La Bastiglia-12/17 luglio 1789 Nell’anno 1789 la contestazione alla legittimità del potere dominante divampò in luoghi e situazioni apparentemente distanti e diversi:da Londra a Ginevra, da Boston a Utrecht si accesero ribellioni popolari violente e cruente non meno della presa della Bastiglia; da connettere allo stesso mosaico è l’ammutinamento del Bounty il 28 aprile 1789, i marinai del vascello inglese che portava i frutti dell’albero del pane da Tahiti agli schiavi delle Indie occidentali accusarono il capitano Bligh di terribili e sadiche brutalità, si ribellarono al suo comando e si ripresero il proprio destino. “Da vent’anni, nel mondo occidentale, città e campagne erano teatro di sommosse incessantemente ricorrenti, tra le quali quella del 14 luglio 1789 a Parigi non fu –e fu ben lungi dall’esserlo- la più violenta. E’ forse a Parigi che vennero attaccati, saccheggiati o distrutti 46 immobili; che vennero incendiate numerose cappelle; che vennero assalite o bruciate 7 prigioni e liberati tutti i detenuti; che venne minacciata la banca più importante; che vennero uccise più di 200 persone e ferite 300? No tutto ciò avvenne a Londra coi disordini che durarono dal 2 al 9 giugno 1780. E’ forse a Parigi che i patrioti s’impadroniscono del governo e della munipalité, fanno arrestare o sorvegliare a vista tutti gli “aristocratici”? No. Tutto ciò avviene a Ginevra nel 1782 e la rivolta dura dall’8 aprile all’1 luglio”1. E’ forse a Parigi che nelle strade compaiono le barricate; che i patrioti manifestano in armi, battono le truppe addette all’ordine pubblico e costringono il capo del governo o il suo rappresentante a battere in fuga? No, tutto ciò accade a Boston nel 1775, a Utrecht, Amsterdam e L’Aia nel 1783 Sono tutti fatti che accaddero ciascuno ignoto e indipendente dall’altro, il motivo scatenante di ciascuno è diverso dall’altro e lo fu anche il modo in cui si compirono e le conseguenze che ne derivarono, sarebbe avventurosamente improprio considerarli come anelli di una sola catena, improbabile e misterica, ma in ognuno di codesti fatti operò una componente riscontrabile in tutti gli altri: la crisi della legittimità del potere costituito e, apparentemente, immutabile. Da questo versante interpretativo è interessante l’intuito con cui il pensatore liberaldemocratico Guglielmo Ferrero affronta la questione della crisi della legittimità: “ La vittoria della sommossa (della Bastiglia) fu seguita per la prima volta nella storia, da un evento apparentemente impossibile:in Francia, in sei settimane, via via che si diffusero le notizie da Parigi il popolo intero, come in virtù di un accordo segreto, rifiutò di obbedire. …Le masse si rivoltano perché sentono l’Autorità paralizzata; l’Autorità smette di agire perché sente che le masse le sono sfuggite. …La gerarchia aristocratica e monarchica non è attaccata e rovesciata da una forza ostile che vuole sostituirla; essa viene inghiottita nel nulla, scompare in una enorme faglia della storia che si spalanca di colpo sotto le sue basi secolari. …Nelle 1 J. Godechot: La presa della Bastiglia 1 settimane che seguono la Bastiglia, Luigi XVI diventa un re senza giudici, senza leggi, senza denaro. Non si era mai visto nella storia dell’Occidente una contagione spirituale così inattesa e così enorme; uno dei più grandiosi edifici costruiti dall’umanità crolla all’improvviso, nel cuore dell’Europa e in un’epoca di pace; una delle civiltà più raffinate si trova da un giorno all’altro completamente denudata sotto gli occhi del mondo intero.” In realtà la presa della Bastiglia provocherà la capitolazione del Re, un mese dopo, dell’anciene Régime: la rivoluzione già latente nel mondo occidentale da 20 anni e in Francia da almeno due si impose in modo irreversibile il 14 luglio e consacrò il fallimento dei tentativi compiuti dal Re e dalla Corte di opporsi al movimento rivoluzionario. Nel corso dei precedenti mesi, maggio e giugno, erano continuati anche intorno a Parigi i saccheggi ed i tumulti popolari, il disagio della popolazione era crescente a causa della carestia e dei continui aumenti del prezzo del pane. Verso mezzogiorno della domenica 12 luglio 1789 arrivò a Parigi la notizia della sostituzione di Necker con il Barone de Bretuil, con Necker era stato licenziato il Governo liberale da lui guidato e si era costituito un Gabinetto apertamente favorevole alla Corte. Appena il giorno prima, 11 luglio, La Fayette aveva presentato all’Assemblea nazionale, nominatasi “costituente” il precedente 7 luglio, la prima stesura della costituzione. “Questo atto audace era eseguito timidamente, e ciò ne distruggeva l’effetto. Necker veniva allontanato dal Regno, e il Re lo supplicava di tenere segreta la cosa. Così mentre l’audacia era evidente perfino negli atti di formale deferenza dell’Assemblea, la timidezza traspariva perfino dagli atti di violenza del monarca.”2 A Necker venne consegnata dal conte de la Luzerne, sottosegretario di Stato alla Marina, una lettera del Re intorno alle tre pomeridiane mentre si apprestava a pranzare insieme alla sua famiglia: il Re gli intimava di lasciare la Francia e ogni incarico governativo con la più grande discrezione. Necker non informò nessuno, neanche la figlia Germane, né chiese una qualche spiegazione al Re, si limitò a rispondere con un biglietto con cui assicurò il Sovrano della sua scrupolosa obbedienza. Pranzò normalmente e nel tardo pomeriggio lasciò Versailles insieme alla moglie, raggiunse la casa di campagna di Saint-Ouen da dove scrisse della sua improvvisa partenza a madame de Stael e continuò fino a raggiungere il Belgio dove fece tappa per poi proseguire per la Svizzera. Intanto il conte de la Luzerne dette le dimissioni dal Governo ormai decaduto; nel nuovo Governo parteciparono il Barone de Bretuil, il maresciallo de Broglie a ministro della guerra ed il guardasigilli Barentin già fortemente critico verso i riconoscimenti al terzo stato deliberati 19 giugno da Necker. Il pomeriggio dello stesso giorno vennero organizzati cortei e manifestazioni di protesta che confluirono al Palais Royal per ascoltare gli oratori: tra loro il 2 E. Quinet: La Rivoluzione 2 giovane avvocato Camille Desmoulins; la città di Parigi era affollata di rifugiati e fuggitivi, di vagabondi che parteciparono allo sfilare dei cortei, la città era agitata e l’insoddisfacente era palpabile: la pagnotta da quattro libbre di pane costava 14 soldi, il prezzo massimo mai raggiunto, ed i moltissimi vagabondi e sbandati arrivati in quegli ultimi giorni non avevano di che mangiare. Il Palais Royal era una delle residenze del duca d’Orleans e quindi non soggetto alle invadenze delle Autorità di polizia, in ragione di ciò era diventato il luogo ove gli oratori popolari potevano impunemente esprimersi contro la Corte ed il Re. Il Palais-Royal apparteneva al duca di Chartres-d’Orleans gran maestro della massoneria, il futuro Philippe Egalité molto legato ai finanzieri ed agli speculatori edilizi e oppositore di Luigi XVI. Il Palais-Royal venne trasformato in “palais marchand”, una sorta di centro commerciale e culturale, con portici e negozi di moda, librerie e caffè’, club politici-letterari e logge massoniche. Essendo una residenza privilegiata la polizia non poteva entrare e quindi era diventato il luogo di incontro e di lavoro di prostitute, bricconi e borsaioli ma anche agenti di borsa e di militanti politici, così scriveva Rivarol: “Al caffè di Foy si formò come un’altra assemblea di borghesi che per la vivacità dei suoi dibattiti, per il carattere permanente delle sue sedute e per il numero dei suoi membri, era superiore a quella di Versailles”3 Così riferiva il viaggiatore inglese Arthur Young: “I caffè del Palais-Royal presentano però uno spettacolo ancora più singolare e più sorprendente. Non soltanto l’interno brulica di gente, ma alle porte e alle finestre c’è una folla che ascolta a bocca aperta (sic) gli oratori che salgono sulle sedie o sui tavoli e che hanno ognuno un piccolo uditorio. Non si può facilmente immaginare l’attenzione con cui si ascolta, né la salva d’applausi che accoglie ogni espressione di audacia e di violenza contro il governo, espressioni che superano la misura consueta. Mi meraviglio che il ministro permetta questi focolai di sedizione e di rivolta.”4 Luigi XVI non apprezzava la promiscuità del Palais Royal ed aveva espresso più di una volta l’intenzione di chiudere i clubs ed i caffé dove il libertinaggio e la politica avevano trovato la sede ideale; era una strana mescolanza di preferenze sessuali particolari, di prostituzione, di giochi d’azzardo e di moda, ma anche di critica politica e di sovversione dell’ordine pubblico e del potere politico. “Si dice a ragione che Parigi assomiglia a un Regno, la cui capitale è Palais Royal. In effetti tutto vi si trova riunito, e vi si trovano anche certi vantaggi che si cercherebbero invano altrove. Si tratta di appartamenti ammobiliati con quanto di più lussuoso e ricercato esista, e che vengono affittati per mezzo luigi l’ora: è facile immaginare per quale uso. Si dice anche che il partito 3 4 J. Godechot: La presa della Bastiglia. J. Godechot: La presa della Bastiglia 3 d’opposizione -gli omosessuali- trovi le stesse agevolazioni in una galérie vicina, ma al costo di un luigi l’ora”5 Effettivamente “l’anormalità” costava il doppio della “normalità” e ambedue erano care considerando che il salario operaio giornaliero oscillava tra i 20 ed i 40 soldi, ma la questione più intrigante è che il duca d’Orleans aveva realizzato una specie di Versailles antagonista alla Versailles di Luigi XV e Luigi XVI; lasciarlo fare fu uno dei massimi errori commessi da Luigi XV e non rimediato da Luigi XVI. Nei mesi di maggio e di giugno ai soliti frequentatori di Palais Royal si erano aggiunti i disertori ed i soldati di truppa della Guardia francese insubordinati che erano sempre più scontenti del servizio militare e che avevano instaurato un rapporto fraterno con la gente. I soldati lamentavano una paga troppo bassa e i rischi dei continui scontri con la gente troppo alti, lamentavano l’introduzione di una disciplina troppo severa “alla prussiana” e che una ordinanza del ministro aveva precluso qualsiasi possibilità delle carriera ufficiale per i nati non nobili. Le truppe erano demoralizzate dalle catastrofiche conseguenze della guerra dei sette anni ed erano, nel contempo, esaltati dal ruolo popolare avuto dai militari nella guerra di indipendenza americana: erano offesi ed esasperati dalla pratica di vendita della carica di ufficiali a giovanotti facoltosi, tanto arroganti quanto incapaci. I problemi non erano certo ignoti anche perché più della metà dei nobili a Versailles erano ufficiali dell’esercito, tra cui il conte di Mirabeau e il marchese di Lafayette e il conte de Lameth, come notò il conte Miot de Melito: “La defezione dell’esercito non fu una delle cause della Rivoluzione, fu la Rivoluzione stessa”6 Al Palais Royal, d’intesa con il duca d’Orleans che ne era regolarmente informato, venivano alloggiati e sfamati i soldati fuggitivi che, così protetti, non finivano in prigione. Molti temettero che il Re sull’abbrivio della liquidazione del Gabinetto tendenzialmente riformista di Necker avrebbe sciolto con la forza militare l’Assemblea di Versailles. Non era affatto un timore infondato: dal 22 giugno Luigi XVI aveva emanato una serie di ordini di marcia indirizzati a organizzare una concentrazione delle truppe intorno a Parigi ed a Versailles ed era nota più di una voce che indicava proprio la metà di luglio come l’appuntamento predisposto dal Re per sciogliere militarmente gli stati generali e imporre la legge marziale alla città. A Parigi i tumulti erano quotidiani, giornalieri e notturni: la notte precedente la folla aveva assalito e dato alle fiamme alcune barriere daziarie, gli informatori della polizia sostenevano che si trattava di bande organizzate dai commercianti di vini che non intendevano pagare la gabella ma, comunque, da parte delle Autorità non si voleva capire che i posti di blocco daziari venivano considerati dalla gente come delle barriere che proprio in un 5 6 Tuetey, Répertoire général. Citato da O. Blanc in Parigi libertina ai tempi di Luigi XVI T.C.W. Blanning: Aristocrazia e borghesia nella rivoluzione francese 4 periodo di penuria ostacolavano la libera circolazione delle granaglie, della legna e di tutte le altre merci e che ne aumentavano il prezzo. Parigi era una città insicura, i saccheggi erano quotidiani e la notte regnavano i ladri ed i tagliagola; vagabondi mendicanti ladri e prostitute popolavano abitualmente certi quartieri; forse più di centomila erano gli indigenti che affollavano le mense di misericordia dove, almeno, si distribuiva una magra minestra; c’era una permanente penuria delle merci in generale e dei generi alimentari in particolare e quel che si trovava aveva un prezzo insostenibile per i più, così riportava la cronaca del “Journal” di Hardy: “numerosi fornai sono sul punto di chiudere bottega, altri confezionano un terzo della quantità di pane che fanno d’abitudine; per finire, i mercati generali sono sprovvisti di farina e molta gente si rifornisce di riso”7 Gli storici hanno considerato la questione demografica ma, forse, la si è sottovalutata nel senso che, nel corso dell’ultimo secolo, alla crescita della popolazione non aveva corrisposto una corrispondente crescita della produzione nazionale né, del resto, la stagnazione economica consentiva un incremento della occupazione produttiva e remunerata; è presumibile che i ceti abbienti che non avevano nessuna intenzione a rinunziare o contenere lo sfarzo e lo spreco di cui andavano fieri, non guardavano con simpatia a quel proliferare di bocche da sfamare. Dal 1730 si era sviluppata una forte pressione demografica, dal 1730 al 1789 la popolazione si accrebbe dell’80% e il biennio 1787-89 era stato particolarmente duro in termini di produzione agricola: erano stati anni di siccità e dell’accentuarsi delle malattie del bestiame e ciò aveva portato i prezzi dei generi alimentari a livelli di crescita insostenibile per il popolo; i mesi estivi del 1789 furono i peggiori perché le esigue scorte dell’anno precedente si erano esaurite o erano state accaparrate e la produzione agricola dell’anno in corso non era ancora disponibile. Parigi era una città di 600.000 abitanti e secondo La Fayette almeno 30.000 erano i vagabondi ed i disoccupati e 100.000 gli indigenti, a Parigi i cittadini erano molti di più dei produttori, e la penuria e l’alto costo dei generi alimentari costringeva alla fame, alla miseria ed al panico la maggior parte della popolazione. In realtà Parigi non era una città industriale, non era città di grandi manifatture operaie, era una città di piccoli laboratori artigiani prevalentemente di articoli di lusso e di imprese edili; quando a causa di cattivi raccolti e dell’incremento demografico, come nel biennio 78/79 a Parigi confluì la disoccupazione rurale in cerca di una minima assistenza alimentare la situazione divenne esplosiva. Il salario operaio ammontava a 20 soldi, per gli specializzati a 40 soldi, e la pagnotta di pane a 14 soldi, e anche a 20: tra il 1730 e il 1789 i salari erano aumentati del 22 % ed i prezzi delle merci, in media, di almeno il 62 %; 7 A. Castelot: cronaca della Rivoluzione francese 5 insomma, il lavoratore era diventato povero e con il suo lavoro di una giornata poteva comprare solo una o due pagnotte di pane. La colpa di tutto ciò veniva addossata agli appaltatori ed ai mercanti che agivano da accaparratori e speculatori a danno dei lavoratori e della povera gente; l’accusa non era totalmente infondata in quanto nel 1787 il governo aveva autorizzato il libero commercio dei grani e, quindi, era verosimile che, essendo la domanda costante, tutti coloro che partecipavano al ciclo del commercio granario, intermediari, commercianti molini e fornai fossero interessati al massimo profitto agendo sulla offerta. La situazione era diventata insopportabile ma era ancor più pesante il timore che potesse peggiorare e, in realtà, si temeva che peggiorasse a causa dell’egoismo speculativo e delle trame politiche della Corte: non solo il futuro era assolutamente incerto ma anche il presente era diventato insostenibile. Che le sperequazioni fossero eccessive, oltre che ingiustificate e ingiuste, era convinzione comune: “…le nostre principali città si accrescono e si abbelliscono ogni giorno. I mobili, i cavalli e le carrozze, gli ornamenti, i gioielli, si diffondono e acquistano magnificenza. I salariati di ogni specie sono sempre più numerosi … …tutte quelle che fanno brillare le nostre città sono dunque in effetti spese di lusso”8 Il pane scarseggiava ma abbondantissimi erano gli opuscoli politici e di denuncia sociale, se ne trovavano in grande quantità ed il Palais Royal era il luogo ove oratori improvvisati tenevano comizi volanti e si vendevano le ultime pubblicazioni opuscoli: insomma, nonostante la sorveglianza degli informatori ed i sequestri della polizia le tipografie lavoravano senza sosta e la città veniva informata di continuo delle notizie politiche che arrivavano da Versailles e delle critiche rivolte alla Corte ed al Re. Dal Palais Royal si formò un corteo che giunse al museo delle cere in boulevard du Temple e s’impossesso dei busti del Duca d’Orleans e di Necker. I due busti furono coperti da un drappo nero in segno di lutto e portati in corteo per i boulevards alle grida di: “Viva il duca d’Orleans, viva Necker e viva Luigi XVII”. Per quanto strano possa apparire il grido “viva Luigi XVII”, forse una sorta di speranza e di auspicio, ancora più strano è che proprio chi sarebbe dovuto essere Luigi XVII verrà imprigionato insieme al padre Luigi XVI proprio al Tempio. Con il passaggio del corteo dei manifestanti armati di asce, spade e qualche moschetto i teatri furono obbligati a chiudere in segno di lutto, a place Vêndome il corteo venne caricato da un distaccamento di dragoni che fece a pezzi i due busti ma la gente non si perse d’animo e resisté non disperdendosi e dovette intervenire il principe di Lambesc con la cavalleria del Royal-Allemand in soccorso dei dragoni ormai circondati dalla folla dei 8 Autori vari: La polemica sul lusso nel settecento francese 6 manifestanti; lo stesso Royal-Allemand provò a sgomberare le Tuileries invase dalla folla ma dovette rinunciare e dopo lo scontro in piazza Luigi XV si ritirò negli acquartieramenti di Campo di Marte. La “folla rivoluzionaria” non è un semplice aggregato di persone più o meno della stessa idea e con i medesimi obiettivi, la folla rivoluzionaria non è neanche una massa di persone organizzata da una avanguardia di militanti; la folla rivoluzionaria è tale quando costituisce un unico “insieme” omogeneo nei sentimenti: l’inquietudine, il senso dell’insicurezza, il sospetto nei confronti degli avversari infidi e malevoli tutto ciò nella folla rivoluzionaria è diventato un sentire comune che crea una audacia ed una aggressività di cui ognuno, considerato singolarmente, sembrava incapace. La “folla rivoluzionaria” è stata autorevolmente considerata dallo storico G. Lefebvre in “Folle rivoluzionarie”: “Il concetto specifico di folla è stato introdotto nella storia della rivoluzione francese da Lebon. Questo concetto implicava l’esistenza di problemi di cui, prima di lui, non ci si era occupati granché. …è che egli ritiene l’uomo guidato, in generale,da ciò che chiama “contagio mentale” …La domenica del 12 luglio, il popolo di Parigi era parzialmente riunito nei dintorni del Palais Royal per passeggiate e godere del bel tempo, quando la notizia del licenziamento di Necker ha all’improvviso mutato il loro stato d’animo, creato uno “stato di folla” e preparato il cambiamento brusco dell’aggregato in assembramento rivoluzionario …quando ci si trova in presenza di un “assembramento”, non si può considerarlo come una semplice riunione di uomini le cui idee o passioni si siano destate, in assoluta autonomia, nella coscienza di ciascuno di loro; se essi si riuniscono per agire c’è stato fra loro, preventivamente, un’azione intermentale che ha dato luogo ad una mentalità collettiva”. E, in realtà, nel corso del biennio 1787-89 si erano continuamente susseguite le assemblee popolari che potevano covare l’assembramento rivoluzionario: “…dopo la riunione degli stati generali si erano tenute delle assemblee elettorali di parrocchia per l’elezione dei delegati e la stesura dei cahiers de doléances. Si tratta anche di raggruppamenti spontanei che si formano nelle città per attendere il corriere e per ascoltare la lettura ad alta voce delle lettere inviate dai deputati o da alcuni corrispondenti benevoli. … Ci si avvicina ancora di più all’assembramento rivoluzionario con le assemblee convocate in molte città alla fine di giugno e nel luglio 1789 per redigere e firmare petizioni al Re e all’Assemblea nazionale … Poiché nei membri di un aggregato gli elementi di mentalità collettiva antecedente sono semplicemente repressi nel fondo della coscienza. È sufficiente che un avvenimento esterno li richiami in primo piano perché, bruscamente, questi uomini ritrovino il senso più vivo della loro solidarietà. Il risveglio improvviso della coscienza di gruppo, provocato da una emozione 7 violenta, dà al gruppo un carattere nuovo che forse si potrebbe chiamare: stato di folla. …Si è considerato il linciaggio come il fenomeno tipico della folla. Questi eccessi non sono attribuibili alla follia collettiva di una folla criminale… In simile circostanza l’assembramento rivoluzionario non è inconsapevole e non si considera illecito: al contrario, esso è convinto di punire giustamente e a ragion veduta” 9 A piazza Luigi XV si consumò il primo scontro della Rivoluzione, quella stessa piazza diventerà “della Rivoluzione” e sempre lì sarà ghigliottinato Luigi XVI, cambierà ancora nome e diventerà piazza “de la concorde”. Con la ritirata della cavalleria l’intera città era ormai lasciata senza alcuna protezione militare, ancorché discutibile e non amata dalla gente; era diffuso il timore di un imminente saccheggio della città da parte delle truppe del Re accampate immediatamente fuori dalle porte della città: si ritiene che accampate alle porte di Parigi ci fossero 6 reggimenti per complessivi 30.000 uomini; in città erano di stanza solo 800 soldati agli ordini di un luogotenente di polizia, non erano considerati affidabili dalla Corte e la gente era convinta che il loro ruolo era più spionistico che di difesa dai briganti.10 La notte gran parte dei manifestanti rimase all’erta, si disselciarono strade e si organizzarono altre spedizioni contro le barriere daziarie che vennero assaltate, invase e date alle fiamme: su 54 posti doganali ne vennero distrutti 40 e lo storico G. Rudé da acuto osservatore storico fa notare che tra le poche postazioni scampate due di queste appartenevano al duca d’Orleans, tanto osannato dalla folla. Dal 1785 la città di Parigi era cinta da un muro alto tre metri e con 154 varchi controllati per impedire che in città potessero entrare delle merci senza il pagamento della gabella. Forse era stato solo una coincidenza ma dalla costruzione del muro di cinta e la generalizzazione delle gabelle i prezzi delle merci erano di molto aumentati. I parigini odiavano le mura che non li difendeva da inesistenti aggressioni esterne e che li costringeva al chiuso della città ed al pagamento generalizzato delle gabelle. Così registra con un linguaggio puntiglioso e burocratico nel suo rapporto il prevosto del villaggio di Bellerville: “Verso le ore 8, il 13 luglio, è arrivata una quantità di gente mal vestita, che ha acceso un fuoco di fronte e presso la sopradetta cinta della Courtille e ha rotto e strappato le assi delle porte della suddetta barriera e delle due confinanti, ha gettato le suddette assi nel suddetto fuoco, ha forzato le porte della casa vicina alla suddetta cinta, che serve di cortile ai dipendenti delle fattorie; poi una volta salita negli appartamenti della casa, ha gettato nel fuoco le assi sopraddette insieme con tutti i materassi, testiere di letto, registri, documenti . . .”11 9 G. Lefebvre: Folle rivoluzionarie 11 A. Castelot: cronaca della Rivoluzione francese 8 La Rivoluzione, in ogni sua fase, abbonda di trame oscure, o supposte tali, originate da interessi dinastici o ordite da banchieri e finanzieri: J Godechot ipotizza che i tumulti furono favoriti da banchieri con pochi scrupoli e timorosi che con la caduta di Necker “gli affari avrebbero avuto un andamento catastrofico” e, quindi, era necessaria una rivolta popolare per convincere la Corte ad un ripensamento; anche lo storico A. Mathiez ha considerato l’ipotesi non escludendola ed ha rilevato che il giorno 13 la Borsa restò chiusa, forse per favorire la partecipazione alle dimostrazioni popolari da parte dei suoi impiegati, o forse perché nessuno rischiò di aprire gli uffici. Non sembra siano state accertate prove concludenti e conclusive: l’interesse dei banchieri e dei finanzieri sarebbe potuto essere nel sostenere il progetto riformatore e stabilizzatore di Necker che sembrava essere l’ultima difesa del Regime dalla bancarotta ma sarebbe potuto essere anche quello opposto di lucrare sull’instabilità e sulla bancarotta del Regime.12 Se qualcuno tramò, chiunque fosse, le cose non andarono come era nelle sue speranze: né il duca d’Orleans né i finanzieri e banchieri ebbero fortuna. La stessa notte tra il 12 e il 13 luglio con l’ausilio della Guardia francese che faceva riferimento al duca d’Orleans si organizzarono perquisizioni di conventi tra cui il monastero della confraternita di Saint-Lazare, dove vennero scovati e sequestrati ben 52 carri di grano e farina nonché vini e olio e formaggi e burro tutta roba che si trasportò ai mercati popolari, e aggressioni e furti nelle botteghe dei fabbricanti di fucili e degli armaioli. La mattina del 13 luglio i 407 elettori della città di Parigi costituirono un Comitato permanente al fine di ricondurre nell’ambito della legalità e di porre sotto controllo la situazione, a presidente del Comitato permanente venne nominato il prevosto dei commercianti: Flesselles, fu istituita la “Milizia borghese” con il doppio compito di difendere la città dalle truppe regie accampate alle sue porte ed al Campo di Marte e di difendere i parigini dai briganti, ossia dall’enorme massa di sbandati, di mendicanti e di violenti confluita in città: il miliziano era contrassegnato da una coccarda rosso e blu, i colori del gonfalone cittadino. Solo successivamente, il 17 luglio, al rosso e blu verrà aggiunto il bianco che ricordava e simboleggiava il bianco del giglio di Francia: eppure il giglio di Francia apparteneva indubitabilmente alla simbologia monarchica, alla tanto odiata monarchia. Ogni cittadino era arruolabile come miliziano alla condizione che fosse un “cittadino noto”, non è chiaro cosa si intendesse, forse che fosse un contribuente, e non un mendicante o un vagabondo, e che fosse noto come un cittadino probo e dedito alla libertà. Venne, altresì, deciso di convocare assemblee nei sessanta distretti elettorali e si ordinò che ciascun distretto avrebbe fornito 200 armati, che diverranno 800 per complessivi 48.000 uomini, alla Milizia posta al comando dal marchese de la Salle. 12 M. Winock: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione 9 La mattina del 13 luglio a Parigi ferve la ricerca delle armi, la gente si rivolge al prevosto Flesselles quale presidente del Comitato permanente ma l’impressione fu che venisse sviata e, forse, sabotata: Flesselles disponeva all’Hotel de Ville di 360 fucili ma sembrava restio a privarsene e consegnò alla folla alcune casse provenienti da una fabbrica d’armi e con la scritta artiglieria, le casse però erano solo piene di stracci, allora Flesselles indicò il convento dei Certosini ma la gente che andò a perquisirlo non trovò niente e ritornata all’Hotel de Ville pretese da Flesselles una richiesta al Governatore di des Invalides di consegnare le armi che certamente custodiva, ma il Governatore prese tempo inoltrando la richiesta a Versailles. Anche a Versailles il 13 luglio fu una giornata di riunioni e di discussioni, gli eletti della nazione non sono d’accordo con la brutale destituzione di Necker,considerano che il disegno della Corte è quello di impedire la costituzione e decidono che: “I Deputati di tutti gli ordini resteranno uniti in permanenza per difendere la libertà. Con le difficoltà, l’energia ed il patriottismo cresceranno e la Costituzione sarà varata.”13 Il deputato Guillotin fece la spola tra Versailles e Parigi e una delegazione, guidata dal Presidente dell’Assemblea, viene inviata al Re con la richiesta che decida il ritiro delle truppe stanziate alle porte di Parigi e che siano richiamati i ministri destituiti; la risposta del Re è negativa. L’Assemblea decise di confermare la seduta permanente e di eleggere a maggioranza dei suffragi il marchese di La fayette nella carica di vicepresidente. La notte tra il 13 e il 14 luglio alcune ronde della Milizia appena costituita ma ancora male armate pattugliano la città per ripulirla della turba di disperati e di banditi da strada. La notte le paure si rincorrono e prendono voce: si paventa un intervento repressivo della Corte e dell’esercito e del distaccamento del Royal-Allemande acquartierato a Campo di Marte, la città pullula di sbandati e di vagabondi ed il Comitato permanente resta convocato e vigile all’Hotel de Ville: convoca la Guardia francese e ordina che siano controllati tutti i varchi della città. Poco dopo l’alba del 14 luglio migliaia di uomini e donne, tutti con indosso la coccarda rosso e blu si affollano fuori le porte di des Invalides: pretendono a gran voce che vengano consegnate le armi né restano soddisfatti a sentire dal Governatore Sombreuil che Versailles non aveva ancora concesso l’autorizzazione. I dimostranti superarono il fossato e invasero Les Invalides senza incontrare particolare resistenza da parte dei soldati invalidi che presidiavano l’ospedale militare, nel corso dell’incursione la folla si impossessò di 32.000 moschetti e di 12 cannoni che nel corso della notte il comandante in capo delle truppe di stanza a Parigi il Barone de Besenval, subentrato al maresciallo de Broglie nominato ministro della guerra subito dopo l’estromissione di Necker, aveva dato l’ordine che venissero messi fuori 13 M. Winock: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione 10 uso svitandone l’asta e il cane; in realtà l’ordine di Besenval era stato eseguito senza particolare solerzia e la gran parte delle armi era ancora pronta all’uso. L’assalto al des Invalides non era stato respinto né i comandati dei diversi corpi militari riuniti dal Barone de Besenval furono propensi a mobilitare le truppe dislocate a Campo di Marte che così rimasero accampate e inattive. Forse un deciso intervento militare avrebbe prevalso su una folla tumultuante ma praticamente disarmata, non fu così e l’assalto ebbe successo, però le munizioni non erano ancora disponibili e la gente era convinta che le scorte di polvere da sparo fossero custodite alla Bastiglia. Le osservazioni di Rivarol non sono a merito del valore e della lungimiranza del generale svizzero Barone de Besenval: “M. de Besenval, generale degli svizzeri, si nascondeva per non dare ordini alle sue truppe e lasciava così prendere les Invalides, per paura che, se si fosse allargata la rivolta, non venisse saccheggiata anche la sua casa che era vicina e dove aveva fatto dipingere da poco un intero appartamento e costruire dei meravigliosi bagni. Eco gli uomini dei quali il re si era servito.”14 Antoine Rivarol fu un grande giornalista monarchico e frequentatore di salotti, fu redattore principale del Journal politique national, noto per le sue fulminanti battute: “Mirabeau: è capace di tutto, compresa una buona azione”, di lui si diceva: “Nel palazzo della canaglia Rivarol cucina e Champcenetz fa le pulizie”, aveva fama di amare i ragazzi che incontrava di sera, ci dice Imbert de Boudeau, che lo trovava in tali situazioni nel viale d’Argenson, al Palais Royal. Pure di Besenval si diceva essere un omosessuale nonché un notorio un protetto di Necker che a lui rispondava. L’accusa mossa da Rivarol a Besenval era meschina, certo non doveva esserci simpatia tra i due, che pur si dichiaravano essere dalla stessa parte, ma la meschinità e l’opportunismo spigano le azioni umane più spesso dell’idealità e dell’eroismo. Forse è bizzarro ma cose piccole e alle volte insignificanti preparano e covano grandi eventi, i grandi eventi non sono preceduti dalle grandi cose né da chiari segni premonitori, così vanno le cose della vita: una piccola cosa può predisporne una grande e nessuno potrebbe dire qual’è la più determinante nelle vicende che succederanno; nessuno può dirlo, solo il profeta e non sarà creduto. La folla prima ancora del Comitato cittadino decise che per reperire le munizioni necessarie alla Milizia borghese per la difesa della città bisognava andare a prenderle dove erano custodite: alla Bastiglia. La folla che si diresse verso la Bastiglia era tumultuante e mal equipaggiata, era armata di picche, di bastoni con in cima legato un coltellaccio o una baionetta ma era la stessa folla che aveva assalito ed invaso con pieno successo i des Invalides; nota Quinet che “L’idea di conquistare una simile fortezza con sciabole, picche, 14 A. Castelot. Cronaca della Rivoluzione francese 11 fucili, era ancora più straordinaria della conquista stessa”. La fortezza era imponente: era un edificio rettangolare composto da otto torri rotonde unite da muraglie alte 30 metri. La Bastiglia non era l’unica prigione di Parigi: c’era il penitenziario di Bicêtre, di La Force, di Charenton o di Saint-lazare e prigioni quali la Conciergerie, Tournel, il Gran e il Petit Châtelet, il Fort l’Evêque ma la Bastiglia era il simbolo di tutto ciò che nell’ancien Régime c’era di arcaico, di sorpassato e di dispotico e, forse era la cosa che interessava più del simbolismo, erano depositate le scorte di polvere da sparo con cui difendersi dal pericolo dei briganti e delle truppe accampate immediatamente fuori Parigi: pericoli vissuti ossessivamente come reali e concreti. L’assedio alla Bastiglia forse nacque come un saccheggio, come racconta Saint-Just il popolo gridava: “viva il Re! Viva il duca d’Orleans” ed erano grida contraddittorie in quanto i due, il Re ed il duca, esprimevano notoriamente posizioni diverse e contrastanti. Gli assalitori della Bastiglia erano gli stessi che costituivano la folla rivoluzionaria che aveva già assalito il convento di Saint-Lazare e Les Invalides, erano gli stessi che manifestavano per le strade di Parigi: gli operai erano in maggioranza, quindi i soldati e gli ex soldati e molti giovani senza lavoro o anche senza fissa dimora. Sono gli stessi uomini e donne che negli anni successivi parteciperanno al procedere della rivoluzione e, molti di loro, moriranno sui campi di battaglia di tutta Europa. L’assedio alla Bastiglia non fu solo un tentativo di saccheggio e di liberazione dei prigionieri che si credeva giacessero nelle prigioni: la fortezza della Bastiglia sbarrava l’ingresso del popolare fauborg Saint-Antoine verso cui erano puntati i cannoni, la conquista della Bastiglia significava la liberazione del quartiere Sait-Antoine e l’eliminazione di una base militare regia nel cuore stesso di Parigi. La stessa notte del 13 luglio si erano accavallate le voci più disparate e minacciose, era corsa voce che 30.000 soldati regi avevano occupato con le armi il faubourg Saint-Antoine e che era in atto un massacro della popolazione. La guarnigione della Bastiglia era costituita da due guarnigioni per ottantadue soldati ormai invalidi e da un distaccamento di trentadue, o forse cinquanta, soldati svizzeri arrivati di supporto da pochi giorni a seguito delle insistenti richieste del Governatore il marchese de Launay; erano già diversi anni che le celle “segrete” di cui si erano dette cose tremende non erano più in uso e per l’intera fortezza era già stato pensato un progetto di demolizione e la costruzione speculativa di edifici d’abitazione, in realtà era utilizzata come deposito di armi e di munizioni e proprio queste erano nelle mire degli insorti per difendersi dai banditi e dalle truppe regie accampate subito fuori le porte di Parigi. La “Garde invalide” era costituita da soldati riformati a causa di gravi ferite o mutilazioni dovute ad eventi bellici, era di stanza all’Hotel des Invaliodes e alla Bastiglia ma era generalmente adibita alla sorveglianza di parchi e 12 giardini e alla repressione della prostituzione: la Garde invalide non era in condizione di difendere né les Invalides né la Bastiglia, non era in condizione di difendere neanche sé stessa. Il Governatore della Bastiglia marchese de Lunay non era considerato il miglior Governatore possibile ed era soggetto di critiche e contestazioni della sua venalità, come era stato affermato da un ospite della Pastiglia il marchese Donatine-Alphonse-François de Sade in una lettera denuncia del 1787: “Monsieur de Sade fa presente ai signori ufficiali dello Stato Maggiore che il signor Governatore gli fornisce vino a tal punto adulterato da turbare quotidianamente la sua salute; mentre non è certamente intenzione del Re di permettere al Governatore che sia rovinata la salute di coloro che gli sono affidati in custodia e del cui nutrimento deve preoccuparsi; tanto più che tale mancanza serve unicamente a riempire la borsa del signor de Launay, o dei suoi servitori. …”15. Il 2 luglio il marchese invocherà aiuto dalla finestrina della sua cella gridando che si stavano sgozzando alcuni prigionieri, era vero o solo un incubo del Marchese? La fortezza si liberava degli ospiti indesiderati o era un’altra paura ossessiva a cui il marchese dava voce? De Sade si trovava imprigionato nel carcere della Bastiglia proveniente da Vincennes, non poté essere liberato dai rivoltosi in quanto il 4 luglio del 1789 verrà trasferito al manicomio di Charenton, da cui ne uscirà il 2 aprile 1790, aveva passato nove mesi a Charenton, dopo i cinque anni e mezzo alla Bastiglia ed i precedenti cinque anni e mezzo a Vincennes. Il Comitato permanente decise che bisognava parlamentare con il Governatore della Bastiglia al fine di ottenere munizioni per i moschetti e polvere da sparo nonché lo spostamento dei cannoni che armavano i bastioni della fortezza ed erano puntati verso i caseggiati del fauborg Saint-Antoine; non venne affatto avanzata la richiesta di resa della Bastiglia. La prima delegazione in rappresentanza del Comitato permanente giunse alla Bastiglia intorno alle 10 della mattina del 14 luglio, venne ricevuta amichevolmente e invitata a colazione, la colazione si protrasse a lungo e una folla minacciosa si era adunata fuori del ponte levatoio. Il Governatore in segno della sua buona volontà ordinò che si arretrassero i cannoni posti sui bastioni ma la sfiducia della folla aveva preso il sopravvento, si credé e si gridò che fossero stati fatti arretrare per ricaricarli. Il protrarsi dell’incontro fece temere che la delegazione fosse stata arrestata, la folla assiepata iniziò a rumoreggiare e senza consultare il Comitato permanente riunito all’Hotel de Ville il distretto di Saint-Louis de la Culture immediatamente vicino alla fortezza e quindi più esposto all’eventuale e temuto cannoneggiamento decise di inviare una seconda delegazione con il mandato della richiesta di resa. Il Governatore rifiutò la resa ma assicurò la seconda delegazione , guidata dall’avvocato Thuriot de la Roziére, che avrebbe ordinato di non sparare contro la folla; questa volta il capo delegazione ritornò subito a riferire 15 Sade: lettere da Vincennes e dallaBastiglia. Acura di Lugi Bàccolo 13 l’esito del confronto alla folla assiepata nel più esterno dei due cortili esterni che conducevano al secondo ponte levatoio che de Launay aveva lasciato alzato, ma indifeso. La folla, verosimilmente, affamata, stanca e accaldata non accolse bene un ulteriore compromesso dilatorio che celava il diniego di consegnare le munizioni e la polvere da sparo da assegnare alla Milizia: al di là delle frasi di circostanza il diniego del Governatore significava che la città e il popolo di Parigi sarebbe rimasto indifeso. Venne informato anche il Comitato permanente che decise di inviare una ulteriore delegazione presieduta sia da Thuriot che da Ethis de Corny che aveva già guidato la delegazione a des Invalides, alla folla apparve una ulteriore, inutile e anche pericolosa, dilazione e due manifestanti si arrampicarono sul muro che recintava il cortile esterno e abbassarono il ponte levatoio lasciato incustodito; i soldati di guardia sulle torri facevano strani gesti che parvero essere gesti di amicizia e di richiamo;la folla credé di capire che erano inviti ad avanzare, e alcuni manifestanti sospinti dalla calca avanzarono e scavalcato un locale adibito a profumeria prese ad abbassare il primo ponte levatoio che cadendo schiacciò un uomo che era rimasto troppo vicino al fossato: i manifestanti superarono il ponte e si accalcarono nel cortile interno, la situazione era diventata pericolosa e i soldati presero a sparare sulla folla: la gente si ritirò e si mise, per come poté, al riparo ma furono contati 98 morti e 76 feriti. Non è accertato se i soldati spararono a seguito di un ordine del Governatore o se, invece, furono presi dal panico e spararono senza aver ricevuto alcun ordine, né forse sarebbe neanche stato necessario alcun ordine in quanto gli assedianti erano ormai pericolosamente prossimi a sfondare e superare le ultime difese. All’hotel de Ville la preoccupazione era crescente e si decise di inviare al Governatore de Launay una ulteriore delegazione con una ordinanza di consegnare le munizioni e lasciare il comando alla Milizia cittadina che così avrebbe preso possesso della fortezza in nome della città di Parigi. In realtà era una ulteriore mediazione rivolta ad affermare l’autorità del Comitato cittadino sia nei confronti del Governatore che del popolo degli assalitori. Comunque la delegazione nonostante che sventolasse fazzoletti bianchi per farsi riconoscere e ricevere fu strattonata dalla folla e respinta da de Launay e non riuscì a comunicare alcunché; nel frattempo i morti ed i feriti venivano trasportati all’Hotel de Ville e nella confusione divampano critiche e recriminazioni: il presidente del Comitato Flesselles venne accusato di non aver saputo procurasi né voluto distribuire le armi lasciando così il popolo senza difese, il Comitato non seppe decidere di meglio che inviare una quarta e ultima delegazione preceduta da un tamburino e da una bandiera, la delegazione fu accolta da parte degli assediati che non si fidavano affatto da una scarica di fucileria e dovette ripiegare. La folla si mise al riparo e la rabbia si accrebbe in quanto la gente credeva che era stata invitata ad avanzare allo scoperto solo per massacrarla; la 14 situazione era ancora aperta, la Bastiglia era assediata ma non aveva ceduto ed il protrarsi dello stallo accentuava il rischio che l’intervento di eventuali truppe regie di soccorso avrebbero gli assalitori contro le mura della fortezza, un certo Hulin, già sergente delle guardie e all’epoca direttore di una lavanderia e futuro generale, convinse un distaccamento della Guardia francese forte di quattro cannoni che occorreva partecipare allo scontro cinque cannoni posseduti dagli insorti, si portarono a circa trenta metri dal ponte levatoio ancora alzato, i cannoni vennero messi in postazione e armati. Il rapporto di forze non era stato invertito ma per gli assedianti non era più così decisamente sfavorevole. Il governatore si era rifiutato di consegnare la Bastiglia alle Milizie borghesi ma lasciò che la folla di dimostranti sfasciasse a colpi d’ascia un ponte levatoio ed alla fucileria dei dimostranti si era risposto con una cannonata che aveva disperso i dimostranti lasciandone sul campo un centinaio tra morti e feriti; insomma, si era dimostrato di non stare dalla parte dei manifestanti ma non si seppe difendere la fortezza De Launay è sfiduciato e si rivolge alla guarnigione per chiedere la loro opinione: l’alternativa era continuare la difesa sparando ancora sulla folla e fino a far esplodere la fortezza o di arrendersi chiedendo la capitolazione. La guarnigione della fortezza era di soldati invalidi, in realtà non erano eroi e non pensavano che valesse la pena una ulteriore strage degli assedianti e il sacrificio della vita, perché? Per i servizi già resi senza riceverne alcuna gratitudine? Per una Corte e un Re al sicuro tra i lussi di Versailles? Per i soccorsi che non erano arrivati? Sarebbe bastato l’intervento di solo uno dei sei reggimenti accampati alle porte della città per capovolgere lo scontro. Nessuno aveva voluto rischiare, perché avrebbe dovuto sacrificarsi proprio la raccogliticcia guarnigione della Bastiglia? Forse i difensori, per quanto pochi, erano in condizioni di difendere ancora la Bastiglia e la resa non era inevitabile ma nessuno sembrò crederlo, anche il Governatore de Launay non ne era più convinto di poter difendere la fortezza e minacciò di far esplodere i depositi di polvere da sparo e di munizioni, ma nessuno dei suoi uomini lo seguì in una fine così disperata. La truppa scelse la capitolazione ed il Governatore non seppe né volle contrastarla, forse anche per il Governatore era più facile che non fosse lui a decidere. Fu ragionevolezza? Fu viltà? Forse né l’una né l’altra o l’una e l’altra insieme; resta il fatto che nessuno tra gli assedianti patì l’affanno di questo dilemma e proprio in ciò è la indiscussa forza del vincitore. Sembra accertato che non uno dei 15 cannoni posti in cima alle torri aveva sparato. I difensori avevano sparato una o due raffiche con un cannone caricato a mitraglia e solo quando la folla aveva invaso il cortile, né esisteva alcuna breccia nelle mura in quanto il ponte levatoio era stato abbassato dall’interno. 15 Così raccontò M. Pasquier che si era avvicinato alla fortezza per osservare gli eventi: “La resistenza fu assolutamente inesistente, fu sparato solo qualche colpo di fucile. … Quello che ho visto perfettamente, è l’azione dei soldati che, dall’alto delle torri, alzando in aria i calci dei loro fucili, manifestavano in ogni maniera possibile, con i gesti di rito in queste circostanze, la loro volontà di arrendersi”.16 De Launay scrisse la richiesta di capitolazione su un foglietto che qualcuno sventolò in una fessura del ponte levatoio ancora alzato, per prenderlo gli assedianti sporsero una lunga tavola che superava il fossato e su di essa si inerpicò uno dei dimostranti, un calzolaio, ma perse l’equilibrio e cadde nel fossato, ne seguì un altro che preso il biglietto tornò indietro e lo consegnò a Hulin che lo lesse alla gente assiepata. La gente non era contente di concedere la capitolazione né nessuna cosa che potesse apparire un qualche riconoscimento di alcunché: in quel mentre il ponte levatoio venne abbassato, certamente dall’interno e forse non per ordine del Governatore che era ancora in attesa di una risposta di accettazione: così una folla tumultuante attraversò il ponte levatoio e la Bastiglia venne occupata dai dimostranti. Il Governatore a cui era stato promesso un salvacondotto per raggiungere gli elettori all’Hotel de Ville si consegnò a Pierre-Augustin Hulin che però non riuscì a sottrarlo al furore della folla, lungo la strada e tra due ali di una turba inferocita venne linciato e poi, già in fin di vita, affidato ad un cuoco di nome Dénot che gli tagliò la testa con abilità professionale con un coltellaccio da macellaio. La testa del povero Governatore che non volle arrendersi né seppe difendere la Bastiglia fu issata su una picca e sarà portata in giro per le strade di Parigi. Frugando nelle tasche del Governatore de Launay si trovò una lettera del prevosto dei mercanti, Flesselles e un’altra del capo di stato maggiore de Lorme; Flesselles venne ucciso con un colpo di pistola, anche a costoro venne staccata la testa dal collo e issate sulle picche furono portate al PalaisRoyal e poi in giro per le strade della città. Così meditò Saint-Just: “L’impeto e la sciocca esultanza avevano reso il popolo inumano; l’attentato lo rese fiero, la fierezza geloso della sua gloria” Per i cultori della materia questi episodi potrebbero prefigurare quel che sarebbe stato della Rivoluzione: la testa di de Launay che non seppe difendere un luogo simbolo del Regime, la testa di Flesseles il prevosto dei mercanti e dei commercianti che da lì a poco sarebbero stati imputati di fare i loro egoistici affari inflazionisti a scapito del popolo e la testa di de Lorme capo di stato maggiore di un militarismo sbandato quanto incapace di difendere la nazione. Federico Rampini riporta opportunamente le considerazioni di Frédéric Buche ( Les Revolutions francaises – Fayard 1989): “Ciò che in ultima analisi decide 16 A. Castelot: cronaca della Rivoluzione francese 16 la sorte del movimento è il comportamento delle forze di repressione. Se queste forze superano una certa soglia di disorganizzazione, se tra di esse si diffonde il dubbio sulla legittimità della repressione, allora l’insurrezione non può che vincere. …I Regimi vengono travolti dall’incapacità di difendersi più che dall’intensità dell’attacco.” O, forse, quel che decise l’esito dell’assedio fu la mancata pioggia: il giorno fece molto caldo ma la sera piovve a dirotto e così prosegui nella notte; la spianata della Bastiglia non era un luogo idoneo per ripararsi da una violenta pioggia e, forse, qualche ora in più avrebbe convinto le truppe ad intervenire o il Comitato dell’Hotel de Ville a cercare e concludere una qualche mediazione politica, ma il tempo scorse via veloce e non piovve. Nella presa della Bastiglia le due legittimità si incontrano e si alimentano l’una con l’altra: della crisi della legittimità del potere era consapevole la folla di manifestanti che s’impossesso delle armi custodite all’hotel des Invalides e assalì la fortezza, la crisi della legittimità ad esercitare la repressione divenne chiara e manifesta con il procedere dell’assedio; il sistema di potere della monarchia si frantumò e si sbriciolò in quanto delegittimato, e quindi incapace, di esercitare il potere di offesa e quello di difesa. Così la presa della Bastiglia un episodio in sé non dirompente e, forse, rimediabile segnò l’irreversibile avvio della Rivoluzione. La stesa notte tra il 14 ed il 15 luglio, la Bastiglia era capitolata intorno alle h. 18, la Milizia si recò sulla via verso Versailles a distruggere i ponti di Sèvres e Saint-Cloud al fine di scoraggiare o di rallentare una eventuale e temuta marcia di aggressione delle truppe reali contro la città di Parigi. Quel che destò stupore è la ferocia, la ferocia del popolo che sembrò esplodere di per sé e al di là degli intenti degli elettori e del Comitato permanente, una ferocia imprevista dagli stessi assediati, la sfrenatezza dello scoppio di ferocia e dell’enfasi di gioia del popolo vincitore; così ebbe a ricordare Saint-Just, giovanissimo testimone: “La debolezza generò la crudeltà; io non credo che si sia mai visto, fuorché presso gli schiavi, il popolo portare in trofeo la testa dei più odiosi personaggi in cima ale lance, bere il loro sangue, strappare loro il cuore e mangiarlo. …Io l’ho veduto in Parigi. Ho sentito le grida di gioia del popolo sfrenato che si divertiva con i brandelli di carne gridando: viva la libertà!”17 In realtà Saint-Just si stupisce della barbarie di quel 14 luglio e per quanto non sembra condividerla rimprovera non chi la commise ma la riconduce alla responsabilità del Regime monarchico dominante di averla covata e alimentata; insomma, ancora e sempre la colpa, se c’era colpa, era della monarchia. Della medesima idea è Babeuf che fu testimone di quegli avvenimenti e così scrisse alla moglie: “I supplizi di ogni sorta, lo squartamento, la tortura, la ruota, i roghi, la frusta, le forche, i boia che dovunque si moltiplicavano ci 17 Citato in: La Rivoluzione di E. Quinet 17 hanno appreso dei costumi così cattivi! I padroni invece di educarci, ci hanno reso barbari perché lo sono essi stessi. Essi raccolgono e raccoglieranno quello che hanno seminato, poiché tutto ciò, mia povera moglie, avrà un terribile seguito: non siamo che agli inizi.”18 Sgozzare un gabelliere, estrargli le budella dal ventre e farsene una collana era una esibizione feticistica era un atto di ferocia che eccitava la frenesia degli altri, il nemico veniva sbrindellato e le sue parti venivano portate in trionfo come monito ed esempio per chi attentava alla sopravvivenza del popolo. Babeuf si riferisce ad una realtà dell’Ancien Regime: “Nell’Antico Regime i condannati a morte, soprattutto se colpevoli di lesa maestà, cioè di alto tradimento, non venivano giustiziati in segreto, ma erano sottoposti a terribili supplizi pubblici, e i loro corpi dilaniati rimanevano esposti per ammonimento del pubblico. Queste orrende pratiche furono prese in eredità dalla Rivoluzione, e il Governatore della Pastiglia fu il primo di una serie terribilmente lunga. Il popolo ora era sovrano e prendeva su di sé la prima caratteristica della sovranità: quella della giustizia spettacolare.”19 La folla di popolo che ha assalito e conquistato la Bastiglia rimane per larga parte anonima come una sorta di vento che sorge improvviso e sembra spirare da ogni parte: in seguito la Rivoluzione vincente assegnerà 954 onoreficenze al merito della Bastiglia, la sera del 14 ne vennero assegnate 633, alla fine del mese di luglio saranno 863 e poi ci si fermò a 954. Lo storico G. Rudé ha rilevato che ne furono insigniti soprattutto gli artigiani e operai del fauborg Saint-Antoine, il più minacciato dai cannoni della fortezza e uno tra i quartieri popolari più impegnati e fedeli alla Rivoluzione; è dubbio se tale, successivo, riconoscimento al merito premiò coloro che effettivamente parteciparono all’impresa o se invece, come spesso sarà in seguito, coloro che al momento della premiazione appariva politicamente opportuno premiare. Resta il fatto che di quella folla di cenciosi e affamati sbandati vagabondi e diseredati ignoti che affollava Parigi la stessa Rivoluzione vincente non aveva bisogno, ne aveva paura e non intendeva né tramandarne il ricordo né premiare in vita. Con la presa della Bastiglia la rivolta divenne Rivoluzione, due sembrano essere le motivazioni essenziali e speculari: la sensazione di abbandono avvertita dalla popolazione e il senso di insicurezza verso il sempre crescente carovita e l’invasione di sbandati, di vagabondi e di mendicanti che si era riversata su Parigi. Parigi si sentiva assediata, e lo era veramente da sei reggimenti di truppe straniere, truppe assoldate dalla Corte e dal Re e accampate fuori delle sue porte, si sentiva già invasa dalla carestia e dal carovita, si sentiva assaltata di continuo entro le sue stesse mura dai briganti e dagli sbandati. 18 19 Citato in: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione di M. Winock A. Prosperi e P. Viola: Dalla Rivoluzione inglese alla Rivoluzione francese 18 Quella dei briganti era una ossessione che percorse gli anni dall’1787 al tutto il 1790, la gente si sentiva abbandonata e minacciata e, quindi, era un bisogno reale quello di indirizzare la sensazione di insicurezza e di impotenza verso qualcosa di concreto e, nello stesso tempo, di misterioso come i briganti; così come la penuria e gli alti prezzi del pane venivano attribuiti ad un complotto degli aristocratici e degli accaparratori gli era attribuita anche la presenza e l’azione dei briganti e l’immobilismo degli stati generali. Se i nobili avessero davvero avuto ai loro ordini i briganti, se avessero dominato il commercio delle granaglie e se fossero stati capaci di relegare nell’immobilità gli stati generali avrebbero dovuto vincere lo il conflitto sociale e civile che scuoteva la Francia; ma non era così: i briganti, i malfattori e gli sbandati andavano lì dove c’era da saccheggiare e rubare impunemente, gli accaparratori cercavano solo di trarre il massimo profitto in un mercato caratterizzato dall’aumento della domanda e la crisi dell’offerta e gli stati generali erano bloccati perché ancora nessuno aveva la forza di vincere e nessuno accettava di perdere. Il potere istituzionale oscillava tra la vessazione e l’abbandono della gente a subire ogni rischio, la gente si sentiva abbandonata e minacciata e voleva solo armarsi per potersi difendere e impedendogli di armarsi gli si impediva proprio di difendersi, difendersi da tutti. Dalle truppe mercenarie accampata alle porte della città, dai vagabondi e dagli sbandati che vagavano per la città, dall’egoismo speculativo dei mercanti e dei commercianti che imponevano scarsità di merci e alti prezzi. E’ verosimile e probabile che qualcheduno provasse a trarre vantaggio dall’esasperazione della gente: il duca d’Orleans per odio verso Luigi XVI, i finanzieri in appoggio a Necker, alcuni importatori in dispregio delle gabelle doganali? Tutti costoro e, forse, altri ancora sperarono e, forse, operarono affinché le cose volgessero a loro favore e perché la gente avrebbe dovuto rifiutarne la simpatia e, forse, l’appoggio? Quando la scelta diventa netta colui che non è con il proprio avversario più vicino può diventare, almeno per un tratto di via, amico e finanche il con il nemico più lontano ci si può alleare contro e verso il nemico più vicino. Scrisse Marat: “La Bastiglia mal difesa, fu conquistata da alcuni soldati e da una turba di disperati, nella maggior parte tedeschi e provinciali”; in realtà erano alcuni giorni che affluivano a Parigi gente di ogni risma e si erano già verificate violenze e saccheggi di botteghe, depositi e persino qualche convento; così commenta Michelet: “La Bastiglia, bisogna dirlo, non fu presa. Essa si consegnò”; così commentò Rivarol: “E’ a questo che si riduce la tanto celebrata dal popolino di Parigi, presa della Bastiglia. Pochi rischi, molte atrocità, e una pesante imprevidenza da parte di M. de Launay; ecco tutto, non fu, in una parola che una presa di possesso”20, di analogo parere fu 20 A. Castelot: cronaca della Rivoluzione francese 19 Chateaubriand: “la presa della Bastiglia si ridusse all’assalto contro alcuni invalidi e un Governatore timido”21 Di diverso avviso fu, evidentemente il generale Besenval che così scriverà nelle sue memorie: “L’avviso dei generali riuniti alla Scuola Militare fu che era impossibile reprimere questo fermento, nel momento in cui le nostre truppe manifestamente vacillavano; che contatti avvenivano al di fuori della nostra vigilanza e che un colonnello mi assicurò, con le lacrime agli occhi, che il suo reggimento non avrebbe marciato”22 Non è che le motivazioni addotte dal generale siano particolarmente convincenti: in realtà Besenval scarica la responsabilità sullo scarso spirito combattivo della truppa e sulle infiltrazioni di spie e disfattisti. Niente di nuovo, era diffuso prima di lui e lo sarà ancor di più dopo; emerge, però, un chiaro insegnamento che non bisogna credere alle lacrime dei colonnelli, mai. I prigionieri di cui tanto si era detto erano in sette, nessuno tra essi era vittima del dispotismo reale: quattro falsari, un conte incarcerato per reati sessuali e due disturbati mentali, il Marchese de Sade era stato trasferito dieci giorni prima a Vincennes, qualcuno tra gli assalitori consegnarono allo Châtelet alcune cose che nella confusione erano state trafugate: l’orologio d’oro del Governatore, la sua borsa, le sue fibbie d’argento e le sue chiavi; in realtà le cose distrutte e trafugate furono molte di più e, forse, più di valore. Il giorno 14 luglio il Re non aveva ben compreso, non fu la prima e non sarà l’ultima volta, quel che stava accadendo nella capitale del suo Regno, sembra che d’intesa con de Breteuil meditasse di far intervenire contro Parigi il maresciallo de Broglie e l’esercito, anche per meglio disporre alla rassegnazione i deputati riottosi; invece a differenza del re l’Assemblea, riunita in permanenza dalla estromissione di Necker, veniva informata in tempo reale e venne a sapere la tarda sera del 14 della capitolazione di des Invalides e della Bastiglia. I deputati riuniti nel corso della notte predisposero e inviarono al Re, l’una dopo l’altra, due delegazioni per informarlo della giornata parigina; alla seconda il re parve turbato ma non ebbe a decidere niente, né a favore né contro, né in bene né in male. Nel corso della stessa sera e notte che il Re non decideva niente Besenval, caduta la Bastiglia, ripiegò con le sue truppe verso Saint-Cloud e anche questo ripiegamento venne vissuto ed esaltato dai parigini come una sconfitta della Corte e del Re: fu un ripiegamento tanto repentino da apparire una ritirata ed una rotta: sotto la pioggia battente la formazione militare riparò a Sèvres dove la gente si rifiutò di alloggiarli. Nei giorni successivi il generale Besenval sarà arrestato né sembra che la truppa ai suoi ordini lo impedisse, Besenval avrà l’aiuto dal suo amico e compatriota Necker che subito dopo il suo ritorno a Parigi darà l’ordine di liberarlo; ma l’ordine non sarà eseguito: solo pochi giorni dopo la presa della 21 22 M. Winock: Francia 1789 cronaca delle Rivoluzione M. Winock: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione 20 Bastiglia il nuovo potere e il popolo non intendevano più obbedire a quel che non ritenevano giusto, anche se proveniva da Necker che avevano difeso dal Re e avevano imposto che ritornasse al Governo. La mattina del 15 luglio il re viene nuovamente informato degli avvenimenti: no non era stato un incubo notturno e la storia procedeva più velocemente di Luigi XVI e della Corte reale: su consiglio del duca di Liancourt il Re decide di recarsi all’Assemblea, si presenta a mattino inoltrato accompagnato solo dai suoi due fratelli proprio nel mentre l’Assemblea stava decidendo di inviare al Re una ulteriore delegazione di 24 deputati per convincere Sua Maestà di ordinare il ritiro delle truppe nei rispettivi acquartieramenti, di assicurare il vettovagliamento a Parigi ed a legittimare l’istituzione della Milizia cittadina. Luigi XVI parve seriamente preoccupato della situazione che si era determinata e, di fatto, chiese l’aiuto dell’Assemblea: “Aiutatemi, in questa circostanza, ad assicurare la salvezza dello Stato; me lo aspetto dall’Assemblea nazionale. Lo zelo dei rappresentanti del mio popolo, riuniti nell’interesse comune, me ne è sicura garanzia. Contando sulla fedeltà dei miei sudditi, ho dato ordine alle truppe di allontanarsi da Parigi e da Versailles. Vi autorizzo, anzi vi invito a far conoscere le mie disposizioni alla Capitale”. Un tale riconoscimento del ruolo e della funzione di governo dell’Assemblea nazionale e non più degli “Stati generali” come fino ad allora la Corte si ostinava a denominarli, la dichiarazione di ritiro delle truppe e l’invito che fosse proprio l’Assembea ad informare Parigi costituivano tutti elementi di una importante legittimazione impensabile fino al giorno prima. Il presidente dell’Assemblea l’arcivescovo di Vienne replicò individuando nei cambiamenti sopravvenuti nel Consiglio dei ministri la causa principale dei disordini e affermando, quindi, nel suo stile clericale che “la causa principale” andava rimossa. Insomma, Luigi XVI accompagnato dai suoi due fratelli aveva avanzato una rilevantissima apertura di credito verso i deputati e costoro, con la replica del loro Presidente, avevano rilanciato segnalando che la nomina del Consiglio dei Ministri non costituiva una decisione esclusiva del Re ma interessava anche l’Assemblea. Nessuno aveva esplicitamente delegittimato o legittimato i fatti del giorno prima e nessuno sembrava interessato al disagio sociale che affliggeva il popolo e la città di Parigi, un osservatore dei nostri giorni parlerebbe di uno scontro di potere e di legittimazione, cioè un conflitto politicista e di un disinteresse, da parte di tutti, delle reali condizioni di vita della gente. Ma i problemi che non si sanno o non si vogliono risolvere si ripresentano imperterriti all’uscio del futuro più o meno prossimo. L’ambasciatore di Inghilterra, duca di Dorset, rimase favorevolmente impressionato e si avventurò in una valutazione che si dimostrerà essere solo un auspicio: “ In questo momento, possiamo considerare la Francia un Paese libero, il Re come un monarca i cui poteri sono limitati e la nobiltà ridotta al 21 livello del resto della nazione”: La valutazione del duca di Dorset era assolutamente chiara e l’uso del “ in questo momento” costituisce una opportuna cautela diplomatica; l’Ambasciatore però sembra dare tutto per già avvenuto e, invece, non sarà che l’inizio. Le cronache e le memorie dei contemporanei riportano che il ritorno del Re al Castello fu uno strepitoso successo: i deputati lo accompagnarono facendo ala alla folla entusiasta che voleva vedere il Re, applaudirlo e toccarlo. Il pomeriggio dello stesso giorno una delegazione di deputati si recò a Parigi e incontrò una delegazione degli elettori e del Comitato permanente, tutti vollero capire che era una esplicita approvazione di quanto era accaduto i giorni scorsi ed un chiaro riconoscimento della nuova Autorità cittadina. A Parigi il 15 luglio è il giorno della gioia e della organizzazione dei nuovi equilibri politici, all’Hotel de Ville si riuniscono i 407 elettori della città, cioè coloro che con una elezione di secondo grado avevano votato i deputati agli Stati generali, e circondati da una folla di comuni cittadini e di soldati della Guardia francese ascoltano l’intervento di La Fayette appena arrivato da Versailles: La Fayette riferisce dell’intervento di Luigi XVI all’Assemblea, evidenzia le sue parole pacificatrici e le testimonianze di amore ricevute nel rientro al castello. Gli elettori proposero al generale di assumere il comando della Milizia parigina e chiesero a Bailly, astronomo e deputato di Parigi, di diventare sindaco della città: i due vennero nominati per acclamazione e accolsero la richiesta riservandosi di accettare formalmente dopo la ratifica dell’Assemblea. Nominati i vertici politico e militare del governo cittadino tutti si recarono, su proposta dell’Arcivescovo di Parigi, a Nôtre-Dame ad ascoltare il Te Deum: ossia la legittimazione religiosa si assommò a quella politica. Evidentemente tutto ciò era chiaramente illegittimo sul piano istituzionale: gli elettori avevano solo una funzione elettorale e non potevano eleggere né il sindaco né il comandante di una milizia istituita illegalmente solo due giorni prima e non riconosciuta nell’ordinamento militare vigente, era altresì illegittimo che i due candidati si rimettessero alla ratifica dell’Assemblea, cioè del rinominato terzo Stato, che non aveva assolutamente alcuna competenza riguardante la nomina di un sindaco e di un comando militare. In realtà fu la carnevalata dell’illegalità istituzionale e dell’arbitrio della forza ma quando la gente, tutta la gente, ritiene di essere nel giusto per affrontare e risolvere una esigenza ineludibile e necessaria chi può opporre una legittimità formale? E quando la legittima forma istituzionale viene accantonata chi può prevalere se non con la forza? Il giorno successivo, 16 luglio, l’Assemblea nazionale reitererà al Re la sua richiesta del reincarico a Necker e del conseguente allontanamento dei ministri nominati successivamente nonché il ritiro e l’allontanamento delle truppe dalle porte di Parigi, riguardo il reincarico il Re non cede alla sollecitazione e non risponde, riguardo alle truppe la risposta del Re non si fa 22 attendere ed è positiva: il pomeriggio stesso si avvia la smobilitazione delle truppe. Il giorno immediatamente successivo alla nomina il problema che si pose a Bailly e a La Fayette fu di consolidare il loro incarico in termini di determinazione della catena di potere e di comando in quanto con la loro nomina era stato definito il vertice ma c’era da costruire la base che avrebbe dovuto sostenerlo: Bailly chiese che si organizzasse una consultazione tra i distretti cittadini al fine di eleggere una assemblea municipale che di fatto avrebbe esautorato il Comitato degli elettori e La Fayette propose di cambiare la Milizia cittadina in Guardia nazionale e chiese che i 60 distretti cittadini nominassero un loro rappresentante e che i 60 nominati individuassero sedici membri di un comitato militare posto ai suoi comandi. Di fatto il Comitato degli elettori aveva nominato e acclamato, arrogandosi una competenza inesistente ed un potere improprio, un sindaco ed un comandante della Milizia che per prima cosa vollero esautorare proprio lo stesso Comitato. Il 16 luglio il Comitato permanente decise di abbattere la fortezza e l’incarico di demolirla venne affidato ad un certo Palloy, imprenditore e patriota. Palloy era un imprenditore intelligente e creativo, assunse circa 1000 operai che rapidamente completeranno la demolizione nel febbraio 1790; qualcuno sostiene che i lavoranti di Palloy erano già presenti sul posto dalla mattina del 14 partecipando all’assedio e stando ben attenti a che ci fossero saccheggi e già la sera del 14 luglio cominciarono subito, due giorni prima che il Comitato avesse proceduto alla assegnazione dei lavori, il loro lavoro spegnendo gli incendi e svuotando di ogni cosa le sale della fortezza. Palloy recuperò tutti i materiali di risulta, con le serrature fece fondere delle lame di spada e di una ne fece omaggio a La Fayette, con le pagine dei registri fece stampare delle carte da gioco,le ceneri dei titoli di nobiltà le riutilizzò nella produzione di mastice, con il marmo dei camini il gioco del domino di cui omaggiò il delfino di Luigi XVI, con i bottoni dei gioielli e con il piombo dei suggelli delle catene confezionò delle medaglie; ma il tocco di genio Palloy lo espresse riutilizzando le pietre con cui era costruita la fortezza: le scardinò e su ogni pietra muraria recuperata fece scolpire il bassorilievo della fortezza e li disse: “apostoli della libertà” con la scritta “Questa pietra viene dalle prigioni della Bastiglia. Offerta da Palloy, patriota.”, ne fece omaggio ai potenti e ne fece profittevole commercio vendendoli con medaglie, calamai e tabacchiere souvenirs. Nel 1794 sarà accusato di concussione, ne sarà assolto e si ritirerà a vita privata. La domanda di souvenirs era alta, tutti ne volevano e Palloy cercava di soddisfare tutte le richieste: ebbe qualche contestazione sull’autenticità di tutto quel che vendeva e ammise che non tutti provenivano dalla Bastiglia in quanto: “Ho inviato una cassetta di questi materiali alle fabbriche, dove li hanno amalgamati con i materiali di loro fabbricazione”; Da notare è la 23 raffinatezza terminologica dell’ “amalgamare”, di cui non si sentiva responsabile perché imputabili erano le fabbriche che confezionavano la merce, che stava a significare la vendita di un falso Palloy fu un geniale imprenditore ma non un coerente rivoluzionario: già aveva omaggiato il Delfino del gioco del domino e La Fayette della spada, su alcune pietre fece incidere il ritratto di Luigi XVI ma fu tra coloro che lo inseguiranno per la strada di Varennes e il 10 aprile sarà tra gli assalitori delle Tuileries, esigerà la morte del Re e degli aristocratici, da lì a poco onorerà l’Essere Supremo, scriverà versi di elogio per celebrare S.M. l’imperatore e Re Napoleone e altri versi di adulazione di Giuseppina prima e Maria Luisa dopo, né rinuncerà ad acclamare il “buon Re” Luigi XVIII e poi scrivere altri versi elogiativi del “buon Re, buon padre” Luigi Filippo, sarà0 decorato all’ordine del giglio d’oro prima del 1830 e riuscirà a farsi assegnare una pensione come “vincitore della Bastiglia”. Palloy superò gli eventi di due secoli e collezionò onorificenze da tutti i poteri ed i potenti in grado di darne ma non si fregiò di onorificenze alla memoria, lo neriterebbe: fu un artista geniale. Che chiedere ad un artista se non di esserlo? A sigillo della ritrovata sintonia il 17 luglio il Re accompagnato da pochi cortigiani e solo qualche guardia del corpo ma da ben 32 deputati, altre fonti riferiscono di 88 deputati in 40 carrozze, estratti a sorte raggiunge la capitale del Regno: Parigi, si reca in municipio e viene accolto dal nuovo sindaco l’astronomo Bailly e da una folta folla che grida: “viva la nazione, viva l’Assemblea nazionale, viva la costituzione”. Le notizie dell’epoca riferiscono di una folla straripante e ordinata: molti cittadini di tutte le condizioni sociali, uomini e donne, vestiti a festa insieme con soldati della Guardia francese in armi, gendarmi svizzeri e soldati di tutti i reggimenti con le loro insegne, preti e monache. L’immagine era di una nazione consapevole e unita. Lo storico E. Quinet non sembra credere alla retorica del momento e giustamente considera: “Ciascuno recitava una parte contraria alla sua vera natura. Luigi XVI dovette mostrarsi felice del fatto che la sua autorità era stata infranta il giorno prima; e cercava, effettivamente, di sorridere dinanzi alla folla di centocinquantamila uomini armati di falci, di picche, di fucili, che s’assiepavano al suo passaggio. Si racconta che dai suoi occhi scendessero delle lacrime quando dovette salire sul palco pavesato che era stato eretto per lui sotto le picche, all’hotel de Ville.” 23 Il sindaco, senza inginocchiarsi come previsto dal cerimoniale, consegnò al Re la coccarda cittadina, al rosso e blu iniziale era stato aggiunto in omaggio al Re un anello di bianco simboleggiante il bianco giglio della stirpe reale; Il Re se la appunta al cappello e dichiara di approvare la costituzione della 23 E. Quinet: La Rivoluzione 24 Milizia borghese, la nomina di Bailly, da cui aveva ricevuto immediatamente prima la coccarda, a sindaco e di La Fayette a comandante della Guardia. Luigi XVI sarà sembrato impacciato ma nessuno era in condizione di distinguere se fosse il normale impaccio che lo contraddistingueva o se, invece, l’impaccio fosse dovuto al dover recitare una parte in commedia che non condivideva. Come osserva lo storico Quinte: “Da ogni parte ci si ostinò a lasciare a Luigi XVI la corona, quando gli era stata sottratta la forza di portarla”. Insomma tutto voleva lasciare intendere una riconciliazione tra il Re e la capitale del suo Regno e la rappresentanza del suo popolo ma l’ambasciatore T. Jefferson, futuro Presidente americano, nota la teatralità e annota: “Si tratta della scena più pericolosa tra tutte quelle cui io abbia assistito in America o che si sono svolte a Parigi negli ultimi cinque giorni. Ormai gli Stati generali sono totalmente al sicuro da ogni attacco, e anzi si può pensare che abbiano carta bianca. … In questo modo si conclude un atto di ammenda tale che nessun sovrano aveva mai fatto né alcun popolo ricevuto.”24 “Il 17 luglio appariva così come una nuova giornata propizia alla commedia degli inganni. Il Re , a forza di restrizioni mentali, aveva finto la riconciliazione, abbozzato sorrisi e portato la coccarda tricolore nella speranza di guadagnare tempo. La folla, secondo la tradizione, aveva additato al pubblico ludibrio i ministri ed i cattivi consiglieri per meglio esprimere il suo rispetto ad un monarca strappato agli splendori di Versailles e venuto quasi ad inginocchiarsi davanti al popolo sovrano. L’Assemblea che avevadato l’assalto all’assolutismo fin dalle prime riunioni degli Stati generali, si illudeva che i nobili e il clero non opponessero ormai la minima resistenza a partecipare alle sedute in comune con i rappresentanti del Terzo”.25 A parere dello storico E. Quinet il Re di Francia: “Era inevitabilmente costretto a ricorrere all’astuzia, dal momento che la violenza era diventata impossibile”; andrà proprio così ma l’astuzia non è mai un sostitutivo della forza che manca, quando si ha la forza la si può anche usare astutamente ma quando manca proprio la forza allora a niente serve il ricorso all’astuzia se non a irritare ancora di più chi la forza ce l’ha. Già il giorno successivo, il 18 luglio, c’è chi dimostra di aver capito tutto quel che c’era da capire: il conte di Artois, fratello del Re, il principe di Condé, Breteuil, de Broglie, Lambesc i Polignac,convinta ad espatriare dalla stessa Regina e tanti altri che hanno qualcosa da temere dai moti rivoluzionari iniziano l’emigrazione che allontanerà dalla Francia e dalla contesa rivoluzionaria tutti coloro che avrebbero potuto sostenere la monarchia e che lamentavano di non esserne sostenuti. La migrazione degli aristocratici non fu solo una fuga verso la libertà, partirono accompagnati dai loro servitori e da gran parte di coloro che erano 24 25 J. Godechot: La rivoluzione francese M. Winock: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione 25 legati alla loro munificenza, così scrisse nel diario la marchesa di Tour du Pin: “Si misero a taglieggiare le loro terre per portarsi dietro una grossa somma. I numerosi personaggi che avevano dei creditori, escogitarono questo modo per sfuggir loro. I più giovani lo consideravano un buon motivo per viaggiare, per raggiungere i loro amici, le loro comitive. Nessuno si preoccupava delle conseguenze che tutto ciò poteva avere”. Alla Corte si era saputo che a Palais Royal si andava già predisposta una lista di proscrizione in cui erano segnati anche il comandante delle guardie svizzere Besenval e gli amministratori Foulon e Bertier che si erano occupati degli acquartieramenti militari che cingevano Parigi come un assedio, Foulon e Bertier non faranno in tempo a emigrare. Foulon era particolarmente odiato e di lui si diceva che facendo il verso, con molta meno raffinatezza, a quanto si attribuiva alla, altrettanto odiata, Regina di Francia: girava voce che a fronte di una protesta dei suoi operai che denunciavano che i cavalli che accudivano avevano da mangiare più di loro avesse risposto: “Se hanno fame, che mangino l’erba”, ovviamente rivolto agli operai. Su Foulon era stata posta una taglia che certamente ne faciliterà la cattura, sarà arrestato il 22 luglio in casa di un amico e portato all’hotel de Ville: con vendicativo sarcasmo popolare era stato caricato di un fascio di fieno sulle spalle e un mazzo di ortica e cardi tra le braccia e al collo; il neoeletto sindaco Bailly decise che in attesa del processo venisse imprigionato nella prigione dell’Abbazia, né la decisione di Billy né gli inviti alla calma di La Fayette avranno ascolto. La gente trascinerà Foulon fuori dell’Hotel de Ville e lo impiccherà: una prima e poi una seconda corda non reggerà il peso dell’impiccato e occorrerà cingergli il collo con una terza corda per risolvere definitivamente la questione, l’impiccato sarà decapitato e gli si riempirà la bocca di fieno e portata in cima ad una picca per le strade di Parigi. Così finì Foulon accusato di accaparramento e di affamare il popolo, né la sorte sarà più benevola con Bertier: arrestato a Compiégne dove si era rifugiato sarà ricondotto a Parigi malmenato e deriso dalla folla, gli verrà squarciato il petto e il cuore e le viscere saranno portate all’Hotel de Ville. A pochi giorni dalla loro nomina né gli ordini di Bailly né gli inviti di La fayette erano stati eseguiti o ascoltati, la gente fece quel che voleva e come voleva. Il morbo dell’insicurezza percorse l’intera Francia, altri aristocratici sceglievano la via dell’esilio e la gente era assillata dal pericolo della reazione liberticida delle truppe reali e dal brigantaggio; i comuni si organizzarono alla maniera parigina e vennero costituite milizie in ogni città. A fine luglio l’ordine pubblico veniva garantito non più dalle istituzioni monarchiche ma dalle autorità locali. Tutti gli intendenti che rappresentavano il Re nelle province amministrative dette “généralités” avevano abbandonato gli uffici e non si facevano più vedere. Erano i giorni della “grande paura”, chi aveva le armi le nascondeva e 26 chi non le aveva cercava di procurarsele come poteva: “I contadini una volta armatisi non incontrarono sulla loro strada alcun brigante. Si scagliano allora contro i castelli e reclamano, per bruciarli, i vecchi documenti sui quali erano indicati i diritti feudali dei quali, nei “cahiers de doléances”, avevano domandato la soppressione. Se gli si resiste, i contadini giungono fino a incendiare le vecchie dimore signorili. Queste bande di insorti si temono reciprocamente, e sono temute dagli aristocratici”26 L’impressione che nessuno avesse la percezione e la convinzione di essere protagonista di un qualcosa da cui non si sarebbe più tornati indietro: si distruggono i documenti feudali per evitare che valessero in futuro, un futuro che si immaginava ancora simile al presente non immaginando che in un futuro, pur così vicino, sarebbe stato il diritto feudale a non esistere più indipendentemente dalla documentazione giuridica che lo asseriva. Necker che si trovava a Basilea, in Svizzera, sollecitato da due distinti messaggi, l’uno del re e l’altro della Assemblea, decise di rientrare a Versailles per quanto non apparve molto convinto: “Bisogna sottomettersi alle leggi della necessità” disse, ma la situazione era ancora più compromessa di come immaginasse. Madame de Staël che lo accompagnava riferisce di scene di giubilo e di riverenza: “Le donne, lontano nei campi, si inginocchiavano al passaggio della vettura; i primi cittadini dei luoghi attraversati prendevano il posto dei postiglioni per condurre essi stessi i cavalli e, nelle città, la gente staccava il tiro per trainare a braccia la vettura”. L’enfasi filiale era esagerata, il ritorno di Necker era certamente una grande vittoria dell’Assemblea e del popolo ma le nuove istituzioni cittadine organizzatisi dopo il 14 luglio e la gente non era affatto disponibile a rinunciare al potere conquistato solo da pochi giorni: Necker ordinerà di liberare il generale svizzero Besenval, suo amico, ma l’ordine non sarà eseguito ed il Generale dovrà sperare in una sorte più amica. Besenval sarà esplicitamente accusato da Du Puget, luogotenente del Re alla Bastiglia, di essere d’accordo con il suo compatriota Necker del non intervento militare prima a les Invalides e, poi, alla Bastiglia in soccorso di de Launay. Non sembra esistere alcuna documentazione in merito, certo è che proprio Necker aveva voluto Besenval a Parigi e che appena rientrato tenterà più di una volta, ancorché senza risultato, di liberarlo dalla detenzione, è altrettanto certo che Besenval informava direttamente Necker, oltre che de Broglie, generale comandante delle truppe di Parigi, del succedersi degli avvenimenti ed è ragionevolmente presumibile che Necker poteva avere un qualche interesse che i disordini di Parigi non venissero immediatamente soffocati in previsione di un suo eventuale ritorno al Governo, come poi sarà; è, altresì, 26 J. Godechot: La Rivoluzione francese 27 da considerare che i finanzieri ed i banchieri sanno bene che dai grandi disastri possono trarne grandi profitti. Insomma, non è da scartare pregiudizialmente l’ipotesi che Besenval non abbia saputo né voluto reprimere con la forza, e fin dall’inizio, la sommossa che provocò la presa della Bastiglia: Besenval è incolpabile di non aver saputo, o voluto, provocare o subire un danno minore al fine di evitare un danno maggiore e non è una colpa di poco; a sua discolpa viene ricordata l’inaffidabilità delle truppe al suo comando, non ci si poteva fidare di truppe che avevano “fraternizzato” e che avevano subito già consistenti perdite per le diserzioni e già numerosi reggimenti erano passati agli insorti o avevano dato prove inequivocabili di simpatia verso i manifestanti. Ma a che pro, allora, impiegare truppe mercenarie e, inoltre, non dovrebbe essere il primo dovere del comandante garantire dell’affidabilità delle sue truppe? Certo che in una città turbolenta e popolata di 600.000 persone appare, al senno di poi, che non fu una buona scelta quella di circondare la città di truppe e di lasciare quasi indifeso il centro cittadino ma, forse, questa scelta strategica non era imputabile al solo Besenval. E’ anche vero che la popolazione parigina non sopportava la presenza di truppe straniere e, se era effettivamente così, come si spiega la “fraternizzazione” e le continue diserzioni lamentate proprio da Besenval? Mirabeau no giustificherà affatto la ferocia e le crudeltà della collera popolare ma non perderà il senso della misura delle vicende: “Ah! Se la collera del popolo è terribile, quello che è atroce è il sangue freddo del dispotismo; le sue crudeltà sistemiche fanno più infelici in un giorno delle vittime immolate dalle insurrezioni popolari in un anno” Perché tanta ferocia e perché non rispettare gli ordini e gli inviti di coloro che si era nominato? Quale febbre malefica muove il popolo di Parigi? Mirabeau proverà a ragionare su un presente così drammatico e un futuro tanto incerto: “La società sarà ben presto disgregata e la gente si abituerà al sangue e al disordine, se si metterà al di sopra dei magistrati e sfiderà l’autorità delle leggi. Invece di correre verso la libertà, il popolo si getterebbe in breve tempo nell’abisso della servitù, poiché troppo spesso il pericolo provoca uno schieramento che aspira al potere assoluto e persino un despota appare allora un salvatore”.27 Mirabeau seppe guardare nel futuro con cinica e rara chiarezza, forse fu proprio questa consapevolezza del peggio che lo convinse a far di tutto, anche di male, per tentare di esorcizzarlo e di evitarlo. Il timore del peggio può spingere al male e la giustificazioni delle proprie azioni è confortante quando si legittima il proprio agire con la convinzione che quel che di male ci si appresta a fare servirà ad evitare il peggio prossimo venturo 27 M. Winock: Francia 1789 cronaca della Rivoluzione 28 Nei giorni successivi altre città della Francia seguirono l’esempio parigino dotandosi di nuovi poteri municipali e di milizie cittadine; no, osserva giustamente lo storico M. Vouvelle non fu una semplice imitazione del modello parigino ma i problemi della gente erano gli stessi: la carestia e il carovita, il rifiuto dei dazi e delle imposte municipali, la difesa dall’insicurezza e dal senso di abbandono. Comune a tutte le città ed alle genti francesi era l’anelito alla libertà, era la rivendicazione e l’affermazione della propria autonomia locale: la presa della Bastiglia segnò l’irreversibilità dello smottamento e della frana del sistema istituzionale ed amministrativo monarchico: segnò il punto di non ritorno. Nel corso dei giorni successivi L’anno successivo, il 14 luglio del 1790, la presa della Bastiglia sarà celebrata alla spianata del Campo di Marte: 20.000 operai con l’aiuto di molti volontari che completarono i lavori, che rischiavano di protrarsi oltre la fatidica data, scavarono due lunghi terrapieni, sulla riva della Senna venne innalzato un arco di trionfo che recava questa iscrizione: “Non vi temiamo più tiranni subalterni voi che ci opprimete con cento nomi differenti”. Rispetto all’anno precedente la situazione francese era cambiata moltissimo, le città francesi avevano seguito l’esempio di Parigi, erano insorte e si erano date nuovi rappresentanti; la manifestazione commemorativa ebbe una grande affluenza di popolo e di delegati delle guardie federate, 1 ogni 100, provenienti da tutta la nazione. Le cronache riportano che pioveva a dirotto ma i cortei di partecipanti che confluirono nella spianata del Campo di Marte erano pieni di entusiasmo, una orchestra e le salve di artiglieria accoglievano i cortei, dal palco La Favette sguainò la spada, forse la stessa ricevuta in dono dall’imprenditore e patriota Palloy, e giurò: “giuro di essere fedele alla nazione, alla legge e al Re”, Luigi XVI, invece, preferì non bagnarsi di pioggia e, malgrado le sollecitazioni di Mirabeau, non lasciò il riparo offerto dalla tettoia della tribuna e giurò da lì, venne offerto un banchetto per 25.000 persone e, anche nei giorni successivi, ci saranno balli alla piazza della Bastiglia, fuochi d’artificio, luminarie e l’ascensione di un aerostato. Nel corso della cerimonia si tenne la messa sull’altare della patria, la messa venne celebrata da Talleyrand, all’epoca ancora vescovo di Autun; che rivolto all’abate Louis disse sottovoce: “Non mi fate ridere”. 29