Saggistica Aracne Giorgio Passerini “Los hermanos Bianchi” Tre corsari genovesi al servizio della rivoluzione venezuelana (–) Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: settembre Indice Introduzione Capitolo I “Di origine genovese” Capitolo II La guerra “di corsa” Capitolo III La battaglia navale di Cumaná Capitolo IV Mariño non onora i suoi impegni Capitolo V I Bianchi di nuovo al comando della flotta Capitolo VI Il tesoro della cattedrale Capitolo VII Cumaná, agosto : si salvi chi può! Capitolo VIII Bianchi viene in aiuto dei Generali Indice Capitolo IX Politica e affari Capitolo X La damnatio memoriae del “perfido pirata” Capitolo XI Un’avventura letteraria Capitolo XII Cinquant’anni dopo. . . Capitolo XIII Tempi nuovi Bibliografia Appendice Indice dei nomi Introduzione∗ Nel tre fratelli genovesi, Giuseppe, Giovanni e Nicolò Bianchi, armatori e capitani marittimi, si mettono al servizio della rivoluzione venezuelana, combattendo vittoriosamente contro gli spagnoli. Nel vengono nuovamente ingaggiati nel momento più tragico della Seconda Repubblica venezuelana, quando Simon Bolívar e Santiago Mariño , sopraffatti dalle forze realiste, decidono di mettersi in salvo sulle navi dei Bianchi e abbandonano la madrepatria portando con sé l’ingente tesoro della cattedrale di Caracas, sequestrato dai repubblicani per finanziare la causa della rivoluzione. E a questo punto avviene il fattaccio: i tre corsari genovesi vengono accusati di volersi impadronire del tesoro, approfittando delle difficoltà in cui si dibattevano Bolívar e i suoi, un’accusa che ancora oggi pesa su di loro come un marchio d’infamia. In effetti, il tesoro viene poi spartito di comune accordo tra i Bianchi e i rivoluzionari fuggiaschi, dopodiché Bolívar e Mariño si mettono in salvo a Cartagena e i Bianchi, dopo diverse traversie, lasciano per sempre il Mar dei Caraibi. ∗ La traduzione dei testi spagnoli è stata fatta a cura dell’autore. . Simon Bolívar (Caracas, — Santa Marta [Colombia], ) Libertador del Venezuela. Santiago Mariño (Valle del Espíritu Santo, — La Victoria, ). Generale in capo dell’Esercito del Venezuela nella Guerra di indipendenza. Uomo politico e “Libertador de Oriente”, raggiunse un alto grado nella Massoneria. Introduzione La ricerca intende fare luce sui tanti retroscena dell’intricata vicenda, evidenziandone anche gli aspetti che la storiografia ufficiale venezuelana ha lasciato volutamente nell’ombra per accreditare una vulgata agiografica, intesa a porre la figura del Libertador al di sopra di ogni possibile sospetto. Ne è risultato un avvincente racconto marinaresco che a tratti diventa anche una sorta di libro giallo, con le classiche scene madri e i colpi di scena a ripetizione; una storia vera di spregiudicati corsari, di favolosi bottini, di un tesoro ecclesiastico in argento e preziosi che va oltre ogni immaginazione, di brigantini da guerra e di golette, di sanguinose battaglie sul mare, di spavalde guasconate e di impavido coraggio, di eroismi e di tradimenti. Ed insieme, un drammatico episodio — vissuto in prima persona — delle lotte anticolonialiste che all’inizio del diciannovesimo secolo, tramontato ormai il mondo dell’antico regime, avevano dato vita ai primi stati indipendenti dell’America latina. Nel i Bianchi si trovano infatti a svolgere un ruolo cruciale nelle vicende storiche che vedranno il crollo della Seconda Repubblica venezuelana: non solo saranno determinanti per il destino futuro dei due principali protagonisti Simon Bolívar e Santiago Mariño, ma si troveranno a contatto diretto con quasi tutti i maggiori leader militari e civili della rivoluzione venezuelana, da Juan Bautista Arismendi a Manuel Piar, da José Felix Ribas a Carlos Soublette, da Mariano Montilla a Leandro Palacios, da Luciano D’Elhuyar a José Francisco Bermúdez, finendo per essere coinvolti loro malgrado nelle furibonde lotte intestine che divideranno il campo repubblicano nell’ora della sconfitta. E, nello stesso tempo, anche una pagina di storia locale, che ha per protagonisti tre rampolli di una famiglia geno- Introduzione vese di antica nobiltà, aperta ai nuovi ideali rivoluzionari ma premuta da esigenze materiali di sopravvivenza, che aveva fatto del mare il suo campo d’azione e aveva affidato al mare le sue speranze di fortune economiche non altrimenti raggiungibili. La vicenda dei fratelli Bianchi rappresenta un esempio lampante dell’impatto dirompente prodotto dai principi dell’ e dalle guerre napoleoniche sul mondo chiuso dell’antico regime al tramonto e delle inevitabili contraddizioni che ne deriveranno. La vittoria delle Colonie nordamericane sulla madrepatria inglese e lo scoppio della rivoluzione in Francia, estesa poi all’intera Europa dalle armate di Napoleone, avevano infatti creato un clima intellettuale del tutto nuovo, dove l’ideale patriottico delle nuove generazioni poteva bene estrinsecarsi in una lotta contro le vecchie monarchie colonialiste, per dare la libertà ai popoli fino ad allora oppressi e sfruttati. La sconfitta di Napoleone non potrà riportare indietro l’orologio della storia, ma avrà soltanto l’effetto di far maturare nuovi fermenti che prenderanno alla fine diverse direzioni. Non a caso, dunque, l’avventura americana dei fratelli Bianchi finisce bruscamente nel con la notizia della drammatica giornata di Waterloo: nel generale rappel à l’ordre che ne consegue in campo europeo, ritroviamo nei decenni successivi i Bianchi saldamente inseriti nella struttura commerciale e marittima dello stato sabaudo, che non esita a ricompensare con cariche ed onorificenze il loro pluriennale fattivo impegno nell’ambito della marineria genovese. E, infine, last but not least, un’emozionante avventura letteraria, per la suggestiva ipotesi qui proposta che i fatti narrati possano avere ispirato Joseph Conrad per la trama del suo romanzo Nostromo, il cui protagonista — ci avverte Introduzione l’autore — era stato «forse vittima delle fortunose vicende d’una rivoluzione», ed era stato travolto suo malgrado da eventi «provocati dalle passioni di uomini che poco o niente sapevano discernere in fatto di bene e di male» . . J. C, Nostromo: racconto della costa, Milano, Biblioteca universale Rizzoli, , pp. –. Capitolo I “Di origine genovese” Un recente dizionario biografico dei Liguri in America Latina realizzato per la Fondazione Casa America dedica una voce collettiva ai fratelli Giuseppe, Giovanni e Nicola Bianchi (XVIII–XIX sec.), qualificati come «combattenti per l’indipendenza del Venezuela». “Di origine genovese”, i tre si trovavano in Venezuela tra il e il probabilmente per commerciare, essendo naviganti. Il loro apporto alla lotta allora in corso per l’indipendenza del paese, condotta da Simon Bolívar, si era concretizzato in azioni di pirateria sulla goletta La Intrépida tra il e il . Fin qui il Dizionario . La lettura delle due fonti citate nell’articolo ci permette di allargare un po’ la visuale, inquadrando gli avvenimenti nel contesto dell’ambiente e del periodo storico in cui si erano svolti. Erano stati non pochi i liguri che avevano partecipato alla lotta anticolonialista guidata da Bolívar: si trattava, in generale, di persone provenienti da famiglie benestanti, qualche volta aristocratiche, permeate di idee illuministe, che avevano deciso di lasciare la propria terra anche per partecipare alla lotta per la libertà e l’indipendenza, considerata in una dimensione internazionale. È il caso dei Bianchi, “famosi corsari” inizialmente legati al Libertador, . Dizionario storico biografico dei Liguri in America Latina: da Cristoforo Colombo a tutto il Novecento, Ancona, Affinità elettive, , p. . “Los hermanos Bianchi” «quindi sommersi dalla vergogna di un clamoroso atto di pirateria» . Quale sia stato questo fatto straordinario viene soltanto accennato da Pedro Cunill Grau nel suo ampio e documentato saggio sulla presenza italiana in Venezuela. Dopo aver premesso che nei primi anni della guerra di liberazione si erano distinti parecchi marinai italiani, alcuni dei quali avevano combattuto una guerra non convenzionale come corsari, l’autore aggiunge: In quest’ultimo caso, fra un proliferare di avventurieri, non fu sempre facile definire i limiti di ciò che era permesso, come risultò evidente nel caso dei fratelli genovesi José, Juan e Nicolás Bianchi, il cui valido e utile contributo alla causa dei patrioti tramite azioni navali e assedi posti ai porti della costa nordorientale del paese nel , fu oscurato dall’appropriazione di parte delle armi e del tesoro della Seconda Repubblica nel . Le informazioni finiscono qui, lasciando insoddisfatta la curiosità del lettore di sapere qualcosa di più su questi personaggi e sugli avvenimenti che li riguardano. In realtà l’episodio del tesoro rapito dai Bianchi è notissimo nella storiografia venezuelana e si trova citato e descritto nei libri scolastici di quel Paese e in ogni pubblicazione relativa alla vita e alle gesta di Simon Bolívar, in quanto era venuto a coincidere con uno degli snodi cruciali della vita del Libertador, col momento cioè della fine rovinosa della Seconda Repubblica che aveva coinvolto direttamente il “dittatore” e colpito la sua stessa immagine pubblica, per avere egli abbandonato precipitosamente quello che rima. M. B, Edoardo Riboli: storia di un emigrante di Lavagna, Genova, Sagep, , pp. –. . P. C G , La presenza italiana in Venezuela, Torino, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, , p. . . “Di origine genovese” neva del suo esercito nel momento della disfatta militare ed essersi messo in salvo via mare. E quanto fosse estesa questa notorietà dei Bianchi ci viene spiegato da Marisa Vannini de Gerulewicz, che nel suo approfondito studio sui rapporti intercorsi tra gli italiani e il Venezuela nel corso dei secoli dedica un capitoletto proprio a “Los hermanos Bianchi”: «L’italiano che si portò via il tesoro della cattedrale». Così è comunemente conosciuto in Venezuela José Bianchi, che deve a questo fatto l’aver raggiunto una celebrità che non conobbero altri suoi onorati compatrioti. Il suo personaggio e la sua condotta, leggendari, hanno dato luogo a diverse versioni, nella maggior parte delle quali appare come un uomo coraggioso e avido, un vero pirata che, sebbene stesse lottando per i patrioti, metteva i suoi interessi al di sopra di tutto e percorreva instancabile il Mar dei Caraibi infierendo con crudeltà sui suoi prigionieri e cercando di impadronirsi di tutto quello che conquistava, secondo la vecchia abitudine dei corsari. Per limitarci alle opere tradotte nella nostra lingua, dell’episodio ha parlato diffusamente anche Salvador de Madariaga nella sua biografia di Bolívar pubblicata in Italia dall’editore Dall’Oglio . Ma prima di approfondire i fatti, cerchiamo di dare innanzi tutto più precisi connotati alle figure, rimaste fino ad ora incerte e sfocate, dei tre fratelli. Più che genovesi “di origine”, si trattava infatti di tre ge. M. V D G, Italia y los italianos en la historia y en la cultura de Venezuela, Caracas, [Oficina Central de Información], , p. . Su Giuseppe Bianchi si veda l’ottima scheda biografica: L. H, Bianchi José, in Diccionario de Historia de Venezuela, .ed., Caracas, Fundaciòn Empresas Polar, (disponibile anche in rete all’url: http://www.bolivar.ula.ve/ e poi successivamente cliccando: Historia/Diccionario de Historia de Venezuela/Bianchi, Josè). Nello stesso dizionario si possono trovare le biografie di quasi tutti i personaggi citati nella presente ricerca. . S. M, Bolívar, Milano, Dall’Oglio, . “Los hermanos Bianchi” novesi puro sangue e il colore di questo sangue sfumava addirittura nel blu. Giuseppe, Giovanni e Nicolò erano infatti i figli di quel Bernardo Bianchi al quale la Repubblica genovese nel aveva solennemente riconosciuto e riconfermato i diritti, franchigie e immunità reali e personali a lui spettanti come discendente diretto di una delle storiche famiglie che componevano il casato dei Conti di Lavagna, che comprendeva oltre ai Bianchi, i Fieschi, gli Scorza, i Ravaschieri e i Della Torre . Bernardo aveva avuto tredici figli, sei dei quali erano divenuti capitani marittimi . Giuseppe, il primogenito, era nato a Lavagna nel febbraio . Dopo un secondo figlio, Giulio, nato a Lavagna nel , a partire dal gli altri figli risultano tutti nati a Genova, per cui possiamo collocare tra il e il la data del trasferimento della . Archivio di Stato di Genova, Sezione di S. Giorgio, Fogliazzo Actorum M.ci Ioannis Baptiste Ceruti Cancellarii, — ° — Filza n. . Copia estratta dal Desimoni il gennaio su richiesta del Cavaliere Giovanni Bianchi si trova in Archivio Bianchi di Lavagna, Genova. I privilegi attribuiti dalla Repubblica aristocratica erano stati riconfermati anche dalla democratica Repubblica Ligure, che — malgrado l’opposizione intentata dal Sindaco del Comitato di Finanze, nel con sentenza dei propri reggitori aveva liquidato al “cittadino Bernardo Bianchi” lire genovesi , soldi e denari per la “gabella carne” dovutagli in virtù delle suddette franchigie per il periodo dal al (Archivio di Stato di Genova, Sezione di S. Giorgio, Fogliazzo Actorum Pii Francisci Scannavini Cancellarii, — °, Filza n. . Copia estratta dal Desimoni il giugno su richiesta del Cavaliere Giovanni Bianchi si trova in Archivio Bianchi di Lavagna, Genova). Bernardo Bianchi, figlio di Nicolò, di Bernardo, di Antonio, di Nicolò, di Gregorio, di Nicolò, di Benedetto, era nato il luglio . . Degli altri figli di Bernardo Bianchi e Angela Maria Raggio, sei erano morti in giovane età, di cui tre nel blocco di Genova dell’anno , il terribile assedio con il quale gli austriaci, coadiuvati dalla flotta inglese, avevano messo alla fame la città, mentre l’unica femmina, Maria, si era fatta suora nelle Brignole ed era stata Madre delle Luigine nell’Albergo dei Poveri di Genova, dove era morta di colera nel (Enrico Bianchi, [albero genealogico], manoscritto, , in Archivio Bianchi di Lavagna, Genova). . “Di origine genovese” famiglia a Genova . Giovanni era nato nel e Nicolò nel . Nel il capitano Giuseppe Bianchi si trovava a Trinidad, capitale dell’isola omonima situata nell’arcipelago delle Piccole Antille caraibiche , dove aveva fissato la sua dimora . Nell’estate dell’anno precedente era arrivato anche il fratello Giovanni, al quale Giuseppe aveva dato il comando di un Cutter con cui faceva i viaggi delle coste di Guiria e di Soro, all’interno del Golfo Triste, formato dalle province americane, costituite in Repubblica di Venezuela, di Caracas e Cumaná. Ad essi si era poi aggiunto anche Nicolò, il più giovane dei tre che a quell’epoca aveva soltanto anni, mentre Giovanni ne aveva e Giuseppe, il “peligroso comodoro José Bianchi” — come viene definito in alcune pubblicazioni — ne aveva allora . E, d’altra parte, questa era anche l’età media dei rivoluzionari che avevano fondato la Repubblica che i Bianchi . N. B, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, Genova, Tip. Fratelli Pagano, , v. , riporta l’albero genealogico della famiglia Bianchi con la seguente annotazione: «Al presente questa famiglia si trova divisa in più rami, l’uno dei quali è stabilito in Genova e gli altri lo sono in Lavagna». I dati biografici relativi ai figli e nipoti di Bernardo si trovano nelle tavole genealogiche compilate da Enrico Bianchi, figlio di Nicolò, vedi supra, nota . . Le isole Trinidad e Tobago erano state occupate dall’Inghilterra nel e cedute formalmente agli inglesi dalla Spagna col Trattato di Amiens del . . Le notizie sono contenute nell’opuscolo a stampa: [Giovanni B], Cenni storici sulle imprese navali dei fratelli Giuseppe, Nicolò e Giovanni Bianchi di Genova, Genova, Tip. di G. Schenone, successore Frugoni, , p. (Non abbiamo trovato traccia dell’opuscolo in tutti gli OPAC delle biblioteche liguri, tuttavia la citazione bibliografica si può trovare in Annuario bibliografico italiano: compilato sopra le notizie raccolte dal Ministero di Pubblica Istruzione, Anno II — , Torino, presso Augusto Federico Negro, editore, , pp. –. L’esemplare dell’opuscolo consultato e riprodotto in fac–simile in appendice si trova in Archivio Bianchi di Lavagna, Genova). “Los hermanos Bianchi” andranno ad aiutare: Simon Bolívar nel aveva anni, Santiago Mariño , José Trinidad Morán , Luciano D’Elhuyar , José Antonio Páez , Carlos Soublette , Florencio Palacios , José Leandro Palacios, José Francisco Bermúdez e Mariano Montilla , Gaspar Marcano , per arrivare ai anni di José Félix Ribas e ai di Manuel Piar. Si trattava dunque, come è stato detto, di una república de muchachos, «di giovani dirigenti che chiamavano affettuosamente “Il Vecchio” Bolívar, considerato come anziano alla sua morte, all’età di quarantasette anni» . I fratelli Bianchi si trovarono così a trattare da pari a pari con dei coetanei, nei riguardi dei quali non dovevano provare evidentemente alcuna soggezione. La provincia di Cumaná, situata nella parte orientale del Paese, costituiva una risorsa strategica della massima importanza nella lotta anticolonialista che si era venuta sviluppando in Venezuela all’inizio del diciannovesimo secolo, per la sua posizione geografica e le caratteristiche del suo territorio. La posizione di quella regione che una volta veniva chiamata “Nuova Andalusia” era infatti delle migliori: il contatto diretto con il Mar dei Caraibi, le Antille e il resto del mondo attraverso le sue coste, l’abbondanza di risorse fluviali per l’irrigazione e la navigazione, la fertilità delle sue terre, tanto nelle zone montuose come nelle vallate e la presenza all’interno di una estesa pianura che offriva condizioni eccezionali per l’allevamento del bestiame, facevano di quella provincia uno spazio di vitale importanza per la stabilità politica della nascente repubblica . Grande . G. M, Breve historia de Venezuela, Madrid, Espasa–Calpe, , p. . . Gobernación y Capitanía General, Caracas, Archivo General de la Nación, , t. CCXXXI, p. , cit. in J. R M, La ruptura colonial en Cumaná, –, in «Manongo», n. , Año XII, vol. XII, Julio–Diciembre . “Di origine genovese” era quindi l’importanza dei suoi porti marittimi tra cui in particolare quello di Cumaná, dove si realizzava un interscambio commerciale con l’Europa di ridotte dimensioni a causa della difficoltà di comunicazioni tra le colonie e la madre patria ma, in compenso, un intenso cabotaggio con le isole caraibiche e i porti venezuelani della regione orientale, oltre che con il resto del paese e con i porti della costa atlantica del Messico. Tra le merci che venivano esportate vi erano soprattutto cacao, indaco, cuoio, cotone, carne salata, muli e torelli vivi, legno da costruzioni, sapone, amido di yucca, cazabe e caffè . Quanto al porto di Cumaná, già Humboldt aveva affermato che la sua rada avrebbe potuto «ricevere le squadre dell’Europa intera» . Quindi, proprio a causa di questa sua importanza strategica, durante le alterne vicende che caratterizzeranno la lotta per l’indipendenza la provincia sarà teatro di una guerra permanente tra realisti e repubblicani, condotta con determinazione e ferocia da entrambe le parti, con il (http://servicio.cid.uc.edu.ve/postgrado/manongo/-.pdf). Notizie utili su Cumaná si trovano in appendice a: La guerra de independencia en la provincia de Cumaná, in «Boletín de la Academia Nacional de la Historia» (Venezuela), t. XVII, n. (gennaio–marzo ), p. . Per una colorita e vivace descrizione dei luoghi può ancora consultarsi: J.–J. D L, Voyage aux iles de Trinidad, de Tabago, de la Marguerite, et dans diverses parties de Vénézuéla, dans l’Amerique Méridionale [Rist. anast. dell’ed.: Paris, F. Schoëll, , v.], Kessinger Publishing, . . Farina di mandioca. . P. C G , Geografía del poblamiento venezolano en el siglo XIX, Caracas, Comisión Presidencial . Centenario de Venezuela y Facultad de Humanidades y Educación de la Universidad Central de Venezuela, , t. , p. ; t. , pp. , , cit. in J. R M, op. cit. . Alexander von Humboldt (Berlino, — ivi, ). Scienziato naturalista e geografo, geologo, astronomo, vulcanologo, esploratore. . A. H, Viaje a las regiones equinocciales del Nuevo Mundo, Caracas, Ediciones del Ministerio de Educación, , t. , p. , cit. in J. R M, op. cit. “Los hermanos Bianchi” sopravvento volta a volta degli uni e degli altri e le conseguenti rappresaglie e massacri compiuti dai vincitori nei confronti della parte soccombente. Occorre aggiungere che durante le lotte per l’indipendenza dell’America Latina i Caraibi erano ritornati a vivere la loro antica tradizione di “mare dei pirati” come ai tempi della regina Elisabetta, sebbene con motivazioni e finalità diverse. Le ferree regole di navigazione stabilite da Inghilterra, Francia e Stati Uniti avevano fatto sviluppare il contrabbando su larga scala e su tutti i mari; la fine della guerra tra Stati Uniti e Inghilterra e il ristabilirsi della pace in Europa avevano invece ostacolato l’attività dei pirati che si erano orientati allora verso gli stati dell’America Latina, dove le lotte per l’indipendenza aprivano loro un nuovo e più proficuo campo d’azione e dove avrebbero potuto ottenere facilmente le autorizzazioni legali indispensabili per la loro attività. Lo stesso Bolívar aveva deciso di servirsene per far fronte alla mancanza di una flotta da opporre alla marina spagnola e del loro aiuto si valsero i patrioti anche per procurarsi le armi, di fronte all’impossibilità di comprarle all’estero, cosa che costituiva una delle principali difficoltà del governo repubblicano. I nuovi corsari che operarono a cavallo tra la fine del Settecento e i primi decenni del diciannovesimo secolo erano marinai di tutte le nazionalità, abituati al combattimento e alla dura vita sul mare; alcuni erano anarchici e ribelli, altri idealisti e generosi. È comunque riconosciuto da tutti gli storici che il loro contributo alla guerra d’indipendenza fu di grande importanza . . M. V D G, op. cit., p. ; V. L, Crónica razonada de las guerras de Bolívar, v., New York, The Colonial Press, , t. , p. . Capitolo II La guerra “di corsa” È il caso quindi, prima di iniziare la narrazione dei fatti, di esaminare quali erano i presupposti giuridici sui quali si basava l’azione dei corsari, presupposti contemplati e disciplinati dal diritto internazionale, sulla base delle leggi emanate dai singoli stati. Le potenze marittime, oltre alle navi da guerra dello Stato, avevano l’abitudine di utilizzare l’aiuto volontario offerto da armatori privati o “corsari”, che catturavano le imbarcazioni e le proprietà nemiche, e ai quali veniva ceduta — a ricompensa del servizio reso — una parte o tutto il valore delle “prese”. Negli anni di cui ci occupiamo i due termini di armatore e corsaro erano diventati sinonimi, intendendosi per armatore lo stesso corsaro o comandante della nave armata per la corsa. A partire dal XVI secolo si era diffusa in Germania, Francia, Inghilterra e Spagna la pratica di rilasciare patenti ai privati in tempo di guerra perché potessero fare la corsa: gli stati avevano quindi emesso diverse ordinanze esigendo questo requisito, che diventava così indispensabile per la legittimità delle prese . Il corsaro era dunque «chi comanda una imbarcazione armata da corsa» ed era titolare di diritti e doveri, stabi. J.M. P, Elementos del derecho internacionál: obra póstuma, Madrid, Impr. de Alegria y Charlain, , p. . “Los hermanos Bianchi” liti con meticolosa precisione. Per quanto riguardava, ad esempio, la Spagna e i suoi sudditi, la Reale “Ordenanza de corso” del giugno ripeteva in gran parte disposizioni già contenute nelle Ordinanze della Real Armada emesse negli anni , e , ma ampliate e adattate alla nuova situazione, come aveva cura di precisare lo stesso sovrano nella premessa all’Ordinanza in argomento: IL RE. La paterna sollecitudine con cui sempre ho procurato il bene dei miei sudditi, la giusta soddisfazione che esige il decoro della mia Corona e il desiderio sincero di fare in modo, con tutti i mezzi possibili, che cessino i funesti disordini causati in Europa da una guerra lunga e sanguinosa, mi obbligano, contro la mia naturale inclinazione alla pace e il mio più fermo desiderio di mantenere la migliore armonia con i sovrani miei vicini, a prender parte in quella che ha soltanto come scopo di sostenere i fini nascosti di una nazione tanto orgogliosa quanto ostinata nel cercare di mantenere a tutti i costi la sua prepotenza marittima, servendomi a questo scopo di tutti i mezzi dettati dall’esperienza; ed essendo uno di questi la conservazione dei beni dei miei sudditi, la cui navigazione e commercio si troverà esposta agli insulti delle armi e dei corsari nemici, ho ritenuto conveniente usare uguale facoltà, promuovendo e sostenendo la corsa di armatori privati attraverso tutti i mari e aiutando tutti coloro che si siano stabiliti nei miei dominii, affinché possano praticarla sotto quelle leggi che autorizzano il diritto comune e i costumi trasmessi tra le nazioni civili. La patente di corsa aveva in genere una durata limitata, da a mesi; era uso inoltre dare ai capitani corsari, insieme con la patente, istruzioni e regole per il diritto di cattura e addirittura poteva venire loro richiesto di versa. Vedi la voce: “Corsario” in A. B, Diccionario del derecho marítimo de España, en sus relaciones con la marina mercante, Barcelona, Ramirez, , pp. e sgg.