Canonico Fortunato Mondello
L’Arte nel Presepio
per le piccole figure degli scultori Nolfo
di Trapani
Rammento:
Io del presepio
Architettore e mago,
rocce eressi di sughero
legate con lo spago,
stesi di vetri un lago,
curvai di carta un ciel ….
Nella grotta miravano
I pastori di creta
E Maria tutta lieta
E il roseo Bambinel.
Ugo Fleres, Il Natale
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1
Convenevoli scuse
Il mio scritto veramente non ha bisogno di una prefazione d’uso; ma
mi si consentano brevi e nostalgiche parole; gravide dei miei originali e
ragionati piagnistei.
Ancora stavolta presento al mio paese, patria dell’indifferenza,
questo smilzo opuscolo. È una pagina d’arte ed una promessa a cui mi
sono legato sin dalla giovinezza, d’illustrare possibilmente e
mediocremente la pietruzza storica, che fregia la sua colorata cornice.
Pochi, o nessun dei contemporanei si son dati per intesi dei sopiti
ricordi, lasciati nascosti negli angoli, senza voglia di ricerche, né punto di
tempo migliorare. La passione dell’uomo è un gran tormento: nello
scrittore è una gioia ammirevole, radiosa visione di fallaci speranze.
Sono lusinghe ahimè! eppure è mestieri che vi aggiusti la mia fede: e
sin d’ora mi chiudo nel silenzio.
Trapani, 24 dicembre 1904.
Can. F. Mondello
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2
Erami noto che il cav. Alfonso Burgio, amante d’arte ed artista egli stesso in
pittura, i cui quadri, copiati su d’altri classici, imitano non solo lo stile del Sanzio,
del Correggio e del nostro Vito Carrera, ma rivelano l’intarsatura tutta propria di
quelle scuole, sino ad ingannarsi talvolta i tecnici più opposti dell’arte.
Il Burgio, discendente da illustre prosapia, benemerita alla nostra città per
uffici pubblici, e soprattutto per dottrina ed erudizione, messa alla prova in rari
studi, che onorarono le lettere e la scienza, possiede altresì una collezione di Pastori
per Presepio di una fattura, che attrae l’occhio e il sentimento.
Quel giorno della mia visita, che segnava il 22 novembre del 1904, sacro
all’angelica artista dei suoni, santa Cecilia V. e M. fu per me una festa deliziosa.
La mente mi suggeriva d’un tratto l’idea che le arti sono davvero sorelle; e la
musica, la pittura e la scultura armonizzavano in quel giorno con la brillanti note
del canto chiesastico, coi fantastici colori della tavolozza e con l’estetica dello
scarpello.
All’imaginazione dell’artista sorrisero i tempi, e gli si apriva allora un campo
vasto e variato alle sue concezioni. Spaziava su per gli orizzonti del cielo, e
toglieva a soggetto quelle sovrumane sostanze che il Cristianesimo denominò
Angeli. La prospettiva dell’eloquente natura delineò con le sue rocce, coi suoi
spechi, coi suoi annosi alberi, con le sue praterie floride e variopinte la scenografia
del paesaggio. Vi pose alcune specie di animali, e diè vita e movimento alle sue
ispirazioni, e siccome termine dei suoi concetti e del suo lavoro, vi collocò l’uomo
nelle diverse condizioni dell’esistenza.
Queste linee tracciate su la costa, mi sono apparse come il disegno, premesso
alla mia breve esposizione, la quale accenna alla conformazione del Presepio nei
suoi diversi elementi. In esso il cielo, la natura terrestre e l’arte offrono il
contributo al lavoro della pittura e della scultura, ove l’angelo, l’uomo e l’animale
svolgono parimente le armonie della scena campestre.
Riandare l’origine del Presepio è richiamarci adirittura a san Francesco
d’Assisi, la cui vita fu tutta un idillio di semplicità, lo quale gareggiò, se licemi la
frase, con gli elementi primi della natura, sospirando alla sovrana Idea, che
congiunge il sovrannaturale al naturale, l’infinito al finito, la scuola all’arte.
Io non mi fermo a riandare l’eglogo del Presepio, in cui si son provate destre
penen di scrittori, pennelli di pittori e scarpelli di scultori, più o meno valorosi; ma
piuttosto mi farò a tener parola sui nostri artisti concittadini, i quali si diedero con
maestria a scolpire dei Pastori per il Presepio, oggetto delizioso al fanciullo, allo
giovinetto e al gusto artistico del padre famiglia. il quale davasi briga a creare
montagne, a segnare il corso ai ruscelli e a rendere più gaio il panorama della
campagna betlemitica nei dì festivi del Natale.
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3
Trapani non ebbe soltanto in Giovanni Matera il celebre scultore di quelle
piccole figure, detti Pastori, dei quali trattò il Don Giorgio Hager, direttore del
Museo München, in Monaco di Baviera, 1 non che il prof. Salvatore Romano
Catania, che datosi ad accurate ricerche, salvò il nome e il genio dell’artista 2 ma
conta bensì con fra gli altri Andrea Tipa, non punto menzionato dal suo biografo in
questo genere di studi. 3
L’artistica famiglia Nolfo, rassegnando una serie di valenti scultori, in
marmo e in legno, nel secolo XVII e XVIII, diede alla nostra città illustre nome in
arte. Una notizia genealogica non sarebbe al postutto in fuora opera in questo
accenno artistico, finora ignoto alla cronaca cittadina, ove si miscono su la valentia
di questi scultori nel genere pastorale.
Non tutti forse i miei lettori conoscono gli artisti Nolfo, che, oltre la scultura
in grande,eseguirono piccole figure da servire pei cristiani Presepi. Stimo pertanto
convenevole di citare almeno i nomi di questa insigne famiglia che onorò la nostra
patria, prendendo in primo le masse del capo stipite, che fu Domenico Nolfo, il
Vecchio.
1
Cfr. Suor’Anna Serafina Gregori: “Notizie storico artistiche sul Presepio” Palermo, 1900.
Archivio Storico Siciliano, Nuova serie, anno XXVII.
3 Ferro, “Biografia d’illustri trapanesi”, vol. II.
Cfr. Mondello: pagina intima inserita nel “Resoconto bibliografico ed artistico” seguito da una
nota con doppia pagina intima e sparsa, con illustrazioni. Milano, Garzini e Pezzini, 1904.
2
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4
Il Ferro nella “Biografia d’illustri Trapanesi” fa menzione degli scultori ad
essa spettanti, ma delinea solamente la figura di Francesco Nolfo, parlando degli
altri per semplice digressione. Egli scrive: “Francesco Nolfo, figlio d’ Antonio e
d’Ignazia De Luca, venne alla luce nel 1741 da una famiglia ereditaria della
scultura. Educato nella religione, nelle lettere e nel disegno applicassi a studiare i
lavori di Domenico suo avo, inteso comunemente il vecchio Nolfo e quelli del padre
e del fratello”. 4 Sculture d’Antonio è il magnifico presepio, in marmo a rilievo,
segnato nell’anno 1700, il quale trovasi ormai collocato entro il portico in marmo a
rilievo della nostra cattedrale.
Presepio di Antonio Nolfo
Qui giovami di rammentare che nel coro della basilica di Santa Maria
Maggiore in Roma si ammira parimente un bassorilievo, in marmo, figurante il
Presepio, stimata opera di Mino de Fiesole, elegante e geniale per vetustà di forme e
gentilezza di disegno, cui tenne dietro lo scarpello del nostro artista concittadino.
Eppure, possiamo asserire che le opere scultorie dei Nolfo, considerati
singolarmente, avrebbero offerto un contingente storico di valore per gli studi
tecnici. Non è scopo del mio scritto d’intrattenermi su l’arte dello scarpello e sulla
produzione delle opere uscite dalla officina Nolfo. Non mi è mancato altrove
l’occasione per giudicarne il merito. 5
4
Ferro, op. cit. vol. I, pag. 169.
Cfr. La Processione del Venerdì santo in Trapani, ossia venti gruppi statuari di Misteri,
rappresentanti la Passione di Gesù di Nazaret (ms.)
5
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5
Ma mi giova piuttosto di rivelare la maestria di Francesco e del fratello
Domenico, degni emuli, di commettere alla storia il loro nome, le opere e i fasti della
patria. Essi non riuscivano solo artisti nelle sculture di grandi proporzioni, ma
vollero e seppero altresì coltivare lo studio delle piccole figure, dei Pastori per
Presepio.
Meraviglio come il Ferro abbia trascurato di conoscerli e di mensionarli,
essendo stati con distinto ornamento soprattutto ai Presepi del patriziato
trapanese. In quelle semplici sculture, ammirevoli per rusticità di carattere,
ingenuità di forme, espressione di fede, si ravvisa il pensiero dell’artista, il quale, in
una alle altre sculture, dichiara il suo genio, ed assicura la sua fama imperitura.
Nel Presepio appare un tutto armonico in arte, e dall’Angelo alla forosetta, dal
mandriano al pifferaio, dal dromedario al sovrano impone la coscienza alla fede
della Natività e all’estetica della scultura. Non mi è lecito ormai distinguere nei
Pastori dei nostri artefici, Francesco e Domenico Nolfo la loro singola opera,
giacchè maestri nella stessa officina, concorsero insieme alla produzione artistica.
Però, se mal non mi oppongo, sebbene informati alla medesima maniera stilistica,
pure lo scarpello di Francesco, più gaio e più forte, conservò originalità di bellezza,
carezzante i sentimenti dell’anima. Domenico non fu ignaro delle grazie, e seppe
conciliare il compassionevole con l’esigenza dell’arte, ove la trepida commozione ha
vita nel dominio delle idee e del cuore.
Adolfo Venturi, insigne storico, nelle sue opere e nei suoi singoli scritti, non
si rifiutò di trattare quegli argomenti, oggidì fuor di modo, e si accinse alla rassegna
dell’Angelo e delle sue modalità in arte. Egli nello “studio iconografico estetico”, 6
distingue gli Angeli nelle diverse forme e negli atteggiamenti, secondo le scuole e le
varie età, e ci regala tutta la gaiezza e l’eleganza di questi genii del Cristianesimo.
Bibbia, tradizione, patristica ed arte son trattate con diffusione di sapere, che
rende più simpatico il soggetto.
Ormai mi appresso alle angeliche sculture del Nolfo, designate nel Presepio a
rappresentare gli Angeli di Betlem, ed a cantare la gloria di quella Notte beata, che
arrise alla civiltà dei popoli per la Nascita del Redentore.
Quegli Angeli, dei quali riproduco i modelli in fotografia (vedi sopra) sono,
senza dubbio, di Francesco Nolfo, la cui tecnica si scorge a vista d’occhio. Seguace
alla scuola del suo maestro, Nicolò Pecorilla, stimato e protetto da Carlo III, ebbe
agio di vedere di studiare, in Napoli, le opere classiche delle arti etrusche, i cui genii
alati del paganesimo brillavano coi vaghi colori nelle pitture murali dei sontuosi
palazzi di Pompei ed Ercolano.
6
“Nuova Antologia”, terza serie, vol. LIX, 1° sett. 1895, p. 27 e segg.
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6
Né valse l’antica storia dell’arte a secondare il suo ingegno, eminentemente
cristiano. Consultò in Roma le opere di scultura del Rinascimento, e quantunque si
offerse in Lorenzo Bertini il barocchismo dell’epoca, pure vi apprese quella
spiritualità angelico, quella movenza sensibile, ch’è proprio distintivo di quel
famoso scultore.
L’indole di Francesco Nolfo, che fu d’aiuto in arte al suo germano fratello,
non potè non iscolpire quegli Angeli, oggetto della sua concezione, all’ombra di una
casa religiosa, istituita dal preclaro Santo, il quale si nominò Filippo Neri, e fu
detto a buon diritto l’Angelo di Roma. Egli ne volle vestire le dicise per infondere
viè meglio nelle sue sculture quell’alito celestiale, ignorato a profano artefice. A
somiglianza del beato Angelico che, ritiratosi nel convento di san Marco, ritrasse in
pittura Santi angelicati ed Angeli paradisiaci.
Guido Biagi, nel suo “Eugenio Ceccani”, ebbe a scrivere: “Sono sempre vivi
gli spiriti eletti che hanno, vivendo, rinunciato ai colori vivaci, agli olezzi
inebrianti, ai trionfi effimeri, alle vanità passeggiere, contenti all’intime gioie della
virtù, al lavoro continuo ed industre che affina la mano e l’ingegno”. 7
Francesco Nolfo visse all’arte: nulla intese di sé, e perché si potesse viè
maggiormente dedicare alla scultura, si nascose nella sua modesta bottega,
privilegiato asilo di alti e nobili pensieri, che non curano fame. Dopo cento
sessantatre anni che la patria accolse il primo vagito di lui, gli amatori delle arti lo
ricordano ormai con desiderio, e ne sentono più viva la mancanza per la scomparsa
successione.
Rintracciare le origine delle arti, secondo il Cicognara, è cosa più vana che
utile, e perdersi nella notte dei tempi, essendo opporse con l’uomo quale un bisogno,
un diletto della vita. La musica con la soavità delle modulazioni, la pittura col
fascino dei colori, la scultura con la creazione delle forme e la poesia col ritmo
comunicano all’artista l’idea e la forma, e tributano all’intelligenza dell’uomo le
armonie dei suoni, il prestigio della tavolozza, l’estetica della plastica e il genio
dell’ispirazione.
Or il Presepio è musica per gli Angeli: è pittura per la scenografica del suo
paesaggio, come se fosse uscito dal pennello del Tiziano, o di Salvatore Rosa: è
scultura per le sue montagne, i suoi burroni e gli altri accessori, che lo distinguono
coi suoi Pastori, ed è infine poesia per la fantastica composizione.
7
“Nuova Antologia”, 1° gennaro 1905, pag. 51
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7
Domenico Nolfo, compagno di lavoro al fratello Francesco, con lui divise le
grazie dell’arte, e seppe leggere addentro le fraterne concezioni sino a confondere il
proprio scarpello con l’altro del suo innocuo competitore. La figura del povero,
accolta in queste pagine, è uno studio sul vero, non già di quel verismo che la scuola
moderna, col suo gergo, traduce sensismo. Il dorso del corpo, coverto appena alla
cintola, offre l’esame anatomico, per finitezza di lavoro, coi suoi muscoli, che si
estendono ai piedi, le cui dita non sfuggono l’elasticità e i movimenti. Né meno
artistico è il suo umile atteggiamento e la sua mano, chiedente l’elemosina, non che
la curva persona, la quale prova la syanchezzam lo sfinimento e l’inabilità alla
fatica,
quest’altra figura inserita nella medesima tavola, presenta un mandriano,
seduto sopra d’un sasso, poggiante la sinistra su d’una pietra, che forse gli servì
d’origliere. Era al certo dormiente, come palesa la sua posa e la sua confusione nello
svegliarsi dal sonno. Percorso da un raggio che lo abbaglia, e da una voce che lo
scuote, accenna con la sua destra al suo interlocutore il luogo dove ripercuotevasi il
bagliore della luce, o l’eco della voce, che gl’interruppe il riparo. La naturalezza
della positura, la stanchezza del gesto e la verità della mano, forma sopra il sasso e
i suoi occhi quasi travolti, esprimono la rusticità del carattere, il costume
campagnolo e i pregi dell’arte.
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Conoscitore della storia naturale, per la parte zoologica, Domenico,
coadiuvato da Francesco, si diede parimente allo studio della zoologia, e fornì degli
animali di ammirevole struttura, affine di completare la tecnica del paesaggio nel
Presepio. Gl’intendenti delle Arti e i buongustai non possono fare a meno di
commentare quel Toro e quel Cammello, i quali dimostrano nella loro natura
gl’istinti, che la scienza diede alla mente dei suoi cultori.
Tutto è vita ed arte nei Pastori dei Nolfo, i quali espiano la triade artistica
nel genere dei Presepi. Ai fasti della cronistoria, che delinea la fisionomia di
Giovanni Matera, mettiamo a riscontro Andrea Tipa e i Nolfo, che nei loro preziosi
cimeli salvano il tradizionale decoro di Trapani.
Son lieto pertanto di potere rendere all’artistica scuola della mia patria ed
alla sua storia, ancora questo servigio, fosse poco gradito alla comune dei
concittadini lettori, ma di non lieve momento negli Annali dell’arte, la quale allevò
preclari ingegni, non mica inutili sulla terra.
Stranieri amatori si disputarono un dì le piccole sculture delle nostre officine
ne adornarono i loro Musei. I tempi sono ormai cangiati, sono neglette le arti, ma
l’eco della scuola ripercuote tuttavia la sua nota.
Per debito di gratitudine, non già per vane lusinghe, né punto per inconsulta
adulazione, consacro la mia parola ai contemporanei, cui il senso dell’arte rende
benemeriti al paese.
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Il cavaliere Alfonso Burgio, che diede le mosse al mio brevissimo studio, oltre
le copie della pittura, applica la sua estetico operosità alla formazione dei suoi
Pastori di varie dimensioni. Sebbene educato al disegno e al cotidiano esercizio
dell’arte, non presume di ascriversi nel novero dei suoi predecessori. Lavora, non per
mercede, ma per graziosa tendenza, ereditata dai suoi padri, che furono artisti della
penna. Il cenzo non lo stimola al guadagno e le sue opere sono di pazienza, di
meditazione e di maturo esame.
Trasmetto tuttavia ai posteri il nome del concittadino, Antonio Gianquinto,
scomparso non guari alle sue arti dilettevoli. Non ebbe quel fervido ingegno,
aspirante all’immortalità, come ricanta la frase dell’oggi; ma i suoi Pastori, non del
tutto pregevoli, conservano il gusto tradizionale, oggetto della cronaca, che
s’imparenta alla storia.
Qui toccherebbe anco al folklorista la sua parte, giacchè la festa del Natale
interessa il popolo con le sue costumanze, retaggio dei secoli: ma essendosi all’iopo
accusati del soggetto non pochi scrittori, metto conto di finirla, e lascio alla
poetessa, Ada Negri, la diffidente parola:
Ninna nanna …. gelato è il focolare ….
Nina nanna. È la notte di Natale.
Libera nos dal male.
Io ti narrai la storia di Gesù,
bimbo. Guardavi tu
lontano, coi pensosi occhi che sanno
già triste cose e tante ne sapranno:
e mi chiedesti: È ver che nacque in una
stalla, ed ebbe per cuna
un po’ di paglia, e andò povero a solo
per noi nel mondo? È vero mio figliuolo.
E redimerci volle ed un feroce
odio il confisse in croce.
r invan da venti secoli di guerra,
l’ombra della sua croce empie la terra ….
E domani, con l’alba le campane
diran: riposo e pane
agli uomini di buona volontà! ….
Ma menzogna terribile sarà. 8
8
“Ninna nanna di Natale, in “Natività” (Milano 1904).
La poetessa di alto cuore e di forte sentire, ripiegando il pensiero al nostro secolo, di
rivolgimenti sociali ed avaro di carità, espresse il carattere degli uomini odierni, principalmente
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Quanti poeti dal metro unicamente religioso si son provati a cantare la sacra
nenia del Natale! E sebbene oggi la fede siasi illanguidita a la poesia abbia messo il
ritmo teologico, pure il poeta non può fare a meno di vagheggiarne il sovraumano
Ideale, come unico bisogno della vita. Se poi sottentri alla fede la notte del dubbio e
del palpito, e si rimpiangono i giovani trapassi, quando il soffio della scienza
moderna non avea ancora ispirato il verso sociale; il Natale rivive nelle mistiche che
cuoprono il beffardo sogghigno della scienza positivista, rivive nella coscienza dei
popoli, ricordando i lieti giorni dell’infanzia, come ebbe a scrivere il Fogazzaro;
“La solennità del Natale è un tenero ed insistente richiamo alla semplice fede
dell’infanzia nostra, alla memoria dei cari, che ne la insegnarono, e son partiti
tranquilli fidando per essa di rivederci; tenero insistente richiamo al focolare presso
cui meglio si amò, meglio si gode, e anco meglio si soffre, e richiamo alla pace,
all’unione dei cuori nel nome del Santo. 9
Quod potui ultra facere
et non feci pro te
Patria mea?
Fortunato Mondello
doviziosi e capitalisti, privi della buona volontà al bene, proclamata invano dagli Angeli di
Betlem. Ed allora al riposo e al pane sottentrano l’odio e la guerra. Non solo la poesia sul
Natale è ora divenuta il portavoce dei bisogni sociali; ma ci serve a commemorare auguri
genetliaci nei sermoni di occasione, usi a predicarsi in ogni città d’Italia da vispi giovanetti.
Difatti nel 1904, in Genova, davanti al Presepio dei padri cappuccini, sul pulpito, coperto di
sughero, comparve una giovinetta dodicenne, che alle lodi del Barnaba intessè gli auguri per la
nascita del Principino reale, Umberto di Savoia.
9 “Natale in Roma letteraria”, anno V, nume. 21, pag. 549.
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Pastori di A. Tipa
Salvatore Accardi, Ottobre 2009
Trasposizione del testo autografo di Fortunato Mondello,
collocazione MS 190 - biblioteca Fardelliana di Trapani.
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Fortunato Mondello - La arte nel presepio