18 Storia leggende| Sabato, 4 ottobre 2008 Sabato, 4 ottobre 2008 19 NEI SECOLI UNA «GUERRA» SENZA ESCLUSIONE DI COLPI TRA LA MELEDA DALMATA E MALTA Due «isole del miele»: dove sbarcò San Paolo? ti marinareschi Pino Fortini, che nelle sue storie Audacie sui mari (appar– navigando nell’Adriatico, la nave fu se tra il 1932 e il 1939 sulla “Rivista sbattuta sulla sponda rocciosa di una di Cultura Marinara” difese strenuamente l’isola dalmata come quella che terra sconosciuta: ”Sed postquam quartadecima ospitò San Paolo. nox supervenit, navigantibus nobis in Un’opinione Adria, circa mediam noctem, suspecabantur nautae apparere sibi aliquam mai contestata regionem”, una terra ignota come si Del resto, molto prima di lui lo diceva: ”cum autem dies factus esset terram non agnoscebant”. La nave storico e poeta raguseo Ignazio Giorgi sbatté con la prua su un promontorio (1675-1737) scrisse tra altre cose un ”in mocum dithalassum” e cioè col opuscolo dal titolo “D. Paulus apostolus in mari, quod nunc Venetus mare da due parti, sfasciandosi. Sinus dicitur, naufragus et Melitale Naufraghi accolti Dalmatensisi insulae post naufragium hospes” nel quale descrive il viaggio «con umanità» avventuroso compiuto sull’Adriatico, I naviganti raggiungono la ter- ovvero nel Golfo di Venezia, dall’aporaferma nuotando, apprendendo dai stolo Paolo approdato nella Melita “barbari” del luogo di essere sbarcati Dalmata in seguito al naufragio. a Melita: ”et cum evasissemus tum coPossiamo pure citare un testo pubgnovimus quia Melita, insula vocaba- blicato nel febbraio 1927 di Arnolfo tur”. Il nome dell’isola è rivelato da- Bacotich, L’apostolo che naufragò gli abitanti, che accolgono i naufraghi in Adriatico (in “Archivio Storico per “con umanità”. Sulla spiaggia essi ac- la Dalmazia”) e constatare, insieme al cendono un gran fuoco per asciugarsi Fortini che già intorno al Mille s’era e scaldarsi. Mentre con gli altri racco- formata la tradizione che il naufragio glie sarmenti per alimentare il fuoco dell’Apostolo sia avvenuto in Dalmae proteggersi dal “gran freddo”. San zia. E “non ci consta – commenta a Paolo viene morsicato alla mano da sua volta il Bacotich – che dall’epouna vipera. Invece di morire avvele- ca nella quale scrisse l’imperatore Conato, l’apostolo scuote il rettile nel stantino fino al 1500, qualcuno abbia fuoco e, dicendo di sentirsi bene, rifiu- contestato l’esistenza di questa opita ogni cura. Ospitati successivamen- nione che, data l’epoca nella quale fu te dal primate dell’isola, i naufraghi vi scritta, poteva ben basarsi su memorie restano per tre mesi. Finalmente, presi non pervenute fino ai giorni nostri”. a bordo da un’altra nave alessandrina L’importanza politica che a Melita aveva svernato, vengono portati dapprima a Siracusa e a Regdi Malta gio Calabria e infine a Pozzuoli. Qui termina la narrazione di San Luca. Purtroppo per l’isola Dalmata (e per la verità), nel 1600 cominciò a Costantino Porfirogeneto fiorire una ricca letteratura sul naufragio di San Paolo favorevole alla non ha dubbi... ben più importante (politicamente) Al di fuori degli Atti (ZVIII-1, isola di Malta. Disse “basta” il già XXVII e XXVIII) abbiamo il “De citato Ignazio Giorgi, il quale, ispiadministrando imperio” dell’impe- randosi a un manoscritto del dotto ratore e storico bizantino Costanti- prelato dalmata Monsignor Solleno Porfirogeneto, il quale, nell’anno vich – un testo oggi conservato alla 949, afferma con piena sicurezza: il Nazionale di Parigi – l’abbate dei naufragio della nave che trasportava Benedettini Neri di Méleda (tale era San Paolo avvenne a Melita-Meleda, il Giorgi), consultore e teologo delisola della Dalmazia a nord di Ragu- la Repubblica di Ragusa, noto per sa. Citiamo: “Alteram (insulam) quae serietà ed erudizione, scrisse quelMelete sive Malozeatae, cuius in Acta l’opera già prima citata, avvalorando apostolorum, S. Lucas meminit, Meli- la propria tesi con citazioni attinte da tem eam appellans, ubi et vipera divi oltre trecento scrittori antichi e suoi Pauli digitum mordens ab eo exus- contemporanei. Scrive in proposito sa igne conflagravit” (cap. 36, pag. il Fortini: ”Il lavoro del Giorgj, pubblicato a Venezia nel 1730, piombò 163). Come si vede, l’isola da San Luca come una pietra nello stagno e dieindicata latinamente Melita, viene de origine alla tempestosa polemica “tradotta” da Porfirogeneto in Mele- dalmato-maltese che si è prolungada, la Mèleda dalmata. Nessun rife- ta con varie fasi sino ad oggi. Essa, rimento a Malta, dunque. È l’isola, nella seconda metà del 1700, seminsomma, che Plinio ricordava come brava ad esempio sopita anche con sede di un’antica città detta Melitus- riflesso alla opinione di Papa Benesa e illustre per “li cani melitei tenuti detto XIV, contrario alla Melita dalin delitie dalle donne” come si legge mata; venne ripresa nella seconda in una tradizione italiana seicentesca metà dell’Ottocento con alcune nodell’opera dello scrittore latino. Ne è tevoli opere fra cui quella dello Smiconvinto anche lo scrittore di raccon- th, “The voyage and shipwreck of di Giacomo Scotti Secondo la più diffusa interpretazione degli Acta Apostolorum, gli Atti degli Apostoli, San Paolo sarebbe naufragato sull’isola di Melita e, quindi, a Malta. Ma le cose non stanno così. C’è un’altra isola nel Mediterraneo che in latino si chiama Melita (isola del miele) ed è quella che i veneti chiamano Méleda, in croato Mljet, isola dalmata posta nell’Adriatico meridionale. È su questa Melita che naufragò San Paolo, ma cominciamo il racconto dall’inizio. Trasformatosi da persecutore dei cristiani in ardente predicatore della loro fede, Sàulo alias Paolo di Tarso fu a sua volta arrestato, imprigionato a Cesarea per due anni, quindi portato a Roma e decapitato. Correva l’anno 65 dopo Cristo quando l’apostolo fu imbarcato con altri prigionieri su una nave con la quale rimpatriava una corte al comando di un centurione. Fecero scalo prima a Sidone e poi a Mira di Licia, dove soldati e prigionieri vennero trasbordati su una nave allessandrina: compreso l’equipaggio, erano 276 persone. Raggiunta l’isola di Creta, la nave fece sosta nel porto di Boniporti (Kaloi Limènes) da dove si diresse a Fenicia, sulla costa meridionale, per trascorrervi l’inverno. Una terribile tempesta, però, tenne la nave in sua balìa per tredici giorni e notti. Alla quattordicesima notte – come racconta San Luca negli Atti degli Apostoli “Il naufragio di San Paolo a Malta”, affresco di Nicolò Circignani detto il Pomarancio St. Paul” (Londra, 1848) o il “Dictionnaire de la Bible” del Vigoreux (Parigi, 1904). Queste e altre opere sono elencate nell’opuscolo del Bacotich. Tra esse va ricordato il volumetto “Melita del naufragio di San Paolo e l’isola di Meleda in Dalmazia” di Monsignor V. Palunko-Palunco di Spalato (studio di geografia biblica, Spalato 1910) che fu uno dei più potenti assalti sferrati a favore di Meleda e suscitò una tempesta di obiezioni con l’intervento di prelati dalmati e maltesi che battagliarono poco cristianamente, anzi animosamente a favore e contro la Melita dalmata. Unica eccezione, fra tanti veleni poco cristiani fra gerarchi del cristianesimo fu l’osservazione di “Civiltà Cattolica” del 3 giugno 1911, che, congratulandosi col Palunko per la sua “dotta opera”, scrisse che “se non convincerà tutti, almeno farà prendere in seria considerazione le ragioni che militano per Meleda”. Un tentativo, questo, per disinnescare una pericolosa miccia e far cessare una “lotta di tre Monsignori contro un Vescovo”. Lo scirocco non può spingere verso Malta Scrive il Fortini: “Chi scrive non è dalmata né maltese; non avrebbe quindi alcun motivo campanilista per preferire l’una opinione all’altra. (…) Chi scrive non vuole prendere alcuna parte nella vertenza”. E tuttavia finisce per approvare le tesi del Giorgi, del Bacotich, del Palunko e di quanti sostengono la Melita-Meleda dalmata. Fortini, che non si occupava di esegesi o di geografia biblica, si schierò per gli “interessanti aspetti nautici” della questione. Esaminando attentamente gli aspetti nautici, appunto, lo studioso italiano dimostra l’impossibilità che la nave con San Paolo, spinta dal forte vento di scirocco euro-aquiloso, potesse picchiare contro il litorale di Malta. Questo vento spinse invece la nave verso l’Adriatico, come del resto si legge chiaramente nella versione biblica: “ma la quartadecima notte, mentre eravamo portati qua e là per l’Adriatico, eccetera”. Non c’è dubbio: lo scirocco aveva portato la nave in sua balìa per quattordici giorni sino all’Adriatico. Inutilmente i sostenitori di Malta si affannano a dimostrare, come il Vigoreux che “il mare Adriatico di allora... si estendeva dall’isola di Creta fino alla Sicilia”: un’opinione che risale ad autori che scrissero da cento a seicento anni dopo San Luca, mentre per gli autori anteriori o contemporanei dell’apostolo l’Adriatico era, come adesso, il mare “dentro lo stretto d’Otranto fra l’Italia da una parte, l’Illirico e l’Albania dall’altra parte”. Negli Atti degli Apostoli si legge che nella tempesta, né il sole né le stelle apparivano; non cessando il suo furore, si era perduta ogni speranza di San Paolo è considerato il padre spirituale dei Maltesi. Il suo naufragio è comunemente ritenuto l’evento cruciale della storia nazionale. Per questa ragione, la Chiesa Collegiata di San Paolo è una delle più importanti di Malta salvezza (Atti, XXVII, 20). Ebbene, il naufragio avvenne nel tardo autunno, quando in Adriatico orientale l’annuvolamento del cielo caratterizza lo scirocco. La risposta viene data dalla... vipera San Luca parla di Sirti? Certo, ma non aggiunte “libiche”. Syrtis, presso gli antichi, era la secca in genere. C’è poi l’episodio della vipera che morse San Paolo al dito. È noto, lo dicono i naturalisti, che a Malata una vipera non potrebbe vivere per le condizioni climatiche e la composizione del terreno; a Malta non si trovano animali velenosi di alcuna sorta, ma a Meleda sì, che in passato fu letteralmente infestata da vipere “ammodytes”. Concludendo l’analisi, il Fortini dice che la nave con San Paolo quasi certamente si arenò nei fondali del porticciolo di Cima di Meleda, che avendo dinnanzi a sé due isolette, potrebbe costituire i “due mari” citati dagli Atti. Infine il freddo intenso che soffrirono i naufragi sotto la pioggia, già bagnati dal mare e sferzati dal vento a ottobre/ primi di novembre non è immaginabile a Malta, mentre lo è a Meleda, dove il vento è detto “ammazzacapre”, kozomor. Infine, la fonte biblica definisce gli abitanti dell’isola Barbari. All’epoca del naufragio i Maltesi erano già da due secoli sotto il dominio romano e quindi non potevano essere Le catacombe di San Paolo a Malta considerati barbari, stranieri, mentre i dalmati lo erano perché al tempo di San Paolo parlavano “una lingua ignota”, un dialetto degli Illiri, e comunque “prestabant non modicam humanitatem nobis”, dimostrarono ai naufragi grande umanità. Resta un’obiezione: perché, dopo il naufragio, la seconda nave alessandrina non si diresse da Meleda ad Ancona o a Brindisi, da dove si poteva proseguire a piedi per Roma? Perché fare il giro dello Stivale toccando Siracusa e Reggio Calabria proseguendo per Pozzuoli? Nessuno lo sa spiegare, resta l’interrogativo. L’unico contro le tante prove a favore di Meleda e contro Malata. Ma non c’è alcun bisogno, oggi, che la Malata dei Giovanniti e la Méleda-Mljet dei Benedettini bisticcino per l’ospitalità concessa all’apostolo. Visto che San Paolo le unisce e che la Dalmazia, come le isole di Malta pullulano di chiese consacrate al santo, possono stipulare un patto di amicizia in suo onore, a beneficio del turismo del piccolo Stato insulare e dell’isola dalmata dichiarata Parco Nazionale. L’isola dalmata di Meleda, dove secondo molti naufragò San Paolo Il peso politico di Malta “trasportò” San Paolo da Meleda