CRITICAsociale ■ 15 10 / 2011 gono il ricordo e l’esempio di tutti i voti di Congresso, di tutti i partiti socialisti della terra. Facciamo pure buon mercato dei Congressi e dei partiti socialisti, se così vi piace. Ma Turati non può non ricordare la esperienza nostra, i nostri tentativi, la nostra propaganda, a lungo esercitata, nel proletariato femminile; tutto quel lavoro che, se poi ‘si arenò (e ne vedremo le cagioni), bastò però a dimostrare come il risveglio delle donne lavoratrici crescesse in ragione diretta della nostra azione, idealisticamente socialista, esercitata in mezzo a loro. Erano migliaia, nel ‘96, nel ‘97, e” più tardi, nel ‘901, le operaie delle più diverse industrie, che accorrevano alle nostre conferenze ed entravano, allora, nelle organizzazioni. Nè mancò la partecipazione alle battaglie politiche. Per le elezioni del ‘97 la Federazione socialista milanese diffondeva, a diecine di migliaia di esemplari, un opuscolo, diretto esclusivamente alle donne, compilato dal Gruppo socialista femminile, e le lavoratrici intervennero con ardore, di neofite, cooperando ai primi trionfi dello stesso Turati nel 5° Collegio di Milano. E l’agitazione per la legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli non fu opera delle donne socialiste e sopratutto operaie? Ci vollero ben quattro Congressi (i resoconti son là) perchè la loro assidua insistenza persuadesse alfine, nel 1900, l’apatia mascolina del ‘partito a propugnare la vitale riforma, presentando quel disegno di legge, preparato dal Gruppo socialista delle donne milanesi, che doveva approdare, attenuato, dopo i cento Comizi popolari, nella legge attualmente in vigore. Si scatenò la raffica del ‘98. Il partito, subendo la necessità indeclinabile dell’ora, fu costretto, per debellare prima la reazione e quindi per consolidare la libertà, a polarizzarsi verso altre mete, persuadendo e proseguendo l’unione elettorale dei partiti popolari; e le donne, che non sono elettrici, vennero (questa è la verità) lasciate in disparte. Non furono più viste, alla soglia dei seggi elettorali, le giovani lavoratrici, cinte’ della simbolica fascia colore di fiamma, fiammeggianti di entusiasmo esse stesse .... Ma quella scomparsa dimostrò soltanto, e dimostra, che il socialismo aveva, ed ha, smarrito gran parte del suo fascino ideale e morale. E non v’è da esserne lieti! E così l’assenteismo, la incapacità politica, l’ignoranza e la soggezione al clero, questi argomenti onde si fanno forti i, socialisti contro il voto alle donne, oh! non sono essi, davvero che li hanno inventati! Sono _ gli argomenti che, in _ Germania, prima del ‘60, gli Junker, i nobiluomini campagnuoli, più di recente, in Austria la grassa e grossa borghesia, ripetevano a perdi fiato contro il suffragio universale maschile; li ripeteranno ugualmente i nostri feudatarii meridionali, quando verrà la sua ora. Lo stesso Bebel confessa che, ancora nel 1863, egli era ostile al voto universale maschile, per queste stesse ragioni: eletto deputato nel 1867 dal suffragio universale, si convinse’ del suo errore, come si convinsero tanti altri con lui e dopo di lui; così, conquistato il voto alle donne, le conversioni del senno di poi crescerebbero all ‘infinito. Ma io veggo già Turati, che, attenuando tutte le riserve del partito socialista, si trincera sempre più dietro la “legge di gradualità”, a cui “le ammirevoli” lavoratrici dell’Austria avrebbero - egli crede - fatto così encomiabile omaggio. Ma, anche qui, è un errore madornale. In Austria, il partito e le donne socialiste accettarono bensì il solo suffragio maschile ; lo accettarono come un acconto, non perchè avessero accampata la necessità di siffatta gradualità sin dagli tnìzt della lotta. Scacciate dalle prime trincee, le classi privilegiate, repugnanti ormai da adoperare i fucili e le mitra- gliatrici, pensarono di ridurre il danno a metà, escludendo dalla vittoria le donne, la cui missione esse avevano tradizionalmente simboleggiato nelle famose tre 1(: Kinder, Kirche, Kiiche (bambini, chiesa, cucina). Socialisti e socialiste, d’accordo, trovarono utile non giocare il tutto pel tutto, contentarsi, per’ il momento, ‘della trincea conquistata, e accettarono la transazione. Ecco dunque sfuggite a Turati anche le “ ammirevoli” lavoratrici dell’Austria. Che cosa più gli rimane? ‘ Rimane a me di spezzare una lancia in difesa del Comitato nazionale pel suffragio femminile. Perchè, in verità, non mi riesce di spiegarmi tanta rigidità di partito di Classe, di fronte al movimento femminile non, proletario, mentre, nei rapporti coi partiti politici borghesi, i socialisti hanno smussato così generosamente gli spigoli della loro classica intransigenza delle origini. Dacchè - e per delle ottime ragioni, che qui non discuto - le tendenze affinistiche bloccarde o popolariste presero il disopra nel partito - fino ad abbracciare, al di là della più rosea democrazia, il liberalismo delle “sante memorie” e dél “panteismo sociale - quando mai il partito socialista accampò la pretesa di poter lavorare con uomini di altri partiti e di altre classi, soltanto a patto ... che diventino socialisti e prendano il battesimo nelle pure acque proletarie? Forse chè le donne di qualunque ceto - professioniste, impiegate, insegnanti, commercianti, direttrici di industrie - non hanno tutte le ragioni del mondo di reclamare per sè i diritti di cui godono gli uomini? O potrebbero venir loro contesi, solo perchè la loro bandiera fosse moderata o clericale? Se i socialisti si sentissero convinti fautori di un suffragio universale autentico, e non a scartamento ridotto, saluterebbero con viva soddisfazione anche le suffragiste non proletarie, come un coefficiente efficace all’auspicata vittoria. Solo si riserberebbero di combattere quella qualunque proposta di legge, che intendesse limitare il voto ad alcune categorie femminili privilegiate. E ciò, non perchè i diritti politici e amministrativi. per le donne non proletarie, rappresentino una specie di sport o di snobismo politico. Ma perchè le donne _. al di là della solidarietà di sesso - appartengono anch’esse alle varie classi sociali, e il voto femminile, limitato alle sole classi superiori, si risolverebbe in un voto plurimo, concesso alle ‘classi antagoniste al proletariato, ed equivarrebbe a una vera restrizione del voto proletario. Ed è proprio contro questo pericolo che il partito socialista disarma incautamente e completamente se stesso, quando accampa le accennate riserve circa la immediata estensione del voto universale alle donne. Nè è fantastica o arrischiata la previsione che l’attuale Presidente del Consiglio - chi non ricorda il bouquet dei più bei fiori della sua eloquenza immaginifica, offerto alle signore delle tribune di Montecitorio, quando si discusse la petizione delle donne italiane pel suffragio? - possa presentare un disegno di legge pel voto limitato a talune categorie di donne cittadine. Con quali armi insorgerete a combatterlo? Per contendere’ il voto alla grande maggioranza delle donne, l’on. Luzzatti si farà forte dei vostri stessi sofìsmi; e, in nome dell’armonia delle classi, della fratellanza di tutte le donne, e della “legge di gradualità” per l’appunto, chiederà che lo sperimento si cominci dalle donne più capaci. Ricorderà allora, ed a ragione, il Congresso femminile di Roma di or sono due anni, dove un migliaio di rappresentanti femminili dimostrò di saper trattare,’ con idee larghissime, le questioni più complesse della vita moderna; evocherà forse (se non temerà gli strilli del Gruppo. clericale!) il voto per la scuola laica ... , e chiederà perchè a donne come la Labriola, la Dobelli, la Spalletti, la Pasolini e tante altre, non si possano aprire le porte del Parlamento ... (1). E il Gruppo socialista avrà un . bel protestare e tempestare: ferito dalle armi che la sua improntitudine ha offerte agli avversarli, vedrà il voto plurimo trionfare, favorito sia dall’interesse delle classi conservatrici, sia dalla crdnerie politica e dall’amabile scetticismo, che dominano, in Italia, l’ambiente parlamentare. E, se questo, che pare un sogno, si avverasse .... à quelque chose maiheur est bon, e gli apostoli convinti del suffragio universale non ne avrebbero forse ragione di rammarico. Toccato nella sua corda più sensibile, la corda elettorale, il partito socialista si farebbe allora sul serio banditore del suffragio universale - non più confinato in qualche ordine del giorno, o evocato come semplice espediente parlamentare - e vorrebbe allora, immediatamente,’ per le donne lavoratrici tutte quante, l’arme già concessa, come privilegio di classe, alle donne della borghesia. La propaganda pel suffragio universale, calda di convinzione, fervida di fede nell’avvenire — diretta ai contadini, schiacciati dal medioevale giogo delle camorre meridionali e del vandeismo settentrionale - alle donne, doppiamente martiri, della loro miseria e dell’egoismo mascolino - una’ propaganda, cui è giocoforza, per trionfare, metter in luce le infinite ingiustizie che opprimono i più rejetti, i più dimenticati, i più sfruttati - una cosiffatta propaganda è la sola che possa infondere una :nuova giovinezza al nostro partito. Il partito socialista in Italia soffre di vecchiezza precoce. Qualche cosa s’è inaridito, alle sue fonti, e quello, che doveva essere torrente impetuoso, minaccia di assottigliarsi a ri- gagnolo pigro, sboccante nei paduli di Montecitorio. Perciò i giovani non vengono a lui e cercano altre vie; quelli che ci vengono ancora, e, in mancanza di contenuto idealistico più alto, si danno alla propaganda anticlericale la più volgare, che urta il sentimento delle masse e che le allontana, troverebbero - in una forte agitazione pel suffragio veramente. universale, senza restrizioni - un aere ossigenato pei loro polmoni morali, un alimento alla loro avidità di espansione e di lavoro; rifluirebbero allora essi, numerosi ed ardenti, nelle nostre file; e ci renderebbero la vita. Se anche, nella critica ai vecchi commilitoni, saranno talvolta ingiusti, eccessivi, misconoscenti, poco importa, anzi non importa affatto; purchè siano salutare correttivo alla saggezza e alla, prudenza dell’età critica - ohimè! non l’hanno le sole donne! degli uomini politici. Un’ultima parola, e questa, ed è di preghiera, alle compagne socialiste. Partecipino esse - poche o molte che siano dappertutto, alla solennità dell’ imminente primo maggio; vi sostengano, dovunque, il diritto anche delle donne alla conquista del voto; si preparino a intervenire numerose al prossimo Congresso socialista, per rivendicarvi lo stesso diritto. Confido che voci giovani e forti avranno ben maggiore efficacia della mia voce - infiacchita dal grigio tramonto! s NOTA (1) Un articolo, a pro’ di questa tesi, del Saraceno nella Vita - che, se non è l’Anna d’Amico del pensiero del Gabinetto, come pretende il Giornale d’Italia, certo sta In Intimi rapporti con alcuni degli attuali Ministri - sembra suffragare la mia non temeraria previsione. ■ 1911 FASCICOLO 6 PAGINA 90 ACQUA POTABILE AI COMUNI Ernesto Bertarelli (A proposito del disegno di legge pendente avanti il Parlamento) (1) I l Parlamento fu chiamato a discutere la legge, che concede ai Comuni italiani agevolezze finanziarie veramente notevoli, per risolvere il problema dell’acqua potabile. La legge è assai utile, se si pensi al numero enorme di Comuni - specialmente rurali - che non seppero ancora provvedere a un buon rifornimento idrico, sebbene la legge sanitaria italiana dati dal 1888. Mette conto, perciò, riassumere anzitutto i punti fondamentali del disegno di legge, per aggiungere poi alcune considerazioni di carattere generale, che paionmi appena accennate (a differenza di altre, largamente svolte) nella Relazione Sanarelli. Lo Stato, per la esecuzione di opere riguardanti la provvista di acque potabili, autorizza la Cassa depositi e prestiti a concedere mutui ai Comuni per una somma complessiva di 230 milioni di lire, in ragione di 15 milioni per- gli anni 1912-913 e rispettivamente 20 e poi 25 dal 1914 al 1923. Lo Stato, inoltre, assume l’intero pagamento degli interessi per i Comuni di non oltre 50 mila abitanti, e il pagamento della quota d’interessi che superi il 2 o/n per i Comuni da 50 a 100 mila abitanti; e la legge stabilisce i modi e i limiti delle garanzie che spettano alla Cassa depositi e prestiti, per le quote di ammortamento. Ove i Comuni non si valgano delle concesse condizioni di favore e il Comune difetti di acqua potabile, le opere potranno essere imposte, sostituendosi ai Sindaci il Prefetto, che si varrà dell’aziono tecnica del Genio Civile. E lo Stato fornirà ai Comuni bisognosi e privi di risorse idriche (forse il testo voleva dire « apparentemente privi di risorse idriche») gli opportuni aiuti di carattere tecnico, geologico e igienico. *** Il disegno, che ho riassunto in ciò che è il suo midollo spinale, è assai buono, e reca ai Comuni un contributo non indifferente, che diverrebbe anche più efficace quando si stabilisse tassativamente (e non solo, «a preferenza») che una metà o una terza parte della somma sia assolutamente riservata ai Comuni minori. E, senza pretendere che con ciò si risolva completamente la questione (non basterebbero due miliardi, dato il costo delle opere necessarie a rifornire tutte le disgiunte - piccole frazioni di certi Comuni montani!), è probabile scerni sensibilmente il numero dei centri, deficienti (li quel primissimo elemento di civiltà, che è l’acqua potabile. 16 ■ CRITICAsociale E si può aggiungere che il contributo dello Stato è abbastanza ampio per dar modo anche ai Comuni più poveri di profìttarne. Ma giova ammonire circa le difficoltà pratiche della esecuzione. Chi scrive parla per esperienza personale, avendo, durante nove anni, fatto esami e sopralluoghi per una cinquantina almeno di Comuni piemontesi, allo scopo di studiare i rifornimenti idrici. L’educazione igienica, di cui parla nella Relazione alla Carnera l’on. Sanarelli, sebbene embrionale, è oggi, nei Comuni rurali, più sviluppata di un tempo, e certo molti Comuni capiranno essere giunto il momento di profittare della legge. Ma i guai cominciano quasi sempre quando si tratta, in un Comune rurale, di scegliere questa o quell’acqua, o di cominciare da una anzichè da un’altra frazione. Le meschinità del villaggio hanno allora il sopravvento, onde un contenzioso senza fine, che pono in imbarazzo anche il migliore dei Prefetti. La nuova legge dà bensì facoltà al Prefetto di sostituirsi al Sindaco: ma ciò era anche nel passato, e non impedirà che, prima che sieno espletati i ricorsi, passi un tempo infinito. Se a ciò si aggiungono, sia pure pro bono nacis, inframmettenze politiche, si capisce COI11e sianvi Comuni che da dieci anni attendono la fine delle pratiche amministrative per vedere l’acqua zampillante dalle fontane. Bisogna riconoscere che l’autorità sanitaria provinciale ha, negli ultimi anni, fatto assai, forzando la mano, ricorrendo a tutti gli argomenti, persuasivi e non: ma, con tutto questo, se si vuole fare una rapida profilassi igienica col mezzo dell’acqua, conviene trovar modo di riparare alle lacune della legge comunale e provinciale. Per ciò la legge o il regolamento dovrebbero stabilire che l e proposte concernenti - i rifornimenti idrici dei Comuni con meno di 10.000 abitanti (quelli, appunto, che presentano i più complicati contenziosi) abbiano, per se stesse, carattere d’urgenza. Dovrebbe dirsi a un dipresso: «L’autorità sanitaria, provinciale (medico provinciale) e centrale (Direzione di sanità), ove riconoscano l’urgenza, per un Comune, di provvedere al rifornimento d’acqua potabile, con lettera prefettizia inviteranno il Comune a presentare entro sei mesi proposte relative (votate dal Consiglio comunale) in merito al rifornimento stesso. Approvato il progetto, i lavori dovranno iniziarsi nei termini più brevi possibili e, in caso di ritardo contestato dall’autorità provinciale, il Prefetto si sostituirà al Sindaco, valendosi delle relative disposizioni della legge comunale e provinciale. «Se il Comune, entro i sei Illesi, non provveda al progetto, il Prefetto nomina una Commissione di tre persone; scelte possibilmente tra igienisti, ingegneri e geologi della provincia, che provvedono al progetto, il quale, dopo le abituali approvazioni, diventa definitivo. Il Comune può ricorrere, e il ricorso al Consiglio di Sanità avrà carattere d’urgenza. In ogni caso, se, dopo cinque anni dall’ invito al Comune di provvedere acqua potabile, non si avrà il progetto approvato, non ostante l’inoltro dei ricorsi, si provvederà d’ ufficio alle opere relative al rifornimento idrico. (2) *** P revedo le obbiezioni d’ordine giuridico. Ma il passato ne ha offerto utili insegnamenti al riguardo. In materia di salute pubblica, le violazioni al diritto pubblico sono frequenti e si deve dirlo con sincerità: tratto-tratto procediamo 10 / 2011 a isolamenti forzati di un vaioloso proveniente dalla Francia, mentre il nostro diritto (non ostante l’artifiziosa invocazione alla legge comunale e provinciale) non offre lo armi giuridiche per quello che è nei suoi effetti pratici un vero sequestro di persona. Ora l’esperienza dice che le vie solite frustrano i progetti del genere, quando intervengano opposizioni; e, allo stato della nostra giurisprudenza, pochi Prefetti volonterosi si sentono - sia pure a fin di bene - di forzare In mano. Non si ha riguardo nel caso urgente ed eccezionale di un vaioloso: ma si considera normale il caso di un Comune che, per la sua acqua cattiva, ha ogni anno un centinaio di tifosi. E la via e l’interpretazione sono errate. Bisogna intervenire energicamente, perchè l’igiene - specie quando essa si chiama acqua potabile - sia imposta contro ogni malvolere e contro ogni artificio cavilloso, sia pure rivestito di veste giuridica. La legge comunale e provinciale - la prova provata di trent’anni lo dimostra - non è sufficiente al riguardo. Bisogna quindi studiare armi più efficaci e pronte. E, nell’approvare la nuova legge, i benefici della quale sono incalcolabili, dobbiamo desiderare si affermi questo concetto fondamentale: lo Stato non soltanto facilita economicamente l’adozione dell’acqua potabile ai Comuni, ma vuole che il beneficio non rimanga come una esposizione puramente contabile, ma sia goduto ed attuato. In breve giro di anni non deve esistere più, a costo di benefiche violenze, un solo Comune italiano privo di buone acque: poichè, se è tollerabile che questo fondamento per la vita manchi a popoli non favoriti dalla natura, è inammissibile manchi in un paese corno il nostro, ove, pur di volere, il problema idrico è risolto. ERNESTO BERTARELLI NOTE (1) Questo disegno di legge, già approvato alla Camera, pende in questi giorni avanti il Senato. (Nota della CRITICA). (2) Sebbene non in questa forma precisa, tuttavia le modificazioni introdotte dalla Camera nel disegno di legge hanno resa più spiccia la procedura, sottraendola a gran parte delle ordinarie lungaggini. (Nota della CRITICA) ■ 1912 FASCICOLO 8 PAGINA 116 INTORNO ALLA FILOSOFIA DI MARX Rodolfo Mondolfo L’ articolo acuto e brillante di Tullio Colucci sulla filosofia di Marx è informato ad un criterio, del quale non si affermerà mai a bastanza l’ importanza e la necessità: chi voglia intendere il pensiero del Marx deve rifarne e quasi riviverne il processo di sviluppo. Dall’idealismo hegeliano, per l’umanismo del Feuerbach, per il socialismo utopistico e le lotte di classe al materialismo storico: tale la serie dei momenti costitutivi e la dottrina finale in cui quelli vengono a unificarsi in una sintesi dialettica. Ma la sintesi finale per essere rettamente intesa esige una esatta ricostruzione dei momenti costitutivi: quella fedele visione storica, in somma, che ottengono ordinariamente l’idealismo hegeliano e il socialismo utopistico; ma che è quasi sempre negata all’umanismo del Feuerbach. Alla consuetudine non si sottrae neppure il Colucci; il quale si attiene in sostanza, come altra volta il Gentile (il cui libro: La filosofia di Marca, egli ha forse presente) a quei lineamenti della dottrina del Fenerbach, che sono schizzati nelle Glosse del Marx. E parrebbe che miglior interprete non potesse cercarsi: se non fosse che il Marx e l’Engels, quando intendevano differenziare le loro dottrine dalle altre, adoperavano piuttosto l’ascia che il cesello. E chi accogliesse la dottrina del Feuerbach nella forma, in cui essa è presentata dal Marx in quelle glosse, non riuscirebbe mai ad intendere nè quale sia stata l’azione che il reale Humanismus ha esercitata .effettivamente sul Marx, nè quale sia stato il vero processo di sviluppo del pensiero marxistico e quale la sua definitiva caratteristica differenziale. All’ apparire dell’ Essenza del cristianesimo (1841), Marx passa dall’idealismo all’umanismo, da hegeliano diventa feuerbacchiano. Ma qual’era l’opposizione del Feuerbach all’Hegel? Era veramente affermazione di un materialismo, per il quale la realtà sia. nell’oggetto sensibile in vece che nell’idea, e di fronte alla. oggettività esteriore il soggetto non sia che una tabula rasa, che riceve passivamente le impressioni dal mondo esterno? In questo modo scompare ogni principio di attività, ogni praxis: lo sviluppo e la storia diventano incomprensibili: quindi, si dice, Marx da Feuerbach deve tornare a Hegel e alla sua dialettica, se vuol capire e spiegare il processo storico, preoccupazione principale della sua riflessione filosofica. Ma allora perché proprio Feuerbach e non (per esempio) Epicuro, che il Marx aveva fatto oggetto di un suo studio prima che apparisse l’Essenza del cristianesimo, doveva richiamare Marx dalla contemplazione dell’idea alla considerazione dell’oggetto sensibile? E quale azione avrebbe il Feuerbach esercitato, sul pensiero marxistico, maggiore di quel vecchio materialismo di Hobbès, Helvetius, ecc., che Marx doveva pur conoscere bene, poichè ne parla con acutezza di critico nella Sacra famiglia? In realtà, l’opposizione del Feuerbach contro l’Hegel è ben di versa da quella del materialismo contro l’idealismo: è invece l’affermazione del volontarismo contro I’intellettualismo, la rivendicazione di quel momento impulsivo che il. razionalismo hegeliano trascurava o negava. L’attività sensibile e l’impulso del bisogno contro l’impassibilità dell’idea assoluta; l’uomo, come essere attivo e sorgente e sviluppo inesauribile di bisogni, contro la concezione che lo riduceva a semplice portatore dei momenti di sviluppo dell’idea assoluta. Ecco il principio del bisogno nella sua infinita fecondità, che è concetto fondamentale nel Feuerbach. Concezione dialettica sempre, perchè il bisogno è qui l’equi valente del non-essere hegeliano, trasportato dall’idea assoluta alla coscienza umana; è il sentimento di una mancanza o di un limite onde sorge l’aspirazione al suo superamento. Ma, per trasportare il ritmo dialettico dalla idea assoluta alla volontà umana, il Feuerbach ha bisogno di una duplice condizione: la realtà effettiva del soggetto da una parte (impulso e forza di sviluppo), dell’oggetto o natura dall’altra (limite ed ostacolo all’impulso). Soltanto riconoscendo questa doppia realtà, si viene a rendere concreto e reale il rapporto dialettico soggetto-oggetto, e il processo della praxis per un ritmo di affermazione (soggetto), negazione (oggetto) e negazione della negazione (attività del soggetto che supera il limite oppostogli dall’oggetto e si afferma entro e sopra la sua antitesi). Ecco il naturalismo del Feuerbach, che si oppone alla teologia come all’idealismo hegeliano; ma che vuol essere così poco materialismo e passivismo della tabularasa, da ricorrere all’affermazione della realtà autonoma della natura solo perché ne risulti la realtà autonoma dello spirito, inteso quale principio di attività. Non posso qui diffondermi in una dimostrazione che ho data altra volta contro il Gentile: mi limito alla citazione di pochi passi caratteristici, tratti dall’Essenza del cristianesimo. “La sua realtà (del soggetto) dipende dalla sua attività; e l’attività non esiste senza oggetto, perchè “ questo soltanto trasforma la semplice potenza in attività reale “. Perchè l’energia potenziale si attui, occorre che si senta limitata, stimolata: insoddisfatta: ecco la funzione della natura di fronte all’nomo. “La “ coscienza del mondo è per l’uomo la coscienza della “sua limitazione; ma questa coscienza è in contraddizione con la tendenza della personalità a uno sviluppo “ indefinito.” E ancora: “L’essere è il bisogno assoluto “ e l’assoluta