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Il Garante tira le orecchie a Coca Cola
Scritto da Paolo Bossi
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Martedì, 08 Ottobre 2013 10:29
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Coca Cola rimuoverà dai suoi opuscoli le informazioni che potrebbero risultare ingannevoli.
L’azienda accoglie i rilievi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato impegnandosi a rimuover i profili di scorrettezza dalla pratica commerciale
contestata. .
La vicenda nata da una segnalazione dello Sportello del Consumatore all’Autorità per una infrazione agli articoli 20 e 21 del Codice del Consumo avendo, in un
opuscolo pubblicitario, una serie di affermazioni eccessive sulla capacità idratante della bibita e alcuni indicazioni collegate al concetto di “caffeina sicura”.
Coca Cola accoglie i richiami dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e rimuoverà i profili di scorrettezza dalla pratica commerciale contestata.
Anche la Perfetti Van Melle assicurando – in una campagna pubblicitaria di una famosa marca di gomme da masticare – che le sue chewing gum sostituissero
l’uso dello spazzolino e del dentifricio, è incorsa nelle sanzioni dell’Autority e dovrà rivedere e correggere il tiro del messaggio pubblicitario.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, meglio nota come Antitrust, è stata istituita in Italia nel 1990. Nata come soggetto indipendente per garantire
il rispetto delle regole che vietano le intese anticoncorrenziali tra imprese, gli abusi di posizione dominante e le concentrazioni in grado di creare o rafforzare
posizioni dominanti dannose per la concorrenza, con l’obiettivo di migliorare il benessere dei cittadini, l’autorità ha visto ampliare progressivamente i suoi compiti
prima nel 1992 con il ruolo di contrasto per la pubblicità ingannevole delle aziende, e poi dal 2007 e dal 2002 con il ruolo di contrasto contro le pratiche
commerciali scorrette delle imprese e per la tutela amministrativa contro le clausole vessatorie inserite nei contratti con i consumatori.
Il messaggio pubblicitario ha una forte esigenza di divenire diretto ed efficace e questo crea dei rischi per le aziende. Abbiamo chiesto un parere a noti
professionisti, player nel settore del diritto della proprietà intellettuale, in merito agli elementi del messaggio in cui si annidano i rischi di sanzione per pubblicità
ingannevole.
La pubblicità – spiega l’Avv. Massimo Maggiore, partner dello Studio Maschietto Maggiore – grazie all’evoluzione normativa dell’ultimo ventennio, di fonte
comunitaria, è ormai da intendersi come uno strumento di informazione, prima che di suggestione. In quanto tale, essa indirizza le scelte dei consumatori e lo
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deve fare in modo utile e corretto, anche in funzione di tutela del processo competitivo. Pertanto, tutti i messaggi a carattere promozionale in cui la suggestione e
l’informazione si sovrappongano e si confondano sono potenzialmente pericolosi.
Il caso recente – prosegue l’Avv. Massimo Maggiore – dei confetti di Perfetti Van Melle che sostituirebbero lo spazzolino (anche se poi non è sfociato in un
accertamento di infrazione con sanzione) fornisce un buon esempio di questa tendenza ormai consolidata.
Ogni qual volta quindi si intenda fornire un’informazione di qualsiasi tipo che può essere percepita come idonea a descrivere le caratteristiche reali di un prodotto
o un servizio, lì si annida il rischio. Esiste ancora uno spazio per la suggestione, ma esso è ormai confinato nei messaggi chiaramente iperbolici, dotati del
cosiddetto “dolus bonus”, ossia in cui l’inverosimiglianza del messaggio è evidente anche al consumatore più sprovveduto: ad esempio – conclude l’Avv.
Massimo Maggiore – se affermo che una bevanda “mette le ali” a chi la consumi, qui siamo nel campo del lecito sprigionarsi della fantasia dei pubblicitari, pur a
fronte di un messaggio chiaramente fallace.
Esposti al rischio di sanzioni per violazione delle norme sulla pubblicità ingannevole sono i soggetti operanti nei più diversi settori di business.
Per la tipologia dei prodotti di largo consumo – afferma l’Avv. Giorgio Rusconi, partner dello Studio Mondini Rusconi – e per la necessità di una presentazione
tale da indurre il consumatore alla scelta, i prodotti alimentari sono particolarmente esposti al rischio di violare i dettami in tema di pubblicità in tutte le forme di
presentazione del prodotto; intendo, non solo durante lo spot televisivo, ma anche con le indicazioni riportate in etichetta.
Per questo motivo – prosegue l’Avv. Giorgio Rusconi – l’Unione Europea ha dettato con il Regolamento 1924/2006 un insieme di norme volte a disciplinare
l’utilizzo di locuzioni nella presentazione dei prodotti alimentari contenenti pretese nutrizionali o salutistiche. Vero è, infatti, che attribuire a un alimento valori
nutrizionali diversi da quelli intrinsechi o particolari capacità curative, costituisce un messaggio decettivo.
Compito delle Autorità preposte è quello di vigilare sul rispetto delle norme in tema di concorrenza, dei dettami in tema di pubblicità e delle norme, per quanto
attiene più specificamente al settore degli alimenti e degli integratori alimentari, in tema di pretese salutistiche e nutrizionali nella presentazione dei prodotti.
A seguito dell’emanazione del Regolamento 1924/2006 Health & Nutrition Claims e del successivo Regolamento 432/2012 recante la lista delle pretese
salutistiche ammesse (diverse da quelle relative alla riduzione del rischio di malattia e concernenti i bambini) - conclude l’Avv. Giorgio Rusconi - diverse sono
state le pronunce dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria nell’ambito delle quali, per giudicare
l’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario, sono stati presi in considerazione i criteri dettati dalla richiamata normativa.
Andiamo ora a comprendere come viene gestito il processo di valutazione e come vengono assunte le decisioni dell’antitrust per tutelare le aziende.
L’Antitrust ha sin dall’entrata in vigore nel 2007 della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette – che ha ampliato e sostituito nel rapporto business to
consumer quella del 1992 in materia di pubblicità ingannevole e comparativa tout court – è diventata un indubbio punto di riferimento per i consumatori nella
correzione di condotte illecite.
In particolare – spiega l’Avv. Massimo Maggiore – grazie al fatto che l’Autorità ha aperto le proprie porte alle segnalazioni dei consumatori, de-formalizzando il
processo: oggi può bastare una telefonata al numero verde dedicato per far aprire un procedimento. Inoltre l’Autorità tende in moltissimi casi e in maniera assai
efficace a utilizzare la richiesta di chiarimenti in fase preistruttoria (ossia prima dell’avvio di un procedimento formale di accertamento di infrazione), come
strumento esso stesso idoneo a far sì che nel dialogo con le imprese si possa chiarire un caso o correggere condotte potenzialmente lesive, senza procedere
con una istruttoria vera e propria. In questa ottica – prosegue l’Avv. Maggiore – l’antitrust fa ampio uso del potere di “moral suasion” previsto dal regolamento
delle procedure istruttorie, volto a far sì che l’impresa, nei casi meno gravi, elimini prontamente e senza accertamento formale i potenziali profili di illiceità.
È quindi solo nei casi più gravi – conclude l’Avv. Massimo Maggiore – che l’intervento dell’autorità sfocia nell’istruttoria piena, che in quanto tale fornisce anche i
parametri agli operatori per comprendere gli orientamenti applicativi. Le aziende, almeno quelle più strutturate e consumer oriented, si tutelano attraverso un
attento e costante screening da parte del legale (interno o esterno) dei messaggi promozionali. Si tratta nella mia esperienza di un dialogo fruttuoso tra funzione
marketing e funzione legale, perché spesso consente addirittura di rendere più efficace il messaggio, svincolandolo da quegli elementi potenzialmente subdoli o
poco chiari, che alla fine rischiano di macchiare, ben oltre le intenzioni delle aziende, l’immagine commerciale delle aziende stesse.
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