ALMA
MATER
STUDIORUM
‐
UNIVERSITA'
DI
BOLOGNA
FACOLTA'
DI
LETTERE
E
FILOSOFIA
Corso
di
laurea
in
Scienze
della
Comunicazione
NUTRIRSI
DI
LUOGHI
COMUNI
Un’analisi
comparata
delle
campagne
ABA
sui
disturbi
alimentari
Tesi
di
laurea
in
Semiotica
II
Relatrice:
prof.ssa
Giovanna
Cosenza
Sottocommissione:
proff.
Grandi,
Cosenza,
Marmo
Presentata
da:
Valentina
Pareschi
Seconda
Sessione
Anno
accademico
2010/2011
Indice
1.
Introduzione......................................................................................................................................3
1.1
Il
corpus................................................................................................................................................... 3
1.2
Metodo
di
analisi
e
risultati
ottenuti....................................................................................................... 3
1.3
Perché
occuparsi
di
disturbi
alimentari? ................................................................................................. 3
1.4
I
disturbi
alimentari:
cosa
sono,
qualche
dato ........................................................................................ 4
1.5
I
disturbi
alimentari:
come
parlarne
(le
indicazioni
dell’ABA) ................................................................. 5
2.
Analisi ...............................................................................................................................................6
2.1
Una
premessa
all’analisi.......................................................................................................................... 6
2.2
Storie
di
guarigione ................................................................................................................................. 6
2.3
Storie
di
possibile
guarigione .................................................................................................................. 8
2.4
Storie
di
malattia ................................................................................................................................... 11
2.5
Storie
non
riuscite ................................................................................................................................. 14
3.
Conclusione:
una
proposta
per
parlare
di
DCA
in
modo
efficace ......................................................16
3.1
Definire
il
destinatario........................................................................................................................... 16
3.2
Fase
1:
coinvolgere
il
malato
(storia
di
malattia) .................................................................................. 16
3.3
Gli
stereotipi
sui
disturbi
alimentari...................................................................................................... 17
3.4
Fase
2:
mostrare
la
guarigione
per
intero
(storia
di
guarigione)........................................................... 18
Appendice...............................................................................................................................................20
Bibliografia .............................................................................................................................................31
Sitografia ................................................................................................................................................31
2
1. Introduzione
Questa
tesi
intende
occuparsi
della
comunicazione
relativa
ai
disturbi
del
comportamento
alimentare.
In
particolare,
ho
deciso
di
focalizzarmi
sulla
comunicazione
di
ABA1,
“un’associazione
senza
scopo
di
lucro,
impegnata
dal
1991
nel
campo
della
prevenzione,
dell’informazione
e
della
ricerca
su
anoressia,
bulimia,
obesità
e
disturbi
alimentari”
(cit.
opuscolo
informativo
ABA).
1.1
Il
corpus
Il
corpus
considerato
è
eterogeneo,
e
comprende
le
due
campagne
pubblicitarie
realizzate
da
ABA
(con
testi
sia
verbali
che
audio
e
video),
locandine
di
spettacoli
teatrali
sull’anoressia,
opuscoli
informativi
distribuiti
nelle
farmacie,
cataloghi
di
mostre
sulla
sofferenza
femminile.
In
tutti
i
casi
ABA
è
presente
o
come
committente
diretto
(come
nel
caso
delle
campagne
pubblicitarie)
o
come
sostenitore
delle
diverse
iniziative.
Come
criterio
di
selezione,
ho
scelto
di
occuparmi
solo
di
quei
testi
in
cui
la
partecipazione
di
ABA
è
manifesta,
per
esempio
perché
il
logo
dell’associazione
compare
tra
i
collaboratori,
oppure
perché
chi
ha
realizzato
quel
testo
si
è
avvalso
della
consulenza
degli
specialisti
ABA.
Per
cercare
tutto
il
materiale
sui
disturbi
alimentari
realizzato
in
questi
ultimi
anni,
ho
compiuto
una
ricerca
sia
presso
la
sede
dell’associazione
sia
on‐line.
In
tutto
ho
raccolto
9
testi,
realizzati
in
un
periodo
di
tempo
che
va
dal
febbraio
2004
al
febbraio
20112.
Spero
che
la
mia
ricerca
sia
stata
sufficientemente
esauriente.
1.2
Metodo
di
analisi
e
risultati
ottenuti
Nel
presente
elaborato,
analizzerò
i
vari
modi
in
cui
si
può
parlare
dei
disturbi
alimentari.
L’approccio
utilizzato
è
di
tipo
semiotico3.
I
testi
sono
stati
tutti
analizzati
singolarmente,
e
poi
confrontati
sulla
base
di
4
grandi
fili
conduttori,
riassumibili
in
4
domande:
1. Che
storia
raccontano?
Le
strutture
semio‐narrative
2. Com’è
visto
il/la
malato/a?
Il
ruolo
tematico
3. Che
emozioni
prova?
Le
passioni
4. Chi
parla
e
a
chi
parla?
La
teoria
dell’enunciazione
Il
confronto
trasversale
basato
su
criteri
semiotici
ha
permesso
di
accostare
tra
loro
testi
anche
molto
diversi,
per
esempio
un
manifesto
affisso
per
le
strade
di
Milano
e
uno
spot
trasmesso
per
radio.
L’analisi
ha
permesso
di
individuare
in
che
modo,
fino
ad
oggi,
si
è
parlato
di
DCA
(disturbi
del
comportamento
alimentare):
quali
tipi
di
storie
raccontano
i
testi
(per
esempio
storie
a
lieto
fine,
dove
si
mostra
la
guarigione
finale
del/la
malato/a),
chi
sono
i
protagonisti,
chi
l’enunciatore
e
l’enunciatario
modello,
quali
reazioni
provocano
queste
storie
in
chi
legge
(euforia
o
disforia).
Concludo
l’elaborato
con
una
proposta
su
quale
sia,
a
mio
parere,
il
modo
più
efficace
per
parlare
di
disturbi
alimentari,
a
seconda
dei
diversi
destinatari
scelti.
1.3
Perché
occuparsi
di
disturbi
alimentari?
Perché
occuparsi
della
comunicazione
relativa
ai
disturbi
alimentari?
Ci
sono
almeno
due
buoni
motivi.
Il
primo
è
che
sono
un
problema
quanto
mai
attuale
e,
purtroppo,
sempre
più
diffuso.
Il
secondo
è
che
1
Sito
internet:
http://www.bulimianoressia.it/
Per
un
elenco
completo
dei
testi
analizzati
in
ordine
cronologico,
si
veda
la
tabella
1
in
Appendice
3
Per
un
contributo
sulle
teorie
semiotiche
e
sulla
loro
applicazione
pratica
si
rimanda
a
Pozzato,
Semiotica
del
Testo,
Roma,
Carocci
editore,
2001.
2
3
questo
tema
è
particolarmente
delicato
e
va
affrontato
con
il
dovuto
tatto.
Se
già
la
comunicazione
pubblicitaria
richiede
attenzione
e
intelligenza,
ancora
di
più
questo
è
vero
quando
si
parla
di
DCA
(e,
più
in
generale,
di
comunicazione
in
ambito
sociale):
bisogna
evitare
di
ferire
la
sensibilità
dei
malati,
rischiando
di
ottenere
addirittura
l’effetto
opposto
a
quello
desiderato.
1.4
I
disturbi
alimentari:
cosa
sono,
qualche
dato
Cosa
sono
anoressia,
bulimia
e
obesità
psicogena?
Cito
le
descrizioni
direttamente
da
uno
degli
opuscoli
ABA
intitolato
“Fame
d’amore”,
realizzato
nel
2005
e
distribuito
nelle
farmacie
milanesi
(corsivi
miei):
Nell’anoressia
la
fame
viene
negata,
si
cade
nel
calcolo
ossessivo
delle
calorie
e
nel
controllo
spasmodico
del
peso:
modalità
che
esprimono
il
desiderio
di
controllare
anche
le
emozioni
e
i
sentimenti.
Ci
si
illude
che
cambiando
il
proprio
peso
si
possa
cambiare
anche
la
propria
vita.
[...]
Nella
bulimia
si
instaura
con
il
cibo
una
dipendenza
paragonabile
a
quella
che
si
ha
con
la
droga.
Dopo
aver
mangiato,
però,
si
è
vittima
di
un
senso
di
colpa
devastante
e
sembra
che
l’unica
soluzione
sia
tornare
indietro,
rifiutare
ciò
che
è
stato
assunto.
Così
si
comincia
con
il
calvario
del
vomito
autoindotto
che
segue
abbuffate
segrete
o
notturne,
in
un
circolo
vizioso
dal
quale
si
ha
l’impressione
di
non
poter
uscire.
[...]
Come
nella
bulimia,
anche
nell’obesità
psicogena
si
è
di
fronte
a
una
dipendenza,
cambiano
solo
le
modalità.
Il
cibo
è
scelto
con
cura
e
assunto
fino
ad
aumentare
di
peso
in
modo
spropositato.
Viene
inconsciamente
considerato
una
soluzione
magica
alle
difficoltà
del
vivere,
un
anestetico
rispetto
al
dolore
che
si
ha
dentro.
[...]
Nell’anoressia,
bulimia
e
obesità
psicogena
il
pensiero
ossessivo
del
cibo
protegge
la
mente
da
un
groviglio
di
emozioni
come
la
paura,
la
rabbia,
il
desiderio,
di
fronte
alle
quali
ci
si
sente
fragili
e
vulnerabili.
I
disturbi
dell’alimentazione
non
sono
malattie
dell’appetito,
ma
raccontano
un
malessere
interiore
e
profondo.
Un
dolore
nel
quale
chi
soffre
si
sente
intrappolato.
(ABA,
2005)
I
disturbi
alimentari
in
apparenza
sono
legati
all’immagine
e
al
peso,
in
realtà
nascondono
un
disagio
interiore
che
il/la
malato/a
non
riesce
ad
affrontare.
Questa
contrapposizione
tra
sofferenza
interiore
e
sintomo
esteriore
(la
malattia
legata
al
cibo)
viene
ripresa
più
volte
nei
vari
testi.
In
alcuni
casi,
viene
anche
figurativizzata
attraverso
la
metafora
dell’iceberg:
il
disturbo
alimentare
non
è
che
la
punta
che
emerge
dalle
acque,
in
realtà
nasconde
una
sofferenza
ben
più
profonda
(la
parte
sommersa).
Ma
quante
persone,
oggi,
soffrono
di
questi
disturbi?
Sempre
citando
l’ABA
(opuscolo
informativo
del
30
aprile
2007)
scopriamo
che:
In
Italia
• 5%
della
popolazione
soffre
di
disturbi
alimentari;
• 3
milioni
di
persone
sono
colpite
direttamente
da
anoressia,
bulimia
e
obesità;
l’8‐10%
delle
ragazze
e
lo
0,5‐1%
dei
ragazzi;
• 7,5
milioni
sono
le
persone
coinvolte
a
livello
familiare;
• 12‐25
anni
è
la
fascia
di
età
più
colpita,
ma
i
disturbi
possono
manifestarsi
anche
in
fasce
di
età
pediatrica
e
dopo
i
40
anni;
• 95%
di
chi
chiede
aiuto
è
donna,
anche
se
stiamo
assistendo
ad
un
preoccupante
aumento
di
casi
anche
nella
popolazione
maschile.
(ABA,
2007)
Un
fenomeno,
dunque,
che
coinvolge
milioni
di
persone
(senza
contare
familiari
e
amici
dei
malati)
e
di
cui
è
importante
parlare.
4
1.5
I
disturbi
alimentari:
come
parlarne
(le
indicazioni
dell’ABA)
Come
già
detto,
parlare
dei
disturbi
alimentari
è
particolarmente
difficile,
perché
si
ha
a
che
fare
con
persone
malate,
quindi
fragili,
nella
maggior
parte
dei
casi
non
completamente
coscienti
del
loro
malessere
o
comunque
poco
disposte
ad
ammetterlo
(per
vergogna,
per
paura
del
giudizio
altrui).
L’ABA
riconosce
questa
difficoltà
e,
proprio
per
questo,
nel
2009
pubblica
un
opuscolo
in
cui
fornisce
6
semplici
punti
da
seguire
quando
si
fa
comunicazione
sui
DCA.
Cerco
di
riassumerli:
1. Ogni
utente
è
una
persona.
Bisogna
ricordare
che
“ognuno
interpreta
e
percepisce
il
messaggio
in
modo
personale”
(ABA,
2009),
è
opportuno
comunicare
in
modo
da
limitare
al
minimo
i
fraintendimenti
(per
esempio,
evitare
che
un
bambino
rimanga
shockato
di
fronte
a
certe
immagini,
o
che
un
malato
si
senta
giudicato).
2. Immagini,
non
sensazionalismi.
Usare
immagini
crude
e
shockanti
è
controproducente
per
almeno
due
motivi.
Il
primo
è
che
si
rischia
di
produrre
un
messaggio
troppo
angosciante,
che
allontana
il
destinatario;
il
secondo
è
che
l’utente
è
abituato,
al
giorno
d’oggi,
a
immagini
molto
violente
e
usando
foto
troppo
esplicite
non
si
fa
che
anestetizzarlo
sempre
più.
3. Parole,
non
suggerimenti.
Nel
descrivere
i
comportamenti
sbagliati
di
chi
soffre
di
DCA,
è
facile
oltrepassare
il
confine
e
dare
delle
indicazioni
ai
malati
stessi
che
così
rafforzano
sempre
più
i
loro
sintomi.
Per
esempio,
parlare
“dei
metodi
che
vengono
utilizzati
come
condotte
eliminatorie
da
persone
che
soffrono
di
bulimia”
(ibidem)
può
rivelarsi
un
suggerimento
per
chi
ne
soffre,
anche
se
l’intento
iniziale
era
quello
di
mettere
in
allerta
rispetto
ai
pericoli
che
queste
condotte
comportano.
4. Siti
web,
non
semplice
realtà
virtuale.
Negli
ultimi
anni,
si
stanno
diffondendo
sempre
più
i
blog
pro‐
Ana
(pro‐anoressia)
e
pro‐Mia
(pro‐bulimia).
In
questi
ambienti
virtuali
i
malati
si
scambiano
consigli
e
si
danno
reciproca
forza
per
continuare
il
digiuno.
È
perciò
importante
“evitare
di
dare
suggerimenti
e
indicare
link
dove
possano
essere
trovate
certe
informazioni”
(ibidem).
5. Fonti,
non
opinioni.
“Si
parla
spesso
di
disturbi
del
comportamento
alimentare:
vengono
offerte
opinioni,
soluzioni,
risposte
molteplici,
ma
non
tutte
sono
attendibili
[...]
è
dunque
consigliabile
rivolgersi
ad
esperti
del
settore”
(ibidem).
6. Prevenzione,
non
semplice
informazione.
Per
tutti
i
motivi
sopra
citati,parlare
di
DCA
è
complesso,
perché
porta
con
sé
dei
fattori
di
rischio
(dare
suggerimenti
ai
malati
su
come
rafforzare
i
sintomi
anoressico‐bulimici,
shockare
il
destinatario
invece
di
coinvolgerlo,
ecc).
Il
compito
dell’abile
comunicatore
è
quello
di
tramutare
i
fattori
di
rischio
in
fattori
di
prevenzione.
5
2. Analisi
2.1
Una
premessa
all’analisi
Come
già
accennato
nell’introduzione,
i
testi
presi
in
considerazione
sono
stati
prima
analizzati
singolarmente
e
poi
confrontati
sulla
base
della
storia
che
raccontano
(le
strutture
semio‐narrative),
del
ruolo
tematico
che
il/la
malato/a
ricopre,
delle
passioni
che
scatenano
in
chi
legge,
della
teoria
dell’enunciazione.
In
base
all’analisi
delle
strutture
semio‐narrative,
ho
individuato
3
tipi
di
storie:
1. Storie
di
guarigione
2. Storie
di
possibile
guarigione
3. Storie
di
malattia
La
stessa
struttura
semio‐narrativa
può
acquisire
sfumature
diverse
a
seconda
della
caratterizzazione
passionale
scelta.
Ad
esempio,
una
stessa
storia
di
guarigione
suscita
emozioni
diverse
a
seconda
se
la
caratterizzazione
è
soltanto
euforica
(si
mostra
solo
il
soggetto
guarito
e
felice)
oppure
sia
disforica
che
euforica
(si
mostra
la
sofferenza
iniziale
del
soggetto,
poi
però
arriva
la
guarigione
finale
e
la
relativa
felicità
del
soggetto
per
essere
guarito).
Potenzialmente,
ogni
tipo
di
struttura
semio‐narrativa
può
essere
associata
a
passioni
euforiche
e
disforiche;
nella
pratica
è
evidente
che
ciò
non
è
possibile:
una
storia
di
guarigione
non
può
essere
disforica
(sarebbe
assurdo
mostrare
un
soggetto
guarito
che
è
triste
a
causa
della
guarigione).
A
sua
volta,
una
stessa
storia,
con
la
sua
particolare
coloritura
passionale,
può
essere
raccontata
da
punti
di
vista
diversi
(teoria
dell’enunciazione).
Ad
esempio,
una
storia
di
guarigione
euforica
(in
cui
si
mostra
solo
il
soggetto
guarito
e
felice)
potrebbe
essere
raccontata
dal
soggetto
stesso
ad
un
destinatario
indistinto,
oppure
il
soggetto
può
parlare
solo
alle
persone
che
stanno
ancora
soffrendo
di
disturbi
alimentari
(i
malati),
oppure
ancora
può
essere
l’autore
del
testo
(l’ABA)
a
parlare
(e
a
sua
volta
può
parlare
a
tutti
o
solo
ai
malati).
Come
si
vede,
le
combinazioni
possibili
sono
molte.
Se
a
ciò
si
aggiunge
che
una
stessa
combinazione
può
essere
raccontata
con
accorgimenti
visivi
diversi
(a
livello
sia
plastico
che
figurativo),
con
diverse
aspettualizzazioni
temporali,
con
isotopie
che
cambiano
di
volta
in
volta,
si
capisce
come
non
ci
sia
un
solo
modo
di
parlare
di
DCA.4
Ora
parlerò
in
dettaglio
dei
3
tipi
di
storie
individuati
e
delle
varianti
di
ogni
storia,
a
seconda
dell’elemento
passionale,
del
ruolo
tematico
del
soggetto
e
del
punto
di
vista.
Per
rendere
più
chiari
i
concetti
esposti,
ogni
variante
sarà
corredata
da
uno
o
più
esempi.
2.2
Storie
di
guarigione
Se
stessimo
parlando
di
fiabe,
le
storie
di
guarigione
sarebbero
quelle
a
lieto
fine.
2.2.1
Strutture
semio‐narrative
Le
storie
di
guarigione
raccontano
di
una
malata
(soggetto)
che
vorrebbe
guarire
(oggetto
di
valore),
ma
non
possiede
la
conoscenza
necessaria
per
farlo
(non
ha
la
competenza).
Questo
fa
sì
che
sia
la
malattia
(antisoggetto)
a
vincere,
ovvero
la
ragazza
continua
a
soffrire.
Ma
gli
specialisti,
in
particolare
l’ABA
(aiutante,
dotato
di
competenza)
aiutano
la
ragazza
ad
uscire
dalla
sua
situazione.
Ci
può
essere
o
meno
la
figura
di
un
opponente,
ovvero
colui/coloro
che
non
capisce/capiscono
che
il
soggetto
è
malato
(ad
esempio,
i
familiari,
la
società).
4
Per
un
riassunto
schematico
dei
tipi
di
storie
individuati
con
relative
varianti
ed
esempi,
si
veda
la
tabella
2
in
Appendice
6
Queste
storie
si
caratterizzano
per
una
sanzione
positiva.
Ma
andiamo
con
ordine.
Può
essere
presente
o
meno
la
fase
della
manipolazione,
in
cui
si
parla
delle
cause
che
hanno
fatto
ammalare
il
soggetto
(per
esempio,
una
situazione
familiare
e
amicale
sfavorevole).
Invece,
una
fase
sempre
presente
è
quella
in
cui
il
soggetto,
che
di
per
sé
non
ha
la
conoscenza
necessaria
per
guarire,
viene
fornito
di
tale
competenza
dall’aiutante
(solitamente
ABA)
e
grazie
a
lui
riesce
a
mettere
in
atto
la
performanza
(iniziare
un
percorso
di
guarigione).
Nelle
storie
di
guarigione
l’ultima
fase,
la
sanzione,
è
sempre
presente
e
sempre
positiva:
sono
storie
che
ci
parlano
del
recupero
della
salute,
cioè
di
un
percorso
andato
a
buon
fine.
Com’è
facile
intuire,
queste
storie
sono
sostanzialmente
euforiche,
cioè
valorizzate
positivamente.
Infatti,
una
guarigione
non
può
che
portare
con
sé
sentimenti
(o
passioni)
di
gioia
e
speranza
(passioni
euforiche).
Vi
sono
però
due
diverse
varianti.
2.2.2
Due
varianti
delle
storie
di
guarigione
a) Storie
che
mettono
in
scena
solo
la
fase
finale
(la
sanzione
positiva,
cioè
la
guarigione);
le
altre
fasi
sono
sottointese.
Si
mostra
un/a
ragazzo/a
guarito/a
e
felice,
senza
descrivere
(se
non
solo
accennandolo)
il
lungo
processo
di
guarigione
che
ha
attraversato.
La
valorizzazione
timica
è
solo
euforica,
l’aspettualizzazione
è
puntuale:
l’intero
processo
viene
fotografato
solo
in
una
sua
fase.
Il
ruolo
tematico
del
soggetto,
in
questo
caso,
rimane
costante:
è
sempre
quello
dell’ex‐malato/a,
ora
guarito/a.
b) Storie
che
descrivono
l’intero
processo:
si
parte
dalla
manipolazione
(cause
che
fanno
ammalare
il
soggetto),
si
passa
per
la
competenza
(fornita
dall’aiutante),
la
performanza
(il
processo
di
guarigione)
per
arrivare
alla
sanzione
finale
positiva
(cioè
la
guarigione).
In
questo
caso,
i
marcatori
temporali
pongono
una
distinzione
tra
un
passato
disforico,
segnato
dalla
sofferenza
del
soggetto,
ed
un
presente
euforico,
in
cui
il
soggetto
è
guarito
e
felice.
Un’altra
distinzione
che
creano
è
quella
tra
il
ruolo
tematico
iniziale
(il/la
malato/a)
e
quello
finale
(il/l’ex‐malato/a,
ora
guarito/a).
L’aspettualizzazione
è
durativa:
il
soggetto
attraversa
tutte
le
fasi
prima
di
arrivare
alla
sanzione.
2.2.3
Alcuni
esempi
a) Un
esempio
della
prima
variante
di
storia
di
guarigione
(cioè
quella
in
cui
si
mostra
solo
la
ragazza
guarita)
è
il
manifesto
della
campagna
stampa
commissionata
da
ABA
ad
Ogilvy
Italia,
nel
20105.
I
manifesti
sono
tre,
ognuno
con
una
protagonista
diversa.
In
ognuno
compare
quella
che
potrebbe
essere
definita
“la
ragazza
della
porta
accanto”:
vestiti
semplici,
trucco
leggero,
viso
carino.
La
ragazza
sorride
e
guarda
negli
occhi
il
destinatario,
creando
un
effetto
di
coinvolgimento.
Lo
sfondo
è
chiaro,
la
luce
le
illumina
il
viso.
L’indice
e
il
medio
della
mano
destra
formano
la
“V”
di
vittoria,
sopra
compare
la
scritta
“Io
non
le
uso
più
per
vomitare”.
Alla
base
del
manifesto
il
bodycopy
recita:
“Alice
19
anni,
era
anoressica
e
bulimica.
Nel
2007
ha
chiamato
l’ABA,
all’800.16.56.16.
Ora
sta
bene”.
Questo
manifesto
mostra
il
DCA
partendo
dalla
fine
(la
guarigione),
dando
così
speranza
alle
persone
malate
che
guardano
questo
annuncio.
Non
a
caso,
il
nuovo
payoff
dell’ABA
è
proprio
“vent’anni
di
guarigioni”,
scritto
su
un
fondo
azzurro
speranza,
con
un
corsivo
che
richiama
la
scrittura
a
mano,
segno
di
maggiore
vicinanza
e
autenticità.
I/le
malati/e
si
identificano
con
la
ragazza
della
foto,
grazie
a
diversi
accorgimenti
che
coinvolgono
il
destinatario:
il
sorriso
e
lo
sguardo
della
ragazza
danno
un
significato
positivo
al
manifesto,
lei
parla
in
prima
persona
(“io
non
le
uso
più
per
vomitare”)
rivolgendosi
direttamente
a
chi
legge.
Per
questo,
i/le
malati/e
sono
invogliati
a
chiamare
ABA:
infatti,
pensa
il
malato,
se
Alice
è
riuscita
a
guarire
e
ora
sta
bene,
perché
non
dovrei
riuscirci
io?
Una
volta
che
il/la
futuro/a
paziente
è
portato
a
fidarsi,
ABA
prende
la
parola
e
fornisce
nel
bodycopy
le
istruzioni
per
guarire:
riconoscere
di
essere
malato/a,
chiamare
5
Si
vedano
le
figure
1.1,
1.2
e
1.3
in
Appendice
7
l’associazione
–
il
manifesto
riporta
sia
numero
che
sito
web
–
intraprendere
una
terapia,
stare
bene.
Figurativamente,
la
guarigione
è
rappresentata
dalle
dita
della
giovane:
se
prima
avevano
il
ruolo
di
opponenti
della
ragazza
(erano
usate
per
vomitare),
ora
sono
diventate
aiutanti,
perché
la
aiutano
a
trasmettere
un
messaggio
positivo:
lei
ha
vinto
la
malattia
(ecco
perché
indice
e
medio
disegnano
la
“V”
di
vittoria).
Complessivamente,
questi
manifesti
possono
essere
considerati
efficaci.
Vedremo
più
avanti
come
si
combinano
con
lo
spot
video
e
radio,
realizzati
entrambi
da
Ogilvy
per
la
stessa
campagna.
b) Per
la
seconda
variante
della
storia
di
guarigione
(quella
che
descrive
l’intero
processo,
dalla
sofferenza
iniziale
alla
guarigione
finale)
riporto
due
esempi.
Si
tratta
in
entrambi
i
casi
di
spettacoli
teatrali.
Il
primo
si
intitola
“Quasi
Perfetta,
uno
spettacolo
sull’anoressia”6,
prodotto
dalla
compagnia
teatrale
“Quelli
di
Grock”
con
la
consulenza
di
Maria
Barbuto,
responsabile
del
centro
ABA
di
Milano
e
andato
in
scena
per
la
prima
volta
nel
febbraio
2004.
Il
secondo
è
“La
Bambina
con
la
Pelliccia
(di
anoressia
si
può
guarire)7”,
prodotto
dal
“Teatro
d’Emergenza”
nel
febbraio
2010
e
liberamente
tratto
dal
libro
“Tutto
il
Pane
del
Mondo”
di
Fabiola
De
Clercq,
fondatrice
dell’ABA.
Le
recensioni
dei
due
spettacoli
fanno
un
sapiente
uso
delle
espressioni
temporali,
che
marcano
la
differenza
tra
un
passato
disforico,
in
cui
la
protagonista
soffriva,
ed
un
presente
euforico,
in
cui
è
guarita
e
felice.
È
lei
stessa,
in
prima
persona,
a
rivolgersi
al
pubblico
per
raccontare
la
sua
storia
di
guarigione.
In
entrambi
i
casi
sono
rappresentate
più
fasi
dello
schema
narrativo
canonico
e
non
solo
l’ultima
(la
sanzione).
Si
parte
della
manipolazione,
ovvero
le
cause
per
cui
la
ragazza
si
ammala
–
nel
primo
caso
“una
madre
competitiva
e
poco
accogliente,
un
padre
assente,
un’amica
che
non
capisce,
un
amore
mai
corrisposto”,
nel
secondo
“il
trauma
dell’inaspettato
cambiamento
del
proprio
corpo,
la
relazione
con
una
madre
assente,
l’abuso
subito
a
nove
anni,
la
perdita
del
padre”
(le
citazioni
di
questo
paragrafo
provengono
dalle
rispettive
locandine).
Poi
si
passa
alla
competenza,
cioè
la
consapevolezza
della
propria
malattia,
fornita
dall’aiutante,
che
in
“Quasi
perfetta”
è
“chi
ci
ama,
ci
è
vicino
e
che
con
cura
ci
saprà
indicare
un
percorso
per
ricominciare
a
camminare
da
soli”.
La
performanza
(il
percorso
di
guarigione)
è
sottintesa
in
entrambi
i
casi;
sempre
presente
è
invece
la
sanzione
positiva:
nel
primo
esempio
la
protagonista
è
“una
ragazza
un
tempo
anoressica,
ora
guarita”,
nel
secondo
è
“una
donna
che
ha
scelto
la
vita
rinascendo
in
se
stessa”.
Nonostante
il
messaggio
positivo
finale,
su
entrambe
le
locandine
ci
sono
foto
disforiche:
la
protagonista
che
si
guarda
allo
specchio
e
vede
la
sua
immagine
distorta,
sempre
lei
con
il
volto
dipinto
e
un’espressione
di
sofferenza,
ancora
lei
in
una
posizione
che
ricorda
la
crocifissione,
con
la
bocca
tappata
da
un
fazzoletto
e
a
testa
in
giù.
Se
si
facesse
riferimento
solo
alle
immagini,
questi
due
esempi
non
rientrerebbero
nelle
“storie
di
guarigione”,
bensì
nelle
“storie
di
malattia”,
di
cui
parlerò
più
avanti.
2.3
Storie
di
possibile
guarigione
Le
storie
di
possibile
guarigione
sono
storie
di
cui
non
si
conosce
il
finale,
oppure
il
cui
finale
è
temporaneamente
negativo,
anche
se
viene
lasciata
aperta
una
speranza.
In
altre
parole,
non
si
sa
se
il/la
malato/a
guarirà
o
meno,
oppure
per
il
momento
non
è
guarito/a,
ma
è
possibile
che
accada
in
futuro.
2.3.1
Strutture
semio‐narrative
La
struttura
attanziale
è
la
stessa
di
quelle
delle
storie
di
guarigione.
Si
veda
perciò
sopra,
nella
sezione
corrispondente.
6
7
Si
veda
la
figura
2
in
Appendice
Si
veda
la
figura
3
in
Appendice
8
Lo
schema
narrativo
canonico,
invece,
è
diverso
rispetto
a
quello
delle
storie
di
guarigione.
In
questo
caso
la
sanzione
non
è
presente
o,
se
presente,
è
negativa.
Le
altre
fasi
sono
analoghe
a
quelle
della
storia
di
guarigione:
c’è
una
manipolazione
iniziale
(eventi
avversi
al
soggetto)
che
lo
portano
ad
ammalarsi.
Inizialmente
il
soggetto
non
sa
e
non
può
uscire
da
questa
situazione:
gli
manca
la
competenza.
Questa
può
essere
fornita
da
ABA,
o
dagli
specialisti
in
genere.
A
questo
punto
la
storia
non
termina
però
con
una
guarigione:
si
dà
solo
al/alla
malato/a
l’indicazione
su
come
guarire
(chiamare
ABA),
ma
non
si
sa
se
ce
la
farà,
cioè
se
passerà
alla
performanza,
componendo
il
numero
di
telefono,
e
se
ciò
porterà
ad
una
sanzione
positiva
(la
guarigione).
Le
storie
di
possibile
guarigione
possono
assumere
diverse
sfumature
a
seconda
della
caratterizzazione
timica.
Si
va
da
una
guarigione
più
probabile,
se
la
storia
è
più
euforica,
ad
una
guarigione
meno
probabile,
se
la
storia
è
disforica
o
addirittura
accompagnata
da
una
sanzione
negativa.
Vediamo
le
diverse
sfumature
che
queste
storie
possono
assumere,
a
seconda
del
grado
di
euforia/disforia.
2.3.2
Due
varianti
delle
storie
di
possibile
guarigione
a) La
caratterizzazione
timica
è
disforica
all’inizio
della
storia
e
più
euforica
alla
fine.
Nella
prima
parte,
infatti,
si
racconta
della
sofferenza
del/la
malato/a,
di
quello
che
prova,
delle
cause
che
l’hanno
portato
alla
malattia.
Nella
seconda
parte
entra
in
gioco
l’aiutante
(l’ABA)
e
si
forniscono
le
alternative
per
poter
uscire
dal
disagio.
Anche
se
il/la
malato/a
rimane
tale
(il
suo
ruolo
tematico
non
cambia),
ha
la
possibilità
di
affidarsi
all’aiutante
e
lasciarsi
aiutare.
La
parte
finale
lancia
quindi
un
messaggio
di
speranza.
b) La
caratterizzazione
timica
rimane
disforica.
L’aiutante
entra
in
scena,
ma
la
sua
presenza
è
troppo
debole
per
coprire
la
forte
negatività
della
storia.
La
guarigione
è
possibile,
ma
data
come
improbabile:
il/la
malato/a
può
decidere
di
farsi
aiutare,
però
è
demotivato/a
a
chiedere
aiuto,
a
causa
della
forte
disforia
della
storia
raccontata.
2.3.3
Alcuni
esempi
Gli
esempi
che
seguono
hanno
caratterizzazioni
timiche
diverse,
si
va
dalla
storia
più
euforica
a
quella
più
disforica.
a) Iniziamo
con
due
esempi
in
cui
si
passa
dalla
disforia
iniziale
all’euforia
finale:
due
opuscoli
informativi
sui
disturbi
alimentari.
Il
primo
si
intitola
“Fame
d’amore”8
ed
è
stato
realizzato
da
ABA
nel
maggio
2005
e
distribuito
nelle
farmaci
milanesi,
il
secondo,
intitolato
“anoressia,
bulimia
e
obesità
psicogena,
tre
modi
diversi
per
esprimere
un
disagio
affettivo”9
è
stato
pubblicato
nell’aprile
2006
dal
Ministero
della
Salute
e
da
quello
delle
Pari
Opportunità,
in
collaborazione
con
ABA,
con
l’Ospedale
Pediatrico
Bambino
Gesù
di
Roma
e
con
il
MOIGE
(Movimento
Italiano
Genitori).
Entrambi
i
depliant
hanno
carattere
informativo:
parlano
di
cosa
sono
i
disturbi
alimentari,
li
descrivono
nel
dettaglio,
poi
spiegano
le
cause
di
queste
malattie,
gli
effetti
sul
corpo
e,
in
chiusura,
danno
suggerimenti
di
comportamento
a
familiari
e
amici
dei
malati
e
indicano
a
chi
rivolgersi
per
guarire.
Nonostante
i
due
opuscoli
abbiano
la
stessa
struttura,
“Fame
d’amore”
trasmette
maggiore
speranza
al
malato,
per
diversi
motivi.
Innanzitutto,
le
illustrazioni
sono
meno
pesanti
di
quelle
del
Ministero.
ABA
correda
il
depliant
con
disegni,
che
descrivono
i
DCA
in
modo
metaforico:
una
ragazza
che
mangia
un
cuore,
un’altra
che
vola
verso
due
enormi
bignè,
una
terza
rinchiusa
dietro
a
una
grata
formata
da
due
grandi
forchette.
Il
Ministero
invece
fa
uso
di
fotografie,
che
spesso
sono
disforiche:
si
contano
3
ragazze
8
Per
la
prima
pagina
dell’opuscolo,
si
veda
la
figura
4
in
Appendice.
L’opuscolo
completo
è
solo
cartaceo.
Per
la
prima
pagina
dell’opuscolo,
si
veda
la
figura
5
in
Appendice.
L’opuscolo
completo
è
consultabile
a
questo
link:
http://www.sitiarcheologici.palazzochigi.it/www.pariopportunita.gov.it/aprile%202006/www.pariopportunita.gov.it/P
ari_Opportunita/UserFiles/Documenti%20Banner/anoressia.pdf
9
9
che
si
specchiano
con
sguardo
triste,
in
4
casi
il
viso
della
ragazza
non
si
vede
(per
esempio
perché
è
accasciata
a
terra
con
la
testa
tra
le
mani),
quando
si
vede,
spesso
non
sorride.
Secondo,
l’ABA
utilizza
la
forma
interrogativa
per
i
titoli
dei
suoi
paragrafi
(“cosa
sono?”,
“cosa
raccontano?”,
ecc),
ma
quando
parla
della
guarigione,
lo
fa
in
modo
affermativo
(“in
ABA
si
può
guarire”).
Opposta
la
strategia
del
secondo
opuscolo,
che
usa
sempre
frasi
affermative
(“il
fenomeno”,
“qualche
dato”,
ecc),
tranne
per
la
guarigione
(“come
guarire?”).
La
sanzione
finale
positiva,
che
comunque
nessuno
dei
due
opuscoli
mostra,
è
messa
più
in
forse
dal
Ministero.
Ancora,
un’altra
differenza
è
sul
destinatario.
ABA
si
rivolge
più
specificatamente
ai
malati,
anche
se
il
destinatario
è
sempre
una
terza
persona,
mentre
il
Ministero
è
più
rivolto
ad
amici
e
familiari
di
chi
soffre.
Non
a
caso,
nella
presentazione
dice
che
lo
scopo
del
depliant
è
“aiutare
a
riconoscere
il
disagio”.
Una
minor
empatia
con
il
malato
significa
anche
meno
speranza,
meno
euforia.
Ma
allora
perché
ho
detto
che
anche
il
depliant
del
Ministero
si
chiude
in
euforia?
Perché
entrambi,
sia
quest’ultimo
che
“Fame
d’amore”,
aumentano
i
sorrisi
man
mano
che
ci
si
avvicina
alla
fine.
Se
all’inizio
i
disegni/le
foto
sono
tutti
di
ragazze
tristi,
alla
fine
si
presentano
ragazze
sorridenti,
e
soprattutto
sorridono
sempre
gli
specialisti,
in
segno
di
accoglienza
al/la
malato/a.
In
entrambi
i
casi,
poi,
all’inizio
le
ragazze
sono
da
sole,
mentre
verso
la
fine
troviamo
due
persone
insieme
(la
madre
e
la
figlia,
il
medico
con
la
paziente,
il
dottore
e
la
dottoressa).
Stare
insieme
agli
altri
e
sorridere
sono
sicuramente
elementi
che
trasmettono
sensazioni
positive.
Anche
se
in
modo
diverso
(maggiormente
nel
caso
dell’ABA,
in
misura
minore
nel
caso
del
Ministero)
i
due
depliant
partono
da
una
disforia
iniziale
e
arrivano
a
un’euforia
finale.
Come
in
tutte
le
storie
di
possibile
guarigione,
il
discorso
resta
aperto:
la
sanzione
finale
è
in
mano
al/alla
malato/a
(guarirà
o
non
guarirà?
Chiamerà
o
meno
ABA?
Dipende
da
lui/lei).
b) Il
secondo
esempio
è
quello
di
una
storia
disforica
in
ogni
suo
passaggio.
Si
tratta
della
campagna
ABA
del
marzo
200810,
realizzata
dall’agenzia
di
comunicazione
DDB,
col
patrocinio
del
Ministero
per
le
politiche
giovanili
e
le
attività
sportive.
Questa
campagna
comprende
due
manifesti
e
uno
spot
video.
Ogni
manifesto
rappresenta
il
primo
piano
di
una
ragazza,
che
sembra
fissi
il
vuoto
con
occhi
tristi.
La
pelle
è
diafana,
la
bocca
è
chiusa,
lo
sfondo
dietro
di
lei
è
nero.
Alla
sua
destra,
un
fumetto
nel
quale
si
trovano
diversi
cibi,
è
come
se
la
ragazza
“parlasse”
cibo.
In
basso,
la
headline
recita
“molti
usano
il
cibo
per
comunicare
un
bisogno
d’aiuto.
Pochi
lo
capiscono”.
Di
fianco,
compare
il
logo
ABA
e,
poco
più
sotto,
il
bodycopy
dice
“di
anoressia,
bulimia
e
obesità
si
può
guarire.
Chiamaci
al:
800.16.56.16”.
Questa
affissione
parte
da
alcune
buone
idee
però,
a
mio
parere,
non
riesce
a
coinvolgere
il
destinatario.
Buona
per
esempio
l’idea
di
rendere
concreta
una
metafora:
l’espressione
“usare
il
linguaggio
del
cibo”
viene
rappresentata
in
senso
letterale,
con
l’immagine
di
una
ragazza
che,
invece
di
parlare
una
lingua,
“parla”
il
cibo.
Buono
anche
il
semisimbolismo
su
cui
si
regge
l’immagine,
cioè
il
contrasto
tra
le
linee
morbide
del
viso
della
giovane
ed
il
punto
luce
sulle
sue
labbra
(che
significano
vitalità,
felicità)
e
le
linee
dritte
e
spigolose
(del
fumetto,
del
collo
della
ragazza,
del
riquadro
in
basso
che
contiene
la
headline)
che,
insieme
allo
sfondo
nero
e
ai
colori
pallidi,
significano
malattia,
dolore.
È
come
se
la
voglia
di
vivere
della
ragazza
fosse
schiacciata
dalla
malattia
che
la
avvolge.
Il
problema
della
campagna
è
che
la
guarigione
appare
improbabile:
ABA
entra
in
gioco
come
aiutante
–
colui
che
ha
la
competenza
per
capire
il
linguaggio
del
cibo
–
ma
la
disforia
dell’immagine
non
fa
sperare
in
un
buon
esito.
La
sanzione
è
negativa:
la
ragazza,
almeno
per
il
10
Si
vedano
le
figure
6.1,
6.2
e
6.3
in
Appendice
10
momento,
rimane
malata
(questo
è
il
suo
ruolo
tematico,
e
questo
rimane).
Il/la
malato/a,
guardando
questo
manifesto,
non
riesce
a
sperare
in
una
guarigione
e
quindi
viene
meno
il
ruolo
di
ABA
come
aiutante.
L’identificazione
tra
malato/a
e
ragazza
dell’immagine
è
ancora
più
difficile
per
altri
due
motivi.
Il
primo
è
che
la
ragazza
rappresentata
è
più
bella
della
media,
sembra
una
modella,
e
più
che
empatia
suscita
desiderio
di
emulazione.
Il
secondo
motivo
è
che
c’è
un
problema
di
definizione
del
destinatario.
Nella
headline,
la
strategia
enunciativa11
è
quella
della
distanza
indefinita:
ABA
parla
in
terza
persona
e
si
rivolge
a
parenti
e
amici
del/della
malato/a.
Nel
bodycopy,
invece,
la
strategia
è
quella
della
distanza
pedagogica
(“chiamaci”):
ABA
ora
sta
parlando
ai/alle
malati/e.
Ma
allora,
il
destinatario
è
chi
è
coinvolto
nella
malattia
o
chi
è
suo
parente/amico?
Che
il
destinatario
sia
uno
o
l’altro,
l’immagine
disforica
non
fa
che
allontanarlo.
Il
video12
riprende
il
manifesto:
si
vede
la
stessa
ragazza,
sempre
triste
e
su
sfondo
nero,
che
muove
la
bocca,
ma
non
esce
alcun
suono.
Al
suo
posto,
ci
sono
sottotitoli
di
cibo
che
compaiono
in
sovraimpressione,
il
rumore
di
voci
tutt’intorno
ed
una
musica
che
crea
ansia.
Questo
senso
di
solitudine
e
di
impotenza
(la
ragazza
vorrebbe
parlare,
ma
non
riesce)
non
fanno
altro
che
far
aumentare
la
disforia.
La
headline
e
il
bodycopy
sono
gli
stessi
del
manifesto,
ma
compaiono
in
silenzio,
e
per
di
più
su
sfondo
nero
(disforico),
mentre
la
voce
del
narratore
recita
altro
(“con
il
patrocinio
della
presidenza
del
Consiglio
dei
ministri,
Dipartimento
politiche
giovanili
e
attività
sportive”).
È
come
l’associazione
stessa
non
avesse
voce,
esattamente
come
la
ragazza.
Ma
allora,
ci
si
può
fidare
della
competenza
dell’aiutante?
2.4
Storie
di
malattia
Le
storie
di
malattia
sono
storie
in
cui
l’ipotesi
di
guarigione
non
è
presente.
Il/la
malato/a
non
è
consapevole
di
essere
tale;
si
può
dire
che
queste
storie
descrivano
la
fase
iniziale
del
disturbo
alimentare,
in
cui
la
malattia
è
aiutante
del/della
malato/a.
Non
vengono
mostrati
né
chi
può
aiutare
il
malato,
né
una
speranza
nella
guarigione.
2.4.1
Strutture
semio‐narrative
La
struttura
attanziale
delle
storie
di
malattia
è
diversa
da
quella
delle
storie
di
guarigione
e
possibile
guarigione.
Infatti,
in
queste
storie
il/la
malato/a
vuole
raggiungere
la
perfezione
esteriore
(oggetto
di
valore).
La
malattia
è
l’aiutante
che
permette
al
soggetto
di
raggiungere
tale
perfezione
–
o
almeno
così
lui
crede.
Anche
tutto
ciò
che
consente
al/alla
malato/a
a
continuare
ad
essere
tale
può
essere
considerato
un
aiutante:
per
esempio
il
water
in
cui
vomita
chi
è
bulimico/a,
oppure
gli
antidepressivi
presi
per
non
sentire
la
sofferenza
interiore.
È
opponente
chiunque
si
interponga
tra
il/la
malato/a
e
la
sua
malattia,
facendogli/le
vedere
la
realtà:
uno
specchio,
le
altre
persone
(amici
e
parenti
soprattutto),
gli
specialisti
ABA,
gli
artisti
che
raffigurano
la
sofferenza
dei
malati.
La
società
svolge
il
ruolo
di
destinante:
è
per
adeguarsi
ai
canoni
imposti
da
quest’ultima
che
il
soggetto
si
sente
inadeguato,
ricerca
la
perfezione
e,
nell’impossibilità
di
raggiungerla,
si
ammala.
Le
storie
di
malattia
sono
storie
di
performanza:
il
soggetto
manifesta
i
sintomi
della
malattia
(non
mangiare,
mangiare
e
vomitare,
abbuffarsi,
ecc)
senza
avere
però
la
competenza.
Infatti,
in
questa
fase,
chi
è
malato/a
non
sa
di
esserlo,
così
come
non
sa
di
inseguire
un
modello
sociale
irraggiungibile
(la
perfezione).
Il/la
malato/a
non
sa
neanche
chi
potrebbe
aiutarlo/a,
né
tantomeno
si
pone
il
problema
di
11
Le
strategie
enunciative
rendono
conto
di
come
l’autore
modello
si
mette
in
relazione
con
il
suo
lettore
modello.
Le
strategie
enunciative
possibili
sono
cinque.
Le
elenco
da
quella
che
coinvolge
meno
il
destinatario,
a
quella
che
lo
coinvolge
di
più:
1)
distanza
indefinita
(es.
Barilla
offre
ai
suoi
clienti
numerosi
vantaggi),
2)
distanza
istituzionale
(es.
noi
di
Barilla
offriamo
alla
nostra
clientela
numerosi
vantaggi),
3)
ammiccamento
(es.
Barilla
ti
offre
numerosi
vantaggi),
4)
distanza
pedagogica
(es.
noi
di
Barilla
ti
offriamo
numerosi
vantaggi),
5)
complicità
(es.
insieme,
avremo
grandi
vantaggi
/
la
mia
Barilla
mi
offre
grandi
vantaggi).
12
Il
video
può
essere
visto
al
link
http://www.youtube.com/watch?v=2KvQRkJCpAA&feature=related
11
essere
aiutato/a.
La
sanzione
finale
è
negativa:
senza
essere
consapevole
della
sua
malattia
e
senza
aiuto
esterno,
chi
soffre
non
uscirà
dal
disturbo
alimentare.
Non
c’è
nessuna
speranza
di
guarigione,
il
ruolo
tematico
del
soggetto
è
quello
di
malato/a,
e
rimane
tale.
È
evidente
che
storie
di
questo
tipo
sono
tutte
fortemente
disforiche;
si
differenziano
le
une
dalle
altre
solo
per
la
struttura
enunciativa
differente.
2.4.2
Alcuni
esempi
I
primi
due
esempi
che
riporto
sono
due
locandine
di
mostre
sul
tema
della
sofferenza
femminile,
il
terzo
invece
è
la
parte
audio‐visiva
della
campagna
ABA
del
2010
(delle
affissioni
avevo
già
parlato
nelle
“storie
di
guarigione”).
La
prima
mostra
è
intitolata
“Barbie‐turici”13
e
si
è
svolta
dal
10
giugno
al
30
luglio
2008
presso
la
Wannabee
Gallery,
a
Milano,
con
la
collaborazione
di
ABA.
Scopo
dell’esposizione,
parlare
“delle
varie
forme
di
disagio
femminile
facendo
corrugare
la
fronte
e
causando
reazioni
anche
fisiche
nel
pubblico”
(Silvia
Pettinicchio,
curatrice
della
mostra,
ne
parla
così
nel
catalogo).
Le
opere
dei
cinque
artisti
espositori
“rappresentano
tutte
varie
forme
di
disagio
femminile,
dalla
depressione,
alla
dipendenza
dai
farmaci,
ai
disturbi
alimentari,
alla
rabbia
repressa”
(Ilaria
Simeoni,
critica
d’arte,
sempre
nel
catalogo).
Partiamo
dal
titolo,
“Barbie‐turici”.
La
Barbie
è
“la
bambola
che
per
intere
generazioni
ha
simboleggiato
la
donna
perfetta.
[...]
oggi
incarna
i
modelli
estetici
e
le
aspettative
che
sono
imposte
(e
auto‐imposte)
alle
donne”
(Silvia
Pettinicchio).
Dunque,
la
Barbie
è
l’oggetto
di
valore,
quella
perfezione
esteriore
irraggiungibile
che
le
donne
inseguono.
I
barbiturici,
invece,
sono
farmaci
in
passato
usati
come
sedativi
e
come
ipnotici.
Sono
quindi
gli
aiutanti,
quegli
antidepressivi
che
consentono
alle
donne
di
soffocare
la
loro
sofferenza,
facendo
sì
che
le
malate
rimangano
tali.
Già
nel
titolo,
vediamo
come
si
parli
solo
della
malattia
e
di
come
perpetrarla.
L’immagine
sulla
locandina
della
mostra
trasmette
lo
stesso
significato.
È
raffigurata
una
Barbie
in
croce;
al
termine
di
ogni
braccio
di
legno
ci
sono
delle
pillole:
è
un
farmaco
di
nome
Cymbalta,
della
casa
farmaceutica
Eli
Lilly
(la
stessa
del
Prozac).
Viene
usato
per
il
trattamento
di
episodi
di
depressione
maggiore
e
per
i
disturbi
d’ansia
generalizzati
(fonte:
medicinalive.com).
Nonostante
la
bambola
stia
soffrendo
(perde
sangue
da
mani,
piedi
e
testa)
continua
a
sorridere.
I
farmaci
(aiutanti)
permettono
a
Barbie
(la
donna
che
soffre,
cioè
il
soggetto)
di
continuare
ad
essere
perfetta
(oggetto
di
valore)
anche
in
punto
di
morte,
con
i
capelli
biondi
in
ordine
e
il
viso
truccato.
Non
c’è
presa
di
coscienza
del
dolore,
né
messaggio
di
speranza
su
una
possibile
guarigione.
Anche
nei
testi
scritti
di
presentazione,
la
Wannabee
Gallery
parla
solo
dello
scopo
della
mostra,
cioè
sconfiggere
l’ignoranza
e
la
disattenzione
sul
malessere
femminile
nella
società
contemporanea.
Più
volte
viene
ripresa
la
distinzione
tra
un’interiorità
fatta
di
sofferenza
e
depressione
ed
un’esteriorità
di
apparente
perfezione.
Mai,
però,
viene
lanciato
un
appiglio
all’eventuale
malata
che
legga
queste
righe.
Ci
si
può
chiedere
quali
siano
i
peccati
per
cui
Barbie
è
stata
crocifissa.
L’immagine
non
dà
una
risposta,
la
parte
scritta
sì:
il
peccato
è
il
solo
fatto
di
essere
donna,
in
una
società
troppo
ossessionata
dall’aspetto
esteriore.
La
seconda
mostra
è
intitolata
“Male
di
Miele”14
e
si
è
svolta
dal
16
dicembre
2008
al
7
gennaio
2009
sempre
presso
la
Wannabee
Gallery
di
Milano.
Si
tratta
di
un’esposizione
collettiva
d’arte
contemporanea,
realizzata
insieme
ad
ABA
e
per
ABA
(il
ricavato
della
vendita
è
stato
devoluto
all’associazione)
con
il
Patrocinio
del
Comune
di
Milano
(Assessorato
alla
Salute)
e
della
Fondazione
Università
IULM.
I
temi
trattati
sono
gli
stessi
di
“Barbie‐turici”:
la
sofferenza
femminile,
nascosta
e
silenziosa,
causata
da
una
continua
ricerca
di
irraggiungibile
perfezione
esteriore.
Anche
in
questo
caso,
il
titolo
“parla”
solo
di
malattia.
“Male
di
miele”
è
un
ossimoro:
accosta
qualcosa
di
doloroso
a
qualcosa
di
dolce
e
buono.
I
13
14
Per
la
locandina
della
mostra,
si
veda
la
figura
7
in
Appendice
Per
la
locandina
della
mostra,
si
veda
la
figura
8
in
Appendice
12
disturbi
alimentari
sono
un
male
dolce
perché
ti
fanno
stare
male
piano,
giorno
dopo
giorno,
nascondendo
un
dolore
più
grande
(la
depressione).
Non
a
caso,
la
prima
fase
dell’anoressia
è
detta
“luna
di
miele”,
perché
l’ammalata
più
dimagrisce,
più
si
sente
forte,
non
capendo
i
rischi
a
cui
va
incontro.
Come
il
titolo,
anche
l’immagine
scelta
è
disforica.
Raffigura
infatti
una
ragazza
intenta
a
cucirsi
un
occhio
con
ago
e
filo.
Gli
occhi
e
la
bocca
sono
chiusi,
parte
della
mano
le
copre
il
volto,
l’espressione
non
è
triste
ma
neppure
felice,
piuttosto
è
pensierosa.
Stupisce
che
la
ragazza,
pur
trafiggendosi
la
pelle
con
un
ago,
non
mostri
neanche
una
smorfia
di
dolore
(esattamente
come
la
Barbie
crocifissa).
La
ragazza
(soggetto)
non
vuole
vedere,
infatti
si
sta
cucendo
gli
occhi
(oggetto
di
valore).
Desidera
rimanere
nella
malattia
(aiutante)
e
non
accetta
l’aiuto
di
chi
vuole
farle
vedere
la
realtà,
per
esempio
parenti
e
amici
(opponenti):
gli
occhi
infatti
sono
chiusi
e
non
coinvolgono
il
destinatario.
Il
colore
dominante
è
il
rosso
e
questo
contesto
ne
magnifica
i
significati
di
sangue,
violenza
(della
ragazza
su
se
stessa),
sofferenza.
Sofferenza
che
è
addirittura
prolungata
nel
tempo
(aspettualizzazione
durativa
e
iterativa).
Proprio
come
cucirsi
gli
occhi
è
un
processo
lungo,
in
cui
si
ripete
sempre
la
stessa
azione,
allo
stesso
modo
l’anoressia
è
un
disagio
che
si
protrae
nel
tempo,
in
cui
bisogna
essere
costanti,
digiunare
giorno
dopo
giorno.
Il
terzo
esempio
consiste
nello
spot
video15
e
radio16
ideati
da
Ogilvy
per
la
campagna
stampa
ABA
del
2010.
Per
quanto
riguarda
il
video,
i
pubblicitari
hanno
scelto
di
girarlo
dal
punto
di
vista
della
ragazza
malata
(punto
di
vista
soggettivo).
Le
immagini
che
vediamo
e
i
rumori
che
sentiamo
sono
tutto
ciò
che
sente
e
vede
la
protagonista.
Inizialmente
la
telecamera
inquadra
un
piatto,
visto
da
sopra,
cioè
dal
punto
di
vista
di
chi
mangia.
Dopo
qualche
secondo,
la
scena
cambia
e
vediamo
inquadrato
un
water
dall’alto,
con
lo
sciacquone
che
va.
Di
nuovo,
si
passa
ad
un
piatto
con
del
cibo,
e
poi
ancora
il
water;
le
due
scene
si
ripetono
sempre
più
rapidamente
(aspettualizzazione
iterativa).
Nel
sottofondo,
rumori
(della
gente
che
parla
attorno
alla
ragazza
seduta
a
tavola
e
dello
sciacquone)
e
una
musica
martellante,
che
diventa
più
rapida
man
mano
che
il
montaggio
accelera.
I
suoni
e
il
tipo
di
immagini
creano
ansia,
che
cresce
ancora
di
più
una
volta
che
il
destinatario
capisce
ciò
che
la
ragazza
sta
facendo:
sta
mangiando
e
vomitando
il
cibo,
e
lo
spettatore
vede
tutto
dalla
sua
prospettiva.
Alla
fine
del
video,
la
musica
e
i
rumori
cessano,
e
compare
uno
sfondo
bianco,
con
una
scritta
in
sovraimpressione.
La
scritta
viene
letta
da
una
voce
maschile
fuori
campo,
che
recita:
“L’anoressia
e
la
bulimia
non
sono
malattie
infinite.
Cambia
vita.
Chiama
ABA”.
Lo
spot
radio
riprende
la
stessa
idea
del
video.
Una
voce
femminile
recita:
““All’inizio
ci
butti
i
pranzi
e
le
cene.
Poi
ci
butti
il
fidanzato.
Gli
amici.
Il
lavoro.
Ci
butti
la
mamma.
E
ci
butti
il
papà.
E
se
non
fai
qualcosa,
alla
fine
ci
butti
anche
te
stessa.
Se
soffri
di
anoressia
o
bulimia,
cambia
vita.
Chiama
l’ABA,
all’800.16.56.16”.
Il
tutto
è
intercalato
dal
rumore
di
uno
sciacquone,
che
si
ripete
più
volte.
Lo
spot
trasmette
la
stessa
ossessività
del
video,
anche
se
meno
accentuata,
perché
non
c’è
la
musica
martellante
di
sottofondo.
Il
cibo
viene
associato
metaforicamente
a
persone
e
momenti
di
vita
della
malata:
la
malattia
non
è
solo
un
disagio
fisico
(vomitare
il
cibo),
ma
un
disagio
interiore
(vomitare
amore).
Il
processo
viene
mostrato
come
durativo
(all’inizio...poi...alla
fine),
in
un
crescendo
di
ansia
(alla
fine,
la
malata
arriva
a
buttare
via
se
stessa,
cioè
a
rovinarsi
la
vita)
che
nel
video
era
realizzato
attraverso
un
montaggio
sempre
più
veloce.
I
due
spot
si
basano
sulla
stessa
struttura,
cioè
quella
delle
storie
di
malattia:
c’è
una
ragazza
(soggetto)
che
ha
come
oggetto
di
valore
liberarsi
dal
cibo.
Il
water
è
il
suo
aiutante,
mentre
le
persone
intorno
a
lei
non
sono
che
opponenti:
sono
solo
rumore,
non
sanno
come
aiutarla.
Diversamente
dalle
locandine
delle
due
mostre,
però,
qui
viene
fatto
il
nome
di
chi
potrebbe
aiutare
la
ragazza:
è
l’ABA,
che
viene
citata
nel
finale
dei
due
spot.
Infatti,
all’inizio
viene
mostrata
una
ragazza
che
ripete
il
sintomo
della
malattia
(vomitare
dopo
mangiato),
senza
lasciarsi
aiutare
né
cercare
una
via
d’uscita.
Lo
scopo
di
questa
prima
parte
è
far
15
16
Lo
spot
video
è
visibile
al
seguente
link:
http://www.bulimianoressia.it/campagnaaba.php
Lo
spot
radio
è
ascoltabile
al
seguente
link:
http://www.bulimianoressia.it/spotradio_aba.php
13
identificare
chi
è
malato/a
con
la
protagonista.
Dopo
di
che,
nella
seconda
parte,
si
lancia
un
messaggio
di
speranza:
“tu,
che
ti
sei
riconosciuto
in
questi
comportamenti,
sappi
che
si
può
guarire”.
Ma
allora
perché
non
ho
considerato
queste
due
storie
come
“storie
di
possibile
guarigione”
fortemente
disforiche?
Perché
la
ragazza
rappresentata
non
vuole
guarire.
Nelle
“storie
di
possibile
guarigione”
il
soggetto
è
consapevole
del
suo
malessere
ed
è
già
nella
fase
in
cui
chiede
aiuto.
In
questi
spot,
invece,
non
si
fa
che
mostrare
il
perpetuarsi
della
malattia:
la
ragazza
è
bulimica
e,
alla
fine
del
video,
resta
tale.
2.5
Storie
non
riuscite
Prima
di
concludere
il
capitolo
sull’analisi
delle
campagne
ABA,
voglio
riportare
un
esempio
di
come
non
fare
comunicazione
sui
disturbi
alimentari.
Il
testo
considerato
è
la
campagna
pubblicitaria
“100%
natural
100%
fashion
100%
salute”17,
presentata
il
25
febbraio
2009
dall’Assessorato
alla
Salute
e
Assem
(Associazione
Servizi
Moda)
con
la
collaborazione
di
ABA
e
la
sponsorizzazione
di
Lancia.
La
campagna
è
in
linea
con
il
progetto
Codice
Etico
e
con
il
tesserino
Visto
Moda,
che,
come
spiega
l'assessore
Giampaolo
Landi
di
Chiavenna,
“sanciscono
l’alleanza
perché
la
moda
sia
un
esempio
di
salute”.
Il
problema
è
che
il
manifesto
realizzato
non
è
un
esempio
di
salute,
anzi.
L’immagine
raffigura
otto
modelle
nude,
tre
sedute
e
cinque
in
piedi,
tutte
che
nascondono
il
seno
con
una
mano
e
che
guardano
in
camera
con
aria
ammiccante.
La
ragazza
seduta
al
centro
regge
una
mela
rossa,
che
risalta
particolarmente
visto
che
la
foto
è
in
bianco
e
nero.
Sopra
le
ragazze,
la
headline
recita
“100%
natural
100%
fashion”;
sotto
di
loro,
più
in
piccolo,
termina
con
“100%
salute”.
Nel
bodycopy,
in
basso,
si
può
leggere
“nasce
il
primo
codice
etico
nel
mondo
della
moda.
Lancia
supporta
il
Visto
Moda
Assem‐
Assessorato
alla
Salute
del
Comune
di
Milano”.
Di
fianco
al
bodycopy,
i
vari
loghi
dei
collaboratori
e
degli
sponsor.
Perché
questa
campagna
non
è
efficace?
Per
vari
motivi.
Innanzitutto,
non
racconta
una
storia:
semplicemente,
chi
guarda
il
manifesto
è
il
soggetto
e
le
modelle
raffigurate
sono
l’oggetto
del
desiderio.
Non
a
caso
ammiccano
all’osservatore.
È
il
solito
stereotipo
della
donna‐oggetto,
visto
e
rivisto
in
innumerevoli
pubblicità
(e
quindi
non
particolarmente
originale).
La
mela,
che
forse
nell’intenzione
dei
pubblicitari
doveva
riprendere
il
“100%
salute”
(perché,
come
dice
il
proverbio,
“una
mela
al
giorno
toglie
il
medico
di
torno”),
non
fa
altro
che
confermare
la
prima
impressione
dell’osservatore.
Infatti
il
contesto
magnifica
i
significati
di
“mela”
come
“mela
del
peccato”
‐
quella
che
Eva
mangiò,
andando
contro
alle
indicazioni
del
Signore
‐
o
come
“mela
della
discordia”
‐
quella
che
Eris,
dea
greca
della
discordia,
lanciò
durante
una
festa
e
che,
poiché
recava
la
scritta
“alla
più
bella”,
causò
una
lite
furibonda
fra
Era,
regina
degli
dei,
Afrodite,
dea
della
bellezza,
e
Atena,
figlia
di
Zeus.
Nel
primo
caso
le
donne
della
foto
sono
peccatrici,
nel
secondo
delle
vipere
invidiose
l’una
dell’altra,
che
competono
basandosi
su
criteri
esteriori.
Di
certo
chi
guarda
non
è
portato
a
immedesimarcisi.
Inoltre,
ed
è
forse
la
cosa
più
importante,
le
ragazze
rappresentano
soltanto
l’ennesimo
modello
irraggiungibile
a
cui
ispirarsi.
Sono
magre,
alte,
perfette.
Un/una
malato/a
che
guarda
questa
foto
non
proverà
altro
che
desiderio
di
emulazione
e
rinforzerà
ancora
di
più
il
suo
sintomo.
Per
non
sentirsi
inadeguata,
l’anoressico/a
inasprirà
ancora
di
più
la
sua
dieta
restrittiva,
il/la
bulimico/a
mangerà
e
vomiterà
con
più
frequenza.
Non
c’è
una
spiegazioni
di
cosa
siano
i
disturbi
alimentari,
né
un
aiutante
a
cui
rivolgersi
per
uscirne
(come
nelle
storie
di
possibile
guarigione),
le
ragazze
raffigurate
non
sono
ex
malate
ora
guarite
(come
nelle
storie
di
guarigione),
non
viene
neppure
mostrata
la
sofferenza
causata
dai
DCA
(come
nelle
storie
di
malattia).
Il/la
malato/a,
passando
di
fronte
a
questo
manifesto,
si
sentirà
solo
inadeguato.
Chi
invece
non
è
malato/a,
non
capirà
la
gravità
di
questi
disturbi.
Le
reazioni
potranno
andare
da
“toh,
allora
si
può
essere
sani
pur
facendo
parte
del
mondo
della
moda,
i
media
fanno
sempre
tanto
17
Si
veda
la
figura
9
in
Appendice
14
allarmismo
per
niente”
a
“ma
cosa
mi
vengono
a
raccontare,
fanno
vedere
modelle
sane
e
poi
continuano
a
far
sfilare
degli
scheletri”.
Sempre
che
chi
passa
davanti
all’affissione
capisca
che
si
tratti
di
una
pubblicità
contro
i
DCA:
non
c’è
che
il
bodycopy,
in
piccolo,
a
indicarlo.
15
3. Conclusione:
una
proposta
per
parlare
di
DCA
in
modo
efficace
3.1
Definire
il
destinatario
Alla
luce
dell’analisi
compiuta,
posso
proporre
quello
che
secondo
me
è
il
modo
più
efficace
per
far
comunicazione
sui
disturbi
alimentari.
Il
primo
passo
è
sicuramente
definire
con
attenzione
il
destinatario.
A
mio
parere,
se
lo
scopo
è
spingere
quanti/e
più
malati/e
possibili
verso
la
guarigione,
bisogna
rivolgersi
direttamente
a
loro.
Certo,
opuscoli
informativi
rivolti
a
familiari
e
amici
dei/delle
malati/e
per
spiegare
loro
come
comportarsi
possono
essere
utili,
ma
deve
essere
il/la
malato/a,
per
primo,
a
prendere
coscienza
del
proprio
problema
e
a
cercare
aiuto.
Infatti,
nessuna
terapia
o
percorso
di
cura
ha
successo
se
la
persona
che
lo
affronta
non
è
motivata
(magari
perché
è
stata
spinta
da
altri).
Fatta
questa
premessa,
la
comunicazione
sui
DCA
può
essere
divisa
in
due
fasi:
1. La
prima
fase,
in
cui
ci
si
rivolge
direttamente
ai/alle
malati/e,
coinvolgendoli/e
2. La
seconda
fase,
in
cui
si
mostra
la
possibilità
di
guarigione
dalla
malattia
e
il
processo
per
arrivarci
3.2
Fase
1:
coinvolgere
il
malato
(storia
di
malattia)
Come
coinvolgere
il
malato
in
modo
efficace?
Penso
che
la
strategia
più
giusta
sia
quella
di
mostrare
l’ansia
e
la
sofferenza
che
prova
chi
soffre
di
queste
malattie,
il
tutto
dal
punto
di
vista
del/della
malato/a
stesso/a.
Coinvolgere
il/la
malato/a
dal
punto
di
vista
emotivo
è
fondamentale:
solo
toccando
le
corde
più
profonde
di
chi
sta
male
si
riesce
ad
aprirgli
gli
occhi,
a
fargli
sollevare
la
cornetta
per
chiamare
ABA.
La
storia
da
seguire
in
questa
prima
fase
è
quindi
la
storia
di
malattia.
L’esempio
più
efficace
in
questo
senso
è
il
video
realizzato
per
la
campagna
ABA
del
2010,
in
cui
il
ciclo
mangiare‐vomitare
viene
filmato
dal
punto
di
vista
del/della
bulimico/a.
La
musica
ed
i
rumori
invece
rendono
conto
dell’ansia
del
soggetto,
cioè
della
sua
angoscia
interiore.
Tuttavia,
questo
spot
presenta
un
problema:
il
ciclo
mangiare/vomitare
è
molto
stereotipato,
e
difficilmente
un/una
malato/a
si
identificherà
con
esso
(mentre
invece
l’immedesimazione
è
un
punto
fondamentale).
Perché
dico
che
il
ciclo
mangiare/vomitare
è
stereotipato?
I
motivi
sono
diversi:
• Una
ragazza
bulimica
ingurgita
grandi
quantità
di
cibo
in
solitudine
e
poi
le
vomita.
Può
capitare
che,
come
nello
spot,
vomiti
anche
ciò
che
mangia
normalmente
(i
disturbi
alimentari
hanno
mille
sfumature),
ma
non
è
la
regola,
se
così
si
può
dire.
Inoltre,
l’abbuffata
solitaria
crea
molta
più
sofferenza:
per
coinvolgere
emotivamente
la
ragazza
malata
di
bulimia,
sarebbe
stato
meglio
filmare
quella.
• Una
ragazza
anoressica
non
mangia
e
vomita.
Semplicemente
non
mangia.
Si
potevano
perciò
mostrare
persone
che
mangiano
intorno
a
lei,
mentre
lei
gioca
con
il
cibo/sminuzza
ciò
che
ha
nel
piatto/finge
di
mangiare
e
poi
sputa.
• Un’obesa
mangia
grandi
quantità
di
cibo
in
solitudine
e
non
vomita.
In
questo
caso
sono
sbagliate
sia
le
dimensioni
dei
piatti
(il
cibo
dovrebbe
essere
molto
di
più),
sia
il
fatto
di
vomitare
dopo
• Infine,
un’ultima
osservazione:
chi
mangia
per
vomitare,
ingurgita
il
cibo
in
modo
frenetico.
Sia
che
si
tratti
di
un
piatto
normale,
sia
che
si
tratti
di
grandi
quantità
di
cibo,
quando
una
persona
mangia
per
poi
vomitare
(e
chi
lo
fa,
già
sa
in
partenza
se
vomiterà
o
no
dopo
il
pasto,
già
sente
l’ansia
crescergli
dentro)
16
lo
fa
in
modo
veloce,
senza
sentire
i
sapori,
il
più
in
fretta
possibile
per
non
permettere
al
corpo
di
assorbire
ciò
che
riceve.
Invece
la
ragazza
dello
spot
mangia
normalmente,
addirittura
indugia.18
3.3
Gli
stereotipi
sui
disturbi
alimentari
Purtroppo,
il
video
dell’ABA
non
è
l’unico
che
fa
uso
di
stereotipi
per
parlare
dei
disturbi
alimentari.
Per
“stereotipo”
si
intende
un
“modello
ricorrente
e
convenzionale
di
comportamento,
di
discorso
e
simili”
e
anche
“un’opinione
precostituita,
non
acquisita
sulla
base
di
un’esperienza
diretta
e
scarsamente
suscettibile
di
modifica”
(fonte:
i
Grandi
Dizionari
Garzanti,
Italiano).
Ora,
come
scritto
nel
manifesto
deontologico
dell’ADCI
(Art
Directors
Club
Italiano)
“una
certa
dose
di
stereotipi
è
necessaria
in
pubblicità
come
in
ogni
forma
di
comunicazione
di
massa.
Ma”,
aggiunge
sempre
l’ADCI,
“l’abuso
di
stereotipi
e
cliché
relativi
a
etnie,
religioni,
classi
sociali,
ruoli
e
generi
favorisce
il
consolidamento
di
pregiudizi
e
ingessa
lo
sviluppo
sociale,
ancorandolo
a
schemi
culturalmente
arretrati
e
quindi
dannosi.
Dunque
occorre
usare
gli
stereotipi
con
attenzione
e
consapevolezza,
sempre
chiedendosi
se
una
soluzione
alternativa
non
sia
possibile
–
e
migliore.”
Nel
caso
della
comunicazione
sui
DCA,
gli
stereotipi
usati
fino
ad
ora
mostrano
solo
la
visione
che
la
società
ha
delle
malate.
Sarebbe
quindi
il
momento
di
trovare
nuovi
modi,
nuovi
stereotipi
se
vogliamo,
in
cui
anche
i/le
malati/e
possano
identificarsi.
Cosa
intendo
quando
dico
che
si
rappresenta
solo
la
visione
che
la
società
ha
dei/delle
malati/e?
Tutte
le
immagini
dei
testi
analizzati
quando
raffigurano
una
persona
affetta
da
DCA,
rappresentano
una
ragazza
triste,
solitaria,
sofferente.
In
particolare:
• 4
immagini
rappresentano
ragazze
che
si
specchiano19
• 3
immagini
sono
di
ragazze
che
fissano
un
piatto
con
del
cibo
e
non
mangiano
• 2
immagini
mostrano
ragazze
imprigionate
(chi
dietro
la
rete
di
un
letto,
chi
dietro
enormi
forchette)
• 2
immagini
fanno
vedere
palesemente
la
tristezza
delle
ragazze
(perché
si
lamentano,
o
perché
sono
accasciate
a
terra
col
volto
nascosto
tra
le
mani)
• 3
immagini
sono
primi
piani
di
ragazze
serie
e
pensierose
• 2
immagini
raffigurano
ragazze
nella
posa
della
crocifissione
Ma
siamo
proprio
sicuri
che
un’anoressica
passi
la
giornata
a
guardarsi
allo
specchio?
O
che
fissi
il
piatto
con
lo
sguardo
triste?
O
ancora,
che
stia
accasciata
a
terra
nel
corridoio,
disperata?
Sicuramente,
questi
possono
essere
momenti
presenti
nella
vita
di
una
malata,
ma
non
sono
dominanti.
Basta
digitare
la
parola
“anoressia”
su
Google
per
rendersi
conto
che
questo
tipo
di
immagini
sono
quelle
più
usate
per
parlare
di
disturbi
alimentari,
sono
quelle
che
tutti
hanno
in
mente.
Ma
la
vera
anoressica
molto
più
spesso
si
finge
sorridente
quando
è
tra
gli
altri,
sminuzza
il
cibo
quando
è
a
tavola
per
impiegare
più
tempo
a
ingerirlo
e
mangiare
meno,
di
sicuro
non
si
accascia
a
terra
nei
corridoi
di
casa.
L’anoressica
prova
un’ansia
incontrollabile
man
mano
che
sia
avvicina
l’ora
del
pasto
–
un
momento
che
non
sa
come
gestire.
Più
che
essere
triste
davanti
al
piatto,
probabilmente
sarà
nervosa,
mangerà
tutto
con
gli
occhi
bassi,
troverà
scusa
per
lasciare
lì
il
cibo
(“non
sto
bene
oggi”,
“non
ho
fame”,
“ho
fretta”).
Allo
stesso
modo,
una
bulimica,
come
spiegato
nel
paragrafo
sopra,
non
è
una
persona
che
mangia
e
vomita
per
non
ingrassare
(come
fa
intendere
il
video).
Piuttosto,
è
una
persona
che
prova
una
tale
ansia
da
divorare
tutto,
e
poi
si
sente
così
in
colpa
da
vomitarlo.
Spesso
le
abbuffate
iniziano
per
caso,
si
mangia
qualcosa
pensando
di
tenerlo
dentro
e
si
finisce
poi
per
divorare
tutto
in
modo
incontrollato.
Cosa
più
importante,
le
abbuffate
(sia
della
bulimica,
sia
dell’obesa)
sono
segrete,
non
avvengono
certo
in
un
ristorante.
18
Per
capire
ciò
che
intendo,
si
veda
il
video
al
link
seguente,
in
cui
un’anoressica
è
stata
filmata
nel
momento
dell’abbuffata:
http://www.youtube.com/watch?v=MeSCVOC7rNA&feature=related
È
un
video
molto
crudo,
ma
realistico.
Bisognerebbe
riferirsi
a
video
come
questi
per
fare
spot
efficaci.
19
Per
le
immagini
delle
ragazze
che
si
specchiano
e
per
le
altre
citate
di
seguito,
si
veda
in
Appendice,
figure
10‐15
17
Senza
contare
poi
il
fatto
che
la
maggior
parte
delle
immagini
raffigurano
–
o
sono
riferite
a
–
anoressiche
donne.
Ultimamente,
viene
riservata
maggiore
attenzione
anche
alla
bulimia,
un
problema
ancora
più
diffuso
dell’anoressia.
Ma
ancora
siamo
lontani
dal
raffigurare
donne
malate
di
obesità
psicogena
o
uomini:
in
tutti
i
testi
esaminati,
ho
riscontrato
solo
due
immagini
di
obese20
e
neanche
una
foto
di
un
malato
maschio.
Quindi,
che
strategia
usare
per
coinvolgere
i/le
malati/e?
Secondo
me,
il
modo
più
efficace
è
mostrare
la
malattia
giorno
per
giorno,
mostrando
l’ansia
e
la
tristezza
che
dominano
la
vita
di
chi
soffre,
in
ogni
gesto
quotidiano.
Così,
piuttosto
della
ragazza
allo
specchio,
è
meglio
raffigurare
l’anoressica
che
si
affanna
tra
palestra,
scuola/lavoro
e
casa,
cercando
sempre
di
essere
carina
e
sorridente
con
tutti,
e
poi
quando
entra
nella
sua
stanza
piange
e
non
dorme
per
i
crampi
della
fame.
Allo
stesso
modo,
meglio
mostrare
la
bulimica
che
si
sveglia
pensando
all’abbuffata,
conta
i
minuti
che
la
separano
da
quando
avrà
casa
libera
e
poi
si
butta
sulla
dispensa.
Non
è
necessario
far
vedere
il
momento
in
cui
vomita,
chi
è
bulimica
già
sa
come
la
storia
andrà
a
finire.
Infine,
meglio
far
vedere
un’obesa
seduta
davanti
alla
tv
con
gelati
e
patatine,
che
si
ingozza
in
solitudine
e
poi
piange,
piuttosto
che
una
ragazza
grassottella
felice
perché
sta
per
mangiare
un
dolce.
3.4
Fase
2:
mostrare
la
guarigione
per
intero
(storia
di
guarigione)
Dopo
aver
coinvolto
il/la
malato/a
e
avergli/le
aperto
gli
occhi
sulla
sua
malattia,
è
necessario
dargli/le
una
speranza.
Ecco
quindi
che
si
entra
nella
seconda
fase
della
comunicazione:
presentare
una
storia
di
guarigione.
È
quello
che
fa
la
campagna
ABA
del
2010,
che
nei
manifesti
mostra
ragazze
guarite
dalla
bulimia,
che
parlano
in
prima
persona
della
loro
esperienza.
Sono
sicuramente
affissioni
ben
realizzate,
anche
se
forse
ci
si
dovrebbe
spingere
oltre.
Infatti,
nessun
testo
analizzato
mette
in
scena
quella
che
è
la
fase
più
importante:
la
performanza.
Non
un
opuscolo,
non
uno
spettacolo,
non
un
video
o
manifesto
che
parli
di
come
il/la
ragazzo/a
è
uscita
dal
disturbo
alimentare.
Si
passa
direttamente
dal
momento
iniziale,
in
cui
il
soggetto
soffre
(privo
di
competenza),
a
quello
finale,
in
cui
è
guarito
(sanzione).
A
volte,
ci
si
ferma
addirittura
alla
prima
fase,
come
nelle
storie
di
possibile
guarigione
o
di
malattia.
A
mio
parere,
invece,
è
importante
mostrare
ad
un/una
malato/a
come
si
può
uscire
dalla
malattia,
passo
dopo
passo:
cosa
si
fa
all’ABA,
su
cosa
insistere,
con
cosa
aiutarsi,
cosa
pensare
quando
si
è
presi
dall’ansia,
come
gestire
il
disturbo
nel
quotidiano.
Non
serve
–
o
meglio
può
servire,
ma
non
basta
–
spiegare
i
motivi
psicologici
per
cui
ci
si
ammala,
se
poi
non
si
dice
al/alla
malato/a
cosa
provare
a
fare/pensare
quando
apre
gli
occhi
la
mattina
e
non
trova
una
ragione
per
alzarsi
dal
letto.
È
evidente
che
la
fase
della
performanza
non
può
essere
mostrata
in
un
manifesto.
Ma
possono
essere
distribuiti
dei
depliant
che
seguano
la
guarigione
di
questo/a
o
quel/la
paziente;
è
anche
possibile
realizzare
e
poi
linkare
dei
video
on‐line
con
la
stessa
funzione.
Per
concludere,
tra
tutti
i
testi
analizzati,
sicuramente
quello
più
efficace
è
la
campagna
ABA
del
2010.
I
pubblicitari
hanno
giustamente
intuito
che
bisognava
prima
attirare
l’attenzione
del/la
malato/a
con
una
storia
di
malattia
(quella
del
video
e
dello
spot
radio),
poi
dargli/le
speranza
presentando
una
storia
di
guarigione
(nei
manifesti).
Tuttavia,
presenta
ancora
dei
punti
che
possono
essere
migliorati,
di
cui
ho
già
parlato
diffusamente
nei
paragrafi
precedenti
e
che
qui
riassumo:
• Nel
video,
il
ciclo
mangiare/vomitare
è
filmato
dal
punto
di
vista
del/della
malato/a,
ma
in
realtà
riporta
solo
gli
stereotipi
che
la
società
ha
sui/sulle
bulimici/che;
20
Si
veda
figura
16
in
Appendice
18
•
Giusto
dare
speranza
nei
manifesti,
che
sono
davvero
ben
realizzati,
ma
bisognerebbe
integrarli
con
storie
che
parlino
anche
della
performanza
(cioè
del
processo
di
guarigione
in
ogni
sua
fase):
opuscoli
informativi,
articoli
sul
sito
dell’ABA,
video
caricati
sul
suo
canale
di
Youtube.
19
Appendice
Nome
del
testo
Tipo
di
testo
Anno
realizzazione
Figura
Quasi
Perfetta
spettacolo
teatrale
02/2004
2
Fame
d’Amore
opuscolo
di
ABA
05/2005
4
Anoressia,
Bulimia
e
Obesità
Psicogena
opuscolo
dei
Ministeri
della
Salute
e
per
le
Pari
Opportunità
04/2006
5
Molti
usano
il
cibo
per
comunicare
un
bisogno
di
aiuto.
Pochi
lo
capiscono
campagna
stampa
ABA
03/2008
6.1,
6.2,
6.3
Barbie‐turici
mostra
alla
Wannabee
Gallery,
Milano
10/06
–
30/07/2008
7
Male
di
Miele
mostra
alla
Wannabee
Gallery,
Milano
16/12/2008
–
07/01/2009
8
100%
natural,
100%
fashion,
100%
salute
campagna
del
mondo
della
moda
(Assessorato
alla
salute
+
ASSEM
–
Associazione
Servizi
Moda)
25/02/2009
9
Vent’anni
di
guarigioni
campagna
stampa
ABA
10/06/2010
1.1,
1.2,
1.3
La
Bambina
con
la
Pelliccia
spettacolo
teatrale
17‐20/02/2011
3
Tabella
1
Storia
Varianti
Passioni
Storie
che
mettono
Storia
di
guarigione
in
scena
solo
la
fase
Euforia
Sanzione
positiva
finale
(guarigione)
Ruolo
tematico:
Storie
che
Disforia
(all’inizio)
guarita
descrivono
tutto
il
Euforia
(alla
fine)
processo
Storia
di
possibile
guarigione
Storia
di
malattia
Sanzione
non
presente
Ruolo
tematico:
malata
Sanzione
negativa
Ruolo
tematico:
malata
Sanzione
negativa
Ruolo
tematico:
malata
Disforia
(all’inizio)
Euforia
(alla
fine)
Disforia
Disforia
Chi
parla
/
A
chi
Parla
Esempio
L’autore
e
la
ragazza/
Ai
malati
Fig.
1.1,
1.2,
1.3
La
protagonista/
A
tutti
Fig.
2
e
3
L’autore/
A
tutti
Fig.
4
L’autore/
Ai
malati
Fig.
5
L’autore
e
la
ragazza
Fig.
6.1,
6.2,
6.3
(che
però
non
Video
al
link
riesce)/
indicato
a
nota
12
A
tutti
L’autore/
A
tutti
Fig.
7
e
8
L’autore/
Ai
malati
Spot
radio
al
link
indicato
in
nota
16
La
ragazza/
A
tutti
Video
al
link
indicato
a
nota
15
20
Tabella
2
Storie
di
guarigione
Figure
1.1,
1.2,
1.3:
campagna
stampa
ABA
del
2010
21
Figura
2:
locandina
dello
spettacolo
teatrale
“Quasi
Perfetta”
Figura
3:
locandina
dello
spettacolo
teatrale
“La
Bambina
con
la
Pelliccia”
22
23
Storie
di
possibile
guarigione
Figura
4:
copertina
dell’opuscolo
“Fame
d’Amore”
Figura
5:
copertina
dell’opuscolo
“Anoressia,
Bulimia
e
Obesità
Psicogena”
Figure
6.1,
6.2
e
6.3:
campagna
stampa
ABA
del
2008
24
Storie
di
malattia
Figura
7:
locandina
della
mostra
“Barbie‐turici”
Figura
8:
locandina
della
mostra
“Male
di
Miele”
25
Storie
non
riuscite
Figura
9:
campagna
di
Assessorato
alla
Salute
e
ASSEM
(Associazione
Servizi
Moda)
26
Stereotipi
Figura
10:
ragazze
che
si
specchiano
Figura
11:
ragazze
che
fissano
un
piatto
con
del
cibo
e
non
mangiano
27
Figura
12:
ragazze
imprigionate
Figura
13:
ragazze
che
mostrano
la
loro
sofferenza
28
Figura
14:
ragazze
con
l’espressione
triste
29
Figura
15:
ragazze
nella
posa
della
crocifissione
Figura
16:
la
rappresentazione
delle
ragazze
obese
30
Bibliografia
Riccardo
Dalle
Grave,
Alle
mie
pazienti
dico...,
Verona,
Positive
Press,
2007.
Fabiola
De
Clercq,
Tutto
il
pane
del
mondo,Milano,
Bompiani,
1990.
Jurij
M.
Lotman
&
Yuri
Tsivian,
Dialogo
con
lo
schermo,
Bergamo,
Moretti
&
Vitali,
2001.
Costantino
Marmo,
«L'instabile
costruzione
enunciativa
dell'identità
aziendale
in
rete»,
in
Cosenza
G.
(a
cura
di),
Semiotica
dei
nuovi
media,
numero
monografico
di
Versus,
94/95/96,
Milano,
Bompiani,
2003,
pp.
135‐147.
Maria
Pia
Pozzato,
Semiotica
del
Testo,
Roma,
Carocci
editore,
2001.
Stefano
Traini,
Le
due
vie
della
semiotica.
Teorie
strutturali
e
interpretative,
Milano,
Bompiani,
2006.
Sitografia
www.bulimianoressia.it
www.comunicandoilsociale.wordpress.com
www.giovannacosenza.it
www.medicinalive.com
www.quellidigrock.it
www.sitiarcheologici.palazzochigi.it
www.spaziotertulliano.it
www.wannabee.it
www.wikipedia.org
www.youtube.com
31

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