la fonte ottobre 2012 ANNO 9 N 9 periodico dei terremotati o di resistenza umana € 1,00 Foto di Pino Quattrone “Noi siamo i proprietari di questo Paese e i politici sono i nostri dipendenti” Clint Eastwood il mio paese Una casa due case tre case bianche, rosa, gialle… Come era bello il mio paese! Una tenda due tende tre tende… tutte azzurre. Ora il mio paese è qui. la fonte Direttore responsabile Antonio Di Lalla Tel/fax 0874732749 Redazione Dario Carlone Domenico D’Adamo Annamaria Mastropietro Maria Grazia Paduano Segreteria Marialucia Carlone Classe3^ - Bonefro, 2002 Web master Pino Di Lalla www.lafonte2004.it la casa che sogno Sono Martina e ho 9 anni. Abito nel villaggio Toscana; qualcuno mi chiama la bambina del terremoto perché sto qui da quando sono nata e conosco poco Bonefro, il mio paese. La mia casetta è di legno. Quando ero piccola mi sembrava una casetta da favola, come quella dei tre porcellini, ma adesso non mi piace più, è vecchia, stretta e rotta e ci possono entrare anche i topi. Io vorrei una casa vera, di mattoni, tutta colorata, con i muri decorati e le tendine fucsia. Chissà quanto dovrò aspettare ancora per avere la casa che sogno! E-mail [email protected] Quaderno n. 88 87 Chiuso in tipografia il 26/08/12 23/09/12 Stampato da Grafiche Sales s.r.l. via S. Marco zona cip. 71016 S. Severo (FG) Autorizzazione Tribunale di Larino n. 6/2004 Colombo Martina classe3^ - Bonefro, 2012 Il tuo sostegno ci consente di esistere la fonte ABBONAMENTI PER IL 2012 ITALIA SOSTENITORI AUTOLESIONISTI € 10,00 € 20,00 € 30,00 2 fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 Abbonamento Ordinario € 10,00 Sostenitore € 20,00 Autolesionista € 30,00 Estero € 40,00 ccp n. 4487558 intestato a: la fonte molise via Fiorentini, 10 86040 Ripabottoni (CB) olive nel frantoio Antonio Di Lalla Ottobre è il mese in cui i contadini raccolgono le olive per portarle nei frantoi. Noi, a differenza del prezioso frutto, non siamo disposti a lasciarci maciullare da una classe politica irresponsabile che si nutre dei nostri sacrifici e perciò vorremmo mettere in chiaro alcune cose perché cambi questa politica. Purtroppo, al solo sentire la parola politica, molti arricciano il naso e cercano di cambiare discorso perché schifati dal comportamento di gran parte delle persone scelte per governare. Si confonde con facilità, grazie all’agire di molti politicanti, la politica che è e resta un’arte nobile e necessaria per amministrare la cosa pubblica, con i partiti che danno sempre più chiari segni di occupazione di tutto ciò per cui sono stati scelti ad amministrare. Proprio i partiti, per non farsi rompere le uova nel cestello, hanno coniato il termine antipolitica appioppandolo a tutti coloro che, rifiutando i loro giochi, non esitano a denunciare lo scempio che stanno producendo. Ma l’antipolitica, diciamolo senza giri di parole, non esiste, perché ogni scelta, anche la più stravagante, è sempre politica in quanto riguarda la collettività. L’intramontabile e controverso Clint Eastwood, repubblicano statunitense, ha detto una cosa tanto vera quanto elementare: “Noi siamo i proprietari di questo Paese e i politici sono i nostri dipendenti”. Se tutti ci convincessimo veramente della bontà di quest’affermazione, sarebbe ancora possibile riprendere in mano la situazione, anche se i partiti agiscono come se fosse vero il contrario e cercano di calpestare, impunemente, i nostri diritti. Noi, pur nullatenenti, ci sentiamo ancora proprietari del Paese e riteniamo che sia ancora possibile fare qualcosa e perciò sensibilizziamo, lottiamo, denunciamo le nefandezze di quanti agiscono con la logica di chi si è convinto che è vero il contrario. Se spesso riescono a fare i proprietari del nostro Paese e non i nostri dipendenti è solo perché noi abdichiamo alle nostre responsabilità: “Il problema più acuto non sta nel fatto che un capo politico presenti niente più che la maschera (cioè sostituisce il vero col falso), - annota Roberto Mancini sta nel fatto che milioni di individui gli concedono il loro consenso persino al di là della maschera stessa, ossia anche quando il male perpetrato si vede a occhio nudo”. Per dirla con linguaggio da cantina: nella passatella il sotto riesce a farla da padrone solo quando quest’ultimo si fa raggirare e fregare. Con i referendum, non dimentichiamolo, abbiamo dimostrato di essere noi i padroni del vapore, ma poi, come Cincinnato, molti, troppi, sono tornati al loro orticello consentendo ai professionisti della politica di accaparrarsi arbitrariamente spazi non loro. È necessario tornare in piazza, prima che sia troppo tardi, per rimandarli definitivamente a casa e lavorare seriamente per restituire dignità alla politica con persone nuove, motivate e non compromesse. Non è possibile dare l’anima per la difesa dei beni comuni come l’acqua, l’ambiente, ecc. e poi disinteressarsi di chi prendendoli in custodia ne fa l’uso che crede. Un gregge non può essere custodito dai lupi! Da soli questi soggetti non se ne vanno. Sempre più spesso vengono pescati con le mani nella marmellata - dalla Lombardia alla Sicilia, dal Lazio al Molise, per citare solo qualche caso ecla- fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 tante - e non solo non se ne vergognano ma, se non reagiamo al più presto e con determinazione, non passerà tempo che saremo accusati e ritenuti colpevoli di aver disturbato le loro malefatte, convinti come sono che possono permettersi di tutto. Ci prendono in giro illudendosi di poter contare sulla nostra dabbenaggine. A livello nazionale parlano di sacrifici necessari e non si sono ridotti i loro lauti introiti; la gente è alla fame, le imprese chiudono e il loro unico sforzo è salvaguardare poltrona e privilegi; parlano, urlano, litigano nel loro teatrino sempre più noioso, ma la legge elettorale non la cambiano perché, restituendoci il diritto di scegliere i nostri dipendenti, perderebbero il controllo della situazione. Per non parlare del Molise, regione totalmente sgovernata da un consiglio illegittimo che, anziché far indire nuove elezioni, crede di incantarci con proposte che non hanno alcun fondamento. L’unica cosa certa è che fervono giochetti sottobanco e cambi di livrea per tutelare loro stessi, mentre continua ad essere speso vanamente e dissennatamente denaro pubblico che anziché assicurare il futuro ai lavoratori rimpingua le casse solo dei loro pochi amici. Il fu commissario per la ricostruzione Iorio è stato indiziato di reato per l’ampliamento del numero dei paesi colpiti dal terremoto, ma chi aveva mai protestato a destra e a manca (sinistra sarebbe troppo impegnativo) contro lo sperpero e il danno arrecato ai terremotati? Siamo l’immensa maggioranza, siamo il popolo, abbiamo ragione e non vogliamo che proseguano impunemente. Ma, poiché le idee camminano sulle gambe delle persone, è necessario selezionare accuratamente una nuova classe politica che non potrà nascere senza l’impegno attivo, il coinvolgimento convinto, il lavoro appassionato di ognuno di noi. Derogare su questo significa che abbiamo deciso di finire come olive nel frantoio per allietare gli ignobili festini dei nostri dipendenti assurti a proprietari del Paese. Noi non ci stiamo. ☺ 20 3 spiritualità la brocca rotta Michele Tartaglia Sono ormai passati venti anni da quando nel panorama politico italiano è giunto al culmine un processo di erosione della credibilità della politica. La storia seguente è stata fatta di effimere speranze e di uomini della provvidenza che si sono rivelati solo il prodotto di scarto dell’abbuffata precedente, mettendo in evidenza il vuoto pauroso di idee contro il quale solo isolate voci profetiche come Carlo Maria Martini hanno posto un tentativo di argine, mentre altri suoi “illustri” colleghi continuavano a martellare sulle fondamenta della società con inciuci e pretese di essere guide di ciechi, rivelatesi altrettanto cieche e poco lungimiranti perché per nulla profetiche. La fine di una lunga stagione politica è stata annunciata in modo impressionante da un uomo fatto prigioniero dai figli malati di un’ideologia: sto parlando di Aldo Moro, che dalla sua prigione prefigurò la fine del suo partito e di quel sistema di potere bigotto. Mi è facile associare la figura di Moro al profeta Geremia, anch’egli pratico di imprigionamenti e persecuzioni, il quale, nonostante i rischi che correva, ha deciso di non tacere e quindi di denunciare anche con gesti simbolici, l’ingiustizia che si consumava nella società in cui viveva, annunciando la fine di quel mondo. Uno dei gesti compiuti dal profeta è quello della rottura di una brocca (Ger 19), che simboleggiava la fine del regno e il dramma dell’esilio. Il senso di quel gesto è che quell’oggetto rotto non potrà mai essere ricostruito per essere utile a contenere acqua. Sarà lo 4 stesso profeta, tuttavia, ad annunciare anche la speranza, attraverso l’immagine di un germoglio (23,5-6) e una nuova alleanza, basata non su una legge tradita, ma su una convinzione profonda, generata da Dio stesso (31,31-34). L’immagine della brocca frantumata è molto adatta anche per noi, per descrivere la situazione di totale caos in quel che resta della politica ai nostri giorni, sia in Italia che in un’Europa che non riesce a completare un’unificazione politica essenziale per guidare il “drago” dell’economia. Se guardiamo alla nostra situazione nazionale, è spaventoso pensare ad attori della politica che pensano solo a conservare la poltrona, mandando a rotoli l’impegno di ridare una parvenza di democrazia alle elezioni, incapaci di guidare la società in un momento cruciale della crisi mondiale, dovendosi affidare a tecnici che, nonostante le scelte a volte ingiuste, costituiscono tuttora il male minore nel panorama attuale. L’anatema lanciato da Moro più di trent’anni fa ha preannunciato la frantumazione attuale in cui sembra non esserci via d’uscita se non con un radicale stravolgimento dell’assetto istituzionale attuale, tenendo anche conto che la crisi italiana fa parte di una situazione globale altrettanto caotica. La lezione di Geremia che annuncia una speranza, la venuta di un “germoglio giusto” non ci consente di considerare irrimediabile la situazione in cui siamo. Il problema semmai è dove voltarci per trovare questo personaggio o questo progetto che possa rimettere insieme i cocci. Guardandoci intorno non pare esserci molta speranza e ripensando ai profeti biblici, quando essi annunciavano una rinascita, era sempre dopo la catastrofe. Probabilmente siamo ancora nella fase preesilica della politica, quasi a ridosso di un fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 cataclisma che non si è ancora perfettamente consumato, in quanto troviamo sempre le stesse facce, persino dei contestatori, che sono stati sulla scena nell’ultimo ventennio. La rinascita di Israele non è avvenuta a Gerusalemme ma a Babilonia, dove alcune menti illuminate hanno posto le basi per una società nuova, basata sull’ascolto della Parola e sul primato dell’etica. Se il meglio del pensiero politico italiano (la costituzione) è stato formulato sulle rovine della guerra, e dopo la caduta di un regime, non possiamo pensare che una vera rinascita possa avvenire a costo zero, semplicemente con una tornata elettorale. Chi ha a cuore il bene della società non deve solo elaborare dei programmi, ma essere disposto a seguire il popolo nell’esilio, come ha fatto Ezechiele e abbandonare la terra delle illusioni, come ha fatto Geremia, per poter partire dalla solidarietà che nasce dalla fame e dal lutto e rifondare un senso di comunione sociale ormai eclissato dal rumore dei centri commerciali e del gioco d’azzardo legalizzato e dilagante. La colla per rimettere insieme i cocci non sono i politici di turno o dei vuoti proclami elettorali, ma l’esperienza del limite che ci fa vedere nell’altro un fratello di sventura con cui essere solidale e insieme al quale costruire una società basata sul senso di corresponsabilità.☺ [email protected] posta Ciao. Vi faccio i miei complimenti per il vostro periodico che ho scoperto a casa di Antonio Di Lalla, che saluto con stima, insieme all'amico Rino Trivisonno. Io non sono molto bravo con le parole, e allora lascio che sia una mia foto a esprimere, forse, il mio apprezzamento per il vostro impegno. Pino Quattrone [email protected] Grazie per la foto che, come puoi vedere, trovi in copertina. La redazione glossario il potere della gente Dario Carlone Secondo Flores d’Arcais “la devi, i problemi creatisi e le soluzioni adottate, mocrazia è innanzitutto e sempre lotta-perconsiderando anche i diversi contesti geopola-democrazia” e la lotta ha come preludio la litici, avrebbero modificato ed in parte vanisperanza, ciò che non deve mai mancare tra i ficato questa idea così innovativa. membri di una collettività, come sintetizza Quale people power vediamo mirabilmente il titolo di un volume che racall’opera oggi? È veramente democratico lo coglie testimonianze delle recenti Stato in cui i cittadini, stanchi e delusi da una “primavere arabe”: Il potere della gente è classe dirigente dedita esclusivamente a più forte della gente al potere! conservare i propri privilegi, non “possono” “La gente ha il potere di sognare / liberamente criticarne l’operato ed ottenerne di dettare le regole/ di lottare per cacciare le dimissioni? C’è sovranità popolare quandal mondo i folli” può ancora cantare oggi do non si possono designare i candidati alle Patti Smith!☺ istituzioni nazionali o locali attraverso [email protected] titi aperti e libero confronto, ascoltando e prendendo in considerazione ciò che la cosiddetta “società civile” ritiene imprescindibile per chi riceverà il mandato elettorale e dovrà ricoprire un incarico pubblico? Quale potere hanno i cittadini che rivendicano, inascoltati, il diritto di contrastare gli scempi ambientali? People power: per i padri fondatori della nazione americana era il sogno di dignità per ogni persona; per i padri costituenti italiani il riscatto dalla dittatura e l’affermazione della libertà di parola e di azione. “Il senso e il valore dell’Occidente … è la scommessa della modernità sulla universalità dei diritti, dunque il progetto democratico come realizzazione effettiva di eguale dignità/libertà/ potere per l’esistenza irripetibile che tutti noi siamo. … Se vi rinuncia (e sempre più vi rinuncia) diFabbrica Italia: il futuro è tutto qui? venta solo un Occidente marrano” (Paolo Flores d’Arcais, Democrazia!). Sovranità popolare non ancora realizzata oppure in pericolo e soggetta a distorsioni quando non ad abolizioni, nel nostro paese e in tante altre parti del mondo occidentale. Scatto d’autore di Guerino Trivisonno People have the power [pronuncia: pipol hev d’pauer] cantava qualche anno fa la famosa rock star Patti Smith: i suoi versi, dolci e rudi al tempo stesso, evocavano un concetto che, seppur sfumato nel linguaggio della poesia-canzone, segna profondamente la nostra vita collettiva. People power è una delle versioni inglesi per tradurre “democrazia”. Due termini formano la locuzione: people (“persone, gente”, per estensione “popolo”), sostantivo plurale che rimanda alla dimensione “politica”, nome collettivo col quale si indica un insieme di elementi, individui, ecc.; power, termine astratto che traduce “potere, sovranità” in senso giuridico. Di sovranità popolare si sente parlare talmente spesso e in qualsiasi circostanza che il senso autentico di questa espressione sembra essersi ormai dileguato, affievolito fino a ridursi a fumosi e generici giri di parole. Eppure le radici della democrazia, così come intesa nel mondo occidentale, sono antiche, e nel percorrere le varie epoche storiche anche il concetto giuridico, quasi come l’homo sapiens, ha subìto un processo di evoluzione. La costituzione americana del 1787 comincia con queste parole “We, the people” - “Noi il popolo”. Gli esiliati del Nuovo Mondo, che avevano sperimentato l’abbandono della propria terra, l’adattamento ad un ambiente diverso, che avevano cambiato cultura e abitudini, rivendicavano per sé e per la propria discendenza il “diritto” di sentirsi individui, membri di una collettività in cui non avrebbero dovuto contare posizione sociale o titolo nobiliare. Al grido di “nessuna tassa senza rappresentanza” [no taxation without representation], si ribellarono ai dominatori britannici e gettarono le basi di quel sistema di convivenza civile che, almeno in teoria, si può definire democrazia moderna. Lo sforzo dei primi presidenti, come ad esempio Thomas Jefferson, fu quello di perseverare nella convinzione che l’esperimento di far partecipare tutti alla gestione del potere avrebbe condotto alla conclusione che è possibile governare secondo ragione e verità, fugando menzogne e privilegi di rango o di nascita. Convivenza all’insegna della razionalità: il secolo dei lumi, riservando alla Ragione il primato e la guida nelle vicende umane, poneva le basi per la modernità in campo giuridico. Gli avvenimenti successi- fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 5 xx regione iorio insegna “Non si deve sopprimere nulla”. Ce lo ricorda l'ultima martellante comunicazione istituzionale della Presidenza della Giunta Regionale del Molise, orchestrata da Michele Iorio per far credere ai molisani che in questa regione va tutto bene. Dall'assetto istituzionale alla gestione dei servizi pubblici, compresa la sanità. L'asserita difesa della Provincia di Isernia, la cui sopravvivenza non dipende certo dalla volontà dei cittadini molisani, è dunque un mero pretesto utilizzato per far passare un messaggio che, per generosità, definiremo fantasioso. Per evitare di considerare tale messaggio anche ingannevole e truffaldino proviamo a guardare alle cose molisane con gli occhi di Michele Iorio e forse scopriremo che lo sguardo con cui egli scruta il Molise è legittimamente compiaciuto. In questa Regione la democrazia non ha più bisogno delle superate distinzioni tra gli schieramenti tradizionali perché la lezione di Iorio viene accettata e praticata dal centrodestra e da buona parte del centrosinistra, come mostrano questi pochi esempi: - Iorio promuove le fortune politiche, e non solo, della propria famiglia? Ci sono altri rappresentati istituzionali, di centrodestra e di centrosinistra, che lo imitano con determinazione ed entusiasmo; - Iorio conserva in garage le lussuose auto blu che avrebbe dovuto alienare? Centrodestra e centrosinistra tacciono e meditano sul fatto che, passata la buriana, potrebbero sempre tornare utili; - Iorio riempie di debiti la sanità molisana privandola nel contempo di un qualsiasi piano sanitario regionale e, nella sua veste di commissario, elude tutte le richieste di risanamento che vengono da Roma? Il governo, stanco di questi comportamenti irresponsabili, nomina dei commissari incaricati di porre rimedio alla decennale disamministrazione regionale e il centrodestra molisano (insieme a molti dell'omologo centrosinistra) insorge al grido di “giù le mani dalla nostra sanità”; - Iorio, in pendenza di un ricorso elettorale davanti alla giustizia amministrativa, avrebbe dovuto promuovere la modifica dello Statuto regionale prima della pronuncia del TAR al fine di ridurre a 20 il numero dei consiglieri regionali, in attuazione delle norme nazionali? Ha preferito giocare con l'annullamento e la riapprovazione dello Statuto per renderlo inutilizzabile. L'obiettivo di lasciare tutto com'era è stato raggiunto con un gioco di squadra al quale hanno partecipato sia il centrodestra, sia il centrosinistra. Per la verità, Iorio non è responsabile di tutte le nefandezze che si verificano nel suo feudo e tanto meno del comportamento di Aldo Patriciello, titolare del primato nazionale di assenze dai lavori del Parlamento Europeo, che invia notizie dall'Europa alla stampa molisana per farci credere che lui esercita per davvero le funzioni per le quali è stato eletto. Iorio sente un certo disagio per questa macroscopica panzana targata PDL, ma si consola vedendo che, dall'altra parte, il PD vorrebbe farci credere addirittura che una parte dei soldi dati dai contribuenti italiani alla defunta Margherita sarebbero passati da Luigi Lusi a Roberto Ruta in cambio di una consulenza. È dura credere che anche i morti abbiano bisogno di pareri competenti, ma se crediamo a Patriciello, perché non credere al PD di Ruta? Quando agiscono da soli, avrà pensato Iorio, questi politici molisani rischiano di fare e dire cose inverosimili e, per evitare altri grossolani scivoloni, pare abbia chiesto a Vitagliano di coordinare direttamente una bella gestione consociativa del COSIB di Termoli. Centrodestra e centrosinistra hanno molto apprezzato, il che ha spinto Iorio a riproporre l'esperienza delle “larghe intese” anche in Regione, per dare una dignità formale ad una coabitazione di fatto che va avanti “more uxorio”, da molto tempo. Il presidente Iorio non poteva elencare ai molisani questi ed altri bei traguardi raggiunti sotto la sua presidenza e, cogliendo l'occasione della probabile scomparsa della Provincia di Isernia, manda in onda un ossessivo messaggio riassuntivo: “non si deve sopprimere nulla”, vale a dire, tutto deve rimanere com'è. Lo fa a dispetto del fatto che perfino i conservatori più intransigenti aprono, a volte, un piccolo spiraglio al cambiamento, per evitare che il cambiamento irrompa sulla scena e li travolga. ☺ Scipio APPELLO Chiediamo ai cittadini molisani di sottoscrivere l’appello riportato a lato per la riduzione del numero dei consiglieri regionali da 30 a 20. Al riguardo interverrà il Presidente di Libertà e Giustizia Sandra Bonsanti il 17 ottobre prossimo a Termoli. Carla Llobeta - tutte le bambine, tutte - 2010 6 fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 xx regione La Fonte, le associazioni Libertà e Giustizia e Libera Molise hanno proposto alla società civile molisana, al mondo politico e a quanti hanno a cuore il futuro della nostra regione due obiettivi chiari: portare da 30 a 20 il numero dei consiglieri regionali, chiedendo al governo di fare un decreto, e utilizzare le primarie come criterio guida nella scelta dei rappresentanti istituzionali. Nel primo caso si tratta di cancellare uno scandalo istituzionale nazionale. Non è questione che tocca la dinamica democratica, come qualcuno a destra e sinistra inventa: in Lombardia il rapporto fra eletti alla regione e cittadini è uno a centomila, in Toscana uno a settantamila, in Emilia uno a ottantamila, mentre in Molise è uno a diecimila. Sfido chiunque a sostenere che il tasso di democraticità in Molise sia più alto di quello che abbiamo in Lombardia, in Toscana o in Emilia Romagna. In realtà il numero spropositato di consiglieri riflette la tendenza, divenuta ormai un sistema, a trasformare i luoghi della rappresentanza democratica in uffici di collocamento e in opportunità di privilegi personali e dinastici. Quanto alla proposta sulle primarie, solo i gattini ciechi continuano a non vedere quanto profonda sia la perdita di legittimità dei partiti, delle istituzioni e, purtroppo, della Politica. Solo un elettroshock democratico, un’irruzione dei cittadini nella piazza della Politica può evitare il collasso del sistema e della stessa democrazia. Mi permetto di dare un consiglio ai vertici della politica molisana e in particolare a chi ha preteso e pretende di guidare il centrosinistra: non perdete questa occasione, mettete da parte le furbizie antiche dei “trasformismi”, fate tre passi indietro e aprite porte e finestre prima che sia troppo tardi. Potrebbe essere l’ultimo avviso di chiamata. I segnali sono stati e sono incontrovertibili, già alle ultime elezioni regionali quasi il 50% dei cittadini molisani si è rifiutato di votare e in alcuni sondaggi di oggi il presidente Iorio e l’ex candidato del centrosinistra Frattura raccolgono insieme consensi molto, ma molto al di sotto del 50%. Nell’Italia post-mussoliniana la politica e i partiti furono una straordinaria opportunità di riscatto nazionale, un formidabile strumento di organizzazione e di civilizzazione della società italiana, oggi i partiti e la politica sempre più rischiano di essere il buco nero della democrazia e del ultimo avviso Famiano Crucianelli futuro del nostro Paese. Il cretinismo e il degrado morale di una parte ampia della classe politica impediscono ai tantissimi che vivono di politica, di cogliere una verità elementare: vi è ormai nella società italiana come un riflesso di Pavlov, ogni notizia di malcostume politico moltiplica geometricamente fra i cittadini la sfiducia e l’astio nei confronti delle istituzioni e dei partiti. È una situazione ad alto pericolo, perché rischia di venire in superficie il peggio dell’Italia, che è poi anche parte importante della costituzione materiale del nostro Paese, della nostra composizione sociale e della nostra storia. Non dobbiamo dimenticare che gli Italiani hanno segnato la loro vicenda storica di tracce profonde di genialità individuale e collettiva e non meno di segni altrettanto profondi di miseria umana, etica e sociale. Dallo splendore del Rinascimento, dall’invenzione dei primi passi del capitalismo, dal riscatto morale e politico della resistenza, al trasformismo come sistema, al fascismo di massa degli anni venti e trenta, al degrado dei rifiuti dispersi per il bel paese, alle tante organizzazioni malavitose e all’illegalità diffusa. Il problema grave è che in questi ultimi trenta anni le virtù si sono sempre più perse e il peggio è tornato a dominare: basti riflettere al fatto che gli italiani hanno consegnato il governo del paese prima al C.A.F (Craxi, Andreotti e Forlani) e poi a Berlusconi e, soprattutto, l’illegalità e la criminalità sono divenute una componente strutturale dell’economia e del nostro vivere sociale. Di questa miseria italiana portano enormi responsabilità le classi dirigenti di ieri e di oggi: i gattopardi che mortificarono il Risorgimento italiano; la Chiesa del Vaticano che con il suo antistatalismo opportunista e con la sua “ doppiezza” certo non ha contribuito a costruire senso civico, responsabilità individuale e coerenza etica nel sentimento profondo dei cittadini; gli imprenditori che hanno pensato e pensano solo alle loro tasche e non al bene comune; infine quei politicanti, e sono tanti, che hanno consegnato la dignità della politica ai “maiali” dei festini romani, al malgoverno e alla corruzione. È bene ricordare che non il Manifesto, ma il Sole 24 Ore ha collocato il Molise a buon ultimo di una classifica stilata sulla base dei criteri di produttività, efficienza e moralità dell’istituzione regionale. La crisi economica ha portato l’Italia e gli Italiani oltre la soglia di guardia e tutto può accadere. Il tempo è ormai scaduto e lo stesso “tempio” rischia di crollare. Per questo l’iniziativa de la Fonte, di Libertà e Giustizia e di Libera Molise è un’occasione preziosa che non deve andare perduta. ☺ [email protected] APPELLO La crisi economico-sociale e la crisi di credibilità della politica possono compromettere le ragioni stesse della democrazia. Mentre la partecipazione dei cittadini alla vita democratica è condizione fondamentale per costruire un destino comune. Le prossime elezioni sono una grande opportunità per rigenerare il sistema politico, per questo è decisivo che cessi l’occupazione delle istituzioni da parte dei vertici dei partiti. Proponiamo che i candidati al parlamento, alla presidenza della regione, a sindaci dei principali centri e i nominativi del “listino maggioritario regionale” siano tutti scelti con le primarie dai cittadini. Chiediamo Istituzioni trasparenti e al servizio dei cittadini; la fine della stagione dell’illegalità, del clientelismo e del sottogoverno; il rispetto del territorio e dei “beni comuni” come grande investimento nel futuro e nelle nuove generazioni. Prime adesioni La fonte, Libertà e Giustizia, Libera Molise fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 7 nel palazzo ridurre i costi della politica Michele Petraroia Fin dallo scorso anno, non appena venne pubblicato il Decreto Legge 138 che all’art.14 riduceva il numero dei consiglieri regionali a 20, chiesi formalmente al Ministero degli Interni di indire i comizi elettorali in Molise per il 16 e 17 ottobre, con la previsione di 20 eletti. L’allora Ministro Maroni non accolse la sollecitazione con un interpretazione cavillosa e come si insediò la X legislatura riuscii a proporre e far approvare a maggioranza, nella seduta di Consiglio del 1° febbraio 2012 una delibera di recepimento della legge n. 148/2011 sulla riduzione dei componenti e sul contenimento dei costi della politica. A fronte del groviglio che seguì alla pronuncia della Corte Costituzionale sul nuovo Statuto della Regione Molise ad aprile scorso, il 10 maggio ed il 24 luglio con due istanze inviate al Ministero degli Interni e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sollecitavo l’automatica ed immediata applicabilità della nuova norma nazionale con l’elezione di 20 consiglieri in caso di ritorno alle urne. L’Ufficio Giuridico di Palazzo Chigi ha ritenuto ammissibile il quesito e l’ha girato al Capo di Gabinetto del Ministro degli Interni che però ha riaffermato con due comunicazioni del 4 e del 10 settembre dell’Ufficio Territoriale del Governo che il taglio dei consiglieri non è automatico. Il Ministero ha chiarito che la previsione numerica è competenza statutaria e per questo ha invitato il Consiglio con procedura “urgente e indifferibile” a modificare lo Statuto in doppia lettura e quindi approvare la legge elettorale regionale attuativa. Per l’Ufficio del Governo anche in caso di scioglimento del Consiglio Regionale il 16 ottobre, stante il ritorno alle urne in 8 primavera e vista l’urgenza di recepire la norma sul contenimento dei costi istituzionali, si può completare formalmente ed in modo ineccepibile il percorso indicato. Basterebbe un’ampia intesa tra le forze politiche per portare a compimento queste procedure in tre mesi, abbattendo le spese e riparametrando in termini di risparmio i capitoli di bilancio su queste voci. Purtroppo il Molise è il luogo dove anche le cose chiare si complicano sotto un mantello di fumo e di urla. Per un verso c’è chi, non avendo né letto e tantomeno studiato le note della Prefettura, strilla che se il 16 ottobre si scioglie il Consiglio non si fa più niente. E quindi si torna a votare a 30. Costoro si fanno scudo di un pronunciamento amministrativo per far rimanere le cose come stanno a danno dell’erario pubblico. Per l’altro c’è chi ha predisposto delle proposte di legge elettorale protocollandole agli atti della Commissione, ignorando che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 4/2010, ha sancito che una regione prima adotta lo Statuto e poi si dota della legge elettorale. Anche qui sarebbe stato sufficiente leggersi la comunicazione che il Ministero degli Interni ha inviato fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 a tutti i consiglieri il 4 settembre per evitare un errore così grossolano. Onde evitare che le strumentalizzazioni, le omissioni ed i tatticismi, di opposte sponde, impediscano di completare il percorso istituzionale indicato dall’Ufficio Territoriale del Governo per portare a 20 il numero dei consiglieri, ho nuovamente sollecitato il Ministro Cancellieri a inserire in un qualsiasi provvedimento in via di conversione un emendamento legislativo che in due righe sancisce l’automatica attuazione del disposto dell’art. 14 della legge 148/2011 per il Molise. È sufficiente prevedere che nelle regioni in cui lo Statuto in vigore non definisce il numero, e si fa riferimento ad una norma nazionale, scatta il nuovo limite menzionato. Questa iniziativa trae spunto dal convincimento che da parte delle forze politiche c’è un basso livello di consapevolezza circa la devastante crisi economica in essere e il crescente disagio sociale che assilla un numero sempre più alto di persone e di famiglie. È opportuno che i cittadini si organizzino insieme alla parte più sensibile della società civile per mobilitarsi a sostegno della riduzione dei consiglieri, degli assessori e dei costi della politica. E non basta portare a 20 gli eletti alla Regione. C’è bisogno di un riordino più ampio che ho protocollato in una Mozione, che sarà illustrata in un evento pubblico, in cui si prende atto che la legge 135 del 7 agosto scorso ha soppresso la Provincia di Isernia ed ha accelerato le scadenze sui servizi associati obbligatori per i comuni. Nella proposta di riordino amministrativo prefiguro il definitivo superamento delle dieci Comunità Montane, la cancellazione o l’accorpamento di Istituti, Consorzi, Enti Sub-Regionali e Agenzie, l’avvio di una cooperazione di Macro-Area con Abruzzo e Marche, e la suddivisione del Molise in 17 Unioni di Comuni, distinguendo le Unioni Montane da quelle Semplici. Entro pochi mesi i comuni non potranno più gestire da soli i servizi essenziali per i cittadini e consentire la nascita di micro-unioni non servirebbe a nulla. Per questo è opportuno immaginare 17 Unioni a cui demandare deleghe, funzioni, risorse finanziarie e poteri, avvicinando i cittadini alle istituzioni con un risparmio considerevole derivante dalla soppressione di numerosi ed inutili enti intermedi.☺ [email protected] xx regione denaro sversato Cristina Muccilli Inizia la danza dei silenti, è tempo di elezioni. I nostri politici (e faccio salva sempre l'eccezione) sono a caccia di visibilità e non importa quanto siano stati a guardare o quanto abbiano lavorato effettivamente per il territorio, ora tutti hanno da dire qualcosa sulla scuola che non riapre, sulla mancata mappatura dei livelli di inquinamento del territorio, sulla mancata istituzione di un registro dei tumori, sulla sanità ecc. - Come se nessuno avesse mai concepito lo stato in cui sostanzialmente versa la scuola, - come se nessuno avesse mai sentito parlare di centrali turbogas e leucemie, - come se nessuno avesse mai saputo della grande espansione dei tumori soprattutto in basso Molise, - come se nessuno avesse conosciuto da anni il progetto di “fusione” tra il Cardarelli e la Cattolica, - come se nessuno di loro avesse operato nelle istituzioni da lungo tempo. I media molisani registrano innumerevoli conferenze stampa all'insegna di questa o quella denuncia da parte di questo o quel politico e lo scopo dovrebbe essere quello di informare i cittadini. Però succede spesso che l'oggetto dell'esternazione è già, da tempo, dato per acquisito dalla cittadinanza e quando, dalla vicenda, viene fuori un elemento di novità è comunque a danno dell'idea del lavoro politico dello stesso denunciante. Infatti si può mai difendere la posizione di chi, all'opposizione nel consiglio regionale - provinciale, comunale -, non conosca quali adempimenti siano stati posti in essere e quali no dalla Giunta? Parlo ovviamente di questioni di grande impatto sul territorio, di questioni di rilevanza estrema, non di cavilli amministrativi. Fino a quando abbiamo intenzione di reggere il gioco a questa politica? Fino a quando permetteremo a questa politica di ignorare i nostri bisogni e le nostre aspettative? Fino a quando tollereremo che questa politica prosegua con pubblici silenzi e intrighi privati? Quando smetteremo di mendicare - per un po' di precariato mal pagato, per una analisi o un esame che potrebbe salvarci la vita, per un diritto stabilito da una sentenza -? La nostra è una regione che potrebbe amministrare un sindaco, eppure è al collasso; i soldi per il terremoto non hanno ricostruito, i soldi per la sanità hanno fatto chiudere gli ospedali di Agnone, Larino e Venafro e smantellato quelli ancora operanti; poi ci sono i soldi che fanno costruire opifici che non aprono, quelli che fanno aprire istituti di varia cultura che favoriscono solo chi li gestisce (i soldi), ci sono i soldi (tantissimi) sversati nel catrame di grandi imprese nazionali di costruzioni, serviti per eliminare qualche curva della SS 87 e per costruire impattanti quanto inutili viadotti, i soldi per chiudere lo zuccherificio, e i soldi per costruire barchette che non prendono il mare, i soldi (sempre di più, altro che riduzione) per reggere la struttura amministrativa della Regione Molise che non può più operare. Per costruire il fallimento servono molti quattrini. E serve l'inettitudine, l'acquiescenza, il silenzio di una opposizione. E serve l'omertà, l'asservimento, la pavidità e la malafede della maggioranza dei cittadini. Ci impegniamo: per trovare un senso alla vita, a questa vita una ragione che non sia una delle tante ragioni che bene conosciamo e che non ci prendono il cuore. Ci impegniamo non per riordinare il mondo, non per rifarlo, ma per amarlo. (B. Brecht Amare il mondo) ☺ [email protected] l’idiota Annamaria Mastropietro Idiota è parola greca e significa “persona carente di interesse civico e della capacità di essere cittadino”. Sono gli incompetenti sociali, i malformati civicamente, coloro che non distinguono un discorso politico dalla demagogia dell’oratoria. Non riconoscono quali sono i valori da condividere e quali quelli da rifiutare: parassiti insomma, che rincorrono uno strano ideale di perfezione: quello che invece di procurare loro la libertà li rende dipendenti dal controllo e dalla performance. Il controllo li rinserra nella sfera del privato e serve loro per garantirsi una “giusta” immagine, emozioni appropriate, modo accettabile di parlare e di comunicare. Essere impegnati a curare il proprio sé e a tenere a bada le reazioni degli altri evita loro di essere relegati nella categoria dei cosiddetti “perdenti”. La performance è l’altro elemento che li condiziona soprattutto nella sfera pubblica: in azienda, in ufficio, a scuola, li vede misurarsi con la capacità di superare i propri limiti, di competere con gli altri, per evitare critiche e giudizi negativi. Nella caciara intronata e intronante del bel paese l’equilibrio tra sfera privata e fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 sfera pubblica è saltato e la crisi che ci attraversa ne è la dimostrazione. Perché si fonda sul benessere individuale di pochi al prezzo dell’asservimento e della miseria di molti. Dovrebbero chiedersi, questi idioti: “Che cosa è più importante: la libertà da o la libertà di?”. È più importante rincorrere solitariamente e a tutti i costi la realizzazione dei propri desideri o rivendicare insieme ad altri le condizioni necessarie per poter pensare, dire, costruire il futuro? Dimentichi che la condizione umana è caratterizzata dalla finitezza, dalla dipendenza dall’altro e intrappolati nella gabbia della loro “perfezione” preferiscono invece continuare a rincorrere un effimero benessere individuale e non assolvere i compiti e le attribuzioni richiesti a cittadini consapevoli e maturi. Preferiscono vivere catapultati in stereotipi e ossessioni che li imprigionano; si proclamano liberi pur in mezzo a mille freni e inibizioni; e quel che preoccupa di più è che, massimizzando i loro interessi, negano quelli degli altri. ☺ [email protected] 9 xx regione restituire la speranza Qualche settimana fa la stampa locale ha riportato la notizia diffusa dall’assessore alla programmazione Gianfranco Vitagliano concernente la maggiore disponibilità di risorse finanziarie che in fase di assestamento di bilancio avrebbero consentito interventi a sostegno di settori produttivi e per il settore del sociale. Per fare certe affermazioni ci vuole veramente la faccia tosta e la totale mancanza di rispetto della popolazione. Le presunte maggiori nuove risorse finanziarie derivano dalle aumentate tasse che i cittadini molisani sono costretti a pagare per la voragine nella sanità e che alla stessa devono essere destinate. Altro che risorse aggiunte. Si dice nel palazzo che il potente assessore non è più nelle grazie del presidente Iorio che ha dovuto prendere atto non solo della totale infedeltà politica, ma, e soprattutto, degli evidenti errori di programmazione e di utilizzo delle risorse pubbliche e che finalmente si stia rendendo conto della voragine finanziaria che è stata creata. Farebbe cosa gradita all’intero territorio regionale, forse anche nazionale, se nei fatti allontanasse dalle casse regionali l’ingegnere di Termoli che è il maggior protagonista della disfatta della nostra regione. Dopo tante azioni non condivisibili, il presidente Iorio acquisirebbe da parte nostra un punto a suo favore. Così come farebbe bene ad oscurare definitivamente la faccia del sen. Di Giacomo, altra creatura politica che rappresenta 10 fossi” (a questi, a differenza degli sportivi, non si sloga mai una caviglia quando saltano). È tempo che i cittadini, i giovani, i cattolici si impegnino per dare visibilità a idee, proposte e uomini che possano contribuire alla rigenerazione del Paese e della regione e alla costruzione di un programma che guardi alle necessità e ai bisogni. È necessario fare i conti con gli errori del passato perché, riscoprendo i valori della vita, l’etica, la giustizia, l’impegno volontario, la coesione e la solidarietà, si definiscano le linee guida di un rinnovato movimento in politica. In particolar modo i cattolici impegnati in politica, che hanno difettato di senso critico e di senso civico, devono tornare a parlare ai cittadini per ridare loro speranza e voglia di essere protagonisti. È sulla sfida del lavoro che manca, su un nuovo modello di welfare che deve unire solidarietà e sussidiarietà; su forme diverse di democrazia partecipata e sull’esigenza di rigore, trasparenza, onestà deve essere individuata e scelta la nuova classe dirigente che auspichiamo possa governare nel futuro la nazione e, per quanto ci riguarda, la regione. In tal modo ai cittadini sarebbe restituita la speranza e diventerebbero i protagonisti della ricostruzione dei territori massacrati da politiche miopi e dissennate.☺ solo se stesso. Da buon ex socialista ha saputo fare un grande, invidiabile percorso personale, alla faccia dei molisani che sono costretti, ogni tanto, grazie anche a telepetescia, a dover sentire le sue esilaranti esternazioni. Ma ormai il palazzo ha solo attenzione per la fatidica data del 13 ottobre: il Consiglio di Stato rimanderà tutti a casa o modificherà la sentenza del TAR? Tutte le attività amministrative regionali sono rivolte a questa data e all’eventuale nuova campagna elettorale. Molti si stanno già posizionando. Abbiamo già detto del tentativo, sempre dell’ingegnere, di accreditarsi al FLI dove ha mandato in avanscoperta il suo fidato Cefaratti, sindaco di Campodipietra, consigliere provinciale, coordinatore provinciale del FLI. In questa nuova aggregazione politica è passato a militare anche Nicola Cesare, altro fidato di Vitagliano, che gestisce molte risorse regionali con [email protected] svariate società, che sono la vera macchina elettorale di Vitagliano. Questa operazione politica è molto preoccupante soprattutto se da Roma arriverà il diktat che il FLI deve Papà è attento e premuroso stare con il centro Gli guarda le spalle in modo rumoroso sinistra. Belle nuove Lo accompagna in ogni atto formale facce arriveranno da Per evitare al pargolo di farsi del male questa parte. Oggi noi Sul cuore la mano diceva Filumena Marturano abbiamo bisogno di i figli so’ figli e vanno sostenuti con soldi e consigli una nuova politica e E dopo un po’ di gavetta la sedia regionale l'aspetta non di nuove sigle o Alla provincia cosa vuoi che sia si saluta e si va via di grandi “saltatori di Pure al comune il figlio è stato ma se l'era meritato Perché ai figli di nessuno, non capitano mai tali fortune? Meglio tacere così va il mondo per taluni è proprio rotondo Basta il nome ad aprire le porte e poco c'entra la sorte Ma quanti talenti restano al palo senza parenti Taci o voce della coscienza e resta muta in penitenza Non conosci di un figlio il valore a cui il padre dona amore Lascia stare le pari opportunità che le invoca chi nulla ha Mettiti in fila con in mano il cappello anche se è poco bello Regole, diritti e legalità, bei discorsi e poi eccoli qua Tanto cammino dell'umanità per finire senza dignità Il Brigante del Matese il valore di un figlio fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 confronti Una casa, la petite maison, è il centro. Una casa è viva e ci appartiene quando ha il nostro odore, quando è piena di noi e ha accumulato nel tempo energie fluide che si materializzano in sorrisi, urla, disperazioni, stili di vita, amori, scritture, creazioni, lacrime, noia. Una casa ci appartiene per questo e in questa forma non sarà di nessun altro. Perciò, quando arrivano gli Altri, nel sonno, a tradimento, silenziosamente, dovrebbero trovare barriere solide. Le tane sono sempre cementate col sangue di chi se le è costruite. Senza tana saremmo preda. Per questo tutti noi siamo sempre più barricati, avvolti nelle nostre coperte, protetti da veli gusci bozzoli cortecce corazze. Ci difendiamo (quando la paura è padrona assoluta) con nuovi apparati percettivi in sostituzione dei meno affidabili occhi, tecnologie artificiali, congegni integrati nei quali si insinua un “occhio” diverso da quello soggettivo, un occhio disumanizzato, che si sgancia dall’osservazione individuale e penetra in un tipo di sguardo a 360 gradi, perfetto al cento per cento: videocamere di sorveglianza o amatoriali, videotelefonini e altro. Ma c’è un fuori, che va tenuto in considerazione, un fuori terribile che è trascinato via dall’onda lunga e gelata di uno tsunami che lascerà dietro la sua coda diseguaglianze e tragedie, vuoti spaventosi e necropoli di fango. Un fuori che ormai è strutturato come le tragedie antiche, nelle quali la catarsi tragica avviene soltanto dopo la rappresentazione dei tre drammi, con una improbabile commedia conclusiva a sfondo surreale; o come le tragedie senecane, nelle quali lo spettatore si abitua ai colori di macellerie e mattanze continue; o come le architetture case inghiottite Maria Concetta Barone calviniane de Il castello dei destini incrociati, in cui le sorti di molti individui soli e dispersi confluiscono e confliggono senza tregua. In questo fuori noi, quelli che si espongono, nonostante tutto sembri inutile, noi quelli che si appassionano, che sanno che non è del mio o dell’ io che si deve parlare sempre, ma del nostro e del noi, noi saremmo o potremmo essere i mutanti, i replicanti, quelli col terribile puntino d’acciaio nelle pupille? Tante petites maisons vengono inghiottite e noi con loro. Voglio dire con forza in compagnia di Bauman che tutti noi verremo trascinati via senza posa, in un mondo liquido, perché come tutte le sostanze liquide questo mondo non può restare immobile a lungo e tutto in esso è in drammatica incessante trasformazione. Ma a questa fluidità si accompagna un aumento tragico della disuguaglianza ed una resistenza del Sistema a qualsiasi tensione al cambiamento. Il Sistema, quello sì, è iniquo, quello sì, è Alieno, insieme alla sua capacità di resistere ai tentativi di dargli regole umane e condivisibili. Dunque il mondo è liquido, ma il Sistema è ben solido ed ha sviluppato osceni meccanismi di autoriproduzione, che non hanno niente a che vedere con noi che combattiamo da una vita con passione gratuita, con noi che scriviamo senza posa cose che nessuno leggerà mai con attenzione (perché molti sono concentrati sulla propria ombra e su un io che è difficile codificare e cristallizzare in una forma statica), noi che ci riuniamo in stanze umide e concesse in prestito temporaneo per tramare, fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 ordire, ardire, organizzare, sensibilizzare, follemente combattere. Gente che è come noi può avere il gelo del puntino d’acciaio, può semplicemente e tranquillamente diventare Loro? senza averne la minima consapevolezza? Con amarezza e con un’emozione profonda debbo concludere che, nonostante negli ultimi anni molti nostri movimenti si siano contrapposti alla Solidità del Potere (Indignados spagnoli, Occupy Wall Street, No Tav, No Global, Onlus radicali e alternative come Emergency…), non è cambiato assolutamente nulla. Nulla di nulla. Preferisco allora sapere che il mio territorio dei sogni è intatto, preferisco continuare la mia resistenza tutta umana in questo interregno (parola di Gramsci) in cui il vecchio muore e il nuovo ancora non può nascere, interregno in cui si possono verificare fenomeni terribili, laddove la sovranità non è più popolare, la democrazia diventa porosa e scarsamente difendibile, per il fatto che il Potere si è finalmente liberato dal controllo della politica. Il Potere è globalizzato e perciò inafferrabile col suo apparato di banche, criminalità, mafie, alte e intoccabili élitès finanziarie. In tutto questo irreversibile e doloroso Kaos una petite maison viene risucchiata con le sue poesie, la sua energia, i sospiri e gli amori di una vita. Allora, consapevole di avere l’occhio limpido, il cuore pulito, il corpo vergine dai baccelloni, posso solo ripetere all’infinito “Dimmi, dimmi Ninì, che fare?”.☺ [email protected] 11 il calabrone lettera di una traditrice Loredana Alberti Roberto, carissimo, è già una settimana, oggi venerdì, e so bene che non ti sentirò Mai più! Mai più! Mai più! E so anche, mio amatissimo amico, padre, sostegno, mentore, coinvolto nella mia vita dalle mie insistite richieste amorose, coinvolta io nella tua e di Elena, perché nessuno mai si staccherebbe dalla perfezione ricevuta, dalla sobria civiltà etica che accompagnava i vostri atti, i vostri movimenti, la vostra vita e la tua poesia. Adesso so che ti sto tradendo: tu sei andato via senza chiamare nessuno dei tuoi figli adottivi, coloro che avrebbero voluto riempire l’assenza che ti è stata compagna ma soprattutto la grande assenza, il vuoto, la voragine di cinque anni fa che aveva il nome di Antonio, tuo figlio. Ti scrissi prendimi, come figlia, ogni giorno voglio starvi vicino, ma anche lì sapevo che nulla avrebbe scosso la tua solitaria volontà di affrontare tutto il Resto, con le mani a scavare, con le unghie smozzicate, il cuore schiantato. Sì sto tradendo il tuo silenzio, la tua volontà che tutti amici, cari, stampa, pubblico sapessero solo il sabato e che in silenzio saresti partito senza nessuna parola altrui su di te. Strappo il velo della nostra storia perché un piccolo giornale del sud su cui scrivo, quello dove hai mandato un tuo breve messaggio in stato di “felicità confusionale”, (il sud che tanto amavi e che sceglievi se si trattava di riviste, di case editrici), sappia di te, di come hai vissuto qui nella tua Bologna che in questi giorni ancora manda canzoni di 12 Lucio Dalla per la strada e che di te ha scritto parole che in gran parte vanno dimenticate. E che tu non avresti amato. Nell’ultima telefonata, ricordi? Mi hai detto sono stanco, ho gli occhi che non vedono bene, le gambe mi fanno male, cammino con il bastone ma appena sarò presentabile (ah nella tua voce quella piccola civetteria che mi faceva sorridere) ci vedremo perché sai che sei in cima ai nostri pensieri. Ti risposi ma io vi voglio abbracciare! Avrei voluto anche urlarti "mi manchi, le tue parole che sono state per me sempre forza per andare avanti per continuare mi mancano, mi mancano le mie quotidiane visite in via Castiglione prima e poi in via dei Poeti alla libreria Palmaverde dove Elena apriva la grande porta sospettosa (arrivavo senza telefonare) si schiariva nel vedermi, chiacchieravamo e se tu c’eri, e c’eri sempre nella tua stanza, nel tuo rifugio ad incontrare, ad ascoltare i giovani, a fare i pacchi da libraio come amavi definirti. Uscivi e mi salutavi, stavamo due o tre minuti che erano per me linfa. Finivi sempre con il dire qualcosa che mi portava alla gioia. Ed io sapevo rispondere solo con i miei fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 piccoli gesti da figlia amata: il primo ramo di pesco per Elena o le primule o l’erica di cui è appassionata e per te quaderni confezionati da me o a Natale l’aromatico the che oramai era un rito di scambio. Venivate sempre a vederci, ascoltarci in via Tanari vecchia nella “cantina del Guerriero” arrivavate per ultimi quando le luci, già di per sé fioche, erano spente e lo spettacolo stava iniziando e andavate via per primi quando capivi che le battute erano le finali. Qualcuno la poteva prendere per orgogliosa lontananza, era invece il tuo assoluto riserbo, il non volere apparire, il non volere essere distolto dallo spettacolo che ti trasportava. Dopo alcuni giorni mi avresti telefonato, inviato dei fogli scritti a mano e spediti spesso al Manifesto o all’Unità. Era un atto d’amore il tuo e quello di Elena, che non uscivate mai Ora ho in mano la tua L’Italia sepolta sotto la neve, 32 copie a tue spese, la mia è la tredicesima e mi scrivi “con antica amicizia e forte considerazione". Permettimi caro amico per questa antica amicizia di adornarti secondo l’usanza degli antichi ittiti: di indorarti il viso, di mettere sugli occhi due conchiglie di mare, una azzurra ed una verde, di dipingerti di ocra le braccia e di blu le mani. Ti pettinerò la barba con olio orientale (non preoccuparti nulla di frivolo) un olio adatto ai guerrieri come te. E poi qualche biscotto, the e miele, e infine libri, libri. Il libro viene dalla tua amatissima Palmaverde e forse un poco ti è dispiaciuto separartene. ("Vendere i libri, mi creda, è la parte più dolorosa del mestiere di libraio. Tra i miei libri di casa e quelli di libreria non c'è mai stato un confine vero. Ogni libro che partiva era una perdita inesorabile. E quante volte, lotta e contemplazione venduto un titolo, mi sono messo subito a cercarne uno identico per riempire il vuoto"). (E i suoi libri? Quelli scritti da lei? "Non so che sorte avranno... Forse la pattumiera della storia. Si sente odore di fumo nell'aria, la carta è riciclabile"). Permettimi invece, come tradimento massimo di mettercene tre tuoi Dopo Campoformio (Einaudi 1965), Le descrizioni in atto che ho in ciclostile con la copertina di carta scritta a mano da te e le borchie che lo tengono e L’Italia sepolta sotto la neve. Non ti farà piacere ma mi saluteresti con il tuo nobilissimo baciamano (ho sempre pensato che baciarti sulla guancia ti avrebbe fatto arrossire). Come sei arrossito quel giorno di tanti anni fa nello studio-casa di Fiorella, quando sei salito per incidere la tua voce, quattro versi di una tua poesia che portai come spettacolo alla Biblioteca della Resistenza. Non potevi sottrarti, i poeti invitati dovevano leggere se stessi e scegliere un altro poeta. Io scelsi te. Solo a gennaio del 2011 a Roma si è tenuto un convegno su di te e la tua poesia civile. Qui a Bologna nulla. Noi, i pochi tuoi orfani, a spingere su qualcuno, tuo nipote con la casa editrice Pendragon ha ripubblicato i tuoi lavori teatrali, ed anche delle tue poesie. Avresti potuto avere soldi e fama, ma non hai mai voluto niente. E, negli ultimi mesi di vita ti sei fatto promettere da Elena che, quando quel giorno sarebbe arrivato, non ci sarebbero stati funerali, né pubblici né privati, nessuna commemorazione o ricordo: “E’ tutto lì, in quello che ho scritto”. Il primo che intuì questo tuo aspetto, persino in anticipo sulle tue “clamorose” scelte editoriali, fu il tuo sodale dei tempi di “Officina” (e ancor prima), Pier Paolo Pasolini: che nel 1964, in Poesia in forma di rosa, ti dedicò questo citatissimo (e a sua volta ambivalente) ritratto: “Nel terzo / petalo odoroso si contempla / ROVERSI, come un monaco di clausura / diventato pazzo, che cerca una clausura nella / clausura, per rifare di nuovo il cammino già fatto, / senza notizie biografiche, cicala nel sole della tomba / a trasformare livore in malinconia - comunque / quella è la sua vita, e della sua vita / i suoi versi sono testimoni / che hanno senso in con-/testi di dolore / nero”. Tu stesso nel risvolto di copertina delle Trenta miserie d’Italia scrivevi: “Appartengo alla schiera, non folta, convinta che non solo si possa ma che si debba morire per la così detta ‘patria’, itala tellus, Vaterland. | Naturalmente, a Maratona, alle Termopili, a Salamina, a Curtatone e Montanara, sul Piave. […] Dunque questo testo è un canzoniere d’amore incattivito da una rabbia rabbiosa per un tradimento che è in atto ma che deve passare”. Nella quarta delle Trenta miserie si legge un inciso lancinante: Parlare continuare a parlare senza sapere come parlare scrivere continuare a scrivere senza sapere come scrivere pensare continuare a pensare non sapendo cosa pensare e continuare a voler sapere senza sapere che cosa sapere. Ci chiedi di nuovo, come compito di chi resta di continuare. E continuare come hai vissuto tu. Per questo e su questo punto non ti tradirò. Mai più! Mai più! Mai più!☺ apriti Rosalba Manes «Guardando verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente» (Mc 7,34-35). Apriti! è il grido che Dio rivolge al sordomuto per guarirlo, ma anche il grido che fa giungere al nostro orecchio, per liberarlo dal frastuono e dalle urla di chi teme il silenzio per paura di doversi leggere dentro. Apriti! è il grido della vita che urla contro i tuoi ripiegamenti egoistici che causano di continuo “aborti” di amicizia e di fraternità. Apriti! è l’invito a uscire dalle difensive per vivere la logica del dono. Apriti! Come il mare durante l’esodo quando rende la libertà agli oppressi, come la terra del Salmo 85 che fa germogliare la verità, come la nostra terra che dieci anni fa si è aperta sotto i piedi nostri, dei nostri bambini, dei nostri anziani e di tanti sogni… Terra che si apre senza chiederci il permesso e che forse lo fa perché ha sete, sete… di uomini nuovi. Apriti! Tu sei una porta che non può restare chiusa. Apriti… alla fede in Dio, alla fiducia nel prossimo, alla fedeltà alla storia, alle tue radici, alla tua terra che forse di tanto in tanto si scuote non per farti male ma solo per ricordarti che è tempo di sciogliere i nodi delle catene che costruisci a te stesso e agli altri e per risvegliarti alla danza della vita. ☺ [email protected] [email protected] fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 13 terzo settore fede e politica La morte del cardinale Carlo Maria Martini ha segnato in maniera incisiva l’intero popolo italiano. E non solo. Pressante è stata la ricaduta sull’intero sistema Leo Leone della comunicazione. La partecipazione ai riti funebri ha coinvolto masse di cittadini a prescindere dall’appartenenza a credi diversi come pure a formazioni culturali e politiche di ogni taglio. Sulle testate giornalistiche sono comparse cronache fortemente segnate dalla stima e dalla esaltazione della persona e del suo intenso impegno in ambito culturale e di testimonianza cristiana. Ma sono anche emerse parole e analisi di disturbo da parte di chi non gradisce la posizione pionieristica e scomoda del cardinale in ambito religioso, soprattutto quando si rifà a valori che conciliano tra loro fede e ragione, impegno e libertà derivanti da principi etici che non sempre si conciliano con una governanza di modello autoritario e ricorrente in ogni ambito del vivere umano e che si manifesta in forme anche inumane nell’integralismo che permea talune dottrine e testimonianze religiose. Lungo l’intero cammino della vita Martini si riconosceva come viandante in perenne ricerca di Dio nella piena consapevolezza di affrontarne giorno dopo giorno l’ardito sentiero della ricerca. “Il non credente che è in me” è la convinzione che lo porta a riequilibrare continuamente la fede alla ragione, con il chiaro convincimento che la fede è una conquista che si attua per l’intero percorso di vita, e non una meta che si raggiunge come dono senza fatica, aderendo ad una ritualità diffusa anche tra credenti che racchiudono la loro fede nelle sole pratiche liturgiche esonerate dall’impegno di vita. Egli rileva “l’importanza attribuita da Gesù, dagli evangelisti, dalla Chiesa primitiva anche, al retto giudizio sui fatti sociali e politici, alla connessione di questi fatti con gli atteggiamenti religiosi e alla comprensione delle conseguenze, spesso drammatiche, della mancata risposta all’appello di pace della città”. Sono queste considerazioni riportate in un suo libro del 1996 dal titolo Ritrovare se stessi, a fornirci il messaggio ricorrente del cardinale Martini: la fede comporta impegno di vita e testimonianza di coerenza etica nel quotidiano vissuto. E a suo dire: “Ci pare di poter intuire un progetto messianico di Gesù, che ha pure una valenza sociale e, a suo modo, politica”. Siamo oggi di fronte ad una visione della politica intesa come una rete fortemente a rischio di occlusione o di netta separazione da una dimensione di fede tutta ripiegata nel sacro rituale e nella risoluta delega di un impegno, da parte di credenti, nel farsi carico delle istanze che vanno emergendo all’interno della società. “Contro la cultura della protesta, del mugugno, della depressione, della rivalsa, dell’autoconsolazione, della chiusura in se stessi a doppia mandata… per una cultura della vigilanza ora è il momento della responsabilità”. Così si esprime il cardinale in un suo opuscolo del 1992 dal titolo provocatorio: Sto alla porta. La testimonianza autentica del laico come del credente è quella di adoperarsi per la soluzione dei problemi del mondo, a partire dal proprio territorio, ricorrendo a strategie di pace e di raccordo anche con quanti sono diversi da loro. Il dialogo costituisce la strategia prioritaria per “attivare un’azione sociale e politica volta al bene di tutti e non al rovesciamento delle autorità legittime, costituite, bensì per suscitare un raduno di popoli sotto il segno della mitezza, della non violenza, dell’amore mutuo, così da realizzare un nuovo modo di essere città”. E qui il convincente pastore d’anime riconferma la sua posizione di composta ma palese critica ad un’idea di Chiesa strettamente legata al modello del dogmatismo autoritario che può anche infiltrarsi nel mondo della politica. Tale linea è parte integrante della figura umana e della testimonianza di Cristo di fronte ad ogni forma di ingiustizia e di rigetto della linea dialogica aperta alla costruzione del bene comune. Non a caso su di lui più di qualcuno seminò zizzania definendolo “frequentatore di prostitute e peccatori”. Nella fase terminale del suo malessere fisico Martini ricusò nei suoi confronti interventi di accanimento terapeutico per il prolungamento ad ogni costo della vita. Su tale sua scelta si sono concentrate riflessioni, e critiche anche, da uomini di Chiesa. Il cardinale ha dato un chiaro segnale di libertà di pensiero che non confligge con la scelta di fede ma, al contrario, ne rafforza una posizione di prossimità all’umanità più debole che salvaguarda il principio della libertà anche come presupposto alla scelta di fede. Al malato spetta il diritto primario di optare o rifiutare il ricorso alle cure a lui proposte per un prolungamento della vita ad ogni costo. È di questi giorni il dibattito acceso su un interrogativo che inquieta e interroga anche il mondo della politica. Il cardinale Carlo Maria Martini ci fornisce una testimonianza di grande spessore in un momento storico di sbandamento diffuso quanto a difesa della libertà orientata al rilancio di una società volta al bene di tutti, a partire dai più deboli. A conclusione una sua dichiarazione recentissima: “Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e il discernimento degli spiriti”.☺ [email protected] 14 fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 Il ricordo è chiaro, non importa il tempo trascorso: l’altezza da statua di imperatore romano, l’incedere maestoso, non paludato, il capo appena chino, le mani enormi e il tocco stranamente lieve, il tono della voce echeggiante, composto senza alterigia, il sorriso abbozzato di chi davvero comprende, lo sguardo profondo degli uomini grandi. Quarto Oggiaro, periferia nord di Milano, periferia di emigrati e di gente umile, parrocchia di Santa Lucia: l’arcivescovo Carlo Maria Martini impartisce la cresima a una trentina di ragazzini stirati nell’abito nuovo, tanto diverso dalle tenute consuete da oratorio, imperlate di sudore, polvere e pallonate. Ero tra i festeggiati quel giorno ed è questa una memoria che mi inorgoglisce di gioia. Sembrerà infantile, ma è un po’ come quando in tv, alla radio, sui giornali si parla di un evento che hai vissuto di persona, fosse anche solo da comparsa, e allora ti senti importante e pensi entusiasta “Che bello: io c’ero!”. La Storia ti attraversa anche così e ti senti parte di un tutto pulsante. Ero troppo piccola allora per capire chi fosse Carlo Maria Martini, qualcosa in più l’ho capita dopo, o molto di recente. Però mi sono rimaste ben impresse in mente sin da subito le parole afferrate dai discorsi dei don in parrocchia, che questo era un vescovo fuori misura, una statura spirituale rara; per una strana associazione di idee, di quei ghirigori che ognuno di noi produce cultura danzare solo nella notte Luciana Zingaro diversi dagli altri, quando al ginnasio si leggetervista rilasciata alla BBC pochi giorni prima va insieme I promessi sposi, Federigo Borrodella morte; vi diceva tra l’altro: “La nostra meo aveva per me l’immagine e il volto di cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono Carlo Maria Martini. grandi, le nostre case religiose sono vuote e Mi ha colpito la morte di Carlo l'apparato burocratico della Chiesa lievita, i Maria Martini, per la perdita della persona, nostri riti e i nostri abiti sono pomposi… Il della ricchezza e dello spessore umano che la benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il contraddistingueva, non per il modo in cui giovane ricco che triste se ne andò via quantale morte è avvenuta, già fatta oggetto di do Gesù lo chiamò per farlo diventare suo diatribe inutili e strumentalizzazioni facili. Un discepolo. Lo so che non possiamo lasciare esito naturale, invece, in linea con l’intera vita pastorale di Martini, da sempre attento al rispetto della dignità umana quale fondamento di una vera evangelizzazione: in occasione della morte di Piergiorgio Welby, Martini aveva invocato un “supplemento di saggezza” nell’uso foto: Silvio Mencarelli dei trattamenti terapeutici che non giovino più alla persona; tutto con facilità. Quanto meno però potreminteressato e aperto alle questioni del rapporto mo cercare uomini che siano liberi e più tra scienza e fede, vicino ai sofferenti e da vicini al prossimo. Come lo sono stati il veultimo sofferente a propria volta, citando i scovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvadue detti di Qoelet “Osserva quel che Dio fa: dor. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarchi può rendere diritto ciò che ha fatto curci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli vo?” e “La polvere tornerà alla terra, come con i vincoli dell’istituzione”. lo era prima, e l’alito vitale a Dio che l’ha La risonanza universale di Martini dato” metteva in relazione quanto scritto nel sta in quest’attitudine a interrogare e interroQoelet alla condizione che viviamo alla fine garsi senza posa nello sforzo continuo di della vita e “al diritto di rinunciare a terapie promuovere meditazione e cambiamenti che liberamente scegliamo di valutare spromigliorativi tra i cattolici, e riposa sulla fiduporzionate, come la nutrizione artificiale”. cia in una feconda interazione tra credenti e È la vita di Martini a stupirmi assai non credenti, salda al punto che Martini afferpiù che la morte, il suo magistero pastorale mò che la differenza maggiore non è tra chi esplicatosi in luoghi fra loro lontani e in camcrede e chi non crede ma tra chi pensa e chi pi diversi, dallo studio e dall’esegesi della non pensa. Ed è questa una differenza che Parola al dibattito ininterrotto con gli scientaglia trasversalmente credenti e non credenti. ziati in materia di bioetica, dalla prossimità ai La cifra sintetica del magistero di malati all’istanza di rinnovamento rivolta alla Martini è racchiusa in nuce nella sua prima Chiesa tutta, specie quella del ricco Nord del lettera pastorale alla diocesi di Milano, provomondo, specie ai suoi vertici e alle sue gerarcatoria sin dal titolo: “La dimensione contemchie. In proposito, sono una sferzata le parole plativa della vita”. Una scossa inattesa, se pronunciate da Martini in occasione dell’insolo si pensa alla destinataria della lettera, la fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 città di Milano appunto, allora attivissimo avamposto della società industriale: Martini, consapevole e volutamente dirompente, vi sottolineava quanto l’uomo contemporaneo e la sua coscienza frammentata richiedano un baricentro unitario nella disciplina dello spirito, ed evidenziava come lo spazio dedicato alla contemplazione non diminuisca l’impegno pragmatico, ma se mai lo renda più cosciente e attento, tale il costruttore della parabola di Luca, che prima di iniziare la torre siede e fa i suoi conti, e con ciò non perde tempo, al contrario ne guadagna. Nella stessa lettera pastorale l’educazione al silenzio e alla preghiera figura quale mezzo per ricondurre l’uomo al suo “maestro interiore”, al suo alito divino, solo restando in ascolto del quale, anziché essere distolto dall’agire pratico, l’uomo trova la “condizione necessaria per affrontare con qualche probabilità di successo l’impegno politico senza soccombere e lasciarsi morire di aridità”; è in questo modo - continua Martini - che “il problema morale del cristiano in politica non viene vissuto in una ansiosa misurazione del lecito e dell’illecito, che di solito intristisce l’uomo, facendolo vagare nel minimo lecito e togliendogli ogni slancio. La moralità può invece essere vissuta come continuo superamento di sé in virtù di un fine assoluto e a partire da una spinta dello Spirito”. Dopo i funerali di Martini ho ripreso una raccolta di poesie di Davide Maria Turoldo - li ho sempre collegati come in un dittico lui e Martini per densità interiore e potere di pensiero - e mi sono imbattuta in questa bella strofa: Tu non sai questa voglia di danzare solo nella notte dentro la chiesa, tua nave sul mare. E la quiete dell’anima e la discesa nelle profondità, e sentirti morire di gioia nella notte. Sembra scritta per Carlo Maria Martini, o forse gli sarebbe piaciuta. A presto. ☺ [email protected] 15 arte scultura mistica Gaetano Jacobucci Con le teatrali e struggenti “Estasi di S. Teresa d'Avila” (1647-1652) in Santa Maria della Vittoria e il monumento alla “Beata Ludovica Albertoni” (1674) nella chiesa di S. Francesco a Ripa, opere custodite in queste chiese romane, il grande artista Bernini si misura nello sforzo di cogliere, nel volto della santa e della beata, un'espressione di estasi così pronunciata da far pensare, più che a personaggi presi dall'esaltazione mistica, a donne travolte dall'ebbrezza della sensualità; i panneggi delle vesti sono dinamicamente mossi e la forte teatralità dei due lavori confermata dai componenti della famiglia Cornero che affacciati al balconcino assistono all'estasi di Santa Teresa e dai volti di angioletti che contemplano l'ebbrezza della Beata Ludovica. La sensualità barocca Tutta la cultura barocca è caratterizzata dall'emergere decisivo della sfera dell'esperienza. Questo spiega la proiezione nuova, non mutuata da schemi ideologici o religiosi o estetici preordinati, aperta curiosamente al mondo. Tale rinnovato significato dell'esperienza si rivolge all'esterno del soggetto, in una realtà che si schiude misteriosa e ingannevole, straordinariamente ricca di stupefacenti novità. L'azione profonda della Controriforma opera all'interno del soggetto, scuotendone la coscienza e acuminandone il senso di responsabilità della colpa. Una nuova importanza viene ad assumere l'interiorità dell’individuo: nel “profondo del cuore”, nei suoi spazi sempre più bui e sconosciuti l'uomo del Seicento spinge lo sguardo, vi scruta tracce di una divinità che pare aver abbandonato il Cielo e il Libro per ritirarsi nelle pieghe più intime e umbratili della coscienza. Ambiente esterno e mondo interiore, corpo e sensi, originano l'incontro che si traduce in strumento e criterio d'indagine del sentimento barocco. Con i sensi il corpo sprofonda nella realtà, percependola nella sua densità carnosa e interrogandone il senso sfuggevole e apparente. Con i sensi la cultura barocca s'immerge nell'immaginario della coscienza tanto da percepire passione ed emozione lette in tutte le sfumature e ambiguità, ma anche sperimentare i segni del divino e i modi di costatarne la presenza nascosta. S. Francesco di Oratino L'esperienza del sacro spinge a descrivere e rappresentare la sensualità mediata dalla trascendenza. L'esperienza del Bernini si ripercuote nelle varie scuole della penisola, diventando tendenza esclusiva delle botteghe partenopee. Il linguaggio figurativo e letterario del classicismo si piega a rappresentare una nuova sensibilità di trasfigurazione. La vicenda evangelica, per esempio, della passione di Cristo, viene messa in contatto con il mito classico e la sua grande potenza immaginaria. Vengono accentuati gli aspetti patetici, ma ne sono declinate tutte le risonanze sensuali. Mentre la pittura “realistica” del Caravaggio cerca il divino nei corpi, nei gesti delle mani, le pieghe della pelle, gli sguardi, la pittura “classicista” di Guido Reni reinterpreta la classicità con una nuova sensibilità per la luminosità della pelle e per il patetismo silenzioso dei gesti, coniugando iconologia classica e contenuto religioso. Queste considerazioni mi spingono a contemplare il S. Francesco di Oratino di Giacomo Colombo, tanto da scoprirvi il dramma religioso e sensuale in impareggiabile bellezza di stile. Il corpo del Santo è percorso dall'emozione dell'estasi, mostra le ferite più per rappresentazione che per assorto sentimento mistico, il volto rivolto al cielo nella ricerca, in bilico tra presenza assenza, tra attimo ed eternità, tra nulla e qualcosa, diventando un silenzioso depositario di una enigmatica verità, prossima al divino. L'opera di Oratino, a mezzobusto, racchiude una tensione verso l'alto, data idealmente dal Crocifisso che il santo tiene stretto con la mano sinistra; la mano destra aperta e protesa in impotente abbandono; l'impostazione frontale lentamente scivola immergendo il corpo nell'attimo di essere ferito da invisibile dardo che trapassa di dolore invisibile nell'espressione del volto e della bocca. ☺ [email protected] CAMPOBASSO 16 fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 libera molise democrazia partecipata Non è semplice condividere la definizione di “decrescita felice”, perché la decrescita oggi è l’immagine più cruda della crisi sistemica nella quale si è cacciato il capitalismo occidentale, aggressivo, antidemocratico e prospetticamente anche suicida. La “decrescita” per noi è “infelice”, perché essa registra la sofferenza economica e sociale di quanti vedono non solo il lavoro ma anche la propria vita ridotta a estrema precarietà. Il segno evidente di tale rovina sono le condizioni di vita divenute estremamente precarie per le classi sociali che fino a poco tempo fa erano considerate la middle class, ossia la classe borghese che, appunto, per colpa di tale recessione sta in realtà scomparendo. La decrescita vuole indicare le prospettive che l’economia contadina - agropastorale - e quella fondata sulla valorizzazione del paesaggio e del turismo possono riacquistare in quanto basate sul principio dell’autosufficienza e dell’effettiva valorizzazione del territorio. In questo modo supponiamo che trovi un rigido ostacolo il principio dell’utilizzazione illogica e sine die dei beni che sono in natura e che l’uomo - il capitalismo cioè - presume di utilizzare in aeternum. Dunque, se “decrescita” è essere costretti a fare una scelta di vita - agra e misera - differente da quello che si pensa(va), allora essa è apertamente antidemocratica, anzi esprime l’attacco più violento alla democrazia. A causa della crisi e delle dolorose misure anti-repressive, così come le sta proponendo il governo delle banche con Monti presidente, il popolo rischia di accettare tutto quello che gli si dice e gli si propone e così la democrazia partecipata va rovinosamente rotolando nelle sabbie mobili di un’acquiescenza supina (la teoria della Shock economy lo sta insegnando molto bene, purtroppo!). Nello stesso momento, però, proprio a causa della crisi economica determinata e accresciuta dalle banche, l’opinione pubblica, italiana e internazionale, riconosce le condizioni di vita insostenibili nelle quali essa si trova, suo malgrado, e così è sollecitata a riflettere su questo tipo di capitalismo, la cui unica preoccupazione è quella di sfruttare tutte le risorse del nostro pianeta. Poi, anche alla luce del grave problema dello smaltimento dei rifiuti, per esempio, l’opinione pubblica sta convincendosi che più si produce, più si consuma e più si inquina perché non siamo in condizione di smaltire quanto, in quantità abnorme, noi produciamo. Ecco allora che la scelta della decrescita trae origine da una differente visione relativa allo sfruttamento delle risorse energetiche del pianeta, che prima o poi finiranno. Inoltre, la filosofia della decrescita suggerisce che la società civile - il popolo - e con essa lo Stato tornino ad essere i veri sovrani del proprio debito pubblico, riacquistando dignitosa autonomia di decisione e, di conseguenza, dandosi differenti forme di partecipazione al fine di fare politica in modo nuovo, mettendo al centro degli obiettivi del “fare politica” i cosiddetti “beni comuni”. Ma a cosa, invece, abbiamo assistito in questi ultimi anni? Abbiamo assistito, già a partire dal 2007/08, ad una spietata applicazione del cerimoniale della “punizione” richiesta dalla Germania e cioè al congelamento delle pensioni, all’allungamento dell’età pensionabile (come se la salute che accompagna gli adulti a raggiungere, magari, anche 90 anni e passa sia una iattura o una calamità naturale!), alla riduzione dei fondi per la prevenzione della povertà e dell’esclusione sociale, alla riforma del lavoro (abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e parto di un mostro quale la nuova legge sul lavoro voluta dal fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 governo Monti e dai suoi fedeli sostenitori in Parlamento, Pdl, Pd, Fli). Questo è in estrema sintesi il quadro complessivo nel quale ci muoviamo e nel quale definiamo il senso concettuale e le finalità politiche della cosiddetta “decrescita”. Ma la “decrescita” è anche la volontà di settori della società civile di dare una risposta da sinistra, quindi anticapitalistica, antiliberistica, ai furori della crisi. Tale risposta implica la ricerca e l’applicazione di un tenore di vita dignitoso, fondato prevalentemente sul soddisfacimento delle esigenze di ciascuno, un tenore di vita che sia come il risultato di un modello “altro” di sviluppo, sostanziato, appunto, dall’esigenza di rispettare l’habitat, il paesaggio, il territorio e la sua naturale economia (turismo, agricoltura e filiera corta, rivisitazione degli antichi mestieri artigianali, abbandono delle grandi città, tornare ad abitare gli antichi borghi, puntare sull’inclusione degli immigrati, considerandoli come un “valore aggiunto”). Ecco, quindi, per noi chiaro il significato di “decrescita”: da un lato essa è l’impoverimento di amplissime fasce sociali, da un altro è la volontà di allontanarsi da sinistra dalla concezione di uno sviluppo, fondato sulla utilizzazione delle risorse del pianeta che invece sono limitate e che noi non possiamo sperperare, togliendole alle future generazioni. Concretizzare questo programma (ritorno alle “mitiche” tradizioni di vita sobria e di economia dello “scambio”) impone di rinunciare ai megaprogetti che sono sul tappeto governativo che dalla guerra vanno alle grandi opere e da queste ad una concezione della politica, abissalmente lontana, da quella che per molti di noi è intesa come “servizio”, come impegno, momentaneamente distolto dalle normali abitudinarie attività professionali, limitato nel tempo ma sempre a favore della collettività. È questo un passaggio obbligato anche per noi nel (del) Molise, dove c’è assoluto bisogno di una nuova classe dirigente, più giovane e sicuramente non collusa con il vecchio corrotto potere ex democristiano e oggi berlusconiano… Ma vediamoli insieme questi passaggi… ☺ Neòi 17 commercio allarme rosso Giulia D’Ambrosio La crisi morde e continua a mietere vittime. A cadere, in questo periodo, sono soprattutto i commercianti, piccoli imprenditori che si dedicano alla vendita al dettaglio. Tra tasse e calo delle vendite sopravvivere, per molti di noi, è diventato quasi impossibile. Sembra quasi che il governo abbia deciso di distruggere il sistema distributivo delle città. La liberalizzazione degli orari è stato il primo passo, con la convinzione che aprendo la domenica sarebbero aumentate le vendite di almeno 3-4 punti percentuale, secondo le megaricerche bocconiane commissionate dalla grande distribuzione. Invece le vendite sono crollate del 67% con una perdita del sistema negozi al dettaglio che non ha eguali. In Italia si stima una perdita di circa 150.000 negozi per l’anno 2012. Inutile dire che in Molise la situazione è semplicemente drammatica. Altro provvedimento iniquo il decreto sulle semplificazioni, che contribuirà ad eliminare i livelli di professionalità soprattutto nel settore alimentare. Dal 14 settembre con la soppressione degli obblighi dei requisiti professionali per il commercio all’ingrosso di alimentari, si aprono ampie possibilità per l’abusivismo commerciale in barba alla tutela della salute del consumatore e della qualità del servizio offerto. Altro provvedimento assurdo, l’obbligo di pagare con bancomat per acqui- 18 sti superiori a 50 euro. Pagare col sistema elettronico impone costi all’esercente che variano dallo 0,5% al 2,5% del transato e, siamo certi, il governo non azzererà mai i costi delle transazioni. Dunque altro favore alle banche e meno libertà ai cittadini. Immaginate i nostri anziani abituati a gestire le poche banconote risparmiando il centesimo! Se il governo volesse davvero controllare l’evasione fiscale comincerebbe a ritirare tutte le banconote da 500 euro che servono a trasferire capitali ingenti con poco ingombro! Le transazioni fino a 100 euro a costo zero furono promesse ai benzinai che però si sono visti arrivare le disdette contrattuali dalle banche ed oggi pagano le commissioni. Dunque perché chiedere con obbligo di legge ciò che si potrebbe ottenere azzerando i costi di transazione? Distruggere il piccolo commercio procurerà un abbassamento delle professionalità e dell’offerta con gravi ricadute sul servizio, sulla competitività della rete distributiva e per i presidi territoriali che i negozi rappresentano. Come avrete potuto verificare anche nei centri molisani alle attività di pregio non si sostituiscono nuove aperture qualificate bensì negozi cinesi, “compro oro”, o locali per ubriacature notturne. Nella mia esperienza commerciale ultratrentennale, per ogni nuova apertura l’esercente doveva superare un esame, sottoporre l’apertura ad una commissione com- fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 mercio che ne valutava collocazione e validità. Tutto questo non era un limite bensì tutela e rispetto per una categoria. La mancanza di liquidità delle famiglie, l’abbattimento di migliaia di posti di lavoro, i maggiori costi della benzina, per l’energia, pongono in serio rischio tutto il sistema economico e sociale. La pressione fiscale sulle imprese ha raggiunto livelli vessatori e Fare Impresa è diventato veramente un’Impresa, dobbiamo difendere i nostri diritti, e non trovare scorciatoie per vivere. Purtroppo buona parte degli italiani è abituata a lamentarsi, e ad aspettare il Messia che venga a salvarli, ma presto anche i più scettici si renderanno conto che non sarà così. Anche chi ancora ha “l’orticello” un po’ più florido degli altri, in queste condizioni incomincerà a patire e sarà un inverno così duro che ce lo ricorderemo per anni. ☺ [email protected] CommercioAttivo, che aderisce per il Molise a IMPRESE CHE RESISTONO, comitato nazionale di imprese composto per l’80% circa da piccole aziende, trasversali alle associazioni ed apartitici parteciperà alla grande mobilitazione nazionale prevista per il 24 Ottobre a Torino. spazio giovani Si continua, in televisione e sui giornali, ad utilizzare l’aggettivo “fascista” per riferirsi a persone che, principalmente in politica, non si preoccupano di misurare i loro atti e le loro parole, presentandosi in modo aggressivo e violento. Sicuramente il fascismo è stato violento. Ma non ci si può limitare a questo: certamente il fascismo ha portato frutti positivi su determinate problematiche, nessuno può negarlo. Ma qual è la specificità di un regime che vuole essere totalitario? Io la individuerei in un controllo che ambisce ad estendere il suo campo d’azione nella maggior parte degli spazi potenzialmente gestibili. Un controllo, appunto, totale, capace di conferire all’autorità imperante la possibilità di attuare i piani che si propone senza incontrare ostacoli. La mente delle persone governate può essere un valido ostacolo. Per questo il regime mira principalmente e primariamente a spegnere lo spirito critico degli individui, per far sì che essi vengano plasmati secondo le direttive volute. Il controllo totale, anche sulle menti degli uomini. Nel regime fascista questo processo era attuato in modo brillante, quasi geniale: si tendeva per prima cosa a svuotare le parole dei significati profondi, in una sorta di eccessiva (quindi distruttiva) semplificazione. Le parole venivano usate in modo semplice e immediato, il linguaggio subiva uno snellimento notevole. Per rendere l’idea di cosa questo significhi (c’è una vasta bibliografia sull’argomento) si può pensare a termini grammaticalmente astratti, come ad esempio la parola “libertà”: il regime la semplifica rendendola concreta, utilizzando l’aggettivo “libero” nel suo significato più pratico (“oggi sono libero da impegni”). La complessità del termine, quindi, è trattenuta dai gestori del potere, al popolo resta un termine ormai vuoto del suo significato radicale, di cui deve rimanere assolutamente all’oscuro, altrimenti il rischio della formazione di posizioni critiche sarebbe nocivo per uno sviluppo indisturbato del regime. il senso critico Luca Sauro Semplificazione del linguaggio, una dinamica apparentemente innocua, ma terribilmente funzionale. I nostri governanti lo sanno, per questo quando da loro viene utilizzato il termine “fascista” mi allarmo: se lo si usa come sinonimo di “violento” la parola subisce una semplificazione eccessiva e pericolosa, in quanto perde quella parte del suo significato che è invece fondamentale, ovvero quella descritta sopra: il fascista non è semplicemente chi usa un linguaggio violento, il fascista vuole un controllo totale sulla tua persona, sulla tua testa. Se si continua ad usare superficialmente l’aggettivo “fascista”, si cade nella trappola che, paradossalmente, è contenuta in questo stesso termine: ci permette di utilizzare un linguaggio più semplice, ma ci espone al controllo di coloro che ne conoscono la complessità. Certo, il linguaggio che tiene conto della complessità dei termini, del loro reale significato e della loro etimologia è poco attraente, anzi, è noioso, difficile e faticoso; a tratti può diventare oscuro, e per fare chiarezza si dovrebbe addirittura aprire il vocabolario. E se invece è più oscuro il linguaggio semplice e piacevole, in cui non guasta ogni tanto anche qualche parolaccia, quel linguaggio che la televisione vuole insegnarci? Se la risposta è positiva, come temo, allora c’è urgente bisogno di capire quando la semplicità è sinonimo di controllo. Per fare ciò, non ci resta che acquisire quel senso critico che ai potenti fa così paura, senza lasciarsi spaventare dalle difficoltà. ☺ [email protected] Via Marconi, 62/64 CAMPOBASSO fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 19 libera molise pentiti e collaboratori Franco Novelli Il collaboratore di giustizia: quali le sue motivazioni e quale il suo ruolo? La figura del “pentito” e la parola “pentitismo” sono espressioni che facciamo risalire alla metà degli anni Settanta e primi anni Ottanta del secolo scorso, all’epoca della lotta dello Stato contro il terrorismo. In quel periodo si considerava il termine “pentitismo” in chiave molto negativa, perché esso era accomunato al concetto di “delazione”, di “ruffiano”, di “traditore”; infatti, si partiva dal presupposto che se lo Stato avesse dovuto sconfiggere il terrorismo di sinistra - in quegli anni lo Stato si preoccupava molto di meno dell’eversione stragista di destra! -, avrebbe dovuto farlo senza il ricorso ad una strategia ambigua come quella della delazione. Oggi si valuta in maniera molto differente il concetto del “pentitismo” e/o della “collaborazione” con la giustizia, in quanto l’attacco frontale alle regole democratiche e alle norme costituzionali scritte nel 1948 viene sferrato dai poteri forti della finanza, da quelli delle mafie, dai loro fiancheggiatori, noti con il soprannome di “colletti bianchi”. Di qui, oggi, una diversa lettura del fenomeno del pentitismo e delle collaborazioni con la giustizia che si giustifica soprattutto allo scopo di arginare e sconfiggere la volgare incultura e la dolorosa presenza delle mafie. La cosiddetta Legge Cossiga del Febbraio del 1980, decreto legge nr. 625 del 15 dicembre 1979, ha introdotto le prime norme che prevedevano sensibili diminuzioni di pena per i terroristi che si dichiarassero disposti a collaborare con le forze dell’ordine e con la magistratura nelle indagini che questa riteneva indispensabili nella lotta al terrorismo. Fin dai primi vagiti della legge nr. 625- 20 /’79 i risultati sono apparsi soddisfacenti, anche perché essa apriva un grosso dibattito politico nel Paese circa l’”eticità” di norme che andavano a premiare la delazione. Poco dopo e precisamente nel maggio del 1982 veniva approvata la legge nr. 304 - la cosiddetta “legge sui pentiti” - che prevedeva una serie di casi di non punibilità per varie forme di “recesso” da associazioni terroristiche, attenuanti di pena per altri casi e benefici di vario genere come la libertà provvisoria, la sospensione condizionale della pena o la riduzione di 1/3 della pena per chi collabora- va con la polizia o con la magistratura nella raccolta di prove decisive per l’individuazione e la cattura dei colpevoli. Poi c’è stata la legge nr. 34 del 18 febbraio 1987 che ha introdotto benefici speciali per i terroristi che si dissociavano dal terrorismo. Il successo dello Stato sul terrorismo, grazie al pentitismo di quegli anni, ha potuto determinare un ampio movimento di opinione che apertamente apprezzava l’uso del “pentito” in funzione antimafia. Nel corso degli anni Ottanta, in concomitanza con i maxi processi alla mafia, il numero dei collaboratori di giustizia è cresciuto tanto da spingere il legislatore a emanare una normativa che bene cominciasse a regolare il fenomeno della collaborazione di giustizia, quindi del pentitismo contro tutte le mafie. Di qui è scaturita la legge nr. 82 del 15 marzo 1991, voluta da Giovanni Falcone, dal Pool dei magistrati fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 palermitani guidati da Nino Caponnetto, dalla polizia giudiziaria. La legge nr. 82/’91 riconosce un regime di particolare favore di cui possono beneficiare i collaboratori di giustizia sotto il profilo della protezione, dell’assistenza, sotto quello processuale nonché penale e penitenziario. Il 13 febbraio 2001 il Parlamento ha approvato una nuova legge, la nr. 45/2001 che ha tentato di razionalizzare il sistema di protezione al fine di eliminare gli inconvenienti emersi negli anni precedenti. Ricordiamo che si aprì negli anni Novanta del secolo scorso un poderoso dibattito circa la eticità o meno del “pentimento”. Il legislatore (e noi con lui), a conclusione di dibattiti pubblici molto partecipati, ha tenuto presente come essenziale per una società laica semplicemente l’aspetto civile (anche se utilitaristico) del pentimento e la ricerca nonché l’individuazione delle reali motivazioni di ordine psicologico che determinano tale scelta. Per cui il termine “pentimento” ha di fatto indicato (ed indica, comunque) l’atteggiamento di collaborazione di un imputato nei confronti della giustizia e dei problemi giudiziari che ne derivano. A questo punto ci chiediamo quali siano i soggetti che intervengono nel procedimento di protezione dei collaboratori di giustizia. In sintesi estrema li elenchiamo, non soffermandoci in questo ambito ad indicarne i compiti, le attribuzioni, le strutture di protezione. Il ministro degli interni ogni sei mesi presenta una relazione al Parlamento sui programmi di protezione, sulla loro efficacia e sulle modalità di applicazione; il ministro della giustizia collabora strettamente con il ministro degli interni nell’emanazione di norme che regolamentano la gestione dei collaboratori di giustizia, detenuti nelle carceri; l’autorità giudiziaria, il capo della polizia, la commissione centrale, il servizio centrale di protezione, il procuratore nazionale antimafia. Il servizio centrale di protezione è l’organismo operativo della commissione centrale; svolge una funzione di “schermo protettivo” del soggetto tutelato e funge da filtro tra le amministrazioni interessate e il collaboratore di giustizia per garantirne la sicurezza, attraverso l’anonimato; ha una struttura centralizzata a Roma e nuclei opera- libera molise tivi periferici che operano sul territorio e sono i cosiddetti NOP, ossia i nuclei operativi di protezione. I NOP sono circa 450/500 in Italia e sono composti da militari che tutti i giorni si confrontano direttamente con i problemi delle persone sottoposte a protezione (dei rapporti che intercorrono fra i NOP e i soggetti sottoposti a protezione parleremo in altra occasione). Quando un soggetto entra in un programma di protezione vede profondamente cambiata la propria vita quotidiana: infatti, deve vivere clandestino a se stesso, cambiando il nome. Inoltre, il collaboratore di giustizia viene sottoposto ad un codice di comportamento al quale deve assolutamente rimanere fedele, altrimenti mette in discussione il programma stesso. È spesso accaduto che un collaboratore di giustizia, sentendosi solo, abbandonato, con i problemi di famiglia irrisolti, abbia concesso interviste o conferenze stampa non concordate, contravvenendo al programma e mettendo in questo modo seriamente in pericolo di vita se stesso e la sua famiglia. In genere, è la mancanza della scorta, quando egli è ai domiciliari “anonimi”, la molla che fa scattare la paura, la sensazione dell’abbandono e quindi una risoluta contrapposizione al programma condiviso e stabilito da entrambe le parti (Ministero e collaboratore di giustizia). Oggi il numero dei collaboratori di giustizia è visibilmente calato, perché essi avvertono che il progetto iniziale di reinserimento sociale delle persone nel tessuto produttivo della società sta conoscendo una fase di stallo e forse di crisi imprevista. La crisi economica sta letteralmente modificando le progettualità governative antimafia, sta distraendo l’esecutivo nazionale e il parlamento dall’impegno prioritario che una società civile deve poter concretare e cioè il culto della legalità. Anche per queste ragioni la corruzione in Italia oggi ha raggiunto il suo punto più alto e con essa anche il discredito verticale della politica ha determinato un netto rallentamento delle tensioni civili verso la prassi della legalità e della lotta alle mafie. Infatti, la cosiddetta “massa grigia” costituisce una delle metastasi tumorali più pericolose per la nostra società civile e la cosa più grave è che tali metastasi appaiono allo stato attuale “incurabili”.☺ [email protected] posta Caro Pasquale, la nostra vecchia amicizia e il mio ruolo all’interno della diocesi di Termoli-Larino, ormai in scadenza, mi impongono di esprimere un parere sui tuoi articoli dal titolo: “Gli affari della Chiesa” e “Quanto ci costa la chiesa al tempo di Iorio”; afferenti la zona grigia tra affari, politica e fede. Colpisci senza pietà e con lo spirito del giornalista d’assalto un nervo scoperto, un punto debole dell’azione “non pastorale” della Chiesa Locale. Non sono in grado di entrare nel merito di quanto affermi, ma sicuramente cogli nel segno quando scrivi che a 45 giorni dalle ultime votazioni era quanto meno inopportuno firmare con Iorio e pubblicizzare quella foto dei 4 vescovi con il presidente. Nessuno sa quanto te cosa rappresenti Iorio per il Molise e quanto potere abbia. Il volto della Chiesa povero e per gli impoveriti quel giorno non ha fatto alcun passo avanti! I tentativi di sollecitare uno stile più sobrio nei confronti del potere sono stati molteplici, ma forse infruttuosi. Non concordo con il tuo stile, ma rispetto chi, da battezzato, ha sognato una Chiesa diversa e dalla parte degli indifesi. È sotto gli occhi di tutti la non estraneità alla campagna elettorale di allora, di quella notizia che doveva essere quanto meno non strumentalizzata a fini politici. Ma l’inopportunità è pur sempre un segnale che va colto nel suo significato profondo. Tutto questo è quanto di più lontano ci possa essere dall’azione pastorale dei presuli e di quanti si adoperano, nel silenzio, per la carità nella verità; questa sì meriterebbe un’attenzione da parte dei media. Non voglio cadere nelle solite difese della Chiesa, ma anzi ringraziarti per aver sollevato una questione che ha un suo fondamento, al di là dello stile discutibile. So che la tua onestà intellettuale è più forte della sempre rischiosa strumentalizzazione giornalistica e conosco e rispetto la tua passione per la giustizia, ma la verità ha mille sfaccettature. Cogli nel segno anche quando chiedi un confronto che non ricevi, ma nella Chiesa che io conosco il confronto e la parresia sono un dono di Dio e un’azione rara dell’uomo. Faccio mie le parole di un vescovo che amo molto, Tonino Bello, e che penso ameresti anche tu: “I nostri linguaggi si sono normalizzati, le nostre azioni non hanno nulla di eccentrico, le nostre decisioni non hanno il soprassalto dell’estro”. Agli apostoli, nel giorno di Pentecoste, la gente sbalordita diceva, beffandoli: “Sono ubriachi di mosto dolce”. Nessuno ferma per strada i cristiani di oggi per rimproverarli di essere “sbronzi”. Sempre Tonino Bello, diceva: “Occorrerebbe poi pensare al tema dei nostri compromessi col potere: quante volte la paura di perdere i privilegi ci blocca la profezia sulle labbra, se pur non ci rende complici di tante ingiustizie consumate sulla pelle dei poveri!”. Ignazio Silone scriveva: “T’immagini tu il Battista offrire un concordato a Erode per sfuggire alla decapitazione? Ti immagini Gesù offrire un concordato a Ponzio Pilato, per evitare la crocifissione? Non c’è più il brivido della passione. Lo stesso capita ai militanti dei partiti politici”. Spero tu possa partecipare alle mille iniziative di riflessione, confronto, preghiera, azione e denuncia che anche in questa Chiesa locale esistono seppur con i limiti umani. Un abbraccio affettuoso da un amico. Antonio De Lellis mi abbono a la fonte perché chi la fa, l'aspetti. chi non la fa, si purghi. fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 21 convivialità delle differenze paura - fastidio vescovo? Antonio De Lellis Aldo Antonelli Le retate a danno dei migranti si consumano a Termoli, come altrove, e si inseriscono in una strategia di semplificazione della realtà: una strategia di spostamento del locus e del focus del problema che si è verificata anche a Termoli. Mentre i giovani parlavano di ambiente, accoglienza, ecomafia, lavoro e futuro, da un’altra parte venivano espulsi soggetti, prevalentemente rumeni, perché poveri e disturbatori del decoro urbano. L’ennesima ambivalenza. Ma noi chi siamo per poter cancellare la norma etica, prima ancora che cristiana, dell’ospitalità e dell’accoglienza? Se non c’è passione per la vita, allora prevale il “recinto”, il fastidio, il desiderio di sicurezza. Ma la prima sicurezza non dovrebbe essere il lavoro per tutti? Non dovrebbe essere l’onestà e la giustizia? Chi siamo noi per dire che questo territorio è nostro e quindi gli stranieri devono essere cacciati? Nessuno è straniero, ma parte di unica famiglia umana, di un'unica terra. “Accoglilo a casa tua” è stato autorevolmente affermato! Bene, già fatto! Nessuna accoglienza lascia più poveri, ma arricchisce immensamente. E se sono ubriachi molesti? Bene, vi sono luoghi e spazi di accoglienza anche per queste persone dove essere rieducati al rispetto di stessi e degli altri. È sotto gli occhi di tutti anche la principale conseguenza dello slittamento semantico paura-fastidio: succede che si è passati dal provare paura per ciò che non si conosce al provare fastidio per ciò che si considera inferiore. All’asse NON CONOSCENZAPAURA si è sostituito da tempo l’asse SUPERIORITA’-FASTIDIO. È su questo terreno che nelle città, nelle periferie come in pieno centro, fiorisce in quantità industriali quella domanda di sicurezza che il ventre molle del Paese da sempre riferisce alla difesa dei propri interessi e non alla costruzione della convivenza civile. E invece, lo abbiamo detto e ridetto per anni ogni volta che ci è stata data la possibilità di farlo, è sicura la città che si-cura! La sicurezza di una città dipende dalla sua capacità di prendersi cura di se stessa, della sua gente, dalla sua capacità di provvedere alla sua salute. Il termine Shalom, nel suo senso originario, indica la totalità (insieme, completo, unito, non frammentato), e poi anche il bene, l’integrità: la Bibbia tratta di tutta la persona, di tutto il popolo, di tutto il mondo, di tutta la terra. Che si sappia: non c’è sicurezza se questa non è per tutti. La domanda di sicurezza si fonda invece sulla separazione, sull’apposizione di un confine tra chi deve essere protetto e chi - in virtù di menzogna, stereotipo, o ipocrisia - deve essere tenuto sotto controllo. “Il potere è una forza che, dall’interno, crea la forma della realtà: il potere non ri-produce la realtà, ma la produce” ci ricorda Foucault. Ciò facendo, il potere stabilisce la verità. Più precisamente: esso fissa i rituali di verità, il che significa: la questione che ci riguarda (che dovrebbe riguardarci) non è quale o dove sia la verità, ma “in base a quali giochi essa si forma”. Oggi più che mai ciò è vero e la questione è urgente. La verità non è sostanza ma solo comunicazione ed è per questo che l’appello ai termolesi, voluto dai giovani studenti, ha una straordinaria valenza perché comunica che c’è una città che fa cultura, che sa, in ultima istanza, prendersi cura dell’umanità.☺ [email protected] Mi capita ancora di incontrare delle persone che salutandomi mi danno del "MONSIGNORE", magari inchinando anche la testa. Mi fanno imbestialire e, a seconda dei casi, rispondo per le rime. Qualche altro, ancora, impudentemente e impertinentemente mi chiede quando mi faranno vescovo. Al che rispondo che la sola proposta la riterrei una offesa. Sì, una offesa. Andrei in crisi e mi chiederei dove avessi sbagliato. Il potere, anche quello ecclesiastico, coopta solo le persone manovrate e manovrabili. Il potere, eccetto rare eccezioni, perpetua se stesso attraverso coloro che si prestano a fare da Portavoce, da Megafoni, da Ricetrasmettitori. Guai a dire parole non sue. "Il potere corrompe. Il potere assoluto corrompe in maniera assoluta", scriveva Lord Bacon. Soprattutto il potere non accetta che qualcuno possa pensare un pensiero diverso dagli pseudopensieri che esso partorisce e che impone come "PENSIERO UNICO" PENSABILE. Ed allora sono felice di essere quel che sono, geloso della mia libertà e orgoglioso di poter parlare sine glossa e non dietro dettatura né sotto dittatura! Capite allora con che gioia e, direi, con che piacere ho potuto leggere queste parole del Card. Martini, dette in un corso di esercizi spirituali nella casa dei Gesuiti di Galloro nel 2008. Un piacere quasi viscerale. Ebbe a dire: "Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie, perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande disservizio al papa stesso". E ancora: "Purtroppo ci sono preti che si propongono di diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero". ☺ 22 fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 [email protected] convivialità delle differenze L'art. 3 della nostra Costituzione afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. In realtà coloro che vivono un disagio sociale rappresentano una categoria di persone che dà fastidio ai potenti solo per il fatto di esistere. Il cittadino anziano in difficoltà disturba quando, ultimati gli ammortizzatori sociali, chiede il lavoro o, in alternativa, la pensione. Il lavoratore giovane, precario o a basso reddito, infastidisce quando contesta un sistema pensionistico che gli garantirà solo il 50% del salario percepito. La persona non autosufficiente diviene incomoda, quando chiede che vengano assicurate risorse finanziarie utili a garantire l'assistenza socio-sanitaria presso il proprio domicilio. L'utente della sanità, costretto ad attendere mesi per una visita specialistica, disturba perché non comprende le difficoltà del sistema sanitario: d'altra parte molti altri, con un reddito più alto, risolvono il problema con le prestazioni a pagamento. Il genitore o l'insegnante che contesta il sovraffollamento delle classi, la mancanza di sicurezza delle strutture o la carenza di materiale didattico, diviene noioso ed inopportuno. I residenti dei quartieri degradati e privi di servizi sono cittadini senza diritti di cittadinanza: ogni sollecitazione diviene la rivendicazione di chi non capisce le difficoltà finanziarie del momento. Gli immigrati danno fastidio quando chiedono all'Italia, dopo anni di permanenza e di duro lavoro, il riconoscimento della il fastidio dei bisognosi Antonello Miccoli cittadinanza italiana mentre il disturbo è vamente che il vangelo non è né progressicausato da chi, dopo aver depredato le sta e né conservatore. Il vangelo incita semricchezza naturali dei paesi di origine, conplicemente a perseguire la giustizia e a dare sidera non utile considerarli cittadini del voce agli ultimi. A considerare primi promondo. prio coloro che i poteri forti della società La Costituzione viene così svuovorrebbero zittire in nome di idoli estranei tata e resa innocua: i potenti hanno sempre alla dignità dell'uomo. ☺ [email protected] ragione (la loro è la forza della verità di parte). In tal modo non si violano solo i dettami Costituzionali, ma si negano i principi stessi del diritto naturale: il diritto alla vita ed il diritto alla libertà. Chi vive infatti nel bisogno non è mai un uomo totalmente libero. Vi è poi un'ultima negazione: una negazione di ordine spirituale che vorrebbe far credere che la presenza di Dio nel mondo sia quasi super partes. Un Dio dei poveri e La mareggiata del giorno un tumulto di genti. degli umili lascia il cavalca senza tregua la notte L’eco della tempesta dilatato posto all'idea che la e rumoreggia nella stanza. in un “crescendo” di eventi devozione possa S’ode da dietro la collina nel tempo e nello spazio. essere solo formale e come di torrente in piena. In alto minacciose non fastidiosa, un Controcanto il ticchettio corrono le nubi. Dio istituzionalizzadi un orologio a corda. Solcano di traverso il mare to, molto caro ai Nel dormiveglia che si tinge di bianco potenti ad ai sostenipare ascoltare quando la luna tori di un liberismo un armeggiar lontano, tra gli squarci appare senza regole. È ora un rombo di aeroplani e vagabonda fugge. di affermare definitiLina D’Incecco mareggiata fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 23 storie di vita care zie di bonefro Scusate se vi chiamo così come fanno i bambini, sono Leonardo di San Severo. Mia madre mi racconta che alla mia nascita volevo già scoprire il mondo, tanto che non riuscì ad arrivare in ospedale per il parto. Ho trascorso un’infanzia tranquilla; quattro figli, papà che lavorava, mamma in casa con nonna. A otto anni già andavo in campagna per la raccolta dei pomodori, insieme ai miei fratelli. Finita la scuola media dissi a mamma che volevo lavorare perché non avevo la testa per studiare e speravo così di portare i soldi a casa. Ero un ragazzo, avevo voglia di fare esperienze; non potevo stare recluso, come voleva mio padre, che mi definiva “la pecora nera” della famiglia, e giù botte e castighi per raddrizzarmi. Ma io volavo. E infatti da militare feci il paracadutista. Lì ho conosciuto la vita, l’emancipazione. Mi sono appassionato ai figli dei fiori, alla lotta degli studenti. Mi feci un tatuaggio e il mio primo spinello. È stato uno sbaglio perché, tornando a casa, mio padre mi vide e mi disse: “Tu non sei più mio figlio, vattene!”. Io pensavo che me lo dicesse per rabbia e invece non si è mai più calmato. Mi cacciò di casa e iniziò il mio calvario. Decisi di andare via dal mio paese. Credevo che la lontananza mi riavvicinasse; con la famiglia sì ma con lui ormai era guerra. Quando vidi che non si poteva far nulla iniziò la mia depressione, il cuore si spaccò in due, lasciai metà a mamma e metà a me. Dopo quindici anni cercai di ritornare come il figliol prodigo ma lui non ha mai ammazzato il vitello grasso. La depressione mi sconvolse e l’unica medicina che calmava il mio pianto era lo spinello purtroppo! 24 L’euro fece aumentare il costo della vita e così tornai di nuovo a casa, ma mio padre non ne volle sapere. Presi una casa in affitto ma certe amicizie mi fecero finire nei guai con la legge. Grazie a mia madre rientrai a casa con i domiciliari ma poi a causa di un litigio con mio fratello trascorsi la vigilia di Natale da solo. Mi convinsi che mio padre non mi voleva e capii che lo sbaglio era essere nato. C’erano situazioni intorno peggiori delle mie ma lui non mi riaccolse perché mi diceva che avevo disonorato il nome. È un anno che sto in strada, l’unica forza che ho per andare avanti è che quando mi creo delle amicizie mi apprezzano. Loro vedono che io cerco di aiutare un po’ tutti almeno moralmente e mi chiamano zio Leo. Io non sono mai stato un santo: all’inizio ho pensato all’autodistruzione, volevo farla finita ma non è la mia natura. Il distruggermi mi ha portato in carcere e lì mi sono inventato la teoria del bambino appena nato: all’inizio piange sempre come mi capita, ma poi tutt’a un tratto si mette a ridere ed è quello che voglio iniziare a fare io. In carcere mi sono messo di fronte alle mie paure più brutte ma lì ho trovato degli uomini che mi hanno fatto da padre insegnandomi la teoria del carcerato: quando stai male, ma veramente male, guarda chi soffre e aiutalo perché il dolore che tu togli a lui è lo stesso che togli a te. L’avventura durò venti giorni e tutto ad un tratto mi sono ritrovato a Bonefro; pensavo di andare in una comunità di recupero e invece mi ritrovo in una casetta da solo, nel villaggio dei terremotati, senza nemmeno la radio e la televisione. Comun- fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 que devo ringraziare Giuliana l’avvocato e Francesca di Pax Christi. Il giorno dopo viene don Antonio e mi dice: “Qua non devi fare niente, devi solo respirare il profumo della libertà e guardarti i tramonti”. Mi sono detto: “Sempre solo sono!” e Dio mi ha mandato il migliore amico dell’uomo per compagnia, anche se per voi care zie è un po’ fetentone, e con lui ho visto tutti i tramonti. Mi teneva compagnia e veniva a prendersi le carezze. Il secondo giorno ho detto: “Ho poco cibo” e Dio mi manda le migliori mamme che un figlio possa desiderare: ognuno di voi mi porta qualcosa da mangiare. Antonietta, Teresa, Carolina, la signorina Rosetta e tante altre di cui non so neanche il nome, ma che importa saperlo avendo conosciuto la vostra bontà di cuore. Non mi conoscevate, sarebbe stato giusto se dicevate: “Ma quello è un delinquente, restiamo a casa, se la veda il prete!”. Ma in questo posto anche i bambini sanno dare amicizia e bontà: Antonio, la sua sorellina, il padre Carlo, Giuseppe. Voi non mi conoscevate, è vero, ma mi avete accolto. Ero in una stanza al buio e voi mi avete dato una finestra per guardare il sole e fare entrare aria fresca nella mia vita, e una porta per uscire a giocare nel mondo. L’ultima messa che ho fatto con voi è stata la prima volta che ho pianto di felicità. Voi mi avete insegnato l’amore per il prossimo, il sorridere ai guai, e non mi conoscevate. Non mi avete chiesto niente, non so cosa darvi in cambio ma vi prometto di cercarmi un lavoro, di formarmi una famiglia e forse avere dei figli. Don Antonio e voi mi avete riaperto una porta che io avevo chiuso da tanto tempo, quella che si affaccia alla vita. Grazie di cuore, care mamme. Leonardo le nostre erbe La pianta del fico (Ficus carica L.) proviene dalla Caria, una regione dell'Asia Minore, come si evince dal nome della specie carica. Testimonianze della sua coltivazione risalgono già alle prime civiltà agricole di Mesopotamia, Palestina ed Egitto, da dove si diffuse successivamente in tutto il bacino del Mediterraneo. La Bibbia cita il fico innumerevoli volte e di certo questa pianta è più antica di Adamo ed Eva, che ne utilizzarono le foglie per coprirsi dopo il peccato originale. Ma il fico trova spazio anche nella cultura greca: Omero decanta i suoi dolci frutti nel giardino di Alcinoo e tra i consumatori più illustri si annoverano Platone, soprannominato “mangiatore di fichi”, Democrito e Zenone; per quest'ultimo pare che i fichi fossero l'unico cibo. Nell’antica Roma il fico è addirittura l’albero sacro, presente nel mito delle origini. Secondo Plutarco, la cesta con Romolo e Remo abbandonata alla corrente del Tevere, si arrestò sotto il fico ruminale (chiamato così dalla dea Rumina, che presiedeva all’allattamento) e lì i due gemelli furono allattati dalla lupa. Il fico è una pianta dei climi temperati, appartenente alla famiglia delle Moracee. Data l'elevata rusticità, la coltivazione del fico è possibile in tutti i terreni della nostra penisola, a volte anche lungo i corsi d'acqua, come ci ricorda quel detto proverbiale proprio di Bonefro: 'a fíqu're 'n'gande 'u uellone: chiunghe passe ettende 'u verdone. Da un punto di vista metaforico, il detto significa che tutti sono portati a giudicare ciò che si trova in una posizione 'esposta', come coloro che, passando accanto ad un fico che una pianta dai dolci frutti Gildo Giannotti sorge in prossimità di un luogo trafficato, sono spinti a toccarne i frutti per saggiarne il grado di maturazione. Nella fase che precede la sua maturazione, il frutto racchiude all'interno piccolissimi fiori unisessuali. La loro fecondazione non sarebbe possibile senza la singolare simbiosi tra un insetto e una varietà di fico. L'insetto, appartenente alla stessa famiglia delle vespe e lungo non più di due millimetri (Blastophaga psenes), vive infatti all'interno del frutto del caprifico, a partire dal quale va a fecondare il fico domestico, entrando e uscendo attraverso l'ostiolo, unica apertura del frutto stesso. Il caprifico è una specie di fico non edule, che nasce spontaneo sui muri e nei posti più impensabili, e per questo è detto in dialetto 'a fiqu're pazze, ma svolge in realtà una funzione insostituibile per la fecondazione. Con la successiva maturazione, si formeranno i semi, ed il frutto, commestibile, si riempirà di succo gelatinoso e dolce. Il frutto del fico, botanicamente, è una grossa infruttescenza carnosa, detta siconio, ricca di zuccheri a maturazione raggiunta. Le uniche due varietà che non ricorrono all'opera di questo insetto sono la Dottato e quella detta Del vescovo, in quanto si riproducono per partenogenesi, ovvero senza formazione dei semi. Ma le varietà coltivate sono diverse centinaia. Esse vengono classificate secondo l'epoca di maturazione, il colore della buccia, fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 la destinazione della produzione oppure il numero delle fruttificazioni annue. Infatti esistono quelle unifere, che hanno una sola maturazione all'anno, e le bifere, che producono, invece, in due volte (i fioroni, 'i prime fíqu're, e i forniti, 'i s'conde fíqu're). Le varietà più rappresentative del nostro territorio appartengono tutte al secondo gruppo e sono 'a g'ndile, 'a carlendine, 'a san Giach'me, 'a f'curelle nere, 'a bbottep'zzende, 'a culombe, 'a turterelle... Oggi, del fico si apprezzano essenzialmente le qualità alimentari. Dal punto di vista nutrizionale, però, bisogna distinguere il fico fresco da quello secco. Il primo è un frutto che contiene zuccheri facilmente assimilabili (11-12%) e una buona quantità di minerali (soprattutto potassio, calcio e ferro), mentre è poco fornito di vitamine. È un alimento nutriente, facilmente digeribile e per questo è raccomandabile nell'infanzia e nell'adolescenza e in tutti quei casi in cui sia necessaria una fonte di energia rapidamente utilizzabile. Il fico secco, rispetto a quello fresco, diventa quasi un altro alimento: il contenuto di fibra aumenta di cinque volte e lo rende eccellente per mantenere regolato l'intestino pigro. Un etto di fichi secchi copre il 20% del fabbisogno giornaliero di calcio e apporta all'organismo il 30% del ferro necessario ogni giorno. Inoltre è ampiamente sperimentata l'utilità del decotto di fichi secchi, confezionati dalle nostre parti nei cosiddetti sp'rchiale. Per un buon decotto occorrono 50 grammi di fichi secchi, spezzettati e bolliti per dieci minuti in un litro d'acqua. Questo decotto svolge un'azione benefica nelle infiammazioni delle vie respiratorie e urinarie, nelle gastriti e nelle coliti.☺ [email protected] 25 un film, un libro, una canzone ... sulle guerre dell’acqua Alessia Mendozzi Un tema sempre attuale, quello dell'acqua, del suo sfruttamento eccessivo, della privatizzazione e delle guerre per accaparrarsi una delle risorse vitali del pianeta. Come si è giunti alle emergenze idriche, al porre l'acqua allo stesso livello di qualsiasi altro bene economico, al considerarla il nuovo 'petrolio' e a parlare di vere e proprie guerre per il possesso di essa? Questi e altri aspetti del problema sono analizzati in diversi documentari, libri, inchieste e canzoni, come quelli che seguono. Un film: Blue Gold - Le guerre dell'acqua titolo originale: Blue Gold World Water anno: Wars, 2008, origine: Canada Basato sul libro Oro blu. La battaglia contro il furto mondiale dell'acqua: come non esserne complici di Maude Barlow e Tony Clarke, il documentario esamina diversi aspetti legati all'acqua. Dalla distruzione eccessiva delle paludi (essenziali nel processo di purificazione), ai tentativi di reperire acqua dolce con i processi di desalinizzazione, dalle differenze di costo tra acqua in bottiglia e acqua del rubinetto, fino alle storie di attivisti contro le privatizzazioni selvagge. Un quadro che offre notevoli spunti di riflessione su quello che è e sarà il problema più importante dei giorni nostri: l'approvvigionamento d'acqua. Un libro: Le guerre dell'acqua di: Vandana Shiva, anno: 2004, casa editrice: Feltrinelli Quale sarà l'oggetto che farà scaturire le prossime guerre? Non il petrolio e nemmeno l'oro, bensì l'acqua. In realtà, i conflitti per reperire questo elemento essenziale alla vita sono già in atto in molte parti del mondo e già da diverso tempo. Conflitti tra chi non ha diritto all'accesso all'acqua, chi ne consuma troppa e chi vuole impadronirsene. Vandana Shiva analizza in questo libro diversi aspetti del problema. Dal diritto all'acqua al controllo delle multinazionali, fino ai consumi agricoli e alle acque sacre. Per avere una visione globale e dettagliata della questione. Una canzone: La guerra dell'acqua di: Ivano Fossati, anno: 2008, album: Musica moderna Una canzone a tema scritta dal cantautore genovese, in un linguaggio semplice e asciutto che evidenzia l'assurdità di considerare l'acqua come un qualsiasi altro bene economico, su cui fare affari d'oro, attraverso l'immagine di un uomo, dipendente di una multinazionale, a cui interessa solo far guadagnare i propri azionisti per fare carriera. E poco importa se il diritto all'utilizzo di questa risorsa sia negato a chi non può permetterselo. [email protected] 26 fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 Verità è figlia dell’Ispirazione; analisi e discussioni allontanano dalla Verità (Gibran) Il Concilio Vaticano II è risultato un evento della storia della Chiesa e della storia del Novecento, nel senso di un fatto accaduto nell’intreccio di un tempo storico preciso e ancor più nel senso di un accadere che rompe la continuità del tempo ordinario e rappresenta una irrompente novità. Si può dire con termine biblico un kairòs - tempo opportuno, tempo favorevole - che attraversa quello ordinario o consueto e gli dà l’opportunità di prendere un’altra direzione. È occasione, ma in quanto sia colta; il kairòs, infatti può anche passare invano, dipende dalla misura in cui sia messo a frutto. Un evento non si caratterizza tanto per la fine di qualcosa, ma soprattutto per ciò a cui da inizio: “un inizio di inizio” come lo definiva il teologo K. Rahner. L’11 ottobre 1962 a Roma 2.240 vescovi avviano il cammino conciliare. Ogni assemblea plenaria iniziava con la preghiera, sostenuta dal canto gregoriano, e l’intronizzazione del Vangelo; al termine risuonava l’invito perentorio “extra omnes” (fuori tutti) da parte del segretario del Concilio. I padri, nel segreto della loro esclusiva presenza, passavano all’esame dei documenti preparati: il primo a dibattito fu la riforma liturgica. Apparentemente tra la cupola principale del cattolicesimo e la storia degli uomini c’era tanta distanza quanto correva tra la religione e la vita, tra la Chiesa e il mondo. Nel corso della seconda guerra mondiale Bonhoeffer, dalla cella in cui Hitler lo aveva gettato, ammoniva “chi non urla per gli ebrei, non può cantare in gregoriano”. La storia degli “omnes” rientrò violentemente nell’aula conciliare. A Cuba tecnici russi e operai lavoravano notte e giorno a costruire le basi di lancio per istallare quarantadue missili nucleari di media portata; un convoglio di venticinque navi mercantili sovietiche, alcune cariche dei missili nucleari, faceva rotta nell’Atlantico verso Cuba. Su ordine di J. F. Kennedy novanta navi da guerra statunitensi appoggiate da otto portaerei dotate di sessantotto squadriglie di aerei erano sulla stessa rotta per intercettare e perquisire i mercantili inviati da Kruscev, mentre in Florida e stati limitrofi si radunavano forze di invasione mai viste dalla fine della seconda guerra mondiale. Al Concilio si discuteva e si can- etica leggere i tempi Silvio Malic tava in gregoriano mentre la pace mondiale correva il rischio più catastrofico da quando il fungo atomico di Hiroshima aveva chiuso un’epoca e il trattato di Yalta l’aveva riaperta. I responsabili del Vaticano presero in considerazione il pericolo di sospendere il concilio appena iniziato; il 20 ottobre l’assemblea conciliare approvava - per la prima volta nella storia dei concilii - un “messaggio al mondo” generoso ma generico. Per la prima volta un organo di stampa sovietico, la Tass, dedicava alcune righe all’avvenimento del concilio e ne riportava testualmente un passaggio: “Non esiste uomo che non detesti la guerra e che non tenda verso la pace con ardente desiderio. La Chiesa non cessa di proclamare la sua volontà di pace e la sua leale collaborazione a ogni sforzo sincero a favore della pace”. Rispecchiava in pieno il pensiero di Giovanni XXIII che aveva affermato: “La provvidenza sta conducendo il mondo a un nuovo ordine di rapporti umani. L’esperienza ha fatto toccare con mano agli uomini l’assoluta insufficienza della forza bruta delle armi”. Purtroppo sembrava che la storia lo stesse smentendo: il 22 ottobre Kennedy ordina il blocco navale e la messa in quarantena delle navi dirette a Cuba. Si profilava, come qualcuno scrisse in quei giorni, “la fine del mondo”. A. Schlesinger - tra i più stretti collaboratori di Kennedy - annotò nel suo diario: “Ormai siamo al di là di ogni manovra tattica: tutte le strade portano alla catastrofe. Gli obblighi ai quali né il Cremlino né la Casa Bianca possono sottrarsi sono tali da produrre una inevitabile reazione a catena”. In quel contesto l’incontro di Andover, in Maryland, che riuniva una ventina di scienziati sovietici e altrettanti americani radunati per accordi culturali tra le due superpotenze si trasformò nel luogo da cui tentare un’ultima carta di dialogo. Kennedy stesso aveva telefonato a uno dei Co-presidenti Norman Cousins la sera del 23: “Forse dovrò premere il pulsante, e questo significa che prima che tutto sia finito ci possono essere un miliardo e duecento milioni di morti”. Cousins era convinto e suggerì che solo un “terzo” non coinvolto nelle mischie politiche, e dotato di concilio vaticano II Il Concilio è stato un evento enorme. Senza di esso non è immaginabile cosa sarebbe oggi la Chiesa Cattolica, né lo stesso mondo, data la influenza che esso ha avuto. Da una Chiesa che si considerava una società perfetta si è passati ad una Chiesa come comunità di credenti. Dal mondo come nemico dell’anima al mondo come luogo di vita della fede. Dalla condanna della modernità e delle religioni non cristiane al dialogo multilaterale. Dalla condanna dei diritti umani al loro riconoscimento e alla loro proclamazione. Dalla condanna della secolarizzazione alla sua difesa nel senso del riconoscimento dell’autonomia delle realtà temporali. Da Chiesa immutabile e immobile a Chiesa che deve essere in riforma costante. Dall’integrismo cattolico al rispetto per le altre credenze. Dall’autoritarismo centralizzato, a Roma, alla collegialità episcopale. Dalla Cristianità al cristianesimo. Dall’appartenenza alla Chiesa come condizione necessaria per la salvezza alla libertà religiosa come diritto umano fondamentale. Da una Chiesa europea ad una Chiesa veramente universale. Ci sono stati dei limiti? Alcuni, e fra i maggiori, malgrado una certa apertura al mondo, il carattere eurocentrico - l’orizzonte di comprensione è stato la modernità europea e, in questo quadro, la problematica della crisi di Dio nel mondo occidentale e il fenomeno della non credenza - e la non centralità dell’opzione per i poveri, non dandosi la dovuta attenzione alle maggioranze popolari del Terzo Mondo. L’Occidente ha finito per essere il destinatario principale del Concilio. Inoltre, l’antropocentrismo esacerbato ha fatto sì che la problematica ecologica fosse ignorata. Anselmo Borges fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005 autorità morale riconosciuta, avrebbe potuto spezzare con qualche probabilità di successo la reazione a catena alla quale i ”falchi” dei due fronti spingevano: Giovanni XXIII. Non si può narrare tutta la trama febbrile di incontri, intrecci che si svilupparono in pochi giorni. Kennedy fu il primo ad approvare l’idea, ai sovietici fu prospettato che l’intervento avrebbe contribuito alla credibilità del processo di revisione avviato dal Cremlino con il XX congresso del PCUS del 1966. Giovanni XXIII il 25 ottobre alle 12 diffuse tramite radio vaticana l’appello: “Noi ricordiamo i gravi doveri di coloro che portano la responsabilità del potere. Con la mano sulla coscienza, ascoltino il grido angosciato che da tutti i punti della terra, … sale verso il cielo: pace! pace! Noi supplichiamo tutti i governanti… che essi facciano tutto ciò che è in loro per salvare la pace… Che essi continuino a trattare… promuovere, favorire, accettare colloqui, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira le benedizioni del cielo e della terra”. La Pravda il 26 ottobre pubblica in prima pagina l’appello sottolineando la ragionevolezza dell’invito al negoziato sollecitato dal papa. Ci furono scambi mediati e diretti di missive tra Cremlino e Casa Bianca in cui si accettava la via dell’accordo negoziato. Il 28 ottobre arrivò la risposta di Kruscev che si impegnava a sospendere la costruzione delle basi e a far rientrare le navi con le ogive nucleari; era il quarto anniversario della elezione di Giovanni XXIII sulla soglia di Pietro. La storia degli altri (extra omnes), fuori dall’aula, irrompeva dentro l’aula conciliare e al vertice del cattolicesimo e interpellava i credenti. Accadeva la realtà della storia come luogo in cui cogliere l’appello di Dio, all’interno di una parola chiave che animava Giovanni XXIII e che troverà accoglienza meno decisa nel corso del concilio: leggere i “segni dei tempi”. Ma i credenti avranno ancora capacità di lasciarsi sorprendere per interpretare le attese degli uomini al di là dei giochi dei poteri in conflitto? ☺ 27 sisma la resa dei conti hanno accumulato 96 milioni di euro di debiti, tutti regolarmente registrati nel bilancio della società interamente controllata dalla regione Molise. Controllata si fa per dire perché, mentre il passivo corrisponde Domenico D’Adamo esattamente a quanto scritto nei libri contabili, per l’attivo, a voler essere ottimisti, il valore reale dei beni di proprietà della società non supera Dieci anni ci sono voluti alla magistratura molisana per arrila metà di quanto stimato dagli apprezzati amici di Iorio. In casi come vare alla richiesta di rinvio a giudizio del Commissario delegato alla questo, il presidente della regione, proprietaria della SPA, chiede conto ricostruzione post-sisma per fatti che questa rivista denuncia sin dal ai suoi delegati della incongruità del bilancio, si fa spiegare da ognuno 2004. cosa ne è stato dei soldi che mancano e soprattutto chiarisce ai molisaterremoto ni, colpevoli unicamente di averlo votato, che per saldare quei debiti Non che si sia trattato di indagini complesse per giungere dovranno ancora una volta fare sacrifici, perché le somme iscritte nell’all’ipotesi di abuso di ufficio contestato al governatore Iorio, eppure è attivo del bilancio regionale, circa 25 milioni di euro, passeranno nel passato tanto tempo per interpretare qualche legge e per fare due conti. passivo, poiché crediti non più esigibili. E le vittime saranno i lavoratori L’accusa mossa dal dr. Papa al commissario è appunto quella di avere dello zuccherificio che perderanno il lavoro, i cittadini molisani chiaesteso l’area del cratere sismico senza averne la competenza mati a sostenere la spesa, lo stato centrale e la commissione europea (sarebbero bastati alcuni giorni di studio per capirlo ma va da sé che la che hanno lautamente finanziato a perdere questa gloriosa impresa. Il giustizia è lenta specialmente quando ad essere inquisiti sono i potenti) semigovernatore è moderatamente soddisfatto per le ricercate soluzioni - al fine di acquisire consenso elettorale, cosa che sarebbe puntualmente in ordine alla procedura concordataria (fallimento) che ha interessato accaduta nella tornata elettorale del 2006. L’indiziato, secondo l’accul’azienda di proprietà della regione. Ma in questi dieci anni, in consiglio sa, avrebbe fatto spendere allo stato 154 milioni di euro per lavori eseregionale, maggioranza e minoranza, si sono mai chiesti cosa succedeguiti fuori dalle zone del cratere sismico, definito dal presidente del va allo Zuccherificio? O invece lo sapevano e gli stava bene? La modeconsiglio dell’epoca, arrecando danno anche ai 14 comuni, indicati dal rata soddisfazione del governatore è costata ai molisani circa 50 miliogoverno Berlusconi, che a tutt’oggi non completano la ricostruzione. ni di euro e pensare che il governo Monti per recuperare la stessa somTrecento miliardi di vecchie lire spese per retribuire tecnici, progettisti e ma è stato costretto a chiudere circa 900 uffici giudiziari. imprese che hanno realizzato opere le quali non avrebbero avuto diritto solagrital al contributo pubblico se Iorio non avesse Stessa sorte si sta prospettando per la SOfirmato i decreti 5 e 7, oltre all’ordinanza n. LAGRITAL di Bojano dove ancora una 13 del 2003. L’allora capo della protezione volta, gli unici polli da spennare saranno civile, Guido Bertolaso, anch’egli indiziato quelli molisani. Ci chiediamo e vi chiediaIndagato Iorio di reato nello stesso procedimento, contestò mo, ma è possibile che un semigovernatosubito, seppur con estrema discrezione, per l’estensione del cratere. re, depotenziato per effetto di una sentenza l’incompetenza del commissario Iorio ad che gli consente solo l’assunzione di provQuale politico emettere provvedimenti estensivi dell’area vedimenti urgenti, possa scaricare sulle del cratere sismico, così come fece anche la si era mai opposto protestando? casse regionali una enormità di debiti? In commissione ispettiva nominata da Prodi, questi giorni il consiglio regionale ha riscola quale, oltre a considerare detti decreti viziati da profili di illegittimità, perto l’orgoglio molisano per la difesa dell’autonomia per le decisioni ritenne la citata ordinanza incongrua rispetto al mandato ricevuto. Dopo sulla sanità. Destra e sinistra insieme a difendere le decennali inademtanti anni di gioco delle parti sapremo finalmente chi ha lavorato per chi pienze del governo Iorio, questo sì che è un bel quadretto. Quando si e, dalla eventuale costituzione di Parte civile nel processo penale, capibattono tutti insieme in genere lo fanno per difendere i loro privilegi e remo quanto i 14 sindaci del cratere hanno amato ed amano i propri questa volta non è diverso dalle altre. Non si spendono per il bene cocittadini o invece quanto erano e sono innamorati del loro governatore. mune, lo fanno solo per tutelare interessi personali o clientelari, difenA causa di questa allegra gestione, la ricostruzione della sola classe A dono il posto o quello dei loro amici. In questi dieci anni il centrodestra all’interno del cratere sismico è al 35%, mentre, per le altre classi, dopo molisano ha dimostrato l’inadeguatezza a governare una regione che dieci anni, è a zero. Volendo fare previsioni ottimistiche, la ricostruzioavrebbe delle potenzialità enormi da esprimere. Non si è registrato un ne per la fascia A terminerà fra trent’anni, mentre per le altre contendesolo risultato positivo per sviluppo industriale, agricolo, di artigianato, rà il primato al terremoto del Belice. Il semigovernatore Iorio è soddicommercio o servizi. sfatto del Modello Molise, tanto da partecipare la sua gioia con il libro Il centrosinistra ha brillato invece per l’assenza di proposte. bianco, pagato anche questo con i soldi dei terremotati. In tutto questo tempo da Ruta, Leva e Frattura non abbiamo avuto la zuccherificio fortuna di sentire una sola proposta da opporre al malgoverno della “Terremotati” sono anche i dipendenti dello Zuccherificio destra. Quando questi signori fingono di litigare, non lo fanno per prodel Molise che non torneranno mai più a lavorare in quello stabilimento muovere un modello di sviluppo rispettoso degli interessi di tutti, una da quando il presidente Iorio e qualche suo amico imprenditore sono migliore qualità della democrazia, una diversa gestione del potere; lo passati da quelle parti. Qui il semigovernatore, vestendo i panni del fanno solo per cambiare di posto, sempre con l’intesa, bipartisan, di proprietario, non quelli del delegato, ha lavorato ancora contro gli intepararsi il culo.☺ ressi del Molise. In questi ultimi dieci anni i delegati del proprietario [email protected] caccia grossa 28 fonte febbraio gennaio 2005 ottobre 2012 la la lafonte fontegennaio marzo 2005