LG Biblioteca della Montagna - CAI Milano Club Alpino Italiano Sezione di Milano Biblioteca Luigi Gabba archivio storico e fotografico Servizio Bibliotecario Nazionale Anno X N.40 - Autunno 2015 Direzione e redazione Via Duccio di Boninsegna 21 - 20145 Milano Tel. 0291765944 - Fax 028056971 www.caimilano.eu email: [email protected] Quartieri in Quota Al rifugio porta coi ragazzi del quartiere gratosoglio Cervino summiters il diario di Renato lorenzo, in vetta alla gran becca il 2 agosto 1959 Ritratti Alex torricini, gestore del rifugio brioschi sulla vetta del grignone LG Quartieri in Quota Biblioteca della Montagna - CAI MIlano Anno X N.40 - Autunno 2015 Direzione e redazione Via Duccio di Boninsegna 21 - 20145 Milano Tel. 0291765944 - Fax 028056971 www.caimilano.eu email: [email protected] Coordinamento redazionale: Renato Lorenzo e-mail: [email protected] Biblioteca della Montagna - CAI Milano Via Duccio di Boninsegna 21,23 - 2045 Milano orario martedì 10:00-18:00/21:00-22:00 giovedì 10:00-18:00 È vietata la riproduzione anche parziale di testi, fotografie, schizzi, figure, disegni, senza esplicita autorizzazione. Layout: Lorenzo Serafin La redazione accetta articoli, possibilmente succinti, compatibilmente con lo spazio, riservandosi ogni decisione sul momento e la forma della pubblicazione. Gli argomenti trattati sono in genere correlati alla ricca bibliografia consultabile presso la Biblioteca della Montagna Luigi Gabba del Cai Milano. Club Alpino Italiano Sezione di Milano fondata nel 1873 6.206 soci (fine dicembre 2013) Distribuzione riservata gratuitamente a soci e simpatizzanti In copertina Dario e Thomas alle prese con imbraghi e nodi savoia: a quella corda è appesa una vita, mai dimenticarlo! Nella foto sopra lo strillo Renato Lorenzo riceve da Giorgio Zoia l’attestato comprovante la sua appartenenza da 60 anni alla Sezione di Milano Qui a destra nel testo una foto di gruppo dell’associazione Piccolo Principe davanti all’ingresso del Rifugio Albergo Carlo Porta, uno dei gioielli della Sezione di Milano Così la Piccolo Principe scopre in Valsassina l’incanto della montagna N on è un caso se questa ormai storica falesia del Lecchese, il Sasso di Introbio, fu utilizzata già dal 1974 da Don Agostino Butturini, che ai suoi ragazzi dell’oratorio insegnò l’arrampicata come divertimento: è sicuramente per via della sua facile raggiungibilità e della ricchezza di itinerari anche per ragazzi al primo contatto con la roccia che il progetto Quartieri in Quota ha avuto qui il suo battesimo. Sabato 12 settembre mattina un manipolo di giovanissimi climber per la prima volta, dal Gratosoglio, vengono a esplorare la montagna. Mentre Valentina Casellato, guida alpina, finisce di sistemare due belle assicurazioni sulle paretine attrezzate con prese artificiali di fianco alla casa delle guide: i ragazzi son già pronti, con imbrago caschetto e scarpetta, e osservano in silenzio le agili manovre. Assieme a loro i quattro educatori della cooperativa Piccolo Principe, che al Gratosoglio svolge da anni un lavoro di sostegno, organizzando una serie di attività integrative al normale iter scolastico, Elena Biagini, ideatrice del progetto Quartieri in Quota e da diversi anni promotrice di iniziative di accompagnamento di ragazzi in montagna con l’associazione ALM (Attraverso la Montagna) e un accompagnatore del Club Alpino, cronista e fotoreporter di questa avventura. È sempre un piacere osservare la prima timida scoperta del mondo verticale, la meraviglia nel toccare con mano la possibilità di staccarsi da terra e muoversi in sicurezza attraverso una sequenza di gesti e di posture attentamente monitorate dal basso. Così come osservare con quanta attenzione questi ragazzi si incaricano di fare sicurezza ai loro compagni, consapevoli che attaccata a quel filo c’è una vita umana, rafforzando così un legame basato sulla fiducia e sulla complicità. Dopo una veloce sosta per rifocillarsi ci si avvia verso Pala Condor attraverso ripido sentiero dove i ragazzi possono cimentarsi con veri passi di arrampicata su roccia com- LG_settembre 2015 2 patta e ben attrezzata. A un primo sguardo si potrebbe pensare che Valentina abbia fatto il passo più lungo della gamba perché non sembra possibile che questi novellini possano affrontare passaggi di 5b. Ma la guida come un gatto arriva a guidare mani e piedi, a far scoprire piccoli gradini e fessure che nessuno pensava fossero la chiave per sfilare verso il cielo. I ragazzi sono concentrati e si fanno il tifo a vicenda, alcuni non riescono da subito ma ci riprovano, altri ripetono più volte Concentrazione e attenzione, ma anche un clima disteso, nonostante la severità dell’ambiente e la necessità di prestare attenzione a ogni movimento, anche al piede poco agevole della parete, per non far franare sassi, per non rotolare nei cespugli. Chi l’avrebbe detto che dei ragazzini così cittadini si sarebbero trovati così a loro agio? La giornata non è finita, mezzora di trasferimento col furgoncino del Piccolo Principe e si risalgono i 14 tornanti fino al piazzale dei Resinelli. Qui senza neanche troppe proteste, all’imbrunire, il gruppo si avvia a piedi verso il rifugio Porta dove Claudio Trentani ci sta aspettando con una buona cenetta e caldi piumini per il secondo battesimo della giornata: la prima notte in un rifugio alpino, le chiacchere e le confidenze che la stanchezza presto spegne in un magico silenzio. Le luci della pianura il lontananza (“Ma noi dove siamo?”), le nuvole che “salgono fino a noi”. Al mattino, tutti al caffelatte e marmellata, poi una schiarita fa partire i gruppetti per un specie di caccia al tesoro nel “Bosco Giulia”: dopo la spiegazione di lettura della carta topografica, si parte alla ricerca dei segnali guidati da indicazioni e tecniche di orientamento. Subito il primo scroscio di pioggia: si aprono gli ombrelli e ci vorrà un’ora e mezza per rientrare con la raccolta del bottino che permette di ricomporre e di decifrare il messaggio. Solo un gruppo prova due sentieri prima di individuare i percorso giusto, ma è ricompensato della scoperta delle magiche torri, teatro delle imprese di Cassin e tanti altri; non solo,sul- Biblioteca Braidense la via del ritorno il gruppetto si immobilizza vedendo sfilare nel bosco un capriolo grande ed il suo piccolo. “Se non sbagliavamo strada, non lo vedevamo!” Si scopre anche, tutti fradici, l’utilità del cambio asciutto, nel prescritto sacco di plastica. La scorta di qualche pile supplementare non guasta. E il magico rifugista trasforma i panini “al sacco” in un pranzo caldo che rinfranca. La tavolata chiacchiera tranquilla e gli educatori li vedono diversi, più grandi, più sereni fra loro. Ognuno ha visto gli altri al di fuori dagli schemi prestabiliti dalla scuola, dal quartiere, dalla comunità. Ognuno dice la sua parola. Si lascia il rifugio dopo aver lasciato la sua firma sul librone, dove si può leggere di altri che prima di noi hanno amato e vissuto questa natura aspra e forte, si legge di altri lontani luoghi di origine. Si possono evocare i nomi dei soci CAI, naturalisti, esploratori, semplici amici che hanno voluto questa “casa”per ospitare, per accogliere. E si possono evocare i versi “Madri Montagne” della poetessa Antonia Pozzi, le difficili vicende di guerra e Resistenza, di baite distrutte e rifugi bruciati, storie di belle, grandi imprese, i maglioni rossi dei Ragni… e sempre sullo sfondo resta la bellezza, il coraggio, l’amore per una montagna . La pioggia non la smette e si organizza un veloce trasporto fino al piazzale della Miniera Anna. Forniti di caschetti, pile frontali e stivali, scendiamo “nel cuore della terra”. Così il giovane geologo ci fa scoprire nelle gallerie, le vene del minerale, gli attrezzi e le tecniche più antiche, l’evoluzione tecnica in quasi 5 secoli di lavoro, con il trenino che tardi sostituisce almeno in parte le gerle piene di minerale grezzo portate a spalla fino al pozzo e alla superficie, alle fonderie di Laorca, a Lecco, a Milano. Chi erano i minatori? Nella buona stagione contadini e pastori, poi per mesi al chiuso e nel buio. E come vivevano, come venivano retribuiti, cosa mangiavano, dove dormivano in grotta questi ragazzi quindicenni senza scuola, che imparavano il lavoro dagli esperti trentenni “più anziani” ed a 45 anni dovevano abbandonare la miniera,e tornavano a casa e famiglia con i polmoni rovinati dalle polveri della silicosi? Pian piano il silenzio attonito si è interrotto con parecchie domande. Qualcuno ha ricordato un paese di origine. E poi fuori all’aria, di nuovo il cielo, le nuvole arrampicate sul Resegone, il pullmino, la strada verso la pianura, la città, verso casa. Ma presto ci rivedremo. Luisa Ruberl e Lorenzo Serafin I 23 mila libri di Von Haller che attraversarono le Alpi G li appassionati di libri che abitano a Milano sono molto fortunati perché hanno la possibilità di poter visitare comodamente la Biblioteca Braidense ben consapevoli che senz’altro è una pura utopia poter avvicinarsi, tra l’altro, agli immensi tesori che possiede. La Biblioteca Nazionale Braidense è Ritratto di Von Haller a 26 anni una delle più grandi Biblioteche italiane ed ha sede in un prestigioso palazzo di Milano. Venne ricostruito nel 1615 da Francesco Maria Richini ed ospita oltre la Biblioteca anche la Pinacoteca, l’Accademia di Belle Arti, l’Osservatorio astronomico. La Biblioteca fu fondata nel 1770 dall’imperatrice Maria Teresa, con la libreria del conte Carlo Pertusati, presidente del Senato e fu trasferita nel 1773 nell’attuale sede del palazzo di Brera unita alle biblioteche della soppressa Compagnia di Gesù e aperta al pubblico nel 1786. Si arricchì poi per lasciti, doni e acquisti e per il diritto di stampa, secondo cui è depositaria di una copia di tutte le pubblicazioni stampate nella provincia di Milano. Ragguardevoli collezioni la arricchirono: tra i fondi di maggior valore quello manzoniano, che comprende gli autografi delle opere dello scrittore, il suo carteggio, i libri da lui posseduti. Le si aggiunsero, tra l’altro, le biblioteche del naturalista Albrecht Von Haller (Berna 1708-1777) uno degli ultimi geni universali, medico e naturalista, filosofo e poeta, che ha dato un contributo decisivo alla scoperta delle Alpi (dopo di lui J.J. Rousseau e H.B. de Saussure). Di questo importante personaggio deve essere citato il celebre poema Le Alpi e gli scritti sulla geografia delle Alpi svizzere e sui ghiacciai, tutti i recits dei suoi viaggi nelle Alpi (1728-1761), nonché la straordinaria descrizione del viaggio della sua bibloteca (la più importante biblioteca scientifica del tempo, acquistata dopo la morte dall’imperatore Giuseppe II per la Braidense di Milano): 23 mila preziosi volumi trasportati nell’autunno 1778 attraverso il San Gottardo a dorso di mulo. La Biblioteca ha carattere generale, tuttavia con preferenza per la letteratura, la storia, la filosofia, le scienze sociali, la bibliografia. Conta circa 800.000 volumi e opuscoli. Possiede 2.344 incunaboli e circa 2.000 manoscritti, tra i quali taluni del secolo XI e XII. Possiede splendide raccolte di romanzi cavallereschi e di stampe popolari, una bella raccolta teatrale, le librerie di Cesare Correnti, di Francesco Novati, la biblioteca liturgica dei duchi di Parma e una ricca raccolta di ritratti e autografi (oltre 20 mila). Renato Lorenzo 3 LG_settembre 2015 Il Cervino dei summiter milanesi Dal taccuino di Renato Lorenzo emergono tre giorni grandi T Qui sopra un immagine recente di Renato Lorenzo, conservatore della biblioteca Luigi Gabba; a destra nell’immagine grande finalmente in vetta! è il 2 agosto 1959 e Renato compie l’impresa assieme alla guida Jean Pellissier, il “dievolo del Cervino”; nel ritaglio una tessera che conta: Club Amici del Cervino ra i summiter milanesi del Cervino Renato Lorenzo è probabilmente quello che vanta una più prolungata “militanza” nel regno delle altezze: era il 1959 quando raggiunse la cima della Gran Becca. Di anni ne sono trascorsi 56 e Renato non solo non ha smesso di andare in montagna, ma al CAI Milano è un’autorità assoluta: ricopre infatti la carica di conservatore della ricchissima biblioteca dedicata a Luigi Gabba. A testimoniare l’impresa di Renato sono i fogli a quadretti del taccuino riposto in una tasca dello zaino in quelle tre alacri giornate dell’estate 1959 (31 luglio, 1 e 2 agosto). Vergati in bella grafia con la stilografica, ordinati, sono un po’ lo specchio del suo carattere metodico. Metodicamente, di pagina in pagina, Renato scioglie la matassa della sua salita alla Gran Becca corredando il testo con piccoli fotogrammi quadrangolari che lo ritraggono durante la scalata lungo la cresta Sud Ovest percorsa con una guida alpina molto particolare: trattasi infatti di Jean Pellissier, il “diavolo del Cervino”, noto per il record di salite compiute con clienti di tutto il mondo, titolare all’epoca a Cervinia di una rinomata locanda. Le pagine sono debitamente ingiallite e recano tracce di annacquamenti: forse il temporale che si è scatenato quando Renato e Jean erano ormai in vista del Breuil e lo zaino non era ben chiuso. O forse le infiltrazioni erano dovute al fatto che gli zaini dell’epoca erano come colabrodi, chissà. “Dopo parecchi anni di propositi e trattative varie con guide ed amici”, annota Renato, “finalmente sono riuscito a compiere l’ascensione al Monte Cervino. Questa bella montagna mi ha affascinato moltissimo sia per la grandiosità dell’ambiente che per le difficoltà anche serie che ho incontrato”. Il giorno prima che arrivasse a Cervinia una furiosa tempesta di neve si era abbattuta sulla zona e la temperatura si era notevolmente abbassata. Questo”, spiega Renato, “aveva messo in dubbio la progettata ascensione e la guida era piuttosto indecisa se partire o meno. Il sabato mattina il cielo è ancora coperto ma si capisce che il tempo si metterà quasi sicuramente al bello. Vari squarci di azzurro lasciano intravedere l’imponente grandiosità del Cervino. “Saliamo in funivia a Plan Maison ci incamminiamo da qui lungo il comodo sentiero che ci porta al rifugio dell’Oriondè. Qui con il cannocchiale del rifugio possiamo LG_settembre 2015 4 osservare meglio la nostra montagna e purtroppo notiamo che ancora parecchia neve c’è sulle rocce. Sono le 13 e il cielo è ancora coperto. Solo a tratti compare il sole tra una nuvola e l’altra e questo non è sufficiente per far sciogliere la neve. Jean dice di salire fino alla capanna e qui pernottare e poi decidere il da farsi il giorno dopo a secondo delle condizioni della montagna e soprattutto del tempo. Lasciamo il rifugio dopo aver pranzato e con buon passo saliamo verso il Colle del Leone. Arrivati circa al pluviometro ci leghiamo anche perché il percorso diventa pericoloso e la salita ripida. Traversiamo verso destra e giungiamo al Colle del Leone da dove proseguiamo per scalare rocce facili attrezzate con le prime corde fisse. Trovo grande difficoltà a superare la Cheminèe anche perché prendo a salire troppo in fretta con la conseguenza di fermarmi continuamente lungo questo grande diedro a prendere fiato…”. La salita comincia a rivelarsi impegnativa anche per uno tosto e allenato come Renato. Che così prosegue a raccontare: “Arriviamo ben presto alla capanna dove accendiamo la stufetta con la legna che abbiamo portato dall’Oriondèe. Ci apprestiamo a cenare ma io purtroppo mangio pochissimo forse a causa della stanchezza e dell’altezza a cui mi trovo. Per nostra fortuna il tempo si è decisamente messo al bello e assistiamo a un meraviglioso tramonto. Verso le 21 poi rispondiamo ai fuochi che sono stati accesi per noi al Breuil. Soffro un poco alla testa: dopo aver scambiato qualche parola con due alpinisti provenienti da Vicenza e accompagnati dal famoso accademico Giancarlo Biasin, ci prepariamo per dormire. Con una gran quantità di coperte mi riparo dalla temperatura che si è notevolmente abbassata. Alla mattina presto il cielo è limpido, dopo una breve colazione riprendiamo a salire. Appena fuori dalla capanna alcune corde fisse ci facilitano la salita sulle rocce ancora ricoperte di neve e talvolta di ghiaccio. Il freddo si fa sentire abbastanza, Montagna senza età Note di un alpinista quasi ottantenne anche perché il sole non è ancora sorto. Sono costretto ad arrampicare con guanti di pelle”. Finalmente la cordata arriva la “Lenzuolo” e qui la traversata “si presenta difficile e pericolosa”. Jean calza i ramponi e deve gradinare per tutto il tratto. Procedono poi speditamente e alle 8,40 sono in vetta. Sostano per circa mezz’ora a scattare fotografie indi iniziano la discesa. Con un inconveniente. “Alla prima corda fissa non mi accorgo che sbalza di lato e per questo sbatto violentemente la mano destra contro lo spigolo della roccia. Fortunatamente riporto solo una grossa graffiatura ma questo non mi impedisce di proseguire. Il tempo, che fino ad allora si era mantenuto molto bello, si va man mano guastando e quando arriviamo di nuovo alla capanna è già decisamente brutto. Ci rifocilliamo un poco e dopo di nuovo in marcia verso l’Oriondèe. Lungo il sentiero che ci riporta al Breuil non possiamo evitare di prendere un violento acquazzone. Ma ormai il Cervino è vinto! Roberto Serafin La montagna è sempre stata parte della mia vita, lo sport che ha assorbito quasi tutte le mie energie nel campo ricreativo ed anche l’hobby del tempo libero quando d’inverno archivio la documentazione raccolta durante l’anno. Così sono trascorsi i miei settanta anni di alpinismo, ma non penso ancora a fare un bilancio; preferisco dare libero sfogo ai tanti ricordi che affollano la mia mente, ricordi di cime raggiunte di montagne viste e talora salite in Italia e in paesi molto lontani. I momenti magici dell’alpinismo prescindono dalla cima scalata, dalla quota raggiunta, sono vette dello spirito, momenti sublimi che vorremmo prolungare all’infinito e rivivere ancora, anche se sappiamo benissimo che ciò non è possibile. Partire da solo, prima dell’alba, lasciando il rifugio silenzioso ove tutti riposano, imboccare alla luce della frontale un sentiero verificato il giorno prima e salire con passo tranquillo in attesa delle prime luci del nuovo giorno, che voglio osservare stando seduto su di un masso, alto sulle pendici della valle. I primi chiarori da oriente mi raggiungono, le cime di fronte a me cominciano ad illuminarsi, la luce si diffonde e scende, propagandosi come una lenta onda di piena che cresce inarrestabile, nei pendii scoscesi che fronteggio, giù, giù, fino al torrente che d’improvviso si accende di uno scintillio dai mille riflessi, mentre contemporaneamente il sole si rivela alle mie spalle, affacciandosi da una bocchetta rocciosa. Esplorare per la prima volta una valle sufficientemente lunga e impervia, ma senza aver consultato una carta geografica o chiesto informazioni, risalirla dai primi alpeggi seguendo a lungo il torrente e poi raggiungerne il fondo, chiuso da un cerchio di alte montagne. Salire ancora per vaghe e ripide tracce di animali al pascolo e raggiungere un laghetto, sostare un tempo indefinito per riposare e poi risalire ancora lungo un canalone ripido ma non difficile, fino alla bocchetta sovrastante che separa due cime. Almeno una volta scendere, inventando un percorso su esili tracce nell’altra valle limitrofa che mi è ignota, segnata anch’essa da un torrente e da casere nelle praterie al limite inferiore dei boschi. Ascoltare la natura che mi circonda, ma anche il fluire dei pensieri, respirare a pieni polmoni l’aria leggera, fragrante e pura, mossa da una brezza leggera che accarezza il viso, fa stormire le fronde, nella parte media della valle, e piega l’erba nella prateria d’alta quota; vagare poi senza incontrare persone od animali. Oppure salire senza misurare il tempo che scorre. Arrivare dopo ore di cammino ad un colle che, dal fondo della valle, mi era parso lontano e forse irraggiungibile e, dalla sua sommità, scoprire al di là un paesaggio totalmente nuovo ed inatteso. Oggi nessuno mi attende a valle, la via del ritorno mi è nota. Lentamente il giorno si spegne e nella valle è già sera, ma qui in alto la luce prolunga la sua presenza. Il cammino di questi settanta anni è stato lungo, ricco, appagante, ricolmo di grandi soddisfazioni, di tanti incontri, di avventure, di grandi fatiche e anche di sofferenze, e non è ancora concluso; uno dei grandi pregi dell’alpinismo è proprio quello di essere aperto ad una frequentazione senza limiti di età. Giancarlo Zucchi 5 LG_settembre 2015 Grigna Vetta Alex Torricini e il Brioschi, un rifugio di vetta Per gentile concessione pubblichiamo l’intervista di Lorenzo Serafin ad Alex Torricini, gestore del Rifugio Brioschi, storico baluardo della Sezione di Milano sulla vetta della Grigna Settentrionale, già pubblicata sull’ultimo numero della rivista Cantieri d’Alta Quota, house organ dell’omonima associazione che ha sede a Biella e si propone come punto di riferimento per lo studio e la promozione dell’inestimabile patrimonio di rifugi e bivacchi che popolano le Alpi. Qui sopra Alex Torricini, gestore del Brioschi (nella foto a destra) rifugio di vetta che ha sedotto gli appassionati di montagna, come risulta dal sondaggio “Il rifugio del cuore” di Meridiani Montagne del 2012 che lo ha visto in testa alla classifica Fare il rifugista al Brioschi (2410 m) è un esercizio costante di equilibrio, spiega Alex Torricini, classe 1973, laureato in lingue orientali con specializzazione sull’In- dia, da quasi cinque anni gestore del “rifugio più amato dagli italiani” secondo un sondaggio di “Meridiani Montagne” del 2012. Alex è subentrato al decano Fulvio Aurora lasciando la gestione, durata 4 anni, del più comodo rifugio Riva all’Alpe Piattedo (1022 m) sopra Baiedo (LC): «Sapevo che mi sarei messo nei pasticci ma questa è una dimensione di montagna che sento più mia». La vita in un rifugio di vetta non è semplice, bisogna continuamente fare i conti con una scarsità di risorse e un relativo isolamento che talvolta diventa ingombrante. «I ritmi del Brioschi passano da momenti di grande frequentazione ad altri di perfetta solitudine, sia d’inverno che d’estate. Quando il brutto tempo è prolungato salgono in pochi, ma d’estate si deve tenere sempre aperto e non si può scendere a valle neanche in giornata. Bisogna gestire bene il tempo occupandosi dei molti lavori di manutenzione e amministrativi. Non si è mai però completamente isolati, da tre anni c’è la connessione internet wireless grazie a un mio interessamento presso la società 3bmeteo che ha dato il supporto tecnico con lo scopo d’installare una webcam collegata 24 ore su 24». Uno degli aspetti interessanti del Brioschi è la molteplicità delle vie di avvicinamento, tanto che anche Alex ne approfitta per cimentarsi via via con itinerari nuovi, sempre all’altezza della sua esperienza alpinistica: ad esempio, recentemente ha scelto la via Gin Sengg (6b) per raggiungere assieme a Massimiliano Marelli il posto di lavoro. D’altronde, «la Grigna settentrionale offre molte corde belle per ogni livello alpinistico. Una variante ai sentieri normali è ad LG_settembre 2015 6 esempio quello attrezzato dei Carbonari, facilmente raggiungibile dal rifugio Bietti e dalla bocchetta di val Cassina». Alex le vie le ha percorse quasi tutte e invita ognuno a cercare la propria ispirazione sui canali del Grignone... con qualche avvertenza: l’inverno scorso ad esempio sul noto canale Ovest si è verificato un sovraffollamento piuttosto pericoloso di alpinisti, alcuni vistosamente impreparati. «Succede per via del tam tam dei social: il passaparola e lo spirito di emulazione possono produrre conseguenze disastrose e, se in quell’occasione la fortuna ha voluto che non succedesse niente, non è decisamente questo l’approccio giusto». D’altronde, va ricordato che questa montagna è soggetta a repentini cambi termici (dovuti alla vicinanza del lago e all’esposizione dei pendii) che in tempi brevi vetrificano la superficie del manto nevoso. Il 17 dicembre 2000, tale fenomeno causò quattro vittime. «Un evento raro e che non si deve ripetere, anche in ragione del fatto che la campagna di prevenzione è oggi assidua e costante e si raccomanda sempre a tutti di avere i ramponi a disposizione. Questa mutevolezza del manto nevoso porta a situazioni di divertimento ma anche di grande rischio e, siccome d’inverno il rifugio non è sempre aperto, non siamo sempre in grado d’informare gli alpinisti sulle condizioni della neve che cambiano giorno per giorno». Senza risalire agli albori della storia del Brioschi, inaugurato il 10 ottobre 1895 dal CAI Milano (vicenda ben ricostruita da Aurora a che ha da sempre molto da insegnare Andrea Savio, dottore di ricerca in Storia moderna presso l’Università di Verona, è stato Visiting Research Student presso il Birkbeck College, University of London ed è attualmente assegnista di ricerca presso l’Università di Padova. Le sue ricerche riguardano la formazione dell’identità nobiliare e in generale le strutture culturali e istituzionali del potere in Età moderna, prevalentemente nella Repubblica di Venezia. Ha pubblicato studi sugli eventi miracolosi del giugno 1559 e sull’avvocato Enrico Antonio Godi, sequestrato dall’imperatore Massimiliano i durante la guerra di Cambrai. Per Cierre ha collaborato al volume Il Movente. Il giudice Bernardo Marchesini e il processo per l’omicidio di Giovanni Rama (1831-1833). Luca Trevisan è dottore di ricerca in Storia dell’arte moderna presso il Dipartimento Tempo Spazio Immagine e Società dell’Università di Verona. Docente a contratto di Storia dell’architettura contemporanea all’Università Ca’ Foscari di Venezia per l’anno accademico 2013-14, e docente di Storia dell’arte presso alcuni istituti di restauro, dal 2010 fa parte del Comitato di Gestione del Museo Diocesano di Vicenza e dal 2011 del Consiglio Direttivo degli Amici dei Musei e dei Monumenti di Vicenza. Relatore a diversi convegni, seminari e conferenze, ha curato e fatto parte dell’équipe di ricerca scientifica di numerose importanti mostre, tra cui Tiziano. L’ultimo atto (2007-08), Giorgione (2009-10), San Nicola, Tiziano, il merletto. Iconografia dal xiv al xx secolo (2011-12), Angelo Zanovello. Illustre cartografo e agrimensore nella Montecchio del Seicento (2013). Nelle sue pubblicazioni (monografie, saggi su rivista, atti di convegno, contributi su volumi collettanei, cataloghi di mostre ecc.) si è finora occupato, soprattutto attraverso indagini d’archivio, di problematiche relative all’arte veneta tra Quattro e Novecento, con un particolare riguardo per l’architettura vicentina. Tra i suoi libri ricordiamo Palladio. Le ville (2008, nuova ed. 2012), Vicenza. Arte, architettura e paesaggio. La rappresentazione di uno spettacolo urbano (2009), Antonio Pizzocaro architetto vicentino 1605-1680 (2009), Il tempio di San Lorenzo a Vicenza (2011), Incisori itineranti nell’area veneta nel Seicento. Dizionario bio-bibliografico (2013, con Giulio Zavatta) e la curatela dei volumi Tarsie lignee del Rinascimento in Italia (2011) e Il luogo dell’incontro. Museo Diocesano di Vicenza (2012). Per Cierre è intervenuto con un saggio nel libro Il palazzo e la città. Le vicende di palazzo Emilei Forti a Verona (2012). Il 22 Ottobre al Cai Milano Vittorio Lombardi, tesoriere della conquista italiana del K2 Andrea Savio vittorio lombardi «Il Brioschi è variamente frequentato: gli abitudinari salgono anche più volte alla settimana; altri vengono apposta quando sanno che ci sarà poca gente o quando piove, approfittandone per passare una serata di chiacchiere e per staccare dal quotidiano. Diciamo che di chiacchiere se ne fanno tante lassù e a un certo punto si conoscono un po’ i fatti di tutti... e naturalmente tutti conoscono i tuoi. Se non esistesse il rifugio, il Grignone non sarebbe così frequentato perché rimane una montagna impervia, soprattutto d’inverno». Il Brioschi è un punto di osservazione e una sorta di faro, tant’è che anche sul web si trova moltissimo materiale. «La frequentazione è mista di alpinisti ed escursionisti, la maggior parte dei quali alla prima esperienza di rifugio: alcuni restano male quando non trovano l’asciugamano; altri protestano perché non posso riempirgli la borraccia. In ogni caso mi piace pensare che salendo quassù, molta gente impari qualcosa di nuovo e utile». ■ Luca Trevisan vittorio lombardi mecenate illuminato e tesoriere della conquista italiana del K2 Andrea Savio e Luca Trevisan in 20 anni in Grigna, storie e ricordi di un rifugista, Bellavite 2010), va ricordata la sua sciagurata distruzione a opera dei repubblichini, che per inutile e barbara rappresaglia diedero fuoco al rifugio, in precedenza risparmiato dalle SS che erano salite col gestore Agostoni l’1 novembre 1944, rendendolo comunque inservibile. «Non era certo strategico per la Resistenza, casomai aveva un valore simbolico, anche per via del fatto che fin dalla sua costruzione fu sempre molto frequentato come rifugio di vetta». Ricostruito nel 1948, fu ampliato a più riprese; dal 1995 ha assunto l’aspetto attuale, con una capienza di 34 posti letto. «Qui ci sono sempre manutenzioni e lavori, anche grossi, da fare, ma io avanzo alla sezione CAI di volta in volta piccole richieste e cerco di fare personalmente quello che posso: ad esempio sto perlinando alcune sale - penso che sia la finitura interna migliore per un rifugio e la più semplice da mantenere. La gente cambia e bisogna adattare la struttura per quanto possibile alle esigenze, anche se spesso le richieste sono del tutto fuori luogo. Certi visitatori pretendono lenzuola pulite oppure il panino... è difficile fargli capire che ci sono valide alternative, la pasta al ragù, la polenta, mentre il pane fresco andrebbe approvvigionato a spalla tutti i giorni; mi sto comunque ingegnando con piadine e altri compromessi. Da un po’ di tempo riesco a gestire bene anche l’elicottero, cercando di contrattare con l’azienda rotazioni più frequenti per aver sempre generi alimentari freschi». I due autori Andrea Savio e Luca Trevisan racconteranno ai nostri soci la figura di Lombardi mecenate e quella di tesoriere della spedizione al K2, due aspetti della sua personalità che ben esemplificano le tensioni dell’Italia di quegli anni, tratteggiata per la prima volta nello specifico e in maniera sistematica, facendo riferimento a documenti fino ad oggi inediti. Maggiori info su www.caimilano.eu 7 14,00 7 LG_settembre 2015 I nostri cari Angelo Calegari L Qui sopra la domanda di ammissione alla Sezione di Milano, conservata nei nostri archivi ’intramontabile Angiolino è tramontato. Calegari Angelo, il Socio del Club Alpino e dello Sci Club Milano da sempre, l’Accademico, è morto. Come i giusti, il Signore lo ha chiamato la notte, senza che nessuno lo sentisse, senza che lui stesso si accorgesse del trapasso, quieto, sereno. Avrà sognato di essere su uno degli infiniti sentieri, a lui tutti conosciuti, di vedere un fiore di un certo colore da ricordare per riportarlo sui suoi ricami, per creare un nuovo felice accostamento. La Montagna, per questo Accademico, è stata veramente la vita. Ne era adoratore per cui ha sempre cercato non il difficile per se stesso, ma il bello, la solitudine, la maestà, i colori, la luce. Vedeva la montagna come Segantini. I graniti del Masino, che conosceva come nessuno, erano per lui un vero tesoro: erano i più belli, i più onesti. Messo sulla più bella dolomia, li ricordava decantandone i meriti. Col fratello, accademico, la sorella che gli è stata compagna affettuosa e paziente, prima donna sulla cresta Nord del Badile – erano un cenobio in vera adorazione per i nostri monti. Trovava il bello dove ognuno passa senza guardare. Ai suoi 70 anni, la Martica, il Poncione parlavano lo stesso linguaggio delle vere cime ormai lontane. Ogni anno – anche nel 1955 – faceva un campo: dal 1915 con poche interruzioni. Era la vera montagna quella che Angiolino voleva – senza folla – la “barbana” del suo fiorito linguaggio, ricco di tanti termini pittoreschi – con un fondamentale fastidio per i mezzi meccanici. L’unico suo desiderio – essere sepolto dove si veda la montagna – sarà esaudito. Molto ancora vorrei dire: la sua scontrosità che solo i bambini superavano di slancio, la sua ingegnosità nel lavoro. Tutto fece; fu pittore e fece cose sentite, fu scultore, fonditore. Troppo anziano per essere militare anche nella 1° guerra mondiale, fu meccanico e automobilista; le sue automobili risalgono ad anni in cui era strano averle – aveva la patente dal 1905. I disegni dei ricami nell’azienda fraterna seppe produrre capolavori, nel colore e nella bellezza del lavoro, erano suoi. Credo che la montagna sia degna della nostra gratitudine anche solo per aver plasmato uomini come questo, in cui modestia, bontà, rettitudine assoluta, educazione perfetta e finezza sostanziale di tratto e di linguaggio in ogni circostanza, posswono essere di esempio. Ed io, come tutti i suoi compagni di cordata e di bivacco lo posso veramente dire. ■ Libro di rifugio La guerra 1915 – 1918 a Capanna Milano Queste note furono scritte, alla fine della guerra, occupando 12 pagine del libro della Capanna Milano da Guido Bertarelli – Capitano del V° Reggimento Alpini – rimasto nella zona Val Zebrù in Valfurva dal luglio 1915 all’ottobre 1918. La Capanna sorge a 2842 metri ed è sempre stata di proprietà della Sezione del CAI Milano e venne inaugurata il 24 1884. ddd L’inizio delle operazioni di guerra il 24 maggio 1915 trovava schierati in Valtellina due LG_settembre 2015 8 Battaglioni Alpini del V° Reggimento Alpini: il Battaglione Tirano su 5 Compagnie in linea ed Battaglione Valtellina di riserva. Una compagnia del Battaglione Tirano, la 113° Compagni a aveva il comando a Santa Caterina Valfurva coll’incarico di difendere la linea di frontiera dal Passo dell’Ables (Monte Cristallo) – la Val Zebrù, il Passo del Cevedale, la Val Furvae la Val Gavia. Detta Compagnia ebbe in rinforzo una piccola Compagnia la 1° Volontari Alpini. Questa truppa tenne tutto il fronte con piccoli punti fino al marzo 1916. In Val Zebrù furono fatte alcune ricognizioni…