Gli hegeliani di Napoli
Studi e testi
1
Il bene dello Stato
è la sola causa di questa produzione.
GaetaNo filaNGieri
a Gerardo Marotta,
che con la sua personalità socratica
sa trovare sempre nell’anima di noi giovani
il punto da cui far prorompere
l’amore per la filosofia
Società di Studi politici
la filosofia
del risorgimento
Le prolusioni di Bertrando Spaventa
la scuola di pitagora editrice
Napoli MMXi
in collaborazione coll’istituto italiano per gli Studi filosofici.
© 2005 Società di studi politici.
la scuola di pitagora editrice
piazza Santa Maria degli angeli, 1
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iSbN
978-88-6542-004-1 (versione digitale nel formato pdf)
tutti i diritti sono riservati.
iNdice
11 premessa
13 eugenio Garin
Filosofia e politica in Bertrando Spaventa
47 prolusione di Modena
Lezione proemiale al corso di filosofia del diritto
letta il 4 gennaio 1860 nell’Università di Modena
69 carattere e sviluppo della filosofia italiana
dal secolo XVi sino al nostro tempo
Prolusione alle lezioni di storia della filosofia
letta il 30 aprile 1860 nell’Università di Bologna
107 della nazionalità nella filosofia
Prolusione alle lezioni di filosofia teoretica
letta il 23 novembre 1861 nell’Università di Napoli
131 Nota alla prolusione
Intorno alla filosofia indiana
appeNdice
139 theodor Sträter
Gli hegeliani di Napoli
147 benedetto croce
La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900
preMeSSa
le tre Prolusioni, che la Società di studi politici pubblica
per la prima volta raccolte in un unico volume, rappresentano la testimonianza piú proficua dell’opera filosofica che
bertrando Spaventa compí durante gli anni dell’esilio.
È in queste lezioni di introduzione ai suoi corsi universitari che il filosofo napoletano, appena compiuta l’unità
d’italia, fa una vera e propria opera di rannodamento «ripigliando», com’egli stesso piú volte scrisse, «le fila interrotte
di quella tradizione veramente nazionale», disfacendo
«l’opera di tre secoli, con la quale si tentò di distruggere
sino le vestigia dell’ingegno italiano». per Spaventa il termine nazionale vuole indicare non piú qualcosa di dato naturalmente e immediatamente, ma come il prodotto della
coscienza culturale, storica e politica che un popolo ha di sè.
per queste ragioni, sottolinea Spaventa, «d’ora innanzi
nazionalità non significa piú esclusione o assorbimento delle
altre nazioni, ma l’autonomia d’un popolo nella vita comune de’ popoli; come la personalità dell’individuo consiste
nel conservare la propria autonomia nella comunità dello
Stato».
come la nazionalità, anche il diritto è una creazione dello
spirito di un popolo, e si fonda non su qualcosa di dato acci-
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dentalmente o aprioristicamente, ma piuttosto si produce
dalla coscienza del diritto umano, del diritto dell’uomo in
quanto uomo. il diritto, cosí, viene presentato da Spaventa
come «realtà umana» e la filosofia del diritto è la riflessione
speculativa su tale realtà.
Questo, crediamo, sia il punto piú avanzato a cui sia pervenuta l’elaborazione filosofica e politica durante il risorgimento e rendere patrimonio comune questa immensa
eredità, ci appare un dovere da cui non possiamo esimerci.
facciamo nostro, dunque, l’appello che benedetto croce
rivolse alle nuove generazioni di studiare e raccogliere gli
scritti di questo eroe del pensiero, nella speranza che i germi
di nuova civiltà, presenti nella sua opera, possano rivelarsi
strumenti efficaci per l’incremento degli studi di filosofia
politica e di diritto pubblico in europa.
euGeNio GariN
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filoSofia e politica iN bertraNdo SpaVeNta
antonio labriola, che di bertrando Spaventa è stato,
probabilmente, lo scolaro piú significativo, e che lo aveva
conosciuto fin “dall’infanzia” rimanendogli poi sempre devoto, ebbe a scrivere una volta a engels, il 1° luglio 1893:
«Spaventa fu un rivoluzionario, ma monarchico, fu un gran
1
il testo che qui si stampa riproduce senza variazione alcuna una conferenza – tenuta a Napoli il 15 maggio 1982 per l’istituto italiano per gli
Studi filosofici in apertura delle celebrazioni spaventiane, ora pubblicato nel testo e. Garin, Filosofia e politica in Bertrando Spaventa,
bibliopolis, Napoli 1983 –, ed è perciò corredato, data la sua stessa natura, esclusivamente delle indispensabili indicazioni dei luoghi citati. Gli
scritti di Spaventa sono dati, o nelle edizioni originali, o nella silloge che
delle opere riprodotte dal Gentile, o da lui pubblicate per la prima volta,
ha messo insieme italo cubeddu (b. Spaventa, Opere, 3 voll., a cura di
Giovanni Gentile, Sansoni, firenze 1972; alle pp. 857-1036 del terzo
volume si offre una preziosa bibliografia critica, integrata e ristampata a
parte nel 1974). una menzione a sé meritano tuttavia, oltre le lettere e i
documenti editi da G. Vacca (e indicati dal cubeddu, a cui si rimanda), i
volumi curati da domenico d’orsi (Scritti inediti e rari, 1840-1880,
cedam, padova 1966; Lezioni di antropologia, d’anna, Messina-firenze
1976; Psiche e metafisica, d’anna, Messina-firenze 1978). un indispensabile strumento di lavoro è il volume di a. Savorelli, Le Carte Spaventa della
Biblioteca Nazionale di Napoli, bibliopolis, Napoli 1980. della piú recente
letteratura su bertrando Spaventa si sono tenuti presenti in particolare
(oltre i volumi di G. oldrini, Gli hegeliani di Napoli. Augusto Vera e la corrente ortodossa, feltrinelli, Milano 1964; Il primo hegelismo italiano,
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Eugenio Garin
galantuomo e una testa pensante, anzi addirittura un filosofo». Quasi a postilla, circa un anno dopo, in una lettera
assai nota, sempre a engels, dopo avere ricordato «la rinascita dell’Hegelismo» a Napoli, prima privatamente dal ’40
al ’60, poi pubblicamente all’università dal ’60 al ’75, precisava meglio il “ritratto”: «lo Spaventa (ottimo fra tutti
[...]) scrisse di dialettica in modo squisito, scovrí di nuovo
bruno e campanella, delineò la parte utile ed utilizzabile di
Vico, e trovò da sé (nel 1864!) la connessione fra Hegel e
darwin»2.
a dieci anni dalla scomparsa del suo “professore”,
labriola teneva a sottolineare, in parallelo con i padri del
socialismo scientifico, le proprie origini hegeliane, e i caratteri del particolare hegelismo spaventiano. per sommario che
fosse, il profilo individuava bene le linee essenziali di
Spaventa: un rivoluzionario, anche se poi aveva accettato la
soluzione monarchica della questione italiana; un filosofo,
perché – l’aveva scritto Spaventa nel ’51 – «i filosofi sono i
precursori della rivoluzione», e l’opera loro, se sono filosofi
davvero, «è essenzialmente rivoluzionaria»; un hegeliano che
aveva ritrovato il senso della tradizione filosofica nazionale;
uno storico che era stato capace di cogliere il nesso del
rinascimento con Vico, e il posto di Vico nello svolgimento
del pensiero europeo; un pensatore che aveva capito molto
presto il significato teorico dell’Origine delle specie, e che
Vallecchi, firenze 1969; La cultura filosofica napoletana dell’Ottocento,
laterza, bari 1973), di G. Vacca, Politica e filosofia in Bertrando Spaventa,
laterza, bari 1967 (ma anche la silloge di scritti spaventiani da lui curata
col titolo Unificazione nazionale ed egemonia culturale, laterza, bari
1969), e, di i. cubeddu, Bertrando Spaventa, Sansoni, firenze 1964.
2
per la lettera di labriola del 1° luglio 1893, cfr. a. labriola, Scritti
filosofici e politici, i, a cura di f. Sbarberi, einaudi, torino 1973, pp. 339343. l’altra lettera, del 14 marzo ’94, è data secondo la ricostruzione di
V. Gerratana, Per una corretta lettura di Labriola. Precisazioni e rettifiche,
«critica marxista», Xi, 1973, pp. 264-265.
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aveva affrontato con rigore la sfida del positivismo e il confronto fra indagine scientifica speciale e riflessione filosofica3.
in realtà, quando labriola aveva legato filosofia hegeliana e rivoluzione nazionale, ed aveva periodizzato distinguendo i due momenti dell’hegelismo napoletano – privato
e pubblico, dei giovani, prima, per i quali era stato una fede
e una bandiera di libertà, e dei professori universitari poi,
che se ne erano serviti come di uno strumento di critica di
un mondo superato – in realtà quando labriola aveva voluto presentare a engels sul filo del ricordo le proprie origini
teoriche, non aveva fatto che ripetere quello che aveva
imparato da bertrando Spaventa, che aveva cominciato a
scriverlo molto presto nei saggi e a dirlo nelle lezioni. Sulla
fine del ’50, nell’esilio torinese, dopo il tragico ’48, dopo la
fuga sua e l’arresto di Silvio a lui tanto legato, aprendo quegli Studi sopra la filosofia di Hegel che di rado gli storici
rileggono con attenzione, bertrando scrisse con una passione in lui insolita: «per debito di verità e di affetto mi è d’uopo notare, che in Napoli sin dal 1843 l’idea hegeliana penetrò nelle menti de’ giovani cultori della scienza, i quali mossi
come da santo amore si affratellavano, e con la voce e con
gli scritti la predicavano. Né i sospetti già desti della polizia,
3
per gli articoli pubblicati da Spaventa nel 1851 cfr. i. cubeddu,
Bertrando Spaventa pubblicista (giugno-dicembre 1851), «Giornale critico
della filosofia italiana», 42, 1963, pp. 46-93, che ristampa dieci articoli
comparsi nel ’51 nel giornale «il progresso» di torino. la discussione sul
darwinismo Spaventa aveva avviato già nel ’74 col saggio La legge del piú
forte, letto il 3 settembre di quell’anno all’accademia di Scienze morali e
politiche di Napoli, pubblicato nel vol. Xiii dei Rendiconti, e poi raccolto dal Gentile nel volume di Scritti filosofici, con prefazione di Jaja, edito
dal Morano, Napoli 1900, (pp. 339-352), non senza interventi e contributi “pratici” del croce (b. Spaventa, Opere, cit., i, pp. 523-529). il darwinismo è tuttavia presente soprattutto nel volume postumo Esperienza e
metafisica. Dottrina della cognizione, curato (non bene) da donato Jaja
(loescher/Vecchi, torino-trani 1888).
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Eugenio Garin
aizzati dall’ignoranza e dall’ipocrisia religiosa, né le minacce
e le persecuzioni valsero ad infievolire la fede in questi arditi difensori dell’indipendenza del pensiero; i numerosi studenti raccolti da tutti i punti del regno nella grande capitale disertavano le vecchie cattedre, ed accorrevano in folla ad
ascoltare la nuova parola. era un bisogno irresistibile ed
universale, che li spingeva ad un ignoto e splendido avvenire, all’unità organica de’ diversi rami della cognizione
umana; gli studiosi di medicina, di scienze naturali, di diritto, di matematiche, di letteratura partecipavano al general
movimento, ed ambivano soprattutto, come gli antichi italiani, di essere filosofi. chi può ridire la gioia, le speranze,
l’entusiasmo di quel tempo? chi può ridire l’affetto, col
quale si amavano i giovani professori e gli allievi, e insieme
procedevano alla ricerca della verità? era un culto, una religione ideale, nella quale si mostravano degni nepoti dell’infelice Nolano»4. Sono parole da non dimenticare: l’hegelismo era e rimase a lungo per non pochi di quegli uomini una
religione ideale, capace di riunire in un solo culto bruno e
Hegel.
Ho trascritto questa pagina dall’esemplare degli Studii
che fu di pasquale Villari, e che reca, a lapis, la dedica dell’autore: Al suo carissimo Villari in segno di affetto ed a
memoria di que’ giorni che con lui visse a Firenze Bertrando
4
b. Spaventa, Studii sopra la filosofia di Hegel, estratto dalla «rivista
italiana», nuova serie, fascicoli del mese di novembre e dicembre,
tipografia G. b. paravia, torino 1851, p. 10. come è noto citò largamente gli Studii nella prefazione, che è una vera autobiografia intellettuale, ai
Principii di filosofia (di cui uscí a puntate solo il primo volume incompleto), Stabilimento tipografico Ghio, Napoli 1867, pp. XX e segg. Gentile
ripubblicò nel 1911, presso il laterza, col titolo Logica e metafisica, i
Principii, «con l’aggiunta di parti inedite» ossia con l’esposizione della
logica hegeliana tratta da un manoscritto messo a sua disposizione da
Sebastiano Maturi. Sul «vecchio colecchi» cfr. Principii, cit., p. XiX.
filoSofia e politica iN bertraNdo SpaVeNta
17
Spaventa5. Nell’ottobre del ’50, non molto prima, Villari
aveva scritto all’amico, già partito per torino, esortandolo a
diffondere il verbo hegeliano. Villari ricordava la scuola di
de Sanctis, e la lettura desanctisiana di alcune pagine dell’estetica di Hegel «Ha fatto lezione per moltissimi anni, i
suoi giovani parlavano solamente di quel tempo in cui si
spiegava Hegel. È un sistema quello che, una volta inteso,
s’impadronisce di tutte le cognizioni di un uomo, di tutte le
azioni, di tutta la vita!». Soggiungeva, con una battuta famosa: «fare intendere Hegel all’italia, vorrebbe dire rigenerare l’italia [...]. Se tu cominci, vedrai sorger per via elementi
di una vita che non aspettavi: io credo che, superato il primo
ostacolo, tu ti vedresti padrone di tutta la gioventú di
torino»6.
poi cosí Villari come de Sanctis si renderanno conto di
altre esigenze e di altri problemi; con dolore, e a volte con
sdegno di Spaventa, si staccheranno da Hegel, pur non rinnegandolo. Già nel ’57 de Sanctis confessava a de Meis che
Hegel gli aveva «seccata l’anima»; ma fra il ’50 e il ’53 nelle
galere borboniche compilava i quadri sinottici della Scienza
della logica, mentre Silvio Spaventa si torturava sulla
5
Si trova nella biblioteca della facoltà di lettere e filosofia
dell’università di firenze, Misc. Villari, a, 561, 1. fu descritto e usato
anche da S. landucci, Il giovane Spaventa fra hegelismo e socialismo,
istituto Giangiacomo feltrinelli, “annali 1963” (Vi), pp. 647-706 (le
indicazioni dell’opuscolo, a p. 695).
6
cfr. S. Spaventa, Dal 1848 al 1861. Lettere, scritti, documenti, pubblicati da b. croce, laterza, bari 19232, pp. 77-78; b. Spaventa, Scritti inediti e rari, cit., pp. 500-512. importante sull’argomento è, ora, Una lettera di
Bertrando Spaventa a Pasquale Villari, bibliopolis, Napoli 1981. È ben
noto il giudizio che, nella citata prefazione ai Principii, cit., p. XX,
Spaventa darà dei «dieci mesi di sbadigli a firenze», dove non aveva trovato un’edizione di Hegel. in realtà Hegel, e il pensiero tedesco, erano tutt’altro che ignoti a firenze, ed è documentabile anche la presenza delle
opere.
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Eugenio Garin
Fenomenologia, «questo diabolico ma meraviglioso libro» –
come lo definiva bertrando.
la filosofia come consapevolezza critica del divenire storico della realtà umana appariva a quei giovani la premessa
indispensabile per una lotta di liberazione. impadronirsi
dell’idea che la storia è storia della libertà era, per loro,
come gettare una base saldissima, di una sicurezza assoluta,
alla battaglia per la libertà. Vanno riletti, di Spaventa, i
Pensieri sull’insegnamento della filosofia, usciti anonimi nei
numeri 253 e 254 del «costituzionale» di firenze, il 3 e 4
maggio del ’50. «Nella storia lo spirito si manifesta e si realizza come libertà; e tutto il lavoro della storia tende a questo risultato. i diversi popoli, che si sono succeduti nel
mondo, non hanno rappresentato che i diversi gradi o principii dello svolgimento dello spirito libero: i popoli e i loro
imperi sono caduti, ma l’opera che egli aveva eseguito in essi
e per essi, è rimasta; e forma ormai una tradizione immortale, per la quale tutte le nazioni non sono che una sola persona, che ha una vita sua propria e la coscienza del suo sviluppo, e che non è altro che l’umanità» – e un’umanità la cui
sostanza è la libertà7.
di lí a poco, nei numeri di novembre e dicembre della
torinese «rivista italiana», Spaventa, di Hegel, metteva in
evidenza il metodo, la dialettica come processo che continuamente rinnova le forme in un moto razionale: «la vita e
la realtà [...] non consiste nell’immobilità dell’esistenza, ma
in un progresso dialettico; e per questa cagione il metodo
s’identifica col movimento dell’essere». e ancora: «la scienza e il metodo s’identificano con la realtà ossia con la verità,
7
i Pensieri furono ripubblicati dal Gentile nel «Giornale critico della
filosofia italiana», Vi, 1925, pp. 92-99 (b. Spaventa, Opere, cit., iii, pp.
831-846) e poi raccolti dall’oldrini nel vol. Il primo hegelismo italiano,
cit., pp. 297-308.
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che è lo spontaneo e necessario movimento dell’essere».
d’altra parte, ed è un punto capitale della riflessione spaventiana, mentre la filosofia come sistema scientifico a sé
sembra concludersi in Hegel, proprio allora si attua in concreto come motore del divenire storico, come la grande rivoluzione liberatrice dei popoli. Se la filosofia come riflessione
sul proprio tempo finisce, lo spirito vive nel moto del reale,
operandovi dentro. l’uccello di Minerva che spicca il volo
al tramonto, la civetta, lascia il posto al lavoro sotterraneo
della talpa, che vuole uscire alla luce e trasformare il mondo.
la filosofia, infatti, nel comprendere il proprio tempo, lo
modifica e lo rende dominabile. Non lo nomina, ma è al
passerini, e alla sua prefazione alla versione della Filosofia
della storia uscita a capolago nel ’40, che Spaventa risponde. passerini aveva ripetuto un’affermazione del von
cieszkowski, e aveva rimproverato Hegel di «non tenere
alcun conto dell’avvenire», e di non avere capito che la storia non è solo del passato ma anche del futuro. «Hegel –
aveva scritto passerini – dopo avere ammesso e provato il
progresso, vedeva poi il compimento di tutto nella sua filosofia e nella monarchia prussiane», decretando cosí la morte
della filosofia8. risponde Spaventa, ed è risposta fondamentale per capire la sua “riforma” dello hegelismo, fino a quello che è stato chiamato il suo “attualismo”: «una tal morte
apparente della filosofia alemanna è il cominciamento della
sua esistenza nel mondo reale che essa penetra, informa e
rinnova. opera lunga e laboriosa; ma già si mostrano i primi
segni di questa organizzazione in ogni forma della vita
umana. lo spirito alemanno è disceso nel campo dell’attività pratica, nella lotta degli elementi politici e sociali. oltre a
8
G. W. f. Hegel, Filosofia della storia, trad. G. b. passerini, tipografia e libreria elvetica, capolago 1840, pp. XXVii e XXXi della introduzione del passerini.
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