El Campanò
de San Giuseppe
2013
EL CAMPANÒ
DE SAN GIUSEPPE
Rivista di storia, società, tradizioni
a cura della
Biblioteca intercomunale “Luigi Dal Ri” di Mori
2013
In copertina: il campanile della
chiesa di Loppio si specchia nelle
acque dell’antico porticciolo del
palazzo Castelbarco. Dettaglio della
IRWRJUD¿DVFDWWDWDLOGLFHPEUH
2010 da Ivo Cipriani.
Editore:
Redazione presso:
Biblioteca intercomunale “Luigi Dal Ri” di Mori
Via Scuole n. 7 – Tel. 0464 916260 Fax 0464 910684
mail: [email protected]
La redazione:
Katia Angeli
Paola Caneppele
Marco Guidotto
Renato Mattei
Edoardo Tomasi
“El Campanò de San Giuseppe” esce ogni anno in occasione della Ganzèga d’autunno a Mori
Anno XXVIII – 2013
Aut. Tribunale di Rovereto n. 122 del 3.4.1986
Direttore responsabile: Marco Guidotto
Tiratura n. 800 copie
Per i numeri arretrati rivolgersi alla Biblioteca intercomunale di Mori
La collaborazione alla rivista è aperta a tutti. La Redazione lascia agli Autori la responsabilità
delle opinioni e dei giudizi espressi. È fatto divieto di riprodurre, anche parzialmente, articoli ed
illustrazioni senza fare riferimento alla rivista ed agli Autori.
Per inviarci articoli o per segnalazioni: [email protected]
Indice
5
Editoriale.
di Flavio Bianchi
Storia. Epoca medioevale
8
Torri di fuoco e colonne di fumo.
Antichi sistemi di segnalazione militare in uso anche in Trentino.
di Carlo Andrea Postinger
Storia. Epoca moderna
14
Processo criminale celebrato a Brentonico nel 1599.
a cura di Giorgio Benoni con la collaborazione di Vittorina Rizzi
Storia. Società e tradizioni
22
33
38
Qualche notizia storica sulla “Festa degli alberi” a Mori e dintorni.
di Edoardo Tomasi
Memorie d’acqua in Val di Gresta.
di Marta Villa
Reperti storici da preservare nei pressi di Loppio.
segnalazione di Renato Mattei
Personaggi
46
63
Luigi Bombana scultore, 1913-2013.
di Claudio Bombana, Mariano Angelini e Matilde Tranquillini
Ernesto Berro un forestiero appassionato di questa terra grestana.
di Maria Grazia Berro Girardelli
Attualità
68
Interviste a migranti.
di Marco Cimonetti e Marco Falceri
Album
77
81
Donne e bambini in coda per una ciotola di minestra.
a cura di Edoardo Tomasi
Foto dei coscritti di Mori delle classi 1900-1915
dalla collezione di Angelo Bellini
Pagina
4
Editoriale
Ai tradizionali lettori del Campanò che l’anno scorso hanno sfogliato la rivista non
VRQR FHUWR VIXJJLWL LO QXRYR IRUPDWR H OD QXRYD JUD¿FD GHOOD RUPDL SOXULHQQDOH
pubblicazione.
Un cambiamento meditato e discusso dalla redazione, che tuttavia si è reso più
che mai necessario per garantire una migliore qualità alle immagini ed un’impaginazione più snella ed accattivante.
Contestualmente la redazione si è attivata per cercare nuovi contributi anche tra
OHQXRYHJHQHUD]LRQLPRULDQHQXRYHVLDGDOSXQWRGLYLVWDDQDJUD¿FRFKHQHOOD
provenienza.
Questo ha permesso di inserire argomenti di attualità e costume, fornendo importanti informazioni su uno spaccato della realtà poco conosciuto ed anche per
questo di sicuro interesse.
L’impegno di una Pro Loco nell’essere testimone del territorio deve infatti necessariamente riconoscere che la cultura locale, in una società sempre più multiforPHHÀXLGDQRQSXzSUHVFLQGHUHGDLYDULHJDWLDSSRUWLFXOWXUDOLFKHO¶KDQQRDUULFchita negli ultimi anni, deve tener conto che la tradizione ha bisogno di avvicinarsi
ai giovani per trovare in loro nuovi testimoni, capaci di ravvivarla e trasmetterla.
Come affermava G. Mahler “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri” e pertanto ad ognuno deve essere lasciata la possibilità di portare il proprio
pezzo di legna perché quel fuoco è vitale e serve a tutti.
È con questi peraltro ambiziosi obiettivi che la proloco Mori Val di Gresta ha deciso di proseguire la pubblicazione del Campanò, cercando di invogliare nuovi
scrittori ad offrire il proprio apporto di testimonianze e nuovi lettori a scoprire il
territorio di Mori.
Pagina
Presidente della Pro Loco
Mori - Val di Gresta
Flavio Bianchi
5
Ci auguriamo che il nostro sforzo e il contributo di chi ha fornito gli interventi
venga apprezzato e condiviso, perché il nostro obiettivo può dirsi raggiunto solo
se questa pubblicazione nel suo piccolo, riesce a mantenere alto l’interesse per
il territorio, stimolando i cittadini a riconoscerne le peculiarità, arricchirlo con i
propri contributi personali impegnandosi magari in prima persona per tutelarlo e
valorizzarlo.
Pagina
6
ƒÃÖ
ƒÃ
PAN
Storia
Pagina
7
Epoca
medioevale
Storia. Epoca medioevale
TORRI DI FUOCO E COLONNE DI FUMO.
ANTICHI SISTEMI DI SEGNALAZIONE MILITARE
IN USO ANCHE IN TRENTINO
Pagina
8
di Carlo Andrea Postinger
«Guarda! Gondor ha acceso i suoi fuochi e invoca aiuto. La guerra è scoppiata.
9HGRIXRFRVX$PRQ'vQH¿DPPHDG(LOHQDFKHOuDGRFFLGHQWHYHGR1DUGRO
(UHODV0LQ5LPPRQ&DOHQKDGHO¶+DOL¿ULHQDOOHIURQWLHUHGL5RKDQ»
Forse non tutti sanno che la spettacolare immagine con cui J.R.R. Tolkien ne “Il
Signore degli Anelli” (Il Ritorno del Re, cap. 1) descrive il susseguirsi dei segnali
che preannunciano l’imminente battaglia dei Campi del Pelennor è ispirata a un
metodo di comunicazione militare effettivamente in uso nel Medioevo, e diffuso
anche nella prima età moderna, che permetteva di inviare allarmi e informazioni
DQFKHDJUDQGHGLVWDQ]DLQPDQLHUDFDSLOODUHROWUHFKHPROWRUDSLGDHGHI¿FDce. Il sistema consisteva nel trasmettere da apposite installazioni – in genere si
trattava di torri, anche isolate, ubicate in punti strategici selezionati – particolari
segnalazioni luminose (di notte), di fumo o con bandiere (di giorno), ed eventualmente anche sonore (campane o spari di artiglieria) che, rinviate da una postazione all’altra, raggiungevano castelli, borghi e città, assicurando in tal modo
una pronta reazione in caso di pericolo. I vantaggi offerti da un simile dispositivo
erano molteplici: le notizie viaggiavano infatti assai più celermente degli uomini
(amici e nemici) costretti a percorrere alla modesta velocità consentita dai propri
mezzi i tragitti prestabiliti; e potevano inoltre diffondersi lungo tutto il percorso e
in più direzioni, non limitandosi a collegare solo due terminali come oggi avviene
utilizzando ad esempio il telefono.
,Q DUHD WUHQWLQD XQ WDOH PHFFDQLVPR HUD IDYRULWR GDOOD SUHVHQ]D GL XQD ¿WWD H
UDPL¿FDWDUHWHGLFDVWHOOLLQUHFLSURFRFROOHJDPHQWRYLVLYRGLVORFDWLLQSRVL]LRQL
eminenti nelle valli principali e in alcune di quelle secondarie. Esistevano inoltre
alcune torri isolate probabilmente usate come punti di triangolazione, quali nella
valle dell’Adige la Torre Franca di Mattarello, la Torre di Santa Margherita nei
SUHVVLGL6HUUDYDOOHGL$ODQRQFKpDOWULGXHHGL¿FLFKHVRQRVWDWLLQGLYLGXDWLQHOOH
vicinanze di Mama d’Avio e di Borghetto. Bisogna tuttavia considerare che in realtà la frammentazione politica del territorio nel Medioevo probabilmente limitava
O¶HI¿FLHQ]DGLTXHVWRVLVWHPDFKHSHUIXQ]LRQDUHQHFHVVLWDYDGLXQDRUJDQL]]Dzione omogenea e di un saldo coordinamento, riducendone l’impiego alla tutela
di circoscritti interessi feudali, anziché alla difesa dell’intero Principato, e soprattutto della sua popolazione. Bisogna in effetti attendere il 1511 e la sottoscrizio-
Storia. Epoca medioevale
ne del cosiddetto Landlibell SHU YHGHUH XI¿FLDOPHQWH VDQFLWD H UHJRODPHQWDWD
l’armonica partecipazione dei Principati di Trento e Bressanone, delle città, delle
comunità rurali, dell’aristocrazia e del clero, alla difesa territoriale comune guidata dall’imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Risulta quindi interessante – perché
riferito ad un’epoca precedente – quanto scriveva Gino Onestinghel che, narrando i fatti della guerra veneto-tirolese del 1487, accennava a «Castel Beseno, che
dominando tutta la pianura poteva (…) segnalare con fuochi e fumo tutto quanto avveniva [in Vallagarina] al castello di Trento». L’autore spiegava inoltre che
QHOO¶LPPLQHQ]DGHOODEDWWDJOLDGL&DOOLDQR©LFDVWHOOLYHUVRLOFRQ¿QHVHJQDODURQR
il passaggio della fanteria, la strage degli uomini di Barbara Trapp, la costruzione
del ponte; più tardi il passaggio delle artiglierie, la disposizione, il numero e la
qualità delle forze veneziane trasportate al di qua».
In Vallagarina certo sussistevano, soprattutto all’epoca dell’egemonia castrobarcense, fra il Duecento e il Quattrocento, tutte le condizioni per il migliore funzionamento locale di questo dispositivo: tra l’altro dal solo castello di Lizzana, che
forse anche per questo Guglielmo Castelbarco scelse come propria residenza,
erano visibili quasi tutti i castelli della destra Adige da Brentonico a Castellano.
In proposito, dal momento che in passato si è creduto a un soggiorno di Dante
Alighieri presso quel castello, suonano in un certo senso ancor più suggestive
le terzine del canto ottavo dell’Inferno nelle quali il poeta, descrivendo il proprio
arrivo con Virgilio sulle rive dello Stige, osserva i fuochi che dalle torri di vedetta
segnalano il loro avvicinarsi alla Città di Dite:
Io dico, seguitando, ch’assai prima
che noi fossimo al piè de l’alta torre,
li occhi nostri n’andar suso a la cima
per due fiammette che i vedemmo porre,
e un’altra da lungi render cenno,
tanto ch’a pena il potea l’occhio tòrre.
E io mi volsi al mar di tutto ‘l senno;
dissi: “Questo che dice? e che risponde
quell’altro foco? e chi son quei che ‘l fenno?.
Pagina
Bisogna notare che i diavoli accendono non una ma «GXH ¿DPPHWWH»,
evidentemente per comunicare che gli estranei in arrivo sono appunto due:
esisteva in effetti un codice di comunicazione preciso per fornire informazioni
maggiori rispetto al semplice allarme. Per esempio nei presìdi costieri il numero
dei fuochi doveva corrispondere al numero delle navi in avvicinamento; in tal
9
(La Divina Commedia, Inferno, VIII, 1-9)
Pagina
10
Storia. Epoca medioevale
caso era necessario evitare equivoci ed errori, come ricordano anche le istruzioni
impartite nel 1449 alle vedette genovesi: «vigilino con attenzione e scrutino fuochi
e fumi che fossero fatti da occidente, e se vedranno un fumo esser fatto di giorno
DQFKHORURGLJLRUQRIDFFLDQRXQJUDQIXPRFRVuFKHODWRUUHGHO&DSRGL)DURSRVVD
vederlo. E se vedranno tre falò fatti di notte anch’essi facciano tre fuochi insieme
e contemporaneamente, ma divisi in modo che da lontano appaiano distinti, per
evitare che a causa della vicinanza possano magari indurre in errore». Per inciso
vale anzi qui la pena ricordare che un disegno del 1692 relativo a Lucca illustra
anche un ingegnoso sistema di traguardi per riconoscere al buio la provenienza
dei segnali. Ma tornando al Medioevo, un interessante documento circa i codici
di segnalazione allora adottati risale già al 1260, e alle settimane precedenti la
battaglia di Montaperti: «Se verrà avvistata gente nemica, qualunque sia il numero
(...) si faccia un solo falò. Se invece verrà un piccolo drappello, duecento uomini
o poco più (…) si facciano due falò contemporaneamente, e li si alzi e abbassi
due volte. Ma se contro di noi verrà moltissima gente o un esercito numeroso,
si facciano tre falò contemporaneamente, e li si alzi e li si abbassi per tre volte».
Per quanto riguarda invece il Trentino si conosce il prospetto dei fuochi di segnalazione (Kreidenfeuer) della Contea principesca del Tirolo in uso assai più
WDUGLQHOGHOORVFKHPD±FKHUDSSUHVHQWDFRQXQFXULRVRDUWL¿FLRJUD¿FR
ODGLVWULEX]LRQHJHRJUD¿FDGHLQXPHURVLVLWLHOHQFDWL±HVLVWHDQFKHXQDYHUVLRQH
parziale, limitata al territorio da Bolzano verso la valle dell’Adige, le valli di Non
e Sole, le Giudicarie, la Valsugana e la valle del Sarca, quest’ultima completa
di una «Instrutione et modo per dare gli segni opportuni et necessari (in caso di
emergente invasione hostile, o presentaneo et estremo pericolo pubblico) con
sbarro di Falconetto, o Mortaro, con Fuochi accesi, et Campana a martello». La
rete partiva da due postazioni (Adlerberg e Ehrenberg) situate nel nord ovest della contea tirolese, toccava Kufstein e Lienz e attraversava le valli principali dell’intero territorio raggiungendone le estremità a Castel Ivano in Valsugana, Riva del
Garda, Brentonico, Tione e Dimaro. Sull’asse nord-sud si avevano le principali
diramazioni a Cornaiano di Appiano (verso la Val d’Isarco e la Valdadige), a San
0LFKHOHDOO¶$GLJHYHUVROD9DOGL6ROHHDQFRUDYHUVRODYDOOHGHOO¶$GLJHHLQ¿QH
a Trento (verso la Valsugana, le Giudicarie e il Lago di Garda). In particolare la
Vallagarina riceveva il segnale dal Doss Trento (un’altra stazione presso il capoluogo si trovava sul Dosso di Sant’Agata, a Povo), e lo ritrasmetteva attraverso
Castel Beseno, il castello di Castellano e poi quelli di Rovereto e Brentonico. Di
qui, grazie al castello di Gresta esso arrivava a Castel Penede, quindi a Riva e
LQ¿QHDG$UFR2UDFRPHVLYHGH±HGqXQGDWRVLJQL¿FDWLYR±ULVSHWWRDOODGHQsità di punti incastellati presenti nella zona sono ben pochi i siti effettivamente
LQVHULWLLQTXHVWDUHWHGLVHJQDOD]LRQHQRQVRORHQRQWDQWRSHUFKpGLYHUVLHGL¿FL
erano nel frattempo caduti in disuso (come Castel Barco o il castello di Lizzana),
TXDQWRSLXWWRVWRSHUFKpDL¿QLGLXQDHI¿FDFHGLIHVDWHUULWRULDOHVXODUJDVFDODULsultava evidentemente più opportuna la costruzione di un reticolo essenziale ma
Storia. Epoca medioevale
Pagina
Immagine tratta da “Difesa e governo del paese: Il Landlibell Trentino-Tirolese del 1511”,
Provincia Autonoma di Trento, Soprintendenza per i beni librari, archivistici, 2011.
11
VROLGRHEHQFRQJHJQDWRDQ]LFKpLOPDQWHQLPHQWRGLXQD¿WWDPDJOLDIRUWL¿FDWD
QRQSULYDGLVRYUDSSRVL]LRQLHULGRQGDQ]HLQ¿QGHLFRQWLFRQWURSURGXFHQWL&Lz
appare ancora più evidente circoscrivendo lo sguardo, in omaggio alla rivista che
ospita queste pagine, alla valle del Cameras: essa infatti veniva praticamente
“scavalcata” attraverso una triangolazione in quota Brentonico-Gresta-Penede
che ignorava stazioni ormai vetuste e abbandonate (ma comunque in posizione
ancora potenzialmente valida) quali il castello di Nomesino, il sottostante Castel
Albano e, più a ovest, Castel Verde. Tutt’altra doveva essere probabilmente la
situazione in epoche più remote, allorquando oltre a quelli citati punteggiavano
questo pur limitato settore anche castelli dei quali oggi non rimangono che sporadiche tracce, e talvolta solo frammentarie notizie documentarie, come i castelli
di Somator, di Ravazzone e di Manzano o, sull’altro lato della valle, la Corona di
Besagno, Castel Palt, Castel Corno di Mori e l’antico Castel Leone di Castione. A
WXWWLTXHVWLVLSRWUHEEHURLQ¿QHDJJLXQJHUHPDDUUHWUDQGRPROWRGLSLQHOWHPSR
LVLWLIRUWL¿FDWLGL6DQW¶$QGUHDHGL6DQWD*LXVWLQDSUHVVRLO/DJRGL/RSSLRHQHOOH
vicinanze di Pannone quelli sul Dosso di Garda e al Castelletto di Varano, località
tutte che ancora oggi si segnalano per la loro collocazione strategica, certamente
funzionale alla vigilanza e al controllo del territorio e della viabilità.
Pagina
12
ƒÃÖ
ƒÃ
PAN
Storia
Pagina
13
Epoca
moderna
Storia. Epoca moderna
PROCESSO CRIMINALE CELEBRATO
A BRENTONICO NEL 1599
a cura di Giorgio Benoni con la collaborazione di Vittorina Rizzi
Premessa: Sembrano, queste che seguono, pagine de “I Promessi Sposi”, ma
LQYHFHDOWURQRQVRQRFKHJOLDWWLGLXQSURFHVVRGL¿QH&LQTXHFHQWR'HOURPDQzo del Manzoni infatti, le componenti vi sono tutte, nessuna esclusa. Medesima
l’epoca, simili i personaggi, identiche le prepotenze verso i più deboli in ambedue
gli iscritti. È un periodo quello in cui questi fatti accadono, nel quale, a quanto si
racconta, la rocca di Gresta, è ridotta dai fratelli Antonio e Federico Castelbarco,
che la abitano, in un covo di briganti.
Proprio di due di questi si serve Porzia Avogadra, moglie di Federico, nel documento chiamata “Signora di Gresta”, per riscuotere la decima parte del grano
che alcuni ignari contadini, tra l’altro già soggetti a versare un quarto dello stesVRDOO¶DUFLSUHWHGL0RULVWDQQRPLHWHQGRQHOOHYLFLQDQ]HGL6DQR'LI¿FLOHFDSLUH
perché i Castelbarco avanzino questa pretesa, dato che il feudo di Gresta di cui
sono dinasti, non arrivi in fondovalle, verso est, che alla cappella di S. Antonio
e Sano sia parte del Vicariato di Mori da lunghi anni ormai. Non è da escludere,
anzi è probabile, che la causa sia dovuta a quella lunga e famosa lite, durata
EHQFHQWRTXDUDQWXQRDQQLHIRQWHGLXQ¶LQ¿QLWjGLPLVIDWWLFKHLVRSUDPHQ]LRQDWL
signori intrapresero nei confronti dei Principi Vescovi di Trento per la restituzione
appunto di quei Vicariati, già appartenuti al loro Casato. Fatto sta, che estorta la
decima con la minaccia delle armi ed esemplarmente puniti i due ribaldi, la vicenda sia chiusa ma la barbara usanza di questa imposizione continuerà ad esistere, anzi, passati che furono sessantaquattro anni, Mori, Ala, Avio e Brentonico,
ritorneranno ai Castelbarco, così che i baroni e poi conti di Gresta, quali unico
ramo superstite dell’antica Famiglia, riscuoteranno questa volta, legittimamente,
ODGHFLPDVXWXWWDODEDVVD9DOODJDULQDVLQRDOOD¿QHGHOVLVWHPDIHXGDOH
***
Pagina
14
Trascrizione del frontespizio del documento conservato presso la Biblioteca
comunale di Trento con collocazione BCT1 - 783
Storia. Epoca moderna
N° 1425
1599
Processus criminalis formatus ex officio
Contra
LUDOVICUM Veronensem servitorem
In Castro Grestae et
Antonium a morario
de Bre[n]tonico bannitum.
De ablatione… [illeggibile] facta
B[or]tolino de Traglinis [Tranquillini] et
Pagina
Eravamo ai primi di luglio del 1599. Al Palù di Loppio nella regola di Mori c’era
grande animazione per gover el forment, ligar su le cove, contar e squartar. El
%RUWROLQGHL7UDQTXLOOLQLFKHWHQHYDXQFDPSRLQDI¿WWRGDOO¶DUFLSUHWHde Mori aveva già ligato cinque desene de formido ed aveva chiamato Bastiano de Lunardo
7RVHOVTXDUWDGURFKHWHQHYDODTXDUWDGHO6U$UFLSUHWHDGDI¿WWRDWRUVXVROD
quarta, cioè la parte che gli spettava di diritto. Bortolin aveva anche un’ opa [un’opera] che lo aiutava, era Matheus Cobellus ovvero Cobel de Murio e c’erano pure
la sua moier e la moier di un altro Tranquillini. Nel campo attiguo, pure Toni de
Sano dicto il Tortata de Murio, era indaffarato nella raccolta e nella spartizione del
formido sperando che dopo tante fadighe gli fosse consentito di non fare la fame.
A vegliare sulla legalità di ogni operazione girava per le campagne Giorgius de
Caballaris de Murio, chiamato comunemente Zorzo cavalar. Il “cavaliere” aveva
infatti il compito di far rispettare i regolamenti della comunità. Era questa una
scena apparentemente tranquilla sopra la quale però aleggiava una certa tensione, quando a guastare ogni cosa sopraggiunsero due uomini armati dall’aspetto
ULVVRVR H WUXFH (UDQR LO YHURQHVH /XGRYLFR H$QWRQLR ¿JOLR GHO IX7RPDVR dal
PRUDURGH%UHQWRQLFRvenivano mandati dai Signori di Gresta a riscuotere la decima, cioè la decima parte del grano che secondo loro spettava a Castel Gresta.
Le cose precipitarono, la gioia e la speranza del raccolto si tramutarono in arroganza e violenza.
In die lunj quinto mensis Julij 1599 il massaro Murij denunziò che furono rubati
manipuli di biade ad Antonio di Sano detto il Tortata e a Borthilino Tranquillini in
regola Murij, contrada dicta al palu. Immediatamente il cancelliere Paulo Zanino
15
Ant.o de Sanis dicto il Tortata de Murio.
Pagina
16
Storia. Epoca moderna
del castello di Brentonico e dei Quattro Vicariati degli illustrissimi Signori e Baroni
Madruzzo inviò ai testimoni del fatto l’ordine di comparire davanti al Magistrato
Lucatini (?) per fare dietro giuramento la loro deposizione. Tra l’otto luglio 1599 e
il giorno dodici dello stesso mese vennero esaminati sopra il Dosso nella chiesa
di S. Catherina e nel castello di Brentonico il contadino Antonio de Sano, l’opera Matheo Cobello, lo squartadro Bast[ian]o de Tosel e il contadino B[or]tolin di
Tranquillini.
Per avere notizie sicure e veritiere a ognuno di loro venivano poste all’incirca
le stesse domande: si voleva sapere in quale luogo si svolse il fatto, le persone
presenti e i relativi ruoli, la quantità di frumento raccolto, in particolare veniva
richiesto un dettagliato racconto dell’azione violenta.
/HULVSRVWHSLVLJQL¿FDWLYHHPHUJRQRIRUVHGDOODGLFKLDUD]LRQHGLXQDOWURWHVWH
Georgius¿JOLRGHOIXVLJQRUSteffani Caballarij de Murio, che doveva presentarsi
mi Paulo Zanino in die et loco praemissis VXESHQDWURQLTXLQTXDJLQWD¿VFR. Questa la sua deposizione:
“… io era andato al Palu, et visto un Lodovico Veronese qual credo sia bandito
per quanto lui me ha detto, et sta in Gresta con la Signora Percia et con lui era
7RQLOLTXDOLDQGDUQROuGD%RUWROLQFKHOLJDYDGHOIRUPHQWRDOSDOXUHJRODGH0RUL
et ge disse Ludovico: horsu via che volemo la decima per la signora de Gresta,
Bortolin ge disse, che no ge la voleva dar, et che la signora de Gresta no havea
da far qui cosa alchuna, et quando la gove fusse pervenuta de justitia el ge la
haveria data volentera, Ludovico disse, che la voleva per ogni modo.
Matheo Cobello, ge aiutava a ligar il formento al B.tolin, disse: vorò veder, chi
sarà quello che la vorrà tuor, all’hora Ludovico rispose: al cospetto de Dio vorò
veder, chi sarà quello che no vorrà che la toglia et tut a un tempo dete mam a una
cova de formento, et Math.o lasala li et ga meso mam per torghela et Lodovico ge
la sbregò de mam et se tirò da parte cavando una pistolla fuori de seno et disse:
habbi poche parole che putanaza farò... et Math.o si doleva con dir che quando
ODVLJQRUDGH*UHVWDJHKDYHVVHSUHWHVRODGHFLPDQRVHVDFUL¿FDYDDVHPLQDU
e a far le fadighe. Et poi disse: et ge tolse tal cove doppoi che tal formento era
squartado dal squartadro Bastiam Tosel.
Interrogato respondit: el ge tolse solo una cova, et no di meno, ge ne era de ligato
trenta, et credo più cove.
Interrogato respondit: tolta questa cove costoro cioè Ludovico et Toni andarno
GDO7RUWDWDGD0RULFKHOLJDYDIRUPHQWROuG¶DSSUHVVRHWJHGLVVHURFKHYROHYDQR
la X.ma de quel formento. Il Tortata ge disse, che’l no ge la voleva dar et che se
la signora ge havea ragion, el ge l’haveria data. Toni ge disse che la voleva, et il
Tortata contrastava, che no ge la voleva dar, et Toni dete de mam a una cova et il
Tortata ge dete de mam anche lui per torghela, et tirava l’uno et laltro et Toni ghe
disse: fuori… de qui seno..., il Tortata ge disse: la volio. Toni ge rispose, si che la
volio per..., all’hora il Tortata cedete et ge lassasse la cova.
Interrogato rispose: le cove del Tortata no le numerai ma poteano essere per mio
judicio circa trenta cove et ge tolsero però solo una, come ho detto.
Interrogato che armi haveano Ludovico, et Toni respondit: havean doi schioppi
per uno, cioe un longo, et un corto per chadauno, quel corto de Toni era de tre
quarti, ma quel corto de Ludovico era una pistolla de tre quarti de cana.
Interrogato respondit: questo Ludovico Veronese, ma no so de quali sia, ma el
Pagina
stava gia a Gargagnago ed il credo Pandolfo Senego.
Interr. Respondit: per quanto ho inteso da mio barba Gio Fr.co cavalaro gia un
anno su [da un anno è...] in Gardumo. Questo Ludovico è bandito per haver
voluto sforzar in compagnia di altre persone alchune giovene in una casa sul
Veronese.”
Dalle dichiarazioni degli altri testimoni emergono ulteriori informazioni circa la
violenza e le ingiustizie che dovevano sopportare i contadini:
Toni detto il Tortata de Mori rispose: “… che quei logi [luoghi] non pagano la decima, ne mai io l’ho pagata et che no voleria pagarla neanche a loro, loro dissero
che la volevano et io diceva che no voleva darghela, et loro continuavano dicenGRFKHODYROHYDQRDOO¶KRUDLRGLVVLODYROHWHSHU¿W"6LHSHUFKp"(WLRYHGHQGR
costoro armati ch’io no poteva contrastar con loro doi, et loro tolsero una cova de
formido et la portarono via.”
La quarta dovuta all’Arciprete di Mori era legalmente riconosciuta e veniva conVHJQDWDGLDQQRLQDQQRDOORVTXDUWDGURFKHWHQHYDGHWWDTXDUWDLQDI¿WWRDSSXQWR
dall’Arciprete. Bortolino Tranquillini rispose: “…uno di de questo mese de lui de
qual preciso no me ricordo, siando dentro al palu regola de Mori, ch’io ligava del
formento, chiamai Bastiam de Lunardo Tosel della Regola de Mori che si mise
a squartar et tolse la quarta de quelle cove ch’io havea liga. Io ge hebbi ligado
FLQTXHGHVHQHGHIRUPLGRHWSHUFKpOHJDVVHPRGHSRLFKHIXURQRSDUWLWL.”
Sia a lui che al Tortata i banditi di Gresta quale decima strapparono con la forza
solo una cova, ma, come conferma Bastian Tosel squartadro ghe ne venivano di
più.
Bortolino subì la stessa violenza anche due anni prima, così egli racconta: “…
che adesso da doi anni il Moro di Val Gardumo me tolse due cove de formento
per decima per forza dicendo che la signora de Gresta lo havea mandato a tor
ODGHFLPDPDQRWROVHODGHFLPDJKHQHYHQLYDQRSLGHGXHSHUFKpQHKDEEL
circa dese desene de formento ma l’anno passato al Maso ligai et menai via il
formento et no vene alchuno a darmi fastidio ma pagai solamente la quarta secondo il nuovo Solito.”
A questo punto il documento riporta due proclami emanati dai Madruzzo, baroni
dei Quattro Vicariati e familiari dell’omonimo Principe Vescovo di Trento, per ovviare alle frequenti ladrerie e ai soprusi che venivano perpetrati all’interno dei loro
FRQ¿QL,QEDVHDGHWWLSURYYHGLPHQWLYHUUDQQRJLXGLFDWLDQFKH/XGRYLFRH7RQL
El proclamato emanato contra banditos publicato in Murio annis 1585, 1590
et 1591 in volumine proclamatorum de m.to ill.mo Barone de Madrucio.
Et perchè la insolertia per man delli banditi di questa giurisdizione merita anchor
piu particolar provisione accio obediscano ai loro bandi, che non rompano li gon¿QLLQGLVSUHFLRGHOODVXSHULRULWjHWMXVWLWLDVLGLFKLDUDFKHTXDOXQTXHVDUDEDQdito da questa giurisdizione de quatro Vicariati a tempo,et durando il suo bando
YHQLYDLQTXHVWDJLXULVGL]LRQHDQFRUFKpQRVLDIDWWRSULJLRQRVHLQWHQGLLSVRMXUH
JLDIDFWRVHQ]DDOFKXQDGLFKLDUD]LRQHGRSSRO¶KDYHUURWROLJRQ¿QLHWVSUH]]DWR
LOVXREDQGRFRQGHQDWRGH¿QLWLYDPHQWHHWEDQGLWRGL*UDGRSHUSHWXRGDGHWWD
MXULVGLWLRQHHWVLDWHQXWRHWUHSXWDWRDEVROXWDPHQWHFRPHVHGDSULQFLSLRGH¿QLWLvamente fusse stato bandito, et ordinato, et possi da chadauno esser senza pena
ofeso et amazzato, et capitando in man della justitia per qual motivo si voglia, gli
sii tagliato la testa talmente, che muori.
17
Storia. Epoca moderna
Pagina
18
Storia. Epoca moderna
El proclamato emanato dal molto illustrissimo…[illeggibile] contra archobusios e pubblicato in Murio sub die terzia octobris 1595 in volumine proclamatorum off.i.
Per mandato dell’illustrissimo signor… [illeggibile] Fortunato Signor delli Castelli
de Madruzzo Avio, Brentonico dei Quatro Vicariati… [illeggibile].
Vedendo che l’abuso in questa giurisdizione sua de quattro Vicariati causa molte
volte di scandali, et ignominie, et volendo per ogni suo poter obiurare a ciò, renovando lo proclama altre volte in tal materia emanato, ordina, et si committe, che
no sij persona alchuna di qual sorte, grado, o, condizione si voglia che adisca,
over costumi per motivo alchun portar schioppi, over archobusi di sorte alchuna,
soto pena per rispetto di schioppi, over arhobusi longi cioè de quarti tre de cana,
RYHUGLPDJLRUPLVXUDGHGXFDWLFLQTXDQWDGDOGuHWFHQWRDOULYRGHOODQRWH
Et per rispetto di schioppi, over archobusi, che sijno mancho di quarti tre di cana
VRWRSHQDGLGXFDWLFHQWRGDOGuHWGXFDWLGXHFHQWRODQRWHLQWHQGHQGRLOULYRGHOODQRWHHVVHUGDOO¶DUULYRGHOODVHUD¿QDOO¶DUULYRGHOODPDWLQD[omissis].
Ludovico Veronese e Antonio dal Moraro de Brentonico vennero riconosciuti colSHYROLGLDYHUYLRODWRLFRQ¿QLGHOODJLXULVGL]LRQHGHL4XDWWUR9LFDULDWLGLDYHUXVDto violenza per impossessarsi di alcune cove di frumento al palu di Loppio e di
essere stati armati. I due banditi disattesero i provvedimenti contenuti nei proclami dei Madruzzo, ed in conformità a detti bandi sarà decretata la loro condanna.
7XWWDYLDSULPDGLHPDQDUHODVHQWHQ]DGH¿QLWLYDYHQQHFRQFHVVDODSRVVLELOLWjGL
presentare le loro difese.
Per mandato del Mag.to del castello di Brentonico et quattro Vicariati per li illustrissimi signori
et baroni de Madruzzo si citano,che comparino,et si presentino personalmente…
[illeggibile] :
Ant.o Festaro f.q. de Thomaso dal moraro de Brentonico altro noto bandito non
dalla giurisdizione di detti quatro Vicariati per esser venuto in detta giurisdizione
GHTXDWWURYLFDULDWLURPSHQGROLJRQ¿QLGLWDOVXREDQGRFRQWUDORSURFODPDHPDnato contra banditi.
Ant.o predetto, et Ludovico Veronese servitore della illustrissima signora Percia
di Gresta
et chadaun de loro per esser venuti in la Regola,o sia propria de Mori, et in specie
nel loco chiamato il palu tuti doi in compagnia armati de archobusi grandi, et picoli, et per haver tolto, et portato via alchune cove de formento per forza a B.tolin di
Tranquillini, et a Ant.o detto il Tortata di Sano di Mori in loro danno et giudizio, et
come più diffusamente consta nel processo sopra cio formato, iuxta la forza della
ragion, Statuti, et proclama penale a risponder, et far qualunque loro difesa
che intendino di voler far…
Die 14 Augusti 1599.
Paulus Zaninus Canc.
Die lunj 23 mensis suprascripti super platea Zoculi in Murio, me Paulo Zanino
Cancellario alta voce proclamando citavit antedictos Antonium, et Ludovicum
absentes… [illeggibile] SUHVHQWLEXV %DUWKRORPHR ¿OLR TXRQGDP PDJLVWUL 0DWKHL
Ferrarij in Zoculo, domino Marino de Marinis, Menegello Lanio de Molina, Federico Rivabeni de Murio, et multis aliis testibus rogatis.
Nell’ultima pagina del documento viene riportato il testo latino della condanna:
Storia. Epoca moderna
$QWRQLXV)HVWDUXV¿OLXVTXRQGDP7KRPDHGDOPRUDURGH%UHQWRQLFREDQGLWXUSUR
fractione FRQ¿QRUXP GLI¿QLWLYH D -XULVGLFWLRQH TXDWXRU 9LFDULDWXXP LWD HW WDOLWHU
a quaecumque impune offendi et occidi possit, et valeat, et si venerit in festias
(cattività,fermo, in mano della giustizia,) interim eodem caput a spatulis amputetur, ita ut naturaliter monitur…
$QWRQLR)HVWDUR¿JOLRGHOIX7RPDVRGDOPRUDURGL%UHQWRQLFRSHUODYLROD]LRQH
GHLFRQ¿QL
YLHQH EDQGLWR GH¿QLWLYDPHQWH GDOOD JLXULVGL]LRQH GHL TXDWWUR 9LFDULDWL LQ
PRGRWDOHGDSRWHUHVVHUHLPSXQHPHQWHRIIHVRHGXFFLVRGDTXDOXQTXHH
se fosse stato arrestato tuttavia gli venisse amputata la testa dalle spalle,
come naturalmente era stato ammonito…
Loduvicus Veronensis pro delatione sclopporum, et ablatione per vim facta, condemnatur in ducatis centum et ad restituendum manipolos ablatos, vel convenientem valorem, et donec non satisffeceri praemissis, banditum a Jurisditione
quattuor vicariatuum…
Joannes Baptista Busattus Commissarius.
Lodovico Veronese per l’accusa di schioppi e la sottrazione fatta per forza, viene
condannato a cento ducati e a restituire le cove tolte, oppure un corrispondente
valore, e soddisfatte le cose premesse (gli ordini premessi), bandito dalla Giurisdizione dei Quattro Vicariati…
Pagina
19
Giovanni Battista Busatto Commissario.
Pagina
20
ƒÃÖ
ƒÃ
PAN
Storia
Pagina
21
Società
e tradizioni
Storia. Società e tradizioni
QUALCHE NOTIZIA STORICA SULLA
“FESTA DEGLI ALBERI” A MORI E DINTORNI
Pagina
22
di Edoardo Tomasi
Fino agli anni Settanta/Ottanta del secolo scorso, per intere generazioni di scolari
e scolare, all’inizio della primavera c’era un appuntamento imperdibile quanto
gradito: la “festa degli alberi”.
Strano a dirsi, essa non trae origine dagli antichissimi riti silvestri ed al culto delle
piante che varî popoli europei (greci, romani, celti ad esempio) ci hanno tramandato
¿QGDOO¶DQWLFKLWjPDVLLVSLUDSLXWWRVWRDOO¶arbor day, ossia la festa nazionale degli alberi
istituita in Nebraska negli Stati Uniti d’America esattamente il 10 aprile 1872.
In Italia attecchì (è proprio il caso di dirlo) con un certo ritardo rispetto all’America
e la prima edizione si tenne a Torino nel 1898 sul Monte dei Cappuccini, grazie
all’interessamento della neo-costituita associazione “Pro Montibus”. Convinto
della bontà dell’iniziativa, l’allora Ministro della Pubblica istruzione, Guido BacFHOOLLQWURGXVVHXI¿FLDOPHQWHOD³IHVWDGHJOLDOEHUL´LQWXWWHOHVFXROHLWDOLDQHFRQ
una circolare datata 27 giugno 1899.
Nelle nostre zone - all’epoca facenti parte dell’impero austro-ungarico - le cose
DQGDURQRGLYHUVDPHQWHHSDUHFKHFLVLDI¿GDVVHDGLQL]LDWLYHVSRUDGLFKHSLFKH
a disposizioni governative. Rovereto ha il merito di essere stata la prima cittadina
del Trentino ad adottare la “festa degli alberi” e la zona prescelta dalla “municipalità” fu dapprima quella dei “colli di Vallunga” per poi estendersi ad altre località
(ad es.: Valscodella, colle di Miravalle, Costa Violina nei dintorni di Castel Dante, i
Lavini di Marco, ecc.) con l’intento principale di difendere dall’erosione dei terreni
resi geologicamente instabili da disboscamenti selvaggi e pastorizia diffusa. Fino
a pochi anni fa, a più di un secolo di distanza, le caratteristiche macchie scure
di vegetazione che si distinguevano nettamente da quelle più chiare del bosco
ceduo naturale indicavano l’ampiezza dell’intervento e l’indubbio successo – almeno a livello visivo – del rimboschimento. Purtroppo ora sappiamo quanto le
piante di pino nero scelte per la riforestazione siano estranee all’ambiente naturale lagarino e siano divenute facili prede degli attacchi di parassiti che ne hanno
DFFHOHUDWROD¿QHGHOFLFORYLWDOHLPSRQHQGRO¶DEEDWWLPHQWRGHOOHSLDQWHPDODWH
e la loro graduale sostituzione con latifoglie tipiche (roveri, frassini, carpini, aceri
ad es.).
Tuttavia, agli inizi del secolo scorso l’idea di “resuscitare” le antiche foreste sulle
pendici vallive trovò entusiasti sostenitori ovunque: alcune testimonianze si trovano anche nelle straordinarie collezioni della Biblioteca Civica Tartarotti. Vi sono
FDUWROLQHIRWRJUD¿FKHUHDOL]]DWHDSSRVLWDPHQWHSHUYDULHHGL]LRQLGHOODIHVWDXQ
opuscolo pubblicato nel 1901 che si intitola: “L’utilità dei boschi: parole dette dal
Storia. Società e tradizioni
Pagina
“Istituita con scopi altamente educativi e di pubblica utilità, per istillare nei nostri
piccoli scolari la necessità di rispettare le piantagioni e in pari tempo per procurare loro una mezza giornata di divertimento all’aperto sulle bellissime colline
che circondano la città nostra, la festa degli alberi si è affermata ormai come una
festa pubblica.” Così scriveva nel 1910 su Vita Trentina Giuseppe Chini, a dieci
anni dalla prima “piantumazione” sulle (allora) brulle colline in Vallunga.
Aldo Gorfer nel suo pregevole studio intitolato “L’uomo e la foresta” (Manfrini editore, 1988) riporta anche un particolare interessante:
“Si narra che nel primo anteguerra, i maestri accompagnavano gli scolari vestiti
di rosso bianco e verde in segno di italianità. Era il tempo della cultura irredentistica”. Questo risvolto patriottico trova conferma anche nella didascalia a pagina
28 del volume “Rovereto: immagini del passato” (Reverdito editore, 1973): “La
festa si svolgeva in un clima di sereno patriottismo. Sui cespugli di biancospino in
¿RUHHUDQRODVFLDWHFDGHUHVWULVFLROLQHGLFDUWDURVVDLQPRGRGDIRUPDUHLFRORUL
della bandiera italiana”. Va dunque sfatata la convinzione di molti che ancor oggi
23
Presidente della Società degli Amici della
Scuola, prof. Agostino Bonomi, agli alunni
della Civica Scuola Popolare di Rovereto
il dì 13 maggio 1901 sui colli di Vallunga in
occasione della [seconda edizione] Festa
degli alberi”, di cui pubblichiamo l’immagine della copertina, addirittura la partitura di
un “Inno alla Festa degli alberi” composto
dal maestro Giovanni Toss (1874-1928)
nel 1900, canzone citata anche da Eugenio Bizzarini nel suo memoriale pubblicato
nella raccolta “All’ombra del Rovere: medaglioni di vita roveretana” (edizione della
Cassa Rurale di Rovereto, 1984) ed intitolato: “Una manifestazione d’italianità: la
festa degli alberi”.
Dunque è certo che già nel maggio del 1900
un’allegra comitiva formata da centinaia di
alunni, insegnanti ed autorità con gonfaloni
e tanto di accompagnamento della banda
cittadina si diresse in Vallunga, per mettere
a dimora le piantine nella zona che i roveretani chiamano ancora oggi “bosco della
città”.
Via via altre comunità lagarine adottarono
la “festa degli alberi” forse non solo per
mettere in sicurezza dei pendii più soggetti
al dilavamento dell’acqua piovana ma anFKHSHUWHQWDUHGLRWWHQHUHTXDOFKHSUR¿WWR
economico incrementando la produzione di legname in zone incolte e altrimenti
del tutto improduttive.
Pagina
24
Storia. Società e tradizioni
attribuiscono l’invenzione della “festa degli alberi” al regime fascista.
A Mori la prima “festa degli alberi” di cui si ha notizia si tenne lunedì 15 aprile
1912. Ne fanno fede gli articoli pubblicati da “L’eco del Baldo” il 20 aprile e da
“L’Alto Adige” del 20-21 aprile.
Curioso il confronto tra le due fonti:
“L’eco del Baldo” è più sintetico e punta l’attenzione sul fatto che parteciparono
“gli scolari maschi delle tre classi superiori coi rispettivi maestri, col rappresentante dell’Onorevole Municipio, coll’Ispettore scolastico e l’ispettore forestale. […]
Procedeva la Musica Banda e poi seguivano gli scolari, maestri e numerosi inYLWDWLIUDLTXDOL¿JXUDYDQRPROWHVLJQRULQHSRUWDQGRFRVuPDJJLRUJDLH]]DDOOD
festa.”
Altri dettagli nell’articolo pubblicato da “L’Alto Adige”, dove possiamo leggere il
nome di chi si prese la responsabilità di organizzare il tutto:
“Anche Mori, ad imitazione di altre città e borgate, volle dare inizio alla simpatica
festa degli alberi ed il solerte nostro sorvegliante scolastico sig. Dante Zucchelli
ODLGHzHSRUWzDWHUPLQHHVLSXzGLUHVLQFHUDPHQWHFKHULXVFuVSOHQGLGDWDQWRGD
sperare che si rinnoverà ancora negli anni a venire.”
/¶DQRQLPRFURQLVWD±FKHVL¿UPD³XQSUHVHQWH´SUHFLVDO¶RUDGLSDUWHQ]DDOOH
14.30), il numero degli alunni (“circa 200 allegri scolari”) e gli accompagnatori
(il Dirigente scolastico Stefano Sembenico, l’intero corpo docente, il catechista,
personalità di Mori, il consigliere forestale Armani, molti altri invitati) tutti diretti in
località Corno.
Giunti sul posto, dopo i discorsi di rito, le fragili piantine furono assegnate ai raJD]]LDI¿QFKpOHPHWWHVVHURDGLPRUDFRUUHWWDPHQWH
… ³0DLOFROPRGHOODIHVWDIXUDJJLXQWRDOORUFKpLQXQDYLFLQDLQFDQWHYROHYDOletta, si radunarono tutti, scolari, insegnanti, invitati ed il corpo musicale ad una
sontuosa merenda. Ogni scolaro ebbe pane, salame, prosciutto con vino, ed
LQ¿QHIXORURRIIHUWDXQDSLFFRODIRFDFFLDGRQRGHOVHPSUHJHQWLOHVLJ*LRYDQQL
Grisi, e confezionata magistralmente dal nostro pasticciere Francesco Miori. […]
Il contegno e la disciplina dei nostri buoni scolari furono addirittura esemplari, e
ne vada una meritata lode ai nostri operosi insegnanti. La festa lasciò la migliore
impressione a tutta la cittadinanza.”
“Alle sei si percorse la via del ritorno, sempre a tempo di marcia” testimonia “L’eco del Baldo”.
Visto il successo della prima edizione, la “festa degli alberi” divenne un appuntaPHQWR¿VVRSXUWURSSRUHVRSRLYDQRGDLWHUULELOLDQQLGLJXHUUDFKHVFRQYROVHUR
duramente anche il territorio di Mori, non a caso compreso nella “zona nera”
quella cioè che ebbe a patire i danni maggiori.
$OOD¿QHGHOFRQÀLWWRODYLWDWRUQzOHQWDPHQWHDOODQRUPDOLWjHSHUGDUHXQVHJQR
tangibile di speranza in un futuro migliore a dei bambini che avevano ancora negli occhi e nella mente gli orrori della guerra, fu riproposta anche la “festa degli
alberi”.
Grazie alla cortese segnalazione della signora Bianca Boninsegna possiamo offrire ai lettori della nostra rivista questa splendida foto-ricordo per la “festa degli
alberi” degli scolari di Mori Borgata accompagnati dal loro insegnante e da un
UHOLJLRVRODFXL¿VLRQRPLDULFRUGDPROWRTXHOODGLGRQ6LOYLQR3LODWL
La foto non è datata ma potrebbe risalire agli anni Venti del secolo scorso se il
Storia. Società e tradizioni
Cescatti indicato sul passepartout fosse proprio il fotografo moriano Ottavio Cescatti, nato nel 1900. È probabile che la zona sia quella di Corno, considerando la
presenza di tipici massi da frana e le vetuste piante (di castagno?) alle spalle del
gruppo, ma saremmo ben lieti di avere informazioni più precise da chi per caso vi
riconoscesse dei volti noti.
Dopo l’annessione del Trentino all’Italia, l’organizzazione preposta [al governo
GHLERVFKLHDOODFXOWXUDIRUHVWDOH@IXDI¿GDWDDOOD0LOL]LDQD]LRQDOHIRUHVWDOHXQ
corpo speciale istituito il 16 maggio 1926 su basi militari-tecniche” scrive Aldo
Gorfer nell’opera citata, precisando più oltre “il corpo era inquadrato nelle Forze armate. In caso di mobilitazione gli venivano assegnate mansioni particolari.
[omissis] In campo popolare, divulgativo e propagandistico, furono istituiti la Festa degli alberi e i Boschi del Littorio.” Da altra fonte si ricava anche l’anno esatto
in cui fu reintrodotta la “festa degli alberi” con la legge forestale Serpieri del 1923.
8Q¿OPDWRGHOO¶,VWLWXWR/XFHJLUDWRQHOSDUODYDGLROWUHPDQLIHVWD]LRQL
indette per la “festa degli alberi” di quell’anno e di due milioni di alberi piantati.
Nel biennio 1927-28 le feste censite in tutta Italia furono 2516 e 4325 nel biennio
successivo.
Dunque con l’avvento del fascismo alla tradizionale “festa degli alberi” furono
DWWULEXLWLGHLSUHFLVLVLJQL¿FDWLSDWULRWWLFLHSURSDJDQGLVWLFLSHUIHWWDPHQWHLQOLQHD
con le direttive del regime.
Una veloce scorsa tra gli articoli pubblicati tra il 1926 ed il 1932 ne “Il Brennero”
- unica fonte disponibile e decisamente “di parte” - offre non solo una panoramica della liturgia seguita in quelle occasioni ma piuttosto ci fornisce il numero, la
specie degli alberi e le località scelte per il rimboschimento.
Pagina
25
,QULFRUGRGHOODIHVWDGHJOLDOEHULGHJOLVFRODULGL0RUL%RUJDWD)RWRJUD¿D&HVFDWWL0RUL
Storia. Società e tradizioni
Sabato 1° maggio 1926
MORI – Festa degli alberi
*LRYH 3OXYLR VPHVVR LO EURQFLR SHUPLVH DO¿QH OR VYROJLPHQWR GHOOD VLPSDWLFD
festa degli alberi.
Ieri alle 13, si raccolsero nella Piazza Vittorio Emanuele, il Commissario Prefettizio Cav. Cavatorta, le scolaresche con vessillo accompagnate dagli insegnanti
HGDO05'RQ$OIRQVR=HQLOD%DQGDFRPXQDOHXQDUDSSUHVHQWDQ]DGHL3RPpieri ed un gruppo di persone, che, in corteo, mossero verso le pendici del Giovo,
in località Corno, dopo che la banda ebbe suonato “Giovinezza”, la Direttrice
Didattica sig.na Pia Cristofolini ed il cav. Cavatorta parlarono agli scolari dicendo,
DSSODXGLWLVVLPLGHOVLJQL¿FDWRGHOODIHVWDHGHOVXRYDORUHPRUDOHHPDWHULDOH
I ragazzi quindi si sparsero su per il monte e poco dopo circa seicento pini ed
DEHWLHUDQRDI¿GDWLDOODWHUUD6LLQWUDSUHVHSRLIUDVXRQLHFDQWLODYLDGHOULWRUQR
ed in Piazza Vittorio Emanuele III donde si era partiti dopo l’inno a “Mameli” [sic]
HVHJXLWRGDJOLVFRODULODFHULPRQLDGLFXLULPDUUjOLHWRULFRUGRHEEH¿QH
Pagina
26
*LRYHGuDSULOH
MORI – Festa degli alberi
Domenica 24 corrente un corteo formato da tutta la scolaresca preceduto da una
rappresentanza del corpo pompieri e dalla fanfara fascista, agli ordini del Direttore Didattico sig. Filippi si è recato festante nei pressi della frazione di Tierno
dove in un appezzamento di terreno comunale vennero impiantati dagli scolari e
scolare mille piantine fra abeti e larici.
La bella festa è riuscita degna della nobile iniziativa sulla quale parlò agli intervenuti numerosi, il Direttore Didattico esortando a rispettare e difendere i boschi
che sono indizio di benessere nazionale, e chiuse il suo esordio leggendo il decalogo di S. E. Luzzatti. Le parole chiare e sentite dell’oratore vennero accolte da
vivi applausi.
Per coronare la bella e gaia festa, dalla frazione di Tierno, sempre compatta in
RSHUH¿ODQWURSLFKHYHQQHRIIHUWDVXOURPDQWLFRSUDWRGHOODFKLHVHWWDGL60DUFR
un’abbondante merenda, servita a tutti gli invitati da cortesi e simpatiche signorine.
La bella festa terminò fra la più schietta allegria, tutti compresi dell’alto sentimento che racchiuse e lasciò negli animi ottima soddisfazione.
R"DSULOH
MORI – La festa degli alberi
Con una bellissima e riuscita cerimonia si è celebrata anche quest’anno la festa
degli alberi. La scolaresca, partita incolonnata coi rispettivi docenti dal palazzo
scolastico, ha raggiunto, sabato, la località “Inferno” soprastante la frazione di
Tierno, dove erano state approntate le buche per l’interramento di numerose
piante silvestri. Il direttore didattico, sig. Giovanni Filippi ha tenuto un discorso
VXOVLJQL¿FDWRGHOODIHVWDVSLHJDQGRDLUDJD]]LO¶LPPHQVDXWLOLWjGLTXHVWHSLDQtagioni che si ripetono ogni anno per volontà del Governo nazionale in tutta Italia
allo scopo di dare sempre maggiore incremento al patrimonio boschivo e silvitico
nazionale.
Agli scolari è stata quindi offerta una abbondante refezione a base di biscotti e
vino, dono spontaneo e gradito dei frazionisti di Tierno che avevano invitato an-
Tierno – Merenda sul prato antistante la chiesetta di S. Marco in una foto anonima
e non datata conservata in Biblioteca a Mori. Dovrebbe trattarsi di una “festa degli alberi”
tenutasi negli anni Quaranta del secolo scorso.
che delle graziose distributrici nelle persone delle signorine Francesca ed Ester
Turella. Regnò il massimo entusiasmo e i piccoli lo dimostrarono chiudendo la
bella fatica al canto degli inni patriottici.
Pagina
Tralasciamo altri articoli, tutti più o meno dello stesso tenore e facciamo un salto
DYDQWLQHOWHPSROD³IHVWDGHJOLDOEHUL´FRQWLQXzDGHVVHUHXQDSSXQWDPHQWR¿VVR
per diverse generazioni di scolari e sopravvisse anche al crollo del regime. Alle
piantine messe a dimora dai ragazzi nati ancora nell’Ottocento, si aggiunsero man
PDQRTXHOOHSLDQWDWHGDLORUR¿JOLHQLSRWLHGLULVXOWDWLVRQRDQFRUDLQSDUWHYLVLELOL
se osserviamo con attenzione le pendici di Montalbano o le “Coste” di Tierno.
27
PDJJLR
FESTA degli alberi
Gli alunni delle nostre scuole elementari accompagnati dai rispettivi insegnanti si
SRUWDURQRPHUFROHGuVXOEHOFROOHGL0RQWDOEDQRRYHDOODSUHVHQ]DGHOGLUHWWRUH
GLGDWWLFR)LOLSSLGHOVHJUHWDULRFRPXQDOHGRWW*HQD]]L"GHOPUGRQ6HPEHnico, d’un milite forestale e di diversi ammiratori, procedettero all’interramento di
oltre 500 piantine di abete fornite dalla Milizia forestale.
Il direttore didattico colse l’occasione per raccomandare, in un breve e chiaro
discorso, ai giovani di amare e rispettare i boschi essendo questi una ricchezza
GHOODQD]LRQH$OOD¿QHGHOVXRGLUHULFRUGzLOJUDQGHVFRPSDUVR$UQDOGR0XVVROLni al quale si deve se oggi l’Italia ha valorizzato questa grande ricchezza.
Dopo aver consumato una refezione offerta dal Patronato scolastico, al canto
degli inni nazionali fecero ritorno in paese.
Pagina
28
Cartolina d’epoca con sullo sfondo le brulle “coste di Tierno”
circa sessant’anni fa (Grigolfoto - Mori)
In quasi cento anni di storia la procedura ha subìto ben pochi cambiamenti: caratteristica principale di ogni “festa degli alberi” che si rispetti - al di là dei discorsi
d’occasione tenuti dalle autorità e l’allegro corteo di vocianti bambini e bambine
diretto verso la collina in periferia - era la mitica “merenda” che veniva offerta
DWXWWLLSDUWHFLSDQWLDOOD¿QHGHOODFHULPRQLDYHUDHSURSULD)RUVHSURYDWLGDOOD
lunga “marcia di avvicinamento“ (sempre rigorosamente a piedi) oppure assetati
per via della canicola e dello sforzo di cantare a squarciagola inni a tema impaUDWLDVFXRODJOLVFRODULQRQYHGHYDQRO¶RUDGLDIIRQGDUHLGHQWLQHLVRI¿FLSDQLQL
imbottiti e bere qualcosa di fresco, o quasi. Prima però ognuno doveva prendere
in consegna la propria piantina, allargare bene le piccole radici e posizionarla ove
indicato.
Il terreno era stato preparato giorni prima dagli agenti della forestale che avevano
scavato delle buche ad una certa distanza l’una dall’altra: ai piccoli giardinieri veniva poi spiegato come interrare la pianticella ed al via del maestro tutti si davano
un gran da fare per metterla a dimora correttamente. Gli esperti consigliavano di
SRUUHXQDSLHWUDD¿DQFRGHOYLUJXOWRSHUIDUJOLXQSR¶G¶RPEUDHFUHDUHXQPLQLmo di umidità, elemento di vitale importanza per la sopravvivenza in terreni non
proprio ideali. Qualcuno ricorda di aver messo attorno alla propria piantina una
strisciolina di tessuto col nome, quasi a legare il proprio destino a quello dell’albero, ma quasi sempre al primo refolo di vento o dopo un forte acquazzone quel
vincolo veniva spazzato via.
Qualcun altro si prese l’impegno – sospinto dall’entusiasmo della novità - di seguire la crescita di quella piccola foresta, provvedendo ad abbeverare le piantine
nei periodi di siccità. Ma se molte di loro sono sopravvissute è merito del corpo
forestale ed anche della fortuna.
Storia. Società e tradizioni
Col senno di poi la scelta di privilegiare il pino nero austriaco per quegli interventi
mirati di rimboschimento non si è rivelata del tutto positiva. Introdotta come pianWDSLRQLHUDPROWRUHVLVWHQWHHGLIDFLOHDWWHFFKLPHQWRDQFKHVXVXSHU¿FLVHPL
aride, all’epoca forse non si tenne nel debito conto che i suoi aghi, una volta
caduti dai rami formano un tappeto pressoché impenetrabile che non consente
ad altre piante di crescere e svilupparsi. Oltre a ciò, la chioma del pino nero è bersaglio preferito della temibile processionaria, lepidottero voracissimo che riesce
a distruggere intere foreste. Le piante indebolite diventano facile preda anche
di altri parassiti, in particolare di due tipi di funghi (diplodia pinea e cenangium
ferruginosum) che minano le radici con effetti letali. Abbiamo già visto che questi
HOHPHQWL QHJDWLYL KDQQR GHFUHWDWR OD ¿QH GHOOD FDUDWWHULVWLFD SLQHWD QHO ³ERVFR
della città” di Rovereto, con la graduale sostituzione del pino nero con latifoglie
tipiche della nostra zona.
***
Pagina
29
Nel territorio comunale di Mori resistono ancora (ma per quanto tempo?) ampie
aree di pino nero, peraltro già in sofferenza circa 50 anni fa, come si legge in
un articolo dell’ispettore superiore forestale dottor Vittorio Cattani, pubblicato nel
numero di dicembre 1965 della rivista “I Quattro Vicariati e le zone limitrofe”. In
quel periodo vi furono “risarcimenti nei vasti rimboschimenti effettuati tra il 1950 e
1960 in località Coste di Tierno: questi impianti sono stati assai danneggiati dalla
VLFFLWjGHJOLDQQLHVLqSURJUDPPDWRLOULVDUFLPHQWRHQWURLOFRQ
Pagina
30
Due foto panoramiche di Mori scattate a circa trent’anni di distanza tra loro. In entrambe si
notano le macchie più scure di vegetazione dovute alla concentrazione degli impianti di pino
nero effettuati in varie edizioni della “festa degli alberi” dagli scolari di Mori.
Pagina
ODPHVVDDGLPRUDGLFLUFDSLDQWLQHGLSLQRQHURHSLQRVLOYHVWUHHFRQXQD
spesa presunta di lire 5.000.000: il lavoro avrà la durata di 3-4 anni.”
Sopravvissuta a due guerre mondiali e dopo avere portato un evidente mutamento
nel paesaggio silvestre dell’intero Trentino, la “festa degli alberi” piano piano perse
d’importanza e di fatto venne sospesa verso gli anni Ottanta del secolo scorso,
WDQWRFKHqGLI¿FLOHWURYDUHGHOOHSHUVRQHFRQPHQRGLTXDUDQW¶DQQLFKHDEELDQR
partecipato quantomeno ad un’edizione di quella speciale festa all’aperto.
Una legge nazionale, la n. 113 del 29 gennaio 1992 per incentivare gli spazi
verdi urbani, introdusse l’obbligo per tutti i comuni di piantare un albero per ogni
neonato, ma nel corso degli anni è stata scarsamente applicata. Di recente, con
la legge n. 10 del 14 gennaio 2013 questo obbligo è stato confermato solo ai
comuni sopra i quindicimila abitanti, inserendo nel conteggio, oltre alle nascite
tradizionali, anche i bambini adottati. Un altro cambiamento riguarda i tempi: la
piantumazione dovrà avvenire entro sei mesi (e non più dodici) dalla nascita o
dall’adozione.
Con questi provvedimenti il governo intende contrastare la costante perdita di
zone verdi nelle zone urbane che secondo i calcoli dell’Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale (Ispra) erode ben otto metri quadro al secondo.
In questa sede è il caso di citare l’istituzione della “Giornata internazionale delle Foreste” promossa dall’Assemblea delle Nazioni Unite, una circolare datata
13/11/2007 emanata dal Ministero della Pubblica Istruzione Dipartimento per l’Istruzione, Direzione Generale per lo Studente, circolare che a sua volta si rifà al
decreto interministeriale del 4 agosto 2000, emanato dal Ministero delle politiche
$JULFROHH)RUHVWDOLG¶LQWHVDFRQLO0LQLVWHURGHOOD3XEEOLFD,VWUX]LRQHDO¿QHGL
sensibilizzare i giovani di età scolare sulle tematiche riguardanti la salvaguardia
del territorio e la difesa del patrimonio forestale. Detto decreto reintroduce di fatto
ODFHOHEUD]LRQHGHOOD³)HVWDGHJOLDOEHUL´¿VVDQGRQHOHGDWHGHORWWREUHHGHO
marzo di ogni anno.
Nella circolare si legge che “La necessità di sensibilizzare i più giovani alla salvaguardia delle specie autoctone arboree e forestali, attualmente in pericolo anche per la forte incidenza degli incendi boschivi, ha portato a riscoprire in forma
moderna un’antica tradizione, un tempo molto diffusa nelle scuole, che risale al
1902 [sic].
Lo scopo è quello di promuovere una cultura dell’agricoltura sostenibile che consenta la salvaguardia dell’ambiente rurale e del paesaggio, in coerenza con la
programmazione didattico-formativa ed evitando il disinteresse verso il patrimonio naturale che spesso è alla base di tanti scempi ambientali e dello stesso
fenomeno degli incendi.
L’ iniziativa è volta a promuovere sia la conservazione che la tutela della diversità biologica come elemento fondamentale per raggiungere un sano equilibrio tra
comunità umane, ambiente naturale e agricoltura, attraverso una maggiore conoscenza dei prodotti dei boschi e degli alberi.
Gli istituti scolastici, avvalendosi della collaborazione tecnico-logistica del Corpo
forestale dello Stato e degli Istituti di ricerca operanti nel settore, potranno
sviluppare tra le scolaresche una più approfondita conoscenza del settore agricolo,
ambientale, forestale ed alimentare, attraverso progetti formativi e iniziative
31
Storia. Società e tradizioni
Storia. Società e tradizioni
di informazione sui prodotti dei boschi. Saranno gli stessi alunni a piantare, in
occasione della celebrazione della festa, gli alberi in apposite aree pubbliche
individuate d’intesa con i comuni interessati.
Pagina
32
Un doveroso tributo di riconoscenza
Potrebbe sembrare che il rimboschimento delle pendici brulle ed incolte tra la
Vallagarina ed il Sommolago fu merito esclusivo dell’intervento governativo, ma
esistono almeno due eccezioni che mi sembra doveroso citatare in questa sede.
6RQRVWRULHFKHULFRUGDQRXQSR¶TXHOODIDQWDVWLFDGL(O]pDUG%RXI¿HUWDFLWXUQR
protagonista del celebre romanzo di Jean Giono “L’uomo che piantava gli alberi”.
Tra il 1937 ed il 1952 nel Comune di Arco il pioniere dell’aviazione italiana, conte
*LDQQL&DSURQLSUHVHLQDI¿WWRHLQSDUWHDFTXLVWzFHQWLQDLDGLHWWDULGLWHUUHQR
brullo ed improduttivo per mettervi poi a dimora 50.000 piante in vegetazione
HSLDQWHGLSLQRQHURHDEHWHURVVRFRQXQDVSHVDTXDQWL¿FDWDQHO
LQROWUHPLOLRQLGLOLUH6LWUDWWzGLXQDGHOOHSLYDVWHRSHUD]LRQLGLERQL¿FD
forestale intraprese da un privato, mosso unicamente dall’amore per il proprio
paese natìo e intenzionato ad abbellirne i dintorni, dando nel contempo un lavoro
sicuro a delle famiglie di concittadini che altrimenti non avrebbero avuto di che
sbarcare il lunario.
Altro personaggio che ha deciso di impegnarsi a fondo, mettendoci del suo per
ULPERVFKLUHL¿DQFKLGHOO¶$OWLVVLPRULSLGLSHQGLLSHULFRORVDPHQWHHVSRVWLG¶LQYHUno al rischio di valanghe e d’estate agli smottamenti, è Augusto Girardelli. Appassionato della montagna, sportivo, cacciatore, promotore del turismo sull’altopiano
GL %UHQWRQLFR$XJXVWR ¿Q GD JLRYDQH VHQWH XQ IRUWH OHJDPH FRQ O¶$OWLVVLPR H
quando nel 1975 i casi della vita lo portarono a diventare proprietario di una parte
importante di quella montagna erbosa, decide che deve fare qualcosa per essa.
Uomo caparbio e gran lavoratore, riesce pian piano ad acquistare altri appezzamenti di terreno impervio dove mette a dimora piante adatte a resistere alla
VLFFLWj HVWLYD HG DOO¶HQRUPH SHVR GHOOD QHYH G¶LQYHUQR 1RQRVWDQWH OH GLI¿FROWj
non solo ambientali e lo scetticismo di molti, prosegue nella sua azione. Nel
1977 riceve in dono 500 piantine di cirmolo e ne rimane affascinato, tanto da
convincersi che sono quelle le piante ideali per rimboschire l’Altissimo. Grazie
DOO¶DLXWRGHL¿JOLHGLSRFKLFROODERUDWRULPHWWHFRVuLQVLFXUH]]DLQWHULFRVWRQLGHOOD
montagna, acquistando e piantando personalmente decine di migliaia di cirmoli,
piante che attecchiscono e punteggiano ora i prati dell’Altissimo. Questa ed altre
interessante notizie si possono leggere nel libro intitolato “Un vita con entusiaVPRDXWRELRJUD¿DGL$XJXVWR*LUDUGHOOL´SXEEOLFDWRGDL¿JOLGL$XJXVWRQHO
per festeggiare gli 80 anni del loro genitore.
E con questa digressione sui due pionieri trentini che di loro iniziativa e senza
chiedere nulla in cambio si sono accollati ingenti spese per inseguire un sogno,
ignari emuli dell’uomo che piantava gli alberi, chiudo questa breve ricerca sulla
“festa degli alberi” sperando di avere perlomeno suscitato un po’ di curiosità tra
chi non ha mai avuto l’occasione di parteciparvi.
Storia. Società e tradizioni
MEMORIE D’ACQUA IN VAL DI GRESTA
di Marta Villa
Il progetto1 di valorizzazione della memoria della Val di Gresta legato alla dimensione dell’acqua nei suoi molteplici aspetti si è svolto nel 2012. Le ricerche hanno
preso spunto da un evento che è riaf¿RUDWRGDOODPHPRULDGHOODFRPXQLWj
QHJOLDQQLµGHO1RYHFHQWRXQJUXSpo di donne di Ronzo-Chienis spaccarono a picconate l’acquedotto per non
IDUDUULYDUHD1DJRTXHOODFKHFRQVLderavano la loro acqua. Il fatto svela
emblematicamente quanta problematicità sia legata da un punto di vista
anche solo socio-culturale all’acqua.
Questa fonte fondamentale costituisce anche continua fonte di minaccia
(alluvioni ed erosione degli argini del
Rio Gresta e sistemazione che si è
fatta negli ultimi anni per gli argini del
ULRHFRQGL]LRQDSHUWDQWRO¶XELFD]LRQH
dei centri abitati.
Il progetto “Memorie d’acqua in Val di
Gresta” ha messo in evidenza che il
fenomeno acqua in una valle agricola
dai piccoli insediamenti umani, ricca
nel suo territorio di molte testimonianze naturali ed antropiche legate a questo bene di primaria importanza, è sicuramente un tema che nel corso dei
secoli ha generato interesse e problematicità sia riguardo lo studio in senso
stretto, sia riguardo la fruizione quotidiana e la gestione della risorsa. È apparso dunque interessante analizzare
le reti, sociali, culturali ed ecologiche,
Foto del Rio Gresta
Pagina
,OSURJHWWRqVWDWRLGHDWRHUHDOL]]DWRGDOO·$VVRFLD]LRQH&XOWXUDOH6LQWHVL²0XVHR'LGDWWLFRHGqVWDWRÀQDQziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, dai Comuni di Mori e Ronzo-Chienis, dalla
Provincia Autonoma di Trento, dalla Comunità della Vallagarina, dal B.I.M. dell’Adige e dalla Cassa Rurale
di Mori e Val di Gresta; ha visto la partecipazione della Pro Loco di Mori e Val di Gresta e della Pro Loco di
Ronzo-Chienis e Val di Gresta.
33
1
Storia. Società e tradizioni
Pagina
34
che l’acqua ha saputo intessere all’interno della comunità, composta da diverse
frazioni che attualmente sono di pertinenza di due comuni distinti (Mori e Ronzo&KLHQLV/¶DPSLH]]DGHOO¶LQWHUHVVHFXOWXUDOHqULVXOWDWDGXQTXHPROWRYDVWDGDOOD
ULFHUFDVFLHQWL¿FDHGDOO¶HODERUD]LRQHGHLGDWLQHOOHGLYHUVHSURVSHWWLYHGLVFLSOLQDUL
di indagine, alla messa in relazione dei dati per giungere invece alla fruizione del
SDWULPRQLRGDSDUWHGLWXWWDODFROOHWWLYLWj(FFRSHUFKpLOSURJHWWRKDSUHYLVWRXQ
coinvolgimento di ampi strati della popolazione: dagli amministratori, ai giovani
cittadini, agli anziani, primi depositari della memoria della collettività, attraverso un
FRVWDQWHGLDORJRLQWHUJHQHUD]LRQDOHLQJUDGRGL¿VVDUHTXHVWDPHPRULDHGLFRQtribuire anche alla progettualità futura. È utile ricordare che un progetto di ricerca
e divulgazione in Val di Gresta della memoria della comunità legata al fenomeno
acqua non è mai stato fatto. L’argomento è risultato estremamente attuale, infatti
KDSHUPHVVRGLWRFFDUHDVSHWWLRJJLSDUWLFRODUPHQWHVLJQL¿FDWLYLLOYDORUHGHOO¶LGHQtità locale, della storia locale e dell’aggregazione territoriale. Il processo ha messo
in luce che l’acqua è qualcosa che suscita criticità e problematicità, ma anche
qualcosa che esacerba i sentimenti di difesa del proprio patrimonio e del “senso
di località”. Essendo strettamente legata all’ecologia di un ambiente, ne misura lo
stato di salute, anche in questo caso l’aspetto dell’indagine biologica ha permesso
di far percepire agli abitanti lo stato di naturalità dei propri corsi d’acqua. La memoria è una dimensione intima e nel contempo collettiva, la costruzione del suo
processo di genesi e mantenimento è legata a molteplici fattori, la stessa scelta di
cosa sia utile ricordare e cosa invece debba essere consegnato all’oblio è legata a
strategie di potere e di difesa della propria costruzione identitaria. Risulta pertanto
fondamentale scoprire, analizzare e rispettare queste forme di controllo sociale
intimo della comunità, volte a proteggere se stessa e i propri componenti.
L’acqua, come si vedrà anche dalle diverse testimonianze di seguito riportate, è
VWDWDJHQHUDWULFHGLFRQÀLWWXDOLWjFKHODFRPXQLWjDOSURSULRLQWHUQRHLQGLDOHWWLFD
con l’esterno ha saputo e dovuto gestire ed elaborare. La storia locale della Val
di Gresta ci racconta ad esempio di un’acqua non pubblica, di proprietà lungo il
corso dei secoli di chi possedeva la ricchezza ed essa stessa fonte di potere per
chi la possedeva: un rapporto reciproco stretto e inscindibile. Questo tipo di relazione non è esclusivo di questo territorio, ma si inserisce all’interno della grande
storia, dalla quale apprendiamo che l’acqua come bene pubblico è stata una conquista molto tardiva dell’umanità: la Dichiarazione universale del Diritto all’Acqua
è solo del 28 luglio 2010 per mano dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
La Dichiarazione ha sancito il diritto all’acqua potabile sicura e ai servizi igienici
come un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti gli altri
diritti umani: da ciò si evince quanto l’acqua sia essenzialmente una fonte di necessità primaria e per tanto debba essere tutelata. Legato a questo diritto, troviamo il racconto raccolto da un importante studioso di storia locale, Giorgio Benoni
di Valle San Felice, che dimostra come da sempre l’acqua sia legata al potere
e la sua distribuzione avvenga secondo regole decise a priori da chi comanda
o da chi ha il denaro per accaparrarsela. Giorgio Benoni, proprietario insieme al
fratello del Ex Mulino Castelbarco a Valle San Felice ha spiegato che la distribuzione dell’acqua nella contrada di La Rì a Valle San Felice era molto interessante
HGHVHPSOL¿FDDQFRUDXQDYROWDODUHOD]LRQHWUDDFTXDHSRVVLELOLWjHFRQRPLFKH
Storia. Società e tradizioni
, VLJQRUL FKH DELWDYDQR QHOOD FRQWUDGD DYHYDQR ¿QDQ]LDWR OD FRVWUX]LRQH GL XQ
acquedotto intorno al 1700. Le tubazioni erano in pietra e venivano forate presso
il mulino Castelbarco di Valle San Felice. La famiglia Misturi, che voleva portarsi
O¶DFTXDLQFDVDDYHYD¿QDQ]LDWRTXHVWDRSHUDFDSWDQGRXQDVRUJHQWHFKHVLWURvava poco sopra l’abitato. Prima di entrare nelle case, l’acqua si fermava in una
grossa vasca in pietra dove erano stati praticati tre fori a diverse altezze: il primo
foro, quello più in basso, che anche in caso di siccità era sempre attivo, riforniva
ODIDPLJOLD0LVWXULFKHDYHYDDVVLFXUDWRODVRPPDSLLQJHQWHSHUO¶HGL¿FD]LRQH
il secondo foro, poco più in alto era destinato alla famiglia Bacilieri, che aveva
DQFK¶HVVD¿QDQ]LDWRO¶RSHUDPDLQPDQLHUDPHQRFRVSLFXD/¶XOWLPRIRURTXHOOR
più in alto, era dedicato ad alimentare l’abbeveratoio dei contadini della contrada
che lavoravano per questi signori. Questo acquedotto è stato utilizzato almeno
¿QRDOOD3ULPDJXHUUDPRQGLDOH
Il progetto è riuscito a raccogliere altre testimonianze importanti della vita quotidiana della Val di Gresta, racconti che sono stati conservati nella memoria familiare e che grazie all’intervento degli alunni e delle insegnanti delle classi IV della
Scuola Primaria di Mori e Ronzo-Chienis che hanno aderito al progetto, sono sta-
Pagina
35
Il mulino Righi a Ronzo
Storia. Società e tradizioni
Pagina
36
te consegnate alla comunità come patrimonio inestimabile e condivisibile e che
qui vogliamo riportare così da permettere una divulgazione ancora più ampia.
“Negli anni Sessanta – racconta una nonna - l’acqua a Ronzo-Chienis era abbondante. C’erano molte sorgenti: l’acqua de la bela siora presso il cimitero nuovo;
l’acquedotto di Ronzo a nord del paese; l’acqua dell’albi sulla strada per Bordala;
l’acqua de Verle sulla strada per lo Stivo, che si diceva fosse curativa e chi aveva
ammalati andava a prenderla; l’acqua di Santa Barbara dove c’era una grande
fontana per abbeverare gli animali che scendevano dal pascolo; l’acqua de Castil
che era freddissima. A Piazera c’era una grande fontana per abbeverare il bestiame e lavare il paiolo della polenta e i rami col belet, un miscuglio di sale, farina
gialla e aceto. Per il bucato invece si andava al lavatoio di legno che si trovava
vicino al mulino, sulla sponda destra del Rio Gresta”.
E ancora: “Per quanto riguarda il paese di Nomesino si racconta che la
sorgente si trova in località Acqualù.
Lì c’è una fontana dove le donne del
paese andavano a lavare i panni e a
prendere l’acqua per cucinare, lavarsi
e bere. Alla fontana della piazza Vecia
si abbeveravano gli animali delle stalle, con la stessa acqua si irrigavano
gli orti con i secchi. Oggi la fontana si
trova in località Fontana, qui le donne
lavavano i panni e le lenzuola con la
cenere (lisciva)”.
Un anziano di Nomesino ha ricordato:
“Prima della Grande Guerra c’era una
sorgente che sgorgava spontaneamente
nel campo sopra l’attuale lavatoio. Tutti
la bevevano, ma alcuni si ammalarono e
morirono (fra questi anche la bisnonna).
Allora gli Austriaci scavarono un tunnel
e fecero una presa più profonda. Lì hanno costruito una grande fontana con lavatoio che c’è ancora. Prima dovevano
andare all’Acqualù a un chilometro dal
paese sia per abbeverare il bestiame sia
per il bucato”.
Una signora di Valle San Felice ha raccontato: “Quando io ero piccola c’era
una bella fontana grande in mezzo alla
Fontana a Valle San Felice
piazza; aveva due ferri di traverso per
appoggiarci il crazidel. Chi doveva portare l’acqua lontano usava la zerla con due crazidei. Lì si abbeveravano gli animali,
mentre a fare il bucato si andava alle lavandine che si trovavano prima del ponte
e vicino al mulino, sia sopra che sotto la strada. Poi c’era una fontana più piccola
Pagina
qui in piazzetta, un’altra ai Finoti e una nella piazzetta della Rì. C’era una sorgente anche ai Rossini che era più buona e più fresca. C’era un’altra sorgente detta
DJOL$PEURVLGLHWURDFDVD*HQWLOLGRYHPHWWHYDQRLQDPPROORORVWRFFD¿VVRHOu
andavano il sabato a lucidare i rami usando la marmolina, una speciale pietra che
si sgretolava e andava benissimo per pulire. Ai miei tempi il Rio Gresta era molto
ricco d’acqua: c’erano cascate e grandi pozze d’acqua dove i bambini facevano il
bagno e si potevano pescare molte trote e inoltre a nord del paese c’era una preVDG¶DFTXDFKHGHYLDQGRGDO5LRDUULYDYD¿QRDOPXOLQRIDFHQGRJLUDUHODUXRWD´
Invece “A Varano ci sono due fontane e una pozza d’acqua chiamata el fontanel.
La fontana in piazza c’è sempre stata: si andava a prendere l’acqua da bere, per
lavare le stoviglie e per l’igiene personale. L’acqua in casa è arrivata solo dopo
OD¿QHGHOOD6HFRQGD*XHUUD0RQGLDOH/DIRQWDQDODYDWRLRVLWURYDVXOODVWUDGLQD
che conduce al rio Gresta. Lì si lavavano i panni e chi faceva la liscia alle lenzuola
poi doveva pulire tutta la fontana. D’inverno l’acqua sembrava molto più calda. Al
fontanel invece si lavavano le pentole di rame e i secchi di ottone o rame con il
belet, cioè farina gialla e aceto. Le mucche bevevano sia in piazza sia al lavatoio.
Solo i maschi del paese si costruivano en fontam, cioè una diga per poi fare il
bagno. Alla fontana di Gole c’era sempre poca acqua, ma non si è mai asciugata;
bevevano le persone e gli animali al pascolo”.
Dalle storie raccolte dalla viva voce dei protagonisti sono emerse anche tutte le
espressioni dialettali legate all’acqua e alla relazione dell’uomo con essa. Molti
luoghi dove l’acqua c’era o sgorgava avevano un nome preciso in vernacolo e
questo toponimo è preziosissimo per individuare la geomorfologia di un preciso
territorio: abbiamo quindi le moie, la giazzera, pra dal lac, il sass de l’acqua, la
zona dei lagarini, la sorgente del breom, il fos dei albi, il boiom, acqualù, prai de
ODUu. Tutte queste espressioni descrivono determinati stati dell’acqua e permetWRQRGLFRQ¿JXUDUHXQSUHFLVROXRJRFKHPDJDULQHOO¶DWWXDOLWjQRQSUHVHQWDSL
l’elemento acquatico. La stessa radice preindoeuropea òr, legata all’acqua in
generale, si ritrova ancora adesso in molti toponimi (Cà de l’òra, ad esempio),
nomi di attrezzi legati all’acqua (come la comune Bot de l’òra che era presente in
molte fucine idrauliche in Trentino e che è ancora funzionante presso la Fucina di
3DQQRQHGHOIDEEUR/XLJLQR$UPDQLRGLPDQLIHVWD]LRQLQDWXUDOLO¶DULDFKHVRI¿D
dal Lago di Garda, la famosa òra del Garda) o di feste religiose (candelora, ossia
la benedizione delle candele con l’acqua santa)… e che magari ci potrebbe svelare la stessa origine del borgo di M-òr-i, anch’esso legato all’acqua abbondante
e onnipresente in paese grazie ai numerosi Rii che scendono dalle montagne
YLFLQHDOODYLFLQDQ]DGHO¿XPH$GLJHDOODSUHVHQ]DGHO/DJRGL/RSSLRHDOSRVLzionamento in una vasta porzione di territorio chiamata proprio Vallagarina (valle
allagata, il lagaro medievale ovvero la zona acquitrinosa e paludosa).
La memoria, se studiata con attenzione e rispetto, ha ancora molto da insegnare,
soprattutto alle nuove generazioni e ai nuovi cittadini che possono, ascoltando
la voce antica che ogni luogo racchiude, scoprire e amare la comunità dove si è
QDWLRGRYHVLqGHFLVRGLDELWDUHGDQGRXQVLJQL¿FDWRDFLzFKHTXRWLGLDQDPHQWH
si osserva e si vive. Dall’altro lato però non bisogna dimenticare che è anche un
patrimonio fragile, che necessita di continua cura e di una attenzione viva perché
come purtroppo accade troppo spesso nel mondo, rischia di scomparire per sempre lasciando un vuoto equivalente ad una estinzione.
37
Storia. Società e tradizioni
Storia. Società e tradizioni
REPERTI STORICI DA PRESERVARE
NEI PRESSI DI LOPPIO
segnalazione di Renato Mattei
Pagina
38
Sul territorio della nostra frazione si possono tuttora osservare i resti di taluni
vetusti manufatti rimasti a testimonianza del faticoso lavoro svolto dai nostri
avi alcuni secoli fa. Ma a causa della mancata manutenzione, questi unici
e preziosi cimeli sono in grave disfacimento se non addirittura scomparsi,
causando in tal modo un grave danno al patrimonio storico ambientale locale.
Nell’articolo che segue si vuole portare a conoscenza almeno una di queste
situazioni, riguardanti la zona adiacente l’ex lago di Loppio.
Fino al momento della scomparsa del lago stesso le strutture esistenti in
questo sito ne erano parte integrante e, tramite la pesca, contribuivano in
modo determinante al suo sfruttamento economico. Garantivano inoltre per
mezzo dell’emissario, il rio Cameras, il corretto deflusso ed il mantenimento
programmato del livello dell’acqua contenuta all’interno dell’alveo. Chi adesso
transita sulla pista ciclabile o sulla strada statale nel tratto che corre dalla
chiesa alla curva nei pressi della casa dei Dusi, giunto a metà percorso, nella
campagna situata a nord, nota una macchia di cespugli con al centro una
grossa pianta di pioppo. Solo pochi sanno che sotto quell’intricato groviglio
giacciono le macerie di una singolare costruzione, da tempo crollata, una
volta conosciuta con il toponimo di casetta dei pescatori o “Kafeehaus”, cioè
casa del caffè.
A qualche metro di distanza si notano ”la fossa”, il ponte ed i “vivèri”, questi
due ultimi costruiti in marmo rosso di Verona. Dell’esistenza sul luogo di
qualcuno dei sopracitati manufatti si hanno notizie datate ancora nel lontano
1600. In un testo, depositato presso l’Archivio Parrocchiale di Mori, troviamo
descritto il tragitto percorso da una processione delle rogazioni, rito questo a
carattere religioso un tempo celebrato per propiziare la caduta della pioggia
nei periodi di siccità o implorare un buon raccolto per i prodotti della terra.
Nello scritto si evidenzia la data del 4 maggio 1644 quando con una di queste
processioni, partendo da Mori, si arrivò fino alla chiesetta posta, allora,
sull’isola di S. Andrea. Nel ritorno giunti nei pressi del luogo sopra citato si
precisa che
“si traversò con un ponte fatto di legno sopra il cameraso sotto subito la
Peschera”
Pagina
fornendo così la testimonianza che già a quella lontana data, sul posto,
esisteva un qualche tipo di costruzione adatta alla cattura del pesce. La casetta
dei pescatori viene riportata nella mappa del luogo e della Bordina datata 3
settembre 1814, disegnata da Giambattista Sartori di Brentonico. Poco tempo
dopo quest’ultima data la zona che si estende dal lago a Mori fu oggetto di
uno straordinario intervento di bonifica agraria che mutò completamente la
geografia del posto. Si deve alla realizzazione di quest’opera la costruzione
della ”fossa”, del ponte, dei “vivèri” e del tunnel sotterraneo, il quale partendo
dai “vivèri” stessi, con una lunghezza di 400 metri circa, va a raggiungere le
falde del monte Baldo per sfociare nel canale a cielo aperto.
&RQODFRVWUX]LRQHGHOOHVXGGHWWHRSHUHVLRWWHQQHLOUHJRODUHGHÀXVVRGHOO¶DFTXD
contenuta nell’alveo del lago e la garanzia che la sua quota massima non
superasse i 220 metri sul livello del mare. Fino ad allora quest’ultima era lasciata
39
Dipinto eseguito da Alessandro Sartori nel 1946 che ritrae la casetta dei pescatori,
l’ormeggio della loro barca ed il ponte sotto il quale si trovava la darsena
dove erano ricoverate le barche dei Conti Castelbarco.
Storia. Società e tradizioni
ai capricci delle stagioni piovose subendone però le gravose conseguenze. Da
DOORUDVLSRVH¿QHDOOHULFRUUHQWLLQRQGD]LRQLGHLFDPSLOLPLWUR¿UHFXSHUDQGRSXUH
parecchio terreno da destinare all’agricoltura.
Osservando le dimensioni della fossa, che di fatto è l’inizio dell’emissario, il
rio Cameras, ci si chiede del perché della sua esagerata larghezza, 7 metri,
VHQ]¶DOWUR VRYUDGLPHQVLRQDWD SHU OD VXD IXQ]LRQH GL V¿RUDZWRUH &Lz q GRYXWR
al fatto di dovervi, a suo tempo, far transitare le barche a remi onde poterle
ormeggiare nei pressi della casetta dei pescatori durante lo scarico del pescato
e delle reti. Queste ultime venivano in seguito stese ad asciugare al sole appese
DGDSSRVLWLJDQFL¿VVDWLDLSDOLGLVRVWHJQRGHOSHUJRODWRGLYLWLFKHFRUUHYDOXQJR
il ciglio della fossa stessa. La casetta dei pescatori, da quest’ultimi abitata per
otto mesi all’anno durante il periodo della pesca, era una torretta ottagonale
della larghezza esterna di poco più di 6 metri, costruita su due piani fuori terra,
dell’altezza complessiva di quasi 7 metri all’estradosso. Nel sottosuolo, al
quale si accedeva tramite una scala in pietra orientata a nord, si trova ancora
sepolta una vasca, costruita anch’essa in pietra rossa, dalla forma della struttura
sovrastante. Ai tempi in cui nel lago si esercitava la pesca, stabilmente rifornita
d’acqua corrente, vi si conservavano gli esemplari dei pesci più grossi catturati
nelle reti, quali lucci, tinche, carpe, cavedani. Nel sottofondo della barca era
ricavata un’intercapedine rifornita d’acqua dove i pesci, appena pescati, venivano
Pagina
40
Inizio del tunnel del Cameras visto dall’interno;
sullo sfondo uno scorcio delle vasche dei “vivèri”. (Foto di Ivo Cipriani)
Pagina
provvisoriamente alloggiati in attesa che giungessero ancora vivi alla loro nuova
dimora. A questo punto bisognava aspettare che la loro particolare dimensione
stimolasse l’interesse di qualche buongustaio e permettesse in tal modo di
realizzare un introito superiore al normale. Il toponimo dato alla casetta deriva
dall’uso che ne facevano i proprietari di sempre, i Conti di Castelbarco. La loro
signorile dimora vi era direttamente collegata tramite un lungo viale, sovrastato da
un alto e spazioso pergolato, del quale essi si servivano per recarsi alla darsena
dove tenevano ormeggiate le loro imbarcazioni. Al ritorno dalle escursioni sul
lago sovente si intrattenevano nella casetta per consumarvi il tè od il caffè, di
qui il toponimo di ”Kafeehaus”. La darsena ubicata sotto il ponte alloggiava due
imbarcazioni, una tutta in ferro chiamata “il barchettino” e l’altra la canoa a fondo
piatto chiamata sandolino, quest’ultima era nella disponibilità dei giovani rampolli
del casato per fare dell’agonismo. Le vasche dei “vivèri” furono costruite per
LQWUDSSRODUYLLQPRGRVHPSOLFHPDHI¿FDFHOHDQJXLOOH/DORURFDWWXUDDYYHQLYD
convogliando sia queste ultime che l’acqua all’interno della vasca posta a sud
attraverso una fessura rettangolare intagliata nella parete della stessa. La ridotta
dimensione della feritoia, 8 centimetri di altezza e 70 di lunghezza, imprimeva
DOODFDVFDWHOODIRUPDWDGDOO¶DFTXDODIRU]DVXI¿FLHQWHSHULPSHGLUHDOSHVFHGLIDU
41
9HGXWDGHOOD³IRVVD´VXOODVLQLVWUDVLLQWUDYHGHODEDUFDHVXOODULYDGHVWUDLO¿ODUHGHOOHYLWLDLFXL
pali venivano appese le reti da pesca ad asciugare.
Storia. Società e tradizioni
nuovamente ritorno nel lago. La vasca posta a nord serviva per trasbordarvi il
pescato in attesa del possibile acquirente.
/HFRQRVFHQ]H¿QRUDDGLVSRVL]LRQHQRQSHUPHWWRQRGLVWDELOLUHVHPDQXIDWWLGL
questo tipo sono stati costruiti anche in altri luoghi, ciò li rendono reperti unici
nel loro genere, dando loro nel contempo una valenza storico-paesaggistica
meritevole di essere tutelata. Di qui l’impellente necessità, come di recente si
è fatto lodevolmente con il sito archeologico dell’isola di S. Andrea, della loro
conservazione e messa a disposizione del pubblico. La fossa, il ponte ed i
“vivèri” sono di proprietà della P.A.T. e sicuramente rappresentano una posizione
strategica nel contesto del Sito di Interesse Comunitario dell’ex lago. Alla nostra
Provincia spetta dunque l’onere di intervenire in fretta evitando che tutto ciò vada
perduto. All’amministrazione Comunale locale, alla Pro Loco, alle Associazioni
ed alle persone cui sta a cuore la salvaguardia delle testimonianze del nostro
passato il compito di impegnarsi ulteriormente nell’intento di ottenere la loro
messa in sicurezza prima che tutto scompaia per sempre.
Pagina
42
Casetta dei pescatori chiamata anche ”Kafeehaus”. Si notano i primi segnali del suo degrado.
Storia. Società e tradizioni
Pagina
43
I “vivèri” già in grave stato di abbandono, visti dopo il prosciugamento del lago.
Pagina
44
ƒÃÖ
ƒÃ
PAN
Pagina
45
Personaggi
Pagina
46
Foto 1
Pagina
47
Personaggi
Pensiamo che ricordare Luigi Bombana nell’anno in cui ricorre il centenario della sua
nascita, 1913, sia non solo importante e significativo ma anche necessario, poiché, a
44 anni dalla morte, Bombana rimane ancora indimenticato da quelli che l’hanno
conosciuto, ma quasi totalmente ignorato dalle nuove generazioni.
Nominato nel testo della “Storia dell’arte nel Trentino” di Nicolò Rasmo, per il “bel
monumento ai caduti”, una delle poche opere d’arte del secolo scorso citate nel volume,
Bombana, scultore sensibile e talentuoso, è e rimane un personaggio illustre fra i pochi
della storia di Mori (e della Vallagarina), degno di essere ricordato per le molte
realizzazioni artistiche lasciate anche alla propria comunità, continuatore della
tradizione degli scultori locali (dai Benedetti ad Andrea Malfatti) e per il quale è
doveroso tramandarne il ricordo ai posteri in modo tangibile e duraturo.
Ventiquattro anni fa in occasione del ventennale della morte, 1969, fu organizzata
dall’Associazione Culturale Muria una bellissima mostra antologica, un evento
importante che coinvolse anche le istituzioni e tanti appassionati, e fu accolta
splendidamente soprattutto da coloro che di Gigi Bombana conservavano il ricordo del
contatto diretto (allora erano molti di più) con la sua carica umana. Ma negli anni
successivi l’effetto di questo positivo impatto, si è via via affievolito.
Ci siamo quindi sforzati in queste poche pagine, di rendere un sunto significativo della
sua opera, cercando di farne emergere la profonda umanità, la passione, ma anche la
maestria tecnica e soprattutto la straordinaria cultura e sensibilità artistica, proprio per
divulgare la conoscenza di questo uomo che merita un posto da titolare nella storia
della comunità e far conoscere l’esistenza di un patrimonio consistente di opere da
vedere, apprezzare e valorizzare.
Abbiamo rivolto un pensiero soprattutto ai nostri giovani che possano trarre esempio, in
questi tempi cosi tremendamente scarsi di riferimenti positivi, da un ragazzo che all’età
di 16 anni, forse già intimamente consapevole delle proprie potenzialità, frequentava
serenamente ma anche responsabilmente le botteghe d’arte della regione, per
affrancarsi nel suo lavoro che a poco a poco cresceva e diventava arte, e gli permetteva
di scolpire a soli 19 anni due statue in grandezza naturale per la chiesa di S. Agnese a
Tierno.
Un ragazzo, un uomo, Luigi, figlio di una famiglia partita da zero dopo la prima guerra
mondiale, che ha vissuto semplicemente ma pienamente il suo tempo. Persona di
speciale sensibilità, ha sofferto particolarmente le tribolazioni del secondo conflitto
mondiale, ma pur scosso e tormentato ha saputo reagire, sempre inseguendo un ideale
professionale ed artistico con dignità, correttezza e coerenza intellettuale.
Pagina
48
Questo non gli ha precluso di interrogarsi (gli autoritratti), di credere di più e di “cavar
fuori” da se stesso, dalle proprie intime convinzioni quella forza, quella originalità, quella
genialità che emergono fugaci ma imperiose, poste nelle pieghe e nelle sfumature delle
sue opere o nei tanti suoi progetti rimasti tali, a prescindere dalle avversità della vita,
dalle forzate rinunce, dalla mediocrità, a volte l’ipocrisia, della committenza.
Noi abbiamo cercato questo in lui, selezionando queste opere, con la speranza che il
forte messaggio sia raccolto e meditato dalle nostre nuove generazioni che hanno ora e
più che mai bisogno di credere.
Personaggi
Biografia
Luigi Bombana nasce a Mori l’11 maggio 1913, ultimo di tre fratelli.
Cresce nella bottega artigiana del padre (bottaio, intagliatore) con il fratello Mario
intagliatore e decoratore, ed acquisisce fin da subito la passione per il legno.
Dopo la scuola elementare, frequenta la scuola d’arte di Ortisei diplomandosi in
scultura, perfezionandosi poi anche presso le botteghe di alcuni scultori trentini: a
Segonzano e Sover.
Nel 1939 si iscrive e frequenta l’Accademia di belle arti di Torino (Albertina), ma allo
scoppio della seconda guerra mondiale è richiamato sotto le armi.
Le successive tragiche conseguenze degli eventi bellici, dopo l’8 settembre del 1943, la
prigionia nei campi di lavoro tedeschi e russi, segneranno per sempre l’animo sensibile
di Luigi con una costante vena di tristezza, a volte tormento, che caratterizzerà
fortemente anche taluni aspetti della sua opera.
Alla fine della guerra, riprende faticosamente la sua vita lavorativa, insegnando anche
disegno alle scuole postelementari di Mori e in diversi altri corsi professionali.
Nel 1951 si sposa con l’insegnante Irma Tomasi ed avrà tre figli.
In questo periodo felice realizza numerose pregevoli opere destinate all’ambito locale e
provinciale ma anche nazionale ed estero, frequenti sono i contatti con artisti ed
appassionati, gli scambi e i viaggi culturali.
Dopo il Concilio Vaticano II, le nuove disposizioni in materia di arte sacra limitarono
progressivamente la sua attività, azzerando in pratica le commesse per la statuaria in
legno.
In questo periodo inizia i progetti per la realizzazione del monumento ai caduti di Mori,
opera che si trascinerà nel tempo per vari anni e che, dopo alterne vicende, alcune dagli
aspetti grotteschi, finirà per concludersi nel peggiore dei modi: cioè sarà realizzata
quando ormai Luigi, triste ad amareggiato, si sarà già spento dopo lunga malattia due
anni prima, il 2 dicembre 1969.
La prematura morte gli ha impedito di produrre tante altre opere straordinarie, in tempi
probabilmente anche più favorevoli.
Principali opere esistenti a Mori
Pagina
Autori
Testi, fotografia, impostazione grafica: Claudio Bombana, Mariano Angelini
Documentazione storica: fam. Bombana, Matilde Tranquillini
49
Monumento ai caduti, in p.zza Cal di Ponte – Via Crucis presso la cappella della Casa
di riposo – Bambin Gesù e Madonna Addolorata, Chiesa arcipretale – portale
scolpito della chiesetta di Montalbano – Sacro Cuor di Gesù e Maria, chiesa di S.
Agnese a Tierno – Pietà, stele ricordo per i caduti di Tierno – ritratto bassorilievo di
Mons. Cesare Viesi.
Pagina
50
La famiglia di Luigi Bombana ritratta
nel 1917, durante l’internamento in
Boemia (Repubblica Ceca).
Luigi (il secondo bambino da destra)
ha 4 anni, con la mamma Luigia, il
papà Ernesto Giovanni, i fratelli
maggiori Mario ed Emilio.
Al rientro a Mori alla fine della guerra
troveranno anche loro la casa in
Ghetto distrutta e saranno alloggiati in
una baracca del Genio militare in loc.
Poz di Sotto dove, successivamente,
sarà costruita l’abitazione.
Negli anni ‘50, dopo la seconda guerra
mondiale, sarà aggiunto il laboratorio
di scultura dove Luigi svolgerà tutta la
sua attività.
Luigi Bombana nell’estate 1929, a 16
anni, si trovava presso il laboratorio
dello scultore Enrico Battisti di Sover,
in val di Cembra.
Nell’immagine, Luigi in pantaloni chiari
e berretto, si trova alla destra dello
scultore Battisti;
La foto è stata scattata davanti alla
malga Stramaiolo durante una sosta
nel viaggio di ritorno da Palù dei
Mocheni, attraverso il passo Redebus,
dove avevano consegnato la statua di
S. Maria Maddalena.
(Per gentile concessione del sig.
Franco Battisti, nipote dello scultore).
Foto 2
Pagina
51
Foto 3
Pagina
52
Foto 4
Pagina
53
Foto 5
Pagina
54
Foto 6
Pagina
55
Foto 7
Pagina
56
Foto 8
Pagina
57
Foto 9
Pagina
58
Foto 10
Pagina
59
Foto 11
Pagina
60
Foto 12
Pagina
61
Foto n. 2 - Testa-ritratto di ufficiale, Monguelfo 1941
Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti a Torino (Accademia Albertina) Luigi fu richiamato sotto le
armi allo scoppio della guerra nel 1940, riuscì in questo periodo comunque a lavorare, realizzando diversi
busti ritratto di pregevole fattura.
Foto n. 3 - Madonna addolorata, legno dipinto, Mori alt. cm 150
Realizzata nel 1958 fu collocata in un piccolo capitello a Montalbano. Ora si trova nell’arcipretale di Mori
non esposta al pubblico.
Opera di grande valore formale, originale nella composizione e nell’atteggiamento, dove dolore e sofferenza
sono interpretati dalla sensibilità dell’artista in modo reale, appassionato, composto.
Rimane una della opere più interessanti e significative di Luigi Bombana. (foto Grigolfoto di Giovita Grigolli)
Foto n. 4 - Stazione Via Crucis, in legno, chiesa di Piazzo di Villalagarina, alt. cm 45
Gli incubi ricorrenti dei ricordi di guerra arricchiscono e completano spesso di significati le stazioni delle Via
Crucis, tema che l’artista predilige particolarmente per la maggior libertà di esprimere i propri stati d’animo
Foto n. 5 - Stazione Via Crucis in legno nella chiesa di Marco. Alt. cm 45
Ancora i ricordi strazianti dei traumi della guerra vissuti sulla propria pelle da Bombana, sono evidenti nella
figura dello sgherro che sferza brutalmente il Cristo caduto sotto la croce intimandogli di proseguire (davai =
avanti in russo): così come nel calvario del Cristo, anche nel calvario dell’umanità in guerra, quella,
appunto, dei “poveri cristi”.
Un condensato di eccezionale forza espressiva, armonia compositiva e maestria d’esecuzione, in un fluire
di plastica spazialità per l’intero percorso della Via Crucis di Marco.
Foto n. 6 stazione Via Crucis, terracotta, missione in Tanzania, alt. cm 40
Lo scultore ritrae se stesso nei panni del Cireneo. Sono frequenti nelle sue opere, gli autoritratti, tantissimi
sono i disegni, volti non tanto a siglarne la paternità, ma come momento importante di auto-introspezione
psicologica, di coinvolgimento e immedesimazione in un ruolo in quel momento emotivamente congeniale.
Foto n. 7 - Crocifisso, bozzetto in gesso alt. cm 45
Opera alla quale Bombana era molto legato, da sempre rimasta in laboratorio o in casa. Emerge da essa
un potente effetto plastico dove sapienza tecnica sedimentata ed impulsi emozionali hanno guidato la
percezione tattile dello scultore ad un modellato pulsante, a volte nervoso, quasi istintivo, di grande
espressività chiaroscurale. Una copia in bronzo si trova nell’ufficio del Sindaco nel Municipio di Mori.
Foto n. 8 - Studio per Via Crucis, bozzetto in gesso alt. cm 55
Ancora un autoritratto in questo vigoroso bassorilievo, di grande armonia compositiva e perfetto equilibrio
tra i vuoti e i pieni, figure qualificate da un segno forte, essenziale, coerentemente collocate nell’esatta
spazialità.
Foto n. 9 - S. Giuseppe falegname, bozzetto in gesso alt. cm 50, della statua eseguita in legno in
grandezza naturale esistente presso la chiesa di Marco
Si dice che il bozzetto, cioè l’idea prima, esprima la freschezza, senza condizionamenti, del migliore
momento artistico creativo, forse più dell’opera vera e propria.
Il sapiente modellato del bozzetto modula la luce che investe ed avvolge la figura animandola di tensione
emotiva e vibrante plasticità.
Foto n. 10 - Testa di Cristo per monumento funebre, bozzetto in gesso alt. cm 40
Assolutamente fuori dagli schemi, di rigore inquietante, indagatore, questo volto è un opera di straordinaria
potenza espressiva.
Foto n 11 -Testa ritratto dello scultore Angelini, creta altezza cm 40
La grande capacità introspettiva dell’artista in quest’opera matura, si evidenzia nell’espressione
magistralmente resa dal modellato fresco ed efficace.
Pagina
62
Foto n. 12 – Altorilievo bronzeo est, monumento ai caduti di Mori, ancora in fase di lavorazione.
Figure di grande compostezza e umanità, simboli del dolore, della morte, della tragedia. (foto Grigolfoto)
Foto n.1 - Altorilievo bronzeo ovest, monumento ai caduti di Mori, in fase di modellazione in creta.
Luigi Bombana nel suo laboratorio mentre plasma la grazia, l’innocenza, la gioia di vivere e la fiducia nel
futuro di questa umanità rinascente che ritrova la pace e gode finalmente dei suoi valori migliori, dopo le
tragedie della guerra. Questi due bambini, belli perché così devono essere, da collocare sul retro del
monumento ai caduti, tra le piante e i fiori del giardino e la fontanella gorgogliante d’acqua, sorgente di vita,
esprimono il pensiero lineare, puro, trasparente dell’artista creatore.
(foto Grigolfoto)
La foto nella pagina di presentazione raffigura un busto-ritratto di Luigi Bombana realizzata dallo scultore
Mariano Angelini.
Personaggi
ERNESTO BERRO
UN FORESTIERO APPASSIONATO
DI QUESTA TERRA GRESTANA
Pagina
Per far conoscere Ernesto Berro ai
giovani e non, affezionati lettori del
Campanò de San Giuseppe, dobbiamo
fare un tuffo nel passato, esattamente
nell’agosto 1937, quando per la prima
volta mio padre arrivò a Valle S. Felice
dalla pianura veneta, dove era nato e
viveva, per trascorrere una breve vacanza con la sua diletta Ginetta. Arrivò a Loppio con il trenino della MAR e,
percorrendo a piedi il sentiero di Scale,
arrivò alle prime pendici di questa valle
di Gardumo. Farsi conoscere dai suoi
abitanti gli fu facile poiché la sua Gina
YHQLYD LQ YDFDQ]D LQ TXHVWL OXRJKL ¿Q
da tenera età.
&RQ OD PDFFKLQD IRWRJUD¿FD 9RLJWOlQder immortalò all’istante le trincee di
San Vì, la croce di legno inserita nelle roccette con lo sfondo dei ruderi del
&DVWHO *UHVWD Y IRWRJUD¿D LO SRQWH
che collega la Rì a San Felice (v. fotoJUD¿DHVSULPHQGRFRVuODEHOOH]]DGHO
paesaggio che gli si presentava con il
rumore d’acqua, il verde pendio e la
conoscenza di questa gente semplice
Croce di legno di San Vì.
ma laboriosa.
6XO ¿QLUH GHJOL DQQL ¶ ULWRUQz LQ TXHVWD
valle ogni anno a Ferragosto. A quel tempo nessuno in paese era in possesso
GLXQDPDFFKLQDIRWRJUD¿FDSHUFLzLO*LJL*HQWLOLHUDVXELWRSURQWRDVXJJHULUJOL
immagini, date, appunti, racconti di tutto ciò che riguardava le vicende storiche.
Ernesto Berro confrontava e annotava, inserendovi altre notizie dategli da Filidea
Zanella, dal dott. Enrico Less, dal Gino Betin. È grazie a mio padre se possiamo
DPPLUDUHLQXQDIRWRLOURFFRORVLWXDWRVX¿QLUHGHOODSLDQDGLYLD&DPSDJQDDE-
63
di Maria Grazia Berro Girardelli
Personaggi
battuto per allargare una cava di marPRJLDOORYIRWRJUD¿D,OURFFRORHUD
simile ad un piccolo fortilizio costruito
su un dosso contornato di edera e robinie, dimora ideale per uccelli di passaggio, la cui cattura diventava facile
perché vi restavano impigliati fra le reti
e le frasche. Questo tipo di caccia era
permessa nei secoli scorsi ed i Castelbarco nella valle di Gardumo forse
ne possedevano più d’uno, ma ora ne
rimangono solo i resti con il contorno
basilare di sassi.
Ernesto Berro era sempre pronto alla
chiamata del Gigi e fu così che scattò con la sua fedele macchina una
foto in bianco e nero di una lastra di
Pagina
64
Ponte di “la Ri”. Anno 1937. Ginetta Stopazzola,
due sorelle Benoni, Amalia Gelmini, Elsa Finotti.
calcare con scolpiti grappoli d’uva e
spighe di grano che contornano una
croce greca. Questa pietra, di origine longobarda e risalente all’VIII
secolo, era un pluteo, cioè una balaustra dell’antica chiesa di Valle e
venne alla luce in seguito a scavi per
l’acquedotto eseguiti sul sagrato. Di
questa importante scoperta archeologica adesso solo le foto sono rimaste a testimonianza, in quanto il manufatto originale è “misteriosamente”
scomparso.
Negli anni ‘60, mio padre scriveva,
GD ¿QH H DFXWR RVVHUYDWRUH SHU OD
rivista “I Quattro Vicariati”, con gli
occhi di chi “venendo da fuori” sa
apprezzare la vita in queste vallate
Il roccolo di via Campagna.
Personaggi
Pagina
65
e raccontare le vicende storiche della
terra trentina.
Ancor oggi alcune famiglie di Valle
S. Felice conservano con cura, nello
scaffale a libreria delle proprie case,
alcune riviste che mio padre illustrava
per conoscere meglio la Val di Gresta.
La vacanza era breve ma intensa di
emozioni, ritornata al lavoro ricaricato
e pronto a proseguire con nuove ricerche sul proprio paese, Legnago,
capoluogo della bassa pianura veronese.
Tanti sono i libri da lui scritti su vari
argomenti, soprattutto storici, di cui gli
ultimi due stampati postumi.
A questo proposito, dal suo archivio
VRQR DI¿RUDWH GL UHFHQWH IRWR H LQWHressanti fogli descrittivi della chiesetta
di Sant’Anna di Valle, con annotazioni
particolareggiate, dategli da Filidea
=DQHOOD Y IRWRJUD¿D 3HU LO UHVWDXro degli affreschi, avvenuto nella primavera del 2001, sarebbero state di
grande aiuto.
Ai posteri di questo paesello, Ernesto
Berro ha lasciato inoltre le immagini
Anno 1949. Affresco della morte di Sant’Anna
di vita quotidiana e del giorno del patrono
nella chiesetta omonima a Valle S. Felice.
San Felice in un cortometraggio inserito in Internet nel 2010 in concomitanza
dell’uscita del libro di Alessio Less Valle S. Felice e la sua Famiglia Cooperativa
9DOOH6DQ)HOLFHDQQLVXZZZ\RXWXEHFRP
Il giorno 26 aprile di quest’anno è stata intitolata a suo nome una piazza di Terranegra di Legnago, dove mio padre ha vissuto per ben 40 anni.
Pagina
66
ƒÃÖ
ƒÃ
PAN
Pagina
67
Attualità
Attualità
INTERVISTE A MIGRANTI
Pagina
68
di Marco Cimonetti e Marco Falceri
A nostro avviso si impone l’urgenza di affrontare la questione dell’integrazione
anche a partire dall’attualità moriana. Nella nostra piccola borgata infatti vivono
persone provenienti da tutti i continenti del globo: questo può apparire molto
banale oggi, ma le migrazioni sono la “novità sociale” degli ultimi decenni e
bisogna comprenderla soprattutto da un punto di visto storico. I dati statistici
del resto confermano quanto appena affermato (cfr. L’immigrazione in Trentino –
Rapporto annuale 2012, curato da Maurizio Ambrosini, Paolo Boccagni e Serena
Piovesan, Collana Infosociale 45, Trento, dicembre 2012): gli immigrati residenti
in Trentino sono 50.708, oltre il 10% della popolazione, ripartiti equamente tra
XRPLQLHGRQQHQHOO¶XOWLPRDQQRVLUHJLVWUDXQÀXVVRLPPLJUDWRULR
in netta progressione (+4,3%) e relativamente alla Vallagarina i “nuovi nati” sono
VWDWLLQ¿QHODSUHVHQ]DGHJOLVWXGHQWLVWUDQLHULQHOOHVFXROHWUHQWLQHDPPRQWD
al 14.5%. Questi dati confermano, in linea con le tendenze registrate nel resto
del paese, che i “nuovi italiani” rappresentano e costituiscono di fatto una parte
considerevole del tessuto sociale.
Da qui l’idea di quest’inchiesta, elaborata a “quattro mani” e incentrata proprio
sul tema delle migrazioni, a completamento delle interviste sullo stesso tema
pubblicate sul numero precedente del Campanò. Si tratta di quattro interviste,
effettuate a migranti di prima e seconda generazione residenti nel Comune di Mori.
Non abbiamo avuto evidentemente alcuna pretesa di affrontare un argomento
così complesso in modo esaustivo, ma è stata nostra intenzione mettere in primo
piano alcuni frammenti di un fenomeno ineludibile del nostro tempo. L’obiettivo
è stato quello di evidenziare la “lunga durata” dei processi di integrazione nella
società globale. In un primo momento si è stabilito, per osservare la portata e la
complessità del fenomeno, di privilegiare gli aspetti del vissuto quotidiano, come
le abitudini e la vita comunitaria, adottando una prospettiva di indagine basata sul
confronto tra due generazioni di migranti. Successivamente, dopo aver preparato
una traccia comune, sono state effettuate in forma anonima quattro interviste a
migranti residenti nel Comune di Mori, sia di prima che di seconda generazione.
Il nostro contributo a tale discussione aperta intende suggerire tre atteggiamenti
fondamentali della ricerca di fronte al tema delle migrazioni. Per prima cosa è
necessario considerare l’integrazione in una prospettiva di “lunga durata” del
fenomeno migratorio, come abbiamo cercato di evidenziare attraverso le nostre
quattro interviste. Secondo, è inevitabile rilevare l’importanza di un fattore di
integrazione contingente ed “originario” come la lingua, perché la lingua non
è soltanto la tradizione, ma è ad un tempo l’esperienza integrante dell’abitare
H GHOO¶RVSLWDOLWj ,Q¿QH ELVRJQD VHPSUH YDOXWDUH OD ULFFKH]]D GHOO¶HVSHULHQ]D H
della testimonianza del migrante.
Attualità
Le testimonianze dei migranti sono una ricchezza non solamente economica ma
anche culturale, perché contaminano la nostra civiltà collettiva e si disseminano
in una molteplicità di viaggi, esperienze, racconti, fedi e credenze.
Quando e in che modo sei giunto in Italia?
Intervistato 1, uomo, 50 anni, del Pakistan. Arrivo in Italia molto tempo fa, nel
1981 ho lasciato il Pakistan, il mio paese, e sono andato in Libia dove ho lavorato
per circa tredici anni. Dopo sono andato per sei mesi in Inghilterra, a Manchester,
e in Olanda, ad Amsterdam, dove mi sono fermato per quattro anni a lavorare.
Sono arrivato in Italia nel 1998 prima a Bolzano e poi mi sono trasferito a Mori
per lavorare al ristorante Tre Pini, che nel dicembre 2012 ha chiuso. Ho cercato
lavoro come aiuto cuoco, ma allora non c’era un buono sfondo perciò mi sono
deciso per acquistare questo locale e ad iniziare questa attività. Certo, il Pakistan
mi manca, però adesso ho dei bambini, due nati in Pakistan e due in Italia, e vivo
con la mia famiglia qua, ai bambini piace andare a scuola e quindi stiamo molto
bene qua.
Pagina
Intervistata 3, donna, 50 anni, dalla Moldavia. Ci sono arrivata per forza, era
il 2004, c’era la crisi e non c’era lavoro. In Italia viveva mia sorella e volevamo
raggiungerla. Doveva arrivare prima mio marito per cercare lavoro, ma poi non
c’era lavoro per lui, allora mia sorella mi ha suggerito di venire perché come
badante c’era facilità di trovare un impiego. Così sono partita, e ho lasciato il
bambino che aveva due anni in Moldavia con mio marito. Il bambino è stato
là con lui per quattro anni, dopodiché sono riusciti a raggiungerci grazie a una
famiglia di Mori che ci ha dato una mano: ha trovato lavoro a mio marito, ci ha
aiutato a “fare le carte” e ci ha permesso di ricongiungerci. La prima volta che
VRQR DUULYDWD LQ ,WDOLD PL KD SRUWDWR TXD OD PD¿D FRQ XQD PDFFKLQD YHFFKLD
che si rompeva. Ci hanno dato un passaporto russo falso e ci hanno insegnato
in albergo qualche parola di russo per i controlli. La seconda volta mi hanno
rinchiuso in una scatola all’interno del furgone per tutto il viaggio. Prima di partire
ero molto preoccupata, perché quella è gente senza scrupoli che pensa solo ai
soldi. Avevo paura che invece di portarmi in Italia mi costringessero a lavorare
sulla strada o cose di questo genere. Inoltre, per fare tutto il viaggio in una scatola
¿QRLQ,WDOLDFLYROHYDQRFLUFDHXUR(URTXLQGLSUHRFFXSDWDGLSHUGHUHWXWWR
Quando gli chiedevo informazioni, prima di partire, loro mi rispondevano sempre:
“non al telefono”. Mi avrebbero concesso qualche sosta in “luoghi sicuri” dove
mi sarei sgranchita. Per fortuna sono arrivata. Che lavoro facevo in Moldavia?
Non facevo nessun lavoro. Accudivo mia madre che era malata, poi, dopo la sua
morte, sono stata con mio padre che ha sofferto molto. Mi sono sposata e ho
avuto un bambino con mio marito, ma non riuscivamo ad andare avanti, così mi
sono decisa a venire in Italia per cambiare il mio futuro. Soprattutto quello di mio
¿JOLR
69
Intervistato 2, uomo, 25 anni, dall’India del Nord. Sono in Italia da quasi dodici
anni. Sono arrivato nell’estate del 2002, mio padre era già qua che lavorava da
XQSR¶GLWHPSRFRVuKDFKLDPDWRDQFKHPLDPDGUHHL¿JOL6LDPRDUULYDWLTXDQGR
io andavo in quarta elementare.
Attualità
Intervistata 4, donna, 25 anni, Ucraina. Sono nata nella zona dei Monti Carpazi e
un bel giorno di dodici anni fa sono arrivata in Italia. I miei genitori sono separati.
Mia madre lavorava all’estero e aveva trovato opportunità di lavoro in Italia, così
dopo tre o quattro anni ha deciso di portare anche me e mia sorella. Ricordo
ancora il viaggio in automobile, lunghissimo e senza tappe. Ora del mio paese
d’origine mi manca tutto, per prima cosa la famiglia, anche se sto assieme a mia
sorella e a mia madre, il resto della mia famiglia è rimasto da un’altra parte. Mi
mancano anche le mie montagne, i Carpazi, che rispetto a queste montagne
VRQRPROWRSLEDVVHPROWRSLVHPSOLFLHPROWRSLXPLOL,Q¿QHPLPDQFDOD
semplicità della gente, che là è ancora molto contadina, mentre qui le cose girano
più in fretta.
Dove vai a fare la spesa e qual è la tua opinione sulla cucina italiana?
Intervistato 1. La spesa per casa la faccio al Dipiù, magari ai Supermercati
Trentini o alla Coop del Millennium Center. Mi piace cucinare e sono un cuoco.
A mezzogiorno con i bambini faccio sempre la cucina italiana, ad esempio una
pasta o una bistecca di pollo o qualcos’altro, la sera invece faccio la cucina del
mio paese, come il biriani che è una specialità molto rinomata a base di carne e
verdure. Cucino sempre piatti italiani, mi piacciono molto le lasagne e piacciono
anche a mia moglie e a mio padre.
Intervistato 2. Ehm, non vado mai a fare la spesa e mi manca anche la passione
per cucinare. Di solito a casa cucina sempre mia madre, sia piatti indiani che
italiani. La cucina italiana secondo me è buona, direi ottima, sana.
Intervistato 3. Faccio la spesa all’Eurospin o a volte vado al Poli. Solitamente
diamo un’occhiata ai prezzi e andiamo dove sono più convenienti. Mi piace la
cucina italiana e penso che sia migliore rispetto alla nostra perché è molto più
leggera. In Moldavia se dobbiamo fare da mangiare per una festa dobbiamo
iniziare a cucinare due giorni prima! Insalata russa, carne in gelatina, gli involtini
che sono i piatti tipici del mio paese. I miei piatti italiani preferiti sono la carbonara,
i crauti, lo spezzatino e lasagne.
Pagina
70
Intervistato 4. Solitamente, quando mi manca il sale o la pasta, vado a fare
la spesa alla Coop. La passione per cucinare c’è, ma è la voglia che spesso
manca. Quando mi capita di cucinare faccio da un classico come la pasta al
pesto o gli spaghetti aglio e olio, al borsch, che è appunto il piatto tradizionale
ucraino. Cerco di mantenere le mie origini anche nella cucina, ma ovviamente mi
sento anche abbastanza italiana da questo punto di vista. Quella dell’Italia è una
cultura culinaria molto varia e per me ancora tutta da scoprire.
Attualità
Come trascorri il tuo tempo libero?
Intervista 1. Mi piace trascorrerlo con la mia famiglia, non è possibile per me
mangiare fuori o andare da qualche parte senza di loro. Andiamo insieme
a trascorrere le vacanze o spesso prendiamo lshopping e i bambini vanno al
McDonald.
Intervista 2)LQRDTXDQGRIUHTXHQWDYROHVFXROHVXSHULRULDYHYRWDQWLKREE\H
giocavo spesso con gli amici a ping-pong o a pallavolo. Ora frequento l’università
a Trento, così ho meno tempo per dedicarmi a questi sport. Per un anno ho
giocato anche a calcio in una squadra, ma l’impegno era troppo perché prevedeva
almeno tre allenamenti a settimana e quindi ho lasciato. Adesso purtroppo con
l’università il tempo è poco e quindi faccio poco e niente.
Intervista 3. Sto a casa, pulisco e ascolto musica sia italiana che moldava che
UXVVD1RQJXDUGROD79PHQWUHL¿OPFKHLQ0ROGDYLDJXDUGDYRSLVSHVVRQRQ
riesco a vederli perché qua tra il bambino e il lavoro non trovo quasi mai il tempo.
Intervista 4+RGLYHUVLKREE\WUDO¶DOWURIDFFLRDQFKHGHJOLVSRUWWUDFXLLOFDOFLR
Principalmente trascorro il mio tempo libero insieme con gli amici … il classico
DSHULWLYR GHO PHUFROHGu R GHO VDEDWR VHUD D 5RYHUHWR LO ¿OP GD JXDUGDUH LQ
compagnia.
Guardi televisione?
Intervista 1. Sì, guardo il telegiornale. I miei bambini guardano quasi sempre i
cartoni animati o qualcos’altro in italiano. Nell’orario serale, dopo che mi cambio
i vestiti, solitamente guardo la TV per circa un’ora o mezzora, sia canali italiani
che del mio paese.
Intervista 2. La guardavo, adesso non è più come una volta che guardavo la TV
indiana e anche quella italiana. Da quando frequento l’università ho cambiato
ritmi, e di televisione ne guardo poca. Magari, se mi capita la sera ogni tanto
JXDUGRXQ¿OP0LSLDFFLRQRL¿OPG¶D]LRQH
Pagina
71
Intervista 4. Devo essere sincera, io non guardo molta televisione. Primo perché
QRQKRLOWHPSRVXI¿FLHQWHSHUJXDUGDUODVHFRQGRSHUFKpODWHOHYLVLRQHLWDOLDQD
non mi ispira particolarmente.
Attualità
Ci interessa sapere qualcosa sul tuo utilizzo della rete Internet.
Intervista 1. Ho l’abbonamento a Internet a casa, però non lo uso molto perché
non ho molto tempo. Lo uso per comunicare con i miei familiari all’estero.
Intervista 2. Sì, ovviamente lo uso, la maggior parte del tempo sono collegato
VXLVRFLDOQHWZRUNSHUzPROWHYROWHXWLOL]]RLQWHUQHWDQFKHSHUVWXGLDUHRSHUIDUH
ricerche.
Intervista 4. Uso spessissimo la rete Internet, anzi, sono praticamente sempre
FRQQHVVD1RQXVRVROWDQWR)DFHERRN6N\SHPDXVRDQFKHDOWULVRFLDOQHWZRUN
russi, ce ne sono due in particolare relativi alla zona ucraina, per mantenermi in
contatto e in modo abbastanza frequente con i miei amici.
La lettura.
Intervista 1. Mi piace leggere di tanto in tanto. Non leggo molta storia, di solito
leggo e studio la religione del Corano. Studio anche la Bibbia.
Intervista 2. Leggevo, ma da quando frequento l’università è cambiato tutto. C’è
stato un periodo in cui leggevo solo libri gialli.
Intervista 3. Leggere? Poco.
Intervista 4. Leggo spesso i giornali e spesso e volentieri i libri. Per quanto
riguarda i libri, tralasciando quelli che studio per gli esami all’università che
sto frequentando, ne leggo all’incirca uno ogni tre mesi. Sono molto vicina alla
letteratura del mio paese d’origine, mi piacciono tantissimo le poesie ucraine.
Il tuo rapporto con la religione.
Intervista 1. Il mio paese d’origine è per metà cristiano e per metà musulmano,
ed è così anche in molti altri paesi, in Pakistan non ci sono problemi di convivenza
e sono presenti sia le chiese che le moschee. Sono musulmano praticante e,
anche qua, per andare a pregare frequento i luoghi di culto, come la moschea di
Rovereto.
Pagina
72
Intervista 2. Diciamo che sono credente e praticante di un ramo dell’Induismo,
ovvero la religione del Sikhismo.
Intervista 3. Sono religiosa. Cristiano ortodossa, anche se in Italia mi sento più
vicina al cattolicesimo. Almeno io, mio marito non so. Le cerimonie ortodosse sono
molto più lunghe, sei ore sempre in piedi, e ti chiedono soldi in continuazione,
mentre qua si può andare in Chiesa anche solo per un’ora, a pregare. Vai
Attualità
volentieri, perché c’è un rapporto più intimo. Il messaggio religioso è uguale e
anche molte preghiere sono simili, ma mi trovo meglio con il modo di praticare la
religione qua in Italia.
Intervista 4. Di religione sono cristiana ortodossa perché sono nata in uno stato
ortodosso. Ma non ho un grande legame con la religione.
Hai frequentato scuole in Italia? Come hai imparato l’italiano?
Intervista 1. Inizialmente, quando sono arrivato in Italia nel 1998 sono andato a
scuola a Bolzano, una scuola solo di lingua. Dopo ho frequentato i corsi di italiano
all’istituto Don Milani di Rovereto. Ho appreso la lingua quando ho incominciato a
lavorare nei ristoranti insieme agli italiani, prima non capivo tutto al 100% ma negli
DQQLVRQRPLJOLRUDWRHRUDORFDSLVFRDEEDVWDQ]DEHQHQRQKRJUDQGLGLI¿FROWj
FRQODOLQJXDSHUTXDQWRULJXDUGDLOPLRODYRURWDOYROWDSHUzPLWURYRLQGLI¿FROWj
DGHVHPSLRLQXI¿FLRFRPHGDOO¶DYYRFDWR
Intervista 2. Sì, ho frequentato le scuole in Italia e mi sono trovato sempre molto
bene. Sono arrivato qua in quarta elementare se mi ricordo bene, o in terza, ho
fatto normalmente il mio percorso di studi e adesso studio alla facoltà di Economia
dell’Università di Trento.
Intervista 3. L’ho imparato per forza da sola a casa con un dizionario italianomoldavo. Me lo portavo a dormire sotto il cuscino e parola per parola, giorno
dopo giorno, sono migliorata. Guardare la TV aiuta un po’ e dopo tre settimane
già capivo tutto e poi lentamente ho iniziato a parlare. Non ho frequentato corsi di
italiano per stranieri perché lavoravo e non avevo tempo. All’inizio infatti ricordo
che è stata dura. Ad esempio una volta mi è successo un episodio curioso: stavo
accudendo un vecchietto che aveva 84-85 anni, ed ero appena giunta in Italia
e non parlavo ancora tanto bene l’italiano. Lui continuava a farmi domande: “di
dove sei? Quanti anni hai?” Io capivo tutto e gli rispondevo, quando ad un certo
SXQWRPLFKLHGHXQEDFLR$OORUDIDFFLR¿QWDGLQRQFDSLUHHJOLGLFRPDFRV¶qXQ
bacio? Allora lui si arrabbiò. Eh, avevo capito tutto.
Pagina
73
Intervista 4. Fino alla seconda media andavo a scuola in Ucraina, poi sono
arrivata in Italia per frequentare la terza media. Non è stato semplicissimo, prima
di tutto perché non conoscevo la lingua. Quando sono entrata a scuola alcune
cose mi erano del tutto nuove ed incomprensibili, come l’aula per la musica.
Le mie compagne di classe mi facevano dei bigliettini e cartellini con il disegno
del sole e con la didascalia per farmi comprendere le cose, anche i professori
mi hanno aiutato tantissimo e ho trovato massima disponibilità da parte loro.
Comunque, la scuola non penso sia facile neppure per un italiano.
Attualità
Che tipi di lavoro hai svolto in Italia?
Intervista 1. Da quando sono arrivato qui ho sempre svolto lavori nell’ambito
della cucina e della ristorazione. Nel mio paese d’origine invece non ho mai
lavorato perché studiavo.
Intervista 2. Da sempre io studio e basta, ma lavoro spesso anche, perché i
miei genitori hanno un’attività, un ristorante, dove talvolta faccio il cameriere ma
soprattutto sto alla cassa.
Intervista 3. Badante, donna delle pulizie. Mi piace stare con gli anziani e con i
bambini perché mi calmano e mi rilassano.
Intervista 4+RVHPSUHDI¿DQFDWRLOODYRURDOORVWXGLRHWXWW¶RUDFRQWLQXRDIDUOR
Ho fatto diverse stagioni estive, lavorando nell’ambito della ristorazione, ma ho
anche insegnato a dei corsi di aggiornamento l’uso di un programma per tenere
la contabilità. In questo periodo sto facendo l’interprete, faccio traduzioni.
La cittadinanza: cosa rappresenta per te, anche e soprattutto in relazione al
tema dell’integrazione?
Intervista 1. Essendo nato in Pakistan mi sento ancora oggi cittadino pakistano.
Nei prossimi mesi farò domanda per la cittadinanza italiana, visto che sono quasi
dieci anni che risiedo qua. Grazie a Dio ora è tutto a posto e in generale devo
dire che mi trovo molto bene qua. C’è molto rispetto, e non ricordo di aver vissuto
episodi negativi.
Pagina
74
Intervista 2. È una bella domanda. Io mi sento un italiano e tra un po’ di tempo
dovrei avere la cittadinanza italiana. In realtà è soltanto un documento, che tra
un po’ dovrei acquisire perché dopo dieci anni di soggiorno in Italia te lo danno,
anche se già da tempo devo ammettere che mi sento italiano.
Intervista 3. Io non ho la cittadinanza italiana, ho quella rumena. Da un punto di
vista pratico non cambia niente con quella italiana. Però, soprattutto per il bambino
che vivrà qua, sarebbe bello potesse avere la cittadinanza italiana, ad esempio
potrebbe andare a votare. Poi è molto importante avere le “carte in regola”, io
che i primi anni ero qui come clandestina lo so bene. Una volta sono andata a
chiedere informazioni alla polizia di Rovereto per far arrivare qua in Italia mio
¿JOLRHPLRPDULWR6RQRDQGDWDOuHQHOYLDJJLRGLULWRUQRLQFRUULHUDDYHYRSHUVR
almeno così pensavo, il passaporto e i documenti di soggiorno. Mi è cascato
il mondo! Cosa faccio? Senza quei documenti ero di nuovo nella situazione di
prima. Per fortuna, poche ore dopo, mi ha chiamato il negozio dove avevo fatto
la spesa il giorno prima dicendomi che avevano loro i miei documenti. Ero rinata!
3HU PH TXHOOR HUD WXWWR$GHVVR TXDQGR YDGR QHJOL XI¿FL JXDUGR VHPSUH GRYH
tengo i miei documenti.
Attualità
Intervista 4. Un conto è il discorso di essere considerata italiana, infatti mi
sento italiana e la cittadinanza è per me una “carta” che mi rappresenta, un altro
discorso però è quello di essere nata in un paese che non appartiene all’Europa,
come l’Ucraina. Questo è un aspetto davvero complicato, sia a livello istituzionale
che personale è dura. Nella mia esperienza di integrazione ricordo, ad esempio,
alcuni episodi di intolleranza. Quando ero appena giunta in Italia e frequentavo
la terza media, mentre mangiavo alla mensa scolastica, una compagna mi ha
insultata davanti a tutti. Ugualmente, se adesso lavoro in un bar, magari mi può
capitare di ricevere degli insulti non appena i clienti vengono a conoscenza della
PLD LGHQWLWj 3RL GHYR DPPHWWHUH FKH KR LQFRQWUDWR GLI¿FROWj QRQ VROR FRQ JOL
italiani ma anche con i miei connazionali. Perciò mi sono inevitabilmente adeguata
all’”italianizzazione”.
Ti interessi della vita economica e politica dell’Italia?
Intervista 1. Mi interesso delle questioni italiane e anche del Pakistan, adesso
però non mi sto interessando molto della politica italiana, ad esempio in fatto di
voto ancora non mi interesso.
Intervista 2. Mah, devo dire che la politica non mi interessa molto, l’economia
sì, e spesso leggo le notizie sui giornali locali come «L’Adige» e «Il Trentino».
Ultimamente però i personaggi della politica mi sono abbastanza indifferenti. Che
idea mi sono fatto della società italiana? L’Italia è proprio un bel paese, eh, a
parte la politica che non fa il suo lavoro e non sta andando molto bene negli ultimi
tempi. Speriamo che si riprenda! Personalmente mi sento più italiano che indiano
perché sono cresciuto qua e ho tutto qua.
Intervista 3. Si, ma non ho il tempo di seguirla, perché il calcio e i cartoni animati
monopolizzano lo schermo. Ma per il resto non ho un’idea particolare sui politici
italiani.
Intervista 4. Certo, tantissimo. Studio economia all’università. Attualmente
purtroppo non c’è una parte che potrebbe soddisfarmi a livello politico.
Tenendo conto della tua esperienza di migrante, ora ti senti abbastanza
integrato nella comunità locale?
Pagina
Intervista 2. Tanto, anzi tantissimo. Non ho mai avuto problemi né con gli enti
pubblici né con le persone che ho incontrato, forse nel tempo, ma è una cosa
che riguarda la mia esperienza che risale oramai a più di dieci anni fa, quando
WURYDYRGLI¿FROWjFRQODOLQJXD$GHVVRDQFKHVXTXHVWRDVSHWWRQRQKRSUREOHPL
75
Intervista 1. La mia famiglia, i miei bambini che hanno la possibilità di studiare, i
documenti qua. Sì, devo ammettere che io qua ho trovato l’equilibrio.
Attualità
Intervista 3. Sì, sto bene. Ogni tanto sembra di sì e ogni tanto un po’ meno.
Magari quando ti capita che sei lì che lavori, dai sempre tutto e ti senti dire:
“quella lì è venuta a rubare il lavoro”, o frasi simili, e ci rimani male, mi è successo
personalmente e ci sono rimasta male. Io non porto via il lavoro a nessuno!
Adesso con la famiglia per cui lavoro sto benissimo, ma ho lavorato anche in
altri posti e lì molte volte siamo tutti stranieri, stranieri, stranieri … Certo, sono
anch’io straniera ma non tutti gli stranieri sono uguali, anche tra i nostri ci sono i
buoni e i cattivi come tra gli italiani, e ogni tanto, quando ti dicono su solo perché
sei straniera, ci stai proprio male. Ma bisogna farsi coraggio e andare avanti.
Comunque, adesso che siamo a Mori ci troviamo bene. Considero casa mia sia
Mori che la Moldavia. Quando sono qua soffro perché i miei parenti rimangono
là, adesso che vado in Moldavia (ndr. l’intervistata parte il giorno seguente per
la Moldavia) mi preoccupo, perché lasciamo a Mori la famiglia per cui lavoriamo.
Per me adesso loro sono come una famiglia.
Pagina
76
Intervista 4%HKOHLVWLWX]LRQLWLSRVVRQRDLXWDUH¿QRDGXQFHUWRSXQWRFRPHOR
sport, i centri di accoglienza, etc. Ma secondo me il discorso sull’integrazione non
deve limitarsi soltanto alle istituzioni, perché bisogna intenderlo come qualche
cosa che possa regolare la persona, oltre la presenza delle istituzioni.
Album
DONNE E BAMBINI IN CODA
PER UNA CIOTOLA DI MINESTRA
FOTO D’ARCHIVIO DELLA
CITTÀ DI LUGO E DALLA
COLLEZIONE DI ANGELO BELLINI
Pagina
Nel corso della terza edizione della Ganzèga, quindi nell’autunno 1999, una folta
rappresentanza della città di Lugo di Romagna ricambiò la visita che pochi mesi
prima una delegazione di Mori aveva effettuato per riallacciare un legame di
VROLGDULHWjHG¶DPLFL]LDQDWRDOOD¿QHGHOODSULPDJXHUUDPRQGLDOH
L’argomento è stato più volte affrontato in questa rivista, per cui dò per scontato
che sia noto ai nostri cortesi lettori, invitando chi invece non conoscesse i motivi
di questa sorta di “gemellaggio” a leggere l’agile testo pubblicato per l’occasione
in coedizione tra Comitato Turistico Locale e la Biblioteca di Mori nel 1999. Si
intitola «La cucina economica di Lugo tra “le macerie e la miseria” di Mori (1919)»,
a cura di Aldo Miorelli e dello scrivente: riassume in poche pagine i motivi che
SRUWDURQRODVROLGDULHWjURPDJQROD¿QGHQWUROHFDVHGLVWUXWWHGHLPRULDQLDSSHQD
rientrati da un lungo esilio forzato in terre straniere.
Ricordo che proprio quando stavo per dare il “visto si stampi” alla seconda bozza,
XQ¶XWHQWH DELWXDOH GHOOD ELEOLRWHFD PL PRVWUz DOFXQH YHFFKLH IRWRJUD¿H ULVDOHQWL
alla grande guerra, provenienti da una raccolta privata lasciatale in eredità da
un parente scomparso da poco, di nome Marcello Marchiori: tra di esse, con
PLD JUDQGH VRUSUHVD WURYDL SURSULR XQD IRWRJUD¿D GHOO¶HGL¿FLR DSSRVLWDPHQWH
realizzato per ospitare la “cucina economica” generosamente donata dal Comitato
“Per Mori redenta” costituitosi a Lugo su sollecitazione di Giulia Montanari, una
donna straordinaria di cui abbiamo già scritto nel Campanò del 2009. Osservando
FRQDWWHQ]LRQHODIRWRJUD¿DHUDVWDWRIDFLOHWURYDUHDQFKHLOOXRJRHVDWWRRYHVL
WURYDYDODEDUDFFDHUDDSSRJJLDWDDOPXURGLFRQ¿QHWUDLOSLD]]DOHGHOO¶DXGLWRULXP
e l’Asilo Peratoner, quindi a pochi passi dalla biblioteca!
A quella prima foto (qui pubblicata a pag.79) che ritenevo essere unica nel
suo genere, è ora possibile aggiungerne altre tre inedite, scattate quasi di
certo nello stesso giorno e dal medesimo fotografo, di cui ora sappiamo pure
il cognome: Caravita di Lugo. Le ha trovate di recente la collega bibliotecaria
di Lugo, Ivana Pagani, la stessa che 14 anni fa avevo contattato per chiedere
maggiori informazioni sulla vicenda della “cucina economica”. Ben sapendo che
l’argomento è sempre d’attualità per la biblioteca di Mori, Ivana me ne ha subito
inviata copia via posta elettronica.
Grazie a questa seconda, fortunata circostanza, siamo ora in grado di mostrarvi
altre persone, soprattutto anziane e bambini, in paziente e rassegnata attesa di
77
a cura di Edoardo Tomasi
Attualità
Pagina
78
un mestolo di cibo caldo per alleviare i morsi feroci della fame. Si sa che la mensa
lughese aprì i battenti il 22 aprile 1919, con una distribuzione giornaliera di 500
UD]LRQLGLPLQHVWUDFXUDWDGDOOHVXRUHGHOO¶$VLORLQIDQWLOHFKHVRUJHYDOuD¿DQFR
come detto.
“Secondo il criterio seguito per l’assegnazione delle porzioni” - si legge in un
JLRUQDOHGHOO¶HSRFDLSULPL>VLF@DGHVVHUHEHQH¿FDWLIXURQRYHFFKLHHYHGRYH
bisognose del paese, ... le altre persone furono scelte tra le famiglie dei contadini
che, occupate unicamente ai lavori dei campi distrutti e devastati, non possono
ora godere di alcuna entrata pecuniaria sino ai prossimi raccolti.”
Molto interessante l’interno della cucina, con le grandi caldaie ed i secchi fumanti:
XQWRFFRGLJUD]LDIHPPLQLOHVLQRWDQHOPD]]RGL¿RULIUHVFKLPHVVLLQXQYDVR
appeso sotto un ritratto.
È assai probabile che tra i giovani “redenti” vi fosse qualcuno degli uomini o delle
donne che parecchi anni dopo si trovarono assieme alla tradizionale festa dei
FRVFULWWLIRUVHSHUULFRUGDUHHSLVRGLDYYHQXWLSURSULRLQTXHOSHULRGRFRVuGLI¿FLOH
e stentato.
$WWLQJHQGRDOODUDFFROWDIRWRJUD¿FDPHVVDJHQWLOPHQWHDGLVSRVL]LRQHGD$QJHOR
Bellini, collezionista e poeta di Mori, pubblichiamo una prima serie di foto di
gruppo di moriani riuniti nelle rispettive feste di classe, dal 1900 al 1915 (manca
solo la classe 1902).
Purtroppo non conosciamo i loro nomi e vi saremmo grati se ci aiutaste a dare
un’identità a queste persone. Chi riconoscesse un parente o un vecchio amico
GL IDPLJOLD R FRPXQTXH IRVVH DOPHQR LQ JUDGR GL GDWDUH TXHVWH IRWRJUD¿H FL
consentirà di proseguire le ricerche tuttora in corso. Basta rivolgersi in biblioteca,
lì c’è sempre posto anche per la vostra storia.
Pagina
79
Pagina
80
Pagina
81
Pagina
82
Pagina
83
Pagina
84
Pagina
85
Pagina
86
Pagina
87
Pagina
88
7XWWHOHIRWRJUD¿HTXLSXEEOLFDWHGDSDJDSDJ
provengono dalla collezione di Angelo Bellini.
La Pro Loco Mori Val di Gresta
ringrazia gli inserzionisti
per la loro sensibilità
Mori (Tn)
dal 20 settembre al 06 ottobre 2013
Scarica

Documento (File "Campanò 2013