n. 1
2015
Incontri
Fraterni
SUORE MINIME DELL’ADDOLORATA
Via C. Tambroni, 13 - 40137 Bologna - Tel. 051 341755-342624
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46)
ART. 1, COMMA 2, DCB - BO - ANNO XLVII - PUBB. INF. 50% - STAMPA: DIGI GRAF - BOLOGNA
Messaggio del Papa per la quaresima
IL PECCATO
DELL’INDIFFERENZA
Oggi esiste nel mondo una “globalizzazione dell’indifferenza”,
ossia del cuore duro e insensibile di fronte alle sofferenze degli altri.
È un disagio che come cristiani dobbiamo affrontare
e che richiede un cammino di conversione.
N
on passa giorno che non giungano
da ogni parte del mondo notizie
dei problemi, delle ansie e sofferenze di tante persone e comunità. Forse
a questo incessante flusso di informazioni,
veicolato soprattutto dai mass media, abbiamo fatto un po’ l’abitudine. Il rischio è
di non lasciarci più toccare nel cuore. E
non c’è malattia più grave per una persona di avere un cuore duro, insensibile. È il
dramma dell’indifferenza.
Il Papa Francesco ha dedicato il Messag-
gio per la Quaresima di quest’anno proprio
a questo tema. Oggi, afferma, ci troviamo
di fronte a una “globalizzazione dell’indifferenza”. Si tratta di un fenomeno mondiale sempre più diffuso che colpisce non
solo le grandi comunità, ma anche le singole persone. Per il discepolo di Cristo, essere indifferenti agli altri, soprattutto alle
loro sofferenze, è un atteggiamento che
contraddice radicalmente la sua stessa vocazione cristiana. Come scrive l’apostolo
Giacomo: «la fede: se non è seguita dalle
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Il peccato dell'indifferenza
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Gesù ha detto “l’avete fatto a me”
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Accanto a S. Clelia in preghiera
e in ascolto
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Nuova comunità in India
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Confessione e perdono dei peccati
“Dammi i tuoi peccati perché possa
perdonarteli”
In aumento le violenze contro
i cristiani
Vicino ai malati con lo spirito
di S. Clelia
Madre vicina ai poveri e agli ultimi
La vita bella di Santa Clelia Barbieri
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opere, in se stessa è morta» (Gc 2, 17). E
l’apostolo Giovanni: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio
che non vede» (1 Gv 4,20). In altre parole, se ignoriamo il prossimo, soprattutto se
è nel bisogno, non conosciamo nemmeno
Dio.
Amiamo perché Dio ci ha amato
per primo
Papa Francesco scrive, citando la prima
lettera dell’apostolo Giovanni, che “noi
amiamo perché Dio ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). E commenta: «Dio non
è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta
a cuore, ci conosce per nome, ci cura e
ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di
“NO, ALLA GLOBALIZZAZIONE DELL'INDIFFERENZA!"
noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci
accade». Ma cosa avviene? «Succede che
quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli
altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non
ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il nostro cuore cade nell’indifferenza:
mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno
bene». Si tratta di un disagio che, come
cristiani, dobbiamo affrontare.
Un percorso di conversione
Ciò fa parte del cammino di conversione
a cui la Quaresima ci invita attraverso la
Chiesa: una conversione che deve essere
intesa e vissuta come un percorso di formazione del cuore.
Per compiere questo cammino, il Papa
esorta a meditare su tre passi della Bibbia. Il primo riguarda la Chiesa universale,
il secondo le parrocchie e le comunità e
il terzo il singolo fedele, ossia ciascuno di
noi.
“Se un membro soffre, tutte le membra soffrono” (1 Cor, 12.26). Attraverso
i Sacramenti, in particolare l’Eucaristia,
afferma il Papa, noi diventiamo ciò che riceviamo: il corpo di Cristo. Ora, «in questo
corpo quell’indifferenza che sembra prendere così spesso il potere sui nostri cuori, non trova posto. Poiché chi è di Cristo
appartiene ad un solo corpo e in Lui non
si è indifferenti l’uno all’altro. “Quindi se
un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato,
tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor
12,26)».
“Dov’è tuo fratello” (Gen 4,). Il Papa si
domanda: le parrocchie, le nostre comunità sono davvero «un corpo che insieme riceve e condivide quanto Dio vuole donare?
Un corpo che conosce e si prende cura dei
suoi membri più deboli, poveri e piccoli?
O ci rifugiamo in un amore universale che
si impegna lontano nel mondo, ma dimentica il Lazzaro seduto davanti alla propria
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porta chiusa?» (cfr Lc 16,19-31). Invita a
unirsi alla Chiesa del cielo nella preghiera e ricorda che nella comunione dei santi
«l’indifferenza è vinta dall’amore». Se siamo posseduti da questo amore «possiamo
vedere nel nostro prossimo il fratello e la
sorella per i quali Cristo è morto ed è risorto».
“Rinfrancate i vostri cuori (Gc 5,8).
«Anche come singoli – scrive il Papa – abbiamo la tentazione dell’indifferenza. Siamo saturi di notizie e immagini sconvolgenti che ci narrano la sofferenza umana
e sentiamo nel medesimo tempo tutta la
nostra incapacità ad intervenire».
Cosa possiamo fare?
Ci domandiamo allora: «Che cosa fare per
non lasciarci assorbire da questa spirale di
spavento e di impotenza?».
In primo luogo, «possiamo pregare nella
comunione della Chiesa terrena e celeste:
non trascuriamo la forza della preghiera di
tanti!».
In secondo luogo, «possiamo aiutare con
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gesti di carità, raggiungendo sia i vicini
che i lontani, grazie a tanti organismi di
carità nella Chiesa. La Quaresima è un
tempo propizio per mostrare questo interesse all’altro con un segno, anche piccolo,
ma concreto, della nostra partecipazione
alla comune umanità».
In terzo luogo, attraverso un percorso di
conversione. Infatti, sottolinea il Papa,
«chi vuole essere misericordioso ha bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un cuore che si
lasci compenetrare dallo Spirito e portare
sulle strade dell’amore che conducono ai
fratelli e alle sorelle. In fondo, un cuore
povero, che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro».
Il Papa conclude il suo Messaggio esortando a chiedere al Signore durante questa
Quaresima, con l’invocazione tratta dalle
Litanie al Cuore di Gesù: “Rendi il nostro
cuore simile al tuo”. «Allora avremo un
cuore forte e misericordioso, vigile e generoso, che non si lascia chiudere in se
stesso e non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza».
Il Sacramento della Riconciliazione
CONFESSIONE
E PERDONO DEI PECCATI
Alcuni importanti aspetti da
tenere presenti per ricevere
con frutto il Sacramento del
perdono e le disposizioni interiori con cui ci si deve accostare. Dalla confessione ben
fatta deriva una profonda pace
del cuore.
D
urante il tempo di Quaresima, la Chiesa, nel cammino verso la Pasqua di
risurrezione, ci esorta a intraprendere un
percorso di conversione per far risplendere nuovamente in noi la bellezza della grazia battesimale e giungere così alle feste
pasquali come creature risorte con Cristo
a vita nuova. La Quaresima è anche il tempo favorevole per fare l’esperienza della
misericordia di Dio e del suo perdono. Durante questo tempo il Signore, per mezzo
dei Profeti, dice a noi oggi: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno
come lana» (Isaia 1,18); «Egli tornerà
ad aver pietà di noi, calpesterà le nostre colpe. Tu getterai in fondo al mare
tutti i nostri peccati (Michea 7,19); “Vi
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darò un cuore nuovo, metterò dentro di
voi uno spirito nuovo, toglierò da voi
il cuore di pietra e vi darò un cuore di
carne” (Ezechiele 36,26). E la liturgia ci
esorta: «Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia,
così da essere aiutati al momento opportuno” (Lettera agli Ebrei, 4, 16).
Strumento privilegiato per vivere questa
esperienza di misericordia è il sacramento della riconciliazione, con la confessione
dei nostri peccati.
Non c’è nessuno infatti che nella sua vita
sia esente dall’esperienza del peccato e
non avverta il desiderio di sentirsi perdonato. La confessione risponde a questo bisogno profondo del cuore. Per questo essa
occupa un posto centrale nel cammino di
conversione, di ritorno a Dio.
È vero che il perdono di Dio non si riceve solo nella celebrazione del sacramento.
Ci sono altri mezzi. Per esempio, la carità
che, come scrive l’apostolo Pietro, “copre
la moltitudine dei peccati” (1 Pr 4,8). E
anche l’Eucaristia che inizia sempre con il
rito penitenziale di domanda di perdono.
Ma la celebrazione del sacramento della
riconciliazione, necessaria per la remissione dei peccati gravi, è un’esperienza che
ci insegna a mettere il perdono al cuore
di tutta la vita spirituale, affinché diventi
un atteggiamento costante che ci accompagna nel cammino di ogni giorno. Il suo
effetto, infatti, si prolunga nel tempo e
pervade l’intera l’esistenza.
Come accostarsi al Sacramento del
perdono?
È importante perciò comprendere bene
alcuni aspetti di questo sacramento se
si vuole che produca i suoi frutti e non
si riduca a una semplice formalità che si
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esaurisce in pochi minuti e poi non lascia
nessuna traccia nel nostro essere come se
tutto fosse finito lì.
Come allora accostarsi a questo sacramento perché sia fruttuoso e con quali disposizioni?
Sono almeno tre gli aspetti da tenere presenti.
Il primo, che possiamo definire il più essenziale, è l’atteggiamento di spirito e di
cuore con cui ci accostiamo al sacramento. La confessione, infatti, non consiste
tanto nel mettersi in regola con Dio. Se
fosse solo questo, non porterebbe nessun
vero frutto e sarebbe solo espressione di
paura. Essa deve piuttosto condurre a una
riconciliazione con Dio e con i propri fratelli. Perciò bisogna che susciti nel cuore
la decisione di cambiare vita, di entrare
in un cammino di conversione. Richiede cioè che abbiamo a diventare, come
si dice, “penitenti”. È un’espressione che
forse può sorprendere, ma si tratta di riconoscere che, se è vero che il sacramento
perdona i nostri peccati, non cambia però
la nostra condizione di peccatori, ossia di
persone sempre bisognose di conversione.
Difatti, una volta riconciliati con Dio, siamo sempre tentati di allontanarci da lui.
Decidersi di cambiare vita, di convertirci,
di vivere come penitenti vuol dire perciò
La confessione delle colpe
rinnovare ogni giorno il nostro atteggiamento di contrizione e di dispiacere dei
peccati. Non si tratta di un sentimento
psicologico, ma di una esigenza profonda
di autenticità e di verità con se stessi e
davanti a Dio. Nella Bibbia, troviamo delle
situazioni in cui la differenza non si gioca
tanto sulla gravità del male commesso ma
sull’autenticità di questo atteggiamento
interiore di contrizione che si prolunga
nella vita.
non è il confidente della nostra miseria.
Non è un curioso, ma un testimone. Non è
lui perciò il destinatario della confessione
delle nostre colpe, perché è solo a Dio che
si domanda perdono.
Il sacerdote tuttavia è indispensabile perché attesta che il peccatore confessa a
Dio il suo peccato, e che egli potrà così, in
nome di Dio, concedere il perdono.
È molto importante, nella confessione,
questo riconoscimento per poter rivolger-
Un secondo aspetto importante, anzi fondamentale, sta nel confessare il proprio
peccato. Il cristiano che si accosta al sacramento è invitato a dire liberamente: “’ho
commesso questi peccati”. Certo, Dio li
conosce già. La confessione non ha lo scopo di farglielo sapere! E anche il sacerdote
davanti al quale ci si riconosce peccatori,
Incontri Fraterni 7
ci liberamente a Dio, il quale non ci condanna ma ci invita ad uscire dal profondo
della nostra miseria. Comprendere così la
confessione permette di capire in quale
maniera dobbiamo confessare le nostre
colpe. È una questione di equilibrio. Bisogna cioè evitare la duplice tentazione: da
una parte di voler dire troppo e dall’altra
di dire troppo poco.
A volte chi si confessa, per ansia o anche
per scrupolo, in cui è avvertibile una mancanza di fiducia e di fede nella bontà di
Dio, può voler dire troppo, per paura di
omettere tutti i dettagli e tutte le precisazioni. Ma Dio ci conosce meglio di noi
stessi, perciò non si tratta di informarlo
nei dettagli. Nella parabola del figlio prodigo, narrata nel Vangelo di Luca al capitolo
15 del suo Vangelo, vediamo che il padre
non lascia al figlio che ritorna nemmeno il
tempo di spiegare ciò che ha fatto di male
dopo essersi allontanato da lui. Al contrario, è tanta la gioia che sente che gli corre
incontro ad abbracciarlo e si affretta a pre-
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parargli una grande festa (Lc 15,20-24).
Ma se voler dire troppo è fuori luogo, è
anche vero che la confessione non sarà
autentica se, per vergogna, negligenza
o altre ragioni, uno dice troppo poco. In
questo caso egli passa accanto alla grazia
che gli è offerta senza riceverla ed esserne
toccato.
Occorre anche ricordare che né il nostro
“io” né il sacerdote che ci ascolta sono al
primo posto, ma è Dio che è là, presente
nel sacramento ed è a lui che ci conosce
fino in fondo che ci si confessa. Il sacerdote, in quanto testimone, può con la sua
parola, illuminare e aiutare il penitente a
discernere il suo peccato alla luce dell’esperienza multisecolare della Chiesa. Può
così instaurarsi un dialogo, tenendo sempre presente però che ciò che è primario
nella confessione è il perdono di Dio ricevuto nella fede. Non si tratta perciò di una
“seduta” di accompagnamento spirituale.
Questa può essere fatta al di fuori della celebrazione del sacramento.
Il sacerdote e l’assoluzione
Un terzo aspetto del sacramento è certamente l’assoluzione in quanto tale. Il sacerdote ha il potere di perdonare, di assolvere i peccati. È lo strumento necessario
mediante il quale Dio vuole agire per significare e trasmettere il suo perdono. Per
quanto incredibile possa sembrare una
tale affermazione, essa si collega con la volontà esplicita di Gesù il quale, nel giorno
della risurrezione, soffiando il suo Spirito
sugli apostoli, diede loro il potere di perdonare i peccati. È il potere che i sacerdoti ricevono nella loro ordinazione e che
viene dall’autorità stessa di Cristo.
La grazia del perdono e della pace
Il sacramento così ricevuto produce allora
i suoi frutti. Il primo è la gioia del perdono
e di sentirsi salvati dalla croce di Cristo. È
la gioia che anticipa fin da quaggiù, nella
nostra condizione di pellegrini, la felicità
della vita eterna futura.
Il secondo è la riconciliazione che il sacramento ricevuto favorisce tra le persone.
La pratica regolare del perdono sacramentale, infatti, costruisce e afferma l’unità, nella carità, all’interno delle famiglie,
tra le coppie, nelle comunità parrocchiali
o religiose.
Se vissuto con queste disposizioni, il sacramento del perdono diventa allora realmente lo strumento privilegiato per quel
cammino di conversione a cui la Quaresima ci invita, ma anche un mezzo di continuo rinnovamento della propria vita cristiana nello scorrere del tempo, nel nostro
pellegrinaggio verso la patria celeste. Ed è
fonte di grande pace.
Incontri Fraterni 9
“DAMMI I TUOI PECCATI
PERCHÉ POSSA PERDONARTELI”
André Louf per tanti anni abate dell’abazia francese di Mont-desCats ed eremita nel sud della Francia, scomparso nel 2010, nel suo
libro Sotto la guida dello Spirito racconta questo episodio relativo
alla vita di S. Girolamo.
S
an Girolamo durante la sua vita a raversò dei momen di difficoltà interiori e persino di scoraggiamento. Un giorno, mentre stava pensando a quale fosse l’origine
di ques turbamen notò all'improvviso un crocifisso che era comparso tra i rami secchi di un albero. Si ge ò a terra e si percosse il pe o con gesto solenne e vigoroso. È
in questa posizione umile e supplicante che lo raffigura la maggior parte dei pi ori.
Subito Gesù rompe il silenzio e si rivolge a Girolamo dall'alto della croce:
“Girolamo – gli dice – cos'hai da darmi? Cosa riceverò da te?".
La semplice voce di Gesù basta già a ridare coraggio a Girolamo che si me e subito
a pensare a qualche regalo da poter offrire all'amico crocifisso.
"La solitudine nella quale mi diba o, Signore", gli risponde.
"O mo, Girolamo – replica Gesù – ringrazio. Hai fa o davvero del tuo meglio. Ma
non hai qualcosa di più da offrirmi?" .
Girolamo non esita un a mo, certo di avere una quan tà di cose da offrire a Gesù:
"Naturalmente, Signore: i miei digiuni, la fame, la sete. Mangio solo al tramonto del
sole!".
Di nuovo Gesù risponde: "O mo, Girolamo, ringrazio. Lo so, hai fa o del tuo meglio. Ma hai ancora qualcos'altro da darmi?".
Girolamo ripensa a cosa potrebbe ancora offrire a Gesù. Ecco allora che ricorda le
veglie, la lunga recita dei salmi, lo studio assiduo, giorno e no e, della Bibbia, il celibato nel quale si impegnava con più o meno successo, la mancanza di comodità, la
povertà, gli ospi più imprevis che si sforzava di accogliere senza brontolare e con
una faccia non troppo burbera, infine il caldo di giorno e il freddo di no e.
Ad ogni offerta, Gesù si complimenta e lo ringrazia. Lo sapeva da tempo: Girolamo ci
ene così tanto a fare del suo meglio! Ma ad ogni offerta, Gesù, con un sorriso astuto
sulle labbra, lo incalza, ancora e gli chiede: "Girolamo, hai qualcos'altro da darmi?".
Alla fine, dopo che Girolamo ha enumerato tu e le opere buone che ricorda e siccome Gesù gli pone per l'ennesima volta la stessa domanda, un po' scoraggiato e non
sapendo più a che santo votarsi, finisce per balbe are: "Signore, ho già dato tu o,
non mi resta davvero più niente!".
Allora un grande silenzio piomba nella gro a e fino alle estremità del deserto di
Giuda e Gesù replica un'ul ma volta: "Sì, Girolamo, hai dimen cato una cosa: dammi
anche i tuoi pecca , affinché possa perdonarteli!"».
10 Incontri Fraterni
Messaggio del papa per la Giornata mondiale del malato
GESÙ HA DETTO
“L’AVETE FATTO A ME”
Nel malato bisogna imparare a vedere l’immagine del
Signore. Il tempo passato accanto al malato, scrive il Papa,
è un tempo santo. Purtroppo
la fretta, la smania del fare ci
fanno spesso dimenticare la
dimensione della gratuità, del
farsi carico dell’altro.
O
gni anno, l’11 febbraio, festa della
Beata Vergine di Lourdes, la Chiesa
celebra la Giornata mondiale del malato.
La Giornata fu istituita il 13 maggio 1992
da papa Giovanni Paolo II perché fosse "un
momento speciale di preghiera e di condivisione, di offerta della sofferenza.
La prima fu celebrata l’11 febbraio 1993 e
a partire da allora, il papa emana ogni anno
un Messaggio destinato a tutti coloro che
portano il peso della malattia, ai professionisti e volontari nell’ambito sanitario. Ma
Incontri Fraterni 11
è rivolto anche a tutti noi, in particolare
a coloro che si prendono cura dei malati,
in qualsiasi forma e luogo ciò avvenga, dedicando ad essi tempo, attenzione, cura e
amore.
Il Messaggio che papa Francesco ha emanato per quest’anno ha come tema: “Io ero
gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo
zoppo”. È un versetto biblico, tratto dal
Libro di Giobbe (29,15) che il papa invita a leggere alla luce della “sapienza del
cuore”. La Sapienza di cui parla è quella
infusa dello Spirito Santo, «di chi sa aprirsi alla sofferenza dei fratelli e riconosce in
essi l’immagine di Dio».
In che cosa consiste questa Sapienza? Nel
Messaggio papa Francesco lo spiega con
i seguenti quattro verbi: servire, stare,
uscire da sé, essere solidali.
Sapienza del cuore è servire il fratello. «Quanti cristiani anche oggi – scrive
il papa – testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede
genuina, di essere “occhi per il cieco” e
“piedi per lo zoppo”! Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di
un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel
tempo, può diventare faticoso e pesante.
È relativamente facile servire per qualche
giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche
quando essa non è più in grado di ringraziare. E tuttavia, che grande cammino di
santificazione è questo! In quei momenti si
può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale
sostegno alla missione della Chiesa».
Sapienza del cuore è stare con il fratello. «Il tempo passato accanto al malato
– osserva il papa – è un tempo santo». Perciò «chiediamo con viva fede allo Spirito
Santo che ci doni la grazia di comprendere
il valore dell’accompagnamento, tante vol-
12 Incontri Fraterni
te silenzioso, che ci porta a dedicare tempo a queste sorelle e a questi fratelli, i quali, grazie alla nostra vicinanza e al nostro
affetto, si sentono più amati e confortati.
Quale grande menzogna invece si nasconde dietro certe espressioni che insistono
tanto sulla “qualità della vita”, per indurre
a credere che le vite gravemente affette
da malattia non sarebbero degne di essere
vissute!».
Sapienza del cuore è uscire da sé verso il fratello: «Il nostro mondo dimentica
a volte il valore speciale del tempo speso
accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare,
del produrre, e si dimentica la dimensione
della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro. In fondo, dietro questo
atteggiamento c’è spesso una fede tiepida,
che ha dimenticato quella parola del Signore che dice: “L’avete fatto a me”» (Mt
25,40).
Sapienza del cuore è essere solidali col
fratello senza giudicarlo. «La carità ha
bisogno di tempo. Tempo per curare i malati e tempo per visitarli. Tempo per stare
accanto a loro»... È la solidarietà che ci ha
manifestato Gesù con la sua croce: «Nella Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi, totalmente gratuito,
totalmente misericordioso... La risposta
d’amore al dramma del dolore umano,
specialmente del dolore innocente rimane
per sempre impressa nel corpo di Cristo
risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che
sono scandalo per la fede ma sono anche
verifica della fede».
Il Messaggio termina con un’invocazione
alla Madonna: «O Maria, Sede della Sapienza, intercedi quale nostra Madre per tutti
i malati e per coloro che se ne prendono
cura. Fa’ che, nel servizio al prossimo sofferente e attraverso la stessa esperienza
del dolore, possiamo accogliere e far crescere in noi la vera sapienza del cuore».
Un fenomeno presente in numerosi Stati del mondo
IN AUMENTO LE VIOLENZE
CONTRO I CRISTIANI
la persecuzione dei cristiani nel mondo.
Il papa ha ripetuto più volte
che sono più numerosi oggi i
cristiani perseguitati di quelli
dei primi secoli della Chiesa.
Realtà confermata anche dai
dati dei recenti Rapporti. Per
questo egli ci invita a pregare.
Q
uando papa Francesco nel Messaggio
per la Quaresima di quest’anno esorta a non essere indifferenti alle sofferenze
degli altri, certamente, fra le tante gravi situazioni di afflizione, ha presente in modo
particolare le violenze e le persecuzioni di
cui sono oggetto i cristiani in numerose
parti del mondo. È vero che la persecuzione non è un fatto nuovo. Essa ha sempre
accompagnato il cammino della Chiesa at-
Incontri Fraterni 13
traverso la storia a partire dai primi secoli.
Ma oggi il fenomeno ha assunto proporzioni mai conosciute in passato. Si parla di
100/150 milioni di cristiani perseguitati.
Sono notizie a cui purtroppo i mezzi di comunicazione sociale danno poco risalto. Il
Papa invece non cessa di ricordarcelo. Più
volte ha ripetuto nei suoi discorsi: «Io vi
dico che oggi ci sono più martiri che nei
primi tempi della Chiesa». In una delle
sue numerose omelie quotidiane ha affermato: «Sono condannati perché hanno
una Bibbia. Non possono fare il segno della croce. Pensiamo ai tanti fratelli e sorelle che oggi – oggi! – non possono pregare
insieme, perché sono perseguitati; non
possono avere il libro del Vangelo o una
Bibbia, perché sono perseguitati. Pensiamo a quei fratelli che non possono andare
a Messa, perché è vietato. Tante volte viene un prete di nascosto, fra di loro, fanno
finta di essere a tavola, a prendere un tè
e lì celebrano la Messa, perché non li vedano». «Questo – ha ribadito – succede
oggi».
Gli Stati più incriminati
Secondo il Rapporto Aiuto alla Chiesa
che soffre del 2014, uscito da poco, fra gli
Stati dove il fenomeno della persecuzione
e delle violenze contro i cristiani è più acuto, troviamo i seguenti dieci: Iraq, Libia,
Nigeria, Pakistan, Siria, Sudan, Azerbai-
14 Incontri Fraterni
gian, Cina, Egitto e Repubblica Centroafricana.
Ma un altro recente Rapporto, quello della
World Watch List, nomina anche altri cinque stati: Corea del Nord, Somalia, Afghanistan, Iran, Eritrea. E non è tutto perché
situazioni analoghe si riscontrano anche in
vari altri Paesi che qui non sono nominati.
Tra quelli citati nei due Rapporti troviamo
anzitutto la Corea del Nord dove circa
70mila cristiani sono stati imprigionati in
campi di lavoro. Sulla scia del sequestro
e arresto del missionario sudcoreano Kim
Jeong-Wook, decine di persone (presumibilmente cristiane) sono state catturate e
molte torturate e assassinate.
La situazione peggiora anche in Africa, soprattutto in Somalia, con la milizia islamista Al-Shabaab, e in Sudan, Eritrea
e soprattutto in Nigeria dove esiste un
clima di gravissima violenza fomentato dal
gruppo islamico Boko Haram, nome che
significa: “l’educazione occidentale è peccato”.
Ci sono inoltre aree dove l’estremismo
islamico assume nuove e inattese forme di violenza con due centri di gravità
globali: uno nel Medio Oriente arabo e
l’altro nell’Africa subsahariana. Secondo
il Rapporto World Watch List, l’estremismo islamico è una delle principali fonti di
persecuzione in 40 paesi sui 50 considerati. Inoltre, esiste l’imponente fenomeno
dei rifugiati/profughi in fuga dalla Siria,
Iraq, Nigeria e da altri paesi africani, che
sta cambiando la geografia cristiana di
quelle regioni.
Particolarmente grave è la situazione in
Iraq e Siria dove si è autoproclamato il califfato islamico (IS): in Siria la libertà per
i cristiani è praticamente scomparsa. Già
nel febbraio 2014, quelli rimasti nella città di Raqqa sono stati costretti a firmare
un contratto che viola la loro libertà. Inoltre, dall’inizio della guerra civile nel 2011,
700mila cristiani sono fuggiti dal paese, di
cui 200mila l’anno scorso. Così in Iraq: da
quando si è costituito il califfato islamico
in alcune zone, un flusso di cristiani e di
yazidi (fedeli di un’antica religione monoteista della Mesopotamia), di musulmani sciiti e di shabaq (altra minoranza religiosa autoctona) è in fuga. Molti cristiani
sono profughi interni fuggiti nella regione
curda; gran parte della comunità cristiana (140mila) è scomparsa, come a Mosul
o nella piana di Ninive dove i rimasti sono
stati costretti a convertirsi all'islam.
Il caso del Messico e dell’India
Anche in altri paesi come il Messico sono
in forte aumento le violenze contro i cristiani per il crescere della criminalità legata al traffico di droga, spostatasi dalla
Colombia verso l’America centrale. Le organizzazioni criminali prendono di mira i
cristiani, considerati fonti di entrate (attraverso le estorsioni) e perché essi promuovono forti alternative al crimine.
Non possiamo inoltre dimenticare il caso
dell’India. Abbiamo dei dati pubblicati di
recente dal Persecution Report, diffuso dall’organizzazione cattolica “Catholic
Secular Forum”, dove si legge: «In India
con la salita al potere del partito conservatore Baratiya Janata Party (Bjp) e la
crescita contemporanea di gruppi estremisti indù, si è avuta una forte recrudescenza della violenza contro le minoranze
religiose e, in particolare, contro le comunità cristiane. Sono circa 7 mila gli episodi censiti, ma si tratta di un bilancio solo
indicativo e non esaustivo». Tra le vittime
di violenze figurano anche 1.600 donne e
500 bambini. E sono più di 300 i cristiani,
tra cui sacerdoti e leader di comunità, che
hanno subito aggressioni. Almeno 60 chiese sono state sconsacrate e sono diventate
la sede di gruppi estremisti indù.
E si potrebbe continuare perché la situazione non è tranquilla nemmeno in certe
regioni dell’Indonesia, o in Malesia e nelle
isole filippine del sud, per fare degli esempi.
Davanti a queste gravi situazioni non possiamo ignorare la ripetuta esortazione di
Papa Francesco a pregare per i cristiani
perseguitati e per tutti coloro che soffrono violenze a causa della loro fede. Come
cristiani, sarebbe davvero una grave colpa
se rimanessimo indifferenti.
Incontri Fraterni 15
Giornata del “Memoriale” alle Budrie
ACCANTO A S. CLELIA
IN PREGHIERA E IN ASCOLTO
La giornata ha offerto l’occasione per meditare, nella luce
del Magnificat, sull’esperienza
spirituale di Santa Clelia, descritta nella sua lettera al “caro
Sposo Gesù”, in relazione agli
obiettivi dell’Anno della vita
consacrata indicati dal Papa
Francesco.
I
l 31 gennaio è una data scritta, per così
dire, a caratteri d’oro nell’Album di famiglia delle Minime di Santa Clelia. È il gior-
16 Incontri Fraterni
no del “Memoriale”, così chiamato perché
ricorda la “memoria”, ossia la lettera che
Santa Clelia, mossa da una “ispirazione
granda”, scrisse al “caro Sposo Gesù”,
dopo aver partecipato alla santa Messa in
parrocchia. La vergò su un semplice foglio
di carta che portò poi sempre ripiegato sul
cuore, come sigillo nuziale. Era il 31 gennaio del 1869, domenica chiamata allora di
Sessagesima. Le cronache raccontano che
era una giornata freddissima con il termometro che segnava 14 gradi sottozero. La
lettera, scritta in un italiano incerto, ma
limpida nei contenuti, cominciava così:
“Caro il mio Sposo Gesù, una memoria
io volio scrivere per averla sempre in
memoria...”.
Ogni anno le Minime in questo giorno si
danno appuntamento alle Budrie, sul luogo dove Clelia ha vissuto e scritto quella
lettera, per una giornata di riflessione e di
preghiera, per meditare insieme su quelle
parole dentro le quali si sente ancor oggi
ardere il fuoco d’amore che ha infiammato
il cuore di Clelia in quella gelida giornata
di gennaio. Da sempre, quel breve scritto
è per le Minime il testo ispirante del loro
carisma e della loro spiritualità.
Rileggerlo accanto all’urna che custodisce
le sue reliquie suscita emozioni difficili da
descrivere perché in quelle poche righe è
lo Spirito di Dio che parla attraverso Clelia
e la sua voce si può percepire solo nelle
profondità del cuore.
Nell’Anno della vita consacrata
L’incontro di quest’anno aveva qualcosa di
particolare perché si collocava nel contesto dell’Anno della vita consacrata, da
poco iniziato, e degli obiettivi che si propone di raggiungere. Il papa Francesco li
ha così indicati nella lettera di apertura,
il 21 novembre 2014: il primo obiettivo è
guardare il passato con gratitudine; il
secondo, vivere il presente con passione; il terzo, abbracciare il futuro con
speranza.
Non c’era occasione migliore per le Minime, di questa giornata, per riflettere su
questi obiettivi. Anzitutto per guardare al
passato, rappresentato da 146 anni di storia. Come scrive papa Francesco ai consacrati, anche le Minime hanno dietro di sé
una “ricca storia carismatica”. Una storia
in cui, nel corso degli anni, «l’esperienza
degli inizi è cresciuta e si è sviluppata,
coinvolgendo altri membri in nuovi contesti geografici e culturali, dando vita a modi
nuovi di attuare il carisma, a nuove iniziative ed espressioni di carità apostolica. È
come il seme che diventa albero espandendo i suoi rami».
Le Figlie di Santa Clelia hanno molte ragioni per guardare a questo passato con
gratitudine. A partire da quando la Congregazione ha cominciato ad esistere e ad
espandersi, prima in Italia e successivamente – dopo un tentativo, non riuscito
per varie ragioni, di mettere piede in Cina
– in tempi più recenti, in Tanzania e in India. Ciò le ha consentito di diventare, anche grazie alle numerose vocazioni venute
da queste aree geografiche, una Congregazione internazionale e multiculturale.
La crescita continua anche attualmente
con l’apertura di nuove piccole comunità
sia in Africa che in India.
Ma il motivo più grande della loro gratitudine è stato, in questi ultimi cinquant’anni, la grazia, prima della beatificazione
della loro fondatrice (27 ottobre 1968) e
poi della sua canonizzazione, avvenuta il 9
aprile 1989.
Incontri Fraterni 17
Nella luce del Magnificat
Nell’incontro del 31 gennaio alle Budrie, ad
aiutarle nella riflessione, è stato don Stefano Maria Savoia che ha commentato il Magnificat, alla luce della lettera memoriale
di Santa Clelia, affermando che anche lei
era creatura umile e povera come Maria, e
anche in lei il Signore ha compiuto “grandi
cose”.
Il secondo obiettivo dell’Anno della vita
consacrata, nelle intenzioni di papa Francesco, è vivere il presente con passione.
Nei momenti di preghiera e di adorazione
in cui è stato articolato l’incontro, le suore
hanno cercato anch’esse di ravvivare nel
cuore quella fiamma d’amore che Clelia
aveva chiesto a Gesù nella sua lettera in
cui diceva:
“Signore apprite il vostro cuore
e butate fuora una quantità di
fiamme da more e con queste
fiamme acendete il mio, fate che io
brucio da more”.
18 Incontri Fraterni
Solo se c’è questo amore infatti sarà possibile vivere con passione il presente; un
presente molto diverso e complesso rispetto a quello dei tempi di Clelia, ma altrettanto significativo. Bisogna ritornare
alla grazia delle origini, come scrive papa
Francesco, il quale si domanda: «Gesù è
davvero il primo e l’unico amore, come ci
siamo prefissi quando abbiamo professato
i nostri voti?». E risponde: «Soltanto se è
tale, possiamo e dobbiamo amare nella verità e nella misericordia ogni persona che
incontriamo sul nostro cammino, perché
avremo appreso da Lui che cos’è l’amore e
come amare: sapremo amare perché avremo il suo stesso cuore».
Con la stessa speranza di S. Clelia
Infine, il terzo obiettivo: abbracciare il
futuro con speranza. Clelia quando ha
iniziato la sua esperienza alle Budrie era
molto povera e priva di qualsiasi mezzo.
In quella condizione, nessun istituto allora esistente l’avrebbe mai accolta. Per di
più, era molto malata, e anche i tempi – gli
anni del Rinascimento italiano – non erano
certo favorevoli per quel clima di anticlericalismo che aveva avvelenato la società.
Ma lei si è affidata al Signore e ha riposto
in lui la sua speranza. E il Signore l’ha guidata in mezzo alle difficoltà e l’ha condotta
a realizzare il sogno che portava nel cuore: quello di vivere, insieme alle sue prime
compagne, un’esperienza di vita raccolta e
per fare del bene. Da questa esperienza ha
poi avuto origine la Congregazione delle
Minime dell’Addolorata.
Oggi la vita consacrata attraversa un momento di crisi e si sta interrogando sul
suo futuro a causa dell’invecchiamento
dei membri, la mancanza di vocazioni, e
una serie di tante altre difficoltà. Più che
mai essa è chiamata a vivere nella speranza. Ma una speranza, come avverte papa
Francesco, che «non si fonda sui numeri o
sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo
posto la nostra fiducia (cfr 2 Tm 1,12) e
per il quale “nulla è impossibile” (Lc 1,37).
È questa la speranza che permetterà alla
vita consacrata di continuare a scrivere
una grande storia nel futuro, al quale dobbiamo tenere rivolto lo sguardo, coscienti
che è verso di esso che ci spinge lo Spirito
Santo per continuare a fare con noi grandi
cose».
La giornata del “Memoriale”, trascorsa alle
Budrie il 31 gennaio, è stata un’immersione nel clima delle origini. E ha offerto alle
Figlie di Santa Clelia l’occasione per riflettere sugli obiettivi indicati dal papa, alla
luce del loro carisma. Da questo incontro
esse hanno potuto attingere nuove energie per riprendere con coraggio e con lo
stesso spirito di Santa Clelia il cammino
nella vita di tutti i giorni sotto la guida di
Colui che mai delude e a cui appunto nulla
è impossibile.
Incontri Fraterni 19
Nella spirito della nuova evangelizzazione
N UOVA COMUNITÀ
IN INDIA
Sorge a Ramanathapuram
presso il seminario, da poco
costituito, dove da tempo il
vescovo ci aveva ripetutamente invitato. Ma abbiamo
in vista anche altre aperture
in Africa.
I
l dono dell'anno della Vita Consacrata,
da poco iniziato, ci offre molte opportunità per un risveglio e un rinnovamento
della nostra vita religiosa nella sua dimen-
20 Incontri Fraterni
sione contemplativa e apostolica, richiamando la nostra attenzione sugli eventi di
Chiesa che in quest'anno ci attendono.
In risposta agli appelli del Papa
Le sollecitazioni o provocazioni di Papa
Francesco non possono lasciarci indifferenti. Il rinnovamento interiore e l'ansia
apostolica per la nuova evangelizzazione
sono i temi che continuamente egli propone come urgenza di oggi per ridare senso
ad una società vuota e scontenta e portare
a tutti la gioia del Vangelo.
Anche noi Minime stiamo cercando di
St. Marys Minor Seminary
Vadakkukad.Pollachi
RamanathapuramDiocese
cogliere questi appelli innanzitutto rivisitando la nostra identità spirituale, ma anche cercando di rispondere al suo invito
ad “uscire”, per annunciare e condividere
con i fratelli il dono della fede e di quell’amore con il quale noi stesse siamo amate.
Questi sono i criteri che negli ultimi tempi
ci hanno guidato, pur nella nostra povertà,
ad aprirci con piccole nuove presenze nei
diversi settori del nostro apostolato.
Costituita il 31 gennaio scorso
Una realtà un po’ nuova è l’avvio, a partire dallo scorso anno, di una comunità
ad esperimento, in India, presso il nuovo
Seminario di Ramanathapuram, località
situata ai confini tra il Tamil Nadu e il
Kerala, abitata prettamente da indù. Qui
sorge il Seminario (non ancora ultimato), primo progetto della nuova Diocesi di
Coimbature da poco costituita, dove il Vescovo ci ha ripetutamente invitate.
Considerata la positività dell’esperienza, il
31 gennaio 2015, giorno molto significativo
per noi Minime, è stata costituita ufficialmente la comunità con suor Alfonsa, suor
M.Jolly e suor Lina. Esse condividono la
vita del Seminario e sono presenti innanzitutto come segno della vita consacrata
accanto ai seminaristi. Con loro vivono la
preghiera, i ritmi e gli orari della giornata con servizi di assistenza nella casa; una
di loro insegna alcune materie di studio
ai seminaristi. Soprattutto offrono una vicinanza che crea un clima di famiglia. La
testimonianza della vita religiosa ai futuri
sacerdoti può infatti essere un mezzo per
aiutarli a scoprire nella realtà della consacrazione quella maternità o paternità
spirituale che ogni consacrato può e deve
raggiungere.
Questa località silenziosa immersa nell'intensissimo verde di alberi da cocco e di
banani, fa pensare “ai piani e ai monti” in
cui Santa Clelia vedeva profeticamente la
sue figlie sparse a lavorare nella vigna del
Signore.
Certamente lei non conosceva questo posto né gli indù del Tamil Nadu, ma lo Spiri-
Incontri Fraterni 21
to che agiva nel suo animo, e non ha confini, porta a compimento nel tempo la sua
profezia.
In vista nuove aperture
Altre piccole aperture di comunità si profilano anche in altri continenti. In Italia,
a Ravenna, è già in atto una presenza di
Minime nell'Opera Santa Teresa per l’assistenza infermieristica ai disabili e quella
spirituale a malati terminali oncologici.
Pure in Africa si stanno sperimentando
due piccole presenze: a Mapanda e a Ipogolo per rispondere all'invito dei Vescovi e
venire incontro al grande bisogno di catechesi e di evangelizzazione.
La nostra preghiera è che Spirito guidi e
sostenga questi tentativi affinché siano
realmente una risposta alle attese della
Chiesa e del mondo oggi.
Madre Maria Bruna Zuffa
“ ... io me ne vado, ma non vi abbandonerò mai...
Crescerete di numero e vi espanderete per il piano e
per il monte a lavorare la vigna del Signore”.
(Santa Clelia)
22 Incontri Fraterni
In un Hospice di Ravenna
VICINO AI MALATI
CON LO SPIRITO DI S. CLELIA
Da poco più di un anno le Minime dell’Addolorata hanno
avviato una nuova presenza in
un luogo che può essere definito un “santuario della sofferenza”. Si tratta di un Hospice,
dove vengono accolti disabili
e malati terminali di tumore,
per una cura palliativa. Le anima lo spirito di Santa Clelia.
F
in dall’inizio, pur tra vari problemi burocratici, avviando una nuova attività
in questo Hospice di Ravenna, abbiamo
sentito che il Signore ci voleva qui, accanto ai disabili e ai malati, giunti all’ultima
fase della loro vita, per trasmettere loro la
tenerezza e l’amore misericordioso di Dio.
Ci siamo sentite “chiamate” a questo servizio di carità evangelica. È stata per noi
una vera “vocazione” del Signore.
La nostra giornata
Come trascorriamo qui le nostre giornate?
Ogni mattina si apre con la santa messa. È
il momento in cui portiamo all’altare tutte
le persone a cui il Signore ci invierà durante la giornata. Gli chiediamo che le benedica e accompagni anche noi affinché, con
la sua grazia, possiamo aiutarle a vivere in
maniera significativa le loro sofferenze.
Incontri Fraterni 23
Verso le 10,30 visitiamo i malati, uno per
uno, tranne quelli che non lo desiderano.
Questo incontro quotidiano ci aiuta a capire tante cose, soprattutto il senso della
precarietà umana e della nostra povertà
e impotenza. La cosa più importante che
possiamo fare, oltre i nostri piccoli servizi,
è di accompagnarli, affidandoli al Signore
nella preghiera perché sia lui il loro medico, il loro aiuto e conforto. Per noi, essi
sono una presenza viva di Gesù che soffre
in loro e insieme a loro.
In questo momento sono i nostri veri maestri perché nella loro sofferenza ci insegnano che cosa veramente ha significato
nella vita.
Le parole contano poco. Noi possiamo solo
aiutarli ad aprire il loro cuore stando vicino e ascoltarli con amore.
Ogni volta che torniamo dai malati comprendiamo come davvero non siamo noi
a dare qualcosa a loro, ma sono loro che
danno tanto a noi. Anche se per vari anni
siamo state a contatto con i malati come
infermiere, l’esperienza che viviamo qui
è molto diversa. È un’esperienza che ci
arricchisce e che, in qualche modo, ci ob-
24 Incontri Fraterni
bliga a porci delle domande che toccano
profondamente il nostro essere.
Al termine della giornata abbiamo il cuore
pieno di volti e di sofferenze, e sentiamo
il bisogno di andare in chiesa, davanti al
tabernacolo, per deporre tutto sotto lo
sguardo di Gesù che conosce meglio di noi
che cosa vuol dire soffrire.
I nostri incontri quotidiani
Durante questi mesi abbiamo incontrato
varie categorie di malati: giovani, adulti,
anziani, persone che credono in Dio e altre
che non credono. Abbiamo esperimentato
il dolore delle mamme che lasciano soli i
loro figli ancora piccoli; oppure la sofferenza di chi assiste i propri figli morenti…
Ci chiedono: perché? Noi non abbiamo
delle risposte poiché esse fanno parte dei
disegni misteriosi di Dio. Solo lui conosce
quello che a noi sfugge, ma sappiamo di
poter sempre fare affidamento sul suo
amore che non ci abbandona mai. Noi
possiamo solo ripetere: “Gesù accogli tu
queste sofferenze, uniscile alle tue, per
il bene delle loro anime e dei loro cari”.
Abbiamo incontrato anche tanti malati che
ci hanno dato una grande testimonianza di
fede e ci hanno insegnato realmente cosa
vuol dire vivere di fede, anche quando non
è facile. Sono persone che hanno avuto dal
Signore la forza di dire: “Eccomi”, accettando la sua volontà.
Alcuni, quando ci vedono, congiungono
le mani per pregare e forse riscoprono la
fede che hanno abbandonato per tante ragioni a noi sconosciute. All’inizio pregano
insieme con noi nella speranza di ottenere
la guarigione. Poi il Signore ci mette la sua
mano e la preghiera diventa atto di abbandono nelle sue mani e così molti giungono
a ricevere con fede il sacramento dell’Unzione degli Infermi.
Altri nostri piccoli servizi
Nel pomeriggio recitiamo il Santo Rosario nella cappella dell’Hospice, affidando
all’intercessione di Maria i malati più gravi
e i loro familiari. La sera, dopo Compieta,
ci rivolgiamo a S. Clelia con una preghiera
per chiederle la sua intercessione.
La domenica mattina nell’Hospice viene
celebrata S. Messa. Vi partecipano alcuni
malati, i loro parenti e tante persone del
vicinato.
Inoltre visitiamo le famiglie; portiamo la
Comunione agli anziani e ai malati, prestiamo qualche piccolo servizio infermieristico a chi lo desidera, e diamo un aiuto
anche per l’insegnamento del catechismo
in parrocchia.
Due di noi svolgono un servizio presso
l’Opera Santa Teresa, una struttura della
diocesi dove sono ospitati numerosi anziani, malati, handicappati e ogni genere di
persone “povere”.
Davvero il lavoro non ci manca. Ma in tutte queste nostre attività sentiamo di continuare lo spirito di Santa Celia che nella sua
breve vita ha sempre avuto un’attenzione
tutta particolare verso i poveri e i malati.
Suor Jessy Kallivalappil
Incontri Fraterni 25
La presenza della Madonna in America Latina
MADRE VICINA AI POVERI
E AGLI ULTIMI
Ovunque nel continente latino-americano la Madonna è
presente con numerosi santuari. Si tratta quasi sempre di
una Vergine dolorosa, venerata come Madre dei piccoli, dei
poveri e degli oppressi e come
strumento di riconciliazione.
L
a costituzione dogmatica sulla Chiesa,
Lumen gentium, del concilio Vaticano II, al capitolo VIII, dedicato alla beata
Vergine Maria, Madre di Dio, scrive che la
26 Incontri Fraterni
Madonna, «dopo la sua assunzione in cielo, non ha interrotto la sua funzione salvifica… ma con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora
peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e
affanni, fino a che non siano condotti nella
patria beata. Per questo la beata Vergine
è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, mediatrice…» (n. 62).
Di questa “materna cura” ne sono testimonianza l’amore e la fiducia filiale con cui
il popolo cristiano, attraverso i secoli, si è
sempre rivolto a lei e ha voluto che la sua
vicinanza fosse resa tangibile dedicandole
ovunque santuari, piccoli e grandi, divenuti poi luoghi di feste, pellegrinaggi, visite e
soprattutto di suppliche di intercessione e
di esperienze spirituali.
Nostra Signora della
Concezione Aparecida
Un continente dove la Madonna ha manifestato questa sua cura materna e compassionevole verso i piccoli, gli ultimi, gli
oppressi è anche l’America latina. A risvegliare l’attenzione verso questo continente
ha contribuito senza dubbio il pellegrinaggio del papa Francesco in occasione della
Giornata mondiale della gioventù a Rio de
Janeiro (23-28 luglio 2013), che ha avuto
nel grandioso santuario di Aparecida il suo
momento culminante.
In questo santuario la Madonna è conosciuta come la piccola Vergine degli schiavi e dei più umili. La sua effigie è giunta qui
in modo, per così dire, quasi prodigioso.
La sua storia comincia nel 1717, quando si
seppe che il conte di Assumar, don Pedro
di Almeida e del Portogallo, governatore
della Provincia di San Paolo e Minas Gerais,
si sarebbe fermato nel villaggio di Guaratinguetá, durante il suo viaggio verso Vila
Rica, l'odierna Ouro Preto in Minas Gerais.
Per l’occasione, alcuni pescatori erano
stati incaricati di fornire il pesce per il
banchetto da tenersi il giorno dopo, in
onore della visita del conte. Tre pescatori,
Domingos Garcia, Filipe Pedroso e João
Alves, andarono a pescare nel fiume Paraíba. Dopo alcuni tentativi infruttuosi,
gettarono le reti in un'area chiamata Porto
Itaguaçu.
João Alves trovò nella sua rete una statua
della Madonna, ma le mancava la testa.
Gettò nuovamente le reti e questa volta
pescò anche la testa. In seguito i tre pescatori provarono a gettare le reti e queste
si riempirono di pesci.
Per 15 anni la statua rimase nella casa di
Filipe Pedroso, dove i vicini si riunivano
per recitare il rosario. La devozione cominciò poco alla volta ad espandersi: alcuni fedeli, che avevano pregato davanti alla
statua, affermarono di aver ricevuto delle
grazie e così il culto si diffuse in tutto il
Brasile. A lei fu quindi dedicato il grande
santuario dell’Aparecida.
La sua presenza nel continente
Ma si può dire che non c’è angolo del continente, a partire dalla frontiera messicana fino alla Terra del Fuoco, compresa
l’Amazzonia, che non registri la presenza
della Madonna con santuari a lei dedicati.
A cominciare dalla Madonna di Guadalupe, la morenita, la Vergine per eccellenza, la patrona del Messico e del continente
latinoamericano, prototipo di tutte le Madonne invocate dalla Chiesa e venerate dal
popolo cattolico di quelle latitudini. A lei è
dedicato il grandioso santuario di Città del
Messico. Al centro della vicenda è l’indigeno Juan Diego Cuauhtlatoatzin, indio dalla
genealogia náhualtl, proclamato santo da
Giovanni Paolo II nel 2002.
In Panama è venerata la Madonna nazionale, Nuestra Señora de las Mercedes,
che sopravvisse al saccheggio e all’incendio appiccato dal pirata Morgan alla città.
In Nicaragua troviamo invece il santuario
Señora de la Concepción, “la purissima”
giunta in questo paese nella bisaccia di un
frate di Santa Teresa del Bambin Gesù.
Scendendo più a sud, in Ecuador è venerata la Virgen de la presentación del
Quinche che rassicurò gli indios che non
sarebbero stati divorati dall’orso selvatico
che terrorizzava la zona, mentre a Cuba
alla popolarissima Vergine De la Caridad
del Cobre, se ne aggiunse una seconda,
detta dell’Exílio, che prima di raggiungere la destinazione finale in terra statunitense stazionò proprio nell’ambasciata
d’Italia a La Avana.
Incontri Fraterni 27
In luoghi scelti dalla Vergine
Non si contano, inoltre, le Madonne che si
sono scelte da sole il luogo dove il popolo
avrebbe dovuto onorarle, facendosi trovare lì, resistendo agli spostamenti, talvolta
disposti dalle stesse autorità ecclesiastiche, piantandosi nel terreno a modo di
roccia inamovibile, e ritornando nel posto
prescelto con pervicacia dopo essere state
spostate a chilometri di distanza.
Protagonisti dei vari episodi sono sempre
persone molto povere e semplici.
Oltre al citato caso di Juan Diego Cuauhtlatoatzin, l’indio molto povero, al centro
delle vicende di Guadalupe, troviamo
quello della Madonna di Lujan, patrona dell’Argentina di Papa Francesco, che
ha avuto come protagonista uno schiavo
afro-brasiliano, mentre la Madonna boliviana conosciuta come Nuestra Señora
de la Candelaria de Copacabana, dagli
inconfondibili tratti indigeni, è stata intagliata da un discendente inca di poveri natali. Anche la Senora de Suyapa, patrona
dell’Honduras, si è fatta incontrare da un
giovane e povero bracciante.
28 Incontri Fraterni
Si può dire che le Madonne latinoamericane hanno la missione di unire i divisi,
riconciliare i belligeranti, avvicinare i lontani. La Vergine di Gadalupe è la più
nota realizzatrice di questo progetto, ma
non meno popolare è quella venezuelana
di Coromoto, o la salvadoregna detta, non
a caso, della Pace, per aver posto fine a
una lunga e cruenta guerra fratricida. Altri esempi sono la celebre Vergine di Caacupé, in Paraguay, che salva un indio convertito dalla persecuzione dei suoi simili
di razza Mbayaes, e quella del Costa Rica,
Nuestra Señora de los Angeles, che abbatte i muri di divisione tra bianchi e meticci indiani nella regione dell’istmo.
Quasi tutte le Madonne latinoamericane
sono dolorose, perché si sono fatte vicine
al popolo dei piccoli, dei poveri e sofferenti. Sono madonne-madri, che come tali si
sono fatte conoscere e per questo la gente le venera con un tenero amore filiale.
Tutte, quasi senza eccezione, tengono in
braccio il figlio di Dio, lo mostrano, lo protendono verso il popolo perché lo accolga
e abbia a credere in lui.
Un nuovo libretto su S. Clelia scritto dai “suoi cari amici”
LA VITA BELLA
DI SANTA CLELIA BARBIERI
La vita di Santa Clelia non finisce mai di stupire. È come
una bella fiaba – ma è storia
vera – che non ci si stanca
mai di ascoltare. Per questo il
nuovo libretto, da poco uscito,
susciterà in chi lo legge nuove
emozioni e nuova meraviglia.
C
lelia Barbieri, la piccola santa delle
Budrie, è una figura sempre più conosciuta nel vasto panorama delle vite dei
santi. La sua bibliografia comprende ormai
un buon numero di pubblicazioni, tra libri
e opuscoli, alcuni tradotti anche in altre
lingue, e alcuni Video, che narrano le vicende della sua breve ma intensa vita.
A questo patrimonio bibliografico si aggiunge ora un grazioso libretto illustrato,
in formato 17 X 17, tipo album, intitolato
La vita bella di Santa Clelia Barbieri,
pubblicato da Maglio Editore, di San Giovanni in Persiceto. È scritto da sr. Maria
Clara Bonora, minima dell’Addolorata,
autrice anche di altri libri su S. Clelia, anche se in copertina appare l’indicazione “a
cura dei suoi amici”. Si tratta evidentemente di un artificio letterario poiché
questi suoi amici sono in realtà ragazze
e ragazzi contemporanei di Clelia vissuti
Incontri Fraterni 29
allora alle Budrie, e hanno un nome ben
preciso, riscontrabile nella storia. Si chiamano: Enrico, Tonino, Maria Luisa, Saverio, Violante, Maria F. Clelia. Si presentano
così: «Clelia Barbieri è vissuta con noi e
come noi, siamo stati a casa sua e lei a casa
nostra, ci ha donato presenza, attenzione,
bontà, aiuto, ci ha fatto sentire Gesù vivo,
vero e vicino. Avevamo circa la sua età».
A questo gruppo se ne aggiunge un secondo di più piccoli che sono: Maria B. Raffaella S. Anna Maria, Raffaella G. Anna, Valentino. «Eravamo più piccoli – dicono – e
abbiamo goduto delle sue cure e del suo
amore».
Sullo sfondo del racconto si intravedono,
quasi in trasparenza, il piccolo paese delle
Budrie di quell’epoca, e i vari personaggi
che entrano a far parte della storia di Clelia: il papà Giuseppe Barbieri, la mamma
Giacinta, la sorella di Clelia, Ernestina, i
parenti, il parroco don Gaetano Guidi, e
altri.
Le vicende di quegli anni sono inserite
nel convulso contesto storico del tempo,
che è quello del Rinascimento italiano. Su
questa trama scorrono gli avvenimenti che
accompagnano la vita di Clelia: la nascita,
il battesimo, la cresima, la prima comunio-
30 Incontri Fraterni
ne, il suo desiderio fin da piccola di farsi santa, e più tardi, ormai grandicella, la
partecipazione alla vita della parrocchia, e
l’inizio della sua piccola comunità da cui
nascerà poi la Congregazione delle Minime dell’Addolorata. Infine il ricordo delle
sue ultime raccomandazioni al gruppo delle compagne, la sua morte a soli 23 anni
e la grande commozione della gente che
dice subito: «è la nostra santa». Quasi una
profezia della solenne proclamazione che
ne farà più tardi la Chiesa.
Tutta questa storia appare sempre nuova
e affascinante. È narrata, per una specie
di immedesimazione, attraverso lo sguardo del suo gruppo di amici e con quello
stupore di cui solo i piccoli sono capaci.
Sono in tutto poco più di una quarantina di
pagine a caratteri grandi e con ariosi spazi
bianchi. È scritto con uno stile piacevole
ed essenziale, ed è corredato da disegni a
colori di Fabio Bigatti a commento di ogni
capitoletto in cui è distribuita la narrazione.
Il libretto si chiude con un brano della
lettera di Clelia al suo caro Sposo Gesù,
e termina con l’invito, che è insieme una
consegna e un programma di vita: Amate
Iddio.
NELLA CASA DEL PADRE
Quattro nostre consorelle si sono
congedate da noi in questi mesi:
Suor Ignazia Ravaglia,
Suor Leonarda Scagliarini,
Suor Michelina Preti e
Suor Nicolina Marchioretto.
Le affidiamo alla misericordia di Dio
e alle preghiere di quanti le hanno
conosciute.
Preghiamo anche per i nostri familiari
che ci hanno lasciato in questo periodo:
Guglielmo, fratello di Suor Maria
Gioconda e Suor Guglielmina Prioli,
Angelo, fratello di Suor Bettina Valle,
Thoma, papà di Suor Maria Celina
Chakkalakkal
Luciano, fratello di Suor Aurelia Gozza
Giovanni, fratello di
Suor Mariana Malandrucolo e
Xavier, papà di Suor Sofia Maliyekkal
.
PREGHIERA
PER I
PELLEGRINI
“...Signore, aprite il vostro cuore
e buttate fuori una quantità
di fiamme d’amore
e con queste fiamme accendete il mio
fate che io bruci d’amore”.
Dalla lettera memoriale di S. Clelia
Ogni giorno nel Santuario
di S. Clelia si prega per tutti
coloro che costantemente
chiedono preghiere.
Il giorno 13 di ogni mese,
nella casa generalizia di
Bologna, viene celebrata
una S. Messa per tutti i
devoti di S. Clelia.
Incontri Fraterni 31
Santuario
Santa Clelia Barbieri
Le Budrie
ATTIVITÀ DEL SANTUARIO
Suore Minime dell’Addolorata
Via Tambroni, 13 - 40137 Bologna - Tel. 051 341755-342624 - c.c.p. 14253405
Redazione: Suor Maria Angelina Bentivogli - Dir. Resp. P. Giuseppe Albiero
Aut. Trib. Bo 3038 in data 18/1/1963 - Trimestrale n. 1/2015
Poste Italiane S.p.a. - Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N. 46) art. 1, comma 2, Anno XLVII - Pubb. inf. 50%
In caso di mancato recapito, si prega di restituire al mittente, che si impegna a pagare la tassa dovuta.
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IL PECCATO DELL`INDIFFERENZA - Suore Minime dell`Addolorata