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Byzantinische Zeitschrift Bd. 99/2, 2006: II. Abteilung
Hugh Eteriano, Contra Patarenos. Edited an translated with a commentary by Janet Hamilton, with a description of the manuscripts by Sarah Hamilton and an historical introduction
by Bernard Hamilton. The Medieval Mediterranean. Peoples, Economies and Cultures, 400–
1500, 55. Leiden/Boston, Brill 2004. 251 p. Ill. ISBN 90-04-14000-X.
Poco più di mezzo secolo fa, il padre domenicano Antoine Dondaine, in un articolo dedicato
ai due fratelli pisani Ugo Eteriano e Leone Tosco, attivi nella seconda metà del secolo XII alla
corte di Costantinopoli durante il regno dell’imperatore Manuele I Comneno, segnalava l’esistenza in due codici (Sevilla, Biblioteca Colombina 5.1.24, Oxford, Bodl. Canon. Pat. Lat. 1)
dell’opuscolo Adversus Patherenos composto da Ugo a Costantinopoli (Hugues Éthérien et
Léon Toscan, «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 27, 1952, p. 67–134,
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Hugh Eteriano, Contra Patarenos, bespr. v. A. Rigo
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qui 109–114), importante non solo per la storia dell’eresia dualista in epoca medievale, ma anche per l’utilizzo da parte di Ugo di alcuni testimoni della letteratura agiografica ed edificante bizantina.
Il presente volume, risultato degli sforzi congiunti di una vera e propria ‘impresa familiare’,
contiene l’edizione del testo latino di questa opera di Ugo (p. 155–176), accompagnata da una
traduzione inglese (p. 177–192) e da un commento (p. 193–227). La lunga introduzione è divisa in tre parti di diversa ampiezza, una prima dedicata agli eretici di cui tratta l’opuscolo (p. 1–
102), una seconda ai due manoscritti dell’Adversus Patherenos (p. 103–108) e una terza alla
vita e alle opere di Ugo Eteriano (p. 109–153). La trascrizione del testo dai due codici era già
stata pubblicata un decennio fa in una tesi che è evidentemente ignorata dagli editori di questo
volume: Timothy J. Uhen, The Treatise Adversus Patherenos of Hugh Etherien. Pontificium
Athenaeum Sanctae Crucis, Facultas Theologiae. Thesis ad Doctoratum in Sacra Theologia
totaliter edita, Romae 1997. In questa tesi la trascrizione del testo (p. 39–101), era preceduta da
una notizia sull’autore (p. 9–29) e seguita da un capitolo dedicato ai Patereni (p. 103–151) e da
un commento teologico (p. 153–196).
Il libro di Janet, Sarah e Bernard Hamilton richiede alcune osservazioni che saranno qui
presentate senza seguire l’ordine dei capitoli, ma raggruppate in tre punti: l’autore, l’opera, gli
eretici «Patereni».
Ampio spazio è dedicato da J. H. alla vita e alle opere di Ugo (per quest’ultime sono riassunti i risultati delle ricerche di A. Dondaine). Anche se diversi passaggi di tale esposizione
meriterebbero un’analisi più ravvicinata, ci limitiamo qui a poche note. Secondo la studiosa,
Ugo Eteriano e il fratello Leone «came to Constantinople probably in the late 1150s» (p. 113).
Poco prima aveva ricordato le sue discussioni «with the Greek theologian Nicholas of Methone, who was dead by 1164. An unpublished MS of these discussions is recorded as among the
collection at Brescia» (p. 112 e n. 19; cfr. anche p. 131 n. 62). In verità, l’arrivo di Leone e di
Ugo a Costantinopoli va collocato in una data attorno al 1160. Soltanto le vicende legate alla
controversia teologica sul versetto evangelico «Il Padre mio è più grande di me» (Gv. 14, 28),
sorta agli inizi del 1166 in seguito all’intervento di Demetrio di Lampe, forniscono una prima
coordinata cronologica sicura. Ugo Eteriano vi ha un ruolo di rilievo e il suo intervento è alla
base delle decisioni prese in quell’occasione dall’imperatore. La familiarità di Manuele I con
Ugo e l’influenza di quest’ultimo nella conclusione delle discussioni sinodali sembrano indicare una loro frequentazione oramai consolidata. Anche la decisione di Manuele I (tra il 1162
e il 1166) di togliere ai Pisani il loro quartiere a Costantinopoli non è utile come termine ante
quem del soggiorno di Leone e Ugo in Oriente; per questa ragione il 1161 come anno dell’inizio della loro permanenza a Costantinopoli, più volte proposto (da Antoine Dondaine in poi)
sulla base di questo evento, non può essere mantenuto. Le discussioni tra Ugo Eteriano e Nicola di Metone († 1164), evocate da J. H., non ebbero mai luogo. Qui la studiosa si basa su una
notizia di seconda mano (e non verificata). Dal momento che la questione è di una certa importanza per la vita e l’opera di Ugo in Oriente, forniamo qui alcune informazioni al riguardo
(ci ripromettiamo di ritornare altrove sull’argomento). R. Lechat, La patristique grecque chez
un théologien latin du XIIe siècle, Hugues Éthérien, in Mélanges d’histoire offerts à Charles
Moeller. T. I. Louvain 1914, 507 n. 1 segnalava, sulla base del catalogo, un manoscritto greco
della Queriniana di Brescia (A.IV.3) contenente «des réponses à certaines argumentations de
Hugues Éthérien contre Photius et contre Nicolas de Méthone». A. Dondaine, Hugues Éthérien,
74 n. 1, sempre sulla base del catalogo, osservava che «Les grecs adversaires de Hugues écrivent son nom  IJQ>FOF>KÄT (Nicolas de Méthone?), ms. Brescia A.IV.3». J. H. rimanda a queste parole di Dondaine quando parla delle discussioni di Ugo con Nicola di Metone. Il codice
Brescia, Queriniana gr. A.IV.3, copiato da Georgios Laurezios copista di Ruffano (Otranto)
nel 1449, contiene una raccolta di testi antilatini, organizzata in questa forma attorno al primo
quarto del XIII secolo. Ai ff. 225r, 225v–226r, dopo i Sillogismi di Nicola di Metone e Fozio,
compaiono due estratti di Ugo Eteriano. Il primo di questi (presente anche in una simile raccolta antilatina nel Vat. Barb. gr. 291, ff. 90v–91v) suona così: ğ MÄHOFPFT MOªT Q>ŘQ> -ˆDSK
 QLŘ DFSQÀQLV MÀM> `MLHOFPFÀOFLT. ğ IIŲ -ˆDSK  IJQ>FOF>KªT H>Q¦ QLÅQSK QŕK QLŘ
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AÁBQ>F MOLPLUœ  MOªT Q¨K }ÅPFK —T BoOEQ>F MOÄQBOLK. Questo passo di un libro «contro i
Greci» non è altro che il testo greco di un capitolo dell’opera maggiore di Ugo, il De sancto et
immortali Deo, I, 20: PL 202, coll. 239c–240b. Questo scritto fu infatti pubblicato da Eteriano
a Costantinopoli in edizione bilingue tra la fine del 1176 e gli inizi del 1177, come sappiamo
dalla conclusione dell’opera (Dondaine, Hugues 100), dalla lettera accompagnatoria di Ugo
ad Aymeri di Antiochia (PL 202, col. 230b) e dalla risposta di quest’ultimo (ivi, col. 231a). Il
De sancto et immortali Deo si è conservato soltanto in latino, mentre del testo greco perduto
(cfr. Dondaine, Hugues 100–103) ora abbiamo questi excerpta. Ferma restando la loro importanza per l’opera di Ugo, essi non riguardano alcuna sua discussione con Nicola (che non ci fu),
ma piuttosto la sua refutazione degli scritti del vescovo di Metone (citati a più riprese nel De
sancto et immortali Deo: PL 202, coll. 237a, 256b, 268c, 270a, 279c, ecc.). Per quanto qui ci
interessa più direttamente, è chiaro infine che il 1164 non può essere mantenuto come termine
ante quem dell’arrivo dei due fratelli pisani in Oriente.
Trattando dei teologi bizantini citati da Ugo nella sua opera maggiore, dedicata in particolare alla processione del Santo Spirito, J. H. ricorda oltre Nicola di Metone, Niceta di Nicomedia
e «Nicetas of Byzantium (who may be Nicetas Acominatus, author of a Thesaurus of Orthodoxy») (p. 131). Al di là delle chiare difficoltà cronologiche (Niceta Coniata nasce nel 1155/7
circa!), il teologo in questione è il ben noto Niceta di Bisanzio (seconda metà del IX secolo),
contemporaneo di Fozio, autore di una Refutazione del Corano, di una Lettera al re di Armenia
Ašot, e, appunto, di xxiv Capitoli sillogistici sul Santo Spirito. È quest’ultimo scritto a essere
citato da Ugo, come già evidenziava, nell’apparato della sua edizione dei Capitoli di Niceta,
J. Hergenröther, Monumenta graeca ad Photium ejusque historiam pertinentia. Ratisbonae
1869, 84–138. Resta da aggiungere che forse J. H. è stata tratta in inganno dall’appellativo di
«novus theologus» utilizzato da Eteriano per indicare Niceta (De sancto et immortali Deo, I,
15: PL 202, col. 259c).
Parlando delle attività del fratello di Ugo, Leone, J. H. ricorda la traduzione da parte di
quest’ultimo della Liturgia di Crisostomo «at the request of Raymond of Montcada, the seneschal of Barcelona, in 1173» (p. 129). La studiosa si basa evidentemente sulla cronologia di
A. Jacob, La traduction de la liturgie de saint Jean Chrysostome par Léon Toscan. Édition critique. OCP 32, 1966, 113–114 (1173–78), collocando la traduzione nella data più alta lì proposta. Alcuni elementi interni al testo (menzione del patriarca di Gerusalemme Leontios in carica dal 1176) e le notizie in nostro possesso su Ramón de Montcada, siniscalco di Aragona,
permettono però di far risalire l’ambasceria (e la traduzione di Leone Tosco) al 1177–78, cfr.
P. Magdalino, The Empire of Manuel I Komnenos, 1143–1180. Cambridge 1993, 102 n. 319;
F. Dölger/P. Wirth, Regesten der Kaiserurkunden des oströmischen Reiches von 565–1453.
2. Teil. München 1995, nr. 1527b.
L’opuscolo di Ugo Eteriano contro i Patereni è edito da J. H. sulla base dei codici Sevilla, Biblioteca Colombina 5.1.24, ff. 67r–75v (S) e Oxford, Bodl. Canon. Pat. Lat. 1, ff. 1r–31r (B), entrambi fatti risalire da S. H. al XIII secolo. Il primo di questi due manoscritti è di particolare
importanza perché contiene anche un’altra opera di Ugo (De haeresibus quas in Latinos Greci
devolvunt) e una del fratello Leone (De haeresibus et prevaricationibus Grecorum). In S l’opuscolo è suddiviso in xii capitoli, mentre in B, anche a ragione di un’ampia lacuna e di un errore
di numerazione, in soli v capitoli. Il rapporto dei due codici, e le loro varianti più significative,
richiederebbe senz’altro uno studio più approfondito.
A differenza di altri scritti di Eteriano, questo opuscolo non ha conosciuto un’edizione bilingue in greco e in latino. La supposizione di J. H. («Perhaps a Greek version of this too existed once», p. 121) non è infatti fondata su alcun argomento: né il testo dell’opuscolo né altri
documenti parlano infatti del trattato contro i Patareni e di una sua eventuale traduzione greca. Soltanto due opere di Eteriano furono pubblicate con il testo bilingue latino e greco, il De
sancto et immortali Deo e il De minoritate ac aequalitate filii hominis ad Deum patrem. Le
ragioni di questa scelta da parte di Ugo sono evidenti: l’autore voleva presentare all’imperatore
Manuele I questi due suoi scritti, dedicati ai temi diventati allora d’attualità per la Chiesa costantinopolitana con le dispute cristologiche e trinitarie.
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Hugh Eteriano, Contra Patarenos, bespr. v. A. Rigo
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In S l’opuscolo di Ugo è indicato con queste parole all’inizio: «… de abhominabili patherenorum secta…» (p. 155) e così alla fine: «Adversus patherenos hugonis eteriani libellus explicit“ (p. 176). Una mano posteriore ha aggiunto all’inizio del testo in B una nota con la quale
l’opuscolo era attribuito ad Agostino: «liber beati augustini contra patarinos…» (p. 155 n. 1).
Il titolo dell’opera che deve essere mantenuto è pertanto Adversus patherenos (sulla base di S
e come aveva già scritto A. Dondaine) e non Contra paterenos come indicato dagli editori in
tutto il volume.
Una lettura del testo qui edito e un confronto con la trascrizione di Timothy J. Uhen (certamente anch’essa non priva di mende) e con gli estratti a suo tempo pubblicati da Antoine Dondaine mostrano sin da un primo momento che la lettura e la collazione dei codici effettuate
da J. H. e il testo qui pubblicato pongono molti problemi. In altre parole, questa edizione dell’opera di Ugo non ci sembra affidabile e deve essere utilizzata con grande cautela. Ragioni
di tempo e di spazio (i limiti naturalmente imposti da una recensione) non ci permettono di
proporre qui i risultati di un controllo dell’edizione di J. H. con S e con B. Limitiamoci a pochi esempi per le righe iniziali dell’opera. Cominciamo dai titoli dei capitoli che soltanto in S
precedono l’opuscolo.
Hugo eterianus de ab hominabili patherenorum secta… (p. 155, l. 1), lege: Hugo eterianus
de abhominabili patherenorum secta…
De conversione panis et vini ******** veri corporis et in nostro domini sanguine (p. 155, ll.
7–8), lege: De conversione panis et vini in veram carnem et in verum Domini sanguinem.
La nota posteriore in B: Liber beati augustini contra patarinos (p. 155 n. 1), lege: Liber beati
augustini contra patarinos opus perfectum. Cap. I
non excedit modus an imperatoria constitutione (imperatoriam constitutionem S) mactam
iri debeant … (p. 155, ll. 14–15), lege: non excedit modus an imperatoria constitutione (imperatoriam constitutionem S) mactari (nactum iri S; B glossa: id est puniri, id est occidi debeant)
debeant…
E si potrebbe proseguire. In B il testo è accompagnato da molte glosse esplicative che sono
riportate soltanto parzialmente in nota all’edizione o addirittura omesse (forse perché poco leggibili sulle riproduzioni fotografiche utilizzate da J. H. per il lavoro). Alcuni esempi.
Paterini qui ab augustino ******issimi sive paterini … (p. 155 n. 7), lege: Paterini qui ab
augustino patripassiani sive paterini…
frixa et helles ibant pro aureo velle et ceciderunt in mare ubi frixa cecidit frixeum mare ubi
helles cecidit hellespontus vocatus (p. 155 n.8), lege: frixus et helles ibant pro aureo velle et ceciderunt in mare ubi frixus cecidit frixeum mare ubi helles cecidit hellespontus vocatus
p. 155, l. 14 non excedit modus, add. B glossa: id est sermo qui non tranxit mensuram iuxta
Apostolum: non plus sapere quam oportet. Id est mensura
Interemit (p. 157 n. 31), lege: interemit = occidit
p. 157 n. 41 add.: intellectus, fortitudinis, scientie, timoris Domini
Divisi a popularibus quia quasi religiosi sicut ******* (p. 158 n. 51), lege: Divisi a popularibus quia quasi religiosi sicut modo sunt monachi.
Con Antoine Dondaine, gli editori non propongono alcuna data precisa per la composizione dell’opuscolo, che è genericamente fatto risalire al soggiorno di Ugo in Oriente durante il
regno di Manuele I Comneno, perciò prima del 1180 (p. 142; cfr. anche p. 9). Un commento
dettagliato segue il testo e la traduzione inglese, pagine dedicate principalmente ai testimoni
della letteratura agiografica ed edificante bizantina utilizzati da Ugo (il racconto di re Abgar,
il mandylion di Edessa, le icone miracolose, ecc.) e ad alcune notizie sugli eretici. Due osservazioni su uno dei testi utilizzati da Ugo (ma anche gli altri meriterebbero un’analisi ravvicinata) e su un elemento legato alla repressione antiereticale in Oriente. Eteriano riproduce una
narrazione su un «Iudeus vitrifex“ (p. 169) che ha conosciuto, in diverse forme, una grande fortuna tra Oriente e Occidente. J. H., nel commento (p. 214–216), avvicina la versione utilizzata
da Ugo a quella presente in una recensione del Prato spirituale di Giovanni Mosco (E. Mioni,
Il Pratum spirituale di Giovanni Mosco. OCP 17, 1951, 93–94 [XII]). In verità, il racconto di
Eteriano è la versione latina di un notizia della Cronaca di Giorgio Monaco (C. De Boor, II,
p. 654–656; cfr. BHG 1076kb) per il regno dell’imperatore Giustino (nome in effetti presente
nel testo di Ugo).
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Nel corso dell’opuscolo, Ugo si augura a più riprese che i Patereni siano messi a morte dall’imperatore Manuele I con «diminutio capitis» (p. 155) o con il rogo (p. 155, 163), evocando così
la pena prevista dai codici civili e i roghi che, dopo quello del bogomilo Basilio (1099 circa),
si erano periodicamente accesi per i Bogomili nel corso del XII secolo, come sappiamo dai canonisti (Teodoro Balsamone). Alla fine del trattato, si augura che le sue parole e le auctoritates
addotte convincano l’imperatore a marchiare le fronti dei settari con il «nigrum theta» (p. 176,
l. 17), segno della morte. Queste parole richiamano alla memoria, oltre e più che i casi dell’antichità romana e dell’epoca protobizantina citati da J. H., gli eretici accusati di Bogomilismo
nel XIV secolo sul Monte Athos e in Bulgaria. Essi furono marchiati a fuoco con il segno della
croce e banditi dal Monte Santo. Alcuni di loro, rifugiatisi a Trnovo, furono condannati di nuovo, marchiati a fuoco sul volto e banditi dalla Bulgaria (cfr. A. Rigo, Monaci esicasti e monaci
bogomili. Le accuse di Messalianismo e Bogomilismo rivolte agli esicasti ed il problema dei
rapporti tra Esicasmo e Bogomilismo. Orientalia Venetiana, 2. Firenze 1989, 172, 177).
Antoine Dondaine, e tutti gli studiosi successivi, hanno identificato i Patereni, contro i quali
scrive Ugo Eteriano, con i Bogomili bizantini, gruppo ereticale che suscitava le preoccupazioni delle autorità ecclesiastiche in Oriente tra la fine dell’XI e il XIII secolo. In un precedente
contributo, anche Bernard e Janet Hamilton (Christian Dualist Heresies in the Byzantine world
c. 650 – c. 1450. Manchester/New York 1998, 234–235) avevano mostrato di condividere tale
identificazione. In questa sede, è però proposta una nuova tesi. Con un’esposizione di un centinaio di pagine, che di fatto è una vera e propria panoramica sul dualismo nel mondo bizantino e medievale dai Pauliciani ai Bogomili, ai Catari a papas Niceta, al concilio di Saint-Félix
de Caraman, ecc., B. H. cerca di rispondere all’interrogativo iniziale: «Who were the Patarenes?».
A suo avviso «Hugh Eteriano was writing against a Group of Western heretics living in Constantinople» (p. 3), «a group of dissidents drawn from the Latine-rite population of the capital»,
«an audience of Latin Christians living in the Patriarchate of Constantinople» (p. 10); «the Patarenes of Constantinople are the Cathars» (p. 24); «the Latin members of Nicetas’s church»
(p. 99). B. H. fonda la sua tesi su argomenti di diversa natura: le dottrine degli eretici, alcuni
elementi interni all’opuscolo e, soprattutto, il nome «Patereni» con il quale Ugo indica i settari. Iniziamo da quest’ultimo punto. B. H. afferma che «there is no evidence in any Byzantine
source that a Greek form of the word Patarene existed» (p. 2–3) e che Eteriano descrive «the
dissidents as Patarenes, the Tuscan name for heretics» (p. 12). Ugo indica sempre i settari con
il nome di «Patereni», usato spesso in apposizione con quello di «Manichei». Senza voler qui
riprendere la discussione intrapresa in passato da diversi studiosi (A. Solovjev, A. Dondaine,
E. Werner, I. Dujƣev, ecc.) sull’origine e l’etimologia del termine «Patarini/Paterini/Patereni»,
ricordiamo innanzitutto i dati forniti dalla documentazione disponibile. In Occidente, la parola Patarinus, Paterinus, Patherinus, Patherenus è attestata la prima volta per la Pataria milanese verso il 1060–80. Riappare quindi un secolo dopo (1173 a Firenze e, soprattutto con Alessandro III al Concilio Lateranense nel 1179) per indicare gli eretici e in particolare i Catari, cfr.
Ch. Thouzellier, Hérésie et hérétiques. Vaudois, Cathares, Patarins, Albigeois. Storia e letteratura, 116. Roma 1969, 220. Ma anche in Oriente (e in greco) l’appellativo è conosciuto. Innanzitutto nel Martirio dei monaci di Cipro uccisi dai Latini (BHG 1198ab) il 19 maggio 1231
vediamo i carnefici insultare i monaci, chiamandoli «cani e Paterini» (HÅK>T `MLH>ILŘKQBT
H>© M>QBOÃKLVT): K. B. Sathas, +BP>FSKFH¨ F?IFLRÂHE. t. 2, Venezia 1873, 30. In due documenti del Sinodo di Costantinopoli del 1316 e del 1330 (Das Register des Patriarchats von
Konstantinopel, I, hrsg. v. H. Hunger/O. Kresten. CFHB, 19/1. Wien 1981, nr. 42, p. 298–303,
nr. 101, p. 570–578) è ricordata una consistente presenza bogomila in un villaggio della valle
della Maritza, nei pressi di Bêra, Bokovikos/Bukovik. Il primo di questi atti ricorda i Bogomili anche con il termine «Paterini» (.>QBOÃKLF): nr. 42, p. 298, l. 8. Se il documento patriarcale
è di grande interesse perché attesta in modo inequivocabile che l’appellativo «Paterini» indicava nel mondo bizantino i Bogomili, il primo documento è forse ancora più importante perché
mostra che la parola .>QBOÃKLF godeva di un’ampia circolazione verso la metà del XIII secolo,
tanto da essere già diventata uno Spottname. L’appellativo «Paterini» era perciò conosciuto in
Oriente (la sua prima attestazione resta comunque l’opuscolo di Eteriano) e indicava gli adepti del Bogomilismo. B. H. ricordava poi che le dottrine menzionate da Ugo circa gli eretici eraUnauthenticated
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Hugh Eteriano, Contra Patarenos, bespr. v. A. Rigo
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no caratteristiche dei Catari. In verità gli stessi elementi (predicazione nel segreto, censura dei
sacerdoti indegni, rifiuto del giuramento, dell’Antico Testamento, del matrimonio, dell’eucaristia, delle immagini e della croce) sono menzionati, spesso con sequenze simili, dalla letteratura eresiologica e dai documenti ecclesiastici sul Bogomilismo bizantino. Secondo lo studioso
anche alcuni elementi interni all’opuscolo parlerebbero in favore di una identificazione dei Patareni con Catari occidentali residenti a Costantinopoli. Ugo Eteriano conclude le sue pagine
antiereticali, scrivendo: «In hoc opusculo digesta sunt, ut industrii viri evidentes habeant auctoritates, quibus intelligentissimo imperatori Manuel innixi persuadeant facillime…» (p. 176).
A detta di B. H., «such a work, if it related to Byzantine Bogomils, would have been completely redundant in Constantinople, because Euthymius Zigabenus (…) had written a detailed account of the beliefs of the Bogomils» (p. 1). Anche questo argomento ci appare debole, per due
diverse ragioni. Se si avesse sempre seguito questa logica, gran parte della letteratura eresiologica non avrebbe mai visto la luce, e, nello specifico, a Bisanzio dopo Eutimio Zigabeno
sarebbe stato inutile scrivere alcunché contro (o sul) Bogomilismo. Va inoltre aggiunto che
le auctoritates di cui parla Ugo sono evidentemente le narrazioni edificanti sulle icone e la croce, riprese nell’opuscolo, che dimostrano l’empietà della posizione degli eretici. Nulla del genere si ritrova nel capitolo xxvii della Panoplia dogmatica, dove le dottrine dei settari sono
esposte e refutate con argomenti tratti quasi esclusivamente dalla Scrittura. Ugo Eteriano scrive su invito di «memorandi quidem viri et spectabiles» (p. 155), purtroppo non identificabili.
Il fatto che costoro «did not associate the Patarenes with Bogomils or with any other group of
Byzantine heretics» fa aggiungere a B. H. che «they clearly supposed that the heresy had been
introduced among the Latin-rite population of the capital from the West» (p. 12). Non ci sembra che nemmeno queste ultime considerazioni possano essere accettate perché basate, in ultima analisi, su una supposizione o, nel migliore dei casi, su un argomento e silentio. Va aggiunto inoltre che, come abbiamo detto, l’opuscolo Adversus Patherenos, a differenza di due altre
opere di Ugo, non sembra aver conosciuto un’edizione bilingue in latino e in greco. Questa opera era stata evidentemente pubblicata soltanto in latino perché i corrispondenti di Ugo (ovvero
«memorandi quidem viri et spectabiles») erano Occidentali residenti a Costantinopoli. In maniera analoga le altre opere con il solo testo latino sono state scritte per Occidentali: il De anima corpore exuta per il clero di Pisa, il De differentia naturae et personae per Pietro di Vienna e Ugo di Honau e la lista degli errori dei Greci per il cardinale Arduino. La questione
appare perciò in termini diversi (se non opposti) da quelli prospettati da B. H.: Eteriano scrive
un opuscolo contro i Patereni su richiesta di Occidentali che abitano in Oriente. Costoro vogliono avere delle informazioni su un gruppo ereticale (saremmo tentati di aggiungere: a loro
sconosciuto, perché bizantino…). Occidentali sono perciò i «committenti» dell’opuscolo e non
i settari contro i quali l’opuscolo è diretto. Crediamo pertanto, sulla base della documentazione a tutt’oggi disponibile e delle precedenti osservazioni, che i Patereni di cui ci parla Eteriano
vadano identificati con i Bogomili bizantini. Un’ultima informazione di un certo interesse, presente nell’opuscolo di Ugo, sembra parlare in questo senso. Nel prologo egli si augura che l’imperatore sradichi la perfida setta «non modo de partibus Elespontiacis”, ma «de orbe universo»
(p. 155). Queste parole sembrano indicare una presenza consistente degli eretici nella zona dell’Ellesponto. La notizia, non messa a profitto da B. H. che parla continuamente di Patereni o di
Catari a Costantinopoli, è così spiegata nel commento da J. H.: «The vague description may allude to settlements in Galata, across the Golden Horn from Constantinople proper, to Scutari
or to the shores of Bosphorus» (p. 195), che evidentemente vuole localizzare gli eretici nella
banlieu costantinopolitana e nelle colonie occidentali là presenti. Ma a Bisanzio il termine Ellesponto, già impiegato per l’omonima provincia, indica di solito la regione degli stretti tra il
mare Egeo e il Mar di Marmara, con le città costiere (Lampsaco, Gallipoli, Abido) e l’area
adiacente. Con questo stesso significato Ugo Eteriano lo utilizzava in un altro suo scritto, quando parlava del fratello Leone che «per Hellespontum in Asiaticam transferavit plagam cum augustissimo imperatore Emmanuele», De sancto et immortali Deo, I, 20: PL 202, col. 274b. I
Patereni di Eteriano erano perciò concentrati in qualche zona o città della regione degli stretti.
Alcuni documenti di poco più tardivi sul Bogomilismo bizantino ci attestano infatti la continuità nell’area di questa presenza ereticale: a Nicea nel 1226 (?), cfr. A. Rigo, Il Bogomilismo
bizantino in età paleologa (XIII–XV secolo). Fonti e problemi, «Rivista di Storia e Letteratura
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religiosa», 32, 1996, p. 628 n. 3, e a Lampsaco nella seconda metà del XIII secolo (come ricorda Teodoro Scutariota, v. N. Zorzi, Teodoro Scutariota tra manoscritti e storia, relazione al
congresso Mandarini bizantini. Il mondo intellettuale tra Oriente e Occidente [XIV–XV secolo], in corso di stampa).
Venedig
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