi, francesi e inglesi seguono lo sviluppo degli scritti religiosi fino all’Opus postumum. Roberts, Julian The logic of reflection. German philosophy in the twentieth century Yale University Press New Haven CT aprile-maggio 1992 pp. 288, £ 25 Il volume offre un’esposizione critica della metafisica tedesca e della filosofia della logica nel XIX secolo. L’argomento è inserito nel contesto del dibattito fra filosofi “analitici” e “continentali” e verte sul problema della riflessione che secondo Robert si trova al cuore di entrambe le tradizioni. Sassenbach, Ulrich Der Begriff des Politischen bei Immanuel Kant Königshausen & Neumann Würzburg maggio 1992 pp. 182, DM 34 Questo lavoro vuole dimostrare che la filosofia kantiana contiene in sé un concetto della politica che attraverso la connessione fra normatività ed esperienza, attraverso l’accentuazione della differenza critica tra ragione pura pratica e realtà empirica può ancora oggi dare il proprio contributo a una teoria dell’obiettivo politico e del metodo. Schelling, Friedrich W. J. Urlassung der Philosophie der Offenbarung Meiner, Hamburg maggio 1992 pp. 406, DM 78 Questa edizione getterà piena luce sull’ultimo periodo creativo di Schelling, fino a questo momento considerato oscuro. La scoperta della versione originale della Filosofia della rivelazione mette in evidenza come le edizioni fin qui esistenti del testo non rispecchiavano le intenzioni dell’autore. Schermaier, M. J. (a cura di) Materia. Beiträge zur Frage der Naturphilosophie im klassischen römischen Recht Böhlau, Köln/Wien giugno 1992 Schlegel, Lothar H. P. Urteilstheorie bei Friedrich Ueberweg Lit, Münster giugno 1992 pp. 160, DM 68,80 Schneider, Hans J. Phantasie und Kalkül. Über die Polarität von Handlung und Strukturen in der Sprache Suhrkamp, Frankfurt maggio 1992 pp. 580, DM 78 I tentativi intrapresi all’inizio del secolo di delimitare in modo formale ciò che ha senso linguisticamente e di dominarlo quindi con il calcolo è destinato a fallire e studiare questo campo singolarmente è da un punto di vista linguistico filosofico ricchissimo di implicazioni e di grande importanza per le scienze dello spirito. Schrempp, Gregory Magical arrows: The Maori, the greeks and the folklore of the universe University of Wisconsin Press giugno 1992 pp. 240, £ 13,50 Un’esplorazione della cosmologia che mette in connessione la tradizione filosofica occidentale con le tradizioni cosmologiche di società non occidentali. Servendosi della mitologia e della filosofia dei Maori come parametro, si scopre un comune denominatore filosofico nel pensiero di Zenone di Elea. Schröter, Manfred (a cura di) Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling: Les Ages du monde - Fragments (premières versions de 1811 et 1813) PUF, Paris aprile 1992 pp. 368, FF 238 Una meditazione in cui si fa luce sulla tesi centrale del carattere organico del tempo e da cui risulta che passato, presente e futuro, lungi dall’essere dati all’uomo, possono essere conquistati solo grazie a una vittoria su di sé. Prima traduzione integrale francese dell’ultimo tomo delle Opere di Schelling, pubblicate nel 1946 da M. Schröter. Schulte, Günter Kennen Sie Marx? Kritik der proletarischen Vernunft Campus-Vlg, Frankfurt/M. maggio 1992 pp. 237, DM 38 Schulz, Walter Subjektivität im nachmetaphysischen Zeitalter Günter Neske, Pfullingen giugno 1992 pp. 384, DM 82 Osservazioni sulla fine della metafisica - Soggettività e tempo - Soggettività e morte - La fine della filosofia della NOVITA' IN LIBRERIA storia e il suo significato per la soggettività - Per un chiarimento filosofico della storia occidentale fra Nietzsche e Heidegger - Dibattito sull’interpretazione postmoderna della fine della metafisica - Riferimenti diversi al problema della soggettività - etc. Schulze, Markus Leibhaft und unsterblich. Zur Schau der Seele in der Anthropologie und Theologie des hl. Thomas von Aquin Freiburg/CH, Freiburg maggio 1992 pp. 188, Sfr 34 Schütt, Rolf R. Von den jüdischen Religion zur deutschen Philosophie und zurück. Versuch über das Unbewußuste des Denkens Vlg. Die Blaue Eule Essen giugno 1992 pp. 262, DM 68 Secret, Francois Hermétisme et Kabbale Bibliopolis, Napoli luglio 1992 pp. 146, L. 22. 000 Cinque saggi per chiarire la concezione cabalistica dell’alchimia. Seebass, Gottfried Wollen Klostermann, Frankfurt a. M. maggio 1992 pp. 320, DM 84 Il libro illustra la prima parte di un più ampio progetto di ricerca filosofica sulla “responsabilità”, concepita meta-eticamente e che deve produrre un parametro di giudizio per determinati concetti di “responsabilità” morale o giuridica. Al centro si trova il rapporto “attivo” dell’uomo con il mondo. Senigaglia, Silvana Il gioco delle assonanze. A proposito degli influssi hobbessiani sul pensiero filosofico-politico di Hegel La Nuova Italia, Firenze maggio 1992 pp. 235, L. 28. 000 Un’indagine che individua i temi, i percorsi, l’adesione e la distanza che caratterizzano la presa di posizione di Hegel verso Hobbes, da lui considerato il fondatore della scienza politica moderna. Seyhan, Azade Representation and its discontents. The critical legacy of German Romanticism University of California Press Berkeley giugno 1992 pp. 189, $ 20 Seyan ci offre un’introduzione concisa ed elegante nell’esposizione alla teoria critica del romanticismo tedesco e dimostra come il suo approccio alla natura metaforica e linguistica della conoscenza sia tuttora vivissima nella filosofia contemporanea e nella teoria letteraria. Sitt, Martina Kriterien der Kunstkritik. Jackob Burckhardts unveröffentlichte Ästhetik als Schlüssel seines Rangsystems Böhlau, Wien/Köln/Weimar maggio 1992 pp. 192, DM 42,50 Sloane, William Milligan (a cura di) The life of James McCosh (1896) Theommes Press, giugno 1992 pp. 294, £ 44 James McCosh (1811-1894) è stato l’ultimo grande rappresentante della scuola filosofica scozzese del “senso comune”. La sua autobiografia ci dà un resoconto della vita e dello sviluppo intellettuale alle università di Glasgow e di Aberdeen, prima di diventare professore al Queen’s College di Belfast. Smith, John E. America’s philosophical vision Univ. of Chicago Press Chicago giugno 1992 pp. 207, $ 18 Pochi filosofi sono stati altrettanto vigili quanto John E. Smith alla difesa del contributo unicamente americano alla filosofia. In questo volume vengono raccolti per la prima volta molti dei suoi saggi più importanti. Sommerville, C. John The secularization of early modern England: From religious culture to religious faith Oxford University Press giugno 1992 pp. 272, £ 27,50 L’autore prende in esame il sorgere della secolarizzazione nell’Inghilterra del XVII secolo, esaminando come e perché diversi aspetti della vita si separano dai valori religiosi. Spinks, C. W. Peirce and triadomania. A walk in the semiotic wilderness Mouton de Gruyter, Berlin/New York giugno 1992 pp. 256, DM 148 Indagine sugli inizi e sui successivi sviluppi dei rapporti fra segno, oggetto e interpretante nella teoria semiotica di Charles Sanders Peirce. Spitzley, Thomas Handeln wider besseres Wissen. Eine Diskussion klassischer Positionen de Gruyter, Berlin giugno 1992 pp. 241, DM 118 Stachowiak, H. (a cura di) Sprachphilosophie, Sprachpragmatik und formative Pragmatik Meiner, Hamburg giugno 1992 pp. 528, DM 278 Contenuto: Parte 1: Filosofia del linguaggio pragmatica. Parte 2: Pragmatica linguistica. Parte 3: Pragmatica semiotica e logica. Parte 4: Pragmatica matematica. Stanciu-Reiss, Françoise Parlez-moi de la mort. . . Siloë, Paris aprile 1992 pp. 250, FF 125 Smitizzando e sdrammatizzando il tabù che ancora oggi costituisce l’esperienza della morte, l’autore si innalza a un vero gioco di costruzione per raccogliere innumerevoli pensieri, riflessioni e studi su questa angoscia fondamentale che dalla quale siamo tutti ossessionati. Steffens, A. - Szlezynger, J. Das Unvermeidliche und sein Preis. Antworten auf die Frage: ”Ist Philosophie in der Lage, ihre Zeit in Gedanken zu fassen?” Bollmann, Düsseldorf/Bensheim giugno 1992 pp. 100, DM 19,80 Stegmaier, Werner Philosophie der Fluktuanz. Dilthey und Nietzsche Vandenhoeck & Ruprecht Göttingen maggio 1992 pp. 420, DM 96 Steinherr, Thomas Der Begriff “absoluter Geist” in der Philosophie G. W. Hegels EOS-Verlag, St. Ottilien maggio 1992 220, ÖS 210 Stekeler-Weithofer, Pirmin Hegels Analytische Philosophie. Die Wissenschaft der Logik als kritische Theorie der Bedeutung Schöningh, Paderborn maggio 1992 pp. 460, DM 98 Stemmer, Peters Platons Dialektik. Die frühen und mittleren Dialoge de Gruyter, Berlin giugno 1992 pp. 307, DM 158 Platone chiama “dialetto” la capacità di discutere con metodo come fare domande ciò che è essere buoni, giusti, accorti. Il saggio cerca innanzitutto il perché domande concettuali di questo genere in Platone sospingano al centro della filosofia, e in secondo luogo quale metodo Platone concepisca per la risposta a simili domande nei primi dialoghi e in quelli di mezzo. Störig, Hans J. Kleine Weltgeschichte der Philosophie Fischer Taschenbuchvlg. Frankfurt a. M. giugno 1992 DM 29,80 L’autore ha rinnovato il capitolo sul XX secolo, ampliando parti essenziali. Streminger, Gerhard Gottes Güte und die Übel der Welt. Das Theodizeeproblem J. C. B. Mohr, Tübingen maggio 1992 pp. 470, DM 80 Streminger discute i differenti tentativi di soluzione e li respinge senza eccezione come insostenibili. Si espone l’esigenza di trattare il problema in tutta la sua pienezza. Inoltre, Steminger cerca di dimostrare non solo che il problema della teodicea rimane a tutt’oggi irrisolto, ma anche che una teodicea è impossibile. Stucki, Pierre-André Les Leçons de l’existentialisme: de Platon à Sartre Labor et Fides, maggio 1992 pp. 100, FF 55 Dall’Ecclesiaste a Kierkegaard, passando per Kant, Lutero o Kant, l’esistenzialismo all’opera è presente sotto la forma di lezioni di facile approccio. Tachibana, Shundo The ethics of buddhism Curzon Press, giugno 1992 pp. 304, £ 10,99 Il libro cerca di dimostrare che il buddhismo, all’origine, è una religione di grande statura morale e che la moralità messa in evidenza dal buddhismo è di tipo pratico. L’opera presenta un’indagine delle virtù cardinali del buddhismo invece di limitarsi ad astrarne semplicemente l’idea morale e a filosofare su di essa. Tackels, Bruno Walter Benjamin Presses universitaires de Strasbourg Strasbourg maggio 1992 pp. 136, FF 60 Un’introduzione all’opera di W. Benjamin: filosofia del linguaggio, riflessione sull’arte, critica della storia. Questo volume inaugura una nuova collana. Tassin, Etienne (a cura di) Denis Diderot. Supplement au voyage de Bougainville et autres oeuvres philosophique Presses-Pocket, maggio 1992 pp. 363, FF 60 Raffronto fra una società che obbedisce al solo codice di natura e una sottomessa a tre autorità contraddittorie: quella divina, quella morale e quella legale. Thagard, Paul Conceptual revolutions Princeton UP Lawrenceville NJ giugno 1992 pp. 344, $ 40 In questo lavoro apripista, Paul Thagard si concentra sulla storia e la filosofia della scienza, sulla psicologia cognitiva e sul campo dell’intelligenza artificiale, elaborando una teoria del cambiamento concettuale in grado di dar conto delle maggiori rivoluzioni scientifiche. Titze, Hans Das philosophische Gesamtwerk. Band 1: Wissen, Glauben, Handeln Schäuble, Rheinfelden giugno 1992 pp. 174, DM 78 Toner, James H. The sword and the cross: Reflections on command and conscience Praeger Publisher, giugno 1992 pp. 224, £ 35 Uno studio delle relazioni esistenti fra politica ed etica. Suo fine è di sottolineare che le convinzioni morali concepite e attuate senza saggezza politica possono essere fallimentari e che una strategia geopolitica formulata e messa in pratica senza carattere etico può risultare disastrosa. NOVITA' IN LIBRERIA Touati, Charles La Pensée philosophique et théologique de Gersonide Gallimard, Paris giugno 1992 pp. 574, FF 110 Gersonide (1288-1344), matematico, astronomo, medico, esegeta biblico e talmudista, ha elaborato nella Francia meridionale, ambiente di grande vivacità intellettuale, un sistema filosofico e teologico che avrebbe segnato tutto il pensiero ebraico successivo. Traub, Hartmut Die Populärphilosophie J. G. Fichtes Frommann-Holzbog Stuttgart maggio 1992 pp. 270, DM 84 Tugendhat, Ernst Ethik und Politik Suhrkamp, Frankfurt a. M. giugno 1992 pp. 120, DM 14 Contiene le più importanti prese di posizione etico-politiche del Professore di filosofia di Berlino degli ultimi quindici anni. I temi sono: Questioni di pedagogia; Guerra e pace; Minoranze e profughi; Tedeschi ed ebrei. Twersky, Isadore (a cura di) Studies in Maimonides Harvard UP, Cambridge MA giugno 1992 pp. 300, £ 24 Una raccolta di saggi critici sul pensiero maimonide per gli studiosi del pensiero ebraico medievale. Valera, Francisco - Thompson, Evan Rosch, Eleanor La mente incarnata Scienze cognitive e esperienza umana Feltrinelli, Milano settembre 1992 pp. 320, L. 55. 000 Per “scienze della cognizione” si intende l’insieme delle discipline interessate allo studio della mente. La convinzione che ha spinto gli autori a scrivere questo libro è che tutte le ricerche in questo campo falliscono nel comprendere la mente umana all’interno dell’esperienza vissuta, quotidiana, perché incapaci di inglobare quest’ultima nel loro modello interpretativo. E’ necessario quindi che la filosofia torni al concreto, che si coniughi pensiero e esperienza, e che si possa scoprire l’immanenza della mente, il suo essere “incarnata” appunto. Verdan, André Karl Popper ou la Conaissance sans certitude Presses Polytechniques Romandes aprile 1991 pp. 145, FF 246 Sotto l’etichetta di “razionalismo critico” il pensiero di Popper s’è imposto come messa in guardia contro le ideologie del XX secolo. Parallelamente alla sua concezione “falsificabilista” della conoscenza, ha elaborato una critica al dogmatismo totalita- rio: al dittatore onnisciente, oppone il democratico “ingegnere sociale”. Vesey, Godfrey Perception (1971) Thoemmes Press, giugno 1992 pp. 114, £ 9,99 Breve studio introduttivo a uno dei problemi principali della filosofia. La preoccupazione primaria del professor Vesey in questo libro è di respingere l’idea che il compito del filosofo sia quello di trovare una giustificazione a ciò che noi percepiamo come vero, dato che la maggior parte della percezione è sospetta. Vetsch, Florian Martin Heideggers Angang der interkulturellen Auseinandersetzung Königshausen & Neumann Würzburg giugno 1992 pp. 213, DM 38 Vignaux, George Les Sciences cognitives: une introduction La Découverte, Paris giugno 1992 pp. 360, FF 110 Le scienze cognitive designano un insieme di discipline che si volgono ad analizzare i comportamenti intelligenti (degli uomini, degli animali o delle macchine) e a esaminare i supporti materiali che sembrano condizionare questi comportamenti (il cervello o il computer, per esempio). Vorländer, Karl Immanuel Kant. Der Mann und das Werk Sonderausgabe. 2 Bände in einem Band Meiner, Hamburg maggio 1992 pp. 800, DM 39,80 Nessun altro libro nella letteratura su Kant presenta un ritratto tanto ricco biograficamente e dal punto di vista della storia delle opere del filosofo di Königsberg, il “grande” precursore. Waggaman, Béatrice Le Voyage autour du monde de Bougainville: droit et imaginaire Presses universitaires de Nancy maggio 1992 pp. 136, FF 90 Un diario di viaggio testimone di un’ideologia radicata nei concetti di potere centralizzato, di conquista e di possesso territoriale così come sono formulati nei trattati di diritto internazionale, dello “jus gentium” dell’epoca. Walther, Christian Ethik und Technik. Grundfragen - Meinungen Kontroversen De Gruyter, Berlin maggio 1992 pp. 258, DM 38 Riallacciandosi al dibattito in corso fra ingegneri e filosofi della tecnica sulla necessità di un’etica della tecnica, in cinque capitoli vengono delineati fondamenti e criteri di una problematica della tecnica e delle sue interdipendenze culturali e socio-politiche. Ward, Ian Law, philosophy and National Socialism. Heidegger, Smith and Radbruch in context Lang, Frankfurt a. M. giugno 1992 pp. 276, DM 72 Warnock, Mary The uses of philosophy Blackwell Publishing Oxford giugno 1992 pp. 256, £ 30 Si rivolge ad aree di pubblico interesse, quali la filosofia della biologia e della medicina, la filosofia dell’educazione e l’uso della filosofia accademica. Le lezioni di Warnock dimostrano che tipo di uso si può fare dell’abitudine di tutta una vita al pensiero filosofico quando si confronta con problemi nella sfera pubblica. Watson, John Schelling’s transcendental idealism (1882) Thoemmes Press, giugno 1992 pp. 266, £ 36 Questo saggio offre al lettore un resoconto del “trascendentalismo” di Schelling. Si tratta della prima monografia di lingua inglese su Schelling ed è un testo importante per lo studio dell’idealismo tedesco e di Schelling in particolare. Wenzel, Uwe J. Anthroponomie. Kants Archäologie der Autonomie VCH, Weinheim maggio 1992 pp. 326, DM 142 Wenzel cerca di portare in luce il momento dell’indeterminatezza che si trova rinchiuso nella definizione dell’autodeterminazione, e per mezzo di un aspetto che corrisponde alla possibilità di un incontro di pathos della libertà e di ethos del legame, di spontaneità e di autonomia morale. Wetzel, James Augustine and the limits of virtue Cambridge Univer. Press, giugno 1992 pp. 200, £ 32,50 Il libro esamina lo sviluppo della psicologia morale di Agostino, dimostrando che le prospettive offerte da Agostino sul libero arbitrio non sono state apprezzate come dovevano a causa di una distinzione anacronistica fra teologia e filosofia. Wieland, Wolfgang Die aristotilsche Physik. Untersuchungen über die Grundlegung der Naturwissenschaft und die sprachlichen Bedingungen der Prinzipenforschung bei Aristotels Vandenhoeck & Ruprecht Göttingen giugno 1992 pp. 365, DM 85 Williams, C. J. F. Being, identity, and truth Clarendon Press, Oxford giugno 1992 pp. 240, £ 27,50 I filosofi hanno trattato l’essere e la verità come proprietà e l’identità come relazione. L’autore dimostra che ciò è dovuto a un’insufficiente valutazione del modo in cui funzionano le parole “essere”, “vero” e “uguale”, demistificando questioni metafisiche quali il significato di “io” e la natura della realtà. Wolf, Jean-Claude Verhütung oder Vergeltung? Einführung in ethische Straftheorien Karl Alber, Freiburg i. Br. maggio 1992 pp. 188, DM 48 Il libro ci aggiorna sui problemi posti e sulle soluzioni applicate alla legittimazione morale della punizione di Stato, come ne discutono già da lungo tempo nelle aree linguistiche angloamericane filosofia morale e filosofia del diritto. Zeidler, Kurt W. Grundriß der transzendentalen Logik Junghans, Cuxhaven maggio 1992 pp. 206, DM 44 Zeki, Hans Günter (a cura di) Platon: Timaios Meiner, Hamburg maggio 1992 pp. 247, DM 48 Le teorie elaborate nel Timeo sulla natura e il cosmo hanno improntato la visione del mondo occidentale. Nella connessione fra Physis ed Ethos entrambe ideate per la buona realizzazione dei compiti della vita gravosi e carichi di responsabilità si dimostrano sorprendentemente moderne. Edizione bilingue con nuova traduzione. Ziemke, Axel System und Subjekt. Biosystemforschung und Radikaler Konstruktivismus im Lichte der Hegelschen Logik Vieweg, Wiesbaden giugno 1992 pp. 174, DM 68 Basandosi sulla genesi logica del concetto di soggettività nello scritto hegeliano “Scienza della logica”, si tenta una reinterpretazione del concetto di sistemi cibernetici, autorganizzanti e autopoietici nel loro impiego sull’individuo vivente. Zwick, Elisabeth Der Mensch als personale Existenz. Entwürfe existenzialer Anthropologie und ihre pädagogische Implikationen bei Sören Kierkegaard und Thomas von Aquin. EOS-Verlag, St. Ottilien giugno 1992 pp. 275, DM 34 ÖS 260