E DOMENICA 11.1.2009 D I Z I O N E D O M E N I C A L E QUOTIDIANO DI AN - ANNO LVIII N.9 - SPED. ABB. POST. 45% LEGGE 662/96 ART.2 COMMA 20/B F.LE DI ROMA €1,00 NOSTALGIA DE ANDRÉ: DIECI ANNI DOPO SIAMO TUTTI COINVOLTI ❯3 Spiritualità, tradizione e solidarietà: ecco perché il cantautore piaceva tanto a destra ❯ 12 Enrico Nistri racconta la Firenze del dopoguerra: tra l’odio civile e la speranza di ripartire ❯8 Marzi e Bortoluzzi: Faber era un libertario come noi, ragazzi dei Campi Hobbit ❯ 16 Come la pittura può raccontare gli eroi che combattono per i diritti civili 2 [ SECOLO D’ITALIA ] AGENDA SETTIMANALE DOMENICA 11 GENNAIO 2009 15 al 17 gennaio, nel Salone Vanvitelliano della Biblioteca Angelica. Ai lavori, voluti e coordinati da Gianni Eugenio Viola, parteciperanno gli studiosi del movimento con interventi che spazieranno dall’arte, alla letteratura, alla storia. WEBMAGAZINE DI FAREFUTURO 12 LUNEDÌ ROMA. Sarà una guida ragionata e commentata al panorama di argomenti che riguardano la politica nazionale ed estera, l’attualità e la cultura, FfWEB Magazine, la nuova rivista web della fondazione Farefuturo. Il magazine, che sarà presentato lunedì 12 alle 11, presso la sede della fondazione in via del Seminario 113 a Roma, si pone l’obiettivo di diventare uno strumento, moderno e innovativo, in grado di veicolare e approfondire le idee, i contenuti, i valori e le attività della Fondazione. Interverranno Adolfo Urso, segretario generale di Farefuturo, Filippo Rossi, direttore responsabile di FfWEB Magazine, e Mario Ciampi, direttore della Fondazione. SULL’IGNORANZA INFORMATICA 15 GIOVEDÌ ROMA. Quanto co- LA FIACCOLA TRICOLORE A ROMA 12 LUNEDÌ ROMA. Ripercorre i sessant’anni del più importante movimento giovanile politico italiano il libro La fiaccola tricolore: antologia della giovane destra italiana dal dopoguerra ad oggi, scritto da Fabrizio Tatarella (Edizioni Nuova Stampa Bari). Il volume, in oltre trecento pagine, ripercorre con dovizia di particolari e documentate fonti il percorso compiuto dalla Giovane Italia ad Azione giovani ed è arricchito con fotografie e racconti inediti dei protagonisti di epoche diverse. Il libro sarà presentato lunedì 12 alle ore 17 e 30 presso la Sala Capitolare - Senato della Repubblica, in Piazza della Minerva, a Roma. Bambini Karen. La cominità solidarista Popoli è particolarmente impegnata nell’assistenza ai minori L ’IMPEGNO DI POPOLI DAI KAREN A GAZA ◆ Valeria Gelsi D a sempre in prima linea per la difesa di «popoli o etniche che vivano in condizione di particolare disagio», la comunità solidarista Popoli onlus è conosciuta soprattutto per l’impegno a favore del popolo Karen. Un impegno che si rinnova costantemente con la raccolta di fondi destinata all’acquisto di farmaci e beni di prima necessità. La possibilità di donazioni prosegue attraverso il conto corrente postale 27183326 o i bonifici bancari versati al codice iban IT19R0518811703000000057192. Ma ora al sostegno ai Karen si affianca anche quello alla popolazione di Gaza con una particolare attenzione ai bambini, prime vittime del conflitto in corso. «Le vittime di Gaza non hanno bisogno di proclami di solidarietà, di sterili chiacchiere da blog, ma di mezzi di sopravvivenza», ricordano i promotori di Popoli, che per la campagna hanno scelto il titolo “L’indifferenza uccide”. Anche in questo caso tutti i fondi raccolti saranno destinati all’acquisto di farmaci e di generi di prima necessità. L’invio di questi prodotti, però, è solo il livello immediato degli interventi di Popoli, “PRESENTE INDICATIVO” 12 MARTEDÌ NAPOLI. La testimonianza della giornalista Anna Politkovskaya, uccisa il 7 ottobre 2006. La lotta alla mafia di Felicia Impastato, i sogni degli operai dell’Ilva di Bagnoli, le esperienze formative realizzate a Nisida per i giovani ospiti dell’istituto di pena napoletano. Sono alcuni dei temi che caratterizzeranno, fino al 18 gennaio la rassegna “Presente Indicativo”, una serie di appuntamenti, incontri e spettacoli al Teatro Elicantropo e a Il Pozzo e il Pendolo di Napoli. Martedì 12 alle 21 è in programma lo spettacolo Sogni dimessi, dove i sogni in questione sono quelli del quartiere napoletano di Bagnoli e della fabbrica centenaria, l’Ilva, e dei suoi ottantamila operai. Prima della rappresentazione alle 20, Conchita Sannino condurrà l’incontro con Giancarlo Aiello, consigliere della società Bagnoli Futura. Si chiude domenica 18 gennaio, ore 18 al Teatro Elicantropo, con l’incontro dedicato all’esperienza di Roberto Dinacci con i ragazzi del carcere minorile di Nisida. Per il programma completo: www.teatroespettacolo.org SECOLO d’ITALIA Quotidiano di Alleanza Nazionale Giornale murale Registrazione Tribunale di Roma n. 16225 del 23/2/76 EDITORE Secolo d’Italia s.r.l. AMMINISTRATORE UNICO Enzo Raisi ITALIANI AL MEGLIO 14 MERCOLEDÌ FIRENZE. Venti scatti raccontano “Venti italiani che cambiano l’Italia”. È la mostra fotografica di Gianni Giansanti, organizzata da Corriere della Sera Magazine e Io Donna. La rassegna resterà aperta dal 14 al 18 gennaio a Palazzo Strozzi di Firenze e ha per protagonisti personaggi che per abitudine fanno al meglio il loro compito. Ecco Marta Bur- che nelle aree in cui è presente realizza anche progetti più strutturali di aiuto alla popolazione. Fra questi ci sono, per esempio, le ”cliniche mobili” nella regione dei Karen. Avviato nel 2001, il progetto, consiste nella costruzione di strutture “leggere”, le cliniche mobili appunto, che vengono evacuate in caso di attacco da parte dei soldati birmani, per essere nuovamente allestite in zone più sicure della giungla. Attualmente le cliniche sono tre e assicurano assistenza a un bacino di utenza di oltre 12mila persone. L’obiettivo, però, è creare un presidio permanente che, in un’area sicura vicina ai distretti serviti dalle cliniche mobili, fornisca assistenza pediatrica, ginecologica, oculistica, di chirurgia generale e odontoiatria. Al fianco delle iniziative sanitarie ci sono, poi, quelle educative. In particolare ”Il Progetto scuola”, che punta a garantire ai figli dei profughi quella possibilità d’istruzione negata dai costanti attacchi del regime birmano. Progetti simili sono avviati anche in Afghanistan. Le attività di Popoli possono essere sostenute stabilmente sia attraverso versamenti periodici alle coordinate indicate sopra, sia con il 5xmille alla partita iva 03119750234. Per saperne di più: www.comunitapopoli.org gay, un’astronoma di 32 anni che ha scoperto una coppia di stelle pulsar; Francesca Funiciello, 36 anni, che lavora sul rischio dei megaterremoti. Oppure Giovanni Romano, vicesindaco di Mercato San Severino (Salerno), che ha organizzato il miglior sistema in Italia per la raccolta differenziata; Fiorenzo Galli, direttore generale del Museo della scienza e della tecnologia di Milano, che in 6 anni ha quadruplicato il bi- lancio del museo e ha assunto 50 persone; Lucio Guarino, avvocato, che ha trasformato beni sequestrati ai mafiosi in consorzi agroalimentari. FUTURISMO: BELLEZZA NUOVA 15 GIOVEDÌ ROMA. Si aprono con il convegno «...Una bellezza nuova...» le celebrazioni per il centenario del Futurismo. L’appuntamento si terrà a Roma, dal sta al Paese la scarsa alfabetizzazione tecnologica? Una risposta arriverà dallo studio «L’ignoranza informatica: il costo nella Pubblica amministrazione centrale», che sarà presentato giovedì 15 presso la sala conferenze del Polo multifunzionale della Ragioneria generale dello Stato (Via Pastrengo,1 00187 Roma). Il convegno, promosso in collaborazione con Forum Pa, è patrocinato da Cnipa e dal ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione. Coordinerà i lavori: Carlo Mochi Sismondi, direttore generale di Forum Pa. LA SINISTRA E IL ’68 15 GIOVEDÌ ROMA. Sarà dedicato a Sognando la rivoluzione. La sinistra italiana e le origini del ‘68 di Danilo Breschi (Mauro Pagliai Editore) l’appuntamento di questa settimana con “Un libro un autore fra storia e attualità”, il ciclo di incontri che anima i “Giovedì della Spirito”, promossi dall’omonima fondazione. Il volume affronta la genesi della sinistra extraparlamentare e il maturare di una posizione che, dopo il 1956, diventa sempre più critica nei confronti dei partiti e dei sindacati istituzionali, attraverso l’analisi di riviste neo-marxiste, gruppi di intervento nelle fabbriche e molti protagonisti (Togliatti e Longo, Panzieri e Tronti, Negri e Sofri, Piperno e Scalzone) che animarono quel periodo. L’incontro è alle 17.30, presso la sede della fondazione in via Genova 24 a Roma. Interverrà l’autore. USCIRE DALL’EMERGENZA RIFIUTI 17 SABATO LECCE. Come uscire dall’emergenza e dare una risposta strutturale al problema dello smaltimento dei rifiuti. Sono questi gli argomenti che saranno affrontati sabato 17 alle 18, nel corso del convegno “Rifiuti, la sfida dell’emergenza”, che si svolgerà presso l’hotel President, in via Salandra 6 a Lecce. All’incontro interverrà il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, mentre il direttore del Mattino Mario Orfeo, intervisterà il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Guido Bertolaso. { A CURA DI ANNAMARIA GRAVINO } AMMINISTRAZIONE: EDIZIONE TELETRASMESSA: M.P.A. S.R.L. TARIFFE PUBBLICITARIE A MODULO Flavia Perina Via della Scrofa, 39 - 00186 Roma; Tel. 06/688171-Fax 06/68817211 Via Risorgimento, 12 bis, 20030 Senago (MI) DIRETTORE RESPONSABILE UFFICIO ABBONAMENTI E DIFFUSIONE CONCESSIONARIA PUBBLICITÀ: PUBLISTAR SAS Luciano Lanna Via della Scrofa, 39 - 00186 Roma; Tel. 06/68817241/2; Fax 06/6871594 E-mail: [email protected] Via Monte delle Piche, 34 - 00148 Roma; Tel. 06/6551787; Fax 06/6553104; E-mail: [email protected] Franz Turchi DISTRIBUZIONE: REGIME SOVVENZIONATO: REDAZIONE: SO.DI.P. S.p.A., Via Bettola, 18 20092 Cinisello B. 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Colle Marcangeli, 67063 Oricola (Aq) La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 250 SECOLO D’ITALIA DOMENICA 11 GENNAIO 2009 [ ] DALLA PARTE DEGLI ESCLUSI 3 SINCERITÀ A TUTTI I COSTI, CONTRO L’IPOCRISIA DEL PENSIERO DOMINANTE A dieci anni dalla morte il ricordo di un poeta che ha raccontato l’Italia profonda. Un artista unico che abbracciava il mondo come fa un bambino Si migliorava sempre, nonostante la sua ritrosia caratteriale ◆ Federico Zamboni C’ era il mondo che costruiva lui, fino a dieci anni fa. C’era la sua vita che si snodava assecondando i suoi tanti interessi, e di tanto in tanto – poiché scrivere canzoni e interpretarle era sì importante, ma non era tutto – c’erano alcuni riflessi che si riverberavano fino a noi, racchiusi in quella via di mezzo tra uno scrigno e uno specchio che sono i dischi. Come avviene di regola con gli artisti, era una conoscenza a distanza e a senso unico. Ci arrivavano i suoi messaggi, ed era evidente la cura con cui erano stati preparati e le speranze con cui ci venivano messi a disposizione, ma non c’era nessuna possibilità di contraccambiarli. Chi era in grado di offrire riflessioni altrettanto profonde e parole altrettanto suggestive? Chi era capace di esprimere qualcosa che andasse al di là dell’ammirazione, o persino dell’affetto, e che fosse così rilevante, per lui, da dare inizio a un dialogo? Eppure, album dopo album, il rapporto sembrava consolidarsi e farsi più stretto, come in una vera e propria amicizia. Benché le nuove usci- te discografiche si diradassero – passando dai tre anni che separano Rimini (1978) da Fabrizio De André (1981) e poi da Crêuza de mä (1984), ai sei che intercorrono tra quest’ultimo e Le nuvole (1990) e che precedono, infine, il grandioso epilogo di Anime salve (1996) – la sensazione era quella di un legame così forte da essere diventato permanente, e irrinuncia- In Fabrizio De André il bisogno di autenticità e schiettezza diventava impellenza spirituale. Anche per questo ci manca così tanto bile. O prima o dopo, un nuovo lavoro sarebbe stato pronto. Mentre noi srotolavamo le nostre vite, costruendo o distruggendo secondo fortuna e talento, lui srotolava la sua: fino a quando, in fondo a qualcuna delle sue solite notti insonni, consumate tra chissà quali libri e chissà quali pensieri, avrebbe co- minciato a prendere forma l’idea di un nuovo progetto. Non solo una singola canzone, in cui racchiudere lo stato d’animo di un momento, ma un insieme di storie che avessero qualcosa in comune: episodi distinti, ma pur sempre affini, di un particolare aspetto dell’avventura umana. Traiettorie individuali che si disegnano su uno stesso fondale, abbastanza grande da far sì che ognuna di esse abbia tutto lo spazio che le serve senza doverlo contendere alle altre. Ma non così vasto da tenerle troppo lontane e farle apparire del tutto estranee, impedendo che in qualche punto sembrino convergere fino a sfiorarsi, fino a dare l’impressione che siano lì lì per ricongiungersi e per intrecciarsi in un nodo potente. Forse fatale. Attori e attrici che non reciteranno insieme ma che prendono parte alla stessa audizione. Cittadini di una metropoli risucchiati nello stesso traffico, di cui sono per un verso gli artefici e per l’altro le vittime. Soldati che vanno alla stessa guerra e cantano le stesse canzoni. Reduci sulla via del ritorno che camminano in silenzio. Uomini e donne che non si incontreranno mai ma che condividono il destino di vivere in un determinato luogo e in un determinato momento storico. De André li ritraeva per provare a capirli. Per poter dire a se stesso che aveva dato fondo alle proprie risorse e che, coi suoi pennelli e coi suoi colori, non sarebbe riuscito a fare di meglio. Guardateli. Guardatevi. Vi ho reso omaggio osservandovi e non dimenticandomi di ciò che ho visto. Vi ringrazio di ciò che mi avete mostrato mostrandolo ad altri. Non importa che voi lo sapeste oppure no. Io vi ho notati tra la folla e vi porto nel cuore. Come il suonatore Jones, nell’Antologia di Spoon River, ho imparato a suonare e ho imparato a guardare: «In un vortice di polvere gli altri vedevan siccità / a me ricordava la gonna di Jenny in un ballo di tanti anni fa». Ma il suonatore Jones, nell’originale di Edgar Lee Masters e nella splendida versione contenuta in Non all’amore, non al denaro né al cielo, arrivava dritto e filato ai suoi novant’anni; Fabrizio De André si è spento a poco meno di cinquantanove l’undici gennaio 1999. Fino all’ultimo momento era sembrato impossibile, così come lo sembra, a noi esseri umani, tutto ciò che è ingiusto. O che ci appare tale. Chi sapeva della malattia si ostinava a confidare in un recupero. Lui non faceva previsioni e si atteneva, o si appigliava, alle sensazioni del momento. «Giudico la realtà da come mi sento. Oggi (il 25 dicembre 1998 – ndr) mi sento bene e quindi va tutto bene, il resto non conta. Spero di uscirne presto». Diciassette giorni dopo era tutto finito. «Se n’è andato stringendoci le mani», disse il figlio Cristiano. E per noi che avevamo amato le sue canzoni – e che avevamo negli occhi le immagini della sua ultima tournée, accompagnato da entrambi i figli e specialmente da Luvi, la ragazzina che ormai stava diventando una donna e che, sotto i suoi occhi amorevoli, intonava con cura infinita (e con un commovente filo di paura di sbagliare e, Dio non voglia, di deluderlo) la bellissima Geordie – fu una goccia di conforto in un dolore attonito. Se proprio doveva succedere, e tanto presto, e senza avere avuto il tempo di fronteggiare l’idea abbastanza a lungo da dominarla, che almeno fosse accaduto in quel modo: coi suoi cari intorno a lui, a confermargli un’ultima volta che aveva dato tanto anche come uomo, oltre che come artista. Cadeva di lunedì, quell’undici gennaio incolpevole e maledetto. Proprio all’inizio di una nuova settimana e, quasi, di un nuovo anno. Il decesso avvenne di notte. La notizia si diffuse la mattina, rimbalzata non solo dai media ma da un fitto tamtam di comunicazioni private. Telefonate piene di stupore e di amarezza. Domande incredule di chi aveva sentito e non sentito. Di chi si ag- ➔ 4 [ DALLA PARTE DEGLI ESCLUSI ] SECOLO D’ITALIA DOMENICA 11 GENNAIO 2009 Ha guardato i reietti e li ha portati nel cuore. Li ha cantati per renderli protagonisti di una società che voleva nasconderli, che li dimenticava Ha collaborato con Francesco De Gregori, Massimo Bubola, Mauro Pagani e Ivano Fossati DORI GHEZZI VENNE RAPITA INSIEME A DE ANDRÉ LA SERA DEL 27 AGOSTO 1979 DALL’ANONIMA SEQUESTRI SARDA grappava all’illusione di un errore, di un improbabile equivoco. Ma è vero che è morto De André? E come mai? E come è successo? Risposte a mezza bocca, limitate all’essenziale. Coi semplici curiosi non c’era ragione di aggiungere nulla: conoscevano sì e no La canzone di Marinella e Bocca di Rosa, domandavano tanto per chiacchierare, che ne sapevano di Parlando del naufragio della London Valour o di Smisurata preghiera? Con quelli che invece sapevano, che erano stati nei tuoi stessi posti, che avrebbero potuto cantare a memoria una gran parte dei pezzi (intonati o stonati, ma affratellati nel desiderio), non ce n’era bisogno: il momento dei ricordi e delle riflessioni sarebbe tornato in seguito, spianando la strada a ogni tipo di commento o addirittura di confessione; per ora bastava un’occhiata rapida e consapevole, segnata dalla certezza di aver subìto la stessa perdita. Niente più nuovi album, nemmeno a distanza non di sei anni – che erano già fin troppi, dannazione! – ma di otto o di dieci. Niente più collaborazioni a sorpresa, magari non facili a dipanarsi ma dagli esiti eccellenti, con artisti del valore di Francesco De Gregori, di Massimo Bubola, di Mauro Pagani e di Ivano Fossati: personalità forti e abituate a decidere tutto da sole, che per una volta dovevano accettare che l’ultima parola spettasse invece a qualcun altro e che però, in questo modo, riuscivano a catalizzare le migliori ri- sorse di Fabrizio e a contribuire in modo determinante a creazioni sempre notevoli, e a volte indimenticabili come lo furono Rimini con Massimo Bubola, Crêuza de mä con Mauro Pagani e Anime salve con Ivano Fossati. Niente più concerti, infine, nei quali godersi un’ulteriore, imprevedibile escursione nel suo vasto repertorio e intanto rallegrarsi, senza dirlo a nessuno e senza darlo a vedere, che alla fine fosse venuto a capo della propria ritrosia e si fosse deciso a cantare dal vivo senza troppi patemi. Come ricorda Franz Di Cioccio, batterista di quella PFM che fu al suo fianco nella decisiva tournée a cavallo tra 1978 e 1979, all’inizio «era un uomo di penna, non da palcoscenico. Anche se poi lo è diventato, uomo di palco; se vedi l’ultimo suo video, ha un piglio quando canta… il piglio di uno che ha cambiato il modo di stare in scena e anche la voce. Meno posata, più aperta. Sta rincorrendo una cantabilità che prima non aveva; anche per via di canzoni con meno pause, con una musicalità prorompente, più serrata». Era anche questo, che lo rendeva grande. L’attitudine a migliorarsi nonostante le resistenze di un carattere troppo orgoglioso per accettare subito un insegnamento che si presentasse esplicitamente come tale. Poteva dire di no per istinto, o per difesa, ma poi ritornava sulla questione e la valutava di nuovo. La chiusura assoluta cedeva il passo a un esame guardingo, che però non esclude- va nessuna opzione. E se anche la conclusione non mutava, almeno nell’immediato, non era detto che non potesse farlo in seguito: come nella coltivazione dei campi, che praticava assiduamente nella sua tenuta sarda dell’Agnata, in terra di Gallura, poteva darsi che fossero buoni tanto i semi quanto il terreno nel quale piantarli, ma che non fosse buona la stagione. Che non fosse il momento adatto. E che, quindi, ci fosse ancora da aspettare. La crescita vera, del resto, non è mai solo intellettuale. È innanzitutto psicologica. O spirituale, se preferite. Si prefigura sui libri in attesa di andarsi a misurare, e forse a realizzare, nella vita concreta. Leggere molto serve a sapere dove si sono spinti gli altri, o dove speravano di spingersi. L’inesauribile interesse di De André per i perdenti non era ispirato solo da una solidarietà istintiva per chi non si lascia omologare dal pensiero dominante, a costo di inabissarsi sotto il peso delle proprie ansie e delle proprie debolezze. Era dettato da un bisogno di autenticità che gli era nato dentro precocemente, forse per l’ambiente alto borghese della sua famiglia d’origine, e che gli faceva avvertire in modo lancinante le minacce dell’ipocrisia e del conformismo. Meglio persino il male, se sincero, rispetto a un “bene” simulato solo per adeguarsi alle convenienze sociali. Meglio diventare dei “falliti” che si aggirano nelle zone d’ombra dell’esistenza, piuttosto che ali- mentare l’ingiustizia dilagante e le finzioni collettive. L’anarchia come aspirazione a un’etica superiore; non come rifiuto delle regole e, ancora prima di qualsiasi regola, del principio di responsabilità. Quando De André venne rapito insieme a Dori Ghezzi la sera del 27 agosto 1979, e rilasciato il 22 dicembre subito dopo che il padre ebbe pagato di tasca propria un riscatto di oltre mezzo miliardo, restituire quei soldi fu un imperativo assoluto. Personalmente poteva anche comprendere i rapitori e, mettendo da parte le sofferenze che avevano imposto a lui e a Dori, inquadrarne i reati in un’ottica socio-economica di più vasta portata, ma il debito nei confronti di suo padre non era in discussione. Il potere di perdonare gli apparteneva. Quello di condonarsi da sé le centinaia di milioni versate ai banditi, no. Analogamente, e chissà se è ben chiaro a tutti i suoi estimatori, la compassione verso gli sconfitti non era affatto un avallo incondizionato a qualsiasi debacle, quali che ne fossero state le cause. La pietà è un sentimento che è giusto dare e ricevere a posteriori. Mentre prima, ognuno di noi è chiamato a fare del proprio meglio: se possibile insieme al resto della società in cui viviamo; se necessario contro. Ricordate la succitata, illuminante Smisurata preghiera, che guarda caso chiude l’ultimo album, il magnifico Anime salve? No?! Allora non importa. Federico Zamboni SECOLO D’ITALIA DOMENICA 11 GENNAIO 2009 [ ] DALLA PARTE DEGLI ESCLUSI 5 De André è stato il misterioso intreccio che ha scavato nel cuore dell’uomo e nell’anima del tempo CANTAVA LA TRADIZIONE DEL MEDITERRANEO, TRA EZRA POUND ED ELIOT... ◆ Pierfranco Bruni I l tema del viaggio nella letteratura e nella musica ha affascinato diversi autori. Il fascino del mistero del viaggio ha sempre posto al centro un’idea significativa non solo in termini estetici (riportando immagini e forme) ma anche sul piano esistenziale. Infatti c’è un rapporto singolare tra il fascino e il mistero del viaggio che si tramuta in un vero e proprio sentimento. E in questo rapporto ciò che maggiormente intensifica questo dialogare è dato dal linguaggio. Un cantautore (che io ho sempre definito poeta) che ha interpretato con straordinaria valenza estetico-letteraria e musicale questo tracciato è stato Fabrizio De André. Ho cercato di inserirmi all’interno di questo mondo. Fatto di nuvole, come quelle cantate da De André mutuate da Aristofane. Le parole come sentimento nella sensibilità dell’essere. Se nelle parole c’è un’ansia ci deve anche essere il coraggio di penetrarla questa ansia. Il tema del viaggio è un luogo del vissuto (quindi della memoria) ma è soprattutto un luogo dell’attesa. Ci sono poeti e scrittori che fanno parte dei tracciati mediterranei. Ne cito solo due (uno antico e l’altro contemporaneo): Omero e Lee Masters. L’unione tra due mondi: la cultura occidentale/meditterranea e quella prettamente occidentale/americana. Ma il viaggio è una costante come è una costante i paragrafi che caratterizzano il viaggio stesso. Il mito, la memoria e la morte. Scri- veva Cesare Pavese: «Come i morti di Dante, che sono più vivi che in vita, i morti di Spoon River prolungano in una forma sepolcrale tutti i loro malcontenti, le loro passioni». Ricordi e atmosfere sono un intreccio di malinconie dove tutto ha una sua proiezione. «Il mio aquilone è sul vento, / benché a tratti sussulti / come un uomo che scrolla le spalle». Lee Masters è un navigatore che naviga nelle coscienze. I suoi personaggi non sono solo figure fisiche. Sono soprattutto delle coscienze. Sono delle meteore che come quell’aquilone dei suoi versi ondeggia trasportato “sul vento”. Un navigatore che in ogni temperie si lascia leggere senza perdere il suo fascino e il suo mistero. Commentando i versi di Spoon River Fabrizio De André, per il suo Non al denaro, non all’amore, dichiarava: «Poi lo rilessi nel ’68, e non lo trovai invecchiato per niente. Riscontrai in quei personaggi qualche cosa di noi, mi parve che, in quella collina popolata di morti, si parlasse il linguaggio di una verità che i vivi non possono esprimere. E che Lee Masters, con una lucidità insieme cronachistica e profetica, avesse dato vece ai mille scheletri che la società d’allora, ma anche quella di oggi nasconde nei propri armadi. Armadi che erano, naturalmente, anche i miei». Il mondo dei porti e del mare per De André, l’uomo mare. Radici, vocabolari e stili. Modelli di vita ed estetica delle (o nelle) forme. Nel vocabolario del poeta, infatti, ci sono quei vocabolari che intrecciano le lingue del mondo nelle civiltà che ritornano con le immagini delle memorie. In questo nostro tempo di confusioni e lacerazioni la parola ha bisogno di ciò che si usa chiamare ritmo, musicalità, battuto lirico. Fabrizio De André ha saputo bene raccogliersi in quel linguaggio che racconta ma racconta grazie sia alla parola, sia all’immagine, sia al ritmo. È questa una letteratura che ritrova il suo vocabolario nella parola e nel recitativo musicale. La cultura popolare diventa di grande rilevanza perché in essa c’è un sistema antropologico che unisce. Se oggi il Mediterraneo è sempre più un modello di cultura lo è perché dentro la sua storia ci sono le esistenze di civiltà di cui ha ben parlato De André. Se il viaggio è una metafora ma anche un’insistenza religiosa e profetica in De André è stato il misterioso intreccio che ha scavato nel cuore dell’uomo e nell’anima del tempo. Insomma una riproposta provocatoria ma una proposta nuova accomunarli su definizioni che sono di estrema contemporaneità. Il linguaggio è un messaggio. Tra la parola e la musica. Tra ciò che la parola non dice e ciò che la musica decodifica. Il tema del viaggio in De André resta fondamentale. Sia attraverso la metafora sia attraverso gli incontri con altri autori e in modo particolare poeti e scrittori sia grazie ad un processo culturale che è stato bene assorbito da quelle immagini musicali e letterarie che hanno formato il mondo poetico di De André. Il percorso del viaggio è un entrare in quella temperie esistenziale che intreccia il vissuto e il presente. La coscienza del tempo diventa un radicamento. D’altronde De André spazia da Eliot a Ezra Pound. Fabrizio De André in Via della povertà canta: «E bravo Nettuno mattacchione / il Titanic sta affondando nell’aurora / nelle scialuppe i posti letto sono tutti occupati / e il capitano grida: “Ce ne stanno ancora”. / Ed Ezra Pound e Thomas Eliot / fanno a pugni nella torre di comando / i suonatori di calipso ridono di loro / mentre il cielo si sta allontanando. / E affacciati alle loro finestre nel mare / tutti pescano mimose e lillà / e nessuno deve più preoccuparsi/di via della Povertà». Un rimando che diventa fondamentale sia sul piano della comparazione letteraria sia per una tipologia di rapporti all’interno di un vissuto storico e generazionale. De André pone Per De André, il viaggio diventa metafora letteraria di un’umanità in perenne ricerca di un percorso mitico, al di là di una quotidianità sciatta e dozzinale nella torre di comando, metaforicamente, sia Pound che Eliot. La torre della poesia di un Novecento che non si è occupata solo di poesia o di letteratura ma anche di idee, di pensiero, di cultura, diciamo, in senso molto più ampio. Il raccordo con Eliot e Pound diventa, chiaramente, affascinante. Il viaggio non poteva che chiamare un altro luogo della metafora e dell’essere. Ovvero la nostalgia. Una nostalgia che si lascia ascoltare sia quando si racconta di Genova sia quando si tracciano ricordi un amore perduto sia quando si va alla ricerca di un linguaggio che rimanda a tracce di infanzia. La nostalgia di De André è un trapasso di tempo. Un profondo raccordo tra tempo e destino, tra memoria e morte. Genova, i suoi quartieri, la sua storia tra i segni del tempo e il presente, la sua gente, quella parlata che diventa ritmo, il mare, il Mediterraneo sono i temi dell’appartenenza di Fabrizio De André. Un cantautore che ha raccontato anche città, tradizioni, un luoghi come fantasia e sogno. La poesia e la cultura francese. I linguaggi sommersi e i simboli. Un tutt’uno che ha segnato un percorso indelebile. 6 [ DALLA PARTE DEGLI ESCLUSI ] SECOLO D’ITALIA DOMENICA 11 GENNAIO 2009 CARLO MARTELLO IL CANTAUTORE AMAVA RIPERCORRERE TEMI E PERSONAGGI DELL’EPOPEA MEDIEVALE CON IRONIA E SIGNIFICATI ATTUALI Il mondo della contestazione fu uno dei temi di De André nell’album “Storie di un impiegato” SPIRITUALE E “ANTI”: ECCO IL DE ANDRÉ CHE PIACE A DESTRA ◆ Antonio Rapisarda C antautore “medievaleggiante”, menestrello degli ultimi e dei vinti, libertario reo-sconfesso alla ricerca della sacralità e cantore dell’autodeterminazione dei popoli. Oltre la musica e la carriera artistica è significativo – a dieci anni dalla scomparsa – un excursus delle molteplici facies di Fabrizio De André così come delle sue tante suggestioni che hanno formato e ispirato intere generazioni “altre” fino a oggi. Ripercorrendo la carriera del cantautore genovese sono proprio la linea di continuità delle tematiche affrontate insieme all’“inattualità” dissimulata dei suoi protagonisti, come di molte scelte della sua vita, gli elementi che sono riusciti a portare la sua poetica all’interno dell’immaginario collettivo. Tratteggiata in ogni suo punto, della parabola artistica del cantautore genovese si sa quasi tutto. Ripercorrere la carriera artistica e personale del cantautore tramite la carta stampata è un modo interessante, allora, per misurare l’entità e la progressiva scoperta di territori poco “visitati” del talento di via del Campo: come si è evoluta, insomma, la figura dell’artista nella società. E per misurare la tendenza basta paragonare l’entità della presenza del critico o del giornalista durante le sue prime performance con la quasi totale eclisse di questo quando emerge la figura sempre più carismatica di De André. Ed è proprio qui che il “Faber” prende il sopravvento, aprendo degli scenari che lo hanno fatto amare indipendemente a sinistra... e a destra. Di questo si occupa De André talk (Coniglio editore, pp.415, euro 26), un volume di Claudio Sassi e Walter Pistarini che restituisce un trentennio di cronistoria sulla parabola del cantautore. Dal matrominio glamour con Enrichetta Rignon. ai passaggi dei suoi lavori su Radio Vaticana (quando la Rai censurava le sue canzoni) alle sue provocazioni che lo avvicinano idealmente a certe tematiche del “fascismo bucolico” e dei comunitaristi: «Non che io voglia ritirarmi vicono al focolare – ha raccontato in un’intervista a Nuovo Sound – intenderei piuttosto mettere su una vera e propria comune agricola dove ci saranno delle persone che ho scelto e dalle quali spero di essere scelto». O che scandalizzò i benpensanti quando nel ’92 benedisse l’avvento della Lega Nord: «Anch’io – disse De André a Mario Luzzatto Fegiz – ho simpatizzato per qualcosa che assomigliava molto a una Lega ed era il Partito sardo d’azione. Non è affatto disdicevole che una formazione si preoccupi più di un’area geo- Le sue canzoni comparivano nei libretti che circolavano all’interno dei Campi Hobbit e venivano cantate durante i cortei giovanili grafica che di un’altra». E poi: «Io sono talmente favorevole al decentramento che darei autonomie speciale perfino ai condomini». Questo ad esempio, insieme all’amore dell’artista per gli idiomi e la cultura locale, interessava molto anche le intelligenze che si raccoglievano intorno alla Nouvelle Droite di Alain de Benoist. Ma c’è anche il rapporto fra De André e Dio. Proprio in questi giorni il quotidiano cattolico Avvenire ha dedicato molta attenzione per quello che è stato definito «l’anarchico intrigato da Dio». In un’intervista alla moglie Dori Ghezzi, alla sollecitazione su Faber e la sacralità così la moglie risponde: «Non a caso alla fine degli anni ’60 mentre molti reagivano alla cupezza dei tempi calandosi il passamontagna, Fabrizio scrisse La buona novella, un album ispirato ai vangeli apocrifi». E proprio in riferimento agli anni della contestazione un aneddotto ci restituisce l’anima irriverente di De André. Sono passati solo pochi giorni dalla battaglia di Valle Giulia e il critico musicale Cesare G. Romana si trova a Roma nel bar della compagnia discografica Rca. Come sempre, scorre un viavai di cantanti, autori, creativi e musicisti. E lui sta lì con il suo amico del cuore, il cantautore Fabrizio De André, il quale – a differenza di Pasolini – da libertario e non-allineato non può non schierarsi dalla parte degli studenti. Tanto che invita immediatamente l’amico Cesare a dare un’occhiata a un articolo di giornale: «Valle Giulia, Pasolini contro i contestatori». E di getto gli legge un passo di quella poesia che proprio non riesce a digerire: «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte / Coi poliziotti / Io simpatizzavo coi poliziotti! / Perché i poliziotti sono figli di poveri....». Fabrizio è davvero stupito. Non capisce: «Sì, ma da che parte stanno gli sbirri?». E, giustamente, prende per un’offesa personale tutto quel disprezzo pasoliniano per la “tradizione risorgimentale dei figli di papà”: «Questi saremmo noi, dice Pasolini». E all’amico che si stupisce, e chiede: «E allora?!» – De André ribatte rivendicando la propria scelta di campo: «Se la mettiamo così, ridateci il Risorgimento. Ma nel senso: borghesi, con poca voglia di esserlo». E quasi a mo’ di sfida il cantautore si avviò all’ascensore che portava alla studio di registrazione, canticchiando tra sé e sé: «Re Carlo tornava dalla guerra / lo accoglie la sua terra cingendolo d’allor». E lo stesso De André non smise si stupire quando, in epoca di pieno ostracismo contro autori “maledetti” come Julius Evola, Céline o Ezra Pound arrivò a dichiarare: «Oggi si tende a in- DOMENICA 11 GENNAIO 2009 SECOLO D’ITALIA [ GENOVA RICORDA CON UNA MOSTRA IL “SUO” FABER Ai “Pellerossa” è dedicata la canzone “Fiume Sand Creek” ◆ Giovanni Bandini enova ricorda uno dei suoi figli più prestigiosi. A dieci anni dalla scomparsa di Fabrizio De André l’amata città natale rende omaggio alla sua figura e alla sua opera con una grande mostra che ne racconta la vita, la musica, le esperienze, le passioni che lo hanno reso unico e universale, interprete e in alcuni casi anticipatore, dei mutamenti, delle pulsioni e delle trasformazioni della contemporaneità. L’esposizione, che è stata inaugurata il 31 dicembre e si concluderà il 3 maggio, è organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura in collaborazione con la Fondazione Fabrizio De André. L’iniziativa si sviluppa attraverso un percorso suddiviso per aree tematiche e cronologiche, organizzato in modo da rendere il racconto e la rappresentazione visiva, testuale, musicale, dense di suggestioni ed emozioni per un vasto pubblico, che potrà di volta in volta scegliere quale immagine di FFRONTA I GRANDI “Faber” sviluppare per sé, in relazione con il proprio TEMI DELLA SUA OPERA vissuto. La mostra affronLA SOCIETÀ DEL BOOM ta i grandi temi della poetica di De André: la società I VINTI LA LIBERTÀ del benessere e il boom E L ANARCHIA economico degli anni ’60, gli emarginati e i vinti, la G Una scena del “vangelo secondo Matteo” di Pasolini scatolare ogni espressione dell’intelligenza». E riferendosi alla triade degli autori si chiese: «Vogliamo dimenticarci la loro indipendenza intellettuale? Per contro non manca chi dice che Julius Evola è un anarchico. Cartesio dicevo: penso perciò sono. Ma oggi il pensiero non ha più diritto di cittadinanza se non è più riassumibile in un marchio». Questo, insomma, è il De André che piacque e ispiro anche la gioventù dell’altro ‘68. Quella che, qualche anno dopo, animò la stagione dei Campi Hobbit e della destra giovanile di fine anni ’70. Un intero paragrafo, ad esempio, è a lui dedicato in Fascisti immaginari, il libro di Luciano Lanna e Filippo Rossi che racconta l’universo delle suggestioni a destra. E tra le pagine del libro sono in tanti gli (ex) ragazzi che ricordano cosa ha significato la poetica dell’artista genovese. Dallo storico Franco Cardini («Per lungo tempo mi sono riconosciuto in De André») a Piefranco Bruni che a De André ha dedicato un volume – Fabrizio De André. Il cantico del sognatore mediterraneo – e che così ricorda il senso di unità generazionale che i suoi testi ispiravano: «Quando nei cortei ci sentivamo protagonisti e le barricate erano sogni o lotte da vivere eravamo tutti un po’ anarchici. Ovvero eretici. Non avevamo stellette da lustrare ma soltanto stelle da raccontare». E che dire di Francesco Mancinelli, uno degli intepreti di punta della musica identitaria, che con la sua band di musica folk (“Contea”) ha messo in scaletta alcuni brani di De André? «Di André – ha spiegato Mancinelli – ci piaceva il suo repertorio medievaleggiante, il pessimismo cosmico, la rielaborazione della tradizione trobadorica e lo stare sempre dalla parte dei “vinti”». E proprio in omaggio a questi, e allo sterminio degli indiani d’America, centinaia di volte si sente Mancinelli cantare Fiume Sand Creek: «Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura/sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura...». L’ESPOSIZIONE A : , , ’ Tra il 1975 e il 1998 furono 12 i tour di Fabrizio De André, di cui uno europeo ] DALLA PARTE DEGLI ESCLUSI 7 libertà, l’anarchia e l’etica, gli scrittori e gli chansonniers, le donne e l’amore, la ricerca musicale e linguistica, l’attualità nella cronaca, i luoghi rappresentativi della sua vita; tutti in modo da dare il senso della sua capacità di parlare al singolo ma di essere universale, riconosciuto e amato dalle persone di ogni genere e età. Accanto alla mostra sono allestite alcune scenografie originali della sue tournèes: i tarocchi giganti, falsi d’autore, le grandi vele e le reti da pesca. Postazioni multimediali permanenti, tavoli con touch screen, per approfondire virtualmente e visivamente testi di Faber e spartiti originali. Allestita nel Sottoporticato del Palazzo, l’esposizione si sviluppa attraverso 5 sale, che via via raccontano in modo sorprendente e originale i temi conduttori della sua vita e della sua poetica. La prima sala, la più grande, introduce il visitatore alle principali tematiche del mondo poetico di Fabrizio, allo sviluppo del suo pensiero e ad una sorta di work in progress di alcune sue canzoni. Sulla parete destra corre un fiume di calligrafia, ricavato dalle stesure provvisorie o meno di alcune canzoni, dalla Canzone del Maggio a Creuza de ma, al work in progress de La domenica delle salme, alla versione spagnola di Smisurata preghiera (Desmedida plegaria nella preziosa traduzione del poeta colombiano Alvaro Mutis), fino ad un appunto inedito per il disco, mai realizzato, che avrebbe dovuto far seguito ad Anime salve. Al di là della mostra sono tante le manifestazioni che sono previste in tutta Italia per ricordare l’artista. Stasera, alle 21, a Castel Frentano (Ch), è in programma un “Ricordo in musica, poesia e teatro di Fabrizio De André”. Al Teatro Astra di Vicenza (alle 21) è in programma “In viaggio con Fabrizio Genova-Sardegna andata e ritorno”, uno spettacolo prodotto da Le officine del suono con Paola Rossi, un viaggio immaginario fra Genova e la Sardegna ed altri luoghi della vita di Fabrizio, con amici e musicisti che con lui hanno vissuto o collaborato. Il 12 gennaio all’Auditorium di Roma una “Serata De André” con Mauro Pagani, Nicola Piovani, Ernesto Assante e Gino Castaldo, con un omaggio musicale di alcuni musicisti tra cui Stefano Di Battista (sax), Fabrizio Bosso (tromba) e Roberto Gatto (batteria). Il 30 e 31 gennaio, presso il Teatro Comunale di Cesenatico, ottava edizione della manifestazione intitolata “Amico fragile”. Sul palco si esibiranno gli Artenovecento, una delle migliori formazioni della Romagna, che in questi anni ha proposto De André con diverse chiavi di lettura. Le note si misceleranno con letture di testi e proiezioni di immagini. 8 [ DALLA PARTE DEGLI ESCLUSI ] SECOLO D’ITALIA DOMENICA 11 GENNAIO 2009 DOMENICA 11 GENNAIO 2009 MARZI ◆ Alfredo Borgorosso U n articolo del settimanale Panorama sul secondo Campo Hobbit, a Fonte Romana in Abruzzo nel giugno del 1978, raccontava con un pizzico di malizia che tra le tante espressioni musicali della destra, «c’erano anche gli imitatori di De Andrè». Il riferimento era indubbiamente alle canzoni di Fabrizio Marzi, cantautore piacentino di musica alternativa dalla voce baritonale e incisiva come quella del genio ligure, al punto da essere appellato «il De André della destra». E nell’opuscolo distribuito nell’occasione, Balder, i canti della tradizione(curato da Aldo Perez, Nicola Cospito e Aldo Conti), tra i vari testi scelti, c’erano anche due perle del genovese come Filo di lana e La morte. A trent’anni di distanza, attraverso la memoria del sodalizio artistico tra Marzi e Walter Jeder è possibile definire la forte sensibilità e affinità tra il mondo della destra musicale e la produzione del poeta di Bocca di Rosa. ■ C’è una leggenda metropolitana che vorrebbe giovanissimo De Andrè vicino al Msi… Ribellismo per ribellismo, gli itinerari culturali degli artisti non sono mai lineari, ma il suo genio non è possibile catalogarlo con le anacronistiche categorie destra/sinistra... Nella musica e nell’arte prevalgono le emozioni. E già negli anni sessanta i giovani di destra si riconoscevano nelle eresie, erano allergici agli steccati. Il cantante genovese andava al di là degli stereotipi degli autori impegnati, in quanto nelle sue opere prevaleva il profilo ribelle, anarcoide. ■ In un verso di una tua canzone, “Il Sessantotto”, cantavi: «… quando i “maledetti” amavano De André». Come ti spieghi che i testi del canzoniere deandreiano facessero breccia a destra? C’era sotto traccia una affinità spirituale, una attenzione per gli ultimi, per gli emarginati. E da parte nostra avevamo anche l’orgoglio dell’essere diversi, differenti. Scegliere De André era un moto anticonformista, contro altri cantanti che avevano assunto un profilo commerciale. Ricordo di aver assistito a un suo concerto nello stadio di Piacenza, era accompagnato dalla PFM. Una serata memorabile. ■ Come ti sei guadagnato il titolo di “il De André della destra”? Non venivo dalla militanza, ma avevo fin da studente delle medie su- SECOLO D’ITALIA BORTOLUZZI [ periori ben chiara la visione del mondo, e mi riconoscevo nella destra politica. Grazie al connubio con Walter Jeder, un artista poliedrico, che aveva collaborato con Leo Valeriano, ho iniziato a interpretare con la mia voce baritonale una traccia culturale antica, sedimentata dalle precedenti generazioni, il risultato di letture e approfondimenti mai conformisti. E naturalmente la differenza era nel trasporto che avevo sul palco nel cantare testi politici, che facevano vibrare le corde dei sentimenti. All’inizio le assonanze con l’artista genovese mi hanno dato una mano, ma allo stesso tempo non volevo sfondare come un suo emulo. L’esperienza musicale mi ha cambiato e arricchito, sul piano sociale e culturale. Le mie canzoni grazie alla rete sono diventate patrimonio delle nuove generazioni, e così abbiamo trasmesso le nostre emozioni a giovani che adesso hanno meno di vent’anni. ■ Artisticamente ci sono mai stati incroci tra voi? Non l’ho mai conosciuto e me ne rammarico. Ho però lavorato con due suoi collaboratori, il tecnico del suono Gianni Prudente per incidere Zoo e il maestro Mario Battaini per lp Giovinezza. Una canzone per vincere nel 1979. Avrei avuto piacere che cantasse o almeno potesse ascoltare qualche nostro pezzo, pieno di ribellione contro i conformismi e le mollezze della borghesia e dei benpensanti, o magari uno dei nostri testi più goliardici, che dissacravano un certo modo di stare a sinistra. ■ A quale stagione artistica e musicale del cantautore genovese ti senti più legato? Di sicuro alla sua prima produzione. Quando successivamente iniziò a sperimentare anche canzoni più ricercate, in dialetto, divenne per me più difficile da comprendere. Oltre Bocca di Rosa, mi piaceva Il testamento di Tito. Non era una poesia blasfema, ma un affresco dell’altra faccia della medaglia, uno spaccato di vita che non bisogna nascondere. ■ De André e i Campi Hobbit. In quegli spazi della destra giovanile trionfava la creatività non allineata, sprigionavamo la nostra fantasia e così ascoltare le sue canzoni era naturale. Il nostro profilo era libertario, e con i suoi testi c’era piena identità di vedute. E il nostro messaggio di critica della società consumistica era sotto traccia uno dei temi della poetica deandreiana. FABER ERA UN LIBERTARIO COME NOI DEI CAMPI HOBBIT IL SUO IMMAGINARIO? ERA ANCHE IL NOSTRO ◆ Michele De Feudis S ulle Strade d’Europa, alla fine, si incontra la più raffinata produzione della “musica alternativa” con la poetica produzione di Fabrizio De André. La rotta di un itinerario culturale eterodosso, che salda la critica della società dei consumi, la sensibilità per gli esclusi (o per i vinti), e un approccio libertario sono le corde suonate quasi all’unisono dalla Compagnia dell’Anello, il più longevo sodalizio della destra musicale e dal cantautore genovese. Mario Bortoluzzi, voce storica del gruppo padovano, del poeta di Bocca di Rosa è stato un estimatore fin dai primi anni Settanta, e racconta con dovizia di particolari non solo la passione musicale per De André, ma anche e soprattutto la naturale propensione alle contaminazioni dei migliori laboratori culturali. ■ De André apprezzato e ascoltato a destra, anche negli anni delle più dure contrapposizioni. Dov’è la novità? È stato senza dubbio uno dei punti di riferimento musicali per tutta una generazione. Insieme a Francesco Guccini. Fabrizio nasce a sinistra, è il rampollo della buona borghesia genovese, poi elabora una visione anarchica… ■ Eppure… Cantava temi, tensioni, ideali nei quali ci riconoscevamo anche noi. Ci immedesimavamo nella purezza delle poesie de L’Antologia di Spoon River, tradotta da Fernanda Pivano, come nella serrata critica al “borghesismo”. ] DALLA PARTE DEGLI ESCLUSI ■ Nel vostro repertorio, quali sono le canzoni con più assonanze con il poeta ligure? La sua musica ci ha ispirato in tante occasioni. Soprattutto in canzoni come Sulla strada e Canto di un cavaliere errante… ■ In strofe come questa: «E nel mio vagare fuori dal mio reame un senso alla vita guerriera darò, per fede brandire di morte la lama, più gloria al suo nome verrà e noi cavalieri fedeli d’amore per il Re e per Iddio sapremo pugnar»… Si può ritrovare la stessa allegoria che aveva usato in Carlo Martello, brano scritto a quattro mani con Paolo Villaggio… Dietro il disvelamento e l’amore, c’era un modo di “giocare” con il Medioevo che piaceva anche a noi. ■ In “On the road” invece quali sono le similitudini? È un testo che gli sarebbe piaciuto, perché tutta la sua produzione è legata al tema del viaggio, della sperimentazione, della scoperta. ■ Poi De André è stato un grande cantore libertario. La sua può essere una colonna sonora per comprendere le inquietudini che agitarono i giovani d’Europa dal maggio francese e per il decennio successivo nelle piazze, nelle scuole e nelle università. Un percorso impreziosito dalla collaborazione con Leonard Cohen, e intriso di parole e poesia. Senza dimenticare il sodalizio con la Premiata Forneria Marconi. ■ Evidenziava in pieno le debolezze della società dei consumi. Ritrovavamo nei suoi testi, mai banali, semplici, immediati, la stessa lezione di Julius Evola in Orientamenti: disprezzava il mito borghese della “sicurezza”, della vita senza rischi. ■ Aveva un approccio non conformista rispetto alla musica popolare. Rielaborò la tradizione musicale italiana, quella delle canzoni regionali, dei suoni etnici, dei testi dialettali, delle ballate suonate nelle valli piemontesi. ■ Le sue ballate sono piene di riferimenti agli esclusi... E noi ci ritrovavamo in quell’immaginario. Noi giovani di destra, negli anni settanta, eravamo gli eredi degli sconfitti nella seconda guerra mondiale. Chiusi in un ghetto dalla partitocrazia, ma allo stesso tempo desiderosi di lanciare le nostre sfide, di superare vecchie divisioni… De André raccontava i ghetti vissuti prima di noi. Non a caso un critico musicale come Donato Zoppo ha riscontrato similitudini tra i nostri testi e le nostre atmosfere e la produzione del genovese. ■ De André e la destra: una contaminazione preziosa. La musica abbatte tutte le barriere. Non è mai stato un uomo di partito, un settario, un conformista. Un po’ come noi, cresciuti nel Fronte della Gioventù, con la stessa vocazione libertaria e ribelle contro gli stereotipi dominanti. Avevamo, nel nostro piccolo, la stessa missione: suonare musica che unisse e che fosse un ponte generazionale. Musica come momento fondante, con canzoni senza tempo. 9