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ottobre 2012 ANNO 9 N 9
periodico dei terremotati o di resistenza umana
€ 1,00
Foto di Pino Quattrone
“Noi siamo i proprietari di questo Paese
e i politici sono i nostri dipendenti”
Clint Eastwood
il mio paese
Una casa
due case
tre case
bianche, rosa, gialle…
Come era bello
il mio paese!
Una tenda
due tende
tre tende…
tutte azzurre.
Ora il mio paese
è qui.
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Direttore responsabile
Antonio Di Lalla
Tel/fax 0874732749
Redazione
Dario Carlone
Domenico D’Adamo
Annamaria Mastropietro
Maria Grazia Paduano
Segreteria
Marialucia Carlone
Classe3^ - Bonefro, 2002
Web master
Pino Di Lalla
www.lafonte2004.it
la casa che sogno
Sono Martina e ho 9 anni. Abito nel villaggio
Toscana; qualcuno mi
chiama la bambina
del terremoto perché sto qui da
quando sono
nata e conosco poco Bonefro, il mio paese. La mia casetta è di legno. Quando ero
piccola mi sembrava una casetta da favola, come quella dei tre porcellini,
ma adesso non mi piace più, è vecchia, stretta e rotta e ci possono entrare
anche i topi. Io vorrei una casa vera, di mattoni, tutta colorata, con i muri
decorati e le tendine fucsia. Chissà quanto dovrò aspettare ancora per
avere la casa che sogno!
E-mail
[email protected]
Quaderno n. 88
87
Chiuso in tipografia il
26/08/12
23/09/12
Stampato da
Grafiche Sales s.r.l.
via S. Marco zona cip.
71016 S. Severo (FG)
Autorizzazione Tribunale di
Larino n. 6/2004
Colombo Martina classe3^ - Bonefro, 2012
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86040 Ripabottoni (CB)
olive nel frantoio
Antonio Di Lalla
Ottobre è il mese in cui i contadini raccolgono le olive per portarle nei frantoi. Noi, a differenza del prezioso frutto,
non siamo disposti a lasciarci maciullare
da una classe politica irresponsabile che si
nutre dei nostri sacrifici e perciò vorremmo
mettere in chiaro alcune cose perché cambi
questa politica.
Purtroppo, al solo sentire la parola politica, molti arricciano il naso e cercano di cambiare discorso perché schifati dal
comportamento di gran parte delle persone
scelte per governare. Si confonde con facilità, grazie all’agire di molti politicanti, la
politica che è e resta un’arte nobile e necessaria per amministrare la cosa pubblica,
con i partiti che danno sempre più chiari
segni di occupazione di tutto ciò per cui
sono stati scelti ad amministrare. Proprio i
partiti, per non farsi rompere le uova nel
cestello, hanno coniato il termine antipolitica appioppandolo a tutti coloro che, rifiutando i loro giochi, non esitano a denunciare lo scempio che stanno producendo. Ma
l’antipolitica, diciamolo senza giri di parole, non esiste, perché ogni scelta, anche la
più stravagante, è sempre politica in quanto
riguarda la collettività.
L’intramontabile e controverso
Clint Eastwood, repubblicano statunitense,
ha detto una cosa tanto vera quanto elementare: “Noi siamo i proprietari di questo Paese e i politici sono i nostri dipendenti”. Se tutti ci convincessimo veramente
della bontà di quest’affermazione, sarebbe
ancora possibile riprendere in mano la
situazione, anche se i partiti agiscono come
se fosse vero il contrario e cercano di calpestare, impunemente, i nostri diritti. Noi,
pur nullatenenti, ci sentiamo ancora proprietari del Paese e riteniamo che sia ancora possibile fare qualcosa e perciò sensibilizziamo, lottiamo, denunciamo le nefandezze di quanti agiscono con la logica di
chi si è convinto che è vero il contrario. Se
spesso riescono a fare i proprietari del nostro Paese e non i nostri dipendenti è solo
perché noi abdichiamo alle nostre responsabilità: “Il problema più acuto non sta nel
fatto che un capo politico presenti niente
più che la maschera (cioè sostituisce il
vero col falso), - annota Roberto Mancini sta nel fatto che milioni di individui gli
concedono il loro consenso persino al di là
della maschera stessa, ossia anche quando
il male perpetrato si vede a occhio nudo”.
Per dirla con linguaggio da cantina: nella
passatella il sotto riesce a farla da padrone
solo quando quest’ultimo si fa raggirare e
fregare.
Con i referendum, non dimentichiamolo, abbiamo dimostrato di essere
noi i padroni del vapore, ma poi, come
Cincinnato, molti, troppi, sono tornati al
loro orticello consentendo ai professionisti
della politica di accaparrarsi arbitrariamente spazi non loro. È necessario tornare in
piazza, prima che sia troppo tardi, per rimandarli definitivamente a casa e lavorare
seriamente per restituire dignità alla politica con persone nuove, motivate e non
compromesse. Non è possibile dare l’anima per la difesa dei beni comuni come
l’acqua, l’ambiente, ecc. e poi disinteressarsi di chi prendendoli in custodia ne fa
l’uso che crede. Un gregge non può essere
custodito dai lupi! Da soli questi soggetti
non se ne vanno. Sempre più spesso vengono pescati con le mani nella marmellata
- dalla Lombardia alla Sicilia, dal Lazio al
Molise, per citare solo qualche caso ecla-
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tante - e non
solo non se ne
vergognano ma, se non reagiamo al più
presto e con determinazione, non passerà
tempo che saremo accusati e ritenuti colpevoli di aver disturbato le loro malefatte,
convinti come sono che possono permettersi di tutto. Ci prendono in giro illudendosi di poter contare sulla nostra dabbenaggine.
A livello nazionale parlano di
sacrifici necessari e non si sono ridotti i
loro lauti introiti; la gente è alla fame, le
imprese chiudono e il loro unico sforzo è
salvaguardare poltrona e privilegi; parlano,
urlano, litigano nel loro teatrino sempre più
noioso, ma la legge elettorale non la cambiano perché, restituendoci il diritto di
scegliere i nostri dipendenti, perderebbero
il controllo della situazione. Per non parlare del Molise, regione totalmente sgovernata da un consiglio illegittimo che, anziché far indire nuove elezioni, crede di incantarci con proposte che non hanno alcun
fondamento. L’unica cosa certa è che fervono giochetti sottobanco e cambi di livrea
per tutelare loro stessi, mentre continua ad
essere speso vanamente e dissennatamente
denaro pubblico che anziché assicurare il
futuro ai lavoratori rimpingua le casse solo
dei loro pochi amici. Il fu commissario per
la ricostruzione Iorio è stato indiziato di
reato per l’ampliamento del numero dei
paesi colpiti dal terremoto, ma chi aveva
mai protestato a destra e a manca (sinistra
sarebbe troppo impegnativo) contro lo
sperpero e il danno arrecato ai terremotati?
Siamo l’immensa maggioranza,
siamo il popolo, abbiamo ragione e non
vogliamo che proseguano impunemente.
Ma, poiché le idee camminano sulle gambe delle persone, è necessario selezionare
accuratamente una nuova classe politica
che non potrà nascere senza l’impegno
attivo, il coinvolgimento convinto, il lavoro appassionato di ognuno di noi. Derogare
su questo significa che abbiamo deciso di
finire come olive nel frantoio per allietare
gli ignobili festini dei nostri dipendenti
assurti a proprietari del Paese. Noi non ci
stiamo. ☺
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spiritualità
la brocca rotta
Michele Tartaglia
Sono ormai passati venti anni
da quando nel panorama politico italiano
è giunto al culmine un processo di erosione della credibilità della politica. La
storia seguente è stata fatta di effimere
speranze e di uomini della provvidenza
che si sono rivelati solo il prodotto di
scarto dell’abbuffata precedente, mettendo in evidenza il vuoto pauroso di idee
contro il quale solo isolate voci profetiche come Carlo Maria Martini hanno
posto un tentativo di argine, mentre altri
suoi “illustri” colleghi continuavano a
martellare sulle fondamenta della società
con inciuci e pretese di essere guide di
ciechi, rivelatesi altrettanto cieche e poco lungimiranti perché per nulla profetiche. La fine di una lunga stagione politica è stata annunciata in modo impressionante da un uomo fatto prigioniero dai
figli malati di un’ideologia: sto parlando
di Aldo Moro, che dalla sua prigione
prefigurò la fine del suo partito e di quel
sistema di potere bigotto.
Mi è facile associare la figura
di Moro al profeta Geremia, anch’egli
pratico di imprigionamenti e persecuzioni, il quale, nonostante i rischi che correva, ha deciso di non tacere e quindi di
denunciare anche con gesti simbolici,
l’ingiustizia che si consumava nella società in cui viveva, annunciando la fine
di quel mondo. Uno dei gesti compiuti
dal profeta è quello della rottura di una
brocca (Ger 19), che simboleggiava la
fine del regno e il dramma dell’esilio. Il
senso di quel gesto è che quell’oggetto
rotto non potrà mai essere ricostruito per
essere utile a contenere acqua. Sarà lo
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stesso profeta, tuttavia, ad annunciare
anche la speranza, attraverso l’immagine
di un germoglio (23,5-6) e una nuova
alleanza, basata non su una legge tradita,
ma su una convinzione profonda, generata da Dio stesso (31,31-34). L’immagine della brocca frantumata è molto
adatta anche per noi, per descrivere la
situazione di totale caos in quel che resta
della politica ai nostri giorni, sia in Italia
che in un’Europa che non riesce a completare un’unificazione politica essenziale per guidare il “drago” dell’economia.
Se guardiamo alla nostra situazione nazionale, è spaventoso pensare ad
attori della politica che pensano solo a
conservare la poltrona, mandando a rotoli l’impegno di ridare una parvenza di
democrazia alle elezioni, incapaci di
guidare la società in un momento cruciale della crisi mondiale, dovendosi affidare a tecnici che, nonostante le scelte a
volte ingiuste, costituiscono tuttora il
male minore nel panorama attuale. L’anatema lanciato da Moro più di trent’anni fa ha preannunciato la frantumazione
attuale in cui sembra non esserci via
d’uscita se non con un radicale stravolgimento dell’assetto istituzionale attuale,
tenendo anche conto che la crisi italiana
fa parte di una situazione globale altrettanto caotica. La lezione di Geremia che
annuncia una speranza, la venuta di un
“germoglio giusto” non ci consente di
considerare irrimediabile la situazione in
cui siamo. Il problema semmai è dove
voltarci per trovare questo personaggio o
questo progetto che possa rimettere insieme i cocci. Guardandoci intorno non
pare esserci molta
speranza e ripensando ai profeti biblici,
quando essi annunciavano una rinascita, era sempre dopo
la catastrofe. Probabilmente siamo ancora nella fase preesilica della politica,
quasi a ridosso di un
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cataclisma che non si è ancora perfettamente consumato, in quanto troviamo
sempre le stesse facce, persino dei contestatori, che sono stati sulla scena nell’ultimo ventennio.
La rinascita di Israele non è
avvenuta a Gerusalemme ma a Babilonia, dove alcune menti illuminate hanno
posto le basi per una società nuova, basata sull’ascolto della Parola e sul primato dell’etica. Se il meglio del pensiero
politico italiano (la costituzione) è stato
formulato sulle rovine della guerra, e
dopo la caduta di un regime, non possiamo pensare che una vera rinascita possa
avvenire a costo zero, semplicemente
con una tornata elettorale. Chi ha a cuore
il bene della società non deve solo elaborare dei programmi, ma essere disposto a
seguire il popolo nell’esilio, come ha
fatto Ezechiele e abbandonare la terra
delle illusioni, come ha fatto Geremia,
per poter partire dalla solidarietà che
nasce dalla fame e dal lutto e rifondare
un senso di comunione sociale ormai
eclissato dal rumore dei centri commerciali e del gioco d’azzardo legalizzato e
dilagante. La colla per rimettere insieme
i cocci non sono i politici di turno o dei
vuoti proclami elettorali, ma l’esperienza
del limite che ci fa vedere nell’altro un
fratello di sventura con cui essere solidale e insieme al quale costruire una società basata sul senso di corresponsabilità.☺
[email protected]
posta
Ciao.
Vi faccio i miei complimenti per il vostro
periodico che ho scoperto a casa di Antonio
Di Lalla, che saluto con stima, insieme all'amico Rino Trivisonno.
Io non sono molto bravo con le parole, e
allora lascio che sia una mia foto a esprimere, forse, il mio apprezzamento per il vostro
impegno.
Pino Quattrone
[email protected]
Grazie per la foto che, come puoi vedere,
trovi in copertina.
La redazione
glossario
il potere della gente
Dario Carlone
Secondo Flores d’Arcais “la devi, i problemi creatisi e le soluzioni adottate,
mocrazia
è innanzitutto e sempre lotta-perconsiderando anche i diversi contesti geopola-democrazia” e la lotta ha come preludio la
litici, avrebbero modificato ed in parte vanisperanza, ciò che non deve mai mancare tra i
ficato questa idea così innovativa.
membri di una collettività, come sintetizza
Quale people power vediamo
mirabilmente il titolo di un volume che racall’opera oggi? È veramente democratico lo
coglie testimonianze delle recenti
Stato in cui i cittadini, stanchi e delusi da una
“primavere arabe”: Il potere della gente è
classe dirigente dedita esclusivamente a
più forte della gente al potere!
conservare i propri privilegi, non “possono”
“La gente ha il potere di sognare /
liberamente criticarne l’operato ed ottenerne
di dettare le regole/ di lottare per cacciare
le dimissioni? C’è sovranità popolare quandal mondo i folli” può ancora cantare oggi
do non si possono designare i candidati alle
Patti
Smith!☺
istituzioni nazionali o locali attraverso [email protected]
titi aperti e libero confronto, ascoltando e
prendendo in considerazione ciò
che la cosiddetta “società civile”
ritiene imprescindibile per chi
riceverà il mandato elettorale e
dovrà ricoprire un incarico pubblico? Quale potere hanno i cittadini
che rivendicano, inascoltati, il
diritto di contrastare gli scempi
ambientali?
People power: per i
padri fondatori della nazione americana era il sogno di dignità per
ogni persona; per i padri costituenti
italiani il riscatto dalla dittatura e
l’affermazione della libertà di parola e di azione. “Il senso e il valore dell’Occidente … è la scommessa della modernità sulla universalità dei diritti, dunque il progetto
democratico come realizzazione
effettiva di eguale dignità/libertà/
potere per l’esistenza irripetibile
che tutti noi siamo. … Se vi rinuncia (e sempre più vi rinuncia) diFabbrica Italia: il futuro è tutto qui?
venta solo un Occidente marrano” (Paolo Flores
d’Arcais, Democrazia!). Sovranità popolare non ancora realizzata oppure in pericolo e soggetta a distorsioni quando non ad
abolizioni, nel nostro
paese e in tante altre
parti del mondo occidentale.
Scatto d’autore di Guerino Trivisonno
People have the power
[pronuncia: pipol hev d’pauer] cantava qualche anno fa la famosa rock star Patti Smith: i
suoi versi, dolci e rudi al tempo stesso, evocavano un concetto che, seppur sfumato nel
linguaggio della poesia-canzone, segna profondamente la nostra vita collettiva.
People power è una delle versioni
inglesi per tradurre “democrazia”. Due termini formano la locuzione: people
(“persone, gente”, per estensione “popolo”),
sostantivo plurale che rimanda alla dimensione “politica”, nome collettivo col quale si
indica un insieme di elementi, individui,
ecc.; power, termine astratto che traduce
“potere, sovranità” in senso giuridico.
Di sovranità popolare si sente
parlare talmente spesso e in qualsiasi circostanza che il senso autentico di questa espressione sembra essersi ormai dileguato,
affievolito fino a ridursi a fumosi e generici
giri di parole. Eppure le radici della democrazia, così come intesa nel mondo occidentale, sono antiche, e nel percorrere le varie
epoche storiche anche il concetto giuridico,
quasi come l’homo sapiens, ha subìto un
processo di evoluzione.
La costituzione americana del
1787 comincia con queste parole “We, the
people” - “Noi il popolo”. Gli esiliati del
Nuovo Mondo, che avevano sperimentato
l’abbandono della propria terra, l’adattamento ad un ambiente diverso, che avevano
cambiato cultura e abitudini, rivendicavano
per sé e per la propria discendenza il “diritto”
di sentirsi individui, membri di una collettività in cui non avrebbero dovuto contare
posizione sociale o titolo nobiliare. Al grido
di “nessuna tassa senza rappresentanza” [no
taxation without representation], si ribellarono ai dominatori britannici e gettarono le
basi di quel sistema di convivenza civile che,
almeno in teoria, si può definire democrazia
moderna. Lo sforzo dei primi presidenti,
come ad esempio Thomas Jefferson, fu
quello di perseverare nella convinzione che
l’esperimento di far partecipare tutti alla
gestione del potere avrebbe condotto alla
conclusione che è possibile governare secondo ragione e verità, fugando menzogne e
privilegi di rango o di nascita.
Convivenza all’insegna della razionalità: il secolo dei lumi, riservando alla
Ragione il primato e la guida nelle vicende
umane, poneva le basi per la modernità in
campo giuridico. Gli avvenimenti successi-
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iorio insegna
“Non si deve sopprimere nulla”.
Ce lo ricorda l'ultima martellante comunicazione istituzionale della Presidenza della
Giunta Regionale del Molise, orchestrata da
Michele Iorio per far credere ai molisani che
in questa regione va tutto bene. Dall'assetto
istituzionale alla gestione dei servizi pubblici, compresa la sanità.
L'asserita difesa della Provincia di
Isernia, la cui sopravvivenza non dipende
certo dalla volontà dei cittadini molisani, è
dunque un mero pretesto utilizzato per far
passare un messaggio che, per generosità,
definiremo fantasioso. Per evitare di considerare tale messaggio anche ingannevole e
truffaldino proviamo a guardare alle cose
molisane con gli occhi di Michele Iorio e
forse scopriremo che lo sguardo con cui egli
scruta il Molise è legittimamente compiaciuto.
In questa Regione la democrazia
non ha più bisogno delle superate distinzioni
tra gli schieramenti tradizionali perché la
lezione di Iorio viene accettata e praticata
dal centrodestra e da buona parte del centrosinistra, come mostrano questi pochi esempi:
- Iorio promuove le fortune politiche, e non
solo, della propria famiglia? Ci sono altri
rappresentati istituzionali, di centrodestra e
di centrosinistra, che lo imitano con determinazione ed entusiasmo;
- Iorio conserva in garage le lussuose auto
blu che avrebbe dovuto alienare? Centrodestra e centrosinistra tacciono e meditano sul
fatto che, passata la buriana, potrebbero
sempre tornare utili;
- Iorio riempie di debiti la sanità molisana
privandola nel contempo di un qualsiasi
piano sanitario regionale e, nella sua veste
di commissario, elude tutte le richieste di
risanamento che vengono da Roma? Il
governo, stanco di questi comportamenti
irresponsabili, nomina dei commissari incaricati di porre rimedio alla decennale disamministrazione regionale e il centrodestra
molisano (insieme a molti dell'omologo
centrosinistra) insorge al grido di “giù le
mani dalla nostra sanità”;
- Iorio, in pendenza di un ricorso elettorale
davanti alla giustizia amministrativa, avrebbe dovuto promuovere la modifica dello
Statuto regionale prima della pronuncia del
TAR al fine di ridurre a 20 il numero dei
consiglieri regionali, in attuazione delle
norme nazionali? Ha preferito giocare con
l'annullamento e la riapprovazione dello
Statuto per renderlo inutilizzabile. L'obiettivo di lasciare tutto com'era è stato raggiunto
con un gioco di squadra al quale hanno
partecipato sia il centrodestra, sia il centrosinistra.
Per la verità, Iorio non è responsabile di tutte le nefandezze che si verificano
nel suo feudo e tanto meno del comportamento di Aldo Patriciello, titolare del primato nazionale di assenze dai lavori del Parlamento Europeo, che invia notizie dall'Europa alla stampa molisana per farci credere
che lui esercita per davvero le funzioni per
le quali è stato eletto. Iorio sente un certo
disagio per questa macroscopica panzana
targata PDL, ma si consola vedendo che,
dall'altra parte, il PD vorrebbe farci credere
addirittura che una parte dei soldi dati dai
contribuenti italiani alla defunta Margherita
sarebbero passati da Luigi Lusi a Roberto
Ruta in cambio di una
consulenza. È dura
credere che anche i
morti abbiano bisogno di pareri competenti,
ma se crediamo a Patriciello, perché non
credere al PD di Ruta?
Quando agiscono da soli, avrà
pensato Iorio, questi politici molisani rischiano di fare e dire cose inverosimili e, per
evitare altri grossolani scivoloni, pare abbia
chiesto a Vitagliano di coordinare direttamente una bella gestione consociativa del
COSIB di Termoli. Centrodestra e centrosinistra hanno molto apprezzato, il che ha
spinto Iorio a riproporre l'esperienza delle
“larghe intese” anche in Regione, per dare
una dignità formale ad una coabitazione di
fatto che va avanti “more uxorio”, da molto
tempo.
Il presidente Iorio non poteva
elencare ai molisani questi ed altri bei traguardi raggiunti sotto la sua presidenza e,
cogliendo l'occasione della probabile scomparsa della Provincia di Isernia, manda in
onda un ossessivo messaggio riassuntivo:
“non si deve sopprimere nulla”, vale a dire,
tutto deve rimanere com'è.
Lo fa a dispetto del fatto che perfino i conservatori più intransigenti aprono, a
volte, un piccolo spiraglio al cambiamento,
per evitare che il cambiamento irrompa
sulla scena e li travolga. ☺
Scipio
APPELLO
Chiediamo ai cittadini molisani di
sottoscrivere l’appello riportato a
lato per la riduzione del numero
dei consiglieri regionali da 30 a 20.
Al riguardo interverrà il Presidente
di Libertà e Giustizia Sandra Bonsanti il 17 ottobre prossimo a Termoli.
Carla Llobeta - tutte le bambine, tutte - 2010
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La Fonte, le associazioni Libertà e
Giustizia e Libera Molise hanno proposto
alla società civile molisana, al mondo politico e a quanti hanno a cuore il futuro della
nostra regione due obiettivi chiari: portare
da 30 a 20 il numero dei consiglieri regionali, chiedendo al governo di fare un decreto, e
utilizzare le primarie come criterio guida
nella scelta dei rappresentanti istituzionali.
Nel primo caso si tratta di cancellare uno
scandalo istituzionale nazionale. Non è
questione che tocca la dinamica democratica, come qualcuno a destra e sinistra inventa: in Lombardia il rapporto fra eletti alla
regione e cittadini è uno a centomila, in
Toscana uno a settantamila, in Emilia uno a
ottantamila, mentre in Molise è uno a diecimila. Sfido chiunque a sostenere che il tasso
di democraticità in Molise sia più alto di
quello che abbiamo in Lombardia, in Toscana o in Emilia Romagna. In realtà il numero
spropositato di consiglieri riflette la tendenza, divenuta ormai un sistema, a trasformare
i luoghi della rappresentanza democratica in
uffici di collocamento e in opportunità di
privilegi personali e dinastici. Quanto alla
proposta sulle primarie, solo i gattini ciechi
continuano a non vedere quanto profonda
sia la perdita di legittimità dei partiti, delle
istituzioni e, purtroppo, della Politica. Solo
un elettroshock democratico, un’irruzione
dei cittadini nella piazza della Politica può
evitare il collasso del sistema e della stessa
democrazia.
Mi permetto di dare un consiglio
ai vertici della politica molisana e in particolare a chi ha preteso e pretende di guidare il
centrosinistra: non perdete questa occasione,
mettete da parte le furbizie antiche dei
“trasformismi”, fate tre passi indietro e aprite porte e finestre prima che sia troppo tardi.
Potrebbe essere l’ultimo avviso di chiamata.
I segnali sono stati e sono incontrovertibili,
già alle ultime elezioni regionali quasi il
50% dei cittadini molisani si è rifiutato di
votare e in alcuni sondaggi di oggi il presidente Iorio e l’ex candidato del centrosinistra Frattura raccolgono insieme consensi
molto, ma molto al di sotto del 50%.
Nell’Italia post-mussoliniana la
politica e i partiti furono una straordinaria
opportunità di riscatto nazionale, un formidabile strumento di organizzazione e di
civilizzazione della società italiana, oggi i
partiti e la politica sempre più rischiano di
essere il buco nero della democrazia e del
ultimo avviso
Famiano Crucianelli
futuro del nostro Paese. Il cretinismo e il
degrado morale di una parte ampia della
classe politica impediscono ai tantissimi che
vivono di politica, di cogliere una verità
elementare: vi è ormai nella società italiana
come un riflesso di Pavlov, ogni notizia di
malcostume politico moltiplica geometricamente fra i cittadini la sfiducia e l’astio nei
confronti delle istituzioni e dei partiti. È una
situazione ad alto pericolo, perché rischia di
venire in superficie il peggio dell’Italia, che
è poi anche parte importante della costituzione materiale del nostro Paese, della nostra composizione sociale e della nostra
storia. Non dobbiamo dimenticare che gli
Italiani hanno segnato la loro vicenda storica
di tracce profonde di genialità individuale e
collettiva e non meno di segni altrettanto
profondi di miseria umana, etica e sociale.
Dallo splendore del Rinascimento,
dall’invenzione dei primi passi del capitalismo, dal riscatto morale e politico della
resistenza, al trasformismo come sistema, al
fascismo di massa degli anni venti e trenta,
al degrado dei rifiuti dispersi per il bel paese, alle tante organizzazioni malavitose e
all’illegalità diffusa. Il problema grave è che
in questi ultimi trenta anni le virtù si sono
sempre più perse e il peggio è tornato a
dominare: basti riflettere al fatto che gli
italiani hanno consegnato il governo del
paese prima al C.A.F (Craxi, Andreotti e
Forlani) e poi a Berlusconi e, soprattutto,
l’illegalità e la criminalità sono divenute
una componente strutturale dell’economia e
del nostro vivere sociale. Di questa miseria
italiana portano enormi responsabilità le
classi dirigenti di ieri e di oggi: i gattopardi
che mortificarono il Risorgimento italiano;
la Chiesa del Vaticano che con il suo antistatalismo opportunista e con la sua “ doppiezza” certo non ha contribuito a costruire
senso civico, responsabilità individuale e
coerenza etica nel sentimento profondo dei
cittadini; gli imprenditori che hanno pensato
e pensano solo alle loro tasche e non al bene
comune; infine quei politicanti, e sono tanti,
che hanno consegnato la dignità della politica ai “maiali” dei festini romani, al malgoverno e alla corruzione. È bene ricordare
che non il Manifesto, ma il Sole 24 Ore ha
collocato il Molise a buon ultimo di una
classifica stilata sulla base dei criteri di produttività, efficienza e moralità dell’istituzione regionale. La crisi economica ha
portato l’Italia e gli Italiani oltre la soglia di
guardia e tutto può accadere. Il tempo è
ormai scaduto e lo stesso “tempio” rischia di
crollare. Per questo l’iniziativa de la Fonte,
di Libertà e Giustizia e di Libera Molise è
un’occasione preziosa che non deve andare
perduta. ☺
[email protected]
APPELLO
La crisi economico-sociale e la crisi di credibilità della politica possono compromettere le ragioni stesse della democrazia. Mentre la partecipazione dei cittadini alla vita democratica è condizione fondamentale per costruire un destino comune.
Le prossime elezioni sono una grande opportunità per rigenerare il sistema politico, per questo è
decisivo che cessi l’occupazione delle istituzioni da parte dei vertici dei partiti.
Proponiamo
che i candidati al parlamento, alla presidenza della regione, a sindaci dei principali centri e i
nominativi del “listino maggioritario regionale” siano tutti scelti con le primarie dai cittadini.
Chiediamo
Istituzioni trasparenti e al servizio dei cittadini;
la fine della stagione dell’illegalità, del clientelismo e del sottogoverno;
il rispetto del territorio e dei “beni comuni” come grande investimento nel futuro e nelle
nuove generazioni.
Prime adesioni
La fonte, Libertà e Giustizia, Libera Molise
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nel palazzo
ridurre i costi della politica
Michele Petraroia
Fin dallo scorso anno, non appena
venne pubblicato il Decreto Legge 138 che
all’art.14 riduceva il numero dei consiglieri
regionali a 20, chiesi formalmente al Ministero degli Interni di indire i comizi elettorali
in Molise per il 16 e 17 ottobre, con la previsione di 20 eletti. L’allora Ministro Maroni
non accolse la sollecitazione con un interpretazione cavillosa e come si insediò la X
legislatura riuscii a proporre e far approvare
a maggioranza, nella seduta di Consiglio del
1° febbraio 2012 una delibera di recepimento della legge n. 148/2011 sulla riduzione
dei componenti e sul contenimento dei costi
della politica.
A fronte del groviglio che seguì
alla pronuncia della Corte Costituzionale sul
nuovo Statuto della Regione Molise ad
aprile scorso, il 10 maggio ed il 24 luglio
con due istanze inviate al Ministero degli
Interni e alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, sollecitavo l’automatica ed immediata applicabilità della nuova norma nazionale con l’elezione di 20 consiglieri in caso
di ritorno alle urne. L’Ufficio Giuridico di
Palazzo Chigi ha ritenuto ammissibile il
quesito e l’ha girato al Capo di Gabinetto
del Ministro degli Interni che però ha riaffermato con due comunicazioni del 4 e del
10 settembre dell’Ufficio Territoriale del
Governo che il taglio dei consiglieri non è
automatico. Il Ministero ha chiarito che la
previsione numerica è competenza statutaria
e per questo ha invitato il Consiglio con
procedura “urgente e indifferibile” a modificare lo Statuto in doppia lettura e quindi
approvare la legge elettorale regionale attuativa. Per l’Ufficio del Governo anche in
caso di scioglimento del Consiglio Regionale il 16 ottobre, stante il ritorno alle urne in
8
primavera e vista l’urgenza di recepire la
norma sul contenimento dei costi istituzionali, si può completare formalmente ed in
modo ineccepibile il percorso indicato.
Basterebbe un’ampia intesa tra le forze
politiche per portare a compimento queste
procedure in tre mesi, abbattendo le spese e
riparametrando in termini di risparmio i
capitoli di bilancio su queste voci.
Purtroppo il Molise è il luogo
dove anche le cose chiare si complicano
sotto un mantello di fumo e di urla. Per un
verso c’è chi, non avendo né letto e tantomeno studiato le note della Prefettura, strilla
che se il 16 ottobre si scioglie il Consiglio
non si fa più niente. E quindi si torna a votare a 30. Costoro si fanno scudo di un pronunciamento amministrativo per far rimanere le cose come stanno a danno dell’erario
pubblico. Per l’altro c’è chi ha predisposto
delle proposte di legge elettorale protocollandole agli atti della Commissione, ignorando che la Corte Costituzionale, con la
sentenza n. 4/2010, ha
sancito che una regione prima adotta lo
Statuto e poi si dota
della legge elettorale.
Anche qui sarebbe
stato sufficiente leggersi la comunicazione che il Ministero
degli Interni ha inviato
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a tutti i consiglieri il 4 settembre per evitare
un errore così grossolano.
Onde evitare che le strumentalizzazioni, le omissioni ed i tatticismi, di opposte sponde, impediscano di completare il
percorso istituzionale indicato dall’Ufficio
Territoriale del Governo per portare a 20 il
numero dei consiglieri, ho nuovamente
sollecitato il Ministro Cancellieri a inserire
in un qualsiasi provvedimento in via di conversione un emendamento legislativo che in
due righe sancisce l’automatica attuazione
del disposto dell’art. 14 della legge 148/2011 per il Molise. È sufficiente prevedere
che nelle regioni in cui lo Statuto in vigore
non definisce il numero, e si fa riferimento
ad una norma nazionale, scatta il nuovo
limite menzionato. Questa iniziativa trae
spunto dal convincimento che da parte delle
forze politiche c’è un basso livello di consapevolezza circa la devastante crisi economica in essere e il crescente disagio sociale che
assilla un numero sempre più alto di persone
e di famiglie.
È opportuno che i cittadini si organizzino insieme alla parte più sensibile della
società civile per mobilitarsi a sostegno
della riduzione dei consiglieri, degli assessori e dei costi della politica. E non basta portare a 20 gli eletti alla Regione. C’è bisogno
di un riordino più ampio che ho protocollato
in una Mozione, che sarà illustrata in un
evento pubblico, in cui si prende atto che la
legge 135 del 7 agosto scorso ha soppresso
la Provincia di Isernia ed ha accelerato le
scadenze sui servizi associati obbligatori per
i comuni. Nella proposta di riordino amministrativo prefiguro il definitivo superamento delle dieci Comunità Montane, la cancellazione o l’accorpamento di Istituti, Consorzi, Enti Sub-Regionali e Agenzie, l’avvio di
una cooperazione di Macro-Area con Abruzzo e Marche, e la suddivisione del Molise in 17 Unioni di Comuni, distinguendo le
Unioni Montane da quelle Semplici. Entro
pochi mesi i comuni non potranno più gestire da soli i servizi essenziali per i cittadini e
consentire la nascita di micro-unioni non
servirebbe a nulla. Per questo è opportuno
immaginare 17 Unioni a cui demandare
deleghe, funzioni, risorse finanziarie e poteri, avvicinando i cittadini alle istituzioni con
un risparmio considerevole derivante dalla
soppressione di numerosi ed inutili enti
intermedi.☺
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xx regione
denaro sversato
Cristina Muccilli
Inizia la danza dei silenti, è tempo
di elezioni.
I nostri politici (e faccio salva sempre l'eccezione) sono a caccia di visibilità e
non importa quanto siano stati a guardare o
quanto abbiano lavorato effettivamente per il
territorio, ora tutti hanno da dire qualcosa
sulla scuola che non riapre, sulla mancata
mappatura dei livelli di inquinamento del
territorio, sulla mancata istituzione di un registro dei tumori, sulla sanità ecc.
- Come se nessuno avesse mai concepito lo
stato in cui sostanzialmente versa la scuola,
- come se nessuno avesse mai sentito parlare
di centrali turbogas e leucemie,
- come se nessuno avesse mai saputo della
grande espansione dei tumori soprattutto in
basso Molise,
- come se nessuno avesse conosciuto da anni
il progetto di “fusione” tra il Cardarelli e la
Cattolica,
- come se nessuno di loro avesse operato
nelle istituzioni da lungo tempo.
I media molisani registrano innumerevoli conferenze stampa all'insegna di
questa o quella denuncia da parte di questo o
quel politico e lo scopo dovrebbe essere quello di informare i cittadini. Però succede spesso che l'oggetto dell'esternazione è già, da
tempo, dato per acquisito dalla cittadinanza e
quando, dalla vicenda, viene fuori un elemento di novità è comunque a danno dell'idea del
lavoro politico dello stesso denunciante. Infatti si può mai difendere la posizione di chi,
all'opposizione nel consiglio regionale - provinciale, comunale -, non conosca quali
adempimenti siano stati posti in essere e quali
no dalla Giunta? Parlo ovviamente di questioni di grande impatto sul territorio, di questioni di rilevanza estrema, non di cavilli
amministrativi.
Fino a quando abbiamo intenzione
di reggere il gioco a questa politica? Fino a
quando permetteremo a questa politica di
ignorare i nostri bisogni e le nostre aspettative? Fino a quando tollereremo che questa
politica prosegua con pubblici silenzi e intrighi privati? Quando smetteremo di mendicare - per un po' di precariato mal pagato, per
una analisi o un esame che potrebbe salvarci
la vita, per un diritto stabilito da una sentenza
-?
La nostra è una regione che potrebbe amministrare un sindaco, eppure è al collasso; i soldi per il terremoto non hanno ricostruito, i soldi per la sanità hanno fatto chiudere gli ospedali di Agnone, Larino e Venafro e smantellato quelli ancora operanti; poi ci
sono i soldi che fanno costruire opifici che
non aprono, quelli che fanno aprire istituti di
varia cultura che favoriscono solo chi li gestisce (i soldi), ci sono i soldi (tantissimi) sversati nel catrame di grandi imprese nazionali di
costruzioni, serviti per eliminare qualche
curva della SS 87 e per costruire impattanti
quanto inutili viadotti, i soldi per chiudere lo
zuccherificio, e i soldi per costruire barchette
che non prendono il mare, i soldi (sempre di
più, altro che riduzione) per reggere la struttura amministrativa della Regione Molise che
non può più operare.
Per costruire il fallimento servono
molti quattrini. E serve l'inettitudine, l'acquiescenza, il silenzio di una opposizione. E serve
l'omertà, l'asservimento, la pavidità e la malafede della maggioranza dei cittadini.
Ci impegniamo:
per trovare un senso alla vita,
a questa vita
una ragione
che non sia una delle tante ragioni
che bene conosciamo
e che non ci prendono il cuore.
Ci impegniamo non per riordinare il mondo,
non per rifarlo, ma per amarlo.
(B. Brecht Amare il mondo) ☺
[email protected]
l’idiota
Annamaria Mastropietro
Idiota è parola greca e significa
“persona carente di interesse civico e della
capacità di essere cittadino”. Sono gli
incompetenti sociali, i malformati civicamente, coloro che non distinguono un discorso politico dalla demagogia dell’oratoria. Non riconoscono quali sono i valori da
condividere e quali quelli da rifiutare: parassiti insomma, che rincorrono uno strano
ideale di perfezione: quello che invece di
procurare loro la libertà li rende dipendenti
dal controllo e dalla performance.
Il controllo li rinserra nella sfera del
privato e serve loro per garantirsi una
“giusta” immagine, emozioni appropriate,
modo accettabile di parlare e di comunicare. Essere impegnati a curare il proprio sé e
a tenere a bada le reazioni degli altri evita
loro di essere relegati nella categoria dei
cosiddetti “perdenti”.
La performance è l’altro elemento
che li condiziona soprattutto nella sfera
pubblica: in azienda, in ufficio, a scuola, li
vede misurarsi con la capacità di superare i
propri limiti, di competere con gli altri, per
evitare critiche e giudizi negativi.
Nella caciara intronata e intronante
del bel paese l’equilibrio tra sfera privata e
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sfera pubblica è saltato e la crisi che ci
attraversa ne è la dimostrazione. Perché si
fonda sul benessere individuale di pochi al
prezzo dell’asservimento e della miseria di
molti.
Dovrebbero chiedersi, questi idioti:
“Che cosa è più importante: la libertà da o
la libertà di?”. È più importante rincorrere
solitariamente e a tutti i costi la realizzazione dei propri desideri o rivendicare insieme
ad altri le condizioni necessarie per poter
pensare, dire, costruire il futuro?
Dimentichi che la condizione umana è caratterizzata dalla finitezza, dalla
dipendenza dall’altro e intrappolati nella
gabbia della loro “perfezione” preferiscono
invece continuare a rincorrere un effimero
benessere individuale e non assolvere i
compiti e le attribuzioni richiesti a cittadini
consapevoli e maturi.
Preferiscono vivere catapultati in
stereotipi e ossessioni che li imprigionano;
si proclamano liberi pur in mezzo a mille
freni e inibizioni; e quel che preoccupa di
più è che, massimizzando i loro interessi,
negano quelli degli altri. ☺
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xx regione
restituire la speranza
Qualche settimana fa la stampa
locale ha riportato la notizia diffusa dall’assessore alla programmazione Gianfranco
Vitagliano concernente la maggiore disponibilità di risorse finanziarie che in fase di assestamento di bilancio avrebbero consentito
interventi a sostegno di settori produttivi e per
il settore del sociale.
Per fare certe affermazioni ci vuole
veramente la faccia tosta e la totale mancanza
di rispetto della
popolazione. Le
presunte maggiori
nuove risorse finanziarie derivano
dalle aumentate
tasse che i cittadini
molisani sono costretti a pagare per
la voragine nella
sanità e che alla
stessa devono essere destinate. Altro che risorse aggiunte.
Si dice nel palazzo che il potente
assessore non è più nelle grazie del presidente
Iorio che ha dovuto prendere atto non solo
della totale infedeltà politica, ma, e soprattutto, degli evidenti errori di programmazione e
di utilizzo delle risorse pubbliche e che finalmente si stia rendendo conto della voragine
finanziaria che è stata creata. Farebbe cosa
gradita all’intero territorio regionale, forse
anche nazionale, se nei fatti allontanasse dalle
casse regionali l’ingegnere di Termoli che è il
maggior protagonista della disfatta della nostra regione. Dopo tante azioni non condivisibili, il presidente Iorio acquisirebbe da parte
nostra un punto a suo favore.
Così come farebbe bene ad oscurare definitivamente la faccia del sen. Di Giacomo, altra creatura politica che rappresenta
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fossi” (a questi, a differenza degli sportivi,
non si sloga mai una caviglia quando saltano).
È tempo che i cittadini, i giovani, i
cattolici si impegnino per dare visibilità a
idee, proposte e uomini che possano contribuire alla rigenerazione del Paese e della
regione e alla costruzione di un programma
che guardi alle necessità e ai bisogni. È necessario fare i conti con gli errori del passato
perché, riscoprendo i valori della vita, l’etica,
la giustizia, l’impegno volontario, la coesione
e la solidarietà, si definiscano le linee guida di
un rinnovato movimento in politica. In particolar modo i cattolici impegnati in politica,
che hanno difettato di senso critico e di senso
civico, devono tornare a parlare ai cittadini
per ridare loro speranza e voglia di essere
protagonisti.
È sulla sfida del lavoro che manca,
su un nuovo modello di welfare che deve
unire solidarietà e sussidiarietà; su forme
diverse di democrazia partecipata e sull’esigenza di rigore, trasparenza, onestà deve
essere individuata e scelta la nuova classe
dirigente che auspichiamo possa governare
nel futuro la nazione e, per quanto ci riguarda,
la regione. In tal modo ai cittadini sarebbe
restituita la speranza e diventerebbero i protagonisti della ricostruzione dei territori massacrati da politiche miopi e dissennate.☺
solo se stesso. Da buon ex socialista ha saputo fare un grande, invidiabile percorso personale, alla faccia dei molisani che sono costretti, ogni tanto, grazie anche a telepetescia, a
dover sentire le sue esilaranti esternazioni.
Ma ormai il palazzo ha solo attenzione per la fatidica data del 13 ottobre: il
Consiglio di Stato rimanderà tutti a casa o
modificherà la sentenza del TAR? Tutte le
attività amministrative regionali sono rivolte
a questa data e all’eventuale nuova campagna
elettorale.
Molti si stanno già
posizionando. Abbiamo già detto del tentativo, sempre dell’ingegnere, di accreditarsi al FLI dove ha
mandato in avanscoperta il suo fidato
Cefaratti, sindaco di
Campodipietra, consigliere provinciale, coordinatore provinciale del FLI. In questa nuova
aggregazione politica è passato a militare
anche Nicola Cesare, altro fidato di Vitagliano, che gestisce molte risorse regionali con
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svariate società, che sono la vera macchina
elettorale di Vitagliano. Questa operazione
politica è molto preoccupante soprattutto
se da Roma arriverà il
diktat che il FLI deve
Papà è attento e premuroso
stare con il centro
Gli guarda le spalle in modo rumoroso
sinistra. Belle nuove
Lo accompagna in ogni atto formale
facce arriveranno da
Per evitare al pargolo di farsi del male
questa parte. Oggi noi
Sul cuore la mano diceva Filumena Marturano
abbiamo bisogno di
i figli so’ figli e vanno sostenuti con soldi e consigli
una nuova politica e
E dopo un po’ di gavetta la sedia regionale l'aspetta
non di nuove sigle o
Alla provincia cosa vuoi che sia si saluta e si va via
di grandi “saltatori di
Pure al comune il figlio è stato ma se l'era meritato
Perché ai figli di nessuno, non capitano mai tali fortune?
Meglio tacere così va il mondo per taluni è proprio rotondo
Basta il nome ad aprire le porte e poco c'entra la sorte
Ma quanti talenti restano al palo senza parenti
Taci o voce della coscienza e resta muta in penitenza
Non conosci di un figlio il valore a cui il padre dona amore
Lascia stare le pari opportunità che le invoca chi nulla ha
Mettiti in fila con in mano il cappello anche se è poco bello
Regole, diritti e legalità, bei discorsi e poi eccoli qua
Tanto cammino dell'umanità per finire senza dignità
Il Brigante del Matese
il valore di un figlio
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confronti
Una casa, la petite maison, è il
centro.
Una casa è viva e ci appartiene
quando ha il nostro odore, quando è piena di
noi e ha accumulato nel tempo energie fluide
che si materializzano in sorrisi, urla, disperazioni, stili di vita, amori, scritture, creazioni,
lacrime, noia. Una casa ci appartiene per
questo e in questa forma non sarà di nessun
altro.
Perciò, quando arrivano gli Altri,
nel sonno, a tradimento, silenziosamente,
dovrebbero trovare barriere solide. Le tane
sono sempre cementate col sangue di chi se
le è costruite. Senza tana saremmo preda.
Per questo tutti noi siamo sempre
più barricati, avvolti nelle nostre coperte,
protetti da veli gusci bozzoli cortecce corazze.
Ci difendiamo (quando la paura è
padrona assoluta) con nuovi apparati percettivi in sostituzione dei meno affidabili occhi,
tecnologie artificiali, congegni integrati nei
quali si insinua un “occhio” diverso da quello
soggettivo, un occhio disumanizzato, che si
sgancia dall’osservazione individuale e penetra in un tipo di sguardo a 360 gradi, perfetto
al cento per cento: videocamere di sorveglianza o amatoriali, videotelefonini e altro.
Ma c’è un fuori, che va tenuto in
considerazione, un fuori terribile che è trascinato via dall’onda lunga e gelata di uno tsunami che lascerà dietro la sua coda diseguaglianze e tragedie, vuoti spaventosi e necropoli di fango.
Un fuori che ormai è strutturato
come le tragedie antiche, nelle quali la catarsi
tragica avviene soltanto dopo la rappresentazione dei tre drammi, con una improbabile
commedia conclusiva a sfondo surreale; o
come le tragedie senecane, nelle quali lo
spettatore si abitua ai colori di macellerie e
mattanze continue; o come le architetture
case inghiottite
Maria Concetta Barone
calviniane de Il castello dei destini incrociati,
in cui le sorti di molti individui soli e dispersi
confluiscono e confliggono senza tregua.
In questo fuori noi, quelli che si
espongono, nonostante tutto sembri inutile,
noi quelli che si appassionano, che sanno che
non è del mio o dell’ io che si deve parlare
sempre, ma del nostro e del noi, noi saremmo
o potremmo essere i mutanti, i replicanti,
quelli col terribile puntino d’acciaio nelle
pupille?
Tante petites maisons vengono
inghiottite e noi con loro. Voglio dire con
forza in compagnia di Bauman che tutti noi
verremo trascinati via senza posa, in un mondo liquido, perché come tutte le sostanze
liquide questo mondo non può restare immobile a lungo e tutto in esso è in drammatica
incessante trasformazione.
Ma a questa fluidità si accompagna
un aumento tragico della disuguaglianza ed
una resistenza del Sistema a qualsiasi tensione al cambiamento.
Il Sistema, quello sì, è iniquo, quello sì, è Alieno, insieme alla sua capacità di
resistere ai tentativi di dargli regole umane e
condivisibili.
Dunque il mondo è liquido, ma il
Sistema è ben solido ed ha sviluppato osceni
meccanismi di autoriproduzione, che non
hanno niente a che vedere con noi che combattiamo da una vita con passione gratuita,
con noi che scriviamo senza posa cose che
nessuno leggerà mai con attenzione (perché
molti sono concentrati sulla propria ombra e
su un io che è difficile codificare e cristallizzare in una forma statica), noi che ci riuniamo
in stanze umide e concesse in prestito temporaneo per tramare,
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ordire, ardire, organizzare, sensibilizzare,
follemente combattere.
Gente che è come noi può avere il
gelo del puntino d’acciaio, può semplicemente e tranquillamente diventare Loro? senza
averne la minima consapevolezza?
Con amarezza e con un’emozione
profonda debbo concludere che, nonostante
negli ultimi anni molti nostri movimenti si
siano contrapposti alla Solidità del Potere
(Indignados spagnoli, Occupy Wall Street,
No Tav, No Global, Onlus radicali e alternative come Emergency…), non è cambiato
assolutamente nulla. Nulla di nulla.
Preferisco allora sapere che il mio
territorio dei sogni è intatto, preferisco continuare la mia resistenza tutta umana in questo
interregno (parola di Gramsci) in cui il vecchio muore e il nuovo ancora non può nascere, interregno in cui si possono verificare
fenomeni terribili, laddove la sovranità non è
più popolare, la democrazia diventa porosa e
scarsamente difendibile, per il fatto che il
Potere si è finalmente liberato dal controllo
della politica.
Il Potere è globalizzato e perciò
inafferrabile col suo apparato di banche, criminalità, mafie, alte e intoccabili élitès finanziarie.
In tutto questo irreversibile e doloroso Kaos una petite maison viene risucchiata
con le sue poesie, la sua energia, i sospiri e gli
amori di una vita.
Allora, consapevole di avere l’occhio limpido, il cuore pulito, il corpo vergine
dai baccelloni, posso solo ripetere all’infinito
“Dimmi, dimmi Ninì, che fare?”.☺
[email protected]
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il calabrone
lettera di una traditrice
Loredana Alberti
Roberto, carissimo,
è già una settimana, oggi venerdì, e so bene
che non ti sentirò Mai più! Mai più! Mai più!
E so anche, mio amatissimo amico,
padre, sostegno, mentore, coinvolto nella mia
vita dalle mie insistite richieste amorose,
coinvolta io nella tua e di Elena, perché nessuno mai si staccherebbe dalla perfezione
ricevuta, dalla sobria civiltà etica che accompagnava i vostri atti, i vostri movimenti, la
vostra vita e la tua poesia.
Adesso so che ti sto
tradendo: tu sei andato via
senza chiamare nessuno dei
tuoi figli adottivi, coloro che
avrebbero voluto riempire
l’assenza che ti è stata compagna ma soprattutto la grande
assenza, il vuoto, la voragine
di cinque anni fa che aveva il
nome di Antonio, tuo figlio.
Ti scrissi prendimi,
come figlia, ogni giorno voglio starvi vicino, ma anche lì sapevo che
nulla avrebbe scosso la tua solitaria volontà di
affrontare tutto il Resto, con le mani a scavare, con le unghie smozzicate, il cuore schiantato.
Sì sto tradendo il tuo silenzio, la tua
volontà che tutti amici, cari, stampa, pubblico
sapessero solo il sabato e che in silenzio saresti partito senza nessuna parola altrui su di te.
Strappo il velo della nostra storia
perché un piccolo giornale del sud su cui
scrivo, quello dove hai mandato un tuo breve
messaggio in stato di “felicità confusionale”,
(il sud che tanto amavi e che sceglievi se si
trattava di riviste, di case editrici), sappia di te,
di come hai vissuto qui nella tua Bologna che
in questi giorni ancora manda canzoni di
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Lucio Dalla per la strada e che di te ha scritto
parole che in gran parte vanno dimenticate. E
che tu non avresti amato.
Nell’ultima telefonata, ricordi? Mi
hai detto sono stanco, ho gli occhi che non
vedono bene, le gambe mi fanno male, cammino con il bastone ma appena sarò presentabile (ah nella tua voce quella piccola civetteria che mi faceva sorridere) ci vedremo
perché sai che sei in cima ai nostri pensieri.
Ti risposi ma io vi voglio abbracciare! Avrei voluto anche urlarti "mi manchi,
le tue parole che sono state per me sempre
forza per andare avanti per continuare mi
mancano, mi mancano le mie quotidiane
visite in via Castiglione prima e poi in via dei
Poeti alla libreria Palmaverde dove Elena
apriva la grande porta sospettosa (arrivavo
senza telefonare) si schiariva nel vedermi,
chiacchieravamo e se tu c’eri, e c’eri sempre
nella tua stanza, nel tuo rifugio ad incontrare,
ad ascoltare i giovani, a fare i pacchi da libraio come amavi definirti.
Uscivi e mi salutavi, stavamo due o
tre minuti che erano per me linfa. Finivi sempre con il dire qualcosa che mi portava alla
gioia. Ed io sapevo rispondere solo con i miei
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piccoli gesti da figlia amata: il primo ramo di
pesco per Elena o le primule o l’erica di cui è
appassionata e per te quaderni confezionati
da me o a Natale l’aromatico the che oramai
era un rito di scambio.
Venivate sempre a vederci, ascoltarci in via Tanari vecchia nella “cantina del
Guerriero” arrivavate per ultimi quando le
luci, già di per sé fioche, erano spente e lo
spettacolo stava iniziando e andavate via per
primi quando capivi che le battute erano le
finali. Qualcuno la poteva prendere per orgogliosa lontananza, era invece il tuo assoluto
riserbo, il non volere apparire, il non volere
essere distolto dallo spettacolo che ti trasportava. Dopo alcuni giorni mi
avresti telefonato, inviato dei
fogli scritti a mano e spediti
spesso al Manifesto o all’Unità. Era un atto d’amore il tuo e
quello di Elena, che non uscivate mai Ora ho in mano la tua
L’Italia sepolta sotto la neve,
32 copie a tue spese, la mia è la
tredicesima e mi scrivi “con
antica amicizia e forte considerazione".
Permettimi caro amico per
questa antica amicizia di adornarti secondo l’usanza degli antichi ittiti: di
indorarti il viso, di mettere sugli occhi due
conchiglie di mare, una azzurra ed una verde,
di dipingerti di ocra le braccia e di blu le mani. Ti pettinerò la barba con olio orientale
(non preoccuparti nulla di frivolo) un olio
adatto ai guerrieri come te. E poi qualche
biscotto, the e miele, e infine libri, libri.
Il libro viene dalla tua amatissima
Palmaverde e forse un poco ti è dispiaciuto
separartene.
("Vendere i libri, mi creda, è la parte più
dolorosa del mestiere di libraio. Tra i miei
libri di casa e quelli di libreria non c'è mai
stato un confine vero. Ogni libro che partiva
era una perdita inesorabile. E quante volte,
lotta e contemplazione
venduto un titolo, mi sono messo subito a cercarne uno identico
per riempire il vuoto"). (E i suoi libri? Quelli scritti da lei? "Non
so che sorte avranno... Forse la pattumiera della storia. Si sente
odore di fumo nell'aria, la carta è riciclabile").
Permettimi invece, come tradimento massimo di mettercene tre tuoi Dopo Campoformio (Einaudi 1965), Le descrizioni in atto che ho in ciclostile con la copertina di carta scritta a mano da te e le borchie che lo tengono e L’Italia sepolta sotto la
neve.
Non ti farà piacere ma mi saluteresti con il tuo nobilissimo baciamano (ho sempre pensato che baciarti sulla guancia ti
avrebbe fatto arrossire).
Come sei arrossito quel giorno di tanti anni fa nello
studio-casa di Fiorella, quando sei salito per incidere la tua voce,
quattro versi di una tua poesia che portai come spettacolo alla
Biblioteca della Resistenza. Non potevi sottrarti, i poeti invitati
dovevano leggere se stessi e scegliere un altro poeta. Io scelsi te.
Solo a gennaio del 2011 a Roma si è tenuto un convegno su di te e la tua poesia civile. Qui a Bologna nulla. Noi, i pochi tuoi orfani, a spingere su qualcuno, tuo nipote con la casa
editrice Pendragon ha ripubblicato i tuoi lavori teatrali, ed anche
delle tue poesie.
Avresti potuto avere soldi e fama, ma non hai mai voluto niente. E, negli ultimi mesi di vita ti sei fatto promettere da
Elena che, quando quel giorno sarebbe arrivato, non ci sarebbero
stati funerali, né pubblici né privati, nessuna commemorazione o
ricordo: “E’ tutto lì, in quello che ho scritto”.
Il primo che intuì questo tuo aspetto, persino in anticipo
sulle tue “clamorose” scelte editoriali, fu il tuo sodale dei tempi di
“Officina” (e ancor prima), Pier Paolo Pasolini: che nel 1964, in
Poesia in forma di rosa, ti dedicò questo citatissimo (e a sua volta
ambivalente) ritratto: “Nel terzo / petalo odoroso si contempla /
ROVERSI, come un monaco di clausura / diventato pazzo, che
cerca una clausura nella / clausura, per rifare di nuovo il cammino già fatto, / senza notizie biografiche, cicala nel sole della tomba / a trasformare livore in malinconia - comunque / quella è la
sua vita, e della sua vita / i suoi versi sono testimoni / che hanno
senso in con-/testi di dolore / nero”.
Tu stesso nel risvolto di copertina delle Trenta miserie
d’Italia scrivevi: “Appartengo alla schiera, non folta, convinta
che non solo si possa ma che si debba morire per la così detta
‘patria’, itala tellus, Vaterland. | Naturalmente, a Maratona, alle
Termopili, a Salamina, a Curtatone e Montanara, sul Piave. […]
Dunque questo testo è un canzoniere d’amore incattivito da una
rabbia rabbiosa per un tradimento che è in atto ma che deve
passare”.
Nella quarta delle Trenta miserie si legge un inciso lancinante:
Parlare continuare a parlare senza sapere come parlare
scrivere continuare a scrivere senza sapere come scrivere
pensare continuare a pensare non sapendo cosa pensare e
continuare a voler sapere senza sapere che cosa sapere.
Ci chiedi di nuovo, come compito di chi resta di continuare. E continuare come hai vissuto tu.
Per questo e su questo punto non ti tradirò. Mai più!
Mai più! Mai più!☺
apriti
Rosalba Manes
«Guardando verso il cielo, emise un sospiro e gli disse:
“Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il
nodo della sua lingua e parlava correttamente» (Mc 7,34-35). Apriti!
è il grido che Dio rivolge al sordomuto per guarirlo, ma anche
il grido che fa giungere al nostro orecchio, per liberarlo dal frastuono e
dalle urla di chi teme il silenzio per paura di doversi leggere dentro.
Apriti! è il grido della vita che urla contro i tuoi ripiegamenti
egoistici che causano di continuo “aborti” di amicizia e di fraternità.
Apriti! è l’invito a uscire dalle difensive per vivere la logica del dono.
Apriti! Come il mare durante l’esodo quando rende la libertà
agli oppressi, come la terra del Salmo 85 che fa germogliare la verità,
come la nostra terra che dieci anni fa si è aperta sotto i piedi nostri, dei
nostri bambini, dei nostri anziani e di tanti sogni… Terra che si apre
senza chiederci il permesso e che forse lo fa perché ha sete, sete… di
uomini nuovi.
Apriti! Tu sei una porta che non può restare chiusa. Apriti…
alla fede in Dio, alla fiducia nel prossimo, alla fedeltà alla storia, alle tue
radici, alla tua terra che forse di tanto in tanto si scuote non per farti
male ma solo per ricordarti che è tempo di sciogliere i nodi delle catene
che costruisci a te stesso e agli altri e per risvegliarti alla danza della
vita. ☺
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terzo settore
fede e politica
La morte del cardinale
Carlo Maria Martini ha segnato in
maniera incisiva l’intero popolo
italiano. E non solo. Pressante è
stata la ricaduta sull’intero sistema
Leo Leone
della comunicazione. La partecipazione ai riti funebri ha coinvolto masse di cittadini a prescindere dall’appartenenza a credi diversi come pure a formazioni culturali e politiche di ogni taglio. Sulle testate giornalistiche sono comparse cronache fortemente segnate
dalla stima e dalla esaltazione della persona e del suo intenso impegno in ambito culturale e di testimonianza cristiana. Ma sono anche emerse parole e analisi di disturbo da parte di chi non gradisce la posizione pionieristica e
scomoda del cardinale in ambito religioso, soprattutto quando si rifà a valori che conciliano tra loro fede e ragione,
impegno e libertà derivanti da principi etici che non sempre si conciliano con una governanza di modello autoritario e ricorrente in ogni ambito del vivere umano e che si manifesta in forme anche inumane nell’integralismo che
permea talune dottrine e testimonianze religiose.
Lungo l’intero cammino della vita Martini si riconosceva come viandante in perenne ricerca di Dio nella
piena consapevolezza di affrontarne giorno dopo giorno l’ardito sentiero della ricerca. “Il non credente che è in me”
è la convinzione che lo porta a riequilibrare continuamente la fede alla ragione, con il chiaro convincimento che la
fede è una conquista che si attua per l’intero percorso di vita, e non una meta che si raggiunge come dono senza
fatica, aderendo ad una ritualità diffusa anche tra credenti che racchiudono la loro fede nelle sole pratiche liturgiche
esonerate dall’impegno di vita.
Egli rileva “l’importanza attribuita da Gesù, dagli evangelisti, dalla Chiesa primitiva anche, al retto
giudizio sui fatti sociali e politici, alla connessione di questi fatti con gli atteggiamenti religiosi e alla comprensione
delle conseguenze, spesso drammatiche, della mancata risposta all’appello di pace della città”. Sono queste considerazioni riportate in un suo libro del 1996 dal titolo Ritrovare se stessi, a fornirci il messaggio ricorrente del cardinale Martini: la fede comporta impegno di vita e testimonianza di coerenza etica nel quotidiano vissuto. E a suo
dire: “Ci pare di poter intuire un progetto messianico di Gesù, che ha pure una valenza sociale e, a suo modo,
politica”.
Siamo oggi di fronte ad una visione della politica intesa come una rete fortemente a rischio di occlusione
o di netta separazione da una dimensione di fede tutta ripiegata nel sacro rituale e nella risoluta delega di un impegno, da parte di credenti, nel farsi carico delle istanze che vanno emergendo all’interno della società. “Contro la
cultura della protesta, del mugugno, della depressione, della rivalsa, dell’autoconsolazione, della chiusura in se
stessi a doppia mandata… per una cultura della vigilanza ora è il momento della responsabilità”. Così si esprime
il cardinale in un suo opuscolo del 1992 dal titolo provocatorio: Sto alla porta.
La testimonianza autentica del laico come del credente è quella di adoperarsi per la soluzione dei problemi del mondo, a partire dal proprio territorio, ricorrendo a strategie di pace e di raccordo anche con quanti sono
diversi da loro. Il dialogo costituisce la strategia prioritaria per “attivare un’azione sociale e politica volta al bene di
tutti e non al rovesciamento delle autorità legittime, costituite, bensì per suscitare un raduno di popoli sotto il segno della mitezza, della non violenza, dell’amore mutuo, così da realizzare un nuovo modo di essere città”.
E qui il convincente pastore d’anime riconferma la sua posizione di composta ma palese critica ad un’idea di Chiesa strettamente legata al modello del dogmatismo autoritario che può anche infiltrarsi nel mondo della
politica. Tale linea è parte integrante della figura umana e della testimonianza di Cristo di fronte ad ogni forma di
ingiustizia e di rigetto della linea dialogica aperta alla costruzione del bene comune. Non a caso su di lui più di qualcuno seminò zizzania definendolo “frequentatore di prostitute e peccatori”.
Nella fase terminale del suo malessere fisico Martini ricusò nei suoi confronti interventi di accanimento
terapeutico per il prolungamento ad ogni costo della vita. Su tale sua scelta si sono concentrate riflessioni, e critiche
anche, da uomini di Chiesa. Il cardinale ha dato un chiaro segnale di libertà di pensiero che non confligge con la
scelta di fede ma, al contrario, ne rafforza una posizione di prossimità all’umanità più debole che salvaguarda il
principio della libertà anche come presupposto alla scelta di fede. Al malato spetta il diritto primario di optare o
rifiutare il ricorso alle cure a lui proposte per un prolungamento della vita ad ogni costo. È di questi giorni il dibattito acceso su un interrogativo che inquieta e interroga anche il mondo della politica.
Il cardinale Carlo Maria Martini ci fornisce una testimonianza di grande spessore in un momento storico
di sbandamento diffuso quanto a difesa della libertà orientata al rilancio di una società volta al bene di tutti, a partire
dai più deboli. A conclusione una sua dichiarazione recentissima: “Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e il
discernimento degli spiriti”.☺
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Il ricordo è chiaro, non importa il tempo
trascorso: l’altezza da statua
di imperatore romano,
l’incedere maestoso, non
paludato, il capo appena
chino, le mani enormi e il
tocco stranamente lieve, il
tono della voce echeggiante, composto senza alterigia, il sorriso abbozzato di
chi davvero comprende, lo
sguardo profondo degli
uomini grandi.
Quarto Oggiaro,
periferia nord di Milano,
periferia di emigrati e di
gente umile, parrocchia di
Santa Lucia: l’arcivescovo
Carlo Maria Martini impartisce la cresima a una trentina di ragazzini stirati nell’abito nuovo, tanto diverso
dalle tenute consuete da
oratorio, imperlate di sudore, polvere e pallonate.
Ero tra i festeggiati quel giorno ed è questa una memoria che mi
inorgoglisce di gioia. Sembrerà infantile, ma è un po’
come quando in tv, alla
radio, sui giornali si parla di
un evento che hai vissuto di
persona, fosse anche solo
da comparsa, e allora ti
senti importante e pensi
entusiasta “Che bello: io
c’ero!”. La Storia ti attraversa anche così e ti senti
parte di un tutto pulsante.
Ero troppo piccola allora per capire chi fosse
Carlo Maria Martini, qualcosa in più l’ho capita dopo, o molto di recente. Però
mi sono rimaste ben impresse in mente sin da subito le parole afferrate dai
discorsi dei don in parrocchia, che questo era un
vescovo fuori misura, una
statura spirituale rara; per
una strana associazione di
idee, di quei ghirigori che
ognuno di noi produce
cultura
danzare solo nella notte
Luciana Zingaro
diversi dagli altri, quando al ginnasio si leggetervista rilasciata alla BBC pochi giorni prima
va insieme I promessi sposi, Federigo Borrodella morte; vi diceva tra l’altro: “La nostra
meo aveva per me l’immagine e il volto di
cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono
Carlo Maria Martini.
grandi, le nostre case religiose sono vuote e
Mi ha colpito la morte di Carlo
l'apparato burocratico della Chiesa lievita, i
Maria Martini, per la perdita della persona,
nostri riti e i nostri abiti sono pomposi… Il
della ricchezza e dello spessore umano che la
benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il
contraddistingueva, non per il modo in cui
giovane ricco che triste se ne andò via quantale morte è avvenuta, già fatta oggetto di
do Gesù lo chiamò per farlo diventare suo
diatribe inutili e strumentalizzazioni facili. Un
discepolo. Lo so che non possiamo lasciare
esito naturale, invece, in linea con
l’intera vita pastorale di Martini, da
sempre attento al
rispetto della dignità umana quale
fondamento di una
vera evangelizzazione: in occasione
della morte di Piergiorgio
Welby,
Martini aveva invocato
un
“supplemento di
saggezza” nell’uso
foto: Silvio Mencarelli
dei
trattamenti
terapeutici che non giovino più alla persona;
tutto con facilità. Quanto meno però potreminteressato e aperto alle questioni del rapporto
mo cercare uomini che siano liberi e più
tra scienza e fede, vicino ai sofferenti e da
vicini al prossimo. Come lo sono stati il veultimo sofferente a propria volta, citando i
scovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvadue detti di Qoelet “Osserva quel che Dio fa:
dor. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarchi può rendere diritto ciò che ha fatto curci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli
vo?” e “La polvere tornerà alla terra, come
con i vincoli dell’istituzione”.
lo era prima, e l’alito vitale a Dio che l’ha
La risonanza universale di Martini
dato” metteva in relazione quanto scritto nel
sta in quest’attitudine a interrogare e interroQoelet alla condizione che viviamo alla fine
garsi senza posa nello sforzo continuo di
della vita e “al diritto di rinunciare a terapie
promuovere meditazione e cambiamenti
che liberamente scegliamo di valutare spromigliorativi tra i cattolici, e riposa sulla fiduporzionate, come la nutrizione artificiale”.
cia in una feconda interazione tra credenti e
È la vita di Martini a stupirmi assai
non credenti, salda al punto che Martini afferpiù che la morte, il suo magistero pastorale
mò che la differenza maggiore non è tra chi
esplicatosi in luoghi fra loro lontani e in camcrede e chi non crede ma tra chi pensa e chi
pi diversi, dallo studio e dall’esegesi della
non pensa. Ed è questa una differenza che
Parola al dibattito ininterrotto con gli scientaglia trasversalmente credenti e non credenti.
ziati in materia di bioetica, dalla prossimità ai
La cifra sintetica del magistero di
malati all’istanza di rinnovamento rivolta alla
Martini è racchiusa in nuce nella sua prima
Chiesa tutta, specie quella del ricco Nord del
lettera pastorale alla diocesi di Milano, provomondo, specie ai suoi vertici e alle sue gerarcatoria sin dal titolo: “La dimensione contemchie. In proposito, sono una sferzata le parole
plativa della vita”. Una scossa inattesa, se
pronunciate da Martini in occasione dell’insolo si pensa alla destinataria della lettera, la
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città di Milano appunto, allora attivissimo
avamposto della società industriale: Martini,
consapevole e volutamente dirompente, vi
sottolineava quanto l’uomo contemporaneo e
la sua coscienza frammentata richiedano un
baricentro unitario nella disciplina dello spirito, ed evidenziava come lo spazio dedicato
alla contemplazione non diminuisca l’impegno pragmatico, ma se mai lo renda più cosciente e attento, tale il costruttore della parabola di Luca, che prima di iniziare la torre
siede e fa i suoi conti, e con ciò non perde
tempo, al contrario ne guadagna. Nella stessa
lettera pastorale l’educazione al silenzio e alla
preghiera figura quale mezzo per ricondurre
l’uomo al suo “maestro interiore”, al suo
alito divino, solo restando in ascolto del quale, anziché essere distolto dall’agire pratico,
l’uomo trova la “condizione necessaria per
affrontare con qualche probabilità di successo l’impegno politico senza soccombere e
lasciarsi morire di aridità”; è in questo modo
- continua Martini - che “il problema morale
del cristiano in politica non viene vissuto in
una ansiosa misurazione del lecito e dell’illecito, che di solito intristisce l’uomo, facendolo vagare nel minimo lecito e togliendogli
ogni slancio. La moralità può invece essere
vissuta come continuo superamento di sé in
virtù di un fine assoluto e a partire da una
spinta dello Spirito”.
Dopo i funerali di Martini ho ripreso una raccolta di poesie di Davide Maria
Turoldo - li ho sempre collegati come in un
dittico lui e Martini per densità interiore e
potere di pensiero - e mi sono imbattuta in
questa bella strofa:
Tu non sai questa voglia
di danzare
solo nella notte
dentro la chiesa,
tua nave sul mare.
E la quiete dell’anima
e la discesa nelle profondità,
e sentirti morire
di gioia
nella notte.
Sembra scritta per Carlo Maria Martini, o
forse gli sarebbe piaciuta.
A presto. ☺
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arte
scultura mistica
Gaetano Jacobucci
Con le teatrali e struggenti
“Estasi di S. Teresa d'Avila” (1647-1652)
in Santa Maria della Vittoria e il monumento alla “Beata Ludovica Albertoni” (1674) nella chiesa di S. Francesco a
Ripa, opere custodite in queste chiese romane, il grande artista Bernini si misura
nello sforzo di cogliere, nel volto della
santa e della beata, un'espressione di estasi
così pronunciata da far pensare, più che a
personaggi presi dall'esaltazione mistica, a
donne travolte dall'ebbrezza della sensualità; i panneggi delle vesti sono dinamicamente mossi e la forte teatralità dei due
lavori confermata dai componenti della
famiglia Cornero che affacciati al balconcino assistono all'estasi di Santa Teresa e dai
volti di angioletti che contemplano l'ebbrezza della Beata Ludovica.
La sensualità barocca
Tutta la cultura barocca è caratterizzata dall'emergere decisivo della sfera
dell'esperienza. Questo spiega la proiezione nuova, non mutuata da schemi ideologici o religiosi o estetici preordinati, aperta
curiosamente al mondo. Tale rinnovato
significato dell'esperienza si rivolge all'esterno del soggetto, in una realtà che si
schiude misteriosa e ingannevole, straordinariamente ricca di stupefacenti novità.
L'azione profonda della Controriforma
opera all'interno del soggetto, scuotendone
la coscienza e acuminandone il senso di
responsabilità della colpa. Una nuova importanza viene ad assumere l'interiorità
dell’individuo: nel “profondo del cuore”,
nei suoi spazi sempre più bui e sconosciuti
l'uomo del Seicento spinge lo sguardo, vi
scruta tracce di una divinità che pare aver
abbandonato il Cielo e il Libro per ritirarsi
nelle pieghe più intime e umbratili della
coscienza. Ambiente esterno e mondo
interiore, corpo e sensi, originano l'incontro
che si traduce in strumento e criterio d'indagine del sentimento barocco. Con i sensi
il corpo sprofonda nella realtà, percependola nella sua densità carnosa e interrogandone il senso sfuggevole e apparente. Con i
sensi la cultura barocca s'immerge nell'immaginario della coscienza tanto da percepire passione ed emozione lette in tutte le
sfumature e ambiguità, ma anche sperimentare i segni del divino e i modi di costatarne la presenza nascosta.
S. Francesco di Oratino
L'esperienza del sacro spinge a
descrivere e rappresentare la sensualità
mediata dalla trascendenza. L'esperienza
del Bernini si ripercuote nelle varie scuole
della penisola, diventando tendenza esclusiva delle botteghe partenopee. Il linguaggio figurativo e letterario del classicismo si
piega a rappresentare una nuova sensibilità
di trasfigurazione. La vicenda evangelica,
per esempio, della passione di Cristo, viene
messa in contatto con il mito classico e la
sua grande potenza immaginaria. Vengono
accentuati gli aspetti patetici, ma ne sono
declinate tutte le risonanze sensuali. Mentre la pittura “realistica” del Caravaggio
cerca il divino nei corpi, nei gesti delle
mani, le pieghe della pelle, gli sguardi, la
pittura “classicista” di Guido Reni reinterpreta la classicità con una nuova sensibilità
per la luminosità della pelle e per il patetismo silenzioso dei gesti, coniugando iconologia classica e contenuto religioso.
Queste considerazioni mi spingono a contemplare il S. Francesco di Oratino
di Giacomo Colombo, tanto da scoprirvi il
dramma religioso e sensuale in impareggiabile bellezza di stile. Il corpo del Santo
è percorso dall'emozione dell'estasi, mostra
le ferite più per rappresentazione che per
assorto sentimento mistico, il volto rivolto
al cielo nella ricerca, in bilico tra presenza
assenza, tra attimo ed eternità, tra nulla e
qualcosa, diventando un silenzioso depositario di una enigmatica verità, prossima al
divino.
L'opera di Oratino, a mezzobusto, racchiude una tensione verso l'alto,
data idealmente dal Crocifisso che il santo
tiene stretto con la mano sinistra; la mano
destra aperta e protesa in impotente abbandono; l'impostazione frontale lentamente
scivola immergendo il corpo nell'attimo di
essere ferito da invisibile dardo che trapassa di dolore invisibile nell'espressione del
volto e della bocca. ☺
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CAMPOBASSO
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libera molise
democrazia partecipata
Non è semplice condividere la
definizione di “decrescita felice”, perché la
decrescita oggi è l’immagine più cruda della
crisi sistemica nella quale si è cacciato il
capitalismo occidentale, aggressivo, antidemocratico e prospetticamente anche suicida.
La “decrescita” per noi è “infelice”, perché
essa registra la sofferenza economica e sociale di quanti vedono non solo il lavoro ma
anche la propria vita ridotta a estrema precarietà. Il segno evidente di tale rovina sono le
condizioni di vita divenute estremamente
precarie per le classi sociali che fino a poco
tempo fa erano considerate la middle class,
ossia la classe borghese che, appunto, per
colpa di tale recessione sta in realtà scomparendo. La decrescita vuole indicare le prospettive che l’economia contadina - agropastorale - e quella fondata sulla valorizzazione del paesaggio e del turismo possono
riacquistare in quanto basate sul principio
dell’autosufficienza e dell’effettiva
valorizzazione del territorio. In
questo modo supponiamo che trovi
un rigido ostacolo il principio dell’utilizzazione illogica e sine die dei
beni che sono in natura e che l’uomo - il capitalismo cioè - presume
di utilizzare in aeternum.
Dunque, se “decrescita” è
essere costretti a fare una scelta di
vita - agra e misera - differente da
quello che si pensa(va), allora essa
è apertamente antidemocratica, anzi
esprime l’attacco più violento alla
democrazia. A causa della crisi e delle dolorose misure anti-repressive, così come le sta
proponendo il governo delle banche con
Monti presidente, il popolo rischia di accettare tutto quello che gli si dice e gli si propone e così la democrazia partecipata va rovinosamente rotolando nelle sabbie mobili di
un’acquiescenza supina (la teoria della
Shock economy lo sta insegnando molto
bene, purtroppo!).
Nello stesso momento, però, proprio a causa della crisi economica determinata e accresciuta dalle banche, l’opinione
pubblica, italiana e internazionale, riconosce
le condizioni di vita insostenibili nelle quali
essa si trova, suo malgrado, e così è sollecitata a riflettere su questo tipo di capitalismo,
la cui unica preoccupazione è quella di
sfruttare tutte le risorse del nostro pianeta.
Poi, anche alla luce del grave problema
dello smaltimento dei rifiuti, per esempio,
l’opinione pubblica sta convincendosi che
più si produce, più si consuma e più si inquina perché non siamo in condizione di smaltire quanto, in quantità abnorme, noi produciamo. Ecco allora che la scelta della decrescita trae origine da una differente visione
relativa allo sfruttamento delle risorse energetiche del pianeta, che prima o poi finiranno.
Inoltre, la filosofia della decrescita
suggerisce che la società civile - il popolo - e
con essa lo Stato tornino ad essere i veri
sovrani del proprio debito pubblico, riacquistando dignitosa autonomia di decisione e,
di conseguenza, dandosi differenti forme di
partecipazione al fine di fare politica in modo nuovo, mettendo al centro degli obiettivi
del “fare politica” i cosiddetti “beni comuni”.
Ma a cosa, invece, abbiamo assistito in questi ultimi anni?
Abbiamo assistito, già a partire dal 2007/08,
ad una spietata applicazione del cerimoniale
della “punizione” richiesta dalla Germania e
cioè al congelamento delle pensioni, all’allungamento dell’età pensionabile (come se
la salute che accompagna gli adulti a raggiungere, magari, anche 90 anni e passa sia
una iattura o una calamità naturale!), alla
riduzione dei fondi per la prevenzione della
povertà e dell’esclusione sociale, alla riforma del lavoro (abolizione dell’art. 18 dello
Statuto dei lavoratori e parto di un mostro
quale la nuova legge sul lavoro voluta dal
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governo Monti e dai suoi fedeli sostenitori
in Parlamento, Pdl, Pd, Fli). Questo è in
estrema sintesi il quadro complessivo nel
quale ci muoviamo e nel quale definiamo il
senso concettuale e le finalità politiche della
cosiddetta “decrescita”.
Ma la “decrescita” è anche la
volontà di settori della società civile di dare
una risposta da sinistra, quindi anticapitalistica, antiliberistica, ai furori della crisi.
Tale risposta implica la ricerca e
l’applicazione di un tenore di vita dignitoso,
fondato prevalentemente sul soddisfacimento delle esigenze di ciascuno, un tenore
di vita che sia come il risultato di un modello “altro” di sviluppo, sostanziato, appunto,
dall’esigenza di rispettare l’habitat, il paesaggio, il territorio e la sua naturale economia (turismo, agricoltura e filiera corta,
rivisitazione degli antichi mestieri artigianali, abbandono delle grandi città, tornare ad
abitare gli antichi borghi, puntare sull’inclusione degli immigrati, considerandoli come
un “valore aggiunto”).
Ecco, quindi, per noi chiaro il
significato di “decrescita”: da un
lato essa è l’impoverimento di
amplissime fasce sociali, da un
altro è la volontà di allontanarsi da
sinistra dalla concezione di uno
sviluppo, fondato sulla utilizzazione delle risorse del pianeta che
invece sono limitate e che noi non
possiamo sperperare, togliendole
alle future generazioni.
Concretizzare questo programma
(ritorno alle “mitiche” tradizioni di
vita sobria e di economia dello
“scambio”) impone di rinunciare ai megaprogetti che sono sul tappeto governativo
che dalla guerra vanno alle grandi opere e
da queste ad una concezione della politica,
abissalmente lontana, da quella che per
molti di noi è intesa come “servizio”, come
impegno, momentaneamente distolto dalle
normali abitudinarie attività professionali,
limitato nel tempo ma sempre a favore della
collettività. È questo un passaggio obbligato
anche per noi nel (del) Molise, dove c’è
assoluto bisogno di una nuova classe dirigente, più giovane e sicuramente non collusa con il vecchio corrotto potere ex democristiano e oggi berlusconiano…
Ma vediamoli insieme questi
passaggi… ☺
Neòi
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commercio
allarme rosso
Giulia D’Ambrosio
La crisi morde e continua a mietere
vittime. A cadere, in questo periodo, sono
soprattutto i commercianti, piccoli imprenditori che si dedicano alla vendita al dettaglio.
Tra tasse e calo delle vendite sopravvivere,
per molti di noi, è diventato quasi impossibile.
Sembra quasi che il governo abbia
deciso di distruggere il sistema distributivo
delle città. La liberalizzazione degli orari è stato il primo passo, con la convinzione che aprendo la domenica
sarebbero aumentate le
vendite di almeno 3-4 punti
percentuale, secondo le
megaricerche bocconiane
commissionate dalla grande
distribuzione. Invece le
vendite sono crollate del 67% con una perdita del
sistema negozi al dettaglio
che non ha eguali. In Italia si
stima una perdita di circa
150.000 negozi per l’anno
2012. Inutile dire che in
Molise la situazione è semplicemente drammatica.
Altro provvedimento iniquo il
decreto sulle semplificazioni, che contribuirà
ad eliminare i livelli di professionalità soprattutto nel settore alimentare. Dal 14 settembre
con la soppressione degli obblighi dei requisiti professionali per il commercio all’ingrosso
di alimentari, si aprono ampie possibilità per
l’abusivismo commerciale in barba alla tutela
della salute del consumatore e della qualità
del servizio offerto.
Altro provvedimento assurdo,
l’obbligo di pagare con bancomat per acqui-
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sti superiori a 50 euro. Pagare col sistema
elettronico impone costi all’esercente che
variano dallo 0,5% al 2,5% del transato e,
siamo certi, il governo non azzererà mai i
costi delle transazioni. Dunque altro favore
alle banche e meno libertà ai cittadini. Immaginate i nostri anziani abituati a gestire le
poche banconote risparmiando il centesimo!
Se il governo volesse davvero controllare
l’evasione fiscale comincerebbe a ritirare tutte le banconote da 500 euro che
servono a trasferire capitali
ingenti con poco ingombro!
Le transazioni fino a 100
euro a costo zero furono
promesse ai benzinai che
però si sono visti arrivare le
disdette contrattuali dalle
banche ed oggi pagano le
commissioni. Dunque perché chiedere con obbligo di
legge ciò che si potrebbe
ottenere azzerando i costi di
transazione?
Distruggere il piccolo commercio procurerà un abbassamento delle professionalità e dell’offerta
con gravi ricadute sul servizio, sulla competitività della rete distributiva e per i presidi
territoriali che i negozi rappresentano. Come
avrete potuto verificare anche nei centri molisani alle attività di pregio non si sostituiscono
nuove aperture qualificate bensì negozi cinesi, “compro oro”, o locali per ubriacature
notturne.
Nella mia esperienza commerciale
ultratrentennale, per ogni nuova apertura
l’esercente doveva superare un esame, sottoporre l’apertura ad una commissione com-
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mercio che ne valutava collocazione e validità. Tutto questo non era un limite bensì tutela
e rispetto per una categoria.
La mancanza di liquidità delle
famiglie, l’abbattimento di migliaia di posti di
lavoro, i maggiori costi della benzina, per
l’energia, pongono in serio rischio tutto il
sistema economico e sociale. La pressione
fiscale sulle imprese ha raggiunto livelli vessatori e Fare Impresa è diventato veramente
un’Impresa, dobbiamo difendere i nostri
diritti, e non trovare scorciatoie per vivere.
Purtroppo buona parte degli italiani è abituata
a lamentarsi, e ad aspettare il Messia che
venga a salvarli, ma presto anche i più scettici
si renderanno conto che non sarà così. Anche
chi ancora ha “l’orticello” un po’ più florido
degli altri, in queste condizioni incomincerà a
patire e sarà un inverno così duro che ce lo
ricorderemo per anni. ☺
[email protected]
CommercioAttivo, che aderisce per il Molise
a IMPRESE CHE RESISTONO, comitato
nazionale di imprese composto per l’80%
circa da piccole aziende, trasversali alle associazioni ed apartitici parteciperà alla grande
mobilitazione nazionale prevista per il 24
Ottobre a Torino.
spazio giovani
Si continua, in televisione e sui
giornali, ad utilizzare l’aggettivo “fascista”
per riferirsi a persone che, principalmente
in politica, non si preoccupano di misurare
i loro atti e le loro parole, presentandosi in
modo aggressivo e violento. Sicuramente il
fascismo è stato violento. Ma non ci si può
limitare a questo: certamente il fascismo ha
portato frutti positivi su determinate problematiche, nessuno può negarlo.
Ma qual è la specificità di un
regime che vuole essere totalitario? Io la
individuerei in un controllo che ambisce ad
estendere il suo campo d’azione nella maggior parte degli spazi potenzialmente gestibili. Un controllo, appunto, totale, capace
di conferire all’autorità imperante la possibilità di attuare i piani che si propone senza
incontrare ostacoli. La mente delle persone
governate può essere un valido ostacolo.
Per questo il regime mira principalmente e
primariamente a spegnere lo spirito critico
degli individui, per far sì che essi vengano
plasmati secondo le direttive volute. Il
controllo totale, anche sulle menti degli
uomini.
Nel regime fascista questo processo era attuato in modo brillante, quasi
geniale: si tendeva per prima cosa a svuotare le parole dei significati profondi, in
una sorta di eccessiva (quindi distruttiva)
semplificazione. Le parole venivano usate
in modo semplice e immediato, il linguaggio subiva uno snellimento notevole. Per
rendere l’idea di cosa questo significhi (c’è
una vasta bibliografia sull’argomento) si
può pensare a termini grammaticalmente
astratti, come ad esempio la parola
“libertà”: il regime la semplifica rendendola concreta, utilizzando l’aggettivo “libero”
nel suo significato più pratico (“oggi sono
libero da impegni”). La complessità del
termine, quindi, è trattenuta dai gestori del
potere, al popolo resta un termine ormai
vuoto del suo significato radicale, di cui
deve rimanere assolutamente all’oscuro,
altrimenti il rischio della formazione di
posizioni critiche sarebbe nocivo per uno
sviluppo indisturbato del regime.
il senso critico
Luca Sauro
Semplificazione del linguaggio,
una dinamica apparentemente innocua, ma
terribilmente funzionale. I nostri governanti lo sanno, per questo quando da loro viene utilizzato il termine “fascista” mi allarmo: se lo si usa come sinonimo di
“violento” la parola subisce una semplificazione eccessiva e pericolosa, in quanto
perde quella parte del suo significato che è
invece fondamentale, ovvero quella descritta sopra: il fascista non è semplicemente chi usa un linguaggio violento, il
fascista vuole un controllo totale sulla tua
persona, sulla tua testa.
Se si continua ad usare superficialmente l’aggettivo “fascista”, si cade
nella trappola che, paradossalmente, è
contenuta in questo stesso termine: ci permette di utilizzare un linguaggio più semplice, ma ci espone al controllo di coloro
che ne conoscono la complessità. Certo, il
linguaggio che tiene conto della complessità dei termini, del loro reale significato e
della loro etimologia è poco attraente, anzi,
è noioso, difficile e faticoso; a tratti può
diventare oscuro, e per fare chiarezza si
dovrebbe addirittura aprire il vocabolario.
E se invece è più oscuro il linguaggio semplice e piacevole, in cui non
guasta ogni tanto anche qualche parolaccia,
quel linguaggio che la televisione vuole
insegnarci? Se la risposta è positiva, come
temo, allora c’è urgente bisogno di capire
quando la semplicità è sinonimo di controllo. Per fare ciò, non ci resta che acquisire
quel senso critico che ai potenti fa così
paura, senza lasciarsi spaventare dalle difficoltà. ☺
[email protected]
Via Marconi, 62/64
CAMPOBASSO
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libera molise
pentiti e collaboratori
Franco Novelli
Il collaboratore di giustizia: quali le
sue motivazioni e quale il suo ruolo?
La figura del “pentito” e la parola
“pentitismo” sono espressioni che facciamo
risalire alla metà degli anni Settanta e primi
anni Ottanta del secolo scorso, all’epoca della
lotta dello Stato contro il terrorismo. In quel
periodo si considerava il termine “pentitismo” in chiave molto negativa, perché esso
era accomunato al concetto di “delazione”, di
“ruffiano”, di “traditore”; infatti, si partiva dal
presupposto che se lo Stato avesse dovuto
sconfiggere il terrorismo di sinistra - in quegli
anni lo Stato si preoccupava molto di meno
dell’eversione stragista di destra! -, avrebbe
dovuto farlo senza il ricorso ad una strategia ambigua come quella della delazione.
Oggi si valuta in maniera molto differente
il concetto del “pentitismo” e/o della
“collaborazione” con la giustizia, in quanto
l’attacco frontale alle regole democratiche
e alle norme costituzionali scritte nel 1948
viene sferrato dai poteri forti della finanza,
da quelli delle mafie, dai loro fiancheggiatori, noti con il soprannome di “colletti
bianchi”. Di qui, oggi, una diversa lettura del
fenomeno del pentitismo e delle collaborazioni con la giustizia che si giustifica soprattutto allo scopo di arginare e sconfiggere la
volgare incultura e la dolorosa presenza delle
mafie.
La cosiddetta Legge Cossiga del
Febbraio del 1980, decreto legge nr. 625 del
15 dicembre 1979, ha introdotto le prime
norme che prevedevano sensibili diminuzioni
di pena per i terroristi che si dichiarassero
disposti a collaborare con le forze dell’ordine
e con la magistratura nelle indagini che questa riteneva indispensabili nella lotta al terrorismo. Fin dai primi vagiti della legge nr. 625-
20
/’79 i risultati sono apparsi soddisfacenti,
anche perché essa apriva un grosso dibattito
politico nel Paese circa l’”eticità” di norme
che andavano a premiare la delazione. Poco
dopo e precisamente nel maggio del 1982
veniva approvata la legge nr. 304 - la cosiddetta “legge sui pentiti” - che prevedeva una
serie di casi di non punibilità per varie forme
di “recesso” da associazioni terroristiche,
attenuanti di pena per altri casi e benefici di
vario genere come la libertà provvisoria, la
sospensione condizionale della pena o la
riduzione di 1/3 della pena per chi collabora-
va con la polizia o con la magistratura nella
raccolta di prove decisive per l’individuazione e la cattura dei colpevoli. Poi c’è stata la
legge nr. 34 del 18 febbraio 1987 che ha
introdotto benefici speciali per i terroristi che
si dissociavano dal terrorismo. Il successo
dello Stato sul terrorismo, grazie al pentitismo di quegli anni, ha potuto determinare un
ampio movimento di opinione che apertamente apprezzava l’uso del “pentito” in funzione antimafia. Nel corso degli anni Ottanta,
in concomitanza con i maxi processi alla
mafia, il numero dei collaboratori di giustizia
è cresciuto tanto da spingere il legislatore a
emanare una normativa che bene cominciasse a regolare il fenomeno della collaborazione di giustizia,
quindi del pentitismo
contro tutte le mafie.
Di qui è scaturita la
legge nr. 82 del 15
marzo 1991, voluta da
Giovanni Falcone, dal
Pool dei magistrati
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palermitani guidati da Nino Caponnetto, dalla
polizia giudiziaria.
La legge nr. 82/’91 riconosce un
regime di particolare favore di cui possono
beneficiare i collaboratori di giustizia sotto il
profilo della protezione, dell’assistenza, sotto
quello processuale nonché penale e penitenziario.
Il 13 febbraio 2001 il Parlamento
ha approvato una nuova legge, la nr. 45/2001
che ha tentato di razionalizzare il sistema di
protezione al fine di eliminare gli inconvenienti emersi negli anni precedenti.
Ricordiamo che si aprì negli anni
Novanta del secolo scorso un poderoso dibattito circa la eticità o meno del “pentimento”.
Il legislatore (e noi con lui), a conclusione di
dibattiti pubblici molto partecipati, ha tenuto
presente come essenziale per una società
laica semplicemente l’aspetto civile (anche
se utilitaristico) del pentimento e la ricerca
nonché l’individuazione delle reali motivazioni di ordine psicologico che determinano tale scelta. Per cui il termine
“pentimento” ha di fatto indicato (ed indica, comunque) l’atteggiamento di collaborazione di un imputato nei confronti della
giustizia e dei problemi giudiziari che ne
derivano.
A questo punto ci chiediamo quali
siano i soggetti che intervengono nel procedimento di protezione dei collaboratori di
giustizia. In sintesi estrema li elenchiamo,
non soffermandoci in questo ambito ad indicarne i compiti, le attribuzioni, le strutture di
protezione.
Il ministro degli interni ogni sei
mesi presenta una relazione al Parlamento sui
programmi di protezione, sulla loro efficacia
e sulle modalità di applicazione; il ministro
della giustizia collabora strettamente con il
ministro degli interni nell’emanazione di
norme che regolamentano la gestione dei
collaboratori di giustizia, detenuti nelle carceri; l’autorità giudiziaria, il capo della polizia,
la commissione centrale, il servizio centrale
di protezione, il procuratore nazionale antimafia.
Il servizio centrale di protezione è
l’organismo operativo della commissione
centrale; svolge una funzione di “schermo
protettivo” del soggetto tutelato e funge da
filtro tra le amministrazioni interessate e il
collaboratore di giustizia per garantirne la
sicurezza, attraverso l’anonimato; ha una
struttura centralizzata a Roma e nuclei opera-
libera molise
tivi periferici che operano sul territorio e sono
i cosiddetti NOP, ossia i nuclei operativi di
protezione. I NOP sono circa 450/500 in
Italia e sono composti da militari che tutti i
giorni si confrontano direttamente con i problemi delle persone sottoposte a protezione
(dei rapporti che intercorrono fra i NOP e i
soggetti sottoposti a protezione parleremo in
altra occasione).
Quando un soggetto entra in un
programma di protezione vede profondamente cambiata la propria vita quotidiana:
infatti, deve vivere clandestino a se stesso,
cambiando il nome. Inoltre, il collaboratore di
giustizia viene sottoposto ad un codice di
comportamento al quale deve assolutamente
rimanere fedele, altrimenti mette in discussione il programma stesso. È spesso accaduto
che un collaboratore di giustizia, sentendosi
solo, abbandonato, con i problemi di famiglia irrisolti, abbia concesso interviste o conferenze stampa non concordate, contravvenendo al programma e mettendo in questo
modo seriamente in pericolo di vita se stesso
e la sua famiglia. In genere, è la mancanza
della scorta, quando egli è ai domiciliari
“anonimi”, la molla che fa scattare la paura,
la sensazione dell’abbandono e quindi una
risoluta contrapposizione al programma
condiviso e stabilito da entrambe le parti
(Ministero e collaboratore di giustizia).
Oggi il numero dei collaboratori di
giustizia è visibilmente calato, perché essi
avvertono che il progetto iniziale di reinserimento sociale delle persone nel tessuto produttivo della società sta conoscendo una fase
di stallo e forse di crisi imprevista. La crisi
economica sta letteralmente modificando le
progettualità governative antimafia, sta distraendo l’esecutivo nazionale e il parlamento
dall’impegno prioritario che una società civile deve poter concretare e cioè il culto della
legalità.
Anche per queste ragioni la corruzione in Italia oggi ha raggiunto il suo punto
più alto e con essa anche il discredito verticale della politica ha determinato un netto rallentamento delle tensioni civili verso la prassi
della legalità e della lotta alle mafie. Infatti, la
cosiddetta “massa grigia” costituisce una
delle metastasi tumorali più pericolose per la
nostra società civile e la cosa più grave è che
tali metastasi appaiono allo stato attuale
“incurabili”.☺
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posta
Caro Pasquale,
la nostra vecchia amicizia e il mio ruolo all’interno della
diocesi di Termoli-Larino, ormai in scadenza, mi impongono di esprimere un parere sui tuoi
articoli dal titolo: “Gli affari della Chiesa” e “Quanto ci costa la chiesa al tempo di Iorio”; afferenti la zona grigia tra affari, politica e fede.
Colpisci senza pietà e con lo spirito del giornalista d’assalto un nervo scoperto, un punto
debole dell’azione “non pastorale” della Chiesa Locale.
Non sono in grado di entrare nel merito di quanto affermi, ma sicuramente cogli nel segno
quando scrivi che a 45 giorni dalle ultime votazioni era quanto meno inopportuno firmare con
Iorio e pubblicizzare quella foto dei 4 vescovi con il presidente. Nessuno sa quanto te cosa rappresenti Iorio per il Molise e quanto potere abbia. Il volto della Chiesa povero e per gli impoveriti
quel giorno non ha fatto alcun passo avanti! I tentativi di sollecitare uno stile più sobrio nei confronti del potere sono stati molteplici, ma forse infruttuosi.
Non concordo con il tuo stile, ma rispetto chi, da battezzato, ha sognato una Chiesa diversa
e dalla parte degli indifesi. È sotto gli occhi di tutti la non estraneità alla campagna elettorale di
allora, di quella notizia che doveva essere quanto meno non strumentalizzata a fini politici. Ma
l’inopportunità è pur sempre un segnale che va colto nel suo significato profondo. Tutto questo è
quanto di più lontano ci possa essere dall’azione pastorale dei presuli e di quanti si adoperano,
nel silenzio, per la carità nella verità; questa sì meriterebbe un’attenzione da parte dei media.
Non voglio cadere nelle solite difese della Chiesa, ma anzi ringraziarti per aver sollevato
una questione che ha un suo fondamento, al di là dello stile discutibile. So che la tua onestà intellettuale è più forte della sempre rischiosa strumentalizzazione giornalistica e conosco e rispetto la
tua passione per la giustizia, ma la verità ha mille sfaccettature. Cogli nel segno anche quando
chiedi un confronto che non ricevi, ma nella Chiesa che io conosco il confronto e la parresia sono
un dono di Dio e un’azione rara dell’uomo.
Faccio mie le parole di un vescovo che amo molto, Tonino Bello, e che penso ameresti
anche tu: “I nostri linguaggi si sono normalizzati, le nostre azioni non hanno nulla di eccentrico,
le nostre decisioni non hanno il soprassalto dell’estro”. Agli apostoli, nel giorno di Pentecoste, la
gente sbalordita diceva, beffandoli: “Sono ubriachi di mosto dolce”. Nessuno ferma per strada i
cristiani di oggi per rimproverarli di essere “sbronzi”. Sempre Tonino Bello, diceva:
“Occorrerebbe poi pensare al tema dei nostri compromessi col potere: quante volte la paura di
perdere i privilegi ci blocca la profezia sulle labbra, se pur non ci rende complici di tante ingiustizie consumate sulla pelle dei poveri!”.
Ignazio Silone scriveva: “T’immagini tu il Battista offrire un concordato a Erode per sfuggire alla decapitazione? Ti immagini Gesù offrire un concordato a Ponzio Pilato, per evitare la
crocifissione? Non c’è più il brivido della passione. Lo stesso capita ai militanti dei partiti politici”. Spero tu possa partecipare alle mille iniziative
di riflessione, confronto, preghiera, azione e denuncia che anche in questa Chiesa locale esistono
seppur con i limiti umani.
Un abbraccio affettuoso da un amico.
Antonio De Lellis
mi abbono a
la fonte
perché
chi la fa, l'aspetti.
chi non la fa, si purghi.
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convivialità delle differenze
paura - fastidio
vescovo?
Antonio De Lellis
Aldo Antonelli
Le retate a danno dei migranti si consumano a Termoli, come
altrove, e si inseriscono in una strategia di semplificazione della realtà:
una strategia di spostamento del locus e del focus del problema che si è
verificata anche a Termoli. Mentre i giovani parlavano di ambiente,
accoglienza, ecomafia, lavoro e futuro, da un’altra parte venivano espulsi soggetti, prevalentemente rumeni, perché poveri e disturbatori
del decoro urbano. L’ennesima ambivalenza.
Ma noi chi siamo per poter cancellare la norma etica, prima
ancora che cristiana, dell’ospitalità e dell’accoglienza? Se non c’è passione per la vita, allora prevale il “recinto”, il fastidio, il desiderio di
sicurezza. Ma la prima sicurezza non dovrebbe essere il lavoro per
tutti? Non dovrebbe essere l’onestà e la giustizia? Chi siamo noi per
dire che questo territorio è nostro e quindi gli stranieri devono essere
cacciati? Nessuno è straniero, ma parte di unica famiglia umana, di
un'unica terra. “Accoglilo a casa tua” è stato autorevolmente affermato!
Bene, già fatto! Nessuna accoglienza lascia più poveri, ma arricchisce
immensamente. E se sono ubriachi molesti? Bene, vi sono luoghi e
spazi di accoglienza anche per queste persone dove essere rieducati al
rispetto di stessi e degli altri. È sotto gli occhi di tutti anche la principale
conseguenza dello slittamento semantico paura-fastidio: succede che si
è passati dal provare paura per ciò che non si conosce al provare fastidio per ciò che si considera inferiore. All’asse NON CONOSCENZAPAURA si è sostituito da tempo l’asse SUPERIORITA’-FASTIDIO.
È su questo terreno che nelle città, nelle periferie come in pieno centro,
fiorisce in quantità industriali quella domanda di sicurezza che il ventre
molle del Paese da sempre riferisce alla difesa dei propri interessi e non
alla costruzione della convivenza civile. E invece, lo abbiamo detto e
ridetto per anni ogni volta che ci è stata data la possibilità di farlo, è
sicura la città che si-cura! La sicurezza di una città dipende dalla sua
capacità di prendersi cura di se stessa, della sua gente, dalla sua capacità
di provvedere alla sua salute.
Il termine Shalom, nel suo senso originario, indica la totalità
(insieme, completo, unito, non frammentato), e poi anche il bene, l’integrità: la Bibbia tratta di tutta la persona, di tutto il popolo, di tutto il
mondo, di tutta la terra. Che si sappia: non c’è sicurezza se questa non è
per tutti. La domanda di sicurezza si fonda invece sulla separazione,
sull’apposizione di un confine tra chi deve essere protetto e chi - in virtù
di menzogna, stereotipo, o ipocrisia - deve essere tenuto sotto controllo.
“Il potere è una forza che, dall’interno, crea la forma della realtà: il
potere non ri-produce la realtà, ma la produce” ci ricorda Foucault.
Ciò facendo, il potere stabilisce la verità. Più precisamente: esso fissa i
rituali di verità, il che significa: la questione che ci riguarda (che dovrebbe riguardarci) non è quale o dove sia la verità, ma “in base a quali
giochi essa si forma”.
Oggi più che mai ciò è vero e la questione è urgente. La verità
non è sostanza ma solo comunicazione ed è per questo che l’appello ai
termolesi, voluto dai giovani studenti, ha una straordinaria valenza
perché comunica che c’è una città che fa cultura, che sa, in ultima istanza, prendersi cura dell’umanità.☺
[email protected]
Mi capita ancora di incontrare delle persone che salutandomi mi danno
del "MONSIGNORE", magari inchinando anche la testa. Mi fanno
imbestialire e, a seconda dei casi, rispondo per le rime.
Qualche altro, ancora, impudentemente e impertinentemente mi chiede
quando mi faranno vescovo. Al che rispondo che la sola proposta la
riterrei una offesa. Sì, una offesa. Andrei in crisi e mi chiederei dove
avessi sbagliato.
Il potere, anche quello ecclesiastico, coopta solo le persone manovrate e
manovrabili. Il potere, eccetto rare eccezioni, perpetua se stesso attraverso coloro che si prestano a fare da Portavoce, da Megafoni, da Ricetrasmettitori. Guai a dire parole non sue. "Il potere corrompe. Il potere
assoluto corrompe in maniera assoluta", scriveva Lord Bacon. Soprattutto il potere non accetta che qualcuno possa pensare un pensiero diverso dagli pseudopensieri che esso partorisce e che impone come
"PENSIERO UNICO" PENSABILE. Ed allora sono felice di essere quel che sono,
geloso della mia libertà e
orgoglioso di poter parlare
sine glossa e non dietro dettatura né sotto dittatura!
Capite allora con che gioia e,
direi, con che piacere ho potuto leggere queste parole del
Card. Martini, dette in un
corso di esercizi spirituali
nella casa dei Gesuiti di Galloro nel 2008. Un piacere quasi viscerale.
Ebbe a dire: "Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la
carriera. Questo è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in
quella ordinata secondo gerarchie, perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo
quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande
disservizio al papa stesso". E ancora: "Purtroppo ci sono preti che si
propongono di diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non
parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore.
Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al
cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo
richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia.
Ma chi ne esce è libero". ☺
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convivialità delle differenze
L'art. 3 della nostra Costituzione
afferma che “Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali. È compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando
di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
In realtà coloro che vivono un
disagio sociale rappresentano una categoria
di persone che dà fastidio ai potenti solo per
il fatto di esistere. Il cittadino anziano in
difficoltà disturba quando, ultimati gli ammortizzatori sociali, chiede il lavoro o, in
alternativa, la pensione. Il lavoratore giovane, precario o a basso reddito, infastidisce
quando contesta un sistema pensionistico
che gli garantirà solo il 50% del salario
percepito. La persona non autosufficiente
diviene incomoda, quando chiede che vengano assicurate risorse finanziarie utili a
garantire l'assistenza socio-sanitaria presso
il proprio domicilio. L'utente della sanità,
costretto ad attendere mesi per una visita
specialistica, disturba perché non comprende le difficoltà del sistema sanitario: d'altra
parte molti altri, con un reddito più alto,
risolvono il problema con le prestazioni a
pagamento. Il genitore o l'insegnante che
contesta il sovraffollamento delle classi, la
mancanza di sicurezza delle strutture o la
carenza di materiale didattico, diviene noioso ed inopportuno. I residenti dei quartieri
degradati e privi di servizi sono cittadini
senza diritti di cittadinanza: ogni sollecitazione diviene la rivendicazione di chi non
capisce le difficoltà finanziarie del momento. Gli immigrati danno fastidio quando
chiedono all'Italia, dopo anni di permanenza
e di duro lavoro, il riconoscimento della
il fastidio dei bisognosi
Antonello Miccoli
cittadinanza italiana mentre il disturbo è
vamente che il vangelo non è né progressicausato da chi, dopo aver depredato le
sta e né conservatore. Il vangelo incita semricchezza naturali dei paesi di origine, conplicemente a perseguire la giustizia e a dare
sidera non utile considerarli cittadini del
voce agli ultimi. A considerare primi promondo.
prio coloro che i poteri forti della società
La Costituzione viene così svuovorrebbero zittire in nome di idoli estranei
tata e resa innocua: i potenti hanno sempre
alla dignità dell'uomo. ☺
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ragione (la loro è la forza della verità di
parte). In tal modo non si violano solo i
dettami Costituzionali, ma si negano i
principi stessi del
diritto naturale: il
diritto alla vita ed il
diritto alla libertà.
Chi vive infatti nel
bisogno non è mai
un uomo totalmente
libero.
Vi è poi
un'ultima negazione:
una negazione di
ordine spirituale che
vorrebbe far credere
che la presenza di
Dio nel mondo sia
quasi super partes.
Un Dio dei poveri e
La mareggiata del giorno
un tumulto di genti.
degli umili lascia il
cavalca
senza
tregua
la
notte
L’eco della tempesta dilatato
posto all'idea che la
e
rumoreggia
nella
stanza.
in un “crescendo” di eventi
devozione
possa
S’ode
da
dietro
la
collina
nel tempo e nello spazio.
essere solo formale e
come
di
torrente
in
piena.
In alto minacciose
non fastidiosa, un
Controcanto il ticchettio
corrono le nubi.
Dio istituzionalizzadi
un
orologio
a
corda.
Solcano di traverso il mare
to, molto caro ai
Nel
dormiveglia
che si tinge di bianco
potenti ad ai sostenipare
ascoltare
quando la luna
tori di un liberismo
un
armeggiar
lontano,
tra gli squarci appare
senza regole. È ora
un
rombo
di
aeroplani
e vagabonda fugge.
di affermare definitiLina D’Incecco
mareggiata
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storie di vita
care zie di bonefro
Scusate se vi chiamo così come
fanno i bambini, sono Leonardo di San
Severo.
Mia madre mi racconta che alla
mia nascita volevo già scoprire il mondo,
tanto che non riuscì ad arrivare in ospedale
per il parto. Ho trascorso un’infanzia tranquilla; quattro figli, papà che lavorava,
mamma in casa con nonna. A otto anni già
andavo in campagna per la raccolta dei
pomodori, insieme ai miei fratelli. Finita la
scuola media dissi a mamma che volevo
lavorare perché non avevo la testa per studiare e speravo così di portare i soldi a
casa. Ero un ragazzo, avevo voglia di fare
esperienze; non potevo stare recluso, come
voleva mio padre, che mi definiva “la pecora nera” della famiglia, e giù botte e
castighi per raddrizzarmi. Ma io volavo.
E infatti da militare feci il paracadutista. Lì ho conosciuto la vita, l’emancipazione. Mi sono appassionato ai figli dei
fiori, alla lotta degli studenti. Mi feci un
tatuaggio e il mio primo spinello. È stato
uno sbaglio perché, tornando a casa, mio
padre mi vide e mi disse: “Tu non sei più
mio figlio, vattene!”. Io pensavo che me lo
dicesse per rabbia e invece non si è mai più
calmato. Mi cacciò di casa e iniziò il mio
calvario. Decisi di andare via dal mio paese. Credevo che la lontananza mi riavvicinasse; con la famiglia sì ma con lui ormai
era guerra. Quando vidi che non si poteva
far nulla iniziò la mia depressione, il cuore
si spaccò in due, lasciai metà a mamma e
metà a me. Dopo quindici anni cercai di
ritornare come il figliol prodigo ma lui non
ha mai ammazzato il vitello grasso. La
depressione mi sconvolse e l’unica medicina che calmava il mio pianto era lo spinello purtroppo!
24
L’euro fece aumentare il costo
della vita e così tornai di nuovo a casa, ma
mio padre non ne volle sapere. Presi una
casa in affitto ma certe amicizie mi fecero
finire nei guai con la legge. Grazie a mia
madre rientrai a casa con i domiciliari ma
poi a causa di un litigio con mio fratello
trascorsi la vigilia di Natale da solo. Mi
convinsi che mio padre non mi voleva e
capii che lo sbaglio era essere nato. C’erano situazioni intorno peggiori delle mie ma
lui non mi riaccolse perché mi diceva che
avevo disonorato il nome.
È un anno che sto in strada, l’unica forza che ho per andare avanti è che
quando mi creo delle amicizie mi apprezzano. Loro vedono che io cerco di aiutare
un po’ tutti almeno moralmente e mi chiamano zio Leo. Io non sono mai stato un
santo: all’inizio ho pensato all’autodistruzione, volevo farla finita ma non è la mia
natura. Il distruggermi mi ha portato in
carcere e lì mi sono inventato la teoria del
bambino appena nato: all’inizio piange
sempre come mi capita, ma poi tutt’a un
tratto si mette a ridere ed è quello che voglio iniziare a fare io. In carcere mi sono
messo di fronte alle mie paure più brutte
ma lì ho trovato degli uomini che mi hanno
fatto da padre insegnandomi la teoria del
carcerato: quando stai male, ma veramente
male, guarda chi soffre e aiutalo perché il
dolore che tu togli a lui è lo stesso che togli
a te.
L’avventura durò venti giorni e
tutto ad un tratto mi sono ritrovato a Bonefro; pensavo di andare in una comunità di
recupero e invece mi ritrovo in una casetta
da solo, nel villaggio dei terremotati, senza
nemmeno la radio e la
televisione. Comun-
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que devo ringraziare Giuliana l’avvocato e
Francesca di Pax Christi. Il giorno dopo
viene don Antonio e mi dice: “Qua non
devi fare niente, devi solo respirare il profumo della libertà e guardarti i tramonti”.
Mi sono detto: “Sempre solo sono!” e Dio
mi ha mandato il migliore amico dell’uomo per compagnia, anche se per voi care
zie è un po’ fetentone, e con lui ho visto
tutti i tramonti. Mi teneva compagnia e
veniva a prendersi le carezze. Il secondo
giorno ho detto: “Ho poco cibo” e Dio mi
manda le migliori mamme che un figlio
possa desiderare: ognuno di voi mi porta
qualcosa da mangiare. Antonietta, Teresa,
Carolina, la signorina Rosetta e tante altre
di cui non so neanche il nome, ma che
importa saperlo avendo conosciuto la vostra bontà di cuore. Non mi conoscevate,
sarebbe stato giusto se dicevate: “Ma quello è un delinquente, restiamo a casa, se la
veda il prete!”. Ma in questo posto anche i
bambini sanno dare amicizia e bontà: Antonio, la sua sorellina, il padre Carlo, Giuseppe. Voi non mi conoscevate, è vero, ma
mi avete accolto. Ero in una stanza al buio
e voi mi avete dato una finestra per guardare il sole e fare entrare aria fresca nella mia
vita, e una porta per uscire a giocare nel
mondo. L’ultima messa che ho fatto con
voi è stata la prima volta che ho pianto di
felicità.
Voi mi avete insegnato l’amore
per il prossimo, il sorridere ai guai, e non
mi conoscevate. Non mi avete chiesto
niente, non so cosa darvi in cambio ma vi
prometto di cercarmi un lavoro, di formarmi una famiglia e forse avere dei figli. Don
Antonio e voi mi avete riaperto una porta
che io avevo chiuso da tanto tempo, quella
che si affaccia alla vita. Grazie di cuore,
care mamme.
Leonardo
le nostre erbe
La pianta del fico (Ficus carica L.)
proviene dalla Caria, una regione dell'Asia
Minore, come si evince dal nome della specie
carica. Testimonianze della sua coltivazione
risalgono già alle prime civiltà agricole di
Mesopotamia, Palestina ed Egitto, da dove si
diffuse successivamente in tutto il bacino del
Mediterraneo. La Bibbia cita il fico innumerevoli volte e di certo questa pianta è più
antica di Adamo ed Eva, che ne utilizzarono
le foglie per coprirsi dopo il peccato originale.
Ma il fico trova spazio anche nella cultura
greca: Omero decanta i suoi dolci frutti nel
giardino di Alcinoo e tra i consumatori più
illustri si annoverano Platone, soprannominato “mangiatore di fichi”, Democrito e Zenone; per quest'ultimo
pare che i fichi fossero l'unico cibo.
Nell’antica Roma il
fico è addirittura
l’albero sacro, presente nel mito delle
origini. Secondo
Plutarco, la cesta
con Romolo e Remo abbandonata
alla corrente del
Tevere, si arrestò sotto il fico ruminale
(chiamato così dalla dea Rumina, che presiedeva all’allattamento) e lì i due gemelli furono allattati dalla lupa.
Il fico è una pianta dei climi temperati, appartenente alla famiglia delle Moracee.
Data l'elevata rusticità, la coltivazione del fico
è possibile in tutti i terreni della nostra penisola, a volte anche lungo i corsi d'acqua, come
ci ricorda quel detto proverbiale proprio di
Bonefro:
'a fíqu're 'n'gande 'u uellone:
chiunghe passe ettende 'u verdone.
Da un punto di vista metaforico, il detto significa che tutti sono portati a giudicare ciò
che si trova in una posizione 'esposta', come
coloro che, passando accanto ad un fico che
una pianta dai dolci frutti
Gildo Giannotti
sorge in prossimità di un luogo trafficato,
sono spinti a toccarne i frutti per saggiarne il
grado di maturazione.
Nella fase che precede la sua maturazione, il frutto racchiude all'interno piccolissimi fiori unisessuali. La loro fecondazione
non sarebbe possibile senza la singolare simbiosi tra un insetto e una varietà di fico. L'insetto, appartenente alla stessa famiglia delle
vespe e lungo non più di due millimetri
(Blastophaga psenes), vive infatti
all'interno del frutto
del caprifico, a
partire dal quale va
a fecondare il fico
domestico, entrando e uscendo attraverso
l'ostiolo,
unica apertura del
frutto stesso. Il
caprifico è una
specie di fico non
edule, che nasce spontaneo sui muri e nei
posti più impensabili, e per questo è detto in
dialetto 'a fiqu're pazze, ma svolge in realtà
una funzione insostituibile per la fecondazione. Con la successiva maturazione, si formeranno i semi, ed il frutto, commestibile, si
riempirà di succo gelatinoso e dolce. Il frutto
del fico, botanicamente, è una grossa infruttescenza carnosa, detta siconio, ricca di zuccheri a maturazione raggiunta. Le uniche due
varietà che non ricorrono all'opera di questo
insetto sono la Dottato e quella detta Del
vescovo, in quanto si riproducono per partenogenesi, ovvero senza formazione dei semi.
Ma le varietà coltivate sono diverse
centinaia. Esse vengono classificate secondo
l'epoca di maturazione, il colore della buccia,
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la destinazione della produzione oppure il
numero delle fruttificazioni annue. Infatti
esistono quelle unifere, che hanno una sola
maturazione all'anno, e le bifere, che producono, invece, in due volte (i fioroni, 'i prime
fíqu're, e i forniti, 'i s'conde fíqu're). Le varietà più rappresentative del nostro territorio
appartengono tutte al secondo gruppo e sono
'a g'ndile, 'a carlendine, 'a san Giach'me, 'a
f'curelle nere, 'a bbottep'zzende, 'a culombe,
'a turterelle...
Oggi, del fico si apprezzano essenzialmente le qualità alimentari. Dal punto di vista
nutrizionale, però, bisogna distinguere il fico
fresco da quello secco. Il primo è un frutto
che contiene zuccheri facilmente assimilabili
(11-12%) e una buona quantità di minerali
(soprattutto potassio, calcio e ferro), mentre è
poco fornito di vitamine. È un alimento nutriente, facilmente digeribile e per questo è
raccomandabile nell'infanzia e nell'adolescenza e in tutti quei casi in cui sia necessaria una
fonte di energia rapidamente utilizzabile. Il
fico secco, rispetto a quello fresco, diventa
quasi un altro alimento: il contenuto di fibra
aumenta di cinque volte e lo rende eccellente
per mantenere regolato l'intestino pigro. Un
etto di fichi secchi copre il 20% del fabbisogno giornaliero di calcio e apporta all'organismo il 30% del ferro necessario ogni giorno.
Inoltre è ampiamente sperimentata l'utilità del
decotto di fichi secchi, confezionati dalle
nostre parti nei cosiddetti sp'rchiale. Per un
buon decotto occorrono 50 grammi di fichi
secchi, spezzettati e bolliti per dieci minuti in
un litro d'acqua. Questo decotto svolge un'azione benefica nelle infiammazioni delle vie
respiratorie e urinarie, nelle gastriti e nelle
coliti.☺
[email protected]
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un film, un libro, una canzone ...
sulle guerre dell’acqua
Alessia Mendozzi
Un tema sempre attuale, quello
dell'acqua, del suo sfruttamento eccessivo,
della privatizzazione e delle guerre per
accaparrarsi una delle risorse vitali del
pianeta. Come si è giunti alle emergenze
idriche, al porre l'acqua allo stesso livello
di qualsiasi altro bene economico, al considerarla il nuovo 'petrolio' e a parlare di vere
e proprie guerre per il possesso di essa?
Questi e altri aspetti del problema sono
analizzati in diversi documentari, libri,
inchieste e canzoni, come quelli che seguono.
Un film: Blue Gold - Le guerre
dell'acqua
titolo originale:
Blue Gold World
Water
anno:
Wars,
2008, origine:
Canada
Basato sul libro
Oro blu. La battaglia contro il
furto mondiale
dell'acqua: come
non
esserne
complici di Maude Barlow e Tony Clarke,
il documentario esamina diversi aspetti
legati all'acqua. Dalla distruzione eccessiva
delle paludi (essenziali nel processo di
purificazione), ai tentativi di reperire acqua
dolce con i processi di desalinizzazione,
dalle differenze di costo tra acqua in bottiglia e acqua del rubinetto, fino alle storie di
attivisti contro le privatizzazioni selvagge.
Un quadro che offre notevoli spunti di
riflessione su quello che è e sarà il problema più importante dei giorni nostri: l'approvvigionamento d'acqua.
Un libro: Le guerre dell'acqua
di: Vandana Shiva, anno: 2004,
casa editrice: Feltrinelli
Quale sarà l'oggetto che farà scaturire le prossime
guerre? Non il
petrolio e nemmeno l'oro, bensì
l'acqua. In realtà, i
conflitti per reperire questo elemento essenziale alla vita sono già in atto in molte parti
del mondo e già da diverso tempo. Conflitti
tra chi non ha diritto all'accesso all'acqua,
chi ne consuma troppa e chi vuole impadronirsene. Vandana Shiva analizza in questo
libro diversi aspetti del problema. Dal diritto all'acqua al controllo delle multinazionali, fino ai consumi agricoli e alle acque sacre. Per avere una visione globale e dettagliata della questione.
Una canzone: La guerra dell'acqua
di:
Ivano
Fossati, anno:
2008, album:
Musica moderna
Una canzone
a tema scritta
dal cantautore
genovese, in
un linguaggio
semplice e asciutto che evidenzia l'assurdità
di considerare l'acqua come un qualsiasi
altro bene economico, su cui fare affari
d'oro, attraverso l'immagine di un uomo,
dipendente di una multinazionale, a cui
interessa solo far
guadagnare i propri
azionisti per fare carriera. E poco importa
se il diritto all'utilizzo
di questa risorsa sia
negato a chi non può
permetterselo.
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Verità è figlia dell’Ispirazione;
analisi e discussioni allontanano dalla
Verità (Gibran)
Il Concilio Vaticano II è risultato
un evento della storia della Chiesa e della
storia del Novecento, nel senso di un fatto
accaduto nell’intreccio di un tempo storico
preciso e ancor più nel senso di un accadere
che rompe la continuità del tempo ordinario
e rappresenta una irrompente novità. Si può
dire con termine biblico un kairòs - tempo
opportuno, tempo favorevole - che attraversa
quello ordinario o consueto e gli dà l’opportunità di prendere un’altra direzione. È occasione, ma in quanto sia colta; il kairòs, infatti
può anche passare invano, dipende dalla
misura in cui sia messo a frutto. Un evento
non si caratterizza tanto per la fine di qualcosa, ma soprattutto per ciò a cui da inizio: “un
inizio di inizio” come lo definiva il teologo
K. Rahner.
L’11 ottobre 1962 a Roma 2.240
vescovi avviano il cammino conciliare. Ogni
assemblea plenaria iniziava con la preghiera,
sostenuta dal canto gregoriano, e l’intronizzazione del Vangelo; al termine risuonava
l’invito perentorio “extra omnes” (fuori tutti)
da parte del segretario del Concilio. I padri,
nel segreto della loro esclusiva presenza,
passavano all’esame dei documenti preparati: il primo a dibattito fu la riforma liturgica.
Apparentemente tra la cupola principale del
cattolicesimo e la storia degli uomini c’era
tanta distanza quanto correva tra la religione
e la vita, tra la Chiesa e il mondo. Nel corso
della seconda guerra mondiale Bonhoeffer,
dalla cella in cui Hitler lo aveva gettato,
ammoniva “chi non urla per gli ebrei, non
può cantare in gregoriano”. La storia degli
“omnes” rientrò violentemente nell’aula
conciliare.
A Cuba tecnici russi e operai lavoravano notte e giorno a costruire le basi di
lancio per istallare quarantadue missili nucleari di media portata; un convoglio di venticinque navi mercantili sovietiche, alcune
cariche dei missili nucleari, faceva rotta
nell’Atlantico verso Cuba. Su ordine di J. F.
Kennedy novanta navi da guerra statunitensi
appoggiate da otto portaerei dotate di sessantotto squadriglie di aerei erano sulla stessa
rotta per intercettare e perquisire i mercantili
inviati da Kruscev, mentre in Florida e stati
limitrofi si radunavano forze di invasione
mai viste dalla fine della seconda guerra
mondiale. Al Concilio si discuteva e si can-
etica
leggere i tempi
Silvio Malic
tava in gregoriano mentre la pace mondiale
correva il rischio più catastrofico da quando il
fungo atomico di Hiroshima aveva chiuso
un’epoca e il trattato di Yalta l’aveva riaperta.
I responsabili del Vaticano presero
in considerazione il pericolo di sospendere il
concilio appena iniziato; il 20 ottobre l’assemblea conciliare approvava - per la prima
volta nella storia dei concilii - un “messaggio
al mondo” generoso ma generico. Per la
prima volta un organo di stampa sovietico, la
Tass, dedicava alcune righe all’avvenimento
del concilio e ne riportava testualmente un
passaggio: “Non esiste uomo che non detesti
la guerra e che non tenda verso la pace con
ardente desiderio. La Chiesa non cessa di
proclamare la sua volontà di pace e la sua
leale collaborazione a ogni sforzo sincero a
favore della pace”. Rispecchiava in pieno il
pensiero di Giovanni XXIII che aveva affermato: “La provvidenza sta conducendo il
mondo a un nuovo ordine di rapporti umani.
L’esperienza ha fatto toccare con mano agli
uomini l’assoluta insufficienza della forza
bruta delle armi”.
Purtroppo sembrava che la storia lo
stesse smentendo: il 22 ottobre Kennedy
ordina il blocco navale e la messa in quarantena delle navi dirette a Cuba. Si profilava,
come qualcuno scrisse in quei giorni, “la fine
del mondo”. A. Schlesinger - tra i più stretti
collaboratori di Kennedy - annotò nel suo
diario: “Ormai siamo al di là di ogni manovra tattica: tutte le strade portano alla catastrofe. Gli obblighi ai quali né il Cremlino né
la Casa Bianca possono sottrarsi sono tali da
produrre una inevitabile reazione a catena”.
In quel contesto l’incontro di Andover, in Maryland, che riuniva una
ventina di scienziati
sovietici e altrettanti
americani radunati per
accordi culturali tra le
due superpotenze si trasformò nel luogo da cui
tentare un’ultima carta di
dialogo. Kennedy stesso
aveva telefonato a uno
dei Co-presidenti Norman Cousins la sera del
23: “Forse dovrò premere il pulsante, e questo
significa che prima che
tutto sia finito ci possono essere un miliardo
e duecento milioni di morti”. Cousins era
convinto e suggerì che solo un “terzo” non
coinvolto nelle mischie politiche, e dotato di
concilio vaticano II
Il Concilio è stato un evento enorme. Senza di esso non è immaginabile cosa sarebbe oggi la
Chiesa Cattolica, né lo stesso mondo, data la influenza che esso ha avuto.
Da una Chiesa che si considerava una società perfetta si è passati ad una Chiesa come comunità
di credenti. Dal mondo come nemico dell’anima al mondo come luogo di vita della fede. Dalla
condanna della modernità e delle religioni non cristiane al dialogo multilaterale. Dalla condanna
dei diritti umani al loro riconoscimento e alla loro proclamazione. Dalla condanna della secolarizzazione alla sua difesa nel senso del riconoscimento dell’autonomia delle realtà temporali. Da
Chiesa immutabile e immobile a Chiesa che deve essere in riforma costante. Dall’integrismo
cattolico al rispetto per le altre credenze. Dall’autoritarismo centralizzato, a Roma, alla collegialità episcopale. Dalla Cristianità al cristianesimo. Dall’appartenenza alla Chiesa come condizione
necessaria per la salvezza alla libertà religiosa come diritto umano fondamentale. Da una Chiesa
europea ad una Chiesa veramente universale.
Ci sono stati dei limiti? Alcuni, e fra i maggiori, malgrado una certa apertura al mondo, il carattere eurocentrico - l’orizzonte di comprensione è stato la modernità europea e, in questo quadro, la
problematica della crisi di Dio nel mondo occidentale e il fenomeno della non credenza - e la non
centralità dell’opzione per i poveri, non dandosi la dovuta attenzione alle maggioranze popolari
del Terzo Mondo. L’Occidente ha finito per essere il destinatario principale del Concilio. Inoltre,
l’antropocentrismo esacerbato ha fatto sì che la problematica ecologica fosse ignorata.
Anselmo Borges
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autorità morale riconosciuta, avrebbe potuto
spezzare con qualche probabilità di successo
la reazione a catena alla quale i ”falchi” dei
due fronti spingevano: Giovanni XXIII.
Non si può narrare tutta la trama
febbrile di incontri, intrecci che si svilupparono in pochi giorni. Kennedy fu il primo ad
approvare l’idea, ai sovietici fu prospettato
che l’intervento avrebbe contribuito alla credibilità del processo di revisione avviato dal
Cremlino con il XX congresso del PCUS del
1966. Giovanni XXIII il 25 ottobre alle 12
diffuse tramite radio vaticana l’appello: “Noi
ricordiamo i gravi doveri di coloro che portano la responsabilità
del potere. Con la mano
sulla coscienza, ascoltino il grido angosciato
che da tutti i punti della
terra, … sale verso il
cielo: pace! pace! Noi
supplichiamo tutti i
governanti… che essi
facciano tutto ciò che è
in loro per salvare la
pace… Che essi continuino a trattare… promuovere, favorire, accettare colloqui, a tutti i
livelli e in ogni tempo, è
una regola di saggezza e
di prudenza che attira le benedizioni del cielo
e della terra”.
La Pravda il 26 ottobre pubblica in
prima pagina l’appello sottolineando la ragionevolezza dell’invito al negoziato sollecitato
dal papa. Ci furono scambi mediati e diretti di
missive tra Cremlino e Casa Bianca in cui si
accettava la via dell’accordo negoziato. Il 28
ottobre arrivò la risposta di Kruscev che si
impegnava a sospendere la costruzione delle
basi e a far rientrare le navi con le ogive nucleari; era il quarto anniversario della elezione
di Giovanni XXIII sulla soglia di Pietro.
La storia degli altri (extra omnes),
fuori dall’aula, irrompeva dentro l’aula conciliare e al vertice del cattolicesimo e interpellava i credenti. Accadeva la realtà della storia
come luogo in cui cogliere l’appello di Dio,
all’interno di una parola chiave che animava
Giovanni XXIII e che troverà accoglienza
meno decisa nel corso del concilio: leggere i
“segni dei tempi”. Ma i credenti avranno
ancora capacità di lasciarsi sorprendere per
interpretare le attese degli uomini al di là dei
giochi dei poteri in conflitto? ☺
27
sisma
la resa dei conti
hanno accumulato 96 milioni di euro di debiti, tutti regolarmente registrati nel bilancio della società interamente controllata dalla regione
Molise. Controllata si fa per dire perché, mentre il passivo corrisponde
Domenico D’Adamo
esattamente a quanto scritto nei libri contabili, per l’attivo, a voler essere ottimisti, il valore reale dei beni di proprietà della società non supera
Dieci anni ci sono voluti alla magistratura molisana per arrila metà di quanto stimato dagli apprezzati amici di Iorio. In casi come
vare alla richiesta di rinvio a giudizio del Commissario delegato alla
questo, il presidente della regione, proprietaria della SPA, chiede conto
ricostruzione post-sisma per fatti che questa rivista denuncia sin dal
ai suoi delegati della incongruità del bilancio, si fa spiegare da ognuno
2004.
cosa ne è stato dei soldi che mancano e soprattutto chiarisce ai molisaterremoto
ni, colpevoli unicamente di averlo votato, che per saldare quei debiti
Non che si sia trattato di indagini complesse per giungere
dovranno ancora una volta fare sacrifici, perché le somme iscritte nell’all’ipotesi di abuso di ufficio contestato al governatore Iorio, eppure è
attivo del bilancio regionale, circa 25 milioni di euro, passeranno nel
passato tanto tempo per interpretare qualche legge e per fare due conti.
passivo, poiché crediti non più esigibili. E le vittime saranno i lavoratori
L’accusa mossa dal dr. Papa al commissario è appunto quella di avere
dello zuccherificio che perderanno il lavoro, i cittadini molisani chiaesteso l’area del cratere sismico senza averne la competenza mati a sostenere la spesa, lo stato centrale e la commissione europea
(sarebbero bastati alcuni giorni di studio per capirlo ma va da sé che la
che hanno lautamente finanziato a perdere questa gloriosa impresa. Il
giustizia è lenta specialmente quando ad essere inquisiti sono i potenti)
semigovernatore è moderatamente soddisfatto per le ricercate soluzioni
- al fine di acquisire consenso elettorale, cosa che sarebbe puntualmente
in ordine alla procedura concordataria (fallimento) che ha interessato
accaduta nella tornata elettorale del 2006. L’indiziato, secondo l’accul’azienda di proprietà della regione. Ma in questi dieci anni, in consiglio
sa, avrebbe fatto spendere allo stato 154 milioni di euro per lavori eseregionale, maggioranza e minoranza, si sono mai chiesti cosa succedeguiti fuori dalle zone del cratere sismico, definito dal presidente del
va allo Zuccherificio? O invece lo sapevano e gli stava bene? La modeconsiglio dell’epoca, arrecando danno anche ai 14 comuni, indicati dal
rata soddisfazione del governatore è costata ai molisani circa 50 miliogoverno Berlusconi, che a tutt’oggi non completano la ricostruzione.
ni di euro e pensare che il governo Monti per recuperare la stessa somTrecento miliardi di vecchie lire spese per retribuire tecnici, progettisti e
ma è stato costretto a chiudere circa 900 uffici giudiziari.
imprese che hanno realizzato opere le quali non avrebbero avuto diritto
solagrital
al contributo pubblico se Iorio non avesse
Stessa sorte si sta prospettando per la SOfirmato i decreti 5 e 7, oltre all’ordinanza n.
LAGRITAL di Bojano dove ancora una
13 del 2003. L’allora capo della protezione
volta, gli unici polli da spennare saranno
civile, Guido Bertolaso, anch’egli indiziato
quelli molisani. Ci chiediamo e vi chiediaIndagato Iorio
di reato nello stesso procedimento, contestò
mo, ma è possibile che un semigovernatosubito, seppur con estrema discrezione, per l’estensione del cratere. re, depotenziato per effetto di una sentenza
l’incompetenza del commissario Iorio ad
che gli consente solo l’assunzione di provQuale politico
emettere provvedimenti estensivi dell’area
vedimenti urgenti, possa scaricare sulle
del cratere sismico, così come fece anche la si era mai opposto protestando? casse regionali una enormità di debiti? In
commissione ispettiva nominata da Prodi,
questi giorni il consiglio regionale ha riscola quale, oltre a considerare detti decreti viziati da profili di illegittimità,
perto l’orgoglio molisano per la difesa dell’autonomia per le decisioni
ritenne la citata ordinanza incongrua rispetto al mandato ricevuto. Dopo
sulla sanità. Destra e sinistra insieme a difendere le decennali inademtanti anni di gioco delle parti sapremo finalmente chi ha lavorato per chi
pienze del governo Iorio, questo sì che è un bel quadretto. Quando si
e, dalla eventuale costituzione di Parte civile nel processo penale, capibattono tutti insieme in genere lo fanno per difendere i loro privilegi e
remo quanto i 14 sindaci del cratere hanno amato ed amano i propri
questa volta non è diverso dalle altre. Non si spendono per il bene cocittadini o invece quanto erano e sono innamorati del loro governatore.
mune, lo fanno solo per tutelare interessi personali o clientelari, difenA causa di questa allegra gestione, la ricostruzione della sola classe A
dono il posto o quello dei loro amici. In questi dieci anni il centrodestra
all’interno del cratere sismico è al 35%, mentre, per le altre classi, dopo
molisano ha dimostrato l’inadeguatezza a governare una regione che
dieci anni, è a zero. Volendo fare previsioni ottimistiche, la ricostruzioavrebbe delle potenzialità enormi da esprimere. Non si è registrato un
ne per la fascia A terminerà fra trent’anni, mentre per le altre contendesolo risultato positivo per sviluppo industriale, agricolo, di artigianato,
rà il primato al terremoto del Belice. Il semigovernatore Iorio è soddicommercio o servizi.
sfatto del Modello Molise, tanto da partecipare la sua gioia con il libro
Il centrosinistra ha brillato invece per l’assenza di proposte.
bianco, pagato anche questo con i soldi dei terremotati.
In tutto questo tempo da Ruta, Leva e Frattura non abbiamo avuto la
zuccherificio
fortuna di sentire una sola proposta da opporre al malgoverno della
“Terremotati” sono anche i dipendenti dello Zuccherificio
destra. Quando questi signori fingono di litigare, non lo fanno per prodel Molise che non torneranno mai più a lavorare in quello stabilimento
muovere un modello di sviluppo rispettoso degli interessi di tutti, una
da quando il presidente Iorio e qualche suo amico imprenditore sono
migliore qualità della democrazia, una diversa gestione del potere; lo
passati da quelle parti. Qui il semigovernatore, vestendo i panni del
fanno solo per cambiare di posto, sempre con l’intesa, bipartisan, di
proprietario, non quelli del delegato, ha lavorato ancora contro gli intepararsi il culo.☺
ressi del Molise. In questi ultimi dieci anni i delegati del proprietario
[email protected]
caccia grossa
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