Far pagare i musei agli anziani:
idea di Franceschini per la cultura
In un convegno a Milano il capo del Mibac espone la sua trovata
per salvare il nostro patrimonio: chiedere soldi agli aver sessantacinque
::: GIANLUCA VENEZIANI
---- Doveva essere un incontro su come fi
-nazirelcut,msèaforinu
tristissima kermesse su come affossarla. All'appuntamento «Finanziare la cultura. Le risorse pubbliche necessarie, le risorse private
possibili», organizzato ieri presso il Teatro Parenti di Milano dall'associazione Priorità cultura con il sostegno di AcomeA, in teoria si
doveva discutere dei metodi per dare soldi a
musei, beni archeologici e monumenti da
parte sia dello Stato che di imprese e mecenati. Si dovevano individuare strategie e proposte concrete, poi da raccogliere e presentare
in un Documento per il Finanziamento della
Cultura in Italia.
Pie intenzioni. La riunione di gala, molto
cultural chic, dove la guest star troneggiante
sul palco era il ministro della Cultura Dario
Franceschini, è diventata in realtà molto presto un piagnisteo di «vorrei ma non posso»,
«non ci sono i sordi», «eh, sta la crisi. All'ingresso distribuivano un opuscolo in cui, giusto per incoraggiarti, ti dicevano che l'Italia
spende un terzo in meno di quanto spende la
Francia per la cultura, e che negli ultimi anni
la fruizione di teatro, cinema, visite a musei
nel nostro Paese è crollata paurosamente.
Oh, sia chiaro. Non sono mancate certo le
idee lungimiranti, durante il convegno. Proprio il ministro, tra una grattatina e l'altra alla
barba, ha lanciato il proposito del secolo per
rimpinguare le casse esangui del Mibact
(bruttissimo nome per Ministero dei Beni e
delle Attività Culturali e del Turismo): «Visto
che gli incassi alle biglietterie nei musei sono
minimi», ha detto, «dobbiamo far pagare l'ingresso anche agli over 65». Che, per inciso,
sono forse gli unici in Italia che frequentano
ancora i musei e gli unici a non potersi permettere stangate del genere (insieme alle partite Iva, i pensionati sono infatti rimasti esclu-
si dal bonus di 80 euro promesso del premier). Dopo quell'annuncio ferale, molti dei
presenti in sala, parecchi dei quali oltre i 65,
sono stati tentati di andarsene, temendo che
il ministro decidesse, seduta stante, di estendere quella misura di pagamento anche ai teatri.
Franceschini però, insieme ai rimedi, ha
voluto spiegare anche le ragioni della scarsa
affluenza nei musei italiani. La causa, secondo lui, è che i nostri musei sono molto piccoli,
a differenza del Louvre, «che è grande dodici
volte gli Uffizi». Ora, dire che al Louvre va più
gente (circa 10 milioni di persone ogni anno)
perché è più grande, è una solenne castroneria. Se è per questo, sul sito archeologico di
Pompei (grande cento volte il Louvre) dovrebbero andare ogni anno un miliardo di visitatori...
Quello dei musei, peraltro, è solo uno dei
problemi relativi allo stato della nostra cultura. In Italia ci sono palazzi storici che cadono
a pezzi, patrimoni dell'Unesco che rischiano
di finire in rovina, gallerie d'arte dove mancano i più elementari criteri di accoglienza del
visitatore. Franceschini lo sa, ma preferisce
ignorarlo. Durante la sua dissertazione, parla
di «drammaticità» ma glissa volutamente sulla situazione di Pompei (tra crolli, furti di dipinti e incapacità di spendere i 105 milioni di
giuro che l'Ue ha messo a disposizione); e non
risponde alla nostra domanda sulla Galleria
Borghese di Roma dove, da due mesi (cioè,
da quando Franceschini è ministro), non funziona il sistema di climatizzazione, cosicché i
custodi sono costretti a chiudere e ad aprire
di volta in volta le finestre, per evitare che le
opere (capolavori di Tiziano, Bemini, Raffaello) si rovinino. Il ministro cita solo il caso della
Reggia di Caserta, in cui un pezzo di tetto, all'interno dell'ala dove ha sede l'Aeronautica
militare, è crollato. Anziché fare giusta ammenda, Franceschini vanta di essere riuscito
a tappare immediatamente la falla, come fosse un carpentiere qualunque, confermando
la deriva per cui l'unico merito di chi opera
nel settore dei beni culturali in Italia è quello
di risolvere le emergenze.
Se i siti archeologici sono vecchi e cadenti,
non meno lo sono i funzionari e il personale
del Mibact. Ecco perché l'ex ministro dei Beni
culturali Francesco Rutelli, vera mente pensante dell'evento milanese, ha avuto un'altra
idea geniale: rimpolpare il numero degli addetti del ministero con nuove leve. Se Franceschini vorrebbe rottamare qualcuno dei vecchi (durante il discorso, ha detto: «L'età media al Mibact è alta, di 55 anni», quasi lui ne
avesse 18. Ne ha 55, appunto), Rutelli pensa
invece a una bella infornata di nuovi burocrati. Recita il Mascellone: «Il ministero non ha
abbastanza tecnici e amministrativi per svolgere le proprie funzioni. Se anche avesse soldi, non sarebbe in grado di spenderli, perché
non ci sono figure adeguate a sufficienza».
Massi, assumiamo ancora, quasi non bastasse la pletora di dipendenti pubblici, già pagati
dalle nostre tasche.
La fine del convegno è tutta un accapigliarsi su chi abbia il diritto di finanziare e gestire
la cultura: se il pubblico (Salvatore Settis tuona pro domo sua: «Gli archeologi devono dirigere i musei, non i tecnici e i manager») oppure il privato («Manager non è una brutta parola», gli replica Franceschini). E mentre si discute su questioni di lana caprina, Rutelli tiene a ribadire che la colpa dello stato pietoso
della nostra cultura è solo degli altri ministri,
quelli venuti prima e dopo di lui; lasciando
sottintendere che, a parte sé e Franceschini,
non ci siano mai stati altri ministri dei Beni
culturali decenti in Italia. L'impressione leggerissima, tuttavia, è che entrambi non fossero
esattamente super partes.
Nella foto sopra, il ministro
dei Beni culturali Dario
Franceschini del Partito
democratico [Ansa]
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