esposizioni 29 a edizione 13-15 settembre 2013 pieve santo stefano ma la memoria non è in crisi eventi Piccolo museo del diario inaugurazione percorso multisensoriale realizzato dallo studio di interaction design dotdotdot domenica 15 settembre ore 12.00 performance Palazzo Pretorio Un museo che inaugura, inaugura la sua apertura. Ma se invece fosse chiuso? Chiuso come il Palazzo-diario che lo contiene? Allora bisognerebbe aprirlo a furia di berci, di picchiate sul portone, di implorazioni e imprecazioni. E fin qui tutto normale. Ma se chi bercia e picchia fosse anche lui chiuso, dentro al museo - chiuso - che si trova nel Palazzo-diario chiuso? Mario Perrotta Ci sono settemila storie di carta che diventeranno entro il 2016 settemila storie digitali. Chiunque nel mondo le potrà “richiamare” a sé con un computer o altro strumento tecnologico connesso in rete. Ma solo qui, a Pieve Santo Stefano, sarà possibile vivere una esperienza di immersione in questo fruscio degli altri che è stato il sottofondo di un pezzo di vita di Saverio Tutino e di noi che ogni giorno viviamo circondati, matericamente, da questo patrimonio di memoria che chiede solo di uscire da un cassetto per svolazzare leggero e libero in un’altra dimensione. Qui i visitatori saranno invitati a scoprire cassetti, memorie, diari segreti. Il Piccolo museo del diario non è che l’evoluzione naturale del progetto di digitalizzazione. Poiché i diari di Pieve saranno sempre indissolubilmente legati al luogo che li ha ospitati nel 1984, quel “Palazzo-diario che si apre sulla piazza a forma di libro” quel “luogo che ha scelto Tutino e non viceversa” come racconta Mario Perrotta nel suo “Il paese dei diari”, abbiamo voluto ritagliare qui, in uno spazio piccolo fisicamente ma grande di contenuti, il nostro museo che come l’Archivio evolve e cambia di anno in anno. La prima costruzione interattiva si inaugura a settembre ed è un omaggio alle anime dell’Archivio, quella fisica e quella digitale, quella fatta di suoni e di immagini, quella dei presenti e degli assenti. Sarà un’emozione che non vogliamo raccontarvi ma che vi invitiamo a scoprire con noi. in tema ma la memoria non è in crisi L’economia è in crisi, la politica è in crisi, la società è in crisi, la religione è in crisi: la memoria no, la memoria non è in crisi. La memoria è un bene rifugio, uno di quelli che mantengono sempre il proprio valore e lo accrescono persino, quando le cose vanno male. Quando non si ha più il coraggio di guardare al passato per misurarsi con i propri errori e al futuro, per timore di non riuscire a immaginarlo. Allora si setaccia la memoria in cerca di risposte sempre più difficili da trovare e noi, che abbiamo riserve piene di materiale prezioso, ci sentiamo ancor più in dovere di prestarlo, o regalarlo, a chiunque lo richieda. Accumuliamo e prestiamo memoria a interessi zero: questo è il nostro mestiere, lo facciamo da sempre e a prescindere dall’andamento dello spread. Ma non per questo pensiamo di non poterci migliorare con proposte che offrano alla memoria nuove prospettive di crescita. Così abbiamo concepito la 29esima edizione del Premio Pieve Saverio Tutino, come un’apertura del nostro mercato, un momento di incontro tra domanda e offerta: presenteremo gli investimenti in memoria che abbiamo sostenuto e vi rendiconteremo gli incassi (sempre in memoria) che abbiamo ottenuto e contiamo di ottenere nei prossimi anni. Ospiteremo le proposte di quanti operano in mercati complementari al nostro e daremo vita a joint venture in ogni settore: dall’editoria al teatro, dal cinema alla musica, dalla fotografia al turismo. Nell’economia del nostro Premio, è proprio il caso di dirlo, faremo circolare beni valoriali materiali e immateriali di ogni genere: da quelli tradizionalmente agganciati alla manifestazione e legati ai temi dell’autobiografia e dell’individuo, della storia dal basso e dell’identità collettiva, a quelli strettamente connessi con questa edizione. Alcuni più facilmente spendibili e godibili (scrittura visiva, maternità, alfabetizzazione, sport, gastronomia, digitalizzazione, politica, tecnologia) altri invece che esigeranno e ci costeranno una tensione emotiva profonda (femminicidio, Shoah, delinquenza). Venditori e acquirenti, protagonisti delle compravendite di memoria alla Borsa di Pieve Santo Stefano, saranno come da sempre le persone comuni che anche quest’anno porteranno in piazza le proprie storie di vita già divenute diari, memorie ed epistolari. Persone che continuano ad avvertire il bisogno intimo di raccontare di sé e di ascoltare gli altri. Alzate gli occhi da questo opuscolo e guardatevi intorno: vedete quante sono? Altro che crisi… progetti La memoria non è solo scrittura seminario di chiusura del corso di formazione ‘I linguaggi della memoria’ venerdì 13 settembre ore 14.00 Teatro Comunale intervengono Camillo Brezzi, Daniele Cinciripini, Pietro Clemente, Alessia Clusini, Samuel Webster, Maria Zamboni Da tempo ragioniamo sulle forme che la memoria assume e sui linguaggi con i quali si esprime. Grazie al Cesvot e all’associazione Promemoria abbiamo organizzato un corso di formazione per volontari della cultura che è stata un’ottima occasione per riflettere su alcuni di questi linguaggi, dai più classici ai più innovativi. Esperimento riuscito. Ci siamo occupati di memoria e fotografia con Daniele Cinciripini, memoria e video con Samuel Webster, memoria e social media con Alessia Clusini e memoria e mail art con Maria Zamboni. In ognuno dei laboratori, punti di partenza o di approdo sono stati la propria autobiografia o la rappresentazione di sé. Tiriamo le fila di queste sollecitazioni in un incontro che legherà ancora di più i linguaggi della memoria all’attività dell’Archivio dei diari grazie al coordinamento di Camillo Brezzi e all’intervento inedito di Pietro Clemente che ci parlerà di Facebook dalla sua personale angolatura antropologica. esposizioni La parola e il tempo Parola, immagine, pittura, segni e scrittura nell’arte venerdì 13 settembre ore 16.00 inaugurazione Tempietto del Colledestro fino al 15 settembre a cura di Anna Spagna Bellora e Silvia Colombo Una creazione artistica torna alla propria fonte di ispirazione. È quello che accadrà a Pieve Santo Stefano nei giorni del Premio, con l’allestimento della mostra ‘La Parola e il Tempo’, che trae ispirazione anche dal Lenzuolo di Clelia Marchi, simbolo ormai universalmente riconosciuto dell’Archivio diaristico nazionale e della sua attività di raccolta di materiale autobiografico. La mostra, che nel 2011 è stata esposta a Milano nella ex chiesa di San Carpoforo, è nata da un’idea di Anna Spagna Bellora ed è stata curata dal Centro di Ricerca dell’Accademia di Brera. L’esposizione ha chiamato a raccolta quattordici artisti che operano nelle ricerche verbovisuali e ciascuno ha realizzato un lavoro a tema, con un preciso stile personale accomunato da un supporto uguale per tutti: un lenzuolo bianco. Il tesoro dell’Archivio i manoscritti pervenuti al Premio Pieve Saverio Tutino venerdì 13 settembre ore 17.00 inaugurazione Palazzo Pretorio fino al 15 settembre a cura di Cristina Cangi La linfa vitale che scorre verso l’Archivio. Eccoli, i manoscritti. I diari, le memorie, gli epistolari. La selezione degli originali più interessanti che sono arrivati a Pieve Santo Stefano nel corso del 2013. Una mostra allestita per permettere al pubblico del Premio Pieve di osservare da vicino i “contenitori” che ciascun autobiografo ha scelto per conservare il racconto di sé: perché per la scrittura la forma è sostanza. Nella selezione dell’oggetto sul quale scrivere, nell’organizzare gli spazi, nelle scelte di cornice ciascuno di noi sta già raccontando se stesso. Soffermatevi a indagare la personalità di ogni autore mentre ammirate il veicolo che ha condotto la sua autobiografia fino ai vostri occhi. esposizioni Di me, attraverso gli altri fotodiario di Donata Pizzi venerdì 13 settembre ore 17.00 inaugurazione Palazzo Pretorio fino al 15 settembre Tra il 2008 e il 2009, tra la Bielorussia e il Brasile, tra una vita precedente e una futura: Donata Pizzi ha scattato fotografie quasi ogni giorno, per un anno, mentre attraversava il mondo e incontrava persone straordinarie. Quegli scatti, quelle persone, sono diventate ‘Di me, attraverso gli altri’, fotodiario al quale l’Archivio diaristico nazionale ha deciso di dedicare una mostra in occasione del 29esimo Premio Pieve. Un racconto personale articolato per immagini, istantanee di persone e luoghi che riflettono il momento di vita attraversato, e descritto, dalla fotografa. Perché le pratiche autobiografiche riescono a trovare le forme più inaspettate per affermarsi nella nostra quotidianità, affiancandosi e sovrapponendosi spesso alle espressioni più artistiche e creative che siamo capaci di rappresentare. in collaborazione con Promemoria progetti Tra cuore e ‘core business’ intervengono Guido Barbieri, Cinzia Esposito, Mario Perrotta, Gian Bruno Ravenni, Rossana Rummo venerdì 13 settembre ore 17.30 Teatro Comunale Esistono amministrazioni politiche che nonostante la crisi economica non tagliano le risorse destinate a investimenti nel settore della cultura. Vanno ringraziate. Le ringraziamo. Esistono fondazioni che nonostante la crisi economica non tagliano le risorse destinate a investimenti nel settore della cultura. Vanno ringraziate. Le ringraziamo. Esistono istituzioni culturali che nonostante la crisi economica non chiudono i battenti. Vanno ringraziate. Ci ringraziamo. Siamo riconoscenti a chi ha creduto e crede nell’Archivio dei diari: senza crediti di fiducia ed economici non saremmo qui a parlare di noi. Ma siamo anche consapevoli che senza la disponibilità a metterci in discussione, e a cambiare, oggi non saremmo qui a parlare di noi. È questo il messaggio che vogliamo lanciare al nostro mondo, a chi opera nei mercati complementari della cultura e dell’istruzione, dell’arte e dello spettacolo: non è vero che non esistono opportunità. Ci sono. Certamente sono ridotte rispetto alle stagioni dell’oro e degli sprechi. Certamente la selezione è più feroce. Certamente scoraggiano le opacità che mistificano i meccanismi premiali e meritocratici. Ma le opportunità nitide ci sono e bisogna avere la voglia e la generosità di andarle a prendere. Bisogna guardare avanti, e se lo dice un’istituzione che ha la propria ragion d’essere nella conservazione della memoria, c’è da fidarsi. Piedi saldi piantati nel passato, testa concentrata sul presente, sguardo irremovibile rivolto al futuro. E ascoltare sempre il cuore. Nel nostro dna, nel dna che ci ha trasmesso il nostro fondatore Saverio Tutino, c’è questa impostazione: siamo consapevoli di averla sublimata nel progetto ‘Impronte digitali’, in quello che è diventato il “core business” dell’Archivio negli ultimi anni e per i prossimi anni. Un giorno, e non senza travagli, abbiamo capito che la nostra missione si era evoluta. Dovevamo estendere il più possibile l’accessibilità alle fonti, per renderle fruibili a chiunque lo desiderasse, riducendo al minimo i rischi di deterioramento da consultazione per le testimonianze. Quindi digitalizzazione. Quindi condivisione in rete. Quindi ‘Impronte digitali’. Abbiamo trovato competenze e sensibilità pronte a promuoverci e abbiamo percorso un lungo cammino per incontrarle. Archivi, musei, biblioteche, teatri, cinema, gente di cultura: non è più tempo di restare immobili. C’è da ascoltare il cuore, c’è da mettersi in discussione, c’è da mettere a fuoco qual è la propria missione e qual è il proprio “core business”. Per poi investirci tutti se stessi. progetti Ciak! Si gira il Memory Route videopresentazione del progetto di turismo esperienziale e storytelling che diffonde il territorio aretino portandone la memoria sul web venerdì 13 settembre ore 20.00 Chiostro asilo infantile Umberto I Ve lo abbiamo anticipato e accennato, presentato e fatto conoscere, promesso e fatto desiderare: ora vi ci sbattiamo dentro. Letteralmente. Anzi: emotivamente. Allentate i nodi delle cravatte (ammesso che qualcuno le porti al Premio Pieve!) slacciate i polsini e tiratevi su le maniche delle camicie: mettetevi seduti, rilassatevi e gustatevi il buon cibo toscano mentre vi godete il video di presentazione del ‘Memory Route’, il progetto di turismo esperienziale che coinvolge direttamente l’Archivio dei diari insieme ad altre due realtà del territorio della provincia di Arezzo riconosciute per il loro patrimonio di tradizioni e di memoria. Partendo da Pieve Santo Stefano e arrivando fino al Comune di Terranuova Bracciolini, passando per la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, il ‘Memory Route’ celebrerà un’area storicamente lontana dal turismo di massa della Toscana, un punto d’arrivo per chi cerca e vuole vivere la vera tradizione, attraverso gli occhi della comunità locale. La valorizzazione dei patrimoni culturali esistenti è concepita attraverso l’offerta di pacchetti turistici esperienziali, che vanno dall’artigianato all’enogastronomia, dall’arte alla cultura fino alla natura. I visitatori saranno guidati alla scoperta di vecchie botteghe artigiane, luoghi di soggiorno dal sapore tradizionale, racconti di mestieri e famiglie contadine, assaggi di prodotti antichi e caratteristici. I social network e il web avranno una duplice determinante funzione nel progetto ‘Memory Route’: da una parte saranno il mezzo che ci permetterà di raggiungere un pubblico vasto, fruitore dei social media, dei blog, delle community online. Dall’altra saranno il veicolo tramite il quale la comunità e le eccellenze locali diventano accessibili alla comunità globale. Per condurvi emotivamente all’interno di questo progetto abbiamo realizzato un video promo che illustra la ‘Route’, e che vi presentiamo oggi così da accompagnarvi tra le piazze e i vicoli di Pieve, Terranuova e Anghiari per farvele conoscere più da vicino. Vi accompagneremo poi anche all’interno degli altri elementi che caratterizzeranno l’esperienza turistica: i siti culturali, l’artigianato, la natura, il cibo. Infine passando per lo storytelling e le interviste che abbiamo realizzato alla comunità locale, condivideremo con voi il nostro concetto di passaggio da locale a globale. Siete pronti per partire insieme a noi? Allora cosa aspettate, slacciatevi le cravatte... buffet a cura de ‘Il Ghiandaio’ prenotazione obbligatoria cinema e autobiografia Tutto parla di te un film di Alina Marazzi venerdì 13 settembre ore 21.30 Teatro Comunale saranno presenti Alina Marazzi e Gianfilippo Pedote Bisogna avere coraggio per realizzare un film che sproni a una riflessione critica sul “dogma della maternità”, inteso come implicita accettazione positiva da parte della donna del divenire madre mettendo al mondo un figlio. Vuol dire accendere un confronto su un tema che esiste, probabilmente da sempre, ma del quale per comodità si tende a non parlare. Non lo fanno gli uomini, non lo fanno le donne: sembrerebbe di minare quanto di più conclamato ci possa essere su questa terra da un punto di vista affettivo, istintuale, persino etico e morale. Lo ha fatto Alina Marazzi, portando nelle sale dei cinema italiani ad aprile 2013 la pellicola ‘Tutto parla di te’, prodotta dalla Mir Cinematografica, assumendosi la responsabilità di dire ancora una volta che di conclamato nella vicenda umana e femminile non c’è nulla, neppure la maternità. Un’opera nella quale la regista ha alternato finzione narrativa e documentario, elemento fin qui caratterizzante del suo percorso artistico, proseguendo l’approfondimento di temi assonanti quali la condizione della donna, in ‘Vogliamo anche le rose’ del 2007, e la relazione tra madri e figlie in ‘Un’ora sola ti vorrei’ del 2002. Sempre in tema di continuità, l’Archivio dei diari è orgoglioso di poter vantare un ruolo attivo nel concepimento di questa pellicola, ispirata anche da una ricerca effettuata sulle testimonianze autobiografiche conservate a Pieve Santo Stefano: si va così consolidando un sodalizio culturale che ha raggiunto il massimo livello espressivo proprio con il film-documentario ‘Vogliamo anche le rose’, nel quale la regista ha raccolto le voci in soggettiva di tre donne attraverso i loro diari tratti dall’Archivio, per raccontare la rivoluzione vissuta e realizzata dalle donne negli anni Sessanta e Settanta. Ma di buone ragioni per pensare che il meglio debba ancora arrivare, ce ne sono molte: «Da quando sono stata per la prima volta all’Archivio dei diari di Pieve nel lontano 2003, invitata a presentare il mio ‘Un’ora sola ti vorrei’ – ha dichiarato recentemente la regista - l’Archivio è diventato uno dei miei luoghi del cuore, un passaggio – volutamente e piacevolmente – obbligato, ogni qualvolta concludo un film e ho in testa di iniziarne uno nuovo». Intanto la 29esima edizione del Premio Pieve ha il piacere di presentare ‘Tutto parla di te’, un film in cui si racconta la storia di Pauline (Charlotte Rampling) che, bambina, ha vissuto la depressione e la perdita della madre, e di Emma (Elena Radonicich), ragazza alle prese con una maternità difficile. Queste due donne sono destinate a incontrarsi: Pauline è tornata a Torino, alla Casa del quartiere, per proseguire delle ricerche iniziate anni prima… diari che diventano libri Lasciato nudo e crudo incontro con Castrenze Chimento, Duccio Demetrio, Nadia Frulli, Nicola Tranfaglia sabato 14 settembre ore 9.30 Teatro Comunale letture di Andrea Biagiotti Siciliano di Alia e analfabeta, Castrenze Chimento ha reso sublime il valore della scrittura e della testimonianza autobiografica quando, varcata la soglia dei settantaquattro anni, ha deciso di iscriversi presso la Scuola Media “Antonio Ugo” di Palermo per istruirsi e realizzare il sogno di mettere nero su bianco la storia della propria vita. Ha compiuto così un gesto potente ed emblematico che ha schiuso i contenuti di una vicenda umana delicata e dolorosa, nella quale si narra delle sofferenze patite da un bambino cresciuto nella provincia di Palermo negli anni a cavallo tra lo scoppio e la fine della seconda guerra mondiale. Castrenze ha visto precipitosamente disgregarsi il proprio nucleo famigliare ed è stato costretto a intraprendere lavori disumani e faticosi, come garzone e come badante del bestiame, alla mercé di padri-padroni che non hanno esitato a somministrare ogni sorta di violenza nei suoi confronti. La sua vita è stata una catena di sofferenze proseguita con l’esperienza della emigrazione e della microcriminalità, spezzata solamente grazie alla forza d’animo di un uomo che sin da giovane, pur nelle avversità, non ha mai permesso che l’odio e il rancore divenissero sentimenti preponderanti. Con il passare degli anni Castrenze è riuscito a individuare e intraprendere la propria strada: ha lasciato Alia per Palermo, poi ha trovato lavoro a Milano e infine in Germania e non più nell’agricoltura, ma come operaio in una industria alimentare. Infine, negli anni Settanta, il ritorno a Palermo dove vive tutt’ora. La scrittrice Evelina Santangelo, prefatrice dell’opera, ha colto nell’autobiografia di Chimento “un tale sentimento più vasto della vita che non fa mai cadere la narrazione nel rancore e nella recriminazione”. ‘Chimento Castrenze, Nudo e crudo’ videofilm di Nosrat Panahi Nejad con Castrenze Chimento e Franco Scaldati da sabato 14 settembre Palazzo Pretorio Sala proiezioni diari che diventano libri L’espresso di mezzanotte presentazione delle memorie di Andrea Luschi con Giuseppe Casadio, Patrizia Di Luca e Bruno Ugolini sabato 14 settembre ore 11.00 Logge del Grano letture di Grazia Cappelletti Andrea Luschi, toscano, macchinista delle ferrovie, ha vinto il Premio LiberEtà, XV edizione, rievocando in maniera efficace e suggestiva l’antico mondo dei ferrovieri e le sue trasformazioni. Quindici quadri, “piccole preziose tracce di vita” in cui si muovono personaggi molto diversi fra loro, attratti dalla magia del treno. Storie “impastate con la ghisa”, proprio come Dighedò, il vecchio macchinista della locomotiva a vapore. E di personaggi ne incontra molti Andrea Luschi nel lungo viaggio sui binari della memoria: fra treni e vaporiere spunta Gemisto, il macchinista-pugile, detto anche Resisto per via di un incontro di boxe finito male; il campione di scacchi che fra una stazione e l’altra intavola partite “volanti”; la Biondina; la figlia del casellante; Ceppo detto così per le sue “fisime sul freno”; Bùccica con il suo eterno “mezzo toscano”; Cencio che “scandisce la giornata seguendo il traffico dei treni” e che muore per aver lanciato un sasso contro il treno del re. C’è il ciclista in fuga che con la complicità del casellante, ruba qualche minuto di vantaggio al gruppo grazie al sopraggiungere del treno al momento giusto, il giorno che il Giro d’Italia transita da quel passaggio a livello. E poi c’è Nello, il macchinista del primo Pendolino, la cui vita è completamente dedita alle ferrovie, vittima di un destino beffardo... Un mondo reale che tuttavia si concede all’immaginazione e alla fantasia. La vita dentro e intorno alle stazioni brulica di storie, mentre i treni vanno su e giù per il Paese, un mondo che si muove “con” e “attorno” al treno e che assieme al treno si trasforma. LiberEtà e Archivio diaristico hanno avviato una collaborazione dal 1998. primapersona primapersona Campioni fra le righe intervengono Oliviero Beha, Daniele Cinciripini, Simona Ercolani, Anna Iuso, Stefano Pivato sabato 14 settembre ore 12.00 Logge del Grano Lo sport è una miniera di Storie, proprio di quelle con la “s” maiuscola. Persone che si misurano con altre persone, persone che si misurano con dei record, persone che si misurano con se stesse. A livello agonistico o amatoriale, nella dimensione pubblica o privata, poco importa: dietro a qualunque gesto sportivo è rintracciabile un tentativo di misurazione dell’“io”, il principio di un’interlocuzione intima che comincia con la presa di coscienza del proprio perimetro di azione, delle capacità e dei limiti del proprio corpo. Non per caso, allora, il passo tra l’attività sportiva e la pratica autobiografica si rivela spesso tanto breve. Intorno a questa relazione così stretta e sorprendente è stato costruito il ventisettesimo numero di ‘Primapersona’, il semestrale edito dall’Archivio diaristico. ‘Campioni fra le righe’: è questo il suggestivo titolo di un’edizione che offre assaggi inediti del materiale documentaristico conservato in Archivio, contributi originali su alcuni dei campioni più amati e ammirati degli ultimi anni e su alcuni degli eventi storici che hanno contribuito ad accrescere il valore intrinseco dell’attività sportiva. Tra i molti che si sono dilettati a raccontare di sport, pur non essendo protagonisti della vita pubblica, alcuni hanno lasciato traccia di sé nelle memorie e nei diari di Pieve: sono autori di testimonianze che ci porteranno a vivere con angoli visuali inconsueti le Olimpiadi di Tokyo del 1964, il Giro d’Italia del 1987, la drammatica parabola di Gilles Villeneuve, la sfida sportiva dei disabili (e delle biografie dei campioni paralimpici, oggetto di studio per chi si occupa di disabilità). Ma c’è anche spazio per affrontare i temi del riscatto attraverso l’attività pugilistica, di interrogarsi sul valore identitario della passione per una squadra di calcio, di riflettere sulla proliferazione di autobiografie e biografie di successo che immortalano l’epica dei campioni più famosi. Idoli che purtroppo possono subire incidenti tragici, come quello che ha strappato la vita al campione di motociclismo Marco Simoncelli, il “Sic”. E ancora: la passione di Pierpaolo Pasolini per il calcio, il ritratto del “degasperiano” Gino Bartali, le architetture sportive nei regimi totalitari, il ruolo dell’Ymca in Etiopia, il nuovo Brasile alla vigilia dei mondiali e il Messico della storica rassegna del 1970. Il numero è corredato da immagini fotografiche scelte da Daniele Cinciripini, grazie anche al contributo di ‘Urbanautica’, selezionate con una open call internazionale dedicata esclusivamente al tema della rivista. diari che diventano libri Storie di una malavita incontro con Nicola Maranesi e Valia Santella sabato 14 settembre ore 15.30 Logge del Grano letture di Andrea Biagiotti La periferia e la povertà, le umiliazioni e gli espedienti, il collegio e il carcere minorile, i piccoli furti e i raggiri, le rapine e la galera, la famiglia e le donne, i figli e l’amore, l’odio e la droga, la violenza e i soprusi, la legge e le ingiustizie, i viaggi e le evasioni… L’elenco potrebbe proseguire a lungo: nell’autobiografia di Claudio Foschini, ‘In nome del popolo italiano’, ‘Il Mulino’, c’è tutto questo e molto altro. Una memoria scritta di getto in un anno e sei mesi dal luogo in cui l’autore, poco più che quarantenne, aveva trascorso gran parte della propria vita: la prigione. Miniera di spunti. La narrazione di sé di questo ladro, nato e cresciuto tra Roma e gli istituti di pena di tutta Italia, ha destato interesse ed entusiasmo per molte ragioni: la schiettezza del racconto, la veridicità della testimonianza, la valenza documentale delle descrizioni, la stessa inclinazione per la pratica autobiografica. Il trascorrere degli anni - Foschini vince ex aequo il Premio Pieve nel 1992 - ha reso ancor più articolato questo elenco, offrendo ai lettori di oggi due ulteriori motivi di riflessione nell’approccio alla lettura. Il primo è drammatico: Claudio è morto. Nel 2010, nel corso di una rapina, colpito da un proiettile, alle porte della Capitale. Un finale scontato per chi diffida dall’umana capacità di redenzione. Un epilogo inconcepibile, per chi la pensa all’opposto e intravede nella stesura di una memoria un primo tangibile segnale di cambiamento di una persona alla ricerca di sé, gesto primordiale di un “io” che torna a misurarsi per mezzo di un’unità primaria. Con la sua scomparsa, suo malgrado, Foschini ha sollevato interrogativi che impongono un’indagine alla collettività. Il secondo motivo di riflessione che scaturisce dalla lettura di questo libro nell’anno 2013 è di natura scientifica: il dilatarsi della prospettiva temporale consente di mettere a fuoco con maggiore precisione la valenza storica, sociologica e antropologica della testimonianza. La traiettoria personale disegnata da Claudio ha valenza interpretativa, parziale ma rappresentativa, di fenomeni quali la nascita e l’evoluzione della delinquenza organizzata nei contesti urbani dell’Italia tra gli anni ’60 e ’70, l’affermazione e la diffusione dello spaccio e del consumo di droghe tra i giovani e nei ceti meno abbienti, il peggioramento e la degenerazione delle condizioni di vita della popolazione carceraria italiana. ‘In nome del popolo italiano’ film documentario (I diari della Sacher, 2001) di Valia Santella con Claudio Foschini da sabato 14 settembre Palazzo Pretorio Sala proiezioni diari che diventano libri Tirai su di lei per troppo amore incontro con Lisa Ginzburg e Cristina Scaletti sabato 14 settembre ore 17.30 Logge del Grano letture di Mario Perrotta “Tirai su di lei per troppo amore e tirai con un velo nero dinanzi agli occhi” scrive il pittore salentino uxoricida dalla sua cella di prigione della Santé alle sorelle che si trovano a Gallipoli. Il pittore Forcignanò, nato nel 1862, emigra in Argentina in cerca di una fortuna difficile. Là incontra e sposa, nel 1910, Rosa, una brillante giornalista, autrice di testi per l’infanzia, che verrà inviata a Parigi come corrispondente de ‘La Prensa’. Giuseppe è felice di seguirla sperando invano che la capitale francese porti anche a lui successo e riconoscimento. Ma la mattina del 17 febbraio 1914, accecato dalla gelosia, uccide la moglie con due colpi di fucile. Rinchiuso in carcere, costretto per quattro anni ai lavori forzati, con una salute precaria, soccombe alle condizioni detentive, nonostante la commutazione di pena per buona condotta e un’intravista imminente libertà. Dal carcere scrive lettere alle sorelle lontane fino a poco prima di morire, chiedendo perdono e cercando di comprendere la follia del suo gesto. Le lettere del pittore, ritrovate da un appassionato collezionista di documenti storici suo conterraneo, sono arrivate al Premio Pieve nel 1988 e sono state finaliste di quella edizione. Pubblicate oggi nella collana ‘Autografie’ (Forum edizioni) offrono uno spunto interessante, da un’angolazione particolare e da un tempo remoto, per parlare di femminicidio. E raccontano più per il non detto che per il detto, perché dalle ricerche di Maurizio Nocera e dalla sua passione per il “documento storico” emerge una verità parallela che spesso i documenti portano in luce, svelando segreti. il teatro della memoria Se non sarò me stesso Diari e volti dalla Shoah compagnia Teatro dell’Argine sabato 14 settembre ore 21.15 Teatro Comunale con Giada Borgatti, Micaela Casalboni, Lea Cirianni, Deborah Fortini, Ida Strizzi drammaturgia Nicola Bonazzi, Azzurra D’Agostino, Vincenzo Picone regia Andrea Paolucci C’è Dora, polacca, studentessa di medicina a Bologna deportata ad Auschwitz: sopravvivrà perché “medico”, costretta a scegliere quali delle sue compagne mandare a morte e quali invece tentare di curare. C’è la piccola Ave, reclusa nel campo di smistamento “Neue Heimat” a Dresda con tutta la famiglia, dove, nonostante tutto, continua a gioire della vita, con innocenza e ostinazione. C’è la tenace Bianca, partita da Napoli per rifugiarsi sui monti dell’Abruzzo, dove perderà buona parte della famiglia in una notte di bombardamenti. C’è l’anglo-italiana Fanny che, dopo la liberazione dal campo tedesco di Biberach, torna in un’Italia che non riesce più a riconoscere. C’è Fiorenza, adolescente agiata in fuga per mezza Europa nell’attesa di ricongiungersi al padre Oscarre, deportato a Mauthausen. C’è Adelina, brillante avvocato parmense, che riesce a fuggire in Palestina con il marito Ettore prima che tutto precipiti, andando incontro ad anni di sacrifici e privazioni. Eccole, ve le abbiamo presentate. Chi sono? Sono donne. Sono donne che hanno scritto storie. Sono donne che hanno scritto storie di chi ha vissuto in prima persona la Shoah. Sono donne che hanno scritto storie di chi ha vissuto in prima persona la Shoah raccontandola attraverso i propri diari. Sono donne che hanno scritto storie di chi ha vissuto in prima persona la Shoah raccontandola attraverso i propri diari e ispirando lo spettacolo teatrale che state per vedere. ‘Se non sarò me stesso. Diari e volti della Shoah’ è opera della compagnia Teatro dell’Argine, per la regia di Andrea Paolucci, in collaborazione con l’Archivio diaristico nazionale. È il desiderio di offrire un nuovo strumento di espressione a chi ha già trovato il coraggio, spesso dopo molti anni, di riversare su una scrittura intima e privata il carico degli orrori e dei dolori lungamente repressi, primo passo di un complicato percorso di confronto con se stessi e con gli altri sulle esperienze vissute. Nella resa delicata e fedele del passaggio dalla scrittura intima alla rappresentazione teatrale tutto il valore aggiunto di uno spettacolo che, per stessa definizione della compagnia Teatro dell’Argine, non vuole essere spettacolare. È il teatro che si mette al servizio di sei storie e fa posto a sei donne, alle loro parole, ai loro volti, alle loro vite in qualche modo ripartite dopo quelle atroci violenze. * a seguire Natalia Cangi incontra Daniele Finzi curatore del volume ‘Parole trasparenti’ (Il Mulino, 2013) di Ettore Finzi e Adelina Foà, vincitore del Premio Pieve 2011, da cui è tratta la storia di Adelina leggere e scrivere diari La commissione di lettura incontra i diaristi della lista d’onore domenica 15 settembre ore 9.30 piazzetta delle Oche coordina Natalia Cangi interventi musicali Pieve Jazz Big Band letture di Donatella Allegro, Andrea Biagiotti, Grazia Cappelletti Ester Biselli scelta da Natalia Cangi Fernando Guidi scelto da Gabriella Giannini Antonia Mertoli scelta da Rosalba Brizzi e Ivana Del Siena Roberta Mugnai scelta da Riccardo Pieracci e Giada Poggini Marisa Nigri scelta da Valeria Landucci Monica Ortale scelta da Luisalba Brizzi e Patrizia Dindelli Giuseppina Paloni scelta da Irene Napoli Consegna dei premi speciali ai diaristi Premio speciale ‘Giuseppe Bartolomei’ attribuito dalla Commissione di lettura, ex aequo Albina Biondi – Diletto Manzini ‘Cara Uranina’ epistolario 1889-1899 Giuseppe da Prato ‘Ai tempi dell’Ancien Régime’ memoria 1757 -1777 Premio per il miglior manoscritto originale Antonino Sammartano Domani ti scriverò più a lungo epistolario 1922-1927 Dalla collaborazione con il Museo dell’Emigrante (Repubblica di San Marino) nasce il progetto ‘Due Paesi: esperienze comuni, memorie condivise’ ne parlano On.le Giuseppe Morganti e Patrizia Di Luca Un progetto che mette in rete tre territori toscani per dar voce ai diari di migranti. ‘Di.M.Mi – Diari Multimediali Migranti’ creerà presso l’Archivio di Pieve Santo Stefano un fondo speciale per accogliere queste storie ne parlano Lorella D’Apporto e Alessandra Landucci segue pranzo folcloristico a inviti a cura dell’Agriturismo ‘Le Ceregne Bio’ memorie in piazza otto racconti autobiografici manifestazione conclusiva del 29° Premio Pieve Saverio Tutino Guido Barbieri incontra i finalisti 2013 Filiberto Boccacci per Filiberto Boccacci Maria Sofia Fasciotti Daniela Leo per Francesco Leo e Anna Maria Marucelli Luca Mefalopulos per Adriano Andreotti Vittoria Pasquini per Valerio Daniel De Simoni Ezio Sartori per Francesco Sartori Rosario Simone Marco Vinci per Donato Vinci ospite d’onore Vinicio Capossela che riceve il Premio Città del diario 2013 interviene Francesca Borri Premio Tutino Giornalista 2013 letture di Mario Perrotta e Paola Roscioli con le musiche dal vivo di Marco Paganucci e Maurizio Pellizzari regia di Guido Barbieri la manifestazione sarà trasmessa da Radio 3 diretta streaming intoscana.it live twitting #premiopieve domenica 15 settembre ore 16.15 piazza Plinio Pellegrini Premio Tutino Giornalista «I giovani dovrebbero essere destinati per legge a governare nei momenti di crisi come quelli che viviamo. Così il futuro sarebbe garantito come portatore di automatici miglioramenti nell’esistenza dell’umanità». L’Archivio dei diari non ha la possibilità di realizzare il provocatorio desiderio espresso dal suo fondatore, Saverio Tutino, in un editoriale di evidente attualità pubblicato dalla rivista “Lettere” al tramonto del secolo scorso. Possiamo però offrire un riconoscimento simbolico e prestigioso, in nome di Saverio, a quei giovani invocati in soccorso e insieme chiamati ad assumersi le proprie responsabilità. Saverio è stato uno dei più grandi giornalisti italiani, icona di un mestiere tra i più seducenti per le nuove generazioni di tutte le epoche in età contemporanea. Questo mestiere oggi in declino, vituperato e insultato nell’esercizio e nella percezione, può contare ancora su sorprendenti interpreti: talentuosi, estrosi, generosi. Giovani. A loro, a partire da quest’anno, sarà rivolto il Premio Tutino Giornalista destinato a “Un giovane giornalista emergente curioso del mondo e delle persone che lo abitano”. A Francesca Borri, freelance in Siria, verrà attribuito per la prima volta domenica 15 settembre. Venite a conoscerla. Premio Città del diario «Ho visto per la prima volta questo lenzuolo con la storia scritta sopra, nel 1996, esposto e custodito dal prezioso archivio dei diari di Pieve Santo Stefano. Era forse il pezzo più esplicativo e simbolico dello spirito dell’archivio. Il compianto comandante Saverio Tutino, dà una bellissima versione del suo arrivo nella prefazione alla prima edizione pubblicata del diario. L’archivio (da lui, all’epoca, diretto) porta avanti da anni la missione di raccogliere memoria. Raccoglie diari di chiunque voglia donarli, senza distinzione di lingua, di Paese, di grado di acculturamento. La cultura va dispersa non solo con il patrimonio dei grandi, ma con quello dei piccoli, degli umili, dei molti». È uno stralcio di un recente articolo che Vinicio Capossela ha dedicato a Clelia Marchi, a Saverio Tutino e all’Archivio dei diari dalle colonne della Domenica del Sole 24 Ore. Basterebbero queste poche parole, emblematiche per come sintetizzano il senso di quanto avviene a Pieve Santo Stefano da quasi 30 anni, per attribuire a questo artista universale il Premio Città del diario, che dal 2005 destiniamo a “Una personalità del panorama culturale che si sia distinta per la sua attenzione ai temi della memoria”. Basterebbero: ma c’è molto altro, e c’è una sorpresa. Venite a scoprirla domenica 15 settembre. diari Patrie ingrate memoria 1932-1967 Adriano Andreotti nato a Pieve a Nievole (Pistoia) nel 1907, morto nel 1970 Quando Adriano Andreotti scrive le sue memorie è da poco rientrato in Italia dalla Libia. Era partito trent’anni prima, come tanti italiani influenzati dalla propaganda fascista e spinti dalla necessità di assicurare un avvenire alla propria famiglia, andati in cerca di un’occasione di vita. In eterna contraddizione con me stesso, sono sempre stato il contrario di quello che avrei voluto essere, sono sempre andato dove non volevo andare […] fino a quando il bisogno di lavorare mi spinse lontano dalla mia terra, in un mondo che non cercavo, tra gente che non conoscevo, con altri emigranti senza passaporto, in cerca di una fortuna che non arrivò. Davanti ai suoi occhi scorrono le immagini di quella terra arida che solo il lavoro duro dei contadini aveva trasformato: rivede le distese di ulivi e le vigne, gli irrigui, le case degli agricoltori disseminate per la campagna assolata, i villaggi in cui si sentiva parlare tutti i dialetti dell’Italia, le strade percorse dai camion che avevano sostituito le carovane, i pozzi scavati nella sabbia. Riaffiora il ricordo di uomini entrati nella memoria collettiva: il governatore Italo Balbo, padre Illuminato, l’arabo Hamed. Dopo la seconda guerra mondiale molti italiani decidono di rientrare in patria e coloro che rimangono, tra i quali Andreotti, si sentono abbandonati. Tutto precipita: la steppa già sconfitta si riprende i campi coltivati, la sabbia ricopre i cortili delle fattorie abbandonate e le strade. Anche Adriano decide di lasciare la Libia per tornare in un’Italia ora molto cambiata, nella quale stenta a ritrovarsi: Mi sembra di andare un’altra volta all’estero, tanto quella che ho lasciato, mi pareva casa mia. Ma quando la Hostess ci prega di allacciarci le cinture di sicurezza, perché tra cinque minuti atterreremo a Ciampino […] io mi metto a piangere. […] Roma: la riconosco, ma non mi sembra più quella. Questa stazione non c’era, questa piazza è diventata più grande, la gente ha più fretta, è meno educata, cammina indifferente tra tutte quelle meraviglie è ossessionata dal traffico vertiginoso, più che dagli scrosci delle fontane, dal verde degli alberi, dallo splendore dei monumenti, si lascia abbagliare dal richiamo delle vetrine. Il fatto che non ci sia più un arabo, che il sole non scotti, che tutti parlino pressappoco come me, mi disorienta e mi stupisce, come se fossi arrivato chi sa dove […] Mi incuriosiscono invece i manifesti dei partiti: falci e fiamme, edera e scudi. Ci sono scritte tante cose, tante cose inutili. […] Anche le intestazioni, sembra che ce l’abbiano con me: sembra che mi dicano: aggiornati! Ma come si fa ad aggiornarsi in questo arcobaleno di colori e di sfumature, di improperi e di idee? Chi ha ragione? Forse, avevamo più ragione noi di laggiù, che avevamo un solo partito: l’Italia!. diari Scoppi irregolari epistolario 1913-1918 Filiberto Boccacci nato a Viterbo nel 1893, morto nel 1918 Filiberto Boccacci ha vent’anni quando nel 1913 parte per il servizio militare in fanteria a Genova. La separazione della famiglia innesca una fitta corrispondenza dalla quale traspare l’approccio entusiastico alla vita del giovane: Genova è bellissima! Almeno per quello che ho potuto vedere, e noi stiamo in un luogo veramente incantevole. Dalla branda posso vedere tutto il porto e sto elevato da quello per un ottantina di metri. Carattere aperto, sfrontato e pieno di vitalità: Filiberto si inserisce nel contesto militare con spavalderia senza mostrare preoccupazione per i venti di guerra che cominciano a soffiare sull’Europa. Ha le idee chiare: vuol fare carriera nel più breve tempo possibile e intanto si ingegna per lenire i disagi della vita in caserma. E la famiglia è chiamata a rapporto: Ora veniamo al sodo. È giunto il momento di sacrificarsi un po’ per me. Quindi speditemi subito (le sottolineature sono le sue, n.d.r.) per mezzo di un vaglia telegrafico per lo meno 15 lire. Come vi ripeto questo è il momento di sacrificarsi per me. In seguito verranno tempi migliori e tutto il bene che mi avete fatto ve lo compenserò siatene certi. Con lo scoppio delle ostilità parte per il fronte, dove nonostante alcuni ricoveri ospedalieri non perde la baldanza: certo, nelle sue lettere si insinuano riferimenti alle sofferenze della trincea, nelle forme espressive caste e censurate concesse ai soldati, ma nonostante le difficoltà il pragmatismo resta la cifra dominante delle lettere spedite ai genitori. Filiberto alterna toni teneri e affettuosi a espressioni brusche e sbrigative: Per la seconda volta ti asserisco che non prendo la paga da sergente ne’ quella da caporalmaggiore e che tutte le spese sono a mio carico. Per cui è inutile che tu mi faccia tante spiegazioni: mi occorrono 75 lire al mese per vivere, quindi aspetto il 27 le rimanenti 50 che il babbo mi spedirà colla massima urgenza ed esattezza. Occorre mamma, che vi mettiate bene in testa che ho 23 anni, che debbo vivere da me e tante altre belle e brutte cose. Nel 1916 frequenta un corso come allievo pilota e ottiene il brevetto: entra in Aeronautica, conquistandosi una posizione ambita e mitizzata dalle truppe di terra. Ma per Filiberto sarà la morte. Il Ministero della Guerra lo destina alla difesa di Milano: partito dal vicino campo aviatorio di Trenno per un volo di prova, sarà vittima di un drammatico incidente. Ad un tratto da terra si percepì nettamente che il motore dava degli scoppi irregolari si legge in un verbale anonimo e non datato dell’accaduto, che termina contraddittoriamente attribuendo lo schianto soltanto ad un errore di manovra da parte del pilota ed escludendo ogni responsabilità disciplinare, tecnica, civile e penale da parte di tutto il resto del personale. Chissà se Filiberto, avvolto nelle fiamme, la pensava allo stesso modo. diari Sulla scia di Valerio Daniel De Simoni diario/blog/mail/lettere/ 2010-2011 Valerio Daniel De Simoni nato a Sydney nel 1986, morto nel 2011 3 luglio 2010 - Bronte, Sydney, Aus, ore 13 “Seduto al sole” Siamo così vicini, eppure così lontani. Abbiamo fatto così tanta strada, eppure non siamo neppure partiti.Siamo in tre, ma viaggiamo come uno solo. Siamo giovani, eppure io mi sento vecchio. Mi chiamo Valerio De Simoni, ma chi sono io? Io sono un essere umano, ma cosa siamo noi veramente?Io sono coraggioso, ma di cosa ho paura? Io partirò, ma tornerò, “io”? Così scrive nelle prime pagine del suo diario Valerio, nato nel 1986 a Sydney da genitori italiani trasferiti in Australia per motivi di lavoro. Nel giugno del 2010 prepara un’impresa straordinaria: attraversare l’Europa, l’Africa e rientrare quindi in Australia per battere il primato mondiale di percorrenza su moto quad e raccogliere fondi in collaborazione con Oxfam per aiutare due villaggi africani. Il viaggio, organizzato con i due compagni Ted e Jamie, inizia ad Istanbul il 10 agosto 2010: da qui, attraversando Turchia e Balcani, prosegue in Europa, toccando molti Paesi. All’inizio l’itinerario è faticoso ma privo di insidie. In ottobre comincia la vera avventura: Africa in quad significa battere strade accidentate, attraversare città dominate da un traffico senza regole, vivere sulla propria pelle le tensioni che agitano gli Stati di transito. Sarà però questa la fase più intensa, in cui emergeranno attriti e riappacificazioni nel gruppo, in cui più forti saranno le emozioni, più diretti e autentici i rapporti umani con la popolazione locale, più forte la nostalgia di casa. Il 13 marzo 2011, percorrendo le strade del Malawi e non lontano dal rientro, Valerio ha un gravissimo incidente stradale: soccorso, morirà nell’aereo che lo sta trasportando in ospedale. Poche sera prima, in una lettera che diventerà un involontario testamento, l’essenza nitida di questo giovane che sapeva scrutare fuori e dentro di sé: Mercoledì 9 marzo 2011 verso Monkey Bay. Sul traghetto ‘Ilala’ sul Lago Malawi, Malawi. Ieri sera ho visto il tramonto più bello della mia vita. Arancio, rosa, rosso, verde, blu, bianco, giallo, viola – un’immagine preistorica – con le acque tranquille del lago, qualche uccellino nella distanza e le montagne del Mozambico come sfondo.Insomma, l’avventura è già a 210 giorni dalla partenza da Istanbul. [...] È duro. Questo viaggio. È molto duro a volte. Tra noi tre ragazzi, con le moto, con tutte le nuove culture, lingue, ambienti, confini regole, ecc. ecc. Insomma, sarà una gran bella storia alla fine! Valerio Daniel De Simoni ha lasciato un diario di viaggio articolato, composto dagli appunti che ha tenuto nel suo taccuino, nei blog e nelle email spedite a famigliari e organizzatori della spedizione. Sull’ultima pagina di questa testimonianza purtroppo manca la sua firma: Ted e Jamie hanno portato a compimento l’impresa, forti della promessa che si sono fatti prima di partire, arrivando a Sydney 14 mesi dopo. diari La mia casa deserta diario 1948-1971 Maria Sofia Fasciotti nata a Lucca nel 1924 Maria Sofia Fasciotti inizia a scrivere il suo diario nel 1948: ha 24 anni, si è sposata da poco con il conte Angelo Gambaro con il quale condivide origini aristocratiche e insieme al quale si trasferisce a vivere nelle colline torinesi, in una villa con uno splendido giardino. Si lascia alle spalle un’infanzia trascorsa a Roma, dove si è laureata in Lettere Classiche, ma soprattutto una giovinezza segnata da incomprensioni familiari, e da una disparità di trattamenti con la sorella. Ma il passato è solo un brutto ricordo rispetto al presente che Maria Sofia si è costruita: I giorni volano, le settimane e i mesi. Prima del matrimonio, la mia vita era come un’acqua stagnante, e l’avvenimento tanto atteso, pareva che si allontanasse indefinitamente. Ma da che sono sposata, tutto succede con una rapidità, e direi quasi inevitabilità meravigliosa. Così scrive nel 1948 sul suo diario, confidenzialmente chiamato Arsace, che interromperà solo nel 1971 dopo 23 anni di confidenze. La pace domestica si interrompe con la nascita e morte del primo figlio, al quale ne seguiranno altri sette: Maria Clara, Paolo, Gregorio, Emanuele, Carla, Matilde, Marcella. Mentre la famiglia pian piano si allarga, però, si evidenziano le prime crepe causate da una forte differenza di carattere fra i due coniugi: “Lelo”, il marito, è concentrato principalmente sul lavoro, è spesso assente e poco partecipe della vita familiare, mentre Maria Sofia dimostra di essere una donna con un forte rigore morale e una risoluta personalità. È il punto di riferimento dei figli. Si occupa di loro, aiutata da domestiche e da istitutrici inglesi, degli affari di famiglia, della gestione della casa e delle controversie con i parenti. Questa vita sempre presa dalle preoccupazioni materiali, questo tempo sempre impiegato nelle cose pratiche, e il non poter mai trovare un’ora di vera solitudine, di vero silenzio senza che la porta non si apra all’improvviso e una voce indiscreta interrompa il tranquillo fluire dei pensieri questo vivere lontano da ogni cosa spirituale, m’impedisce oramai di accostarmi alle pagine non scritte, alle case deserte dei pensieri. Il diario accompagna la crescita dei figli, le difficoltà dell’adolescenza, la loro ricerca di identità e le delusioni del matrimonio ma anche la sofferta maturazione di Maria Sofia, donna alla ricerca di un equilibrio tra la realizzazione dei propri interessi e la famiglia. La felicità dei nostri figli, ecco ciò che conta. Il resto passerà. Il Signore non permetterà che io affondi, se la volontà è stata buona e giusto il fine. diari Yol -1511 epistolario 1940-1946 Francesco Leo e Anna Maria Marucelli Francesco: nato a Milano nel 1913, morto nel 1984 Anna Maria: nata a Firenze nel 1912, morta nel 2005 Quando nel luglio del 1940 la madrina di guerra Anna Marucelli invia la sua prima lettera al tenente Francesco Leo, non immagina certo che si sta rivolgendo al futuro padre dei suoi figli. Lei è una giovane fiorentina che vive a Roma, dove lavora come insegnante mentre lui, milanese, dopo avere aver combattuto come volontario in Africa orientale ed essere stato congedato, insofferente della vita civile, rientra nell’esercito e finisce in Libia dove lo coglie lo scoppio della guerra. La risposta di Franco, datata 18 luglio 1940, è all’insegna di una strafottenza che cela il desiderio di instaurare un rapporto. Signor Marucelli A. (Antonia, Agata, Appollonia, Albina, Agapita, ecc.) avrò trovato? Oggi non ho nulla da fare ed ecco perché rispondo allo scritto che considero ambiguo … e vi dirò che sono molto sospettoso. So che molti usano fare scherzi, pazienza, ci cascherò io pure, ma quella “A” vicino al vostro cognome mi sa di un possente nome mascolino. Inoltre desidererei vedervi in fotografia, vi confesso che tengo molto all’estetica femminile e resterei molto male se sapessi che colei che m’ha scritto fosse una 50 enne zitellona in cerca di tardive emozioni da consumarsi alle spalle di un ignaro e innocente tenente. Non le mancherei di rispetto, però preferisco corrispondere con una giovane e bella. Pochi mesi dopo sarà fatto prigioniero dagli inglesi e inviato in un campo di detenzione a Yol, in India. La corrispondenza però, a parte le interruzioni dovute alle più ovvie difficoltà, si infittisce: Anna descrive la sua vita a Roma, Francesco le parla della sua vita monotona e, tra le righe, dei suoi due tentativi di fuga falliti. Intanto passano gli anni, la guerra finisce con i suoi strascichi di dolore e di odio. Le lettere si fanno più intime e più esplicite ma rimarcano punti di vista diversi. Scrive Anna: La guerra è realmente finita! […] Questa pace è stata per noi un sollievo […] Ma… quanta tristezza, Franco caro, come diverso speravamo questo giorno!!! Ma ormai le recriminazioni sono inutili. Oggi bisogna solo pensare a ricostruire, a riparare tutto il malfatto. Franco che ha vissuto lontano si è come cristallizzato nelle sue posizioni: Cara Anna […] Dopo le tue lettere di Pasqua non ho più saputo se sei stata licenziata e se hai trovato una nuova occupazione. Che smemorato! dimenticavo che proprio in questo periodo sarai stata occupatissima a correre da un’urna all’altra per dare tu pure la tua adesione a Pinco Pallino, abbattere Tizio ed esaltare la politica di Caio. Sono al corrente di tutto. Esclusa la soddisfazione provata dall’allontanamento di quei traditori chiamati Savoia (sia pure per il rotto della cuffia), per il resto…. diari Con occhi di padre diario 1905-1910 Francesco Sartori nato a Tuscania (Viterbo) nel 1875, morto nel 1960 È la nascita del primogenito Agostino, il 13 agosto 1905, che stimola in Francesco Sartori il desiderio di dedicarsi alla pratica autobiografica: trentenne, possidente originario di Toscanella in provincia di Viterbo, comincia a scrivere un diario che ruoterà intorno a due temi dominanti, portati avanti sempre in parallelo. Il primo, più ancorato alla dimensione privata, ci mostra un padre con una particolare dedizione per la famiglia, e un marito che rinnova costantemente l’amore per la moglie Alfonsina malata di tubercolosi ossea. L’altro tema restituisce il profilo di un uomo attento alle vicende lavorative private e agli eventi pubblici, che annota minuziosamente il resoconto periodico delle attività agricole, e con la stessa attenzione segue gli eventi politici e sociali dell’epoca: la crisi in Russia, i primi scioperi, la diffusione del socialismo, il modernismo cattolico. In occasione delle elezioni politiche del 1909 commenta così i risultati: Il 7 e 14 marzo ebbero luogo in tutta Italia le elezioni politiche per la nomina dei Deputati. Interessante la lotta pel fatto che vi hanno preso parte anche i cattolici. Sono entrati venticinque Deputati cattolici. I Deputati di estrema – Socialisti, Repubblicani, Radicali – sono aumentati di numero, sono circa un centinajo. Il Governo ha in ogni modo riportata vittoria. A Montegiorgio è stato eletto il campione della Democrazia cristiana: Don Romolo Murri. Il Papa lo ha scomunicato. Voglia iddio proteggere il retto sacerdote e far sì che il programma democratico cristiano un dì trionfi. Pubblico e privato si fondono perfettamente nelle pagine lasciate da Francesco che ora indugiano in riflessioni sull’impegno civile e sulla sua attività di assessore, ora sugli eventi nazionali e internazionali che animano lo scenario del primo Novecento, ora in digressioni curiose e originali dedicate alla crescita del piccolo Agostino, che la narrazione accompagnerà fino all’età dei cinque anni, momento in cui il diario viene interrotto. Occupandosi personalmente del figlio e orgoglioso di essere padre, con puntuale attenzione, Francesco descrive i suoi progressi, l’alimentazione spesso inusuale, lo svezzamento, il comportamento, senza tralasciare la sfera affettiva e relazionale: Oggi il mio Agostino compie il 14° mese di età. Egli è florido, grassotto, robusto, vivace, affettuoso. […] Ha messo 6 denti incisivi e 4 superiori, 2 posteriori; i dentini già sono lunghi, ma quelli superiori sono radi e brutti. Cammina benissimo; anzi vuol correre; è precipitoso. La mattina mangia la zuppa al cioccolato, ossia gli fa cuocere bene del pane nell’acqua, poi vi si versano un cucchiaino di cacao e due di zucchero. Beve poi il latte. A pranzo mangia buone minestre al semolino con brodo di vaccina. Spizzica qualcosa di ciò che abbiamo a pranzo, beve vino. diari Musafir memoria 1980-1990 Rosario Simone nato a Orta Nova (Foggia) nel 1960 Non bisogna ringraziare quando qualcuno compie un dovere nei tuoi confronti, tu sei un musafir. Musafir. In quel momento mi piacque moltissimo e subito mi innamorai di quella parola che significa viaggiatore ma che è anche allo stesso tempo viandante, persona che non dispone in quel momento di una dimora o di una famiglia che possa provvedere ai suoi bisogni. Il musafir è il forestiero per eccellenza e l’ospite. Nell’estate del 1980, conseguita la maturità, Rosario, in compagnia di un amico, decide di partire alla scoperta dell’Africa settentrionale: arriva in Tunisia, attraversa l’Algeria e infine giunge in Marocco. Un’avventura, un viaggio di formazione, pensato per sfuggire agli itinerari turistici attraversando Paesi anche con mezzi di fortuna. Un’occasione per conoscere se stesso e che permetterà a Rosario di entrare in contatto con la cultura araba, di scoprirne e apprezzarne gli aspetti più belli. Le scelte universitarie e lavorative successive confermeranno la passione per i viaggi: tra il 1980 e il 1990 andrà più volte nei Balcani e in Medio Oriente, anche per motivi di studio e di lavoro, aprendosi verso le altre culture senza riserve e pregiudizi. Le pagine della sua memoria parlano di incontri inusuali, di amicizie nate per caso lungo una strada, di occasioni colte e di opportunità sfuggite e spesso mettono a confronto un prima e un dopo, impressioni di viaggi giovanili e il ritorno negli stessi luoghi nella “maturità”, ricordi di letture affrontate a scuola su imprese epiche ed eroiche e il contatto con quella realtà prima solo immaginata. Nel 1990 si trova in Iraq e alcuni inviati della Rai gli offrono la possibilità di collaborare come interprete. La prima intervista la facemmo ad un reduce di guerra appena rientrato dalla sua prigionia in Iran. […] quello che andammo a trovare era un ragazzo coi capelli bianchi e suo figlio stentava ancora a riconoscerlo perché fino ad allora l’aveva visto soltanto in una fotografia di dieci anni prima. E mentre il prigioniero parlava suo figlio continuava a guardare, forse ancora incredulo, quella vecchia foto del suo papà. Era un quartiere scita e la famiglia era scita perché c’erano le immagini dell’imam Ali e dell’imam Hussein dappertutto. Raramente avevo visto un essere umano così provato. Il giornalista gli chiese se sarebbe stato disposto a combattere ancora per difendere la nuova provincia del Kuwait ed io tradussi la domanda al cospetto di un marazzone del ministero dell’informazione. Gli uomini dei servizi infatti ci seguivano e ci accompagnavano dappertutto. L’ex prigioniero, che ancora barcollava per la debolezza, rispose che sarebbe stato onorato di tornare in guerra in qualsiasi momento. Mentre parlava per poco non cadde per terra. diari Ma Donato andò a Sud autobiografia 1894-1931 Donato Vinci nato a Martina Franca (Taranto) nel 1894, morto nel 1984 Donato Vinci ha compiuto ottant’anni quando decide di cominciare a scrivere le sue memorie, volgendo lo sguardo verso un periodo specifico della vita che va dalla nascita, avvenuta nel 1894 a Martina Franca in provincia di Taranto, fino al 1931 quando lavora a Roma come agente di custodia. Cresce in una famiglia di contadini e piccoli possidenti che dopo una serie di traversie economiche, dovute a contrasti con i vicini e parenti, si ritrova in miseria: per grande necessità fui avviato al lavoro, quando avevo ancora otto anni è mezzo; Però il mio povero Babbo, molto dispiaciuto di ciò, è mi promise di mandarmi alle scuole serali, finché avrei voluto andarci, che così fù; Ma non tanto profitto potetti fare, perché quando mi ritiravo alla sera tardi dal lavoro, ero sempre molto stanco. Quando avevo appena dieci anni vi andiedi a lavorare per la prima volta nelle calabrie, insieme al mio povero Babbo. Nonostante le difficoltà Donato ha la fortuna di crescere in una famiglia onesta ed unita, dove l’affetto e il rispetto reciproco aiutano i componenti a superare la miseria e la fatica e a mantenere la fiducia in un domani migliore. Che però tarda ad arrivare: dopo anni di stenti, e proprio quando i bilanci familiari cominciano a risollevarsi, scoppia la prima guerra mondiale e Donato viene arruolato e spedito al fronte. Dopo cinque giorni dal suo arrivo in trincea partecipa alla battaglia del San Michele e viene preso prigioniero dagli austriaci e deportato in Serbia, dove sarà destinato al lavoro di disboscamento e alla costruzione di una ferrovia. Il suo carattere mite gli sarà di grande aiuto per sopportare il lungo periodo di reclusione, la lontananza da casa, gli stenti e la fame. Fin quando l’evoluzione del contesto bellico non gli offre occasione per riguadagnare la libertà: mentre aspettavo sulla via che veniva d’Alessandrovac, fui avvicinato da un giovane serbo, che mi rivolse le seguenti parole: Colleco italiano, sentite il mio consiglio, io con questa carovana veniamo da Alessandrovac, ove tuona attualmente il cannone. Vuol dire che i nostri avanzano, non passerà che pochissimi giorni per essere liberati dai nostri, o dai nostri alleati. Dunque ti scongiuro non andare più con gli austriaci e cerchi di nasconderti in qualche luogo, onde non farti trovare così fra poco sarai liberato, e potrai andartene in Italia, mentre se fai al contrario, chi sa quanto duri ancora la guerra ed ha subirne la prigionia per molto tempo incerto. Così detto mi concedai dal giovane serbo, con la testa assorta in mille pensieri. Con un gruppo di compagni sceglie coraggiosamente di non seguire la ritirata dell’esercito austriaco: decide di dirigersi verso Sud, fino ad arrivare a Salonicco dove, dopo essersi imbarcato su una nave italiana, rientra in patria. Dopo la guerra non riprenderà il lavoro nei campi, ma si impiegherà nella polizia penitenziaria. Durante tale impiego si dedicherà alla rilegatura di libri e ad altri lavori manuali, addestrato anche da competenti “reclusi” addetti al laboratorio del penitenziario. Nel tempo libero frequenterà a Roma musei, gallerie d’arte e una scuola serale di disegno. diari Premio speciale “Giuseppe Bartolomei” attribuito dalla Commissione di lettura, ex aequo Albina Biondi e Diletto Manzini ‘Cara Uranina’ epistolario 1889-1899 Poche ma intense lettere, in tutto 24, raccontano una storia grande come la distanza che c’è tra l’Italia e il Brasile: Diletto, agronomo, rimane vedovo nel 1889 e subito dopo essersi risposato decide di emigrare verso il Sud America con la seconda moglie, Albina. La prima destinazione è Esteves, alla quale farà seguito Vista Alegre: l’obiettivo è sempre quello di andare in cerca di fortuna mentre la speranza è riuscire a ricongiungere la famiglia con l’arrivo della figlia Urania, nata dal primo matrimonio, rimasta in Toscana a Figline Valdarno e affidata temporaneamente al nonno materno. Le lettere raccontano la nascita di questo progetto destinato a svanire, nonostante Diletto ce la metta tutta: colpisce infatti la testimonianza di un uomo laborioso e pieno di risorse, ben accolto e stimato dalla comunità locale ma che, pur alternando successi e fallimenti professionali, morirà prematuramente proprio a causa del duro lavoro. Giuseppe da Prato nato a Verona nel 1757 ‘Ai tempi dell’Ancien Régime’ memoria 1757-1777 Giuseppe da Prato nasce a Verona, nel 1757, in una famiglia nobile. All’età di undici anni, come vuole la tradizione, viene impiegato come paggio presso la corte di Giuseppe D’Hassia Davmesbadt, vescovo di Augusta, salvo passare, alla morte di questi, presso la corte di Clemente Venceslao di Sassonia, vescovo ed elettore di Treviri, che lo invierà al seminario di Dillingen per completare la sua educazione. Impossibilitato a intraprendere la carriera militare in quanto unico figlio maschio della famiglia, chiederà e otterrà dal vescovo “l’emancipazione”. Il ritorno in Italia nel 1776 sarà però doloroso, soprattutto perché segna il definitivo allontanamento da Giosepha, figlia di un barone di Augusta, un amore tanto grande quanto impossibile da raggiungere. Premio per il miglior manoscritto originale attribuito dall’Archivio diaristico Antonino Sammartano nato a Mazara del Vallo (Trapani) nel 1897 Domani ti scriverò più a lungo epistolario 1922-1927 Un siciliano di 25 anni che ha combattuto nella prima guerra mondiale, si laurea in Lettere a Pisa dove conosce Anna, una ragazza di 17 anni che frequenta un corso di lingue alla Normale. Nasce l’amore, interrotto però dopo una breve frequentazione, a causa del rientro di Antonino in Sicilia a Mazara del Vallo. Dal 1922 al 1927 Antonino colmerà distanza e lontananza scrivendo ad Anna 300 lettere, a testimonianza del sentimento forte e sincero che lega i due giovani. Sullo sfondo scorre la vita: la preoccupazione per ottenere una cattedra per l’insegnamento e l’adesione di Antonino al partito fascista. Anna e Antonino si sposano e nel 1927, alla nascita del primo figlio, Anna si trasferisce definitivamente in Sicilia. pubblicazioni * Storie italiane – Il Mulino I diari di Pieve – Terre di mezzo Ettore Finzi e Adelina Foà ‘Parole trasparenti’ Diari e lettere 1939-1945 a cura di Daniele Finzi Dario Poppi ‘Fucili a salve’ Diario di una resistenza africana prefazione di Pietro Clemente Adele Foà, parmense, è un giovane e brillante avvocato che lavora in un prestigioso studio legale di Milano. Ettore Finzi, triestino, è un chimico industriale. Si amano: in un mondo “normale” li aspetterebbe l’ordinario, quieto futuro di una famiglia borghese. Ma Adele ed Ettore sono ebrei, vivono in Italia e in Italia corre l’anno 1938. Ettore legge, si guarda intorno, riflette e intuisce che sta per avvicinarsi un’immane tragedia. Decide allora di percorrere l’unica strada che in quel momento sembra più sicura: sale, insieme alla moglie, su di una nave diretta in Palestina, destinazione non tipica allora per gli ebrei in fuga. Lo Stato d’Israele non esiste ancora e tutta l’area è sotto il controllo britannico. Non li attende alcuna rete di protezione, eppure ce la faranno. In Palestina nasceranno i loro due figli, Hanna e Daniel. Adelina dovrà adattarsi a svolgere i lavori più modesti per mandare avanti la famiglia, mentre Ettore sarà costretto trasferirsi in Persia per lavorare in una compagnia petrolifera. Saranno anni difficili, durante i quali i coniugi si scriveranno quasi quotidianamente per mantenere vivo il rapporto e salda l’unione, messa a dura prova dalla distanza che li separa. Nello scambio di opinioni e nella diversità di vedute che anima il confronto tra Ettore e Adele c’è tutto il valore aggiunto di questo appassionante epistolario, che offre un angolo visuale originale e inedito sulle drammatiche vicende che stavano sconvolgendo l’Europa e il mondo. L’esperienza africana di un ceramista faentino nelle pagine di un avventuroso diario. Anno 1941, Monte Gialo, Etiopia. Dario, trentottenne, è l’intrepido direttore di una segheria legata all’impero. Quando da Asba Littoria i militari - ad eccezione del Commissario Civile - si ritirano, decide di restare da solo a presidiare la segheria organizzandone la difesa con armi e fortificazioni occasionali. Nonostante la difficoltà di gestire gli ascari dei battaglioni disciolti, continua a resistere anche quando arriva il nuovo presidio di inglesi ed etiopi. Nel frattempo ha una breve storia d’amore con la giovane principessa Zannabec, moglie di un ministro del Negus: quando il legame verrà scoperto, la posizione di Dario si farà ancor più complicata, anche perché nel frattempo perde il controllo della segheria. Nel maggio del ’42 viene portato dagli inglesi nel campo di concentramento di Mandara in Somalia, per poi finire impiegato come prigioniero civile presso la Compagnia Italiana Trasporti Africa Orientale in qualità di verniciatore. Abile nella lavorazione della ceramica, impianta una fabbrica di manufatti con un socio disonesto e senza scrupoli che porta l’attività in rovina. Successivamente, con il nome d’arte di ‘Pippo Doria’, entra nel mondo del teatro di prosa, nella compagnia di Nella Poli ma, in un momento di crisi del settore, si vede costretto a lasciare le scene, fino al successivo ritorno nel varietà. Nel ’45, anno in cui si conclude il diario, abbandonate nuovamente le scene, si impegna nella produzione di ceramica, incaricato dal ministro dell’Industria e del Commercio dell’Etiopia per conto dell’imperatore Hailé Selassié. pubblicazioni Storie italiane – Il Mulino Patrizia Gabrielli Scenari di guerra, parole di donne Diari e memorie nell’Italia della seconda guerra mondiale Corrado Di Pompeo Più della fame e più dei bombardamenti Diario dell’occupazione di Roma prefazione di Alessandro Portelli Sergio Lenci Colpo alla nuca Memorie di una vittima del terrorismo prefazione di Giovanni De Luna In bicicletta Memorie sull’Italia a due ruote Stefano Pivato, Loretta Veri, Natalia Cangi (a cura di) Se potessi avere Memorie degli italiani ai tempi della lira Diego Pastorino (a cura di) prefazione di Pietro Clemente Patria mia Scritture private nell’Italia unita a cura di Massimo Baioni Patrizia Gabrielli Anni di novità e di grandi cose Il boom economico fra tradizione e cambiamento Magda Ceccarelli De Grada Giornale del tempo di guerra 12 giugno 1940 - 7 maggio 1945 prefazione di Melania G. Mazzucco Luigi Ganapini Voci dalla guerra civile Italiani nel 1939-1945 Antonio Sbirziola Povero, onesto e gentiluomo Un emigrante in Australia 1954-1961 prefazione di Antonio Gibelli tesseramento La tessera degli amici dell’Archivio è un buon investimento La memoria non è in crisi, per tutte le ragioni che avete letto in questo opuscolo ricchissimo di contenuti. Nemmeno l’Archivio dei diari è in crisi. Sì, sono anni difficili, ci sono i tagli alla cultura eccetera, eccetera. Ma non ci lamentiamo. Non possiamo davvero lamentarci perché i nostri giacimenti sono inesauribili come le nostre idee. Abbiamo tanto credito, tanti investimenti in fiducia e tante idee da realizzare. Abbiamo anche tanti amici, come te. Sei già un amico dell’Archivio dei diari? Sei in regola con il rinnovo della tua tessera annuale? Se entro le ore 16.00 di domenica 15 settembre 2013 avrai rinnovato o sottoscritto la tessera degli amici dell’Archivio parteciperai all’estrazione di un Ipad4 offerto dalla Penta Ufficio di Arezzo. L’estrazione avverrà prima dell’inizio della manifestazione conclusiva del premio, in piazza Pellegrini, domenica 15 settembre. Puoi sottoscrivere e rinnovare la tessera anche online con bonifico, paypal o carta di credito. http://www.archiviodiari.org/index.php/come-aiutare/292-tesseramento.html sostenitori Le attività dell’Archivio diaristico e del Premio Pieve Saverio Tutino sono sostenute da Comune di Pieve Santo Stefano Ministero per i Beni e le Attività culturali Regione Toscana Consiglio Regionale della Toscana Toscana Promozione Provincia di Arezzo Camera di Commercio di Arezzo Fondazione Telecom Italia Fondazione Sistema Toscana Intoscana.it Banca di Anghiari e Stia Società Augustea Tratos Cavi Liberetà e Spi Società Atam Centro Affari di Arezzo Boninsegni srl Radio 3 Aboca Proloco Pieve Santo Stefano Polisportiva Comunale Sansepolcro Tennis Club Pieve Santo Stefano Associazione Promemoria / Cesvot gli abbonamenti di Primapersona il cinque per mille le donazioni di diaristi e simpatizzanti l’opera di tanti volontari Sostieni l’Archivio Puoi contribuire all’attività dell’Archivio dei diari con una donazione intestata a Fondazione Archivio Diaristico Nazionale - onlus tramite c.c.p. n. 11168523 tramite bonifico presso: Banca di Anghiari e Stia Credito Cooperativo IBAN IT82R0834571570000000000279 Bancoposta IBAN IT38Y0760114100000011168523 online sul sito dell’Archivio con PayPal e carta di credito con domiciliazione bancaria tramite RID con bancomat e carta di credito direttamente nelle giornate del Premio Pieve con assegno non trasferibile oppure puoi decidere di destinare il tuo 5 per mille nella prossima dichiarazione dei redditi indicando nella casella delle Onlus il nostro codice fiscale 01375620513. 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