LG
Biblioteca della Montagna - CAI Milano
Club Alpino Italiano
Sezione di Milano
Biblioteca
Luigi Gabba
archivio storico
e fotografico
Servizio
Bibliotecario
Nazionale
Anno X N.40 - Autunno 2015
Direzione e redazione
Via Duccio di Boninsegna 21 - 20145 Milano
Tel. 0291765944 - Fax 028056971
www.caimilano.eu
email: [email protected]
Quartieri
in Quota
Al rifugio porta
coi ragazzi
del quartiere
gratosoglio
Cervino
summiters
il diario di Renato
lorenzo, in vetta
alla gran becca
il 2 agosto 1959
Ritratti
Alex torricini,
gestore del
rifugio brioschi
sulla vetta del
grignone
LG
Quartieri in Quota
Biblioteca della Montagna - CAI MIlano
Anno X N.40 - Autunno 2015
Direzione e redazione
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Coordinamento redazionale: Renato Lorenzo
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Biblioteca della Montagna - CAI Milano
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giovedì 10:00-18:00
È vietata la riproduzione anche parziale di testi,
fotografie, schizzi, figure, disegni, senza esplicita
autorizzazione.
Layout: Lorenzo Serafin
La redazione accetta articoli, possibilmente
succinti, compatibilmente con lo spazio, riservandosi ogni decisione sul momento e la forma
della pubblicazione. Gli argomenti trattati
sono in genere correlati alla ricca bibliografia
consultabile presso la Biblioteca della Montagna Luigi Gabba del Cai Milano.
Club Alpino Italiano
Sezione di Milano
fondata nel 1873
6.206 soci (fine dicembre 2013)
Distribuzione
riservata
gratuitamente
a soci
e simpatizzanti
In copertina Dario
e Thomas alle prese
con imbraghi e nodi
savoia: a quella corda
è appesa una vita, mai
dimenticarlo! Nella foto
sopra lo strillo Renato
Lorenzo riceve da
Giorgio Zoia l’attestato
comprovante la sua
appartenenza da 60
anni alla Sezione di
Milano
Qui a destra nel testo
una foto di gruppo
dell’associazione
Piccolo Principe
davanti all’ingresso del
Rifugio Albergo Carlo
Porta, uno dei gioielli
della Sezione di Milano
Così la Piccolo Principe scopre in
Valsassina l’incanto della montagna
N
on è un caso se questa ormai storica falesia del Lecchese, il Sasso di Introbio, fu
utilizzata già dal 1974 da Don Agostino Butturini, che ai suoi ragazzi dell’oratorio insegnò
l’arrampicata come divertimento: è sicuramente per via della sua facile raggiungibilità
e della ricchezza di itinerari anche per ragazzi
al primo contatto con la roccia che il progetto
Quartieri in Quota ha avuto qui il suo battesimo. Sabato 12 settembre mattina un manipolo di giovanissimi climber per la prima
volta, dal Gratosoglio, vengono a esplorare la
montagna.
Mentre Valentina
Casellato,
guida
alpina, finisce di
sistemare due belle
assicurazioni sulle
paretine attrezzate
con prese artificiali di fianco alla
casa delle guide:
i ragazzi son già
pronti, con imbrago caschetto e scarpetta, e osservano
in silenzio le agili
manovre. Assieme
a loro i quattro educatori della cooperativa
Piccolo Principe, che al Gratosoglio svolge
da anni un lavoro di sostegno, organizzando
una serie di attività integrative al normale iter
scolastico, Elena Biagini, ideatrice del progetto Quartieri in Quota e da diversi anni promotrice di iniziative di accompagnamento di
ragazzi in montagna con l’associazione ALM
(Attraverso la Montagna) e un accompagnatore del Club Alpino, cronista e fotoreporter
di questa avventura.
È sempre un piacere osservare la prima timida scoperta del mondo verticale, la meraviglia nel toccare con mano la possibilità
di staccarsi da terra e muoversi in sicurezza
attraverso una sequenza di gesti e di posture attentamente monitorate dal basso. Così
come osservare con quanta attenzione questi
ragazzi si incaricano di fare sicurezza ai loro
compagni, consapevoli che attaccata a quel
filo c’è una vita umana, rafforzando così un
legame basato sulla fiducia e sulla complicità.
Dopo una veloce sosta per rifocillarsi ci si
avvia verso Pala Condor attraverso ripido
sentiero dove i ragazzi possono cimentarsi
con veri passi di arrampicata su roccia com-
LG_settembre 2015 2
patta e ben attrezzata. A un primo sguardo si
potrebbe pensare che Valentina abbia fatto
il passo più lungo della gamba perché non
sembra possibile che questi novellini possano
affrontare passaggi di 5b. Ma la guida come
un gatto arriva a guidare mani e piedi, a far
scoprire piccoli gradini e fessure che nessuno
pensava fossero la chiave per sfilare verso il
cielo. I ragazzi sono concentrati e si fanno il
tifo a vicenda, alcuni non riescono da subito
ma ci riprovano, altri ripetono più volte Concentrazione e attenzione, ma anche un clima
disteso, nonostante la severità dell’ambiente
e la necessità di
prestare attenzione
a ogni movimento,
anche al piede poco
agevole della parete, per non far franare sassi, per non
rotolare nei cespugli. Chi l’avrebbe
detto che dei ragazzini così cittadini si
sarebbero trovati
così a loro agio?
La giornata non è
finita, mezzora di
trasferimento col furgoncino del Piccolo Principe e si risalgono i 14 tornanti fino al piazzale
dei Resinelli. Qui senza neanche troppe proteste, all’imbrunire, il gruppo si avvia a piedi
verso il rifugio Porta dove Claudio Trentani ci
sta aspettando con una buona cenetta e caldi
piumini per il secondo battesimo della giornata: la prima notte in un rifugio alpino, le
chiacchere e le confidenze che la stanchezza
presto spegne in un magico silenzio. Le luci
della pianura il lontananza (“Ma noi dove siamo?”), le nuvole che “salgono fino a noi”.
Al mattino, tutti al caffelatte e marmellata, poi
una schiarita fa partire i gruppetti per un specie di caccia al tesoro nel “Bosco Giulia”: dopo
la spiegazione di lettura della carta topografica, si parte alla ricerca dei segnali guidati
da indicazioni e tecniche di orientamento.
Subito il primo scroscio di pioggia: si aprono
gli ombrelli e ci vorrà un’ora e mezza per rientrare con la raccolta del bottino che permette
di ricomporre e di decifrare il messaggio. Solo
un gruppo prova due sentieri prima di individuare i percorso giusto, ma è ricompensato
della scoperta delle magiche torri, teatro delle
imprese di Cassin e tanti altri; non solo,sul-
Biblioteca Braidense
la via del ritorno il gruppetto si immobilizza
vedendo sfilare nel bosco un capriolo grande
ed il suo piccolo. “Se non sbagliavamo strada,
non lo vedevamo!”
Si scopre anche, tutti fradici, l’utilità del cambio asciutto, nel prescritto sacco di plastica.
La scorta di qualche pile supplementare non
guasta. E il magico rifugista trasforma i panini “al sacco” in un pranzo caldo che rinfranca.
La tavolata chiacchiera tranquilla e gli educatori li vedono diversi, più grandi, più sereni
fra loro. Ognuno ha visto gli altri al di fuori
dagli schemi prestabiliti dalla scuola, dal
quartiere, dalla comunità. Ognuno dice la sua
parola.
Si lascia il rifugio dopo aver lasciato la sua
firma sul librone, dove si può leggere di altri che prima di noi hanno amato e vissuto
questa natura aspra e forte, si legge di altri
lontani luoghi di origine. Si possono evocare
i nomi dei soci CAI, naturalisti, esploratori,
semplici amici che hanno voluto questa “casa”per ospitare, per accogliere. E si possono
evocare i versi “Madri Montagne” della poetessa Antonia Pozzi, le difficili vicende di
guerra e Resistenza, di baite distrutte e rifugi
bruciati, storie di belle, grandi imprese, i maglioni rossi dei Ragni… e sempre sullo sfondo
resta la bellezza, il coraggio, l’amore per una
montagna .
La pioggia non la smette e si organizza un veloce trasporto fino al piazzale della Miniera
Anna. Forniti di caschetti, pile frontali e stivali, scendiamo “nel cuore della terra”. Così il
giovane geologo ci fa scoprire nelle gallerie, le
vene del minerale, gli attrezzi e le tecniche più
antiche, l’evoluzione tecnica in quasi 5 secoli
di lavoro, con il trenino che tardi sostituisce
almeno in parte le gerle piene di minerale grezzo portate a spalla fino al pozzo e alla
superficie, alle fonderie di Laorca, a Lecco, a
Milano.
Chi erano i minatori? Nella buona stagione
contadini e pastori, poi per mesi al chiuso
e nel buio. E come vivevano, come venivano
retribuiti, cosa mangiavano, dove dormivano in grotta questi ragazzi quindicenni senza
scuola, che imparavano il lavoro dagli esperti
trentenni “più anziani” ed a 45 anni dovevano
abbandonare la miniera,e tornavano a casa e
famiglia con i polmoni rovinati dalle polveri
della silicosi?
Pian piano il silenzio attonito si è interrotto
con parecchie domande. Qualcuno ha ricordato un paese di origine. E poi fuori all’aria, di
nuovo il cielo, le nuvole arrampicate sul Resegone, il pullmino, la strada verso la pianura,
la città, verso casa. Ma presto ci rivedremo.
Luisa Ruberl e Lorenzo Serafin
I 23 mila libri di Von Haller
che attraversarono le Alpi
G
li appassionati di libri che
abitano a Milano
sono molto fortunati perché hanno la possibilità di
poter visitare comodamente la Biblioteca Braidense
ben
consapevoli
che senz’altro è una
pura utopia poter
avvicinarsi, tra l’altro, agli immensi
tesori che possiede.
La Biblioteca Nazionale Braidense è
Ritratto di Von Haller a 26 anni
una delle più grandi
Biblioteche italiane ed ha sede in un prestigioso palazzo di Milano.
Venne ricostruito nel 1615 da Francesco Maria Richini ed ospita
oltre la Biblioteca anche la Pinacoteca, l’Accademia di Belle Arti,
l’Osservatorio astronomico. La Biblioteca fu fondata nel 1770
dall’imperatrice Maria Teresa, con la libreria del conte Carlo Pertusati, presidente del Senato e fu trasferita nel 1773 nell’attuale
sede del palazzo di Brera unita alle biblioteche della soppressa
Compagnia di Gesù e aperta al pubblico nel 1786.
Si arricchì poi per lasciti, doni e acquisti e per il diritto di stampa,
secondo cui è depositaria di una copia di tutte le pubblicazioni
stampate nella provincia di Milano. Ragguardevoli collezioni la
arricchirono: tra i fondi di maggior valore quello manzoniano,
che comprende gli autografi delle opere dello scrittore, il suo carteggio, i libri da lui posseduti.
Le si aggiunsero, tra l’altro, le biblioteche del naturalista Albrecht
Von Haller (Berna 1708-1777) uno degli ultimi geni universali,
medico e naturalista, filosofo e poeta, che ha dato un contributo
decisivo alla scoperta delle Alpi (dopo di lui J.J. Rousseau e H.B.
de Saussure). Di questo importante personaggio deve essere citato il celebre poema Le Alpi e gli scritti sulla geografia delle
Alpi svizzere e sui ghiacciai, tutti i recits dei suoi viaggi nelle Alpi
(1728-1761), nonché la straordinaria descrizione del viaggio della
sua bibloteca (la più importante biblioteca scientifica del tempo,
acquistata dopo la morte dall’imperatore Giuseppe II per la Braidense di Milano): 23 mila preziosi volumi trasportati nell’autunno 1778 attraverso il San Gottardo a dorso di mulo.
La Biblioteca ha carattere generale, tuttavia con preferenza per
la letteratura, la storia, la filosofia, le scienze sociali, la bibliografia. Conta circa 800.000 volumi e opuscoli. Possiede 2.344
incunaboli e circa 2.000 manoscritti, tra i quali taluni del secolo
XI e XII.
Possiede splendide raccolte di romanzi cavallereschi e di stampe
popolari, una bella raccolta teatrale, le librerie di Cesare Correnti, di Francesco Novati, la biblioteca liturgica dei duchi di Parma
e una ricca raccolta di ritratti e autografi (oltre 20 mila).
Renato Lorenzo
3 LG_settembre 2015
Il Cervino dei summiter milanesi
Dal taccuino di Renato Lorenzo
emergono tre giorni grandi
T
Qui sopra un
immagine recente
di Renato Lorenzo,
conservatore della
biblioteca Luigi
Gabba; a destra
nell’immagine grande
finalmente in vetta!
è il 2 agosto 1959
e Renato compie
l’impresa assieme
alla guida Jean
Pellissier, il “dievolo
del Cervino”; nel
ritaglio una tessera
che conta: Club Amici
del Cervino
ra i summiter milanesi del Cervino Renato Lorenzo è probabilmente quello
che vanta una più prolungata “militanza” nel
regno delle altezze: era il 1959 quando raggiunse la cima della Gran Becca. Di anni ne
sono trascorsi 56 e Renato non solo non ha
smesso di andare in montagna, ma al CAI
Milano è un’autorità assoluta: ricopre infatti
la carica di conservatore della ricchissima biblioteca dedicata a Luigi Gabba.
A testimoniare l’impresa di Renato sono i
fogli a quadretti del taccuino riposto in una
tasca dello zaino in quelle tre alacri giornate
dell’estate 1959 (31 luglio, 1 e 2 agosto). Vergati in bella grafia con la stilografica, ordinati, sono un po’ lo specchio del suo carattere
metodico. Metodicamente, di pagina in pagina, Renato scioglie la matassa della sua salita
alla Gran Becca corredando il testo con piccoli fotogrammi quadrangolari che lo ritraggono durante la scalata lungo la cresta Sud
Ovest percorsa con una guida alpina molto
particolare: trattasi infatti di Jean Pellissier,
il “diavolo del Cervino”, noto per il record di
salite compiute con clienti di tutto il mondo,
titolare all’epoca a Cervinia di una rinomata
locanda. Le pagine sono debitamente ingiallite e recano tracce di annacquamenti: forse
il temporale che si è scatenato quando Renato e Jean erano ormai in vista del Breuil e lo
zaino non era ben chiuso. O forse le infiltrazioni erano dovute al fatto che gli zaini dell’epoca erano come colabrodi, chissà.
“Dopo parecchi anni di propositi e trattative
varie con guide ed amici”, annota Renato,
“finalmente sono riuscito a compiere l’ascensione al Monte Cervino. Questa bella montagna mi ha affascinato moltissimo sia per la
grandiosità dell’ambiente che per le difficoltà anche serie che ho incontrato”. Il giorno
prima che arrivasse a Cervinia una furiosa
tempesta di neve si era abbattuta sulla zona
e la temperatura si era notevolmente abbassata. Questo”, spiega Renato, “aveva messo
in dubbio la progettata ascensione e la guida era piuttosto indecisa se partire o meno.
Il sabato mattina il cielo è ancora coperto
ma si capisce che il tempo si metterà quasi
sicuramente al bello. Vari squarci di azzurro
lasciano intravedere l’imponente grandiosità
del Cervino. “Saliamo in funivia a Plan Maison ci incamminiamo da qui lungo il comodo
sentiero che ci porta al rifugio dell’Oriondè.
Qui con il cannocchiale del rifugio possiamo
LG_settembre 2015 4
osservare meglio la nostra montagna e purtroppo notiamo che
ancora parecchia neve c’è sulle
rocce.
Sono le 13 e il cielo è ancora coperto. Solo a tratti compare il sole
tra una nuvola e l’altra e questo
non è sufficiente per far sciogliere la neve. Jean dice di salire fino
alla capanna e qui pernottare e
poi decidere il da farsi il giorno
dopo a secondo delle condizioni
della montagna e soprattutto del
tempo. Lasciamo il rifugio dopo
aver pranzato e con buon passo
saliamo verso il Colle del Leone.
Arrivati circa al pluviometro ci
leghiamo anche perché il percorso diventa pericoloso e la salita
ripida. Traversiamo verso destra
e giungiamo al Colle del Leone
da dove proseguiamo per scalare rocce facili attrezzate con le
prime corde fisse. Trovo grande
difficoltà a superare la Cheminèe
anche perché prendo a salire troppo in fretta con la conseguenza di
fermarmi continuamente lungo
questo grande diedro a prendere
fiato…”.
La salita comincia a rivelarsi impegnativa
anche per uno tosto e allenato come Renato.
Che così prosegue a raccontare: “Arriviamo
ben presto alla capanna dove accendiamo
la stufetta con la legna che abbiamo portato
dall’Oriondèe. Ci apprestiamo a cenare ma io
purtroppo mangio pochissimo forse a causa
della stanchezza e dell’altezza a cui mi trovo.
Per nostra fortuna il tempo si è decisamente
messo al bello e assistiamo a un meraviglioso tramonto. Verso le 21 poi rispondiamo ai
fuochi che sono stati accesi per noi al Breuil.
Soffro un poco alla testa: dopo aver scambiato qualche parola con due alpinisti provenienti da Vicenza e accompagnati dal famoso
accademico Giancarlo Biasin, ci prepariamo
per dormire. Con una gran quantità di coperte mi riparo dalla temperatura che si è
notevolmente abbassata. Alla mattina presto
il cielo è limpido, dopo una breve colazione
riprendiamo a salire. Appena fuori dalla capanna alcune corde fisse ci facilitano la salita
sulle rocce ancora ricoperte di neve e talvolta
di ghiaccio. Il freddo si fa sentire abbastanza,
Montagna senza età
Note di un alpinista quasi
ottantenne
anche perché il sole non è ancora sorto. Sono
costretto ad arrampicare con guanti di pelle”.
Finalmente la cordata arriva la “Lenzuolo” e
qui la traversata “si presenta difficile e pericolosa”. Jean calza i ramponi e deve gradinare per tutto il tratto. Procedono poi speditamente e alle 8,40 sono in vetta. Sostano per
circa mezz’ora a scattare fotografie indi iniziano la discesa. Con un inconveniente. “Alla
prima corda fissa non mi accorgo che sbalza
di lato e per questo sbatto violentemente la
mano destra contro lo spigolo della roccia.
Fortunatamente riporto solo una grossa
graffiatura ma questo non mi impedisce di
proseguire. Il tempo, che fino ad allora si
era mantenuto molto bello, si va man mano
guastando e quando arriviamo di nuovo alla
capanna è già decisamente brutto.
Ci rifocilliamo un poco e dopo di nuovo in
marcia verso l’Oriondèe. Lungo il sentiero
che ci riporta al Breuil non possiamo evitare
di prendere un violento acquazzone. Ma ormai il Cervino è vinto!
Roberto Serafin
La montagna è sempre stata parte della mia vita, lo sport che
ha assorbito quasi tutte le mie energie nel campo ricreativo ed
anche l’hobby del tempo libero quando d’inverno archivio la
documentazione raccolta durante l’anno. Così sono trascorsi i
miei settanta anni di alpinismo, ma non penso ancora a fare
un bilancio; preferisco dare libero sfogo ai tanti ricordi che
affollano la mia mente, ricordi di cime raggiunte di montagne
viste e talora salite in Italia e in paesi molto lontani. I momenti magici dell’alpinismo prescindono dalla cima scalata, dalla
quota raggiunta, sono vette dello spirito, momenti sublimi che
vorremmo prolungare all’infinito e rivivere ancora, anche se
sappiamo benissimo che ciò non è possibile.
Partire da solo, prima dell’alba, lasciando il rifugio silenzioso
ove tutti riposano, imboccare alla luce della frontale un sentiero verificato il giorno prima e salire con passo tranquillo in
attesa delle prime luci del nuovo giorno, che voglio osservare
stando seduto su di un masso, alto sulle pendici della valle.
I primi chiarori da oriente mi raggiungono, le cime di fronte
a me cominciano ad illuminarsi, la luce si diffonde e scende,
propagandosi come una lenta onda di piena che cresce inarrestabile, nei pendii scoscesi che fronteggio, giù, giù, fino al
torrente che d’improvviso si accende di uno scintillio dai mille
riflessi, mentre contemporaneamente il sole si rivela alle mie
spalle, affacciandosi da una bocchetta rocciosa.
Esplorare per la prima volta una valle sufficientemente lunga e impervia, ma senza aver consultato una carta geografica o chiesto informazioni, risalirla dai primi alpeggi seguendo a lungo il torrente e poi raggiungerne il fondo, chiuso da
un cerchio di alte montagne. Salire ancora per vaghe e ripide
tracce di animali al pascolo e raggiungere un laghetto, sostare
un tempo indefinito per riposare e poi risalire ancora lungo
un canalone ripido ma non difficile, fino alla bocchetta sovrastante che separa due cime.
Almeno una volta scendere, inventando un percorso su esili
tracce nell’altra valle limitrofa che mi è ignota, segnata anch’essa da un torrente e da casere nelle praterie al limite inferiore dei boschi. Ascoltare la natura che mi circonda, ma anche
il fluire dei pensieri, respirare a pieni polmoni l’aria leggera,
fragrante e pura, mossa da una brezza leggera che accarezza
il viso, fa stormire le fronde, nella parte media della valle, e
piega l’erba nella prateria d’alta quota; vagare poi senza incontrare persone od animali. Oppure salire senza misurare il
tempo che scorre.
Arrivare dopo ore di cammino ad un colle che, dal fondo della
valle, mi era parso lontano e forse irraggiungibile e, dalla sua
sommità, scoprire al di là un paesaggio totalmente nuovo ed
inatteso. Oggi nessuno mi attende a valle, la via del ritorno mi
è nota. Lentamente il giorno si spegne e nella valle è già sera,
ma qui in alto la luce prolunga la sua presenza. Il cammino di
questi settanta anni è stato lungo, ricco, appagante, ricolmo di
grandi soddisfazioni, di tanti incontri, di avventure, di grandi
fatiche e anche di sofferenze, e non è ancora concluso; uno dei
grandi pregi dell’alpinismo è proprio quello di essere aperto
ad una frequentazione senza limiti di età.
Giancarlo Zucchi
5 LG_settembre 2015
Grigna Vetta
Alex Torricini e il Brioschi, un rifugio di vetta
Per gentile concessione pubblichiamo
l’intervista di Lorenzo Serafin ad Alex
Torricini, gestore del Rifugio Brioschi, storico baluardo della Sezione
di Milano sulla vetta della Grigna
Settentrionale, già pubblicata sull’ultimo numero della rivista Cantieri
d’Alta Quota, house organ dell’omonima associazione che ha sede a Biella e si propone come punto di riferimento per lo studio e la promozione
dell’inestimabile patrimonio di rifugi
e bivacchi che popolano le Alpi.
Qui sopra Alex
Torricini, gestore
del Brioschi (nella
foto a destra)
rifugio di vetta
che ha sedotto
gli appassionati
di montagna,
come risulta dal
sondaggio “Il
rifugio del cuore”
di Meridiani
Montagne del 2012
che lo ha visto in
testa alla classifica
Fare il rifugista al Brioschi (2410 m) è un
esercizio costante di equilibrio, spiega Alex
Torricini, classe 1973, laureato in lingue
orientali con specializzazione sull’In- dia,
da quasi cinque anni gestore del “rifugio
più amato dagli italiani” secondo un sondaggio di “Meridiani Montagne” del 2012.
Alex è subentrato al decano Fulvio Aurora
lasciando la gestione, durata 4 anni, del più
comodo rifugio Riva all’Alpe Piattedo (1022
m) sopra Baiedo (LC): «Sapevo che mi sarei
messo nei pasticci ma questa è una dimensione di montagna che sento più mia».
La vita in un rifugio di vetta non è semplice,
bisogna continuamente fare i conti con una
scarsità di risorse e un relativo isolamento
che talvolta diventa ingombrante. «I ritmi
del Brioschi passano da momenti di grande frequentazione ad altri di perfetta solitudine, sia d’inverno che d’estate. Quando
il brutto tempo è prolungato salgono in pochi, ma d’estate si deve tenere sempre aperto e non si può scendere a valle neanche in
giornata. Bisogna gestire bene il tempo occupandosi dei molti lavori di manutenzione
e amministrativi. Non si è mai però completamente isolati, da tre anni c’è la connessione internet wireless grazie a un mio
interessamento presso la società 3bmeteo
che ha dato il supporto tecnico con lo scopo
d’installare una webcam collegata 24 ore
su 24».
Uno degli aspetti interessanti del Brioschi
è la molteplicità delle vie di avvicinamento,
tanto che anche Alex ne approfitta per cimentarsi via via con itinerari nuovi, sempre
all’altezza della sua esperienza alpinistica:
ad esempio, recentemente ha scelto la via
Gin Sengg (6b) per raggiungere assieme
a Massimiliano Marelli il posto di lavoro.
D’altronde, «la Grigna settentrionale offre
molte corde belle per ogni livello alpinistico. Una variante ai sentieri normali è ad
LG_settembre 2015 6
esempio quello attrezzato dei Carbonari,
facilmente raggiungibile dal rifugio Bietti e
dalla bocchetta di val Cassina». Alex le vie
le ha percorse quasi tutte e invita ognuno a
cercare la propria ispirazione sui canali del
Grignone... con qualche avvertenza: l’inverno scorso ad esempio sul noto canale Ovest
si è verificato un sovraffollamento piuttosto
pericoloso di alpinisti, alcuni vistosamente impreparati. «Succede per via del tam
tam dei social: il passaparola e lo spirito di
emulazione possono produrre conseguenze
disastrose e, se in quell’occasione la fortuna ha voluto che non succedesse niente, non
è decisamente questo l’approccio giusto».
D’altronde, va ricordato che questa montagna è soggetta a repentini cambi termici (dovuti alla vicinanza del lago e all’esposizione
dei pendii) che in tempi brevi vetrificano la
superficie del manto nevoso.
Il 17 dicembre 2000, tale fenomeno causò
quattro vittime. «Un evento raro e che non
si deve ripetere, anche in ragione del fatto
che la campagna di prevenzione è oggi assidua e costante e si raccomanda sempre
a tutti di avere i ramponi a disposizione.
Questa mutevolezza del manto nevoso porta a situazioni di divertimento ma anche di
grande rischio e, siccome d’inverno il rifugio non è sempre aperto, non siamo sempre in grado d’informare gli alpinisti sulle
condizioni della neve che cambiano giorno
per giorno».
Senza risalire agli albori della storia del Brioschi, inaugurato il 10 ottobre 1895 dal CAI
Milano (vicenda ben ricostruita da Aurora
a che ha da sempre molto da insegnare
Andrea Savio, dottore di ricerca in Storia moderna
presso l’Università di Verona, è stato Visiting Research Student presso il Birkbeck College, University of London ed è
attualmente assegnista di ricerca presso l’Università di Padova. Le sue ricerche riguardano la formazione dell’identità
nobiliare e in generale le strutture culturali e istituzionali del
potere in Età moderna, prevalentemente nella Repubblica
di Venezia. Ha pubblicato studi sugli eventi miracolosi del
giugno 1559 e sull’avvocato Enrico Antonio Godi, sequestrato dall’imperatore Massimiliano i durante la guerra di
Cambrai. Per Cierre ha collaborato al volume Il Movente.
Il giudice Bernardo Marchesini e il processo per l’omicidio di
Giovanni Rama (1831-1833).
Luca Trevisan è dottore di ricerca in Storia dell’arte moderna presso il Dipartimento Tempo Spazio Immagine e Società dell’Università di Verona. Docente a contratto di Storia
dell’architettura contemporanea all’Università Ca’ Foscari di
Venezia per l’anno accademico 2013-14, e docente di Storia
dell’arte presso alcuni istituti di restauro, dal 2010 fa parte
del Comitato di Gestione del Museo Diocesano di Vicenza
e dal 2011 del Consiglio Direttivo degli Amici dei Musei
e dei Monumenti di Vicenza. Relatore a diversi convegni,
seminari e conferenze, ha curato e fatto parte dell’équipe di
ricerca scientifica di numerose importanti mostre, tra cui
Tiziano. L’ultimo atto (2007-08), Giorgione (2009-10), San
Nicola, Tiziano, il merletto. Iconografia dal xiv al xx secolo
(2011-12), Angelo Zanovello. Illustre cartografo e agrimensore
nella Montecchio del Seicento (2013).
Nelle sue pubblicazioni (monografie, saggi su rivista, atti
di convegno, contributi su volumi collettanei, cataloghi di
mostre ecc.) si è finora occupato, soprattutto attraverso indagini d’archivio, di problematiche relative all’arte veneta
tra Quattro e Novecento, con un particolare riguardo per
l’architettura vicentina. Tra i suoi libri ricordiamo Palladio.
Le ville (2008, nuova ed. 2012), Vicenza. Arte, architettura e paesaggio. La rappresentazione di uno spettacolo urbano
(2009), Antonio Pizzocaro architetto vicentino 1605-1680
(2009), Il tempio di San Lorenzo a Vicenza (2011), Incisori
itineranti nell’area veneta nel Seicento. Dizionario bio-bibliografico (2013, con Giulio Zavatta) e la curatela dei volumi Tarsie lignee del Rinascimento in Italia (2011) e Il luogo
dell’incontro. Museo Diocesano di Vicenza (2012). Per Cierre
è intervenuto con un saggio nel libro Il palazzo e la città. Le
vicende di palazzo Emilei Forti a Verona (2012).
Il 22 Ottobre al Cai Milano
Vittorio Lombardi, tesoriere
della conquista italiana del K2
Andrea Savio
vittorio lombardi
«Il Brioschi è variamente frequentato: gli
abitudinari salgono anche più volte alla
settimana; altri vengono apposta quando
sanno che ci sarà poca gente o quando piove, approfittandone per passare una serata
di chiacchiere e per staccare dal quotidiano. Diciamo che di chiacchiere se ne fanno
tante lassù e a un certo punto si conoscono
un po’ i fatti di tutti... e naturalmente tutti
conoscono i tuoi. Se non esistesse il rifugio,
il Grignone non sarebbe così frequentato
perché rimane una montagna impervia,
soprattutto d’inverno».
Il Brioschi è un punto di osservazione e una
sorta di faro, tant’è che anche sul web si trova
moltissimo materiale. «La frequentazione è
mista di alpinisti ed escursionisti, la maggior parte dei quali alla prima esperienza
di rifugio: alcuni restano male quando non
trovano l’asciugamano; altri protestano
perché non posso riempirgli la borraccia.
In ogni caso mi piace pensare che salendo
quassù, molta gente impari qualcosa di
nuovo e utile». ■
Luca Trevisan
vittorio lombardi
mecenate illuminato e tesoriere della conquista italiana del K2
Andrea Savio e Luca Trevisan
in 20 anni in Grigna, storie e ricordi di un
rifugista, Bellavite 2010), va ricordata la sua
sciagurata distruzione a opera dei repubblichini, che per inutile e barbara rappresaglia
diedero fuoco al rifugio, in precedenza risparmiato dalle SS che erano salite col gestore Agostoni l’1 novembre 1944, rendendolo comunque inservibile. «Non era certo
strategico per la Resistenza, casomai aveva
un valore simbolico, anche per via del fatto
che fin dalla sua costruzione fu sempre molto frequentato come rifugio di vetta».
Ricostruito nel 1948, fu ampliato a più riprese; dal 1995 ha assunto l’aspetto attuale,
con una capienza di 34 posti letto. «Qui ci
sono sempre manutenzioni e lavori, anche
grossi, da fare, ma io avanzo alla sezione
CAI di volta in volta piccole richieste e cerco
di fare personalmente quello che posso: ad
esempio sto perlinando alcune sale - penso
che sia la finitura interna migliore per un
rifugio e la più semplice da mantenere. La
gente cambia e bisogna adattare la struttura per quanto possibile alle esigenze, anche se spesso le richieste sono del tutto fuori
luogo. Certi visitatori pretendono lenzuola
pulite oppure il panino... è difficile fargli capire che ci sono valide alternative, la pasta
al ragù, la polenta, mentre il pane fresco
andrebbe approvvigionato a spalla tutti i
giorni; mi sto comunque ingegnando con
piadine e altri compromessi. Da un po’ di
tempo riesco a gestire bene anche l’elicottero, cercando di contrattare con l’azienda
rotazioni più frequenti per aver sempre generi alimentari freschi».
I due autori Andrea Savio e Luca Trevisan
racconteranno ai nostri soci la figura di
Lombardi mecenate e quella di tesoriere
della spedizione al K2, due aspetti della sua
personalità che ben esemplificano le tensioni dell’Italia di quegli
anni, tratteggiata per la prima volta nello specifico e in maniera
sistematica, facendo riferimento a documenti fino ad oggi inediti.
Maggiori info su www.caimilano.eu
7 14,00
7 LG_settembre 2015
I nostri cari
Angelo Calegari
L
Qui sopra la
domanda di
ammissione alla
Sezione di Milano,
conservata nei
nostri archivi
’intramontabile Angiolino è tramontato.
Calegari Angelo, il Socio del Club Alpino e dello Sci Club Milano da sempre, l’Accademico, è morto. Come i giusti, il Signore
lo ha chiamato la notte, senza che nessuno
lo sentisse, senza che lui stesso si accorgesse
del trapasso, quieto, sereno. Avrà sognato di
essere su uno degli infiniti sentieri, a lui tutti conosciuti, di vedere un fiore di un certo
colore da ricordare per riportarlo sui suoi ricami, per creare un nuovo felice accostamento. La Montagna, per questo Accademico, è
stata veramente la vita. Ne era adoratore per
cui ha sempre cercato non il difficile per se
stesso, ma il bello, la solitudine, la maestà, i
colori, la luce. Vedeva la montagna come Segantini. I graniti del Masino, che conosceva
come nessuno, erano per lui un vero tesoro:
erano i più belli, i più onesti. Messo sulla più
bella dolomia, li ricordava decantandone i
meriti. Col fratello, accademico, la sorella
che gli è stata compagna affettuosa e paziente, prima donna sulla cresta Nord del Badile
– erano un cenobio in vera adorazione per
i nostri monti. Trovava il bello dove ognuno passa senza guardare. Ai suoi 70 anni, la
Martica, il Poncione parlavano lo stesso linguaggio delle vere cime ormai lontane. Ogni
anno – anche nel 1955 – faceva un campo:
dal 1915 con poche interruzioni. Era la vera
montagna quella che Angiolino voleva – senza folla – la “barbana” del suo fiorito linguaggio, ricco di tanti termini pittoreschi – con un
fondamentale fastidio per i mezzi meccanici.
L’unico suo desiderio – essere sepolto dove
si veda la montagna – sarà esaudito. Molto
ancora vorrei dire: la sua scontrosità che solo
i bambini superavano di slancio, la sua ingegnosità nel lavoro. Tutto fece; fu pittore e
fece cose sentite, fu scultore, fonditore. Troppo anziano per essere militare anche nella 1°
guerra mondiale, fu meccanico e automobilista; le sue automobili risalgono ad anni in
cui era strano averle – aveva la patente dal
1905. I disegni dei ricami nell’azienda fraterna seppe produrre capolavori, nel colore
e nella bellezza del lavoro, erano suoi. Credo
che la montagna sia degna della nostra gratitudine anche solo per aver plasmato uomini
come questo, in cui modestia, bontà, rettitudine assoluta, educazione perfetta e finezza
sostanziale di tratto e di linguaggio in ogni
circostanza, posswono essere di esempio. Ed
io, come tutti i suoi compagni di cordata e di
bivacco lo posso veramente dire.
■
Libro di rifugio
La guerra 1915 – 1918 a Capanna Milano
Queste note furono scritte, alla fine
della guerra, occupando 12 pagine del
libro della Capanna Milano da Guido
Bertarelli – Capitano del V° Reggimento Alpini – rimasto nella zona Val
Zebrù in Valfurva dal luglio 1915 all’ottobre 1918. La Capanna sorge a 2842
metri ed è sempre stata di proprietà
della Sezione del CAI Milano e venne
inaugurata il 24 1884.
ddd
L’inizio delle operazioni di guerra il 24 maggio 1915 trovava schierati in Valtellina due
LG_settembre 2015 8
Battaglioni Alpini del V° Reggimento Alpini: il Battaglione Tirano su 5 Compagnie in
linea ed Battaglione Valtellina di riserva.
Una compagnia del Battaglione Tirano, la
113° Compagni a aveva il comando a Santa
Caterina Valfurva coll’incarico di difendere la linea di frontiera dal Passo dell’Ables
(Monte Cristallo) – la Val Zebrù, il Passo del
Cevedale, la Val Furvae la Val Gavia.
Detta Compagnia ebbe in rinforzo una piccola Compagnia la 1° Volontari Alpini. Questa truppa tenne tutto il fronte con piccoli
punti fino al marzo 1916. In Val Zebrù furono fatte alcune ricognizioni…
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Settembre 2015