Non lasciare che una porta chiusa ti impedisca di capire la storia 13° Seminario Arachim - Bracciano Venerdì 1 - Domenica 3 NOVEMBRE Lago di Bracciano Presso la meravigliosa oasi dell'Alfredo Hotel rav Aharon Levi Cosa ci r iserva il futuro Perché cose brutte accadono a persone buone? Qual è lo scopo dell'anima in questo mondo? rav Aharon Braha Avraham Avinu – Solo contro una Società Malata Yosef HaTzaddiq – La forza di andare avanti David HaMelekh – Affrontare i problemi della vita e tante altre incredibili conferenze di vario genere Mini-club per ragazzi e bambini di tutte le età durante il seminario INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI www.arachim.org Lidia Calò 347.6808950 | 06.87450209/10 Uff.Arachim 06.89970345 | Huani Mimun 393.3327895 [email protected] Contatti +972 (0)52.7116408 [email protected] ERRATA CORRIGE: Nella pagina del 30 di Tishrì nell’alachà c’è stato un errore di punteggiatura, facendo nascere un errore nella comprensione della alachà. La regola corretta è che mangiando 27 grammi di pane c’è l’obbligo chiaramente di benedire sia la beracha dell’ammozzì, che la birchat amazon, ma nell’eseguire la netilat yadaim lo si farà senza benedire la berachà di “al netilat yadaim”. Confidiamo nella vostra comprensione. Chiunque voglia dedicare un libro di alacha in uscita in israele di un rav talmid chacham di nostra conoscenza ci contatti al numero 00972.527615969 Il merito dello studio dell’opuscolo è per la guarigione completa di Rav CHAJIM ‘Ovadiàh Yosef Ben Gorgìa נ”י L ’ iniziativa che vede ora la luce viene dall’idea di fornire a ritmi costanti brevi spunti di Torà in italiano, essenzialmente regole e pensiero ebraico. Sono iniziative piuttosto comuni nel mondo ebraico diasporico, un pò meno comuni, anche se non rare, in Italia. La novità ora sta nella formula particolare e nell’entusiasmo di chi la realizza ora, scrivendo in italiano da Eretz Israel dove si è recato a studiare. Certamente è un lavoro utile e benvenuto che merita gratitudine e auguri di successo א’ חשון תשע”ד 5 Ottobre 2013 Sabato Momenti di Musar יום שבת Parashat Noach E’ risaputo che la parashà di Noach è intitolata con il nome di un uomo scelto da Hashem per dare continuità al genere umano dopo che Egli aveva decretato la distruzione di tutte le creature della terra tramite il diluvio universale. Secondo quanto insegnato nel Pirqè Avot (5, 2), le prime dieci generazioni dalla creazione del mondo fino a Noach – ovverosia a partire da Adam HaRishon – erano state peccatrici, il che significa che la cancellazione degli esseri viventi con il diluvio fu decretata da Hashem a seguito di diversi secoli di reiterate trasgressioni. I nostri Maestri ci hanno insegnato, al riguardo, che la decisione di HaQadosh Baruch Hu di distruggere gli abitanti della terra intervenne però solo dopo che gli uomini si macchiarono del peccato del Ghezel – Furto: “La generazione del diluvio universale commise ogni genere di peccato, e ciò nonostante non fu decretata la loro distruzione fino a che non si macchiarono del peccato del furto, come è scritto: “E’ giunta davanti a Me la decisione di porre fine a tutti gli uomini perché la terra si è riempita di violenza a causa delle loro azioni” (Bereshit 6, 13)”. Capiamo quindi che anche quando si vìolano comandamenti che riguardano il rapporto tra l’uomo e D-o, Egli è disposto a perdonare e ad accettare il sincero pentimento del peccatore; quando invece una persona danneggia il proprio prossimo, sul suo corpo o sui suoi beni, la stessa si rende protagonista di una gravissima trasgressione che Hashem non è affatto incline a perdonare con leggerezza. Questo insegnamento lo troviamo espresso chiaramente nelle parole di Rabbì Chaninà ben Dossà, riportate nel terzo capitolo del Pirqè Avot: “Colui che è ben accettato dagli uomini, è ben accettato da Hashem; mentre colui che non è ben accettato dagli uomini, non lo è nemmeno da Hashem” (Pirqè Avot 3, 11). 4 א’ חשון תשע”ד 5 Ottobre 2013 Sabato Momenti di Halakhà יום שבת Regole dello Shabbàt IDOMANDA: Si può rifare il letto o lavare il piatti se non serve utilizzarli durante lo shabbat ? RISPOSTA. È permesso rifare il letto di Shabbat, pulire il tavolo e lavare i piatti (facendo attenzione a non incorrere in alcuna trasgressione) se lo si fà per lo Shabbat stesso. Per esempio è permesso rifare il letto la mattina di Shabbat se si vuole dormire il pomeriggio. È anche permesso pulire il tavolo e lavare i piatti venerdì sera e Shabbat durante la giornata se verranno utilizzati ancora durante lo stesso Shabbat. Preparativi. Non è invece permesso fare un preparativo a Shabbat per un’azione che si compirà dopo il termine di Shabbat. Va notato che è il preparativo stesso ad essere proibito anche se esso non constituisce in sè e per sè una melachà o una proibizione rabbinica di altro tipo, ma solo perchè si sminuisce in questo modo il valore dello Shabbat. (Rambam, Hilchot Shabbat 23, 7). Non fa differenza se il preparativo comporta anche solo un minimo sforzo o serva per una mitzvà che si compirà immediatamente dopo il termine dello Shabbat. Lo stesso principio si applica da Yom-Tov ad un giorno feriale (chol) o semi-festivo (chol ha-moed); da Shabbat a Yom-Tov e viceversa; dal primo al secondo giorno di Yom-Tov; e da uno Shabbat a quello successivo. Pertanto è proibito lavare piatti e pentole che non verranno utilizzati prima della fine dello Shabbat. È anche proibito preparare del cibo per mangiarlo dopo Shabbat, così come piegare il tallet anche se esso verrà utilizzato solo lo Shabbat successivo. (Shemirat Shabbat Ke-Ilchatà 28, 77-79). continuiamo il prossimo venerdi per studiare le eccezioni che ci sono in questa alachà.... (tratto dal blog di michael chogoi) 5 ב’ חשון תשע”ד 6 Ottobre 2013 Domenica Momenti di Musar יום ראשון SHABBAT-ED IL LAVORO SARA’ FATTO All’inizio della parashà di Vaiaqel troviamo il seguente passuk: “Per sei giorni il vostro lavoro sarà fatto, ma il settimo giorno sarà per voi un giorno di riposo assoluto, Shabbat... ” (Shemot 35, 2). Da una lettura attenta sorgono due domande: perchè la Torà non dice semplicemente di riposarci il settimo giorno senza menzionare il lavoro nei sei giorni precedenti? Inoltre, non sarebbe più corretto dire “sei giorni lavorerete” invece di dire “per sei giorni il vostro lavoro sarà fatto”? Caccia al pesce. A Shabbat si usa mangiare il pesce, il quale è caratterizzato da un interessante fenomeno. Se apriamo la pancia di un grosso pesce subito dopo che ha ingoiato un pesciolino, notiamo che la testa del pesciolino è rivolta verso la coda del predatore. Il pasto del pesce non è costituito dalla preda che stava inseguendo (perchè se così fosse avrebbe la testa rivolta nella sua stessa direzione), ma da un ignaro pesciolino che nuotava tranquillamente ed è finito direttamente nella sua bocca. I nostri sforzi. Rabbenu Bakhya scrive in Khovot Ha-Levavot (Bitakhon, cap. 4) che la persona di successo deve comprendere che la propria riuscita non deriva da un particolare lavoro, idea o tecnica utilizzate. La persona ha avuto successo perchè così ha voluto D-o nelle Sue vie infinite. Si tratta di un concetto di fondamentale importanza per la nostra fede. Se è vero che non vi è strategia che garantisca il successo, d’altro canto siamo obbligati a fare del nostro meglio per procurarci un reddito dignitoso. D-o non vuole infatti che ci affidiamo ai miracoli. Per questo motivo il passuk dice “per sei giorni il vostro lavoro sarà fatto”. In altri termini ci è richiesto di impegnarci nel lavoro per sei giorni alla settimana, ma dobbiamo renderci conto che si tratta solamente di uno sforzo. Il risultato finale è esclusivamente nelle mani di D-o. Comprendiamo quindi perchè è scritto “il vostro lavoro sarà fatto” e non “lavorerete”. Continua domani.... (tratto dal blog di michael chogoi) 6 ב’ חשון תשע”ד 6 Ottobre 2013 Domenica Momenti di Halakhà יום ראשון REGOLE DELLA MEZUZA -Rientra nei precetti affermativi quello di fissare una mezuzà a ogni porta. Tutte le porte devono avere una mezuzà anche se si hanno numerose stanze e in ogni camera vi sono più porte d’entrata e di uscita e persino se di solito si utilizza solo una di quelle porte. Anche se il numero degli occupanti diminuisce e si ha bisogno momentaneamente di una sola porta, tutte sono soggette, in ogni caso, all’obbligo della mezuzà. Se però c’è una porta usata saltuariamente per introdurvi alcuni carichi, mentre esiste un altro accesso per l’entrata e l’uscita, la porta fatta solo per farvi passare le merci è esente. -Anche gli accessi dei cortili, delle stradine dei villaggi e delle città devono avere la mezuzà, poichè è detto : « E le tue porte » (Devarim 6;9) -Bisogna fissare la mezuzà alla destra di chi entra. Se qualcuno l’avesse collocata a sinistra è pesulà – non valida, e occorre toglierla e fissarla dicendo la benedizione relativa. Non c’è nessun differenza a questo proposito tra chi è mancino e non lo è. -Quando due locali hanno ciascuno una porta che dà sulla strada o su un cortile e tra loro c’è un muro divisorio e anche un passaggio, in modo che per quest’ultima apertura sia dubbio da che parte mettere la mezuzà, in questi casi ci si affida all’indicazione dei cardini: in altre parole, il versante dove sono collocati i perni e verso il quale si apre la porta è considerato il locale principale e si colloca la mezuzà sul lato destro di chi vi entra. (Quando una porta si apre sulla strada pubblica, non ha alcuna importanza il modo in cui si apre il battente e la mezuzà va sempre collocata sul lato destro di chi entra in casa. Se però dietro una casa c’è un cortile e il solo modo per entrarvi è attraverso la porta della casa, quel cortile è considerato come una stanza della casa e la mezuzà deve essere collocata sul lato destro di chi esce dalla casa.) -L’alachà precedente si applica solo quando il due locali hanno la medesima funzione. Se invece si utilizza maggiormente uno solo dei due ambienti non si esegue la regola dei perni, ma si mette la mezuzà sempre sul lato destro di chi entra nel loca più frequentato, anche se la porta si apre dall’interno del secondo locale. (Alachot tratte dal Kitzur Shulcan Aruch tradotto dal Dott. Moisè Levi) 7 ג’ חשון תשע”ד 7 Ottobre 2013 Lunedì Momenti di Musar יום שני SHABBAT – ED IL LAVORO SARA’ FATTO ….continua da ieri Rav Shlomo Wolbe spiega (Alei Shor, Bitachon ve-Hishtadlut, cap. 2) spiega che alle volte è molto difficile da assimilare il concetto che tutto quello che operiamo è solo opera di Hashem. Per esempio, un contadino deve compiere tutti i lavori del campo, ma allo stesso tempo deve credere che D-o non aveva bisogno del suo lavoro per fornirgli il grano di cui ha bisogno per vivere. Il contadino lavora solo perchè è così che D-o ha creato il mondo. Rilassiamoci... siamo nelle mani di D-o. La Torà ci dà un giorno per internalizzare questo concetto e cambiare la nostra prospettiva di vita. Durante lo Shabbat i soldi non contano. I soldi spesi per preparare lo Shabbat non intaccano il reddito annuale stabilito a Rosh Ha-Shanà. Se è vero che a Shabbat siamo in grado di comprendere questo concetto, esso va compreso anche durante gli altri giorni della settimana in cui dobbiamo impegnarci nel lavoro. E mangiando il pesce a Shabbat facciamo bene a soffermarci sul fatto che il pesce deve impegnarsi nel rincorrere il pesciolino, ma il cibo di cui ha bisogno per vivere viene da un’altra parte. Così funziona il mondo sei giorni alla settimana. Ci si può riposare veramente a Shabbat, nel modo in cui lo intende la Torà, solo se ci si rende conto che lo sforzo è nelle nostre mani, ma non il risultato. Se si internalizza questo concetto lo Shabbat diventa una vera oasi di relax. Ed è per questo motivo che non è consigliabile lavorare troppo. Chi lavora senza tregua crede che il risultato del lavoro è nelle proprie mani e non in quelle di D-o. Tensione e stress sorgono quando sentiamo che non abbiamo più il controllo che credevamo di avere. Ma se ci rendiamo conto che le cose non erano mai veramente nelle nostre mani, ma nella mano di D-o, otteniamo uno stato psicofisico di totale riposo. Shabbat! Shabbes Goy? È proibito ad un non ebreo rispettare lo Shabbat. Un non ebreo può osservare quasi tutte le altre mitzwot, ma non lo Shabbat (Rambam, Melachim 10, 9-10). Perchè? Il concetto esposto finora ci fornisce la risposta. Lo Shabbat è un dono speciale di D-o al Suo popolo. Un giorno in cui possiamo provare il gusto dell’Olam Ha-Bà (il mondo a venire), un giorno in cui non c’è più nulla di pratico da compiere. Ma un non ebreo non è in grado di cedere il controllo. Egli lavora tutti i sette giorni della settimana perchè per lui il controllo è l’essenza stessa della vita. E non può vivere nemmeno un attimo senza sentire che “kochì ve-otzem yadì assà li et ha-chayil ha-zè”, ovvero “la mia forza e il mio impegno hanno creato la mia ricchezza” (Devarim 8, 17) (tratto dal blog di michael chogoi) 8 ג’ חשון תשע”ד 7 Ottobre 2013 Lunedì Momenti di Halakhà יום שני REGOLE DELLA MEZUZA DOMANDA: A quale altezza dello stipite della porta va collocata la mezuzà? RISPOSTA: La posizione in cui va collocata inizia dal terzo superiore dell’altezza della porta. (Se il terzo della porta è eccessivamente alto, allora la si dovrà collocare all’altezza delle spalle della persona). -Se qualcuno l’ha fissata più in alto può andare bene ugualmente, purché sia distante almeno un tefach – palmo (circa 8/10 cm) dell’architrave. -Chi l’ha fissata più bassa rispetto al terzo superiore deve toglierla, sistemarla di nuovo e ripetere la benedizione. -Chi l’ha fissata entro il limite di un tefach dall’architrave deve ugualmente toglierla e sistemarla di nuovo, ma in questo caso senza ripetere la benedizione. -Occorre altresì fissarla nello spazio di un tefach verso l’esterno (entro 8cm dal margine dello stipite, nel suo spessore), ma se ha fatto diversamente, ciò non impedisce che la mezuzà sia valida. -Il klaf (chiamata erroneamente dalla gente pergamena) si arrotola, quando la si infila nell’involucro della mezuzà, partendo dalla fine in direzione dell’inizio, vale a dire dalla parola echad fino alla parola Shemà, e poi si fissa allo stipite della porta obliquamente, con dei chiodi. (i sefarditi la applicano verticalmente). -La parte alta, cioè la parola Shemà, deve esser rivolta verso l’interno della casa, l’ultima riga verso l’esterno. -Se lo stipite della porta non è abbastanza largo, si fisserà la mezuzà verticalmente; ciò è molto meglio che metterla dietro il battente. -Se non è stata ancora ancorata alle due estremità, ma solo appesa, non è valida. Per questo motivo bisogna stare attenti a inchiodarla sia in alto sia in basso, di modo che non sia semplicemente sospesa. (Alachot tratte dal Kitzur Shulcan Aruch tradotto dal Dott. Moisè Levi) 9 ד’ חשון תשע”ד 8 Ottobre 2013 Martedì Momenti di Musar יום שלשי NON SI DEVE PERDERE IL DESIDERIO Se gli uomini sono lontani da D-o, è a causa del loro pessimismo. Non sanno che Hashem ama i suoi figli, vuole i loro bene e li mette alla prova per meglio avvicinarli. Allora, non appena gli arriva il minimo guaio, cadono nell’angoscia e la disperazione....non sanno neppure che questi sentimenti sono i peggiori peccati che un uomo posa commettere poiché sono delle grandi offese alla clemenza del Creatore. Un ebreo (dalla radice in ebraico “yeudì”) significa lodatore: una persona sempre contenta e dunque che loda D-o continuamente, qualunque cosa accada, poiché sa che tutto è per il bene. Rabbi Nachman di Breslav, così come tutti gli Zadikkim che hanno seguito e arricchito il pensiero di Baal Shem Tov, hanno insistito sul dovere di essere allegri, perchè è il solo modo di essere Giudeo nel senso vero del termine (Yeudì il lodatore). Facendo della gioia un dovere e non un ideale facoltativo, ci hanno indicato la prima condizione ad ogni percorso verso il bene vero. La simchà, la gioia, è dunque il centro di gravità di tutta la Torà, così come la tristezza è il polo d’attrazione di tutte le lordure chas veshalom. Alla creazione dell’uomo, un angelo accusatore avanzò un obbiezione quanto ai disegni del Creatore: “Cos’è quest’uomo perchè Tu te ne ricordi?” (Salmi 8;5). Voleva dire: in cosa un essere fallibile, collocato in un mondo di dubbi, potrebbe meritare la Tua attenzione, poiché non mancherà di rivoltarsi contro di Te....”. Quest’angelo non immaginava la possibilità di un uomo che si migliora, che sormonta, con l’aiuto di Hashem, le sue difficoltà, per trasformare questo mondo di dubbio in certezza! Questo angelo del pessimismo, mettendo in dubbio ogni possibilità di progresso, sarà lui stesso decaduto e poi castigato. È l’angelo di Esaù! continua domani...... (tratto anche dal libro Coraggio di Rav Besançon) 10 ד’ חשון תשע”ד 8 Ottobre 2013 Martedì Momenti di Halakhà יום שלשי REGOLE DELLA MEZUZA -Prima di fissare la mezuzà si recita la benedizione likboà mezuzà – di fissare la mezuzà. -Se si attaccano diverse mezuzot, una sola benedizione è sufficiente per tutte. -Quando si riattacca la mezuzà, se è caduta da sola, in tutti i casi bisogna dire nuovamente la benedizione. (c’è invece chi dice solamente se è passato un periodo significativo dalla caduta, in caso contrario è preferibile astenersi dal recitarla). -Se la si toglie per sottoporla a verifica, esiste dubbio riguardo alla necessità di recitare di nuovo la benedizione. L’usanza comune è di non recitare la benedizione se la mezuzà viene riattaccata nello stesso giorno in cui viene staccata. Se non viene fissata nuovamente allo stipite fino all’indomani o se la mezuzà non è ritenuta valida e quindi al suo posto ne viene messa un altra, in questi casi la benedizione deve essere ripetuta. -In in luogo dove c’è da temere che possano sottrarre la mezuzà, quando è possibile, si scava un solco nello stipite e ve la si colloca, però non si formi un’incavatura a una profondità superiore a quella di un palmo, poiché così non sarebbe più al mezuzot – sugli stipiti della tua casa (Devarim 6;9), bensì all’interno dello stipite, e la mezuza sarebbe pesulà. -Bisogna inoltre stare attenti che la sede della mezuzà sia in ogni caso riconoscibile. -Se non è possibile scavare nello stipite della casa, ci si accontenta, in caso di bisogno, di fissarla all’interno, dietro la porta, purchè sullo stipite e non sulla parete. Essa non deve neppure essere distante dall’apertura della porta di oltre un palmo, perchè allora sarebbe pesulà. -Le stesse regole riportate nella alachà precedente valgono anche per altri casi particolari, quindi si chieda ad un Rav esperto e timoroso di Hashem per ogni circostanza specifica. (Alachot tratte dal Kitzur Shulcan Aruch tradotto dal Dott. Moisè Levi) 11 ה’ חשון תשע”ד 9 Ottobre 2013 Mercoledì Momenti di Musar יום רביעי NON SI DEVE PERDERE IL DESIDERIO …..continua da ieri Così tutte le tentazioni provengono da questa sfida che questo malach mantiene:”L’uomo non ci riuscirà!”. Ogni volta che seduce un cuore verso l’errore, non è che per condurlo all’abdicazione. Cosicché, constatando il suo fallimento, l’uomo accondiscenderà alla voce che gli sussurrava: “Te l’avevo ben detto che non ci saresti arrivato!”. Pur sapendosi perdente (sin dalla lotta di Giacobbe vedi il libro di Bereshit 32) l’angelo di Esaù persegue il suo compito d’insegnare il disfattismo, e di condurvici con tutti i mezzi. L’uomo che accetta di cedere a questo disfattismo, l’uomo che sceglie di credere che il compito che il S. D-o gli ha ordinato sia troppo al di sopra delle sue forze, in una parola l’uomo dimissionario, diventa un alleato delle forze del male. Inversamente l’uomo ottimista, colui che crede nelle forze illimitate di cui D-o l’ha dotato e che si rivelarono non appena le risveglia cantando, quest’uomo si unisce a Giacobbe, l’eroe della redenzione. Simili alle stelle del firmamento della speranza, gli Zadikkim di ogni generazione ci insegnano questa lezione. In un linguaggio appropriato al luogo e al momento, ci ricordano che l’uomo ci arriverà. L’ortofonia moderna ha scoperto recentemente che esiste un fenomeno di auto-stimolazione tramite il suono. Così quando la nostra bocca emette sonorità, queste colpiscono il nostro timpano che comunica a sua volta al cervello un carico d’energia. Gli zadikim questo lo sanno da sempre! “Il modo migliore di darsi forza, ci insegnano, è di cantare una melodia trascinante. Un bel nigun-melodia trascinante. Di battere le mani, o di danzare cantando”. La nostra anima ha bisogno di esercizi come le nostre membra di ginnastica e il nostro corpo di vitamine. La pesantezza, l’abbattimento, sono dei microbi che minacciano costantemente il nostro spirito. Per inclinazione, è così facile di lasciarsi scivolare nella malinconia. Ma è un pericolo che bisogna combattere senza scrupolo, perché questi stati d’animo sono negativi. Si dovrà reagire non appena un’idea triste cercherà d’infiltrarsi nel nostro cuore: mettersi a cantare, a rallegrarsi in qualsiasi modo. Continua domani.......... (tratto anche dal libro Coraggio di Rav Besançon) 12 ה’ חשון תשע”ד 9 Ottobre 2013 Mercoledì Momenti di Halakhà יום רביעי LA BERACHA’ SULLA LUNA – BIRCHAT ALEVANA’ La Birkat HaLevanàh è una preghiera che si recita per il rinnovo della luna, 1 volta al mese - ogni volta all’inizio del mese ebraico. Perchè si deve recitare la Birkat HaLevanàh? La luna è stata creata con il sole, contemporaneamente, in principio avevano la stessa grandezza, ma la Luna andò davanti ad HaQadosh Barukh Hu e disse: “Signore dell’Universo, come possono due re, sia io che il Sole, regnare con la stessa corona?” cioè essere entrambi alla pari? - le rispose HaQadosh Barukh Hu - “Hai ragione! Tu sarai rimpicciolita!”. Per compensarla della perdita il Signore le diede una schiera enorme di “soldati”, che rendono maggiore la grandezza del “reame” - le stelle a cui lei è a capo. Sul rinnovo della Luna si effettua questa Berakhàh al fine di comprendere la grandezza di HQB”H attraverso le leggi della Natura, che Egli ha stabilito: ogni mese esattamente nello stesso periodo di tempo la luna si rinnova. E così anche noi ci rinnoviamo. DOMANDA : Come la si recita? Si recita in piedi, e in alcuni punti si “saltella” semplicemente alzando i talloni dal terreno, come se volessimo arrivare alla luna stessa. Ma perchè facciamo questi 3 saltelli? I tre salti rappresentano tre livelli di santità: (1) Santità nelle azioni, (2)Santità nelle parole e la (3) Santità nei pensieri relativi ai tre livelli di anima (intraducibili in italiano in modo adeguato), dal più basso al più alto (1) שפנNefesh, (2) חורRuach e (3) Neshamà La Birkat HaLevanàh si recita all’aperto, poiché non è considerato “bello” accogliere il Re del Cielo dalla finestra; per questo motivo si esce, per dare kavod ~ onore. Bisogna sapere che l’evento della Birkat HaLevanàh è considerato come evento in cui si riceve il “Re dei Re” quindi HaQadosh Barukh Hu DOMANDA :Quando si recita? Secondo gli ashkenaziti si fa dopo 3 giorni dal Molad (cioè dal momento in cui vede “rinascere” la luna), mentre secondo i sefaraditi e i chassidim dopo 7 giorni completi dal Molad. Per completi s’intende di 24 ore complete per tutti i 7 giorni dal Molad, che può anche essere di giorno o in mezzo alla notte. Secondo la halakhàh è possibile benedire anche di Shabbat Qodesh, ma di solito si evita, per diversi motivi. Nel caso non ci sia la possibilità di recitarlo se non a Shabbat o nel caso altrimenti si perda la mitzwàh (perchè limitata fino al 15° giorno dal Molad) in tal caso si usa recitarlo di Shabbat. C’è chi sostiene che è meglio recitarlo a Motzaè Shabbat Qodesh (all’uscita di Shabbat Qodesh) perchè in tale occasione siamo più “consoni” sia nel vestiario che nell’atmosfera, per ricevere il Re dei Re, quindi HQB”H. Continua domani..... 13 ו’ חשון תשע”ד 10 Ottobre 2013 Giovedì Momenti di Musar יום חמישי Canta che ti passa!! …..continua da ieri Secondo la kabalà, l’uomo che si sforza di cantare quando è nella sofferenza, attira nella sua voce delle risonanze del Gan Eden. La gioia è così preziosa per D-o, che non ha mai accordato ispirazione profetica ai cuori tristi. Fossero anche i più grandi zadikkim, (come Giacobbe) bisognava ritrovare la gioia, per poter udire la Voce (vedi Genesi 46). Così, colui che si sforza d’essere allegro per amore del Cielo, riceverà il suo livello delle idee quasi profetiche che gli permetteranno di risolvere molti problemi. Un mattino, Rabbì Natan (discepolo prediletto di R.Nachman di Breslav) aveva cominciato la sua preghiera ma non trovava alcun gusto a farla. Ciò può accadere anche ai più grandi Hasidim. Arrivato al passo di “Ishtabach” e siccome la cupezza lo sovrastava, smise di leggere nel siddur e si mise a cantare il meraviglioso nigun del venerdì sera composta dal suo maestro. Cantò senza tregua fino a quando tutto ad un tratto, il muro della tristezza fu abbattuto. Con una gioia immensa proseguì il resto della preghiera. Ciascuno di noi può trovare dei modi personali di stimolarsi, di darsi della gioia e risveglio. La chiave comune a tutti per arrivarci sarà di applicare la frase del “Likutèi Moaran” (libro base della chasidut Breslav) che dice: “E’ una grande mizwà essere sempre allegri”. Per ogni ebreo essere gioiosi non è solamente una buon contegno, ma un dovere, una mizwà come le altre mizwot comandate da Hashem! Le buone azioni, le buone parole, i buoni pensieri si riconoscono se sono veramente favorevoli dalla stimolazione di gioia e serenità che esse procurano. Se un’idea, una condotta ci opprime (per quanto molto pia all’apparenza) è che essa realmente racchiude del veleno. Allora dovremmo fuggirla come fuggissimo dal fuoco! (tratto anche dal libro Coraggio di Rav Besançon) 14 ו’ חשון תשע”ד 10 Ottobre 2013 Giovedì Momenti di Halakhà יום חמישי LA BERACHA’ SULLA LUNA – BIRCHAT ALEVANA’ …...continua da ieri Secondo diversi Mequbbalim-cabalisti è meglio recitare subito la Birkat HaLevanàh in tempo piuttosto che attendere Motzaè Shabbat. Secondo tutte le opinioni (riportato nel Bet Yossef e nelle aggiunte del Ramà) nel caso Motzaè Shabbat sia oltre il 10 del mese ebraico, è opportuno recitare la birkat HaLevanàh per tempo, per evitare il rischio che da lì in poi sia nuvoloso e non sia possibile recitare la birkat HaLevanàh. DOMANDA: Se è nuvoloso come si fa? Per recitare la Birkat HaLevanàh è necessario che la luna sia visibile ad occhio nudo (chi ha gli occhiali da vista può tenerli - cfr. Yechavèh Da’at vol 4 sulla Birkat HaChamàh). Se è nuvoloso tanto da coprire la luna non è possibile recitare la berakhàh. Secondo i sefaraditi (Kaf HaChajim Sofer a nome di Maran HaChidàh) l’uso è che nel caso sia anche minimamente coperta, in modo che si possa vedere sotto la nuvola non si recita, ma si posticipa. Abbiamo due occasioni particolari in cui c’è una variazione rispetto alle norme di cui sopra: il mese di Menachem Av e quello di Tishrì. Nel mese di Menachem Av non si recita subito, ma si attende l’uscita del 9 di Av (Tish’à BeAv) poichè è un periodo di lutto e non vogliamo fare la birkat HaLevanàh che ci rallegra mentre dobbiamo evitare ulteriori forme di gioia. Nel mese di Tishrì, il mese del Giudizio degli ‘asseret Yemè Teshuvàh abbiamo due opinioni: c’è chi sostiene sia opportuno recitarla dopo Kippur, così da passare il periodo “difficile di giudizio” e recitarla più tranquillamente e c’è chi sostiene che è meglio aumentare i meriti proprio in questo periodo Rav Mutzaffi sostiene di farlo proprio negli ‘Asseret Yemè Teshuvàh e così è anche l’opinione dello Shelàh. L’opinione della Mishnàh Beruràh sembra più tendere dall’altra parte, e così è l’uso più comune -Non c’è nessun obbligo a benedire con minjian; se si è già giunti al tempo idoneo, allora è possibile benedire esattamente come per l’arcobaleno, i lampi oppure i tuoni. In pubblico però c’è un livello maggiore, poichè si rende maggior Gloria al Re con maggior pubblico. In ogni caso è meglio recitarla subito che guadagnare questo livello maggiore (come s’impara dalla fine di massechet Rosh HaShanàh - prova che riporta Maran HaChidàh). C’è una norma riportata nei poseqim: evitare di fissare la luna. Perchè? Poiché si vergogna di esser piccola! Essendo stata ridotta come riportato precedentemente. Esattamente come non si fissa una persona che ha un handicap, poichè lo si porterebbe a farlo vergognare. Ma è possibile controllare se essa non sia coperta da nuvole prima di fare la Birkat HaLevanàh, ma non fissarla mentre la si sta facendo. Vuoi un Buon Mese? Fai La Birkat HaLevanàh Rav Muzzafi dice sempre che chi fa bene la Birkat HaLevanàh con Kavanà tutto il mese gli andrà bene 15 ז’ חשון תשע”ד 11 Ottobre 2013 Venerdì Momenti di Musar יום שישי Parasha Lech Lechà In relazione a quanto promesso da Hashem ad Avraham nel verso “farò di te una grande nazione, ti benedirò, renderò grande il tuo nome” (Bereshit 12, 2), Rashì spiega che le parole “farò di te una grande nazione” sono riferite alla prima delle diciotto benedizioni della Amidà (“D-o di Avraham”), le parole “ti benedirò” si riferiscono alla seconda benedizione (“D-o di Itzchak”), e le parole “renderò grande il tuo nome” corrispondono alla terza benedizione (“D-o di Yaakov”). Ai tempi in cui Rabbi Yehuda Leow, meglio noto come il “Maharal”, ricopriva la carica di rabbino capo di Praga, viveva lì un sacerdote cattolico che in ogni occasione non mancava di dimostrare tutto il proprio odio contro gli ebrei e la religione ebraica. Gli abitanti del luogo erano soliti elogiare questo sacerdote in quanto egli, discendendo da una famiglia di origini ebraiche, conosceva molto bene le tradizioni del popolo d’Israele. Un giorno, mentre stava partecipando ad una riunione con i notabili della città, il sacerdote cattolico si accorse che stava passando da quelle parti il Maharal, e si affrettò quindi a raggiungerlo per porgli il seguente quesito: “Mi risulta che gli ebrei, nella preghiera della Amidà che recitano tre volte durante il giorno, ricordano i tre patriarchi del popolo ebraico: Avraham, Itzchak e Yaakov. E’ quindi quantomeno curioso che non venga menzioniato anche il nome di Moshè, ovvero di colui che ha consegnato la Torah agli ebrei”. Il Maharal conosceva già le abitudini e le intenzioni negative del sacerdote cattolico, ed era quindi consapevole che la sua domanda era volta esclusivamente a disprezzare le regole della nostra Santa Torah. Per questa ragione, egli rispose al sacerdote in maniera più che “pungente”: “Intenzionalmente noi non menzioniamo il nome di Moshè Rabbenu nella preghiera della Amidà; infatti, come senz’altro saprai, egli aveva purtroppo un enorme difetto familiare essendo il genero di Yitrò, un sacerdote non ebreo…”. 16 ז’ חשון תשע”ד 11 Ottobre 2013 Venerdì Momenti di Halakhà יום שישי REGOLE DI SHABBAT ….continua dal 1 di cheshvan vedi li le altre alachot. Vi sono però alcune importanti eccezioni, se si voglia compiere qualsiasi opera non per le necessità di Shabbat : Se il preparativo ha anche una funzione, non solo per un altro giorno, ma anche per lo Shabbat stesso, è permesso compierlo. È permesso quindi rifare il letto di Shabbat anche se non si dormirà nel pomeriggio, ma si vuole solo che la casa sia ordinata per rendere lo Shabbat più piacevole. È permesso rimuovere i piatti dal tavolo dopo la seudà shelishit sapendo che non saranno più utilizzati a Shabbat, ma solo per il fatto che si vuole utilizzare la sala da pranzo e si vuole che essa sia pulita e ordinata. Non è invece permesso toglierli dal tavolo (nemmeno dopo i pasti precedenti) se non si utilizzerà più la stanza durante lo Shabbat. (Shemirat Shabbat Ke-Ilchatà 28, 86-87). Azione abitudinaria. Esiste poi un’altra importante eccezione. Se il preparativo è compiuto in modo automatico (ovvero senza pensare al risultato) e senza alcuno sforzo particolare, è permesso farlo anche se è per un’azione che si compirà dopo Shabbat. Per esempio è permesso riportare il tallet a casa dopo la tefillà (se c’è l’eruv); è permesso rimettere il cibo nel frigorifero dopo la seudà shelishit e mettere i piatti e stoviglie a mollo nel lavandino perchè il cibo non si appiccichi; ed è permesso uscire per la tefillà di arvit di motzae shabbat portando le chiavi di casa (se c’è l’eruv). (Shemirat Shabbat Ke-Ilchatà 28, 89). (tratto dal blog di michael chogoi) 17 ח’ חשון תשע”ד 12 Ottobre 2013 Sabato Momenti di Musar יום שבת Parasha Lech Lechà “Va’ via per te dalla tua terra, dal luogo dove sei nato e dalla casa di tuo padre e dirigiti verso la terra che ti mostrerò” (Bereshit 12, 1). Rashì spiega che la parola “ – לךLechà – Per te” contenuta nel primo verso della parashà deve essere intesa come “per il tuo godimento e per il tuo bene”, così come viene chiarito nel verso immediatamente successivo in cui Hashem assicura ad Avraham: “farò di te una grande nazione, ti benedirò, renderò grande il tuo nome e tu diventerai benedizione” (Bereshit 12, 2). I nostri Maestri ci hanno insegnato che Avraham è stato sottoposto a dieci prove di Emunà – Fiducia in Hashem, iniziate con l’uscita dalla casa paterna e culminate con la legatura di Itzchak. Dal momento però che, come visto, era stato garantito ad Avraham ancor prima dell’inizio del suo viaggio che dall’adempimento dell’ordine divino sarebbero derivati grandi benefici per lui e per la sua discendenza, risulta difficile comprendere la ragione per cui l’abbandono della casa paterna sia stato comunque incluso tra le dieci prove in questione. A questa domanda ha risposto lo Tzaddik Rabbi Pinchas Urbitz, il quale fa notare che, quando menziona l’adempimento di Avraham al comando di Hashem di lasciare la propria casa paterna, la Torah ci dice espressamente che “Avram partì come gli aveva detto l’Eterno” (Bereshit 12, 4); ciò significa che egli non lasciò affatto la propria terra al fine di ottenere i benefici che D-o Benedetto gli aveva già assicurato, ma solo ed esclusivamente per adempiere al Suo comandamento. Ed è proprio grazie a questo, pertanto, che la partenza di Avraham venne considerata come una delle dieci prove di Emunà grazie alle quali egli ha meritato di essere scelto quale patriarca del popolo d’Israele, popolo che, nel corso dei secoli ed anche di fronte a numerose difficoltà, si è sempre contraddistinto per l’osservanza incondizionata delle mitzvot di Hashem. 18 ח’ חשון תשע”ד 12 Ottobre 2013 Sabato Momenti di Halakhà יום שבת REGOLE DI SHABBAT DOMANDA : Esiste qualche autorità che consente di mettere il fazzoletto da taschino di shabbat se non c’è l’eruv? Non potendo portare il fazzoletto da naso, e questo ha solo funzionalità estetiche, presumo di no. Risposta. Il fazzoletto da taschino è considerato una decorazione (come la fede nuziale, il braccialetto o la catenina da collo) e vi sono poskim (incluso Rav Neuwirth shlit’a) che permettono, se uno vuole, di portarlo come decorazione nel taschino esterno della giacca in un luogo in cui non ci sia eruv. Per quanto riguarda il fazzoletto da naso, come noti giustamente, non si può assolutamente trasportarlo in mano o in tasca fuori casa in un posto in cui non ci sia un eruv. Secondo Rav Neuwirth shlit’a si può invece portarlo: 1) allacciato attorno al collo dato che viene utilizzato come fazzoletto da collo (ma non può essere portato se non viene allacciato), 2) se è lungo a sufficienza può essere utilizzato come cintura dei pantaloni nel caso in cui non si utilizzi un’altra cintura o bretelle (per i sefarditi si può utilizzare il fazzoletto come cintura e uscire in un reshut ha-rabim anche se si utilizza un’altra cintura (cfr. Shulchan Aruch 301, 36), 3) secondo alcune autorità può essere legato sulla camicia attorno al polso dato che viene utilizzato per tenere chiuse le maniche della camicia, 4) può essere cucito prima di shabbat alla tasca del vestito in modo che ne diventa parte (facendo attenzione che non sia di lino su un vestito di lana dato che costituirebbe una violazione del divieto di sha’atnez) ma non basta fissarlo con una spilla. -Attenzione è d’obbligo, prima di servirsi di una di questi possibilità, di consultare un Rav esperto e timoroso di Hashem su quali sono i parametri precisi dei sistemi riportati. (tratto dal blog di michael chogoi) 19 ט’ חשון תשע”ד 13 Ottobre 2013 Domenica Momenti di Musar SOLE E LUNA יום ראשון La donna e’ paragonata alla luna e il marito al sole. Sappiamo che la luna non ha luce propria ma riflette quella del sole che la illumina. La spiegazione e’ la seguente: l’anima della donna riflette solo cio’ che riceve da suo marito. Per poter rallegrare sua moglie, il marito deve essere paragonabile al sole, deve possedere la luce e la gioia per poterla illuminare e rallegrarla. Tuttavia, se il marito e’ triste, cupo e che ha bisogno di qualcun altro per illuminarla, non puo’ illuminare sua moglie. Deve quindi acquisire la virtu’ della gioia, senza la quale non puo’ rallegrare sua moglie e godere dell’armonia famigliare. Viene riportato nel Sefer Hacharedim che questo precetto di rallegrare la moglie si applica per tutta la vita insieme. Inoltre, quando rallegra sua moglie, il marito merita molto spesso, di plasmarla e stabilizzarla. Cio’ conferma questo detto dei nostri Saggi: « Colui che si premura di una sola anima ebraica, e’ considerato come se abbia creato il mondo intero». Caro marito, che questa idea possa penetrare nel piu’ profondo del tuo cuore: tua moglie ha solo te al mondo e tutta la sua gioia e la sua vita dipendono solo dalla tua relazione con lei. Devi prodigarle rispetto e onore piu’ che a qualsiasi altra persona, dimostrandole che si trova in cima alla tua scala di priorita’ della vita. Solo in questo modo sara’ felice. E sappi che proporzionalmente alla gioia prodigata a tua moglie, riceverai i benefici da Hashem benedetto Egli sia. (Tratto dal libro “Il Giardino Della Pace” di Rav Shalom Arush guida per pace coniugale, in uscita tra qualche mese con l’aiuto di Hashem in Italia) 20 ט’ חשון תשע”ד 13 Ottobre 2013 Domenica Momenti di Halakhà יום ראשון Nidda cap. 3/2 Lo scorso mese abbiamo visto come le parti del corpo in cui vi sono spellature o calli vanno preparate in vista del mikve, ora vedremo, con l’aiuto di D-o, come bisogna comportarci quando vi sono ferite, sbucciature, bendaggio o altri tipi di cure. Prima di tutto bisogna però sapere che queste regole sono molto complicate e in ogni caso è bene chiedere a un rabbino competente. 1) Una donna che ha una ferita sporca di sangue, tutto il tempo in cui il sangue è liquido non impedisce il passaggio dell’acqua mentre quando inizia a seccarsi è considerato un impedimento (hazziza) e va levato prima del mikve. 2) E così se la ferita rigetta pus (o il liquido che esce quando si stacca la crosta) quando questo è liquido non è hazziza e quando è secco lo è, quindi va levato prima del mikve. I nostri maestri hanno detto che fino a tre giorni dalla fuoriuscita è considerato liquido. 3) Se il levare il sangue o il pus provoca un forte dolore bisogna almeno cercare di ammorbidirli il più possibile immergendoli tanto tempo sotto l’acqua e poi cercare di levarli il più possibile, nonostante ciò non vi è bisogno di provocare la riapertura della ferita. Continua domani 21 י’ חשון תשע”ד 14 Ottobre 2013 Lunedì Momenti di Musar יום שני IL PARADISO IN QUESTO MONDO I migliori benefici del mondo, a partire dalle benedizioni materiali e spirituali fino alla redenzione di tutto l’universo, dipendono solo dalla pace coniugale. Sul piano materiale, la salute fisica e mentale del marito, della moglie e dei figli, dipendono dall’intesa coniugale. In particolare , la salute mentale, poiche’ in una casa in cui non regna la pace, tutti soffrono di scompigli mentali. Allo stesso modo, il sostentamento, la ricchezza, la riuscita,etc. dipendono tutti dalla pace in famiglia. E’ evidente che tutto dipende dall’intesa coniugale anche sul piano spirituale, come per il pentimento, la fede, lo studio della Torah,etc. E l’essenziale, la redenzione finale, dipende anch’essa dalla pace coniugale. Bisogna capire bene che la finalita’ della creazione puo’ realizzarsi solo attraverso la pace matrimoniale. Poco importa di quale comandamento o di quale campo nel servizio d’Hashem l’uomo si occupi; alla fine, se non c’e’ intesa coniugale, la finalita’ della creazione del mondo non sara’ realizzata. E’ scritto a proposito della Creazione dell’uomo (Genesi2): ”L’Onnipotente creo’ l’uomo a Sua immagine. E’ all’immagine dell’Onnipotente che li creo’, uomo e donna”. Da qui, impariamo che solo colui che e’ sposato si chiama uomo, e che l’uomo e la donna assieme, si chiamano “adam – persona, essere vivente” Invece un uomo senza una donna o una donna senza un uomo non sono considerati tali. Nel libro Zohar viene spiegato che il “Ze-lem Elo-im” immagine di D-o è conforme solo se sono presenti il maschio e la femmina. Poiche’ e’ detto a proposito dell’immagine superiore: « L’Onnipotente lo creo’ a Sua Immagine » ossia, uomo e donna. Quando l’unione tra l’uomo e la donna non si compie, ossia che l’amore e’ assente (in ebraico la parola amore/ahava ha lo stesso valore numerico della parola UNO/Echad=13), l’immagine dell’Onnipotente è assente. (Tratto dal libro “Il Giardino Della Pace” di Rav Shalom Arush guida per pace coniugale, in uscita tra qualche mese con l’aiuto di Hashem in Italia) 22 י’ חשון תשע”ד 14 Ottobre 2013 Lunedì Momenti di Halakhà יום שני Contina da ieri 1) Anche la crosta che non è del tutto in corrispondenza del taglio è hazzizza e va a priori levata, ma se il lavarla provoca dolore o la possibilità che la ferita si riapra si deve fare quanto scritto nella regola precedente a proposito del sangue e del pus. 2) Sangue pesto ( che non è uscito fuori dalla ferita) o livido non sono un impedimento. 3) Cerotti o fasciature sono impedimenti e vanno levati prima del mikve. Se la cosa non è possibile bisogna chiedere a un rav competente. E così se vi è una parte del corpo ingessata , a priori bisogna levare il gesso, e se non può essere levato bisogna consultarsi con un rav. 4) Se si è messo iodio sulla ferita bisogna cercare di levarlo il più possibile e quello che rimane non è hazziza. 5) I punti che vengono messi per cucire una ferita generalmente sono hazziza (e la donna che li ha non può quindi fare la tevilla) a meno che questi non sono al disotto della pelle, anche se possono essere visti. 6) Se si ha una spina nel corpo quando questa non è del tutto dentro alla pelle è hazziza e va levata, ma se è allo stesso livello della pelle e non è visibile o se è del tutto dentro la pelle anche se è visibile non è hazziza. 23 יא’ חשון תשע”ד 15 Ottobre 2013 Martedì Momenti di Musar יום שלשי La scimmia verso l’uomo o l’uomo verso la scimmia ?! Sui banchi di scuola ci è stato insegnato che l’uomo all’inizio assomigliava a una scimmia e piano piano ha cambiato sembianze arrivando ad essere come è adesso ( dal punto di vista ebraico la cosa è del tutto sbagliata infatti la Torà racconta che l’uomo è stato creato dal S. a sua immagine e somiglianza) ultimamente ho iniziato a pensare che la cosa è del tutto inversa ed è l’uomo che piano piano inizia ad assomigliare alla scimmia. Per capire quello che voglio dire bisogna, in maniera analitica, capire quali sono le caratteristiche che differenziano l’uomo dall’animale e quali sono i valori che vengono adesso impartiti dalla società occidentale. La differenza sostanziale è che l’uomo ha un’ anima sicuramente più elevata rispetto a quella degli animali, questo gli dà la possibilità di parlare e di scegliere, ovvero l’uomo può decidere di andare anche contro il suo istinto decidendo di astenersi dal compiere un’ azione che potrebbe provocare del male ad altri anche quando gli è molto gradita e così al contrario può anche decidere di fare una cosa spiacevole perchè capisce che adesso è la cosa giusta da compiere, mentre gli animali sono guidati unicamente dall’istinto e possono anche mangiare i loro figli quando hanno fame. A l’uomo moderno viene insegnato che è tutto permesso, bisogna solo rincorrere i godimenti terreni senza pensare che tante volte la cosa va a discapito degli altri. Un’ altra differenza fra l’uomo e l’animale è che il primo va vestito mente il secondo no, e che il primo ha un coniuge che lo accompagna per tutta la vita mentre il secondo lo cambia di volta in volta. Queste ultime due differenze negli ultimi anni si sonno così assottigliate che non vale neanche la pena di parlarne. La cosa tragica è che non si sta parlando di un caso, ma di un nuovo ideale, cosi è bene essere perchè questo è l’uomo moderno. Da qua la mia tesi iniziale. In realtà il paragone fra l’uomo e l’animale non è nuovo ma già nell’antica letteratura ebraica viene fatto svariate volte e così dice il re Scelomo (Salomone) nelle Ecclesiaste (cap.2) “ L’uomo non ha nessun vantaggio rispetto alla bestia poiché tutti e due sono nullità”. (Vedi anche la preghiera di Untane Tokef e l’aggiunta di Neilla dopo il viddui). Tutto ciò deriva dal fatto che la vera grande differenza fra l’uomo e l’animale è stata del tutto scordata dal mondo occidentale, ed è quasi impossibile trovare chi la ricordi, l’uomo ha un’ anima immortale il suo stato in questo mondo è solo provvisorio mentre dell’animale dopo la morte non rimane nulla. CONTINUA il 18 di CHESHVAN 24 יא’ חשון תשע”ד 15 Ottobre 2013 Martedì Momenti di Halakhà יום שלשי REGOLE DELLA TEFILLÀ -È scritto nel Talmud nel trattato di Berachot “una persona che sta recitando la tefillà Dell’Amidà, non smette di recitarla neanche se avesse un serpente legato alla caviglia”; più avanti spiega la ghemarà: “dice Rav Sheshet, si parla di un serpente non velenoso, se fosse un serpente velenoso, si interrompe. Spieghiamo meglio il concetto. -Quando una persona sta recitando l’Amidà non può fare nessuna interruzione, se ci sono cose che lo disturbano, deve fare il possibile per non interrompere l’Amida’. Può interrompere solo in caso di pericolo. -Se una persona ci saluta, mentre stiamo nel mezzo dell’amidà non possiamo rispondergli, a meno che non sia una persona pericolosa, che ha la possibilità di danneggiarci. -È ovvio che non c’è nessun permesso di poter interrompere l’Amidà per questioni di soldi, visto che è permesso interrompere solo in casi di pericolo. -Una persona che per sbaglio, o per ignoranza, interrompe e parla, non deve tornare a ripetere l’Amida’ dall’inizio, e può riprendere da dove era arrivato. Ma se l’ interruzione fosse stata lunga, tanto da aver potuto finire l’Amidà, torna a ridirla da capo. 25 יב’ חשון תשע”ד 16 Ottobre 2013 Mercoledì Momenti di Musar יום רביעי RACHEL IMMENU – RACHEL NOSTRA MADRE L’11 di Cheshvan è l’anniversario della morte di Rachel immenu. È risaputo a tutto il popolo Ebraico che il suo luogo di sepoltura è specialmente propizio all’ascolto delle preghiere, come testimonia il versetto in Geremia 31;15 in occasione dell’esilio Babilonese del popolo Ebraico: “Così ha detto l’Eterno (a Rachel): Trattieni la tua voce dal piangere e i tuoi occhi dalle lacrime perché esiste un compenso per la tua operosità detto del S., e i tuoi figli faranno ritorno dalla terra del nemico”. Bisogna capire qual’è il merito di Rachel, che unicamente in virtù della sua tefillà risvegliò la misericordia di Hashem, assicurandole il ritorno del popolo Ebraico dall’esilio in Babilonia. È scritto infatti sul Midrash Rabbà Echà cap.24 che durante l’espatrio del popolo Ebraico dalla terra d’Israele, tutti i Patriarchi andarono davanti ad Hashem per risvegliare la misericordia Celeste. Iniziò Avraam Avinu ricordando il suo merito di aver obbedito all’ordine di Hashem di sacrificare suo figlio Izchak, ma questo non prestò aiuto. Poi si avvicinò Izchak avinu reclamando il suo merito di essere stato pronto a sacrificarsi per Hashem, e revocare quindi l’esilio di Israele, ma anche lui non fu esaudito. Si presentò poi Yakov avinu, con il merito di avere sacrificato la sua vita nel generare e crescere le 12 tribù di Israele, ma il S. D-o non ascoltò la sua voce. Successivamente venne Moshè Rabbenu, il pastore fedele del popolo d’Israele, e provò a persuadere il Santo Benedetto come fece in varie occasioni durante i 40 anni della permanenza del popolo Ebraico nel deserto, ma anche questo non aiutò affatto. Allora si presentò nostra madre Rachel e disse davanti a Hashem: “Padrone del mondo è a Te noto che Yakov Tuo servo mi amava profondamente, e lavorò per mio padre 7 anni per prendermi come sposa, e quando terminò il tempo fissato, mio padre Labano cercò di scambiarmi con mia sorella più grande. Allora ci scambiammo dei segni di riconoscimento per far si che mio padre non ci imbrogliasse. continua a pag. accanto 26 יב’ חשון תשע”ד 16 Ottobre 2013 Mercoledì Mercoledì Momenti MomentididiHalakhà Musar יום רביעי …..continua da pag. accanto In seguito però indugiai dal compiere questo accordo con Yakov, perché così facendo avrei causato un enorme imbarazzo a mia sorella Lea, allora decisi di rinunciare al mio forte desiderio di sposarmi con Yakov, pur di non svergognarla e gli svelai tutti i segni di riconoscimento. Feci un atto di bontà con Lea, non la invidiai e non le causai una brutta vergogna. Ed io che sono di carne ed ossa, terra e cenere, non ho considerato la mia sofferenza per non svergognarla, Tu che Sei Vivo e Presente, perché mai hai considerato il culto pagano (del popolo D’Israele) privo di significato e valore, e Hai esiliato i Tuoi figli, provocando la loro morte ed Hai lasciato che i loro nemici facessero di loro ciò che volevano?! Subito si risvegliò la misericordia di Hashem e le disse: “Trattieni la tua voce dal piangere e i tuoi occhi dalle lacrime perché esiste un compenso per la tua operosità detto del S., e i tuoi figli faranno ritorno dalla terra del nemico”. E’ immensa la grandezza del sacrificio di Rachel Immenu che aspettò 7 anni per congiungersi con Yakov, sapendo che tutto il suo futuro dipendeva da questo matrimonio, che aveva la possibilità di portare al mondo la “Casa d’Israele” per le generazioni eterne, ma nonostante tutto, si privò di tutto ciò per non disonorare Lea. Questo è il vero spirito di sacrificio e privazione per il prossimo. E proprio per merito di questa splendida condotta della nostra matriarca, che il Santo Benedetto si persuase e promise di far tornare la casa d’Israele nella loro terra. Noi tutti dobbiamo apprendere che solamente in virtù del nostro spirito di sacrificio e rinuncia alle nostre volontà, davanti a quella del Santo Benedetto, potremo assaporare finalmente la redenzione finale e la venuta del Re Mashiach! (Tradotto da una sichà di Rav Yakov Exter) 27 יג’ חשון תשע”ד 17 Ottobre 2013 Giovedì Momenti di Musar יום חמישי LA FONTE DEL BENE I nostri Saggi di memoria benedetta hanno anche insegnato (Sota’ 17): « Quando l’uomo e la donna lo meritano, la Presenza Divina regna fra loro ». La Presenza Divina accompagna sempre l’uomo che vive in pace con sua moglie; trae beneficio dalla benedizione, riesce in ogni ambito e riceve una protezione contro tutti i mali del mondo. Al contrario, l’uomo che non conosce l’intesa coniugale e’ esposto a tutti i pericoli, tutto e’ chiuso e oscuro davanti a lui, come impariamo in seguito a questo insegnamento: « se non lo meritano, il fuoco li divora ». Ed e’ impossibile che abbiano successo in nessun ambito, poiche’ il nome del Santo benedetto Egli sia e’ Pace (Shalom) ed Egli risiede solo dove c’e’ pace. Ne consegue che la pace coniugale e’ la fonte dell’abbondanza della benedizione divina. La pace porta l’uomo all’ascesa spirituale, alla perfezione del proprio essere, in quanto creatura formata all’immagine dell’Onnipotente, ed e’ il fondamento e la radice della riparazione del mondo. Quindi, quando ci si accinge a studiare e a lavorare sull’intesa coniugale, bisogna chiarire nel proprio cuore che la pace con il proprio coniuge non ha nulla a che vedere con il comfort o con una migliore qualita’ della vita, ma che e’ il fondamento più importante per l’uomo e per il mondo nel suo insieme. Questo fondamento deve tracciare il cammino della vita ed avere la precedenza su tutte le aspirazioni e i progetti della vita. La pace coniugale e’ la cosa piu’ importante e cara che possediamo al mondo; per essa dobbiamo investire tutte le nostre forze, prepararci a tutte le concessioni e non perderla ad ogni costo! (Tratto dal libro “Il Giardino Della Pace” di Rav Shalom Arush guida per pace coniugale, in uscita tra qualche mese con l’aiuto di Hashem in Italia) 28 יג’ חשון תשע”ד 17 Ottobre 2013 Giovedì Momenti di Halakhà יום חמישי REGOLE DELLA TEFILLÀ -Chi sta nel mezzo dell’ Amidà e l’ ufficiante arriva a dire la Kedushà, bisogna interrompere e con l’intenzione di uscire d’ obbligo bisogna ascoltare in silenzio senza rispondere, ilchazan che recita il verso “KADOSH KADOSH….”, e il verso “BARUCH KEVOD H…”. Terminata la Kedusha si prosegue terminando l’Amida’ -La stessa regola vale anche, se durante l’Amidà, ascoltiamo il Kadish. In questo caso, bisogna fermarsi e rimanendo in silenzio rispondere dentro di noi il verso “IE SHEME RABBA UMEVORACH”. -Al termine dell’ Amidà bisogna fare tre passi in dietro spostando prima la gamba sinistra e poi il piede destro. -Una volta fatti i tre passi indietro bisogna rivolgersi stando inchinati prima verso sinistra dicendo il verso “OSE SHALOM BIMROMAV”, poi verso destra dicendo “HU BERACHAMAV IASE SHALOM ALENU”, e quindi bisogna inchinarsi al centro dicendo “VEAL COL AMO ISRAEL VEIMRU AMEN”. -Dopo aver terminato l’ Amidà e aver fatto i 3 passi indietro prima di ritornare al proprio posto, se si prega al tempio o con mimian, bisogna aspettare il hazan che termina laKedushà, se si prega da soli o si e’ pregato la tefilla di Arvith, dove non c’è la ripetizione e quindi la Kedushà, si aspetti 2 o 3 secondi e poi ritorni al suo posto 29 יד’ חשון תשע”ד 18 Ottobre 2013 Venerdì Momenti di Musar יום שישי Parashat Vayerà Il Gaon Rabbi Chaijm Soloveitchik di Brinsk era solo dedicarsi integralmente alla gestione della Yeshivà di Volozhin ed alla cura dei bisogni della collettività che ogni giorno gli venivano sottoposti. Ciò nonostante, egli trovava sempre il tempo di occuparsi personalmente di qualunque ospite si presentasse a casa sua. In una fredda sera d’inverno giunse presso la sua abitazione un viandante in cerca di ospitalità e di un posto dopo poter passare la notte; Rabbi Chaijm accolse l’ospite con gentilezza e disponibilità, servendo lui da mangiare e bere e preparandogli, dopo di ciò, un letto sul quale dormire. Il mattino seguente l’ospite si svegliò molto presto, e dopo aver sottratto da casa di Rabbi Chaijm tutto ciò che poteva mettere nella sua borsa si dileguò rapidamente con la ricca refurtiva. I famigliari di Rabbi Chaijm si lamentarono molto con lo Tzaddik, rappresentandogli come egli, spinto dal grande desiderio di compiere la mitzvà della Haknassat Horchim – Ospitalità, accoglieva chiunque si presentava a casa sua senza nemmeno verificare se si trattava di una brava persona oppure di un delinquente. Rispose Rabbi Chaijm ai suoi famigliari: “Quando HaQadosh Baruch Hu volle far meritare ad Avraham di compiere l’importante mitzvà della Haknassat Orchim, Egli inviò lui degli angeli vestiti come arabi che idolatravano la polvere dei propri piedi. Tutto ciò perché? Affinché noi potessimo trarre, da questo episodio, un importante insegnamento, e cioè che nel compimento della mitzvà della Haknassat Orchim non ci si deve mai interrogare sulle qualità e la persona dell’ospite per valutare se egli, a nostro avviso, sia o meno adatto per essere accolto in casa. Le porte delle nostre abitazioni debbono sempre essere generosamente aperte per tutti coloro che passano, ed anche se sappiamo per certo che una tale persona trasgredisce ai comandamenti divini non possiamo comunque esimerci dal garantirgli cibo, bevande ed un posto dove dormire…”. 30 יד’ חשון תשע”ד 18 Ottobre 2013 Venerdì Momenti di Halakhà יום שישי REGOLE DI SHABBAT MELABEN – CANDEGGIARE DOMANDA : E’ permesso bagnare della carta (igienica/scottex o simili) e utilizzarla per pulire qualsiasi superficie (utensili o neonato ecc.)? RISPOSTA: In ogni strizzatura ci sono due tipi di lavori proibiti nei quali ci si può imbattere : “melaben” – candeggiare, e “mefarek” – estrarre (per esempio nel spremere un agrume per il suo succo). Per quanto riguarda la melachà di melaben, nel caso della carta è permesso dal momento che questa poi la si getta, e non si è interessati quindi al suo lavaggio. Ma dal punto di vista della seconda melachà “mefarek”, nell’utilizzare la carta bagnata, c’è l’intenzione di far uscire l’acqua impregnata, pertanto sarà vietato utilizzare della carta bagnata in tutti i modi. (Orchot Shabbat). Tuttavia c’è trai sefarditi (Yalkut Yosef ) che alleggerisce in questo utilizzandola però debolmente. (vedi opuscolo “Momenti di Torà” del 3 tishrì) DOMANDA : Esiste il divieto di strizzare i capelli? RISPOSTA: In realtà i capelli non assorbono dal momento che la loro fibra è compatta. Tuttavia i nostri “geniali” chacamim hanno decretato che sia vietato strizzarli, dal momento che ci potrebbe essere il rischio che la gente possa dire: come è permesso strizzare i capelli facendo fuoriuscire l’acqua è consentito anche farlo con i vestiti o simili. Quindi questo è un divieto rabbinico – derabbanan. -Alla luce di questo chi usa essere rigoroso e immergersi nel mikwè di shabbat, dovrà fare estrema attenzione di non strizzare i capelli e la barba in qualsiasi maniera. C’è chi alleggerisce e si asciuga i capelli bagnati di shabbat con un asciugamano debolmente. -Il divieto derabbanan suddetto rientra solamente nelle zone del corpo dove i peli sono più folti come la testa, la barba ecc., però nelle altre zone dove non sono fitti come sulle mani ecc. non c’è assolutamente bisogno di essere rigorosi. Quindi è permesso strizzare le mani dopo averle lavate, o asciugare il viso in tutti i modi (non la barba). (Alachot tratte da Orchot Shabbat e Yalkut Yosef) 31 טו’ חשון תשע”ד 19 Ottobre 2013 Sabato Momenti di Musar Parashat Vayerà יום שבת “In Beér Shèva [Avraham] collocò un – אשלEshel, e lì invocò il nome dell’Eterno” (Bereshit 21, 33). I nostri Maestri hanno fornito due diverse interpretazioni circa il significato di questo verso e, in particolare, della parola “– אשל Eshel”. Secondo Resh Laqish, Maestro del Talmud vissuto durante il III° secolo e.v., Avraham avrebbe realizzato un “giardino” a Beér Shèva di cui potessero usufruire i viandanti che passavano di lì al fine di attirarli e far loro conoscere la fede in Hashem. Anche Rabbì Yehuda e Rabbì Nehemia, Maestri della Mishnà vissuti dopo la rivolta di Bar Choqbà del 132 e.v., discussero tra loro circa il significato da attribuire alla parola in questione: uno riteneva, infatti, che si trattasse di un “giardino” (analogamente a Resh Laqish), mentre l’altro sosteneva che fosse una “locanda” dove potevano alloggiare gli ospiti. Nel suo commento alla Torah, riprendendo l’interpretazione riportata nel Talmud Babilonese (TB Sotà 10a), Rashì afferma che il termine ““ – אשלEshel” debba essere spiegato tenendo conto delle tre parole che possono essere formate tramite le tre lettere che lo compongono: 1) “ – אAchilà – Mangiare”; 2) “ – שShtià – Bere”; 3) “ – לLinnà – Dormire”; a suo avviso, pertanto, Avraham avrebbe costruito a Beér Shèva una “locanda” dove garantiva mangiare, bere e dormire ai viandanti, insegnando loro al contempo a benedire Hashem per tutto il bene che era stato loro elargito. Con la realizzazione di un “ – אשלEshel”, secondo il Gaon Rabbì Eliahu di Vilna, Avraham voleva fornire un “aggiustamento” spirituale per i peccati che erano stati commessi dalle generazioni precedenti: Adam HaRishon, infatti, aveva trasgredito al comando divino “mangiando” il frutto dell’albero della conoscenza, Noach aveva peccato “bevendo” vino in misura eccessiva e facendosi quindi vedere nudo ed ubriaco dai propri figli, mentre gli abitanti di Sodoma si erano traviati al punto tale da impedire a chiunque di assicurare agli ospiti un posto dove “dormire”. 32 טו’ חשון תשע”ד 19 Ottobre 2013 Sabato Momenti di Halakhà יום שבת REGOLE DI SHABBAT MELABEN – CANDEGGIARE DOMANDA: Mi si sono bagnati i calzini posso continuare a camminare, anche se nel farlo vengo a strizzarli, e come studiato è vietato strizzare i vestiti dall’acqua impregnata? RISPOSTA: Si è permesso, tuttavia se hai la possibilità e vuoi essere rigoroso sarà preferibile che li cambi con un paio asciutto. -Lo stesso vale nel caso che si voglia camminare su un tappeto bagnato, che se c’è la possibilità e se si vuole essere rigorosi, sarà più opportuno e non farlo. -Abbiamo già accennato (nel Momenti di Torà alachà del 3 Tishrì vedi li) che i nostri Saggi hanno vietato di bagnare un vestito, o simili per i quali la persona ci tiene che questi non rimangano bagnati (come i vestiti e non gli stracci da cucina) per il pericolo che li si venga a strizzare, lavoro proibito dalla Torà di Shabbat. -Alla luce di questo non esiste il rischio di venire a strizzare gli stracci da cucina o della carta perché la persona non si cura che questi rimangano asciutti. Pertanto sarà permesso asciugarci anche una quantità considerevole d’acqua che si sia versata di Shabbat. Al contrario sarà vietato farlo con un abito, camicia ecc. per i quali la persona ci fa attenzione a non mantenerli bagnati. -Il divieto riportato riguarda solo per una quantità d’acqua significativa, che essendo questa assorbita, si possa strizzarla dal vestito. Se però questa è in minima quantità allora i chachamim non hanno vietato di utilizzarli o di spostarli. -E’ permesso quindi asciugarsi le mani con qualsiasi indumento o asciugamano anche se ci si preoccupa sempre che questi rimangano asciutti. Di Shabbat è consentito inoltre spostare dei vestiti lavati in lavatrice che sono stati strizzati (non di shabbat). -Per i vestiti che si indossano, i chacamim non sono stati rigorosi, e nel caso quindi si siano bagnati dalla pioggia, è permesso continuare a indossarli e non c’è l’obbligo di toglierli. Tuttavia una volta tolti, sarà vietato spostarli come scritto sopra. (Alachot tratte da Orchot Shabbat e Yalkut Yosef) 33 טז’ חשון תשע”ד 20 Ottobre 2013 Domenica Momenti di Musar יום ראשון L’ANIMA HA BISOGNO DI UNA LUCE SPIRITUALE Ci sono al mondo due tipi di cose: le cose che non hanno bisogno di alimento, come i metalli o le pietre, e quelle che non ne hanno bisogno, come i vegetali e gli animali: se lasciamo una pecora a lungo senza cibo morirà, perchè lo spirito vitale la lascerà e dopo, anche la maggior parte del corpo marcirà. L’uomo, come evidente, appartiene al secondo gruppo, ma non solo il suo corpo ha bisogno di alimento, bensì anche la sua anima. L’alimento dell’anima non è materiale bensì spirituale e in mancanza d’esso l’anima prova una sensazione di fame che a lungo andare si trasforma in angoscia. L’individuo può nascondere il suo senso di vuoto ma ne è ben conscio, sicchè quasi ognuno ha due “compiti”: il primo, nel quale a volte riesce, è cercare di convincere la gente che il suo animo è contento e sereno; il secondo, nel quale quasi sempre non ci riesce, è convincere se stesso. L’unico sistema per risolvere veramente il problema è dare all’anima il suo alimento, ma allora bisogna prima chiarire quale sia l’alimento per l’anima. La risposta la troviamo nel salmo di David numero 42:”Come il cervo anela ai corsi d’acqua, così la mia anima anela a Te, o D-o. La mia anima ha sete di D-o, del D-o vivente. Quando potrò venire e mostrarmi davanti a D-o?”. Qui spiega il re David che l’alimento di cui ha bisogno l’anima e di cui ha sete è il ricevere un’illuminazione spirituale dal Signore; finchè non la raggiunge l’anima si sente come un cervo che vaga nel deserto cercando una sorgente d’acqua pura per dissetarsi. Il punto centrale è quindi come veramente raggiungere quest’illuminazione dal Signore, che è appunto l’alimento per l’anima. La risposta si suddivide in due parti che completano l’una l’altra. La prima riguarda il legame col Signore, che si esprime parlandoCi, ad esempio leggendo i Salmi, dove il re David ha scritto in svariati modi richieste e ringraziamenti al Signore che esprimono l’anelito dell’anima a Lui. La seconda riguarda il legame alla Torà, consegnata dal Signore ad Israele Trattando di questo legame bisogna considerare che la Torà non è solo un libro pieno di sapienza, bensì contiene una luce spirituale proveniente dal Signore che si si riceve legandosi alla Torà. Anche in questo ultimo legame ci sono due parti che completano l’una l’altra: lo studio della Torà, l’adempimento alle sue mizvot. In ogni momento nel quale si compie una mizvà, sia riguardante il rapporto col Signore che quello col prossimo, positiva, come i tefillin e aiutare il prossimo, o negativa, come l’astenersi dal mangiare il maiale o dall’offendere il prossimo, si attira verso la propria anima una luce spirituale proveniente dal Signore.(tratto dal libro Divrè Yakov di R. Y. Ades) 34 טז’ חשון תשע”ד 20 Ottobre 2013 Domenica Momenti di Halakhà יום ראשון REGOLE SUI TEFILLIN -E’ riportato sul trattato di Eruvin 13b e nel trattato di Sotà 20b: “Ha detto Rabbi Yeudà a nome di Shmuel a nome di Rabbì Meir: quando sono andato presso Rabbi Ishmael mi disse: “Figlio mio qual’è la tua occupazione?” E gli dissi: “Sono sofer”. Allora mi disse: ”Figlio mio stai molto attento nel tuo lavoro, perché la tua è una mansione per il Santo Benedetto, che se solamente tralasciassi una sola lettera, o aggiungessi una sola lettera, ti troveresti a distruggere il mondo intero!” -Quindi il sofer sia molto attento nello scrivere ogni lettera dei tefillin, perché nel caso li scriva con solamente un errore, li renderebbe psulim-invalidi addirittura a posteriori, e persino nei punti dove il significato della frase o della parola non subisce alterazioni. -Nel caso abbia fatto un errore del genere, ed abbia proseguito nella scrittura non avrà più la possibilità di rimediare e dovrà metterli da parte (ghenizà). -Nel caso si siano indossati un paio di tefillin, nei quali il sofer abbia trascurato l’alachà appena riportata, colui che li ha messi avrà recitato ogni giorno una beracha levattalà-invano, non avrà eseguito l’importante mizwà dei tefillin annullando il precetto positivo della Torà tutti i giorni che li avrà portati e la colpa del sofer in questione sarà enorme, oltre al divieto di furto che avrà infranto, avendo venduto un paio di tefillin invalidi, percependo l’importo di uno kasher, D.o ci scampi. -Alla luce di quanto scritto, hanno avvertito i poskim di tutte le generazioni, di acquistare i tefillin esclusivamente da dei sofrim molto timorosi di Hashem, a tal punto da dichiarare di far attenzione nello scegliere i sofrim più dei shochatim. Quindi si deve ricercare, quando ci si accinge a comprare un paio di tefillin, o qualsiasi lavoro di kdushà, di farlo solamente presso un sofer devoto alla Torà, e con spirito veritiero. Continua domani........ (alachot tratte da Alachà Brurà di R. David Yosef) 35 יז’ חשון תשע”ד 21 Ottobre 2013 Lunedì Momenti di Musar יום שני IL SISTEMA PER VEDERE LE LUCI CHE ILLUMINANO L’ANIMA Se è così ci si potrebbe domandare perchè molte persone sostengono di non aver percepito l’esistenza di questa luce, pur avendo studiato o eseguito qualche mizvà; in altre parole, qual’è il sistema di studiare ed osservare laTorà che assicuri la percezione di questa luce spirituale. Per capire la risposta bisogna prima comprendere che nonostante questa luce illumini l’anima, in questo mondo essa si trova in un corpo che funge da schermo, impedendo parzialmente la percezione di questa luce. Quando un chirurgo domanda ad un paziente operato, ancora sotto l`effetto dell`anestesia locale, se è disposto che tagli ancora qualche centimetro di più di quanto ci sia bisogno, se questi è stupido acconsentirà, altrimenti rifiuterà, perchè se pure ora non sente niente ma svegliatosi ne risentirà ed il dolore sarà maggiore per ogni centimetro in più tagliato. Così l’anima in questo mondo, trovandosi nel corpo, è come addormentata e non percepisce con completezza la luce, fino dopo la morte, quando si separa dal corpo. Allora ci si renderà ben conto di come ogni mizvà compiuta in vita abbia creato una luce spirituale nell’anima, mentre ogni trasgressione l’abbia ferita. La nostra domanda era se esiste un sistema in questo mondo per percepire l’esistenza della luce creata attraverso lo studio, le mizvot, la preghiera ed il pensare al Signore. La risposta è positiva perchè, anche se il corpo oscura questa luce, ne rimangono tuttavia alcune parti percepibili anche in questo mondo. Ci sono due sistemi per ingrandire queste parti di luce e percepirle intensamente. Un sistema è studiare assiduamente e compiere mizvot in gran quantità: allora, pur percependosi in questo mondo solo una piccola parte della luce proveniente da ogni studio o mizvà, tuttavia, accumulandosi tante luci, anche le parti rimanenti saranno sufficienti per essere percepite intensamente. Continua il prossimo mese Bs”D....... 36 יז’ חשון תשע”ד 21 Ottobre 2013 Lunedì Momenti di Halakhà יום שני REGOLE SUI TEFILLIN …..continua da ieri -E’ risaputo che il sofer non esperto pienamente nelle alachot inerenti alla scrittura dei tefillin, è quasi certo che faccia degli errori nel suo lavoro. E spesso anche se si controllano le parashiot scritte, è impossibile verificare se questa è stata scritta adeguatamente o meno, invalidando i tefillin. Dunque, questo è stimolo per tutti noi, acquistare dei tefillin unicamente da un sofer estremamente esperto in quelle alachot, e possibilmente che abbia passato degli esami da un Rabbinato riconosciuto, con con il relativo attestato. -E’ bene che il sofer prima di scrivere dei tefillin, si immerga nel mikwe. E conservi sempre la sua bocca da ogni tipo di linguaggio sconvenevole come lashon aràa, volgarità ecc. REGOLE SULLE STRINGHE DEI TEFILLIN -Alachà moshè misinai- disposizione dettata a Moshè sul monte Sinai (ma non scritta esplicitamente sulla Torà) che le stringhe siano nere al loro esterno. Vale a dire il lato della pelle dell’animale dove gli crescono i peli. E’ permesso colorare al suo interno (dove la stringa è increspata) con qualsiasi colore escluso il rosso. Tuttavia l’uso è di non farlo per niente o di nero. -Nel caso la cinghie abbiano perso colore, c’è l’obbligo di ripassarcelo, ed in questo bisogna fare attenzione che rimangano tinte, specialmente in quei punti dove questa si increspa, per esempio nel punto della legatura sul bicipite. -Bisogna fare attenzione che le stringhe rimangano nere per tutta la loro lunghezza e larghezza. Tuttavia se non si ha la possibilità di farlo, nel contempo sarà permesso alleggerire e compiere la mizwà con quei tefillin. -A priori quando si colorano le stringhe dei tefillin sia la prima volta, o nel caso che si siano scoloriti, si dovrà farlo dicendo “leshem kedushat tefillin – per la santità dei tefillin”, ovvero si dichiara che lo si sta facendo per nome della mizwà. -E’ bene a priori è preferibile che sia un adulto bar mizwà che colori le stringhe dei tefillin, tuttavia a posteriori è tollerato, tuttavia sarà consigliabile ripassarci il colore “leshem kedushat tefillin”. -Nel caso si fosse lacerata la stringa dei tefillin sulla sua larghezza è permesso alleggerire e ricucirla. (alachot tratte da Alachà Brurà di R. David Yosef) 37 יח’ חשון תשע”ד 22 Ottobre 2013 Martedì Momenti di Musar יום שלשי La scimmia verso l’uomo o l’uomo verso la scimmia ?! CONTINUA DAL 11 DI CHESHVAN Quindi chi vive in funzione di questo mondo sicuramente si comporta come un animale perchè la sua vita ha un termine e l’importante è solo godere di questi pochi anni a disposizione. Nelle generazioni passate anche i goim sapevano questa distinzione e cercavano in qualche modo di migliorare la figura dell’uomo, fino a sessanta anni fa una donna che andava in bichini veniva messa in galera perchè era chiaro a tutti che l’uomo va coperto, chi si scopre sono gli animali, la prima azione di Adamo ed Eva subito dopo aver ricevuto la sapienza è stata quella di coprirsi perchè la vergogna ci distingue dalle bestie. Noi come ebrei non accettiamo tutto ciò, per noi il mondo futuro è l’essenziale, qui siamo solo di passaggio quindi in tutte le generazioni i più grandi rabbanim sono quelli che hanno perfezionato la figura dell’uomo in senso assoluto, chi non ha mai conosciuto rav Haiim Ovadia Iosef (che il S. gli dia una pronta guarigione), Rav Eliasciv s”l o il resto dei grandi rabbini non può dire di aver mai visto un vero uomo, ma anche noi gente più semplice non dobbiamo scordare il nostro scopo. Quando si sa che la vita in questo mondo è solo momentanea spontaneamente tutte le differenze fra l’uomo e la bestia vengono accentuate e si tende sempre di più ad assomigliare agli angeli, perchè lo sguardo e verso l’alto e non verso il basso (e così la vita è anche molto più bella e serena, in quanto generalmente le insoddisfazioni vengono da una mancanza di godimenti). Questa è anche la conclusione del Re Scelomo il quale alla fine delle Ecclesiaste scrive che l’essenza dell’uomo sono il timore D-o e il rispetto dei Suoi precetti, e senza di questi non è un uomo ma un animale come ha detto all’inizio, in quanto il S. lo giudicherà per tutte le sue azioni. Ovvero siccome l’anima vive in funzione del mondo futuro dove verrà giudicata per quello che ha fatto in questo mondo l’uomo riceve un differenza sostanziale dall’animale e tutta la sua essenza sono i precetti di D-o. 38 יח’ חשון תשע”ד 22 Ottobre 2013 Martedì Momenti di Halakhà יום שלשי REGOLE DELLA TEFILÀ -Una persona che ha sbagliato o che per cause di forza maggiore non ha pregato una delle 3 tefillot, Schachrit, Mincha o Arvith, può recuperarla pregando due volte laTefillà successiva. (TASHLUMIM) -Ad esempio, chi non ha pregato la Tefillà di Schachrit , prega due volte la Tefillà di Mincha. Chi non ha pregato la Tefillà di Minchà, prega due volte la Tefillà di Arvith. Chi non ha pregato Arvith, prega due volte la Tefillà di Schachrit. -Si può recuperare solo l’ultima Tefillà persa, non quelle precedenti. -Per Tefillà si intende l’Amidà. -Questa regola vale solo nel caso in cui ci si è sbagliati o che per cause di forza maggiore non si e’ potuto pregare, ma se una persona intenzionalmente decide di non recitare una delle tre Tefillot, non può recuperarla. -Anche se è cambiato il testo dell’Amidà, in ogni caso deve pregare due volte la Tefillà “nuova”, per esempio: chi non ha pregato la Tefillà di Minchà di Shabat, prega due volte Arvith dell’uscita di Shabat, anche se il testo è differente dalla Tefillà che aveva perso. -Prima si recita la Tefillà del momento, una volta terminata si aspettano un paio di secondi e si prega la Tefillà del recupero. 39 יט’ חשון תשע”ד 23 Ottobre 2013 Mercoledì Momenti di Musar יום רביעי LA TEFILLÀ, LA MENTE E L’ORSO DOMANDA : Perchè quando si prega la mente vaga nei luoghi più remoti? Perchè l’immaginazione sembra destarsi proprio nel bel mezzo della tefillà? La battuta (purtroppo) è che si dovrebbe dire la tefillat ha-derech (la preghiera che si recita quando ci si mette in viaggio) subito prima di dire la tefillà. Cosa si può fare per controllare la mente, concentrarsi sulle parole che si leggono e rendersi conto che ci si trova di fronte ad HaKadosh Baruch-Hu? RISPOSTA: Un tempo c’era chi selezionava il “luogo dei pensieri”: un posto nel quale recarsi per pensare. Tale pratica deriva dal fatto che l’ambiente influenza il soggetto dei nostri pensieri. In che modo? Avete mai visto un orso ballare al circo? Si solleva sulle zampe posteriori, leva quelle anteriori all’aria e balla a suon di musica. Dal modo in cui l’orso viene ammaestrato a ballare possiamo apprendere un’importante lezione sul funzionamento della mente umana. Nel processo di addestramento vengono posti dei tizzoni ardenti sul pavimento e contemporaneamente suona la musica. Il povero orso associa così la musica al suolo incandescente. Il risultato è che quando l’orso sente la musica solleva le zampe per tenerle il minimo possibile a terra. Il chè ci dà l’impressione che stia ballando. Per certi versi il nostro cervello funziona allo stesso modo: internalizziamo una sensazione e la associamo all’ambiente in cui l’abbiamo provata. L’ambiente è determinato oltre che dalle senzazioni, anche da altri elementi quali il momento della giornata, il luogo e le persone collegate a tale esperienza. Questo insieme di associazioni mentali prende il nome di “rappresentazione interna”. Ad esempio a chi non riesce a dormire si suggerisce di eliminare dal letto ogni altra attività che non sia dormire. Se ci si abitua a leggere o a parlare a letto, la mente identifica il letto come un luogo in cui si sta svegli, rendendo difficile addormentarsi. Il concetto di rappresentazione interna ha varie applicazioni e può diventare uno strumento utile per aiutarci a controllare desideri e istinti. Continua domani..... 40 יט’ חשון תשע”ד 23 Ottobre 2013 Mercoledì Momenti di Halakhà HALACHOT TEFILLA’ יום רביעי - Ad ogni Beracha’ che una persona ascolta, e’ bene che risponda dopo la nomina del nome di Ashem, “Baruch Hu uBruch Shemo”. In particolare durante la ripetizione dell’Amida’ bisogna rispondere “Baruch Hu uBruch Shemo” dopo la nomina del nome di Ashem, e bisogna rispondere “Amen” alla fine di ogni Beracha’. - Quando il Chazan arriva alla Kedusha’, tra la seconda e la terza Beracha’, bisogna stare in piedi con le gambe unite come durante l’Amida’. - Tutto il pubblico deve stare attento a rispondere tutti assieme i versi: “Kadosh Kadosh Kadosh...”, “Baruch Kevod...” e “Imloch A. Leolam...” - Quando si recita la Kedusha’, bisogna avere l’intenzione di eseguire la Mizva’ di: “Verro’ santificato in mezzo ai figli di Israele” - Durante la ripetizione, il Pubblico deve rimanere in silenzio, ascoltare con attenzione le berachot del chazan, e rispondere amen alla fine delle Berachot. - Se non ci sono 10 persone che rispondono alla ripetizione del Chazan, c’è chi sostiene che le berachot del Chazan si avvicinino molto a “Berachot levatala’”: una beracha’ invano, trasgredendo il comandamento di: non pronunciare il nome di D-O invano. - Non si può’ studiare Torah durante la ripetizione dell’ Amida’, e non ci si può occupare di altre cose, come leggere Tehillim ecc, perché tutti devono stare attenti a rispondere, e chi lo fa non segue la regola dei maestri. Chazan: officiante 41 כ’ חשון תשע”ד 24 Ottobre 2013 Giovedì Momenti di Musar יום חמישי LA TEFILLÀ, LA MENTE E L’ORSO …....continua da ieri Alla fine della parashà di Behar troviamo questo concetto nel comandamento di temere e riverire il santuario mobile: u-mikdashi tira’u (Vaikra 26, 2). Il Talmud (Yevamot 6a) spiega che la Torà non dice che si deve temere il bet ha-kenesset in quanto tale, ma piuttosto che bisogna temere e riverire D-o che si trova, per così dire, al suo interno. Non si può negare però che il passuk dice proprio di temere il santurario. Se la Torà vuole comandarci di avere timore di D-o perchè non lo dice direttamente? Se si rispetta il bet ha-kenesset anche quando non vi si svolge la tefillà, si proverà timore e riverenza verso D-o anche durante le tefillot. Se invece quando ci si trova al bet ha-keneset si parla di tutto e di più, si corre il rischio di formare un’associazione mentale innappropriata. Il bet ha-kenneset diventa un “ambiente” che si associa con gli argomenti che vi si discutono (o che si è pronti a discutere) favorendo così l’ingresso di pensieri estranei durante la tefillà. Ho visto con i miei occhi persone mostrare enorme rispetto per il bet ha-kenesset. Quando escono si chinano e rimangono con il volto rivolto verso il bet ha-kenesset fino a quando sono usciti. E quando sono all’interno, dalle loro bocche escono solo parole di preghiera e Torà. Il grando rabbino cabalista Arizal faceva lo stesso. Lo Zohar (1, 255a) insegna che se si parla nel bet ha-kenesset si allontana la presenza divina, si ritarda la redenzione finale e chi parla pone se stesso nella categoria degli eretici. Se si vuole che una preghiera sia tale si deve mostrare rispetto per il luogo e il tempo della preghiera. Per questo i nostri Maestri ci esortano ad avere sia un posto che un orario fisso per le nostre tefillot, invece che infilare la preghiera tra un impegno e quello successivo a seconda della giornata. È praticamente impossibile “parlare con D-o” mentre si sta aspettando di ricevere un e-mail o si sta correndo a prendere l’autobus. (tratto dal blog di michael chogoi) 42 כ’ חשון תשע”ד 24 Ottobre 2013 Giovedì Momenti di Halakhà יום חמישי HALACHOT TEFILLA’ - Nella Torah e in tutte le Mizvot, c’è un parte che l’intelletto umano può capire e c’è una parte nascosta che solo in pochi possono capire. - Quindi quando studiamo un’ Alacha’ o una Mizva’ bisogna sempre ricordare che, se anche ci viene spiegato il motivo semplice, rimangono sempre nascosti ai nostri occhi motivazioni ulteriori. - I nostri maestri hanno stabilito che dopo che il pubblico ha terminato l’Amida’, il Chazan deve tornare a ripetere l’Amida’ ad alta voce. Per quale motivo? Il motivo semplice e’: se ci fosse una persona tra il pubblico che non sapesse pregare, tramite la ripetizione, uscirebbe dall’obbligo. Anche se il pubblico fosse formato da rabbini, il Chazan ripete lo stesso l’Amida’, poiché i maestri non hanno fatto distinzione tra i possibili pubblici, ma hanno fissato questa regola per tutti; in modo che, se ci fosse una persona che non sapesse pregare, avrebbe comunque la possibilità di uscire dall’obbligo. - Tutto questo e’ secondo lo “pshat” Cioè secondo la spiegazione semplice, quella che noi possiamo capire, ma il nostro rabbino Ari’ (grande kabbalista) ci ha svelato che dietro la ripetizione dell’Amida’ ci sono segreti incredibili, ed e’ obbligatoria, salvo casi eccezionali, dirla sia a Schachrit sia a Mincha’. - Nella Tefilla’ di Arvith non si recita’ la ripetizione dell’Amida’. - Durante la ripetizione per i sefarditi e’ permesso sedersi dopo la Kedusha’, mentre l’uso italiano e’ quello di rimanere in piedi. - Durante la ripetizione ogni persona deve sentirsi come se senza di lui non ci fosse minian, quindi deve stare attento e rispondere a tutte le Berachot. 43 כא’ חשון תשע”ד 25 Ottobre 2013 Venerdì Momenti di Musar יום שישי Parashat Chaijè Sarà La figlia dell’Admor Rabbi Aharon II° di Karlin, autore del libro contenente gli insegnamenti della dinastia chassidica dei Karlin ed intitolato Bet Aharon, una volta si ammalò gravemente, al punto tale che i medici stavano quasi perdendo la speranza che potesse rimanere in vita. Lo Tzaddik Rabbi Moshé di Kubrin capitò in quei giorni presso la casa dell’Admor, il quale, come era solito fare con ogni ebreo, lo invitò a mangiare presso la sua tavola; durante il pasto, Rabbi Aharon raccontò al suo ospite che la figlia era molto malata e che, pertanto, necessitava della misericordia divina. Rispose quindi Rabbi Moshè al padrone di casa: “Abbiamo imparato nel Talmud che al collo del nostro patriarca Avraham era attaccata una “bella pietra”, e che ogni malato che la vedeva immediatamente riacquistava la salute (TB Baba Batrà 16b). Quale era la natura di questa “bella pietra”, con cui Avraham riusciva a guarire tutti i malati del mondo? Secondo me non si trattava di una “bella pietra” fisica che poteva essere maneggiata, bensì di una “bella pietra” spirituale che rappresentava un particolare attributo per il quale Avraham si distingueva rispetto agli altri: il suo attaccamento alla mitzvà della HaKnassat Orchim – Ospitalità, che è per l’appunto un comandamento divino il cui rispetto porta guarigione a malati e sofferenti. In questo momento – proseguì lo Tzaddik di Kubrin – siamo ospiti di Rabbi Aharon, il padre della bambina malata, e la “bella pietra”, che rappresenta la HaKnassat Orchim, è appesa al suo collo: è quindi sufficiente che la giovane malata contempli suo padre affinché, con l’aiuto di Hashem, giunga su di lei una pronta guarigione”. Rabbi Aharon ascoltò con fiducia il consiglio del suo Santo ospite e, miracolosamente, in quello stesso giorno si videro dei sensibili miglioramenti nella condizione fisica della figlia, la quale, dopo poco tempo, si ristabilì completamente dalla sua malattia. 44 כא’ חשון תשע”ד 25 Ottobre 2013 Venerdì Momenti di Halakhà יום שישי REGOLE DI SHABBAT MELABEN – CANDEGGIARE DOMANDA: Si può strizzare un vestito o un indumento che si sia impregnato di vino, o succo di frutta ecc.? RISPOSTA: E’ vietato strizzarlo, ma a differenza dei casi che si siano intrisi d’acqua nei quali c’è il divieto di spostarli, per le altre bevande non sussiste questa proibizione. -C’è chi sostiene che sia vietato togliere il bucato steso di Shabbat, che era bagnato a tal punto da poterlo strizzare nel tempo di ben-ashemashot ( il tempo che va tra il tramonto e l’uscita delle stelle) essendo mukzè. Infatti c’è una regola generale nelle alachot di mukzè che dice: “dal momento che l’oggetto era vietato di spostarlo (per qualsiasi motivo, nel nostro caso essendo intriso d’acqua vedi le alachot del 14-15 cheshvan) nel tempo di benashemashot, è vietato di farlo durante tutto lo Shabbat”. Nel caso però la persona non abbia da che vestire, allora potrà alleggerire e toglierli da stesi (Orchot Shabbat pag.411). C’è però chi replica a questa opinione ritenendo che sia permesso prendere il bucato da steso durante lo Shabbat, dal momento che a ben-ashemashot era permesso spostare il bucato bagnato, per esempio con l’aiuto di un altra persona, dove non c’è il pericolo che si possa strizzare l’indumento. -Tuttavia secondo tutte le opinioni è vietato prendere il bucato steso, se non per la necessità del Sabato, perché in questo caso si farebbe una faccenda di Shabbat per il giorno feriale. -E’ bene sapere che per togliere il bucato da steso, secondo chi permette, lo si dovrà fare senza spostare le mollette, per esempio tirando solamente l’indumento che si necessita. -Nel caso di Shabbat si sia bagnato sia con dell’acqua o col sudore un vestito o simili, è vietato stenderli per asciugarli per “marit ain”, per non far sospettare alla gente che sia fatto il bucato di sabato. Questo divieto vige anche se lo si fa in camera, e nessuno può vedere. Continua domani........... (Alachot tratte da Orchot Shabbat e Yalkut Yosef) 45 כב’ חשון תשע”ד 26 Ottobre 2013 Sabato Momenti di Musar יום שבת Parashat Chaijè Sarà “Ed Avraham venne a far lutto per Sara e per piangerla” (Bereshit 23, 2). I commentatori si domandano perché, nella Torah, la lettera “ ”כdella parola “ – לבכותהLifkotà – Per piangerla” sia scritta con un carattere più piccolo rispetto alle altre lettere. Per rispondere a questa domanda, l’autore del Kohelet Itzchak cita il Midrash riportato nel Pirqè deRabbì Eliezer, dove si narra che, immediatamente dopo la legatura di Itzchak, il Satan si presentò da Sara dicendole (ingannevolmente) che il suo unico figlio era stato presentato come olocausto di fronte ad Hashem. Di fronte a questa rivelazione, Sara si mise a piangere in maniera disperata: dapprima emise tre lamenti prolungati – simili ai tre suoni allungati dello Shofar (Shevarim), in seguito prorruppe in tre pianti dirotti – analoghi ai tre suoni tremolanti dello Shofar (Teruà), ed infine la sua anima si allontanò da lei e morì. Poco dopo giunse Avraham di ritorno dal Monte Moriah e vide che sua moglie Sara era morta, come è scritto “ed Avraham venne a far lutto per Sara e per piangerla” (Bereshit 23, 2). Questo Midrash è apparentemente privo di senso, visto che è risaputo che il compito del Satan non è quello di far sbagliare senza ragione gli uomini o di vendicarsi malvagiamente di coloro che rispettano i comandamenti di Hashem: egli, in quanto inviato di D-o Benedetto, è al contrario incaricato di mettere alla prova l’uomo sperando però che quest’ultimo non presti ascolto alle sue istigazioni e continui a rispettare la volontà di HaQadosh Baruch Hu. Per quale ragione, allora, il Satan ha prima indotto in errore ed in seguito fatto morire Sara? Spiega il Kohelet Itzchak che l’obiettivo del Satan era quello di mettere alla prova Avraham per vedere se egli, una volta appreso della morte della moglie, si sarebbe o meno pentito di aver adempiuto al comandamento di D-o Benedetto di condurre in sacrificio loro figlio Itzchak. Ciò in quanto così come il sincero pentimento per aver commesso una trasgressione “cancella” retroattivamente la trasgressione, anche il rimorso per aver compiuto una mitzvà “cancella” retroattivamente il merito di aver adempiuto al comando divino; quando quindi il Satan non riesce ad impedire ad un ebreo di compiere una mitzvà, egli tenta di fargli rimpiangere di aver rispettato la volontà di Hashem per mettere alla prova la sua sincerità d’animo ed il suo effettivo attaccamento alla Torah. Il fatto che la lettera “ ”כdella parola “ – לבכותהLifkotà – Per piangerla” sia scritta con un carattere più piccolo ci insegna pertanto che Avraham pianse in misura molto contenuta per la morte di Sara (cfr. Ba’al HaTurim in loco), il che testimonia come egli, anche dopo essere venuto a conoscenza che la dipartita della moglie era dipesa dalla legatura di Itzchak, non si era affatto pentito di aver rispettato fedelmente la volontà divina. 46 כב’ חשון תשע”ד 26 Ottobre 2013 Sabato Momenti di Halakhà יום שבת REGOLE DI SHABBAT MELABEN – CANDEGGIARE …..continua da ieri -E’ vietato quindi posizionare un abito bagnato vicino ad un termosifone se si è abituati a farlo anche durante la settimana per asciugare il bucato. Nel caso contrario non è vietato farlo a meno che l’acqua impregnata nel vestito non possa arrivare alla temperatura di circa 40 gradi, che in questo caso sarà vietato, per non arrivare riscaldarla dal calore del radiatore (melechet bishul). In tutti i casi è permesso porre l’indumento bagnato dalla pioggia nel posto dove si è soliti riporlo (per es. sull’appendiabiti), affinchè non sembri che lo si sia messo ad asciugare. DOMANDA: E’ permesso piegare il tallit di shabbat terminato shachrit – preghiera mattutina? RISPOSTA: Si, ma facendo attenzione da non piegarlo sulle stesse pieghe preesistenti. (Orchot Shabbat e Yalkut Yosef). Tuttavia chi alleggerisce piegandolo seguendo le pieghe preesistenti ha su cui appoggiarsi, essendoci autorità rabbiniche che lo permettono.(Yalkut Yosef) Questo è tollerato anche se si è certi che non se ne farà uso durante la stessa giornata. (Orchot Shabbat e Yalkut Yosef). C’è invece chi è rigoroso e si astiene dal farlo ripiegando il tallit solo all’uscita di shabbat. (Shemirat Shabat Keilchatà) -Tutto ciò che non ha le pieghe distinguibili è permesso piegarlo. Quindi è permesso piegare le coperte, plaid, maglioni e simili, sui quali non sono percettibili le loro pieghe. -E’ permesso piegare tutti i capi nei quali non si è puntigliosi nella forma delle pieghe, e lo si fa solamente per agevolare il loro ordine. -E’ inoltre permesso mettere il pantalone su una stampella, anche se prenderà la piega da solo. -Un berretto di tessuto morbido è permesso ridargli la piega, nel caso si sia deformato. -E’ vietato infilare la forma che allarga o rida la sagoma preesistente alle scarpe. (Alachot tratte da Orchot Shabbat e Yalkut Yosef) 47 כג’ חשון תשע”ד 27 Ottobre 2013 Domenica Momenti di Musar יום ראשון L’ESSENZA DELL’ANIMA Nonostante ognuno percepisca, e a volte anche comprenda, che la propria anima sia qualcosa di molto più complesso di quanto si è soliti immaginare, non sa però come spiegarlo. Di conseguenza, non capendone la profondità, non sa come svilupparla ed invece di goderne viene preso da un’evitabile sensazione di vuoto e impotenza. L’unico sistema per salvarsi da questa sensazione è capire di più circa la grandezza dell’anima e cercare di identificarsi con essa: allora l’anima riuscirà ad influire secondo la sua vera potenza sull’individuo, che ritroverà così se stesso. Il contenuto di questa pubblicazione è basato sui più fondamentali libri di Kabalà: Lo Zohar, gli scritti dell’Arì (Rabbì ITzchak Luria), del Rashash, dell’Agrà (HaGaon di Vilna) e del Ramkhal (Rabbì Moshè Khayim Luzzatto). L’uomo è composto di anima e corpo. Cosa sia il corpo ognuno lo vede e lo capisce, ma cosa sia l’anima è un grande enigma. Per comprendere meglio dobbiamo portare l’esempio dei raggi solari la cui fonte è il sole: Quando poniamo un’asse di legno tra i raggi ed il sole, non li vedremo più al di là dell’asse perchè tutta la loro essenza dipende dal sole e lo abbiamo ora coperto. Spiega il Ramkhal nell’opera Adir BaMarom che anche tutta l’essenza dell’anima è un’irradiazione spirituale proveniente da Hashem e non c’è niente in essa al di fuori di questo; l’anima è quindi un qualcosa di totalmente spirituale senza minimo aspetto materiale. Bisogna domandare come sia possibile che ci siano nell’anima anche tendenze negative; se essa è una diretta emanazione di HaShem dovrebbe essere interamente buona. La risposta è che in effetti le tendenze cattive dell’uomo non derivano dall’anima, ma da certe forze spirituali che le si accompagnano e possono sedurla in direzione negativa, me in se stessa l’anima non ha nessun aspetto negativo, neanche minimo. (tratto dal libro Divrè Yakov di R. Y. Ades) 48 כג’ חשון תשע”ד 27 Ottobre 2013 Domenica Momenti di Halakhà יום ראשון COS’E CASHER, GLATT, CHALAQ E MEHADRIN? Ci sembra sia opportuno fare chiarezza sulle varie denominazioni di casherut della carne. In particolare cosa significhino e da dove vengano i termini casher, glatt kosher, chalaq Bet Yosef e mehadrin. LA DEFINIZIONE DI CARNE CASHER PER I SEFARDITI I sefarditi seguono l’opinione del Bet Yosef, autore dello Shulchan Aruch. Secondo lo Shulchan Aruch (Yorè Deà, capitolo 39) esiste solo un livello di casherut per la carne. Senza entrare nei dettagli esso richiede che l’animale venga controllato per appurare che non abbia tutta una serie di lesioni o imperfezioni delle membra, incluso il fatto che il polmone sia liscio (“chalaq”). Se così è, la carne macellata nel modo prescritto è casher. Se vi sono imperfezioni o lesioni la carne non è casher. È questa l’halakhà per i sefarditi. Si noti che il polmone non liscio è un’imperfezione frequente, ma è solo una delle tante possibili imperfezioni. In alcune comunità sefardite, per esempio nel nord Africa, vi era l’uso permissivo di consumare carne senza che il polmone fosse liscio. La maggior parte dei posqim sefarditi sono però contrari. Si veda in proposito i responsi di Rav Ovadià Yosef (Yechavè Da’at 3, 56) e del Kaf Ha-Chaim (39, 221-222). LE DEFINIZIONE DELLA CARNE CASHER PER GLI ASHKENAZITI E IL CONCETTO DI GLATT KOSHER Gli ashkenaziti seguono invece l’opinione di Rav Moshè Isserless, noto con l’acronimo Remà, autore delle glosse allo Shulchan Aruch in cui specifica le differenze rispetto all’opinione di Rav Yosef Caro valide per gli ashkenaziti. Per far fronte alla necessità di mangiare carne con un certo standard di casherut in un periodo di forti pressioni economiche che caratterizzavano l’Europa del sedicesimo secolo, vennero accettate una serie di facilitazioni rispetto a quanto richiesto dallo Shulchan Aruch. Anche se vi sono alcune lievi, specifiche e numerate lesioni o imperfezioni per cui il polmone non è completamente liscio, per gli ashkenaziti tale carne rientra lo stesso nella definizione di polmone liscio (in yiddish liscio si dice “glatt”). Si tratta quindi di una definizione lievemente più permissiva rispetto ai sefarditi. Essa prende il nome di glatt kosher. Inoltre per avere uno standard minimo di casherut in tali difficili condizioni economiche, l’uso accettato dagli ashkenaziti è che se le lesioni possono venire tolte senza forare il polmone, anche se la carne non è glatt, la carne è comunque kosher. ….continua domani 49 כד’ חשון תשע”ד 28 Ottobre 2013 Lunedì Momenti di Musar יום שני LE VIRTU’ DI RACHEL Abbiamo trovato nei libri sacri, che Rachel nostra madre fu denominata dai nostri Chachamim il fondamento della casa di Israele, come abbiamo studiato (vedi il mussar del 12 cheshvan), per il merito delle sue distinte virtù caratteriali. Abbiamo già constatato che il pregio che risalta nella condotta di Rachel era proprio lo spirito di rinuncia per il bene del prossimo e lo straordinario altruismo, qualità primaria per arrivare al servizio di Hashem e alla vera pace famigliare. Per esempio qualora la persona non è pignola e rinuncia alle proprie volontà difronte a quelle dei membri della famiglia e alla loro condotta, allora potrà raggiungere la perfetta Shalom bait. Oltre a questo, i membri della famiglia impareranno da lui questa splendida virtù di essere cedevole davanti al prossimo. La virtù della tolleranza è anche la strada per arrivare alla completezza per l’uomo; Infatti, se ci pensiamo, per quale motivo la persona non rinuncia alle sue volontà? Perché pensa solamente a se stesso, ed è convinto che tutto ciò che vuole gli spetta, dal momento che è spinto dalla sua superbia. Di conseguenza, si infurierà contro coloro che non rispettano i suoi capricci. Viceversa colui che desiste davanti al volere altrui, perdona ed assolve il prossimo per le sue offese, si allontanerà dal peccato della superbia, ed arriverà alla sua integrità. Uno dei consigli per arrivare alla tolleranza e cedevolezza verso gli altri, è quello di concentrarsi sulle qualità del prossimo e nello stesso momento esaminare i propri difetti. Di conseguenza capirà che non c’è motivo di innalzarsi sul compagno; al contrario, questo avendo più qualità di noi, gli spetta il nostro annullamento nei suoi confronti. La persona deve sapere che con la cedevolezza non si perde mai, perché Hashem gli conferirà tutto ciò che gli spetta, se non in questo modo, lo farà in un altro. Grazie alla tolleranza, l’uomo potrà arrivare ai più alti livelli di integrità individuale, e meriterà di vivere una completa pace famigliare. Che Hashem ci dia il merito di essere degni di far scendere la Sua Presenza nelle nostre case e di adempiere ai nostri doveri in questo mondo! Amen! 50 כד’ חשון תשע”ד 28 Ottobre 2013 Lunedì Momenti di Halakhà יום שני COS’E CASHER, GLATT, CHALAQ E MEHADRIN? ...continua da ieri Va notato che per quanto sia un minhag accettato cibarsi della carne semplicemente kosher, si tratta pur sempre di una facilitazione rispetto al livello ottimale di carne glatt kosher. Per questo motivo, secondo molti decisori halachici ashkenaziti successivi (per esempio il Chatam Sofer, vedi responso a Y.D. 39) una persona scrupolosa nell’osservanza delle mitzvot dovrebbe mangiare solo carne glatt kosher. Si noti che chi ha accettato la restrizione di mangiare carne glatt kosher non può mangiare carne semplicemente kosher. Da qui deriva la distinzione, nel mondo ashkenazita, tra carne casher o kosher (secondo la pronuncia ashkenazita), ovvero il livello minimo di casherut, e il glatt kosher, ovvero un livello superiore e ottimale di casherut, consumata dagli “scrupolosi”. Da dove viene il termine chalaq Bet Yosef? La distinzione tra un livello normale e un livello superiore di casherut non esiste invece nel mondo sefardita. Il livello è unico e non è prevista la facilitazione del Remà di consumare carne senza che il polmone sia liscio. Spiega Rav Ovadià Yosef shlit’a che fino a 150 anni fa a Yerushalaim non vi erano praticamente ashkenaziti, ma solo sefarditi e la carne veniva venduta semplicemente come carne casher anche se era necessario che il polmone fosse liscio come prescrive lo Shulchan Aruch. Con l’avvento degli ashkenaziti, i quali come abbiamo visto sono più permissivi nella shechità e nel controllo degli animali rispetto ai sefarditi, si creò di fatto una situazione poco chiara in cui veniva venduta carne con la denominazione casher, che pur essendo kosher per gli ashkenaziti, non era considerata casher per i sefarditi. -Ogni timbro casher è veramente casher? Oltre al polmone liscio vi sono altri aspetti relativi alla shechità e al controllo degli animali per i quali il Bet Yosef è più permissivo rispetto al Remà. Nella pratica ciò vuol dire che, al di là di quanto detto finora, carne che sia considerata casher secondo il Bet Yosef può essere considerata non kosher dal Remà. E viceversa carne kosher per il Remà può essere considerata non casher dal Bet Yosef. In alcuni macelli viene certificata come casher / kosher della carne che sia considerata tale anche solo dal Bet Yosef o dal Remà. Dato che non si può scegliere una facilitazione di un decisore halachico e allo stesso tempo quella di un altro, vuol dire che se un sefardita e un ashkenazita mangiano la carne con lo stesso timbro molto probabilmente uno dei due sta mangiando carne non casher. Tale carne è quindi di dubbia casherut. (tratto dal blog di michael chogoi) 51 כה’ חשון תשע”ד 29 Ottobre 2013 Martedì Momenti di Musar יום שלשי LE VIRTU’ DI RACHEL IMMENU La virtù della cedevolezza che abbiamo studiato da Rachel Immenu (vedi il 24 e il 12 cheshvan) è l’origine della presenza della pace in questo mondo. Il gradino successivo a questa virtù è la qualità della generosità. All’inizio la persona rinuncia a quello che gli sembra gli spetti, cedendolo al prossimo e poi potrà addirittura accordare all’altro ciò che già gli appartiene. Scrive il famoso libro di mussar ebraico “Orchot Zadikim”, che la virtù della generosità è una tra le più pregevoli che esistono e grazie ad essa la persona può arrivare alle più alte sfere in questo mondo ed in quello avvenire, come scritto nei Proverbi 18;17: “L’offerta dell’uomo gli darà grandiosità, e dinnanzi ai grandi lo porranno”. Esistono tre tipi di generosità: 1) Chi da dei beni propri a beneficio degli altri. 2) Colui che dispone il proprio corpo per il terzo. 3) Colui che offre la sua saggezza a servizio della gente. Ed ora le allargheremo una ad una. Dare dei propri beni: il significato è donare zedakà o altri beni a chi ne ha bisogno, oppure dare in prestito qualsiasi tipo di bene personale (chiaramente senza qualsiasi tornaconto). Dare il proprio corpo a servizio del terzo: si intende di aiutare manualmente il compagno bisognevole. Mettere la propria sapienza a servizio del prossimo: vale a dire insegnare per esempio Torà a chi è meno istruito di lui, o indirizzare il compagno in un mestiere ecc., invece di riservare la propria conoscenza esclusivamente per i propri interessi e profitti. Ognuno di questi tre tipi di persona è considerata dalla Torà e dalla gente generosa e di buon cuore. Tutti i tre tipi di generosità li troviamo infatti, presso Avraam Avinu: In occasione della cattura di Lot, dove combatte contro tutti quei re mettendo in rischio la propria vita per metterlo in salvo. Oppure vediamo la sua benevolenza nel offrire vitto e alloggio in Beer Shevà a tutti coloro che lo seguivano. E infine dispensava a tutti la sua conoscenza di D-o avvicinandoli sotto le “Ali della Shechinà” come scritto nella parashà di Lech Lechà: “E le persone che fece (che convertì) in Charan”. Da tutto questo dobbiamo imparare un pilastro fondamentale del nostro ebraismo: tutto quello che Hashem ci da non ce lo da esclusivamente per noi stessi, bensì per dividerlo con il nostro compagno ed il nostro popolo. Facendo questo, beneficeremo di questo mondo e del mondo avvenire, perchè solamente quello che si è dato agli altri ci porteremo dietro dopo la dipartita da questo mondo...! Che Hashem ci dia il merito di capire appieno questa realtà! (tradotto da una sichà di Rav Yakov Exter) 52 כה’ חשון תשע”ד 29 Ottobre 2013 Martedì Momenti di Halakhà יום שלשי COS’E CASHER, GLATT, CHALAQ E MEHADRIN? COSA VUOL DIRE MEHADRIN? Le certificazioni glatt kosher e chalaq Bet Yosef sono note, in Eretz Israel, ma anche all’estero, con il termine di “mehadrin” in contrapposizione alle certificazioni semplicemente casher che come abbiamo visto non sono necessariamente accettabili da tutti. Anche se il concetto talmudico di “mehadrin” ha una connotazione diversa, è invalso l’uso di applicarlo alla casherut. Rispetto ai termini glatt e chalaq, tale termine ha il pregio di indicare un livello superiore di casherut non solo per quanto riguarda il polmone, ma anche il controllo delle altre parti dell’animale o il tipo di schechità. Il termine “mehadrin” viene utilizzato per certificare anche altri prodotti quali polli, latte e formaggi i quali hanno un livello di casherut superiore (per esempio chalav israel). Alcune certificazioni “mehadrin” includono sia le restrizioni valide per gli ashkenaziti che quelle valide per i sefarditi, in modo che esse possano essere consumate da tutti gli ebrei indipendentemente dalla loro origine o livello di osservanza. In alcuni casi viene usato anche il termine glatt o chalaq per indicare un livello di casherut superiore di tali prodotti. Si tratta senz’altro di un uso improprio del termine, ma così è l’uso. In Eretz Israel il rabbinato centrale produce una certificazione standard (casher / kosher) e una “mehadrin”. Vi sono inoltre un numero elevato di certificazioni con diversi standard di casherut. Ce n’è per tutti i gusti anche se alle volte può essere difficile districarsi. E in Italia? Stimati rabbini italiani ci hanno spiegato che gli ebrei di rito italiano, che non sono nè sefarditi nè ashkenaziti, seguono l’opinione del Bet Yosef salvo i rari casi in cui vi siano autentici minhaghim diversi Conclusioni Da 150 anni la classificazione della carne casher include i seguenti termini: il termine casher (o kosher) che è permesso solo per gli ashkenaziti purchè si verifichi con un rabbino competente che si tratti effettivamente di carne kosher e non di dubbia casherut; - il termine glatt kosher (spesso chiamato semplicemente “mehadrin”) che indica il livello preferito di casherut per gli ashkenaziti ed è richiesto come standard dagli ashkenaziti “scrupolosi”; - il termine chalaq Bet Yosef (anche questo viene spesso chiamato “mehadrin”) che è il livello base di casherut richiesto per i sefarditi e, salvo vi siano minhaghim diversi è richiesto anche per gli ebrei di rito italiano. Se l’analisi fin qui fatta è corretta, se si mettono insieme ebrei ashkenaziti “scrupolosi”, ebrei sefarditi e ebrei di rito italiano, ne risulta che per la stragrande maggioranza degli ebrei che vivono in Italia sarebbe corretto mangiare carne glatt / chalaq. Nel caso in cui i costi siano rilevanti, è compito di un poseq stabilire se in Italia è possibile essere flessibili e in che misura. (tratto dal blog di michael chogoi) 53 כו’ חשון תשע”ד 30 Ottobre 2013 Mercoledì Momenti di Musar יום רביעי Kohelet Delle volte vediamo una persona lontana dal compimento delle Mizvot, senza Shabat, senza Tefillin, senza pudore e senza Berachot. Quando gli chiediamo: “Come va?”, lui risponde con grande tranquillità: “Baruch Ashem!, tutto benissimo!”. E noi ci chiediamo dentro di noi come e’ possibile che una persona del genere si possa sentire a posto con Ashem? Veramente la loro vita va “bene”?? Viene Shelomo Amelech nella suo opera “Kohelet” e ci dice: non vi fate ingannare da ciò che vedete con i vostri occhi! Quando vediamo i malvagi in tranquillità e la loro strada apparentemente dritta, dietro si nascondono non pochi problemi. Dice il profeta: Kadosh Baruchu da la possibilità ai malvagi di vivere una vita serena in questo mondo per punirli nel mondo futuro. In altre parole: se una persona vede che vive una vita serena e tranquilla riuscendo in tutto, anche se le sue azioni sono lontane dalla Torah e dalle Mizvot, non e’ un buon segno! Anzi, bisogna sapere che tutte le sofferenze che arrivano ad ognuno di noi quotidianamente, anche le piccole cose, come la rottura di un bicchiere ecc, sono un buon segno! A chi va tutto bene e liscio senza problemi, deve iniziare a preoccuparsi, come dice la Ghemara’: “chi passa 40 giorni senza subire sofferenze ha già ricevuto la sua ricompensa in questo mondo”. Tratto da “5 dakot Torah baiom” 54 כו’ חשון תשע”ד 30 Ottobre 2013 Mercoledì Momenti di Halakhà יום רביעי Regole di carne e latte Nel1 Beth Ha-Midrash di Rabbì Ishmael fu insegnato: “Nella Torà è scritto per tre volte: “Non cucinerai un giovane animale (bovino, ovino o caprino) nel latte di sua madre” (Shemot 23:19, 34:26; Devarim 14:25). La prima volta è scritto per insegnarti che è proibito mangiarli insieme, la seconda volta per insegnarti che è proibito goderne del loro miscuglio, la terza volta per insegnarti che è proibito cucinarli insieme”. Domanda: Nel passo di Talmud precedente abbiamo studiato che è proibito cucinare carne e latte insieme. Dobbiamo quindi porgerci una domanda: dal momento che nella lavatrice i panni vengono a contatto tra loro con l’acqua calda2, è forse proibito fare il bucato ai tovaglioli sporchi di carne assieme ai tovaglioli sporchi di latte? Risposta: E’ permesso3 lavare in lavatrice i tovaglioli sporchi di carne assieme ai tovaglioli sporchi latte, e ciò per due motivi4: a)Dal momento che viene utilizzato il detersivo, i resti di carne e di latte che si trovano sui tovaglioli non sono più considerati cibo. b)Nel nostro caso non siamo interessati alla cottura della carne e del latte insieme, al contrario il nostro scopo è quello di eliminarli. Infatti dal momento che vogliamo eliminarli non è considerata cottura. Note: 1 Tb trattato di Chulin 115b; Tur, Iorè Deà 87:1. 2 Il lavaggio con acqua calda e’ pari alla cottura. 3 Yalkut Yosef, volume: “Iussur ve-eter” (parte terza), pag.179. 4 Shulchan Aruch Mevoar, edizione Oz ve-adar, pag.2 dell’Ozar haShut. 55 כז’ חשון תשע”ד 31 Ottobre 2013 Giovedì Momenti di Musar יום חמישי La Birchat Amazon e la Parnasa’ La maggior parte della vita delle persone è occupata dal portare a casa la parnasà (sostentamento economico). Ci sono periodi in cui la parnasa’ e’ buona, momenti in cui e’ un po’ meno buona, e momenti in cui e’ in crisi totale. Questa e’ la vita! Quanto sareste disposti a pagare se vi dessimo la soluzione a questo problema, dandovi la sicurezza di avere parnasa’ con abbondanza e con tranquillità per tutta la vostra vita?? Sicuramente molto, ma noi ve la svegliamo gratis! E’ scritto nel “Sefer Achinuch”: “colui che sta attento nella Birchat Amazon, avra’ il suo sostentamento con onore per tutta la sua vita”. Che vuol dire stare attenti? 1) Recitarla con concentrazione ad alta voce. 2)Non distraendoci durante la recitazione. E chi vuole non solo essere apposto con la parnasa’ ma vuole anche arricchirsi, la reciti con gioia! Ora, chi sta attento, può veramente rendersi conto della forza dello “yezer hara”. Come? Iniziate a pregare la Birchat Amazon con concentrazione e con gioia e potrete notare come, appena iniziato, ci saranno avvenimenti che tenteranno di distrarvi dalla Birchat: il telefono che squilla, il citofono che suona, il bambino che vuole qualcosa ecc. Perché succede questo? Perché lo “yezer ara’” sa molto bene il valore di questa Beracha’ e tenta in ogni modo di impedirci di compierla nei migliore dei modi. Uno dei grandi rabbini della nostra generazione disse ai suoi alunni: “tutta la ricchezza che vedete intorno a me l’ho acquistata solo ed esclusivamente per aver sempre recitato la Birchat Amazon con concentrazione e con gioia! Tratto da “5 dakot shel Torah baiom” 56 כז’ חשון תשע”ד 31 Ottobre 2013 Giovedì Momenti di Halakhà יום חמישי Regole di carne e latte Nella Mishnà di ieri abbiamo studiato che è proibito cucinare carne e latte insieme. Inoltre abbiamo studiato in un’altra Mishnà1 che se carne e latte sono stati cotti insieme devono essere eliminati dal mondo. In che modo? Nella Mishnà troviamo due opinioni2: I Maestri z”l sostengono che devono essere sepolti e non bruciati, mentre Rabbi Yeudà sostiene che possono essere o bruciati o sepolti. Il motivo per cui devono essere eliminati è affinchè non ne abbia godimento per sbaglio e affinchè non li mangi per sbaglio3. Domanda: Secondo l’Halachà dobbiamo seguire l’opinione dei Maestri z”l, o l’opinione di Rabbi Yehuda? Risposta: Il Rambam4 è della stessa opinione dei Maestri z”l, che sostengono che se carne e latte sono stati cotti insieme devono essere sepolti e non bruciati. Infatti non possono essere bruciati poichè la Torà proibisce di avere godimento persino dalla polvere che si ricava dalla loro bruciatura. Così anche nel libro “Issur ve-eter” è scritto5: “Carne e latte che sono stati cotti insieme devono essere sepolti e non possono essere nemmeno regalati ad un non ebreo6 (vedi nella nota)”. La sepoltura può essere effettuata anche gettandoli nel water7. Note: 1 Trattato di Temurà cap. 7, Mishna 4. 2 Trattato di Temurà, cap.7, mishna 6. 3 Minchat Yakov, Solet le-mincha, klal 85, regola n.3. 4 Mishnè Torà, Maachalòt Assuròt, 9:1. 5 pag.88, del Rav Iztchak Iosef, autore della famosa opera Yalkut Yosef, e attuale Rabbino capo d’Israele. 6 Dal momento che in questo modo ne traggo godimento che il non ebreo mi diventa debitore di un favore, ed e’ proibito avere un vantaggio da il miscuglio di carne e latte. 7 Issur ve-eter (Rav Iztchak Iosef). 57 כח’ חשון תשע”ד 1 Novembre 2013 Venerdì Momenti di Musar יום שישי Parashat Toledot Lo Tzaddik Rabbi Meirl di Primishlan disse una volta ai propri discepoli: “Il mio maestro Rabbi Chaijm di Chernovitz, autore del libro “Beer Maiym Chaijm”, aveva un figlio che purtroppo non percorreva più la retta via. Ciò nonostante, Rabbi Chaijm non allontanò questo suo figlio da sé, ed anzi, anche se egli si era allontanato dal rispetto della Torah e delle mitzvot, comunque si preoccupava di provvedere a tutte le sue necessità, al pari di quanto faceva per gli altri suoi figli. A tal proposito, Rabbi Chaijm era solito dire, dopo aver alzato le mani al cielo, “Padrone del mondo! Sia la Tua volontà di rivolgerti nei confronti dei Tuoi figli sempre con l’attributo della misericordia, così come io, nel mio piccolo, faccio con mio figlio: anche io ho un figlio che si è allontanato dalla retta via, ma nei suoi riguardi mostro misericordia garantendogli tutto ciò che necessita”. Rabbi Meirl di Primishlan si interruppe un istante, e dopo disse: “Secondo la mia umile opinione, nella Torah vi una esplicita allusione all’atteggiamento tenuto da Rabbi Chaijm nei confronti del proprio figlio ribelle laddove è scritto che: “Itzchak prediligeva Esav perché gli procurava selvaggina di mangiare” (Bereshit 25, 28); il nostro patriarca Itzchak vide infatti, grazie all’ispirazione divina da cui era animato, che in futuro HaQadosh Baruch Hu – secondo quanto è insegnato nel Talmud (TB Shabbat 89b) – si sarebbe rivolto nei suoi confronti con tono di rimprovero, rappresentandogli che i suoi figli, il popolo d’Israele, avevano peccato, ed egli avrebbe dovuto trovare il modo di difendere i propri discendenti innanzi ad Hashem. Per questa ragione, Itzchak antepose la “cura” alla “malattia”, come è scritto: “Itzchak prediligeva Esav perché gli procurava selvaggina di mangiare” (Bereshit 25, 28); il nostro patriarca dimostrò infatti amore verso il proprio malvagio figlio Esav, cosicché in futuro avrebbe potuto avere un idoneo strumento di difesa del popolo ebraico: “Anche io ho amato mio figlio, e ciò nonostante il fatto che egli fosse il malvagio Esav…””. 58 כח’ חשון תשע”ד 1 Novembre 2013 Venerdì Momenti di Halakhà יום שישי REGOLE DI SHABBAT MELABEN – CANDEGGIARE TEST DI RIPASSO E’ risaputo che il limud atTorà, oltre al valore dello studio per se se stesso, obbliga a coloro che ci si occupano di ripassare le nozioni apprese. E questo vale specialmente per lo studio della alachà, in specie quella riguardante lo Shabbat, il quale la persona è obbligata a conoscerla minuziosamente per non inciampare in gravi divieti della Torà. (vedi nell’opuscolo “Momenti di Torà” di Tamuz nel mussar 18 19 22). Quindi riporteremo qui delle domande riguardanti l’ultimo argomento studiato sulle melachot di shabbat, quella di Melaben. Lasceremo inoltre uno spazio vuoto per dare la possibilità ai lettori di rispondere e scrivere la risposta (ovviamente non di Shabbat) riandando a ripassare le pagine di riferimento. DOMANDE 1) Da quale tipo di lavoro effettuato nel Santuario si impara il divieto di candeggiare di Shabbat?............................................................................. …..........................................................(risposta vedi 24 elul) 2) E’ permesso immergere le lenti a contatto di Shabbat nel loro liquido?............................................................................ …..........................................................(risposta vedi 25 elul) 3) Come si lavano le scarpe di pelle sporche da fango o che si sono impolverate? Si può usare per farlo il lucidante?.............. ….....................................................(risposta vedi 24 25 elul) 4) Se mi è caduto il cappotto per terra impolverandosi lo si può pulire sbattendolo?.......................... …..........................................................(risposta vedi 1 tishrì) 5) Come si possono fare i piatti Shabbat?................................................................................. …..........................................................(risposta vedi 3 tishrì) 6) Si possono utilizzare le salviette umidificate o bagnare della carta per pulire un neonato o casi simili?........................ …...................................(risposta vedi 3 tishri e 14 cheshvan) 7) Si può togliere il bucato di Shabbat dallo stendi panni?....... …..................................................(vedi risposta 21 cheshvan) RUSCHETTE 4 UOVA 3 TAZZINE DI OLIO D’OLIVA 3 TAZZINE DI ZUCCHERO MEZZA TAZZINA D’ACQUA MEZZA TAZZINA DI FIORI D’ARANCIO UNA BUSTINA DI LIEVITO DI DOLCI FARINA QUANTO BASTA COTTURA 45 MIN 59 כט’ חשון תשע”ד 2 Novembre 2013 Sabato Momenti di Musar יום שבת Parashat Toledot “Itzchak pregò l’Eterno dirimpetto a sua moglie, perché ella era sterile” (Bereshit 25, 21). Per quale ragione, nel versetto appena citato, la Torah antepone il racconto delle preghiere di Itzchak e Rivkà alla motivazione per cui essi supplicavano Hashem, e cioè la sterilità di Rivkà? Il noto commentatore e cabalista sefardita Rabbenu Bechaye ben Asher spiega, in proposito, che il motivo per cui la Torah ci narra prima delle preghiere di Itzchak e Rivkà è che, così facendo, ci vuole far comprendere quale sia la cosa “principale” del racconto (la preghiera) e quale, invece, quella “accessoria” (la sterilità di Rivkà). E’ stato infatti insegnato nel Midrash Tanchuma: “Per quale ragione le matriarche erano tutte sterili? Poiché HaQadosh Baruch Hu desiderava intensamente le loro preghiere. Disse infatti D-o Benedetto: “[Le matriarche, n.d.t.] sono ricche e belle, se io dò loro subito dei figli esse non pregheranno più di fronte a me””. Da qui si impara, quindi, che la sterilità non era affatto la ragione che indusse Itzchak e Rivkà a pregare, essendo al contrario il grande desiderio di Hashem di ricevere le preghiere delle matriarche ad aver fatto sì che esse siano state inizialmente rese sterili. Alla luce di questa spiegazione, risulta quindi comprensibile la ragione per cui la Torah ha parlato prima delle preghiere di Itzchak e Rivkà, oggetto “principale” del racconto, e solo in seguito della sterilità di Rivkà. 60 כט’ חשון תשע”ד 2 Novembre 2013 Sabato Momenti di Halakhà יום שבת REGOLE DI SHABBAT DOMANDA. Posso usare l’orologio di Shabbat? RISPOSTA. Vi sono vari aspetti da considerare. Orologio manuale. Non è permesso caricare un orologio a carica manuale, sia nel caso in cui sia fermo che nel caso in cui sia in movimento. Si tratta di una trasgressione di tikkun kelì (aggiustare un utensile) che fa parte della melakhà di makà be-patish (“il colpo finale di martello”). È quindi buona norma caricare l’orologio subito prima dell’inizio dello Shabbat. È invece permesso regolare l’ora di Shabbat, purchè l’orologio non smetta di funzionare nemmeno per un istante (il mio si ferma). Se l’orologio è ancora in movimento è permesso caricarlo per un malato che deve mangiare ad orari precisi (e non ci sia un non ebreo che possa farlo al suo posto). C’è chi permette di caricarlo (sempre nel caso in cui sia ancora in movimento e non ci sia un non ebreo che possa farlo al suo posto) per compiere una mitzvà (come ad esempio per sapere quando andare al bet ha-kenesset). Orologio digitale e cellulare. Inoltre di Shabbat non è permesso regolare l’ora o mettere la sveglia ad un orologio digitale dato che non è permesso premere nessun pulsante di un apparecchio elettrico. Se l’orologio non funziona e se ne ha bisogno per un malato è permesso chiedere ad un non ebreo di cambiare la batteria e di regolarlo. Se si è messa la sveglia ad un orologio digitale prima di Shabbat, non si può spegnere la sveglia di Shabbat. Se si è messa la sveglia su un telefonino cellulare e lo si è spento prima di Shabbat, il telefonino non è muktze ed è permesso prenderlo e portarlo in un altra camera. Sh’mirat Shabbat KeIlkhata’ (28, 25, 26, 29 e 34 n. ed.). Trasportare senza eruv. Inoltre, è possibile uscire di casa in un luogo in cui non ci sia un eruv con un orologio d’oro, dato che nel caso in cui smettesse di funzionare manterrebbe la sua funzione ornamentale e non lo si toglierebbe di dosso. Non è invece permesso uscire di casa con un orologio normale. Ma se qualcuno lo fa, non si obietta. (alachot tratte dal blog di Michael Chogoi) 61 ל’ חשון תשע”ד 3 Novembre 2013 Domenica Momenti di Musar יום ראשון SOLDI E TORÀ Quando D-o promise ad Avraham Avinu che i suoi discendenti avrebbero ricevuto la terra d’Israele, predisse anche l’esilio e l’uscita dall’Egitto. Ma assieme a questi due cardini della nostra religione, nella profezia viene menzionato anche un altro particolare, ovvero che “usciranno [dall’Egitto] con grandi ricchezze” (Bereshit / Genesi 15, 14). In questi versetti nei quali viene riassunto il destino e la storia del popolo d’Israele, il riferimento al poco prosaico danaro sembra un dettaglio irrilevante, se non addirittura fuori luogo. Quattro secoli più tardi, prima di uscire di gran fretta dall’Egitto, Moshè Rabbenu comandò al popolo d’Israele di “prendere dagli egiziani oggetti d’argento, d’oro e vestiti. [ ] E svuotarono l’Egitto.” (Shemot / Esodo 12; 3436). La profezia viene dunque rispettata. Ma cosa rappresenta questo “prelievo”? Senza dubbio si tratta del rimborso legittimo di 116 anni di schiavitù e sfruttamento non pagati (di cui gli ultimi 86 di dura oppressione). Ed è stato anche un modo molto efficace per attirare gli egiziani a rincorrere il popolo d’Israele per riprendersi indietro i “propri” schiavi e le “proprie” richezze. E finire così con l’annegare nel Mar Rosso, come previsto dalla profezia data ad Avraham Avinu (“e giudicherò il popolo che li opprimerà”). Queste spiegazioni non rispondono però alla nostra domanda iniziale: nella profezia di Avraham Avinu, nella quale in poche parole viene encapsulata la sublime storia del popolo d’Israele, perchè menzionare anche il “vil danaro”? Come tutti i beni, anche i soldi possono essere utilizzati sia in modo positivo che negativo. Ma a differenza degli altri beni, i soldi hanno un fascino particolare: gli uomini sembrano ossessionati dall’ammassare denaro senza un fine ulteriore al denaro stesso. Il midrash dice infatti che “chi ha cento monete d’oro, ne vuole duecento” (Midrash Kohelet Rabbà 1, 34). E Shlomo Ha-Melech (Re Salomone) spiega la ragione di tale comportamento: “chi ama i soldi, non è soddisfatto dai soldi” (Kohelet / Ecclesiaste 5, 9). CONTINUA A FIANCO 62 ל’ חשון תשע”ד 3 Novembre 2013 Il midrash, riferendosi al versetto del Kohelet, compara in modo sorprendente i soldi alla Torà e alle mitzvot, anche se nella scala materiale-spiriDomenica tuale essi stanno agli antipodi l’uno dell’altro (Rashi in loco e Vaikrà 22, 1-2). Come si spiega questo paragone? Momenti di Halakhà יום ראשון Abbiamo visto che i soldi costituiscono un desiderio umano che trascende i limiti del finito. E tale desiderio insoddisfabile era stato sepolto dalla lunga e dura schiavitù egiziana. Prova ne è che durante l’oppressione egiziana, la preghiera del popolo d’Israele era solo quella di interrompere la durezza della schiavitù, ma nulla di più (Shemot / Esodo 2, 23 e Or HaChaim in loco). La Torà e i soldi hanno in comune questo aspetto. “Chi ama i soldi, non è soddisfatto dai soldi e chi ama la Torà non è soddisfatto dalla Torà” (Vaikrà Rabbà 22, 1). La parola kesef (argento, denaro) ha la stessa radice della parola kisufim (desiderio, ambizione). Chi studia la Torà vuole studiarne sempre di più. Chi osserva una mitzvà vuole subito compierne un’altra. Si può quindi dare una risposta alla nostra domanda iniziale. I soldi erano il mezzo necessario per risvegliare nel popolo ebraico il desiderio per qualcosa che trascendesse le proprie vite. L’obiettivo non erano i soldi stessi, ma era quello di riaccendere la passione necessaria per ricevere la Torà. Una volta ricreato tale desiderio, era possibile utilizzarlo poi nel modo corretto, ovvero per lo studio e la pratica della Torà, culmine del processo di redenzione dall’Egitto. Si comprende quindi la funzione della ricchezza nell’uscita dall’Egitto e nella profezia data ad Avraham Avinu: di risvegliare nell’uomo il desiderio e la pulsione verso l’Eterno. Il versetto dice “la mia anima desidera (nichsefà) i giardini di D-o” (Tehillim / Salmi 84, 3). Bisogna però fare attenzione perchè la parola nichsefà può anche voler dire “tramutata in soldi”. Se il desiderio per i soldi prende il sopravvento, si perde per strada il “desiderio per i giardini di D-o”. Ne deriva che la passione per i soldi che contraddistingue tanti individui, oggi come allora, non è un “male”, ma è anzi un segno di chi ambisce a grandezza. Si tratta però di un utilizzo improprio dato che sarebbe più opportuno indirizzare tale tratto caratteriale verso la sua funzione originaria che è quella della crescita spirituale attraverso lo studio e la pratica della Torà, la nostra vera ed eterna ricchezza. (tratto dal blog di michael chogoi) 63 Non lasciare che una porta chiusa ti impedisca di capire la storia 13° Seminario Arachim - Bracciano Venerdì 1 - Domenica 3 NOVEMBRE Lago di Bracciano Presso la meravigliosa oasi dell'Alfredo Hotel rav Aharon Levi Cosa ci r iserva il futuro Perché cose brutte accadono a persone buone? Qual è lo scopo dell'anima in questo mondo? rav Aharon Braha Avraham Avinu – Solo contro una Società Malata Yosef HaTzaddiq – La forza di andare avanti David HaMelekh – Affrontare i problemi della vita e tante altre incredibili conferenze di vario genere Mini-club per ragazzi e bambini di tutte le età durante il seminario INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI www.arachim.org Lidia Calò 347.6808950 | 06.87450209/10 Uff.Arachim 06.89970345 | Huani Mimun 393.3327895 [email protected]