La Bastiglia-12/17 luglio 1789
Nell’anno 1789 la contestazione alla legittimità del potere dominante divampò
in luoghi e situazioni apparentemente distanti e diversi:da Londra a Ginevra,
da Boston a Utrecht si accesero ribellioni popolari violente e cruente non
meno della presa della Bastiglia; da connettere allo stesso mosaico è
l’ammutinamento del Bounty il 28 aprile 1789, i marinai del vascello inglese
che portava i frutti dell’albero del pane da Tahiti agli schiavi delle Indie
occidentali accusarono il capitano Bligh di terribili e sadiche brutalità, si
ribellarono al suo comando e si ripresero il proprio destino.
“Da vent’anni, nel mondo occidentale, città e campagne erano teatro di
sommosse incessantemente ricorrenti, tra le quali quella del 14 luglio 1789 a
Parigi non fu –e fu ben lungi dall’esserlo- la più violenta.
E’ forse a Parigi che vennero attaccati, saccheggiati o distrutti 46 immobili;
che vennero incendiate numerose cappelle; che vennero assalite o bruciate 7
prigioni e liberati tutti i detenuti; che venne minacciata la banca più
importante; che vennero uccise più di 200 persone e ferite 300? No tutto ciò
avvenne a Londra coi disordini che durarono dal 2 al 9 giugno 1780.
E’ forse a Parigi che i patrioti s’impadroniscono del governo e della
munipalité, fanno arrestare o sorvegliare a vista tutti gli “aristocratici”? No.
Tutto ciò avviene a Ginevra nel 1782 e la rivolta dura dall’8 aprile all’1 luglio”1.
E’ forse a Parigi che nelle strade compaiono le barricate; che i patrioti
manifestano in armi, battono le truppe addette all’ordine pubblico e
costringono il capo del governo o il suo rappresentante a battere in fuga? No,
tutto ciò accade a Boston nel 1775, a Utrecht, Amsterdam e L’Aia nel 1783
Sono tutti fatti che accaddero ciascuno ignoto e indipendente dall’altro, il
motivo scatenante di ciascuno è diverso dall’altro e lo fu anche il modo in cui
si compirono e le conseguenze che ne derivarono, sarebbe
avventurosamente improprio considerarli come anelli di una sola catena,
improbabile e misterica, ma in ognuno di codesti fatti operò una componente
riscontrabile in tutti gli altri: la crisi della legittimità del potere costituito e,
apparentemente, immutabile.
Da questo versante interpretativo è interessante l’intuito con cui il pensatore
liberaldemocratico Guglielmo Ferrero affronta la questione della crisi della
legittimità: “ La vittoria della sommossa (della Bastiglia) fu seguita per la
prima volta nella storia, da un evento apparentemente impossibile:in Francia,
in sei settimane, via via che si diffusero le notizie da Parigi il popolo intero,
come in virtù di un accordo segreto, rifiutò di obbedire. …Le masse si
rivoltano perché sentono l’Autorità paralizzata; l’Autorità smette di agire
perché sente che le masse le sono sfuggite. …La gerarchia aristocratica e
monarchica non è attaccata e rovesciata da una forza ostile che vuole
sostituirla; essa viene inghiottita nel nulla, scompare in una enorme faglia
della storia che si spalanca di colpo sotto le sue basi secolari. …Nelle
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J. Godechot: La presa della Bastiglia
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settimane che seguono la Bastiglia, Luigi XVI diventa un re senza giudici,
senza leggi, senza denaro. Non si era mai visto nella storia dell’Occidente
una contagione spirituale così inattesa e così enorme; uno dei più grandiosi
edifici costruiti dall’umanità crolla all’improvviso, nel cuore dell’Europa e in
un’epoca di pace; una delle civiltà più raffinate si trova da un giorno all’altro
completamente denudata sotto gli occhi del mondo intero.”
In realtà la presa della Bastiglia provocherà la capitolazione del Re, un mese
dopo, dell’anciene Régime: la rivoluzione già latente nel mondo occidentale
da 20 anni e in Francia da almeno due si impose in modo irreversibile il 14
luglio e consacrò il fallimento dei tentativi compiuti dal Re e dalla Corte di
opporsi al movimento rivoluzionario. Nel corso dei precedenti mesi, maggio e
giugno, erano continuati anche intorno a Parigi i saccheggi ed i tumulti
popolari, il disagio della popolazione era crescente a causa della carestia e
dei continui aumenti del prezzo del pane.
Verso mezzogiorno della domenica 12 luglio 1789 arrivò a Parigi la notizia
della sostituzione di Necker con il Barone de Bretuil, con Necker era stato
licenziato il Governo liberale da lui guidato e si era costituito un Gabinetto
apertamente favorevole alla Corte. Appena il giorno prima, 11 luglio, La
Fayette aveva presentato all’Assemblea nazionale, nominatasi “costituente” il
precedente 7 luglio, la prima stesura della costituzione.
“Questo atto audace era eseguito timidamente, e ciò ne distruggeva l’effetto.
Necker veniva allontanato dal Regno, e il Re lo supplicava di tenere segreta
la cosa. Così mentre l’audacia era evidente perfino negli atti di formale
deferenza dell’Assemblea, la timidezza traspariva perfino dagli atti di violenza
del monarca.”2
A Necker venne consegnata dal conte de la Luzerne, sottosegretario di Stato
alla Marina, una lettera del Re intorno alle tre pomeridiane mentre si
apprestava a pranzare insieme alla sua famiglia: il Re gli intimava di lasciare
la Francia e ogni incarico governativo con la più grande discrezione. Necker
non informò nessuno, neanche la figlia Germane, né chiese una qualche
spiegazione al Re, si limitò a rispondere con un biglietto con cui assicurò il
Sovrano della sua scrupolosa obbedienza. Pranzò normalmente e nel tardo
pomeriggio lasciò Versailles insieme alla moglie, raggiunse la casa di
campagna di Saint-Ouen da dove scrisse della sua improvvisa partenza a
madame de Stael e continuò fino a raggiungere il Belgio dove fece tappa per
poi proseguire per la Svizzera.
Intanto il conte de la Luzerne dette le dimissioni dal Governo ormai decaduto;
nel nuovo Governo parteciparono il Barone de Bretuil, il maresciallo de
Broglie a ministro della guerra ed il guardasigilli Barentin già fortemente
critico verso i riconoscimenti al terzo stato deliberati 19 giugno da Necker.
Il pomeriggio dello stesso giorno vennero organizzati cortei e manifestazioni
di protesta che confluirono al Palais Royal per ascoltare gli oratori: tra loro il
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E. Quinet: La Rivoluzione
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giovane avvocato Camille Desmoulins; la città di Parigi era affollata di
rifugiati e fuggitivi, di vagabondi che parteciparono allo sfilare dei cortei, la
città era agitata e l’insoddisfacente era palpabile: la pagnotta da quattro libbre
di pane costava 14 soldi, il prezzo massimo mai raggiunto, ed i moltissimi
vagabondi e sbandati arrivati in quegli ultimi giorni non avevano di che
mangiare.
Il Palais Royal era una delle residenze del duca d’Orleans e quindi non
soggetto alle invadenze delle Autorità di polizia, in ragione di ciò era diventato
il luogo ove gli oratori popolari potevano impunemente esprimersi contro la
Corte ed il Re.
Il Palais-Royal apparteneva al duca di Chartres-d’Orleans gran maestro della
massoneria, il futuro Philippe Egalité molto legato ai finanzieri ed agli
speculatori edilizi e oppositore di Luigi XVI.
Il Palais-Royal venne trasformato in “palais marchand”, una sorta di centro
commerciale e culturale, con portici e negozi di moda, librerie e caffè’, club
politici-letterari e logge massoniche.
Essendo una residenza privilegiata la polizia non poteva entrare e quindi era
diventato il luogo di incontro e di lavoro di prostitute, bricconi e borsaioli ma
anche agenti di borsa e di militanti politici, così scriveva Rivarol: “Al caffè di
Foy si formò come un’altra assemblea di borghesi che per la vivacità dei suoi
dibattiti, per il carattere permanente delle sue sedute e per il numero dei suoi
membri, era superiore a quella di Versailles”3
Così riferiva il viaggiatore inglese Arthur Young: “I caffè del Palais-Royal
presentano però uno spettacolo ancora più singolare e più sorprendente. Non
soltanto l’interno brulica di gente, ma alle porte e alle finestre c’è una folla che
ascolta a bocca aperta (sic) gli oratori che salgono sulle sedie o sui tavoli e
che hanno ognuno un piccolo uditorio. Non si può facilmente immaginare
l’attenzione con cui si ascolta, né la salva d’applausi che accoglie ogni
espressione di audacia e di violenza contro il governo, espressioni che
superano la misura consueta. Mi meraviglio che il ministro permetta questi
focolai di sedizione e di rivolta.”4
Luigi XVI non apprezzava la promiscuità del Palais Royal ed aveva espresso
più di una volta l’intenzione di chiudere i clubs ed i caffé dove il libertinaggio e
la politica avevano trovato la sede ideale; era una strana mescolanza di
preferenze sessuali particolari, di prostituzione, di giochi d’azzardo e di moda,
ma anche di critica politica e di sovversione dell’ordine pubblico e del potere
politico.
“Si dice a ragione che Parigi assomiglia a un Regno, la cui capitale è Palais
Royal. In effetti tutto vi si trova riunito, e vi si trovano anche certi vantaggi che
si cercherebbero invano altrove. Si tratta di appartamenti ammobiliati con
quanto di più lussuoso e ricercato esista, e che vengono affittati per mezzo
luigi l’ora: è facile immaginare per quale uso. Si dice anche che il partito
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J. Godechot: La presa della Bastiglia.
J. Godechot: La presa della Bastiglia
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d’opposizione -gli omosessuali- trovi le stesse agevolazioni in una galérie
vicina, ma al costo di un luigi l’ora”5 Effettivamente “l’anormalità” costava il
doppio della “normalità” e ambedue erano care considerando che il salario
operaio giornaliero oscillava tra i 20 ed i 40 soldi, ma la questione più
intrigante è che il duca d’Orleans aveva realizzato una specie di Versailles
antagonista alla Versailles di Luigi XV e Luigi XVI; lasciarlo fare fu uno dei
massimi errori commessi da Luigi XV e non rimediato da Luigi XVI.
Nei mesi di maggio e di giugno ai soliti frequentatori di Palais Royal si erano
aggiunti i disertori ed i soldati di truppa della Guardia francese insubordinati
che erano sempre più scontenti del servizio militare e che avevano instaurato
un rapporto fraterno con la gente. I soldati lamentavano una paga troppo
bassa e i rischi dei continui scontri con la gente troppo alti, lamentavano
l’introduzione di una disciplina troppo severa “alla prussiana” e che una
ordinanza del ministro aveva precluso qualsiasi possibilità delle carriera
ufficiale per i nati non nobili.
Le truppe erano demoralizzate dalle catastrofiche conseguenze della guerra
dei sette anni ed erano, nel contempo, esaltati dal ruolo popolare avuto dai
militari nella guerra di indipendenza americana: erano offesi ed esasperati
dalla pratica di vendita della carica di ufficiali a giovanotti facoltosi, tanto
arroganti quanto incapaci.
I problemi non erano certo ignoti anche perché più della metà dei nobili a
Versailles erano ufficiali dell’esercito, tra cui il conte di Mirabeau e il
marchese di Lafayette e il conte de Lameth, come notò il conte Miot de
Melito: “La defezione dell’esercito non fu una delle cause della Rivoluzione, fu
la Rivoluzione stessa”6
Al Palais Royal, d’intesa con il duca d’Orleans che ne era regolarmente
informato, venivano alloggiati e sfamati i soldati fuggitivi che, così protetti,
non finivano in prigione.
Molti temettero che il Re sull’abbrivio della liquidazione del Gabinetto
tendenzialmente riformista di Necker avrebbe sciolto con la forza militare
l’Assemblea di Versailles. Non era affatto un timore infondato: dal 22 giugno
Luigi XVI aveva emanato una serie di ordini di marcia indirizzati a organizzare
una concentrazione delle truppe intorno a Parigi ed a Versailles ed era nota
più di una voce che indicava proprio la metà di luglio come l’appuntamento
predisposto dal Re per sciogliere militarmente gli stati generali e imporre la
legge marziale alla città.
A Parigi i tumulti erano quotidiani, giornalieri e notturni: la notte precedente la
folla aveva assalito e dato alle fiamme alcune barriere daziarie, gli informatori
della polizia sostenevano che si trattava di bande organizzate dai
commercianti di vini che non intendevano pagare la gabella ma, comunque,
da parte delle Autorità non si voleva capire che i posti di blocco daziari
venivano considerati dalla gente come delle barriere che proprio in un
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6
Tuetey, Répertoire général. Citato da O. Blanc in Parigi libertina ai tempi di Luigi XVI
T.C.W. Blanning: Aristocrazia e borghesia nella rivoluzione francese
4
periodo di penuria ostacolavano la libera circolazione delle granaglie, della
legna e di tutte le altre merci e che ne aumentavano il prezzo.
Parigi era una città insicura, i saccheggi erano quotidiani e la notte regnavano
i ladri ed i tagliagola; vagabondi mendicanti ladri e prostitute popolavano
abitualmente certi quartieri; forse più di centomila erano gli indigenti che
affollavano le mense di misericordia dove, almeno, si distribuiva una magra
minestra; c’era una permanente penuria delle merci in generale e dei generi
alimentari in particolare e quel che si trovava aveva un prezzo insostenibile
per i più, così riportava la cronaca del “Journal” di Hardy: “numerosi fornai
sono sul punto di chiudere bottega, altri confezionano un terzo della quantità
di pane che fanno d’abitudine; per finire, i mercati generali sono sprovvisti di
farina e molta gente si rifornisce di riso”7
Gli storici hanno considerato la questione demografica ma, forse, la si è
sottovalutata nel senso che, nel corso dell’ultimo secolo, alla crescita della
popolazione non aveva corrisposto una corrispondente crescita della
produzione nazionale né, del resto, la stagnazione economica consentiva un
incremento della occupazione produttiva e remunerata; è presumibile che i
ceti abbienti che non avevano nessuna intenzione a rinunziare o contenere lo
sfarzo e lo spreco di cui andavano fieri, non guardavano con simpatia a quel
proliferare di bocche da sfamare.
Dal 1730 si era sviluppata una forte pressione demografica, dal 1730 al 1789
la popolazione si accrebbe dell’80% e il biennio 1787-89 era stato
particolarmente duro in termini di produzione agricola: erano stati anni di
siccità e dell’accentuarsi delle malattie del bestiame e ciò aveva portato i
prezzi dei generi alimentari a livelli di crescita insostenibile per il popolo; i
mesi estivi del 1789 furono i peggiori perché le esigue scorte dell’anno
precedente si erano esaurite o erano state accaparrate e la produzione
agricola dell’anno in corso non era ancora disponibile. Parigi era una città di
600.000 abitanti e secondo La Fayette almeno 30.000 erano i vagabondi ed i
disoccupati e 100.000 gli indigenti, a Parigi i cittadini erano molti di più dei
produttori, e la penuria e l’alto costo dei generi alimentari costringeva alla
fame, alla miseria ed al panico la maggior parte della popolazione.
In realtà Parigi non era una città industriale, non era città di grandi
manifatture operaie, era una città di piccoli laboratori artigiani
prevalentemente di articoli di lusso e di imprese edili; quando a causa di
cattivi raccolti e dell’incremento demografico, come nel biennio 78/79 a Parigi
confluì la disoccupazione rurale in cerca di una minima assistenza alimentare
la situazione divenne esplosiva.
Il salario operaio ammontava a 20 soldi, per gli specializzati a 40 soldi, e la
pagnotta di pane a 14 soldi, e anche a 20: tra il 1730 e il 1789 i salari erano
aumentati del 22 % ed i prezzi delle merci, in media, di almeno il 62 %;
7
A. Castelot: cronaca della Rivoluzione francese
5
insomma, il lavoratore era diventato povero e con il suo lavoro di una giornata
poteva comprare solo una o due pagnotte di pane.
La colpa di tutto ciò veniva addossata agli appaltatori ed ai mercanti che
agivano da accaparratori e speculatori a danno dei lavoratori e della povera
gente; l’accusa non era totalmente infondata in quanto nel 1787 il governo
aveva autorizzato il libero commercio dei grani e, quindi, era verosimile che,
essendo la domanda costante, tutti coloro che partecipavano al ciclo del
commercio granario, intermediari, commercianti molini e fornai fossero
interessati al massimo profitto agendo sulla offerta.
La situazione era diventata insopportabile ma era ancor più pesante il timore
che potesse peggiorare e, in realtà, si temeva che peggiorasse a causa
dell’egoismo speculativo e delle trame politiche della Corte: non solo il futuro
era assolutamente incerto ma anche il presente era diventato insostenibile.
Che le sperequazioni fossero eccessive, oltre che ingiustificate e ingiuste, era
convinzione comune: “…le nostre principali città si accrescono e si
abbelliscono ogni giorno. I mobili, i cavalli e le carrozze, gli ornamenti, i
gioielli, si diffondono e acquistano magnificenza. I salariati di ogni specie
sono sempre più numerosi …
…tutte quelle che fanno brillare le nostre città sono dunque in effetti spese di
lusso”8
Il pane scarseggiava ma abbondantissimi erano gli opuscoli politici e di
denuncia sociale, se ne trovavano in grande quantità ed il Palais Royal era il
luogo ove oratori improvvisati tenevano comizi volanti e si vendevano le
ultime pubblicazioni opuscoli: insomma, nonostante la sorveglianza degli
informatori ed i sequestri della polizia le tipografie lavoravano senza sosta e
la città veniva informata di continuo delle notizie politiche che arrivavano da
Versailles e delle critiche rivolte alla Corte ed al Re.
Dal Palais Royal si formò un corteo che giunse al museo delle cere in
boulevard du Temple e s’impossesso dei busti del Duca d’Orleans e di
Necker. I due busti furono coperti da un drappo nero in segno di lutto e portati
in corteo per i boulevards alle grida di: “Viva il duca d’Orleans, viva Necker e
viva Luigi XVII”.
Per quanto strano possa apparire il grido “viva Luigi XVII”, forse una sorta di
speranza e di auspicio, ancora più strano è che proprio chi sarebbe dovuto
essere Luigi XVII verrà imprigionato insieme al padre Luigi XVI proprio al
Tempio.
Con il passaggio del corteo dei manifestanti armati di asce, spade e qualche
moschetto i teatri furono obbligati a chiudere in segno di lutto, a place
Vêndome il corteo venne caricato da un distaccamento di dragoni che fece a
pezzi i due busti ma la gente non si perse d’animo e resisté non
disperdendosi e dovette intervenire il principe di Lambesc con la cavalleria
del Royal-Allemand in soccorso dei dragoni ormai circondati dalla folla dei
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Autori vari: La polemica sul lusso nel settecento francese
6
manifestanti; lo stesso Royal-Allemand provò a sgomberare le Tuileries
invase dalla folla ma dovette rinunciare e dopo lo scontro in piazza Luigi XV
si ritirò negli acquartieramenti di Campo di Marte.
La “folla rivoluzionaria” non è un semplice aggregato di persone più o meno
della stessa idea e con i medesimi obiettivi, la folla rivoluzionaria non è
neanche una massa di persone organizzata da una avanguardia di militanti;
la folla rivoluzionaria è tale quando costituisce un unico “insieme” omogeneo
nei sentimenti: l’inquietudine, il senso dell’insicurezza, il sospetto nei confronti
degli avversari infidi e malevoli tutto ciò nella folla rivoluzionaria è diventato
un sentire comune che crea una audacia ed una aggressività di cui ognuno,
considerato singolarmente, sembrava incapace.
La “folla rivoluzionaria” è stata autorevolmente considerata dallo storico G.
Lefebvre in “Folle rivoluzionarie”: “Il concetto specifico di folla è stato
introdotto nella storia della rivoluzione francese da Lebon. Questo concetto
implicava l’esistenza di problemi di cui, prima di lui, non ci si era occupati
granché.
…è che egli ritiene l’uomo guidato, in generale,da ciò che chiama “contagio
mentale”
…La domenica del 12 luglio, il popolo di Parigi era parzialmente riunito nei
dintorni del Palais Royal per passeggiate e godere del bel tempo, quando la
notizia del licenziamento di Necker ha all’improvviso mutato il loro stato
d’animo, creato uno “stato di folla” e preparato il cambiamento brusco
dell’aggregato in assembramento rivoluzionario
…quando ci si trova in presenza di un “assembramento”, non si può
considerarlo come una semplice riunione di uomini le cui idee o passioni si
siano destate, in assoluta autonomia, nella coscienza di ciascuno di loro; se
essi si riuniscono per agire c’è stato fra loro, preventivamente, un’azione
intermentale che ha dato luogo ad una mentalità collettiva”.
E, in realtà, nel corso del biennio 1787-89 si erano continuamente susseguite
le assemblee popolari che potevano covare l’assembramento rivoluzionario:
“…dopo la riunione degli stati generali si erano tenute delle assemblee
elettorali di parrocchia per l’elezione dei delegati e la stesura dei cahiers de
doléances. Si tratta anche di raggruppamenti spontanei che si formano nelle
città per attendere il corriere e per ascoltare la lettura ad alta voce delle
lettere inviate dai deputati o da alcuni corrispondenti benevoli.
… Ci si avvicina ancora di più all’assembramento rivoluzionario con le
assemblee convocate in molte città alla fine di giugno e nel luglio 1789 per
redigere e firmare petizioni al Re e all’Assemblea nazionale
… Poiché nei membri di un aggregato gli elementi di mentalità collettiva
antecedente sono semplicemente repressi nel fondo della coscienza. È
sufficiente che un avvenimento esterno li richiami in primo piano perché,
bruscamente, questi uomini ritrovino il senso più vivo della loro solidarietà. Il
risveglio improvviso della coscienza di gruppo, provocato da una emozione
7
violenta, dà al gruppo un carattere nuovo che forse si potrebbe chiamare:
stato di folla.
…Si è considerato il linciaggio come il fenomeno tipico della folla.
Questi eccessi non sono attribuibili alla follia collettiva di una folla criminale…
In simile circostanza l’assembramento rivoluzionario non è inconsapevole e
non si considera illecito: al contrario, esso è convinto di punire giustamente e
a ragion veduta” 9
A piazza Luigi XV si consumò il primo scontro della Rivoluzione, quella
stessa piazza diventerà “della Rivoluzione” e sempre lì sarà ghigliottinato
Luigi XVI, cambierà ancora nome e diventerà piazza “de la concorde”.
Con la ritirata della cavalleria l’intera città era ormai lasciata senza alcuna
protezione militare, ancorché discutibile e non amata dalla gente; era diffuso
il timore di un imminente saccheggio della città da parte delle truppe del Re
accampate immediatamente fuori dalle porte della città: si ritiene che
accampate alle porte di Parigi ci fossero 6 reggimenti per complessivi 30.000
uomini; in città erano di stanza solo 800 soldati agli ordini di un luogotenente
di polizia, non erano considerati affidabili dalla Corte e la gente era convinta
che il loro ruolo era più spionistico che di difesa dai briganti.10
La notte gran parte dei manifestanti rimase all’erta, si disselciarono strade e
si organizzarono altre spedizioni contro le barriere daziarie che vennero
assaltate, invase e date alle fiamme: su 54 posti doganali ne vennero distrutti
40 e lo storico G. Rudé da acuto osservatore storico fa notare che tra le
poche postazioni scampate due di queste appartenevano al duca d’Orleans,
tanto osannato dalla folla.
Dal 1785 la città di Parigi era cinta da un muro alto tre metri e con 154 varchi
controllati per impedire che in città potessero entrare delle merci senza il
pagamento della gabella. Forse era stato solo una coincidenza ma dalla
costruzione del muro di cinta e la generalizzazione delle gabelle i prezzi delle
merci erano di molto aumentati.
I parigini odiavano le mura che non li difendeva da inesistenti aggressioni
esterne e che li costringeva al chiuso della città ed al pagamento
generalizzato delle gabelle.
Così registra con un linguaggio puntiglioso e burocratico nel suo rapporto il
prevosto del villaggio di Bellerville: “Verso le ore 8, il 13 luglio, è arrivata una
quantità di gente mal vestita, che ha acceso un fuoco di fronte e presso la
sopradetta cinta della Courtille e ha rotto e strappato le assi delle porte della
suddetta barriera e delle due confinanti, ha gettato le suddette assi nel
suddetto fuoco, ha forzato le porte della casa vicina alla suddetta cinta, che
serve di cortile ai dipendenti delle fattorie; poi una volta salita negli
appartamenti della casa, ha gettato nel fuoco le assi sopraddette insieme con
tutti i materassi, testiere di letto, registri, documenti . . .”11
9
G. Lefebvre: Folle rivoluzionarie
11
A. Castelot: cronaca della Rivoluzione francese
8
La Rivoluzione, in ogni sua fase, abbonda di trame oscure, o supposte tali,
originate da interessi dinastici o ordite da banchieri e finanzieri: J Godechot
ipotizza che i tumulti furono favoriti da banchieri con pochi scrupoli e timorosi
che con la caduta di Necker “gli affari avrebbero avuto un andamento
catastrofico” e, quindi, era necessaria una rivolta popolare per convincere la
Corte ad un ripensamento; anche lo storico A. Mathiez ha considerato
l’ipotesi non escludendola ed ha rilevato che il giorno 13 la Borsa restò
chiusa, forse per favorire la partecipazione alle dimostrazioni popolari da
parte dei suoi impiegati, o forse perché nessuno rischiò di aprire gli uffici.
Non sembra siano state accertate prove concludenti e conclusive: l’interesse
dei banchieri e dei finanzieri sarebbe potuto essere nel sostenere il progetto
riformatore e stabilizzatore di Necker che sembrava essere l’ultima difesa del
Regime dalla bancarotta ma sarebbe potuto essere anche quello opposto di
lucrare sull’instabilità e sulla bancarotta del Regime.12
Se qualcuno tramò, chiunque fosse, le cose non andarono come era nelle
sue speranze: né il duca d’Orleans né i finanzieri e banchieri ebbero fortuna.
La stessa notte tra il 12 e il 13 luglio con l’ausilio della Guardia francese che
faceva riferimento al duca d’Orleans si organizzarono perquisizioni di
conventi tra cui il monastero della confraternita di Saint-Lazare, dove vennero
scovati e sequestrati ben 52 carri di grano e farina nonché vini e olio e
formaggi e burro tutta roba che si trasportò ai mercati popolari, e aggressioni
e furti nelle botteghe dei fabbricanti di fucili e degli armaioli.
La mattina del 13 luglio i 407 elettori della città di Parigi costituirono un
Comitato permanente al fine di ricondurre nell’ambito della legalità e di porre
sotto controllo la situazione, a presidente del Comitato permanente venne
nominato il prevosto dei commercianti: Flesselles, fu istituita la “Milizia
borghese” con il doppio compito di difendere la città dalle truppe regie
accampate alle sue porte ed al Campo di Marte e di difendere i parigini dai
briganti, ossia dall’enorme massa di sbandati, di mendicanti e di violenti
confluita in città: il miliziano era contrassegnato da una coccarda rosso e blu,
i colori del gonfalone cittadino.
Solo successivamente, il 17 luglio, al rosso e blu verrà aggiunto il bianco che
ricordava e simboleggiava il bianco del giglio di Francia: eppure il giglio di
Francia apparteneva indubitabilmente alla simbologia monarchica, alla tanto
odiata monarchia.
Ogni cittadino era arruolabile come miliziano alla condizione che fosse un
“cittadino noto”, non è chiaro cosa si intendesse, forse che fosse un
contribuente, e non un mendicante o un vagabondo, e che fosse noto come
un cittadino probo e dedito alla libertà. Venne, altresì, deciso di convocare
assemblee nei sessanta distretti elettorali e si ordinò che ciascun distretto
avrebbe fornito 200 armati, che diverranno 800 per complessivi 48.000
uomini, alla Milizia posta al comando dal marchese de la Salle.
12
M. Winock: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione
9
La mattina del 13 luglio a Parigi ferve la ricerca delle armi, la gente si rivolge
al prevosto Flesselles quale presidente del Comitato permanente ma
l’impressione fu che venisse sviata e, forse, sabotata: Flesselles disponeva
all’Hotel de Ville di 360 fucili ma sembrava restio a privarsene e consegnò
alla folla alcune casse provenienti da una fabbrica d’armi e con la scritta
artiglieria, le casse però erano solo piene di stracci, allora Flesselles indicò il
convento dei Certosini ma la gente che andò a perquisirlo non trovò niente e
ritornata all’Hotel de Ville pretese da Flesselles una richiesta al Governatore
di des Invalides di consegnare le armi che certamente custodiva, ma il
Governatore prese tempo inoltrando la richiesta a Versailles.
Anche a Versailles il 13 luglio fu una giornata di riunioni e di discussioni, gli
eletti della nazione non sono d’accordo con la brutale destituzione di
Necker,considerano che il disegno della Corte è quello di impedire la
costituzione e decidono che: “I Deputati di tutti gli ordini resteranno uniti in
permanenza per difendere la libertà. Con le difficoltà, l’energia ed il
patriottismo cresceranno e la Costituzione sarà varata.”13 Il deputato Guillotin
fece la spola tra Versailles e Parigi e una delegazione, guidata dal Presidente
dell’Assemblea, viene inviata al Re con la richiesta che decida il ritiro delle
truppe stanziate alle porte di Parigi e che siano richiamati i ministri destituiti;
la risposta del Re è negativa.
L’Assemblea decise di confermare la seduta permanente e di eleggere a
maggioranza dei suffragi il marchese di La fayette nella carica di vicepresidente.
La notte tra il 13 e il 14 luglio alcune ronde della Milizia appena costituita ma
ancora male armate pattugliano la città per ripulirla della turba di disperati e di
banditi da strada. La notte le paure si rincorrono e prendono voce: si paventa
un intervento repressivo della Corte e dell’esercito e del distaccamento del
Royal-Allemande acquartierato a Campo di Marte, la città pullula di sbandati
e di vagabondi ed il Comitato permanente resta convocato e vigile all’Hotel
de Ville: convoca la Guardia francese e ordina che siano controllati tutti i
varchi della città.
Poco dopo l’alba del 14 luglio migliaia di uomini e donne, tutti con indosso la
coccarda rosso e blu si affollano fuori le porte di des Invalides: pretendono a
gran voce che vengano consegnate le armi né restano soddisfatti a sentire
dal Governatore Sombreuil che Versailles non aveva ancora concesso
l’autorizzazione. I dimostranti superarono il fossato e invasero Les Invalides
senza incontrare particolare resistenza da parte dei soldati invalidi che
presidiavano l’ospedale militare, nel corso dell’incursione la folla si
impossessò di 32.000 moschetti e di 12 cannoni che nel corso della notte il
comandante in capo delle truppe di stanza a Parigi il Barone de Besenval,
subentrato al maresciallo de Broglie nominato ministro della guerra subito
dopo l’estromissione di Necker, aveva dato l’ordine che venissero messi fuori
13
M. Winock: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione
10
uso svitandone l’asta e il cane; in realtà l’ordine di Besenval era stato
eseguito senza particolare solerzia e la gran parte delle armi era ancora
pronta all’uso. L’assalto al des Invalides non era stato respinto né i comandati
dei diversi corpi militari riuniti dal Barone de Besenval furono propensi a
mobilitare le truppe dislocate a Campo di Marte che così rimasero accampate
e inattive.
Forse un deciso intervento militare avrebbe prevalso su una folla tumultuante
ma praticamente disarmata, non fu così e l’assalto ebbe successo, però le
munizioni non erano ancora disponibili e la gente era convinta che le scorte di
polvere da sparo fossero custodite alla Bastiglia.
Le osservazioni di Rivarol non sono a merito del valore e della lungimiranza
del generale svizzero Barone de Besenval: “M. de Besenval, generale degli
svizzeri, si nascondeva per non dare ordini alle sue truppe e lasciava così
prendere les Invalides, per paura che, se si fosse allargata la rivolta, non
venisse saccheggiata anche la sua casa che era vicina e dove aveva fatto
dipingere da poco un intero appartamento e costruire dei meravigliosi bagni.
Eco gli uomini dei quali il re si era servito.”14
Antoine Rivarol fu un grande giornalista monarchico e frequentatore di salotti,
fu redattore principale del Journal politique national, noto per le sue fulminanti
battute: “Mirabeau: è capace di tutto, compresa una buona azione”, di lui si
diceva: “Nel palazzo della canaglia Rivarol cucina e Champcenetz fa le
pulizie”, aveva fama di amare i ragazzi che incontrava di sera, ci dice Imbert
de Boudeau, che lo trovava in tali situazioni nel viale d’Argenson, al Palais
Royal. Pure di Besenval si diceva essere un omosessuale nonché un notorio
un protetto di Necker che a lui rispondava.
L’accusa mossa da Rivarol a Besenval era meschina, certo non doveva
esserci simpatia tra i due, che pur si dichiaravano essere dalla stessa parte,
ma la meschinità e l’opportunismo spigano le azioni umane più spesso
dell’idealità e dell’eroismo.
Forse è bizzarro ma cose piccole e alle volte insignificanti preparano e
covano grandi eventi, i grandi eventi non sono preceduti dalle grandi cose né
da chiari segni premonitori, così vanno le cose della vita: una piccola cosa
può predisporne una grande e nessuno potrebbe dire qual’è la più
determinante nelle vicende che succederanno; nessuno può dirlo, solo il
profeta e non sarà creduto.
La folla prima ancora del Comitato cittadino decise che per reperire le
munizioni necessarie alla Milizia borghese per la difesa della città bisognava
andare a prenderle dove erano custodite: alla Bastiglia. La folla che si diresse
verso la Bastiglia era tumultuante e mal equipaggiata, era armata di picche,
di bastoni con in cima legato un coltellaccio o una baionetta ma era la stessa
folla che aveva assalito ed invaso con pieno successo i des Invalides; nota
Quinet che “L’idea di conquistare una simile fortezza con sciabole, picche,
14
A. Castelot. Cronaca della Rivoluzione francese
11
fucili, era ancora più straordinaria della conquista stessa”. La fortezza era
imponente: era un edificio rettangolare composto da otto torri rotonde unite
da muraglie alte 30 metri.
La Bastiglia non era l’unica prigione di Parigi: c’era il penitenziario di Bicêtre,
di La Force, di Charenton o di Saint-lazare e prigioni quali la Conciergerie,
Tournel, il Gran e il Petit Châtelet, il Fort l’Evêque ma la Bastiglia era il
simbolo di tutto ciò che nell’ancien Régime c’era di arcaico, di sorpassato e di
dispotico e, forse era la cosa che interessava più del simbolismo, erano
depositate le scorte di polvere da sparo con cui difendersi dal pericolo dei
briganti e delle truppe accampate immediatamente fuori Parigi: pericoli vissuti
ossessivamente come reali e concreti.
L’assedio alla Bastiglia forse nacque come un saccheggio, come racconta
Saint-Just il popolo gridava: “viva il Re! Viva il duca d’Orleans” ed erano grida
contraddittorie in quanto i due, il Re ed il duca, esprimevano notoriamente
posizioni diverse e contrastanti.
Gli assalitori della Bastiglia erano gli stessi che costituivano la folla
rivoluzionaria che aveva già assalito il convento di Saint-Lazare e Les
Invalides, erano gli stessi che manifestavano per le strade di Parigi: gli operai
erano in maggioranza, quindi i soldati e gli ex soldati e molti giovani senza
lavoro o anche senza fissa dimora. Sono gli stessi uomini e donne che negli
anni successivi parteciperanno al procedere della rivoluzione e, molti di loro,
moriranno sui campi di battaglia di tutta Europa.
L’assedio alla Bastiglia non fu solo un tentativo di saccheggio e di liberazione
dei prigionieri che si credeva giacessero nelle prigioni: la fortezza della
Bastiglia sbarrava l’ingresso del popolare fauborg Saint-Antoine verso cui
erano puntati i cannoni, la conquista della Bastiglia significava la liberazione
del quartiere Sait-Antoine e l’eliminazione di una base militare regia nel cuore
stesso di Parigi. La stessa notte del 13 luglio si erano accavallate le voci più
disparate e minacciose, era corsa voce che 30.000 soldati regi avevano
occupato con le armi il faubourg Saint-Antoine e che era in atto un massacro
della popolazione.
La guarnigione della Bastiglia era costituita da due guarnigioni per ottantadue
soldati ormai invalidi e da un distaccamento di trentadue, o forse cinquanta,
soldati svizzeri arrivati di supporto da pochi giorni a seguito delle insistenti
richieste del Governatore il marchese de Launay; erano già diversi anni che
le celle “segrete” di cui si erano dette cose tremende non erano più in uso e
per l’intera fortezza era già stato pensato un progetto di demolizione e la
costruzione speculativa di edifici d’abitazione, in realtà era utilizzata come
deposito di armi e di munizioni e proprio queste erano nelle mire degli insorti
per difendersi dai banditi e dalle truppe regie accampate subito fuori le porte
di Parigi.
La “Garde invalide” era costituita da soldati riformati a causa di gravi ferite o
mutilazioni dovute ad eventi bellici, era di stanza all’Hotel des Invaliodes e
alla Bastiglia ma era generalmente adibita alla sorveglianza di parchi e
12
giardini e alla repressione della prostituzione: la Garde invalide non era in
condizione di difendere né les Invalides né la Bastiglia, non era in condizione
di difendere neanche sé stessa.
Il Governatore della Bastiglia marchese de Lunay non era considerato il
miglior Governatore possibile ed era soggetto di critiche e contestazioni della
sua venalità, come era stato affermato da un ospite della Pastiglia il
marchese Donatine-Alphonse-François de Sade in una lettera denuncia del
1787: “Monsieur de Sade fa presente ai signori ufficiali dello Stato Maggiore
che il signor Governatore gli fornisce vino a tal punto adulterato da turbare
quotidianamente la sua salute; mentre non è certamente intenzione del Re di
permettere al Governatore che sia rovinata la salute di coloro che gli sono
affidati in custodia e del cui nutrimento deve preoccuparsi; tanto più che tale
mancanza serve unicamente a riempire la borsa del signor de Launay, o dei
suoi servitori. …”15. Il 2 luglio il marchese invocherà aiuto dalla finestrina della
sua cella gridando che si stavano sgozzando alcuni prigionieri, era vero o
solo un incubo del Marchese? La fortezza si liberava degli ospiti indesiderati
o era un’altra paura ossessiva a cui il marchese dava voce?
De Sade si trovava imprigionato nel carcere della Bastiglia proveniente da
Vincennes, non poté essere liberato dai rivoltosi in quanto il 4 luglio del 1789
verrà trasferito al manicomio di Charenton, da cui ne uscirà il 2 aprile 1790,
aveva passato nove mesi a Charenton, dopo i cinque anni e mezzo alla
Bastiglia ed i precedenti cinque anni e mezzo a Vincennes.
Il Comitato permanente decise che bisognava parlamentare con il
Governatore della Bastiglia al fine di ottenere munizioni per i moschetti e
polvere da sparo nonché lo spostamento dei cannoni che armavano i bastioni
della fortezza ed erano puntati verso i caseggiati del fauborg Saint-Antoine;
non venne affatto avanzata la richiesta di resa della Bastiglia.
La prima delegazione in rappresentanza del Comitato permanente giunse alla
Bastiglia intorno alle 10 della mattina del 14 luglio, venne ricevuta
amichevolmente e invitata a colazione, la colazione si protrasse a lungo e
una folla minacciosa si era adunata fuori del ponte levatoio. Il Governatore in
segno della sua buona volontà ordinò che si arretrassero i cannoni posti sui
bastioni ma la sfiducia della folla aveva preso il sopravvento, si credé e si
gridò che fossero stati fatti arretrare per ricaricarli. Il protrarsi dell’incontro
fece temere che la delegazione fosse stata arrestata, la folla assiepata iniziò
a rumoreggiare e senza consultare il Comitato permanente riunito all’Hotel de
Ville il distretto di Saint-Louis de la Culture immediatamente vicino alla
fortezza e quindi più esposto all’eventuale e temuto cannoneggiamento
decise di inviare una seconda delegazione con il mandato della richiesta di
resa. Il Governatore rifiutò la resa ma assicurò la seconda delegazione ,
guidata dall’avvocato Thuriot de la Roziére, che avrebbe ordinato di non
sparare contro la folla; questa volta il capo delegazione ritornò subito a riferire
15
Sade: lettere da Vincennes e dallaBastiglia. Acura di Lugi Bàccolo
13
l’esito del confronto alla folla assiepata nel più esterno dei due cortili esterni
che conducevano al secondo ponte levatoio che de Launay aveva lasciato
alzato, ma indifeso.
La folla, verosimilmente, affamata, stanca e accaldata non accolse bene un
ulteriore compromesso dilatorio che celava il diniego di consegnare le
munizioni e la polvere da sparo da assegnare alla Milizia: al di là delle frasi di
circostanza il diniego del Governatore significava che la città e il popolo di
Parigi sarebbe rimasto indifeso.
Venne informato anche il Comitato permanente che decise di inviare una
ulteriore delegazione presieduta sia da Thuriot che da Ethis de Corny che
aveva già guidato la delegazione a des Invalides, alla folla apparve una
ulteriore, inutile e anche pericolosa, dilazione e due manifestanti si
arrampicarono sul muro che recintava il cortile esterno e abbassarono il
ponte levatoio lasciato incustodito; i soldati di guardia sulle torri facevano
strani gesti che parvero essere gesti di amicizia e di richiamo;la folla credé di
capire che erano inviti ad avanzare, e alcuni manifestanti sospinti dalla calca
avanzarono e scavalcato un locale adibito a profumeria prese ad abbassare
il primo ponte levatoio che cadendo schiacciò un uomo che era rimasto
troppo vicino al fossato: i manifestanti superarono il ponte e si accalcarono
nel cortile interno, la situazione era diventata pericolosa e i soldati presero a
sparare sulla folla: la gente si ritirò e si mise, per come poté, al riparo ma
furono contati 98 morti e 76 feriti. Non è accertato se i soldati spararono a
seguito di un ordine del Governatore o se, invece, furono presi dal panico e
spararono senza aver ricevuto alcun ordine, né forse sarebbe neanche stato
necessario alcun ordine in quanto gli assedianti erano ormai pericolosamente
prossimi a sfondare e superare le ultime difese.
All’hotel de Ville la preoccupazione era crescente e si decise di inviare al
Governatore de Launay una ulteriore delegazione con una ordinanza di
consegnare le munizioni e lasciare il comando alla Milizia cittadina che così
avrebbe preso possesso della fortezza in nome della città di Parigi. In realtà
era una ulteriore mediazione rivolta ad affermare l’autorità del Comitato
cittadino sia nei confronti del Governatore che del popolo degli assalitori.
Comunque la delegazione nonostante che sventolasse fazzoletti bianchi per
farsi riconoscere e ricevere fu strattonata dalla folla e respinta da de Launay
e non riuscì a comunicare alcunché; nel frattempo i morti ed i feriti venivano
trasportati all’Hotel de Ville e nella confusione divampano critiche e
recriminazioni: il presidente del Comitato Flesselles venne accusato di non
aver saputo procurasi né voluto distribuire le armi lasciando così il popolo
senza difese, il Comitato non seppe decidere di meglio che inviare una quarta
e ultima delegazione preceduta da un tamburino e da una bandiera, la
delegazione fu accolta da parte degli assediati che non si fidavano affatto da
una scarica di fucileria e dovette ripiegare.
La folla si mise al riparo e la rabbia si accrebbe in quanto la gente credeva
che era stata invitata ad avanzare allo scoperto solo per massacrarla; la
14
situazione era ancora aperta, la Bastiglia era assediata ma non aveva ceduto
ed il protrarsi dello stallo accentuava il rischio che l’intervento di eventuali
truppe regie di soccorso avrebbero gli assalitori contro le mura della fortezza,
un certo Hulin, già sergente delle guardie e all’epoca direttore di una
lavanderia e futuro generale, convinse un distaccamento della Guardia
francese forte di quattro cannoni che occorreva partecipare allo scontro
cinque cannoni posseduti dagli insorti, si portarono a circa trenta metri dal
ponte levatoio ancora alzato, i cannoni vennero messi in postazione e armati.
Il rapporto di forze non era stato invertito ma per gli assedianti non era più
così decisamente sfavorevole.
Il governatore si era rifiutato di consegnare la Bastiglia alle Milizie borghesi
ma lasciò che la folla di dimostranti sfasciasse a colpi d’ascia un ponte
levatoio ed alla fucileria dei dimostranti si era risposto con una cannonata che
aveva disperso i dimostranti lasciandone sul campo un centinaio tra morti e
feriti; insomma, si era dimostrato di non stare dalla parte dei manifestanti ma
non si seppe difendere la fortezza
De Launay è sfiduciato e si rivolge alla guarnigione per chiedere la loro
opinione: l’alternativa era continuare la difesa sparando ancora sulla folla e
fino a far esplodere la fortezza o di arrendersi chiedendo la capitolazione. La
guarnigione della fortezza era di soldati invalidi, in realtà non erano eroi e non
pensavano che valesse la pena una ulteriore strage degli assedianti e il
sacrificio della vita, perché? Per i servizi già resi senza riceverne alcuna
gratitudine? Per una Corte e un Re al sicuro tra i lussi di Versailles? Per i
soccorsi che non erano arrivati? Sarebbe bastato l’intervento di solo uno dei
sei reggimenti accampati alle porte della città per capovolgere lo scontro.
Nessuno aveva voluto rischiare, perché avrebbe dovuto sacrificarsi proprio la
raccogliticcia guarnigione della Bastiglia?
Forse i difensori, per quanto pochi, erano in condizioni di difendere ancora la
Bastiglia e la resa non era inevitabile ma nessuno sembrò crederlo, anche il
Governatore de Launay non ne era più convinto di poter difendere la fortezza
e minacciò di far esplodere i depositi di polvere da sparo e di munizioni, ma
nessuno dei suoi uomini lo seguì in una fine così disperata.
La truppa scelse la capitolazione ed il Governatore non seppe né volle
contrastarla, forse anche per il Governatore era più facile che non fosse lui a
decidere.
Fu ragionevolezza? Fu viltà? Forse né l’una né l’altra o l’una e l’altra insieme;
resta il fatto che nessuno tra gli assedianti patì l’affanno di questo dilemma e
proprio in ciò è la indiscussa forza del vincitore.
Sembra accertato che non uno dei 15 cannoni posti in cima alle torri aveva
sparato. I difensori avevano sparato una o due raffiche con un cannone
caricato a mitraglia e solo quando la folla aveva invaso il cortile, né esisteva
alcuna breccia nelle mura in quanto il ponte levatoio era stato abbassato
dall’interno.
15
Così raccontò M. Pasquier che si era avvicinato alla fortezza per osservare
gli eventi: “La resistenza fu assolutamente inesistente, fu sparato solo
qualche colpo di fucile. … Quello che ho visto perfettamente, è l’azione dei
soldati che, dall’alto delle torri, alzando in aria i calci dei loro fucili,
manifestavano in ogni maniera possibile, con i gesti di rito in queste
circostanze, la loro volontà di arrendersi”.16
De Launay scrisse la richiesta di capitolazione su un foglietto che qualcuno
sventolò in una fessura del ponte levatoio ancora alzato, per prenderlo gli
assedianti sporsero una lunga tavola che superava il fossato e su di essa si
inerpicò uno dei dimostranti, un calzolaio, ma perse l’equilibrio e cadde nel
fossato, ne seguì un altro che preso il biglietto tornò indietro e lo consegnò a
Hulin che lo lesse alla gente assiepata.
La gente non era contente di concedere la capitolazione né nessuna cosa
che potesse apparire un qualche riconoscimento di alcunché: in quel mentre
il ponte levatoio venne abbassato, certamente dall’interno e forse non per
ordine del Governatore che era ancora in attesa di una risposta di
accettazione: così una folla tumultuante attraversò il ponte levatoio e la
Bastiglia venne occupata dai dimostranti.
Il Governatore a cui era stato promesso un salvacondotto per raggiungere gli
elettori all’Hotel de Ville si consegnò a Pierre-Augustin Hulin che però non
riuscì a sottrarlo al furore della folla, lungo la strada e tra due ali di una turba
inferocita venne linciato e poi, già in fin di vita, affidato ad un cuoco di nome
Dénot che gli tagliò la testa con abilità professionale con un coltellaccio da
macellaio. La testa del povero Governatore che non volle arrendersi né
seppe difendere la Bastiglia fu issata su una picca e sarà portata in giro per le
strade di Parigi.
Frugando nelle tasche del Governatore de Launay si trovò una lettera del
prevosto dei mercanti, Flesselles e un’altra del capo di stato maggiore de
Lorme; Flesselles venne ucciso con un colpo di pistola, anche a costoro
venne staccata la testa dal collo e issate sulle picche furono portate al PalaisRoyal e poi in giro per le strade della città.
Così meditò Saint-Just: “L’impeto e la sciocca esultanza avevano reso il
popolo inumano; l’attentato lo rese fiero, la fierezza geloso della sua gloria”
Per i cultori della materia questi episodi potrebbero prefigurare quel che
sarebbe stato della Rivoluzione: la testa di de Launay che non seppe
difendere un luogo simbolo del Regime, la testa di Flesseles il prevosto dei
mercanti e dei commercianti che da lì a poco sarebbero stati imputati di fare i
loro egoistici affari inflazionisti a scapito del popolo e la testa di de Lorme
capo di stato maggiore di un militarismo sbandato quanto incapace di
difendere la nazione.
Federico Rampini riporta opportunamente le considerazioni di Frédéric Buche
( Les Revolutions francaises – Fayard 1989): “Ciò che in ultima analisi decide
16
A. Castelot: cronaca della Rivoluzione francese
16
la sorte del movimento è il comportamento delle forze di repressione. Se
queste forze superano una certa soglia di disorganizzazione, se tra di esse si
diffonde il dubbio sulla legittimità della repressione, allora l’insurrezione non
può che vincere. …I Regimi vengono travolti dall’incapacità di difendersi più
che dall’intensità dell’attacco.”
O, forse, quel che decise l’esito dell’assedio fu la mancata pioggia: il giorno
fece molto caldo ma la sera piovve a dirotto e così prosegui nella notte; la
spianata della Bastiglia non era un luogo idoneo per ripararsi da una violenta
pioggia e, forse, qualche ora in più avrebbe convinto le truppe ad intervenire
o il Comitato dell’Hotel de Ville a cercare e concludere una qualche
mediazione politica, ma il tempo scorse via veloce e non piovve.
Nella presa della Bastiglia le due legittimità si incontrano e si alimentano
l’una con l’altra: della crisi della legittimità del potere era consapevole la folla
di manifestanti che s’impossesso delle armi custodite all’hotel des Invalides e
assalì la fortezza, la crisi della legittimità ad esercitare la repressione divenne
chiara e manifesta con il procedere dell’assedio; il sistema di potere della
monarchia si frantumò e si sbriciolò in quanto delegittimato, e quindi
incapace, di esercitare il potere di offesa e quello di difesa. Così la presa
della Bastiglia un episodio in sé non dirompente e, forse, rimediabile segnò
l’irreversibile avvio della Rivoluzione.
La stesa notte tra il 14 ed il 15 luglio, la Bastiglia era capitolata intorno alle h.
18, la Milizia si recò sulla via verso Versailles a distruggere i ponti di Sèvres e
Saint-Cloud al fine di scoraggiare o di rallentare una eventuale e temuta
marcia di aggressione delle truppe reali contro la città di Parigi.
Quel che destò stupore è la ferocia, la ferocia del popolo che sembrò
esplodere di per sé e al di là degli intenti degli elettori e del Comitato
permanente, una ferocia imprevista dagli stessi assediati, la sfrenatezza dello
scoppio di ferocia e dell’enfasi di gioia del popolo vincitore; così ebbe a
ricordare Saint-Just, giovanissimo testimone: “La debolezza generò la
crudeltà; io non credo che si sia mai visto, fuorché presso gli schiavi, il popolo
portare in trofeo la testa dei più odiosi personaggi in cima ale lance, bere il
loro sangue, strappare loro il cuore e mangiarlo. …Io l’ho veduto in Parigi.
Ho sentito le grida di gioia del popolo sfrenato che si divertiva con i brandelli
di carne gridando: viva la libertà!”17
In realtà Saint-Just si stupisce della barbarie di quel 14 luglio e per quanto
non sembra condividerla rimprovera non chi la commise ma la riconduce alla
responsabilità del Regime monarchico dominante di averla covata e
alimentata; insomma, ancora e sempre la colpa, se c’era colpa, era della
monarchia.
Della medesima idea è Babeuf che fu testimone di quegli avvenimenti e così
scrisse alla moglie: “I supplizi di ogni sorta, lo squartamento, la tortura, la
ruota, i roghi, la frusta, le forche, i boia che dovunque si moltiplicavano ci
17
Citato in: La Rivoluzione di E. Quinet
17
hanno appreso dei costumi così cattivi! I padroni invece di educarci, ci hanno
reso barbari perché lo sono essi stessi. Essi raccolgono e raccoglieranno
quello che hanno seminato, poiché tutto ciò, mia povera moglie, avrà un
terribile seguito: non siamo che agli inizi.”18
Sgozzare un gabelliere, estrargli le budella dal ventre e farsene una collana
era una esibizione feticistica era un atto di ferocia che eccitava la frenesia
degli altri, il nemico veniva sbrindellato e le sue parti venivano portate in
trionfo come monito ed esempio per chi attentava alla sopravvivenza del
popolo.
Babeuf si riferisce ad una realtà dell’Ancien Regime: “Nell’Antico Regime i
condannati a morte, soprattutto se colpevoli di lesa maestà, cioè di alto
tradimento, non venivano giustiziati in segreto, ma erano sottoposti a terribili
supplizi pubblici, e i loro corpi dilaniati rimanevano esposti per ammonimento
del pubblico. Queste orrende pratiche furono prese in eredità dalla
Rivoluzione, e il Governatore della Pastiglia fu il primo di una serie
terribilmente lunga. Il popolo ora era sovrano e prendeva su di sé la prima
caratteristica della sovranità: quella della giustizia spettacolare.”19
La folla di popolo che ha assalito e conquistato la Bastiglia rimane per larga
parte anonima come una sorta di vento che sorge improvviso e sembra
spirare da ogni parte: in seguito la Rivoluzione vincente assegnerà 954
onoreficenze al merito della Bastiglia, la sera del 14 ne vennero assegnate
633, alla fine del mese di luglio saranno 863 e poi ci si fermò a 954. Lo
storico G. Rudé ha rilevato che ne furono insigniti soprattutto gli artigiani e
operai del fauborg Saint-Antoine, il più minacciato dai cannoni della fortezza
e uno tra i quartieri popolari più impegnati e fedeli alla Rivoluzione; è dubbio
se tale, successivo, riconoscimento al merito premiò coloro che
effettivamente parteciparono all’impresa o se invece, come spesso sarà in
seguito, coloro che al momento della premiazione appariva politicamente
opportuno premiare. Resta il fatto che di quella folla di cenciosi e affamati
sbandati vagabondi e diseredati ignoti che affollava Parigi la stessa
Rivoluzione vincente non aveva bisogno, ne aveva paura e non intendeva né
tramandarne il ricordo né premiare in vita.
Con la presa della Bastiglia la rivolta divenne Rivoluzione, due sembrano
essere le motivazioni essenziali e speculari: la sensazione di abbandono
avvertita dalla popolazione e il senso di insicurezza verso il sempre crescente
carovita e l’invasione di sbandati, di vagabondi e di mendicanti che si era
riversata su Parigi.
Parigi si sentiva assediata, e lo era veramente da sei reggimenti di truppe
straniere, truppe assoldate dalla Corte e dal Re e accampate fuori delle sue
porte, si sentiva già invasa dalla carestia e dal carovita, si sentiva assaltata di
continuo entro le sue stesse mura dai briganti e dagli sbandati.
18
19
Citato in: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione di M. Winock
A. Prosperi e P. Viola: Dalla Rivoluzione inglese alla Rivoluzione francese
18
Quella dei briganti era una ossessione che percorse gli anni dall’1787 al tutto
il 1790, la gente si sentiva abbandonata e minacciata e, quindi, era un
bisogno reale quello di indirizzare la sensazione di insicurezza e di impotenza
verso qualcosa di concreto e, nello stesso tempo, di misterioso come i
briganti; così come la penuria e gli alti prezzi del pane venivano attribuiti ad
un complotto degli aristocratici e degli accaparratori gli era attribuita anche la
presenza e l’azione dei briganti e l’immobilismo degli stati generali. Se i nobili
avessero davvero avuto ai loro ordini i briganti, se avessero dominato il
commercio delle granaglie e se fossero stati capaci di relegare nell’immobilità
gli stati generali avrebbero dovuto vincere lo il conflitto sociale e civile che
scuoteva la Francia; ma non era così: i briganti, i malfattori e gli sbandati
andavano lì dove c’era da saccheggiare e rubare impunemente, gli
accaparratori cercavano solo di trarre il massimo profitto in un mercato
caratterizzato dall’aumento della domanda e la crisi dell’offerta e gli stati
generali erano bloccati perché ancora nessuno aveva la forza di vincere e
nessuno accettava di perdere.
Il potere istituzionale oscillava tra la vessazione e l’abbandono della gente a
subire ogni rischio, la gente si sentiva abbandonata e minacciata e voleva
solo armarsi per potersi difendere e impedendogli di armarsi gli si impediva
proprio di difendersi, difendersi da tutti. Dalle truppe mercenarie accampata
alle porte della città, dai vagabondi e dagli sbandati che vagavano per la città,
dall’egoismo speculativo dei mercanti e dei commercianti che imponevano
scarsità di merci e alti prezzi.
E’ verosimile e probabile che qualcheduno provasse a trarre vantaggio
dall’esasperazione della gente: il duca d’Orleans per odio verso Luigi XVI, i
finanzieri in appoggio a Necker, alcuni importatori in dispregio delle gabelle
doganali? Tutti costoro e, forse, altri ancora sperarono e, forse, operarono
affinché le cose volgessero a loro favore e perché la gente avrebbe dovuto
rifiutarne la simpatia e, forse, l’appoggio? Quando la scelta diventa netta colui
che non è con il proprio avversario più vicino può diventare, almeno per un
tratto di via, amico e finanche il con il nemico più lontano ci si può alleare
contro e verso il nemico più vicino.
Scrisse Marat: “La Bastiglia mal difesa, fu conquistata da alcuni soldati e da
una turba di disperati, nella maggior parte tedeschi e provinciali”; in realtà
erano alcuni giorni che affluivano a Parigi gente di ogni risma e si erano già
verificate violenze e saccheggi di botteghe, depositi e persino qualche
convento; così commenta Michelet: “La Bastiglia, bisogna dirlo, non fu presa.
Essa si consegnò”; così commentò Rivarol: “E’ a questo che si riduce la tanto
celebrata dal popolino di Parigi, presa della Bastiglia. Pochi rischi, molte
atrocità, e una pesante imprevidenza da parte di M. de Launay; ecco tutto,
non fu, in una parola che una presa di possesso”20, di analogo parere fu
20
A. Castelot: cronaca della Rivoluzione francese
19
Chateaubriand: “la presa della Bastiglia si ridusse all’assalto contro alcuni
invalidi e un Governatore timido”21
Di diverso avviso fu, evidentemente il generale Besenval che così scriverà
nelle sue memorie: “L’avviso dei generali riuniti alla Scuola Militare fu che era
impossibile reprimere questo fermento, nel momento in cui le nostre truppe
manifestamente vacillavano; che contatti avvenivano al di fuori della nostra
vigilanza e che un colonnello mi assicurò, con le lacrime agli occhi, che il suo
reggimento non avrebbe marciato”22
Non è che le motivazioni addotte dal generale siano particolarmente
convincenti: in realtà Besenval scarica la responsabilità sullo scarso spirito
combattivo della truppa e sulle infiltrazioni di spie e disfattisti. Niente di
nuovo, era diffuso prima di lui e lo sarà ancor di più dopo; emerge, però, un
chiaro insegnamento che non bisogna credere alle lacrime dei colonnelli, mai.
I prigionieri di cui tanto si era detto erano in sette, nessuno tra essi era vittima
del dispotismo reale: quattro falsari, un conte incarcerato per reati sessuali e
due disturbati mentali, il Marchese de Sade era stato trasferito dieci giorni
prima a Vincennes, qualcuno tra gli assalitori consegnarono allo Châtelet
alcune cose che nella confusione erano state trafugate: l’orologio d’oro del
Governatore, la sua borsa, le sue fibbie d’argento e le sue chiavi; in realtà le
cose distrutte e trafugate furono molte di più e, forse, più di valore.
Il giorno 14 luglio il Re non aveva ben compreso, non fu la prima e non sarà
l’ultima volta, quel che stava accadendo nella capitale del suo Regno, sembra
che d’intesa con de Breteuil meditasse di far intervenire contro Parigi il
maresciallo de Broglie e l’esercito, anche per meglio disporre alla
rassegnazione i deputati riottosi; invece a differenza del re l’Assemblea,
riunita in permanenza dalla estromissione di Necker, veniva informata in
tempo reale e venne a sapere la tarda sera del 14 della capitolazione di des
Invalides e della Bastiglia.
I deputati riuniti nel corso della notte predisposero e inviarono al Re, l’una
dopo l’altra, due delegazioni per informarlo della giornata parigina; alla
seconda il re parve turbato ma non ebbe a decidere niente, né a favore né
contro, né in bene né in male.
Nel corso della stessa sera e notte che il Re non decideva niente Besenval,
caduta la Bastiglia, ripiegò con le sue truppe verso Saint-Cloud e anche
questo ripiegamento venne vissuto ed esaltato dai parigini come una sconfitta
della Corte e del Re: fu un ripiegamento tanto repentino da apparire una
ritirata ed una rotta: sotto la pioggia battente la formazione militare riparò a
Sèvres dove la gente si rifiutò di alloggiarli.
Nei giorni successivi il generale Besenval sarà arrestato né sembra che la
truppa ai suoi ordini lo impedisse, Besenval avrà l’aiuto dal suo amico e
compatriota Necker che subito dopo il suo ritorno a Parigi darà l’ordine di
liberarlo; ma l’ordine non sarà eseguito: solo pochi giorni dopo la presa della
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M. Winock: Francia 1789 cronaca delle Rivoluzione
M. Winock: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione
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Bastiglia il nuovo potere e il popolo non intendevano più obbedire a quel che
non ritenevano giusto, anche se proveniva da Necker che avevano difeso dal
Re e avevano imposto che ritornasse al Governo.
La mattina del 15 luglio il re viene nuovamente informato degli avvenimenti:
no non era stato un incubo notturno e la storia procedeva più velocemente di
Luigi XVI e della Corte reale: su consiglio del duca di Liancourt il Re decide di
recarsi all’Assemblea, si presenta a mattino inoltrato accompagnato solo dai
suoi due fratelli proprio nel mentre l’Assemblea stava decidendo di inviare al
Re una ulteriore delegazione di 24 deputati per convincere Sua Maestà di
ordinare il ritiro delle truppe nei rispettivi acquartieramenti, di assicurare il
vettovagliamento a Parigi ed a legittimare l’istituzione della Milizia cittadina.
Luigi XVI parve seriamente preoccupato della situazione che si era
determinata e, di fatto, chiese l’aiuto dell’Assemblea: “Aiutatemi, in questa
circostanza, ad assicurare la salvezza dello Stato; me lo aspetto
dall’Assemblea nazionale. Lo zelo dei rappresentanti del mio popolo, riuniti
nell’interesse comune, me ne è sicura garanzia. Contando sulla fedeltà dei
miei sudditi, ho dato ordine alle truppe di allontanarsi da Parigi e da
Versailles. Vi autorizzo, anzi vi invito a far conoscere le mie disposizioni alla
Capitale”.
Un tale riconoscimento del ruolo e della funzione di governo dell’Assemblea
nazionale e non più degli “Stati generali” come fino ad allora la Corte si
ostinava a denominarli, la dichiarazione di ritiro delle truppe e l’invito che
fosse proprio l’Assembea ad informare Parigi costituivano tutti elementi di
una importante legittimazione impensabile fino al giorno prima.
Il presidente dell’Assemblea l’arcivescovo di Vienne replicò individuando nei
cambiamenti sopravvenuti nel Consiglio dei ministri la causa principale dei
disordini e affermando, quindi, nel suo stile clericale che “la causa principale”
andava rimossa.
Insomma, Luigi XVI accompagnato dai suoi due fratelli aveva avanzato una
rilevantissima apertura di credito verso i deputati e costoro, con la replica del
loro Presidente, avevano rilanciato segnalando che la nomina del Consiglio
dei Ministri non costituiva una decisione esclusiva del Re ma interessava
anche l’Assemblea.
Nessuno aveva esplicitamente delegittimato o legittimato i fatti del giorno
prima e nessuno sembrava interessato al disagio sociale che affliggeva il
popolo e la città di Parigi, un osservatore dei nostri giorni parlerebbe di uno
scontro di potere e di legittimazione, cioè un conflitto politicista e di un
disinteresse, da parte di tutti, delle reali condizioni di vita della gente. Ma i
problemi che non si sanno o non si vogliono risolvere si ripresentano
imperterriti all’uscio del futuro più o meno prossimo.
L’ambasciatore di Inghilterra, duca di Dorset, rimase favorevolmente
impressionato e si avventurò in una valutazione che si dimostrerà essere solo
un auspicio: “ In questo momento, possiamo considerare la Francia un Paese
libero, il Re come un monarca i cui poteri sono limitati e la nobiltà ridotta al
21
livello del resto della nazione”: La valutazione del duca di Dorset era
assolutamente chiara e l’uso del “ in questo momento” costituisce una
opportuna cautela diplomatica; l’Ambasciatore però sembra dare tutto per già
avvenuto e, invece, non sarà che l’inizio.
Le cronache e le memorie dei contemporanei riportano che il ritorno del Re al
Castello fu uno strepitoso successo: i deputati lo accompagnarono facendo
ala alla folla entusiasta che voleva vedere il Re, applaudirlo e toccarlo.
Il pomeriggio dello stesso giorno una delegazione di deputati si recò a Parigi
e incontrò una delegazione degli elettori e del Comitato permanente, tutti
vollero capire che era una esplicita approvazione di quanto era accaduto i
giorni scorsi ed un chiaro riconoscimento della nuova Autorità cittadina.
A Parigi il 15 luglio è il giorno della gioia e della organizzazione dei nuovi
equilibri politici, all’Hotel de Ville si riuniscono i 407 elettori della città, cioè
coloro che con una elezione di secondo grado avevano votato i deputati agli
Stati generali, e circondati da una folla di comuni cittadini e di soldati della
Guardia francese ascoltano l’intervento di La Fayette appena arrivato da
Versailles: La Fayette riferisce dell’intervento di Luigi XVI all’Assemblea,
evidenzia le sue parole pacificatrici e le testimonianze di amore ricevute nel
rientro al castello.
Gli elettori proposero al generale di assumere il comando della Milizia
parigina e chiesero a Bailly, astronomo e deputato di Parigi, di diventare
sindaco della città: i due vennero nominati per acclamazione e accolsero la
richiesta riservandosi di accettare formalmente dopo la ratifica
dell’Assemblea. Nominati i vertici politico e militare del governo cittadino tutti
si recarono, su proposta dell’Arcivescovo di Parigi, a Nôtre-Dame ad
ascoltare il Te Deum: ossia la legittimazione religiosa si assommò a quella
politica.
Evidentemente tutto ciò era chiaramente illegittimo sul piano istituzionale: gli
elettori avevano solo una funzione elettorale e non potevano eleggere né il
sindaco né il comandante di una milizia istituita illegalmente solo due giorni
prima e non riconosciuta nell’ordinamento militare vigente, era altresì
illegittimo che i due candidati si rimettessero alla ratifica dell’Assemblea, cioè
del rinominato terzo Stato, che non aveva assolutamente alcuna competenza
riguardante la nomina di un sindaco e di un comando militare. In realtà fu la
carnevalata dell’illegalità istituzionale e dell’arbitrio della forza ma quando la
gente, tutta la gente, ritiene di essere nel giusto per affrontare e risolvere una
esigenza ineludibile e necessaria chi può opporre una legittimità formale? E
quando la legittima forma istituzionale viene accantonata chi può prevalere se
non con la forza?
Il giorno successivo, 16 luglio, l’Assemblea nazionale reitererà al Re la sua
richiesta del reincarico a Necker e del conseguente allontanamento dei
ministri nominati successivamente nonché il ritiro e l’allontanamento delle
truppe dalle porte di Parigi, riguardo il reincarico il Re non cede alla
sollecitazione e non risponde, riguardo alle truppe la risposta del Re non si fa
22
attendere ed è positiva: il pomeriggio stesso si avvia la smobilitazione delle
truppe.
Il giorno immediatamente successivo alla nomina il problema che si pose a
Bailly e a La Fayette fu di consolidare il loro incarico in termini di
determinazione della catena di potere e di comando in quanto con la loro
nomina era stato definito il vertice ma c’era da costruire la base che avrebbe
dovuto sostenerlo: Bailly chiese che si organizzasse una consultazione tra i
distretti cittadini al fine di eleggere una assemblea municipale che di fatto
avrebbe esautorato il Comitato degli elettori e La Fayette propose di
cambiare la Milizia cittadina in Guardia nazionale e chiese che i 60 distretti
cittadini nominassero un loro rappresentante e che i 60 nominati
individuassero sedici membri di un comitato militare posto ai suoi comandi.
Di fatto il Comitato degli elettori aveva nominato e acclamato, arrogandosi
una competenza inesistente ed un potere improprio, un sindaco ed un
comandante della Milizia che per prima cosa vollero esautorare proprio lo
stesso Comitato.
Il 16 luglio il Comitato permanente decise di abbattere la fortezza e l’incarico
di demolirla venne affidato ad un certo Palloy, imprenditore e patriota. Palloy
era un imprenditore intelligente e creativo, assunse circa 1000 operai che
rapidamente completeranno la demolizione nel febbraio 1790; qualcuno
sostiene che i lavoranti di Palloy erano già presenti sul posto dalla mattina del
14 partecipando all’assedio e stando ben attenti a che ci fossero saccheggi e
già la sera del 14 luglio cominciarono subito, due giorni prima che il Comitato
avesse proceduto alla assegnazione dei lavori, il loro lavoro spegnendo gli
incendi e svuotando di ogni cosa le sale della fortezza. Palloy recuperò tutti i
materiali di risulta, con le serrature fece fondere delle lame di spada e di una
ne fece omaggio a La Fayette, con le pagine dei registri fece stampare delle
carte da gioco,le ceneri dei titoli di nobiltà le riutilizzò nella produzione di
mastice, con il marmo dei camini il gioco del domino di cui omaggiò il delfino
di Luigi XVI, con i bottoni dei gioielli e con il piombo dei suggelli delle catene
confezionò delle medaglie; ma il tocco di genio Palloy lo espresse
riutilizzando le pietre con cui era costruita la fortezza: le scardinò e su ogni
pietra muraria recuperata fece scolpire il bassorilievo della fortezza e li disse:
“apostoli della libertà” con la scritta “Questa pietra viene dalle prigioni della
Bastiglia. Offerta da Palloy, patriota.”, ne fece omaggio ai potenti e ne fece
profittevole commercio vendendoli con medaglie, calamai e tabacchiere
souvenirs.
Nel 1794 sarà accusato di concussione, ne sarà assolto e si ritirerà a vita
privata.
La domanda di souvenirs era alta, tutti ne volevano e Palloy cercava di
soddisfare tutte le richieste: ebbe qualche contestazione sull’autenticità di
tutto quel che vendeva e ammise che non tutti provenivano dalla Bastiglia in
quanto: “Ho inviato una cassetta di questi materiali alle fabbriche, dove li
hanno amalgamati con i materiali di loro fabbricazione”; Da notare è la
23
raffinatezza
terminologica dell’ “amalgamare”, di cui non si sentiva
responsabile perché imputabili erano le fabbriche che confezionavano la
merce, che stava a significare la vendita di un falso
Palloy fu un geniale imprenditore ma non un coerente rivoluzionario: già
aveva omaggiato il Delfino del gioco del domino e La Fayette della spada, su
alcune pietre fece incidere il ritratto di Luigi XVI ma fu tra coloro che lo
inseguiranno per la strada di Varennes e il 10 aprile sarà tra gli assalitori delle
Tuileries, esigerà la morte del Re e degli aristocratici, da lì a poco onorerà
l’Essere Supremo, scriverà versi di elogio per celebrare S.M. l’imperatore e
Re Napoleone e altri versi di adulazione di Giuseppina prima e Maria Luisa
dopo, né rinuncerà ad acclamare il “buon Re” Luigi XVIII e poi scrivere altri
versi elogiativi del “buon Re, buon padre” Luigi Filippo, sarà0 decorato
all’ordine del giglio d’oro prima del 1830 e riuscirà a farsi assegnare una
pensione come “vincitore della Bastiglia”.
Palloy superò gli eventi di due secoli e collezionò onorificenze da tutti i poteri
ed i potenti in grado di darne ma non si fregiò di onorificenze alla memoria, lo
neriterebbe: fu un artista geniale. Che chiedere ad un artista se non di
esserlo?
A sigillo della ritrovata sintonia il 17 luglio il Re accompagnato da pochi
cortigiani e solo qualche guardia del corpo ma da ben 32 deputati, altre fonti
riferiscono di 88 deputati in 40 carrozze, estratti a sorte raggiunge la capitale
del Regno: Parigi, si reca in municipio e viene accolto dal nuovo sindaco
l’astronomo Bailly e da una folta folla che grida: “viva la nazione, viva
l’Assemblea nazionale, viva la costituzione”.
Le notizie dell’epoca riferiscono di una folla straripante e ordinata: molti
cittadini di tutte le condizioni sociali, uomini e donne, vestiti a festa insieme
con soldati della Guardia francese in armi, gendarmi svizzeri e soldati di tutti i
reggimenti con le loro insegne, preti e monache. L’immagine era di una
nazione consapevole e unita.
Lo storico E. Quinet non sembra credere alla retorica del momento e
giustamente considera: “Ciascuno recitava una parte contraria alla sua vera
natura. Luigi XVI dovette mostrarsi felice del fatto che la sua autorità era stata
infranta il giorno prima; e cercava, effettivamente, di sorridere dinanzi alla
folla di centocinquantamila uomini armati di falci, di picche, di fucili, che
s’assiepavano al suo passaggio. Si racconta che dai suoi occhi scendessero
delle lacrime quando dovette salire sul palco pavesato che era stato eretto
per lui sotto le picche, all’hotel de Ville.” 23
Il sindaco, senza inginocchiarsi come previsto dal cerimoniale, consegnò al
Re la coccarda cittadina, al rosso e blu iniziale era stato aggiunto in omaggio
al Re un anello di bianco simboleggiante il bianco giglio della stirpe reale; Il
Re se la appunta al cappello e dichiara di approvare la costituzione della
23
E. Quinet: La Rivoluzione
24
Milizia borghese, la nomina di Bailly, da cui aveva ricevuto immediatamente
prima la coccarda, a sindaco e di La Fayette a comandante della Guardia.
Luigi XVI sarà sembrato impacciato ma nessuno era in condizione di
distinguere se fosse il normale impaccio che lo contraddistingueva o se,
invece, l’impaccio fosse dovuto al dover recitare una parte in commedia che
non condivideva.
Come osserva lo storico Quinte: “Da ogni parte ci si ostinò a lasciare a Luigi
XVI la corona, quando gli era stata sottratta la forza di portarla”.
Insomma tutto voleva lasciare intendere una riconciliazione tra il Re e la
capitale del suo Regno e la rappresentanza del suo popolo ma
l’ambasciatore T. Jefferson, futuro Presidente americano, nota la teatralità e
annota: “Si tratta della scena più pericolosa tra tutte quelle cui io abbia
assistito in America o che si sono svolte a Parigi negli ultimi cinque giorni.
Ormai gli Stati generali sono totalmente al sicuro da ogni attacco, e anzi si
può pensare che abbiano carta bianca. … In questo modo si conclude un
atto di ammenda tale che nessun sovrano aveva mai fatto né alcun popolo
ricevuto.”24
“Il 17 luglio appariva così come una nuova giornata propizia alla commedia
degli inganni. Il Re , a forza di restrizioni mentali, aveva finto la
riconciliazione, abbozzato sorrisi e portato la coccarda tricolore nella
speranza di guadagnare tempo. La folla, secondo la tradizione, aveva
additato al pubblico ludibrio i ministri ed i cattivi consiglieri per meglio
esprimere il suo rispetto ad un monarca strappato agli splendori di Versailles
e venuto quasi ad inginocchiarsi davanti al popolo sovrano. L’Assemblea che
avevadato l’assalto all’assolutismo fin dalle prime riunioni degli Stati generali,
si illudeva che i nobili e il clero non opponessero ormai la minima resistenza a
partecipare alle sedute in comune con i rappresentanti del Terzo”.25
A parere dello storico E. Quinet il Re di Francia: “Era inevitabilmente costretto
a ricorrere all’astuzia, dal momento che la violenza era diventata impossibile”;
andrà proprio così ma l’astuzia non è mai un sostitutivo della forza che
manca, quando si ha la forza la si può anche usare astutamente ma quando
manca proprio la forza allora a niente serve il ricorso all’astuzia se non a
irritare ancora di più chi la forza ce l’ha.
Già il giorno successivo, il 18 luglio, c’è chi dimostra di aver capito tutto quel
che c’era da capire: il conte di Artois, fratello del Re, il principe di Condé,
Breteuil, de Broglie, Lambesc i Polignac,convinta ad espatriare dalla stessa
Regina e tanti altri che hanno qualcosa da temere dai moti rivoluzionari
iniziano l’emigrazione che allontanerà dalla Francia e dalla contesa
rivoluzionaria tutti coloro che avrebbero potuto sostenere la monarchia e che
lamentavano di non esserne sostenuti.
La migrazione degli aristocratici non fu solo una fuga verso la libertà,
partirono accompagnati dai loro servitori e da gran parte di coloro che erano
24
25
J. Godechot: La rivoluzione francese
M. Winock: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione
25
legati alla loro munificenza, così scrisse nel diario la marchesa di Tour du Pin:
“Si misero a taglieggiare le loro terre per portarsi dietro una grossa somma. I
numerosi personaggi che avevano dei creditori, escogitarono questo modo
per sfuggir loro. I più giovani lo consideravano un buon motivo per viaggiare,
per raggiungere i loro amici, le loro comitive. Nessuno si preoccupava delle
conseguenze che tutto ciò poteva avere”.
Alla Corte si era saputo che a Palais Royal si andava già predisposta una
lista di proscrizione in cui erano segnati anche il comandante delle guardie
svizzere Besenval e gli amministratori Foulon e Bertier che si erano occupati
degli acquartieramenti militari che cingevano Parigi come un assedio, Foulon
e Bertier non faranno in tempo a emigrare.
Foulon era particolarmente odiato e di lui si diceva che facendo il verso, con
molta meno raffinatezza, a quanto si attribuiva alla, altrettanto odiata, Regina
di Francia: girava voce che a fronte di una protesta dei suoi operai che
denunciavano che i cavalli che accudivano avevano da mangiare più di loro
avesse risposto: “Se hanno fame, che mangino l’erba”, ovviamente rivolto agli
operai.
Su Foulon era stata posta una taglia che certamente ne faciliterà la cattura,
sarà arrestato il 22 luglio in casa di un amico e portato all’hotel de Ville: con
vendicativo sarcasmo popolare era stato caricato di un fascio di fieno sulle
spalle e un mazzo di ortica e cardi tra le braccia e al collo; il neoeletto
sindaco Bailly decise che in attesa del processo venisse imprigionato nella
prigione dell’Abbazia, né la decisione di Billy né gli inviti alla calma di La
Fayette avranno ascolto.
La gente trascinerà Foulon fuori dell’Hotel de Ville e lo impiccherà: una prima
e poi una seconda corda non reggerà il peso dell’impiccato e occorrerà
cingergli il collo con una terza corda per risolvere definitivamente la
questione, l’impiccato sarà decapitato e gli si riempirà la bocca di fieno e
portata in cima ad una picca per le strade di Parigi.
Così finì Foulon accusato di accaparramento e di affamare il popolo, né la
sorte sarà più benevola con Bertier: arrestato a Compiégne dove si era
rifugiato sarà ricondotto a Parigi malmenato e deriso dalla folla, gli verrà
squarciato il petto e il cuore e le viscere saranno portate all’Hotel de Ville.
A pochi giorni dalla loro nomina né gli ordini di Bailly né gli inviti di La fayette
erano stati eseguiti o ascoltati, la gente fece quel che voleva e come voleva.
Il morbo dell’insicurezza percorse l’intera Francia, altri aristocratici
sceglievano la via dell’esilio e la gente era assillata dal pericolo della reazione
liberticida delle truppe reali e dal brigantaggio; i comuni si organizzarono alla
maniera parigina e vennero costituite milizie in ogni città. A fine luglio l’ordine
pubblico veniva garantito non più dalle istituzioni monarchiche ma dalle
autorità locali.
Tutti gli intendenti che rappresentavano il Re nelle province amministrative
dette “généralités” avevano abbandonato gli uffici e non si facevano più
vedere. Erano i giorni della “grande paura”, chi aveva le armi le nascondeva e
26
chi non le aveva cercava di procurarsele come poteva: “I contadini una volta
armatisi non incontrarono sulla loro strada alcun brigante. Si scagliano allora
contro i castelli e reclamano, per bruciarli, i vecchi documenti sui quali erano
indicati i diritti feudali dei quali, nei “cahiers de doléances”, avevano
domandato la soppressione. Se gli si resiste, i contadini giungono fino a
incendiare le vecchie dimore signorili. Queste bande di insorti si temono
reciprocamente, e sono temute dagli aristocratici”26
L’impressione che nessuno avesse la percezione e la convinzione di essere
protagonista di un qualcosa da cui non si sarebbe più tornati indietro: si
distruggono i documenti feudali per evitare che valessero in futuro, un futuro
che si immaginava ancora simile al presente non immaginando che in un
futuro, pur così vicino, sarebbe stato il diritto feudale a non esistere più
indipendentemente dalla documentazione giuridica che lo asseriva.
Necker che si trovava a Basilea, in Svizzera, sollecitato da due distinti
messaggi, l’uno del re e l’altro della Assemblea, decise di rientrare a
Versailles per quanto non apparve molto convinto: “Bisogna sottomettersi alle
leggi della necessità” disse, ma la situazione era ancora più compromessa di
come immaginasse.
Madame de Staël che lo accompagnava riferisce di scene di giubilo e di
riverenza: “Le donne, lontano nei campi, si inginocchiavano al passaggio
della vettura; i primi cittadini dei luoghi attraversati prendevano il posto dei
postiglioni per condurre essi stessi i cavalli e, nelle città, la gente staccava il
tiro per trainare a braccia la vettura”.
L’enfasi filiale era esagerata, il ritorno di Necker era certamente una grande
vittoria dell’Assemblea e del popolo ma le nuove istituzioni cittadine
organizzatisi dopo il 14 luglio e la gente non era affatto disponibile a
rinunciare al potere conquistato solo da pochi giorni: Necker ordinerà di
liberare il generale svizzero Besenval, suo amico, ma l’ordine non sarà
eseguito ed il Generale dovrà sperare in una sorte più amica.
Besenval sarà esplicitamente accusato da Du Puget, luogotenente del Re
alla Bastiglia, di essere d’accordo con il suo compatriota Necker del non
intervento militare prima a les Invalides e, poi, alla Bastiglia in soccorso di de
Launay.
Non sembra esistere alcuna documentazione in merito, certo è che proprio
Necker aveva voluto Besenval a Parigi e che appena rientrato tenterà più di
una volta, ancorché senza risultato, di liberarlo dalla detenzione, è altrettanto
certo che Besenval informava direttamente Necker, oltre che de Broglie,
generale comandante delle truppe di Parigi, del succedersi degli avvenimenti
ed è ragionevolmente presumibile che Necker poteva avere un qualche
interesse che i disordini di Parigi non venissero immediatamente soffocati in
previsione di un suo eventuale ritorno al Governo, come poi sarà; è, altresì,
26
J. Godechot: La Rivoluzione francese
27
da considerare che i finanzieri ed i banchieri sanno bene che dai grandi
disastri possono trarne grandi profitti.
Insomma, non è da scartare pregiudizialmente l’ipotesi che Besenval non
abbia saputo né voluto reprimere con la forza, e fin dall’inizio, la sommossa
che provocò la presa della Bastiglia: Besenval è incolpabile di non aver
saputo, o voluto, provocare o subire un danno minore al fine di evitare un
danno maggiore e non è una colpa di poco; a sua discolpa viene ricordata
l’inaffidabilità delle truppe al suo comando, non ci si poteva fidare di truppe
che avevano “fraternizzato” e che avevano subito già consistenti perdite per
le diserzioni e già numerosi reggimenti erano passati agli insorti o avevano
dato prove inequivocabili di simpatia verso i manifestanti.
Ma a che pro, allora, impiegare truppe mercenarie e, inoltre, non dovrebbe
essere il primo dovere del comandante garantire dell’affidabilità delle sue
truppe?
Certo che in una città turbolenta e popolata di 600.000 persone appare, al
senno di poi, che non fu una buona scelta quella di circondare la città di
truppe e di lasciare quasi indifeso il centro cittadino ma, forse, questa scelta
strategica non era imputabile al solo Besenval. E’ anche vero che la
popolazione parigina non sopportava la presenza di truppe straniere e, se era
effettivamente così, come si spiega la “fraternizzazione” e le continue
diserzioni lamentate proprio da Besenval?
Mirabeau no giustificherà affatto la ferocia e le crudeltà della collera popolare
ma non perderà il senso della misura delle vicende: “Ah! Se la collera del
popolo è terribile, quello che è atroce è il sangue freddo del dispotismo; le
sue crudeltà sistemiche fanno più infelici in un giorno delle vittime immolate
dalle insurrezioni popolari in un anno”
Perché tanta ferocia e perché non rispettare gli ordini e gli inviti di coloro che
si era nominato? Quale febbre malefica muove il popolo di Parigi? Mirabeau
proverà a ragionare su un presente così drammatico e un futuro tanto incerto:
“La società sarà ben presto disgregata e la gente si abituerà al sangue e al
disordine, se si metterà al di sopra dei magistrati e sfiderà l’autorità delle
leggi. Invece di correre verso la libertà, il popolo si getterebbe in breve tempo
nell’abisso della servitù, poiché troppo spesso il pericolo provoca uno
schieramento che aspira al potere assoluto e persino un despota appare
allora un salvatore”.27
Mirabeau seppe guardare nel futuro con cinica e rara chiarezza, forse fu
proprio questa consapevolezza del peggio che lo convinse a far di tutto,
anche di male, per tentare di esorcizzarlo e di evitarlo. Il timore del peggio
può spingere al male e la giustificazioni delle proprie azioni è confortante
quando si legittima il proprio agire con la convinzione che quel che di male ci
si appresta a fare servirà ad evitare il peggio prossimo venturo
27
M. Winock: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione
28
Nei giorni successivi altre città della Francia seguirono l’esempio parigino
dotandosi di nuovi poteri municipali e di milizie cittadine; no, osserva
giustamente lo storico M. Vouvelle non fu una semplice imitazione del
modello parigino ma i problemi della gente erano gli stessi: la carestia e il
carovita, il rifiuto dei dazi e delle imposte municipali, la difesa dall’insicurezza
e dal senso di abbandono.
Comune a tutte le città ed alle genti francesi era l’anelito alla libertà, era la
rivendicazione e l’affermazione della propria autonomia locale: la presa della
Bastiglia segnò l’irreversibilità dello smottamento e della frana del sistema
istituzionale ed amministrativo monarchico: segnò il punto di non ritorno.
Nel corso dei giorni successivi
L’anno successivo, il 14 luglio del 1790, la presa della Bastiglia sarà
celebrata alla spianata del Campo di Marte: 20.000 operai con l’aiuto di molti
volontari che completarono i lavori, che rischiavano di protrarsi oltre la fatidica
data, scavarono due lunghi terrapieni, sulla riva della Senna venne innalzato
un arco di trionfo che recava questa iscrizione: “Non vi temiamo più tiranni
subalterni voi che ci opprimete con cento nomi differenti”. Rispetto all’anno
precedente la situazione francese era cambiata moltissimo, le città francesi
avevano seguito l’esempio di Parigi, erano insorte e si erano date nuovi
rappresentanti; la manifestazione commemorativa ebbe una grande affluenza
di popolo e di delegati delle guardie federate, 1 ogni 100, provenienti da tutta
la nazione.
Le cronache riportano che pioveva a dirotto ma i cortei di partecipanti che
confluirono nella spianata del Campo di Marte erano pieni di entusiasmo, una
orchestra e le salve di artiglieria accoglievano i cortei, dal palco La Favette
sguainò la spada, forse la stessa ricevuta in dono dall’imprenditore e patriota
Palloy, e giurò: “giuro di essere fedele alla nazione, alla legge e al Re”, Luigi
XVI, invece, preferì non bagnarsi di pioggia e, malgrado le sollecitazioni di
Mirabeau, non lasciò il riparo offerto dalla tettoia della tribuna e giurò da lì,
venne offerto un banchetto per 25.000 persone e, anche nei giorni successivi,
ci saranno balli alla piazza della Bastiglia, fuochi d’artificio, luminarie e
l’ascensione di un aerostato.
Nel corso della cerimonia si tenne la messa sull’altare della patria, la messa
venne celebrata da Talleyrand, all’epoca ancora vescovo di Autun; che rivolto
all’abate Louis disse sottovoce: “Non mi fate ridere”.
29
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Nell`anno 1789 la contestazione alla legittimità del potere