Prefazione Grazie per San Benedetto, uomo non pragmatico di Marco Sermarini Lo scritto che segue proviene dagli atti della Festa del beato Pier Giorgio Frassati che dal 1994 ininterrottamente celebriamo a San Benedetto del Tronto. E’ il resoconto di una serata, la III Giornata dell’educazione e della Scuola “G. K. Chesterton”, nella quale mettiamo a tema le “Esperienze dall’Opera Chesterton e dal mondo”. L’Opera “G. K. Chesterton” è l’insieme delle iniziative che sono nate dalla nostra esperienza a San Benedetto del Tronto, che a sua volta si è intersecata con quella della Confraternita costituendone anzi una delle innervature costitutive. Inoltre la nostra scuola forse è il punto in cui più scopertamente esce la nostra identità e la peculiarità della nostra esperienza cristiana. E’ la serata del 2 Luglio 2012, quella in cui abbiamo incontrato padre Cassian Folsom, osb, Priore del Monastero benedettino di Norcia. Questi monaci costituiscono un punto vivo nel mondo, un’esperienza che sentiamo nostra perché è una di quelle che hanno nel DNA la forza per cambiare il mondo, per renderlo bello. Perché presentare lo scritto agli amici della Confraternita facendogliene dono? Perché far loro conoscere i monaci di Norcia? Perché la vita monastica e l’educazione secondo il carisma di San Benedetto? Perché la “due giorni” a Norcia? Un millennio e mezzo fa, esattamente in questo punto apparentemente alla periferia di tutto, Nostro Signore suscitò un uomo che Lo prese sul serio e, senza alcun progetto, cambiò l’Italia, l’Europa e il mondo, avendo in mente solo questo: “Nihil amori Christi praeponere”. 1 Se nulla preporremo all’amore di Cristo, se ameremo Cristo nelle cose quotidiane, il mondo vedrà realizzata la speranza di cui desidera il compimento. E’ un compito che spetta a ciascuno di noi e che si realizza amando “arbitrariamente” i luoghi in cui siamo, come le mamme amano i loro figli, tanto per ripercorrere un passo dell’Ortodossia di Gilbert Keith Chesterton riecheggiato più volte tra di noi. I nostri ragazzi, i nostri carcerati, disoccupati, quelli che lavorano con noi aspettano questo, aspettano di essere amati arbitrariamente, e questo è possibile solo se avremo il coraggio di mettere Cristo al di sopra di tutto. Alla base della vita di San Benedetto c’è un gesto di contraddizione del mondo: egli abbandonò la Roma decadente della fine dell’Impero (così simile al nostro mondo attuale, che non regge ormai più nelle sue strutture politiche ed economiche...) dove si era recato per studiare perché “aveva capito che anche una parte di quella scienza mondana sarebbe stata sufficiente a precipitarlo intero negli abissi” (San Gregorio Magno, Dialoghi). San Benedetto ebbe il coraggio di fidarsi di Cristo fino in fondo, certo che Nostro Signore gli avrebbe donato tutto la sapienza che il mondo non avrebbe potuto dargli. Saremo così anche noi se crederemo davvero alla grandezza che anima la nostra come pure l’esperienza benedettina. Le nostre opere hanno la misteriosa capacità di farci intravedere la luce di questo cambiamento delle anime cui tanto credette San Benedetto e che è l’unica condizione per il cambiamento delle strutture del mondo. Venire qui a Norcia, dunque, ha il senso di tornare alle radici ultime ed uniche del cambiamento, nihil amori Christi praeponere, così poco “pratico”, così vicino all’Ideale, così lontano dalle ricette “pratiche” che ci suggeriscono tutti nel momento attuale di crisi. Diceva il nostro caro Chesterton: «Si è generata nel nostro tempo la più singolare delle fantasie: la convinzione che quando le cose vanno male c’è bisogno di un uomo pragmatico. Ma sarebbe decisamente più realistico considerare che, quando le cose vanno proprio male, c’è bisogno di un uomo per nulla pragmatico. L’uomo pragmatico è un uomo abituato alla mera quotidianità della pratica, a come le cose funzionano abitualmente. Quando le cose non funzionano, occorre avere un pensatore: l’uomo che possiede una qualche conoscenza sul perché funzionano. E’ sbagliato trastullarsi mentre Roma brucia, ma è molto giusto studiare le leggi dell’idraulica mentre Roma brucia. Un ideale chiaro è di gran lunga la necessità più urgente e pratica per l’attuale problema (inglese), più di qualsiasi piano immediato o proposta. Perché il caos attuale è dovuto a una generale dimenticanza di tutto ciò a cui originariamente gli uomini aspiravano. Nessun uomo domanda più ciò che desidera, ogni uomo chiede quello che si figura di poter ottenere. E rapidamente la gente si dimentica ciò che l’uomo voleva davvero in principio; […]. Il tutto diventa uno stravagante tumulto di seconde scelte, un pandemonio di ripieghi» (Gilbert Keith Chesterton, Cosa c’è di sbagliato nel mondo, Rubbettino Editore, 2011 - traduzione di Annalisa Teggi). Avanti, allora, sulla strada di San Benedetto, uomo non pragmatico amante della prima, anzi, della Primissima Scelta. 2 3 2 Luglio 2012 III Giornata dell’educazione e della Scuola Libera “G. K. Chesterton” Esperienze dall’Opera Chesterton e dal mondo Il carisma educativo di S. Benedetto da Norcia Incontro con P. Cassian Folsom, osb Marco Sermarini: Ben trovati a tutti. Questo è uno degli incontri più importanti di questa nostra... stavo per dire settimana, ma prima di tutto non è una settimana, sono già tanti giorni che stiamo qui sulla breccia. Io stasera ho visto Enrico Tiozzo a cui ho chiesto: “Enrico, ma quando è stata l’ultima volta che ci siamo visti?”. “Il 25”. Mi sembrava vent’anni prima... Prima di iniziare l’incontro debbo fare necessariamente una cosa, perché se non la faccio stasera non la faccio più. Devo spiegare che cosa c’è qui (è la scenografia del palco, ndr) perché qualcuno me l’ha chiesto e allora è una scusa anche per introdurre il nostro ospite, padre Cassian Folsom, a cui fate un bell’applauso... Voi lo sapete, io ho sempre queste visioni, non sono sogni dopo aver mangiato pesante, è tutto vero perché quello che c’è qui è tutto vero. Qui non c’è un pezzo che non sia vero. Questo posto lo dovreste riconoscere: è San Benedetto, con una piccola modifica.Abbiamo messo il nostro carissimo Trigramma inventato dal nostro caro San Bernardino da Siena, amico di San Giacomo della Marca, che è questo signore magro qui. Perché qui c’è il Torrione? Questa è la prima chiesa della nostra città, la chiesa di San Benedetto Martire, poi lì c’è anche la casa del Vescovo, che 4 5 abbiamo un po’ ritoccato... con un po’ di allegria! Dunque, ripeto, perché quest’anno abbiamo scelto questa torre? Perché questo scenario? “Il mondo”, dice il nostro amico Chesterton, “è la fortezza di famiglia”. La nostra città è la nostra fortezza, noi vorremmo fosse bellissima sempre, tutto il tempo, nella fortezza di famiglia con la bandiera che sventola sul torrione. Il Torrione ce l’abbiamo, la bandiera ce l’ho messa io, ho preso una bandiera di fantasia, un po’ vaticana e un po’ del Sacro Cuore. Perché il Sacro Cuore? Il Sacro Cuore di chi? Il Sacro Cuore di Gesù! Nel nome del Sacro Cuore sono state compiute tante cose belle: è stata difesa la fede da parte dei vandeani, è stata difesa la fede da parte dei Cristeros del Messico, Leone XIII ha scritto sulla devozione al Sacro Cuore un’enciclica. Il Sacro Cuore di Gesù è il Cuore che può governare tutto il mondo, l’unica cosa che può dare coscienza di tutto e bellezza a tutto. Bella questa bandiera, eh? Più miserabile è questa fortezza di famiglia, meno la dovremmo lasciare.Vi ricordate quello che diceva Chesterton? Diceva una cosa: quando uno ama una cosa, la ama non perché è g i à bella, la ama per un amore arbitrario, come fanno le mamme con i bambini. Noi dovremmo amare tutto quello che c’è intorno con questa stessa arbitrarietà. Diceva Chesterton poco prima di questo passaggio: noi ci ritroviamo a combattere per il mondo prima ancora di essere arruolati. Noi ci troviamo a combattere per la nostra vita, per le nostre cose, prima ancora di essere arruolati sotto una qualunque bandiera. E’ come l’amore delle mamme verso i figli; più miserabile è, meno lo dovremmo lasciare. Vi ricordate la storia di quel quartiere di Londra, Pimlico? Ne abbiamo parlato due anni fa. Pimlico era un quartiere bruttissimo di Londra ai tempi di Chesterton e lui diceva che ci sono due modi per affrontare Pimlico: o si scappa da Pimlico, che però rimarrà sempre così, oppure uno comincia ad amarlo. Amando Pimlico, Pimlico diventerà bello come Roma, bello come Firenze. E diceva che Roma non è diventata grande così, ma perché è stata amata. Quindi noi possiamo dire così di tutto quello che abbiamo intorno, da nostro marito, nostra moglie, i nostri figli, da tutti i nostri amici a quello che abbiamo intorno, questo mondo qui. “Il punto non è che questo mondo è troppo triste per essere amato o troppo lieto per non esserlo. Il punto è che quando ami davvero una cosa, la sua letizia è una ragione per amarla e la sua tristezza una ragione per amarla di più”. Allora che abbiamo fatto? Noi dobbiamo difenderlo questo mondo, dobbiamo amarlo. Allora, ripeto, che abbiamo fatto? Io ho chiamato tutti i nostri amici. Ci ho messo San Giacomo, qui c’è San Francesco Saverio, questo è San Benedetto da Norcia, questo è Giovannino Guareschi, nostro amico, questi sono i Tipi Loschi, questo è Pier Giorgio e questo è Franz Massetti, sambenedettese. Questo signore che spunta da qui è don Francesco Sciocchetti, quello che faceva le cooperative per i marinai, quello che faceva le banche quando avevano chiuso i Monti di Pietà. Questo è Giovanni Paolo II, questo è il nostro carissimo Benedetto XVI, questo è Gino Bartali, il grande ciclista cattolico, il nostro Chesterton (non poteva mancare!), il nostro amico don Bosco. Sopra, chi ci abbiamo messo? Gli scolari della “Chesterton” li dovrebbero riconoscere e forse anche i genitori, se si ricordano dove hanno mandato i figli a scuola; sono i bambini che abbiamo messo nel logo della nostra scuola, sono i bambini di cento anni fa. Se vi ricordate una cosa che avevo detto, bisognerebbe fare la scuola anche per loro che sono vissuti cento anni fa... Poi qui sotto abbiamo fatto una cosa strana. Questo muro è fatto da gente che cammina adesso sulle sue gambe, non solo l’Ecclesia triumphans, ma anche l’Ecclesia militans, cioè la Chiesa che combatte adesso, che siamo noi, per cui questo è il manifesto di una festa nostra di tre anni fa, questo è un matrimonio di 6 7 qualcuno di noi (non mi ricordo chi...), qua ci abbiamo rimesso Guareschi (ci stava bene), questa è la visita al piantone di Nardò della nostra scuola, il castagno di diciassette metri di circonferenza, questa è la nostra passata di pomodoro, perché il mondo si fa anche con la passata di pomodoro, questo è il nostro amico padre Cassian con Raffaele - ti ci abbiamo messo, padre Cassian, perché ormai ti consideriamo uno di noi! Io mi prendo queste libertà, poi mia moglie mi dice: “Ma perché dici queste cose, ti prendi tutta questa confidenza, esageri!”... Questi sono i nostri marinai di cento anni fa, questa è un’altra festa nostra, questo è Sciocchetti, questo è papa Giovanni Paolo con la beata Teresa di Calcutta, il nostro Gino, questa foto non mi ricordo dove l’abbiamo presa, questo è il mare di San Benedetto, questi sono i coniugi Martin, le cui reliquie domani saranno qui da noi (Luigi Martin e Zelia Guerin, babbo e mamma di santa Teresina, una santa che ha fatto tantissime cose belle), il nostro Pier Giorgio non poteva mancare, i nostri amici di Brescia, di Gavardo, il nostro papa Benedetto (guai a chi ce lo tocca!), il nostro Chesterton, ancora la nostra festa, Shabhaz Bhatti, un uomo che ha dato la sua vita per Cristo. Diceva: “Gesù, io non chiedo tanto, chiedo solo un posto vicino a te”, e io sono sicuro che l’ha avuto. E questa è una barca di San Benedetto. Ragazzi, tutti questi che sono qui sono pronti a lottare per questa fortezza di famiglia. Il mondo come lo vuole Nostro Signore, c’è da combattere per farlo essere così. Tutte le mattine, in tutti i momenti, in tutti i secondi c’è da fare uno sforzo educativo, economico, fisico, mentale, filosofico, quello che volete, però è una sfida bella e interessante. Scusate, non so chi l’ha notata, qui c’è una bambina che io conosco bene... Perché ho messo questa bambina con l’aquilone lì sopra? Perché per fare questo ci vuole tanta innocenza. L’innocenza è una grazia che ci dà il Padre Eterno perché, contrariamente a quanto pensano molti, non è che più si diventa furbi e più si va avanti nella vita. Non è vero. Lo dico soprattutto alle mamme che dicono che “bisogna che questo figlio si svegli”. Lascialo dormire, non a casa nel letto, lascialo essere a contatto con le cose belle, non è vero che se non è cattivo poi non fa strada. Questi discorsi li ho sentiti centomila volte. Sono discorsi squallidi, ridicoli. Scusatemi, lo voglio dire senza paura. Invece ci vuole l’innocenza di chi ama far volare gli aquiloni perché sa che l’interessante sta in alto. Ci vuole quest’innocenza qui. Tutta questa gente qui ha quest’innocenza che è un dono che dobbiamo tenere stretto stretto stretto. Tutto qui il problema. Lo dico ai nostri ragazzi: non è che l’età adulta, prima arriva, meglio è e prima bruciamo. Sono tutte baggianate, non è vero. L’età adulta va bene ma se manteniamo l’innocenza, capito? Perché altrimenti è un’anticamera dell’inferno e invece non vale la pena perché noi dobbiamo vivere per il paradiso già qui. Un pochino lo possiamo costruire qui noi, pezzo pezzo. Chesterton definì questo modo di ragionare “il Paradiso in terra”. Noi possiamo lottare per questo. Questa è una piccola spiegazione perché mi era stata chiesta e non avevamo nessuna occasione prima. Lo so che non è tutto immediato ma anche le cattedrali non avevano un linguaggio immediato, bisogna fermarsi e guardarle. Noi oggi dobbiamo fermarci, guardare, pensarci un attimo, ritagliarci un posticino lì tra la bicicletta di Gino e la sciarpa dell’amica di Pier Giorgio Frassati e starci. Se qualcuno poi è grosso, ci servono le spalle grosse per tenere tutta questa mercanzia. Chiaro, ragazzi? Si capisce? Io non dico nient’altro. Il tema di questa sera è un tema centrale in tutta questa battaglia. Il tema è quello dell’educazione. Questa è la serata che noi dedichiamo alle nostre opere e alle esperienze che nascono dalle nostre opere e dal mondo: il carisma educativo di san Benedetto da Norcia. Non è un tema facile però noi abbiamo chiamato una persona di cui abbiamo una grande stima. 8 9 Voglio dire un’altra paroletta perché è importante: noi non chiamiamo padre Cassian solamente perché è una persona brava, stimata e intelligente (questo non sono io a doverlo dire ma si capisce) ma perché c’è un’amicizia tra noi e io questo lo voglio dire sempre allargandomi, come direbbe mia moglie, però bisogna allargarsi nella vita, altrimenti, se si rimane sempre al palo, si invecchia prima del tempo. C’è un’amicizia che è nata tra di noi; noi frequentiamo spesso Norcia o perlomeno la frequentiamo quanto più ci è possibile, perché non sempre tutto è facile nell’immediato. Cerchiamo di aiutarci tra noi, cioè fra i Tipi Loschi e i monaci di Norcia. Cerchiamo di costruire insieme. C’è qualcuno qui che poi mi sta aiutando ad aiutare i monaci di Norcia, e i monaci di Norcia già ci aiutano perché ci accolgono, dicono la messa nel modo antico, bellissimo (io rimango a bocca aperta tutte le volte). Una volta un prete mi disse: “Sì, sì, va bene, ma tu dici così perché ci sei andato poche volte, tanto alla fine ti stufi”. Io, dopo tre anni che vado alla messa a Norcia, ancora non mi sono stufato. Siccome uno dopo tre anni non si è ancora stufato, vuol dire che non si stuferà mai. E’ una cosa bella perché nella chiesa dovremmo sempre trovare questi punti di connessione e aiutarci. Il Papa ce lo chiede; Benedetto XVI ci sta chiedendo questo. Quest’amicizia è bella, noi siamo amici di tante persone, di Camilla, delle Suore Concezioniste. L’altra sera c’era un gruppetto di suore che stava giocando a carte, ma accanite, eh! Guardandole, mi sono commosso. Ci sono queste cose, queste amicizie belle che bisogna mantenere. C’è padre Domenico, qua. Padre Domenico, quanti matti mando a confessarsi da te? Il primo sono io! Queste sono cose importanti perché altrimenti non nasce niente. Io sono convinto che la Chiesa si costruisca così, mi pare di leggere le cose del Papa e di capire questo. Se poi voi capite qualche altra cosa, ditemelo, io sono qua presente. Lascio la parola a padre Cassian che ringrazio di aver fatto il sacrificio di venire qui perché è convalescente, ha avuto una malattia, noi abbiamo pregato tanto per lui, dobbiamo continuare a pregare, pregheremo anche per altre persone perché anche questa è l’amicizia. Grazie! 10 11 Padre Cassian: Posso ripetere quest’affermazione della nostra amicizia perché sono convinto che il carisma monastico, la vocazione monastica e la vocazione di far crescere una famiglia nel mondo siano due lati della stessa moneta. Le qualità necessarie per un buon monaco e un buon padre di famiglia sono uguali, cioè la capacità di donarsi agli altri, la capacità di andare fuori da se stesso, di mettere da parte l’egoismo, quindi noi ci troviamo a servire lo stesso Re ed io trovo conforto nel vostro esempio e per me venire qui non è un sacrificio. Il tema che mi è stato dato è il carisma educativo di San Benedetto da Norcia. Vorrei affrontare questo tema in due momenti. 1) La prima parte sarà una ricerca nella tradizione monastica per trovare indicazioni sul carisma educativo. Questa ricerca sarà il mio contributo alla seduta di stasera. 2) Nella seconda parte cercherò di fare una sintesi degli elementi educativi individuati - e poi voglio fare un confronto tra questa sintesi proveniente dall’antichità, tra questa tradizione e la vostra esperienza attuale. Questo confronto lo dovrete fare voi nel periodo riservato al nostro dibattito e questo sarà il vostro contributo alla seduta di stasera. Quindi faccio la presentazione, una sintesi e poi vediamo se questa voce dall’antichità con un sapore un po’ diverso può provocare delle riflessioni che sono utili per noi oggi. Quindi cominciamo la prima parte. PRIMA PARTE.IL CARISMA EDUCATIVO NELLATRADIZIONE MONASTICA. In questa prima parte ci sono tre autori che forniscono informazioni importanti sulla formazione culturale e la formazione di carattere dei fanciulli nella tradizione monastica: San Benedetto, San Basilio e Cassiodoro. Cominciamo con San Benedetto, che morì nel 547 grosso modo, quindi nella metà del sesto secolo. La Regola di San Benedetto Nella sua regola non presenta un trattato sulla formazione dei giovani. Per conoscere il suo pensiero dobbiamo raccogliere brani diversi sparsi qua e là: un vero lavoro investigativo, per trovare poi una sintesi. A: Il contesto della formazione dei fanciulli nella Regola è l’esistenza di oblati, i pueri, i fanciulli offerti al monastero dai loro genitori. 1) Oblati (fanciulli) - RB 59: Nel capitolo 59 leggiamo questa descrizione: v. 1 se uno di famiglia ricca intende offrire un suo figlio a Dio nel monastero, spetta ai genitori del fanciullo, essendo questi minorenne, stendere la richiesta (ne abbiamo parlato sopra) e quindi essi devono avvolgere questo documento nella mano del fanciullo nella tovaglia dell’altare, unitamente all’offerta eucaristica, compiendo così l’offerta del figlio. Quindi nell’epoca di San Benedetto possiamo constatare la presenza di fanciulli nel monastero di età diverse che sono stati formati dentro il monastero. Lungo i secoli troviamo anche la presenza di studenti esterni. Quindi il contesto storico è quello degli oblati fanciulli. 12 2) Clausura - Un altro aspetto del contesto formativo o educativo è la clausura. San Benedetto dice: Quanto al monastero, bisogna che possibilmente sia strutturato in modo che all’interno del monastero stesso si trovi tutto quello che è necessario - acqua, macina del grano, orto - e si possano esercitare i diversi mestieri perché i monaci non siano obbligati ad andar girando fuori, il che non giova affatto alle loro anime. Quindi c’è una separazione dal mondo non soltanto per i monaci ma anche per gli oblati, i fanciulli. Ecco il contesto storico della formazione dei fanciulli nella Regola. B: Modelli - Quali sono i modelli dei formatori, degli educatori? 1) Prima c’è l’abate (RB 2:24). San Benedetto dice che l’abate alternerà secondo le circostanze rigore e dolcezza, mostrando ora la severità del maestro, ora la tenerezza del padre. Quindi c’è sia la severità del maestro che la tenerezza del padre; le due cose insieme secondo le circostanze. Se ci fosse soltanto la severità del maestro sarebbe opprimente; se ci fosse soltanto la tenerezza del padre mancherebbe la disciplina. 2) Oltre all’abate c’è anche il cellerario (RB 31:9), l’economo, e san Benedetto dice che lui con ogni sollecitudine si prenda cura dei malati, dei fanciulli, degli ospiti e dei poveri, cioè di quei membri della comunità che sono più deboli, più bisognosi e i fanciulli rientrano in questa categoria, hanno bisogno di più attenzione e più cura. 3) In terzo luogo c’è il maestro dei novizi (RB 58:6), un monaco anziano capace di “guadagnare le anime”, quindi ha un rapporto con i novizi che ispira fiducia e confidenza. 13 C: Metodo pedagogico Parliamo un po’ del metodo pedagogico: 1) Maestro / chi accompagna i ragazzi RB 63:18: I fanciulli, gli oblati hanno un maestro. San Benedetto dice: i fanciulli e i ragazzi occupino disciplinatamente i loro posti nell’oratorio e nella mensa. Fuori poi di lì, in qualunque luogo, abbiano chi li sorvegli e li tenga disciplinati finché giungano all’età della ragione. Quindi c’è un monaco incaricato di sorvegliare, di guidare, di stare con questi oblati, questi ragazzi, questi fanciulli. E’ l’importanza di avere un maestro. 2) Disciplina - Qui san Benedetto sottolinea molto la disciplina per due motivi: per il buon ordine e per la correzione delle colpe. Parliamo della necessità del buon ordine nella formazione dei giovani. a) Buon ordine RB 22: Come debbano dormire i monaci (dormitorio) - Quando san Benedetto descrive il dormitorio del monastero, dice (v. 7) che i fratelli più giovani non abbiano i letti vicini fra loro, ma siano frammisti con gli anziani. Perché? Perché se i giovani sono insieme, faranno scherzi, chiacchiere, confusione, ecc. E’ necessario dividerli, mettere anziani tra di loro e mantenerli con un po’ di ordine. RB 63: L’Ordine della Comunità - Poi San Benedetto dice in un altro luogo: quanto ai fanciulli, sarà fatta osservare loro la disciplina in ogni cosa da parte di tutti. Quindi tutti i monaci hanno la responsabilità di disciplinare i giovani con l’obiettivo del buon ordine. 14 b)Correzione/punizione RB 30: Però c’è anche la correzione per le colpe, o la punizione addirittura e San Benedetto ha un capitolo su come correggere i fanciulli. Dice: ogni età e ogni grado di intelligenza richiedono un trattamento appropriato, perciò quando sono dei fanciulli o dei giovinetti a commettere una colpa, ovvero qualcuno che non sia in grado di comprendere la gravità della pena, della scomunica, essi siano puniti con digiuni severi o con forti battiture perché siano risanati. I nostri metodi oggi sono un po’ più soavi. E poi lui propone il digiuno come punizione e le battiture per chi non riesce a capire un discorso ragionevole. RB 70: Nessuno si permette di castigare un fratello di suo arbitrio. Però allo stesso tempo in un altro luogo San Benedetto insiste sulla moderazione nella disciplina. Quanto ai ragazzi sino ai quindici anni di età deve essere compito comune a tutti mantenerne la disciplina e sorvegliarli, anche questo però sempre con misura (mensura) e ragionevolezza (ratione). Chi senza un comando dell’abate si permette in qualche modo contro un adulto o si irrita fuori misura (sine discretione) con i ragazzi subisca le sanzioni della Regola. Quindi la disciplina deve essere con misura, ragionevole e con discrezione. Questi brani citati non ci danno un quadro completo, si deve completare questo quadro con degli sviluppi medioevali. 15 Sviluppi medievali (IX Secolo, periodo carolingio) Mary Alfred Schroll, Benedectine Monasticism as reflected in the Warnefrid-Hildemar Commentaries on the Rule (New York: Columbia University Press, 1941). Specialmente nel IX secolo, nel periodo carolingio, ci sono commenti sulla Regola di San Benedetto che forniscono descrizioni di come hanno gestito la formazione dei giovani nel nono secolo. In questo contesto più tardi il monastero forniva i rudimenti della formazione culturale e personale alla scuola sia interna sia esterna. Quindi possiamo constatare l’esistenza delle scuole con un maestro monaco e gli oblati che erano chiamati “scholastici”. Nel tempo assegnato alla lectio divina (da due a tre ore al giorno secondo il periodo dell’anno) i fanciulli studiavano nel chiostro sotto la guida del maestro. A: Formazione culturale - Ci sono due aspetti in questa formazione: il primo è ciò che chiamo formazione culturale e il secondo formazione di carattere. Qual era la formazione culturale? Prima di tutto dovevano leggere e memorizzare la Regola, i salmi, i cantici e gli inni dell’Ufficio (quindi molta memorizzazione), poi dovevano leggere ad alta voce davanti al maestro, curando quindi molto la pronuncia e la declamazione, commenti patristici sulla Bibbia, la vita dei Santi, le Conferenze di San Giovanni Cassiano, la storia, la letteratura, un bagaglio culturale notevole. Impararono a parlare latino fra di loro, non soltanto a leggere ma anche a parlare. Studiarono la grammatica, l’ars dictandi, l’arte della pronuncia, della formulazione delle frasi, dell’elocuzione, l’arte dello 16 scrivere, infatti lavorarono nel trascrivere manoscritti, studiavano la matematica, la musica e poi facevano anche del lavoro manuale con la formazione delle varie arti (necessarie per l’autosufficienza del monastero). Il risultato di tutta questa formazione era un bagaglio culturale non indifferente, però questa formazione culturale è soltanto una parte della storia. B: Formazione di carattere - Il secondo aspetto è la formazione di carattere dei fanciulli. Uno dei commentari del IX secolo descrive una scena in cui un ospite illustre viene al monastero e l’abate per fare bella figura manda uno dei ragazzi a ricevere l’ospite e a dimostrare la sua capacità di relazionarsi con questa persona. Il testo dice: se un ospite colto viene al monastero, l’abate dovrebbe chiamare uno dei fanciulli più preparati per farlo parlare con l’ospite su vari argomenti, sul canto, sul computo dei numeri, sulla grammatica e l’abate osserva le buone maniere del ragazzo, se si relaziona con l’ospite in modo troppo timido o troppo impertinente. Quindi c’è: una formazione anche nella cortesia, nei gesti di cortesia che fanno parte delle usanze monastiche, la formazione nelle virtù. Questa formazione di carattere si può riassumere in tre voci, cioè: + le buone maniere, + la cortesia + le virtù. Ma tutto questo rimane incompleto, cioè abbiamo alcune intuizioni di come si svolgeva la formazione dei fanciulli sia nella Regola sia nei monasteri dei secoli più tardivi. Il quadro non è completo, si devono 17 aggiungere altri autori e prima di tutto vorrei parlare di Cassiodoro. Cassiodoro (485-580) Gregorio Penco, Storia del Monachesimo in Italia, pp. 46-50. Cassiodoro morì nel 580, quindi era contemporaneo di San Benedetto anche se è vissuto alcuni decenni in più. Lui veniva da una famiglia romana nobile e ha svolto compiti importanti nell’amministrazione dell’impero romano sotto quattro re goti. La sede in quell’epoca era Ravenna, non Roma, quindi Cassiodoro lavorava nella corte del re a Ravenna. Il papa Agapito gli ha chiesto un giorno nel 536 di fondare a Roma una scuola di studi sacri superiori, ma il progetto non è andato in porto. Cassiodoro si è dimesso dall’amministrazione nel 540 e si è ritirato nei suoi possedimenti in Calabria dove ha fondato il monastero che si chiama Vivarium, pensando che solo in monastero il suo ideale avrebbe potuto essere attuato. La sua impostazione è molto diversa da quella di san Benedetto, perché lui pensava il monastero come un’accademia dove l’accento era sulla vita intellettuale sia teologica che profana e sulla trascrizione dei manoscritti. Da Cassiodoro viene nell’immagine popolare l’idea del monaco quale custode della civiltà occidentale. Non viene da san Benedetto, viene da Cassiodoro. Il principio per lui era la conciliazione tra cultura sacra e cultura profana in funzione della vita monastica e della formazione spirituale dei monaci. Il suo contributo principale è il programma di studi che lui ha descritto, la ratio studiorum (Institutiones divinarum et saecularium litterarum) che includeva: 18 + la Sacra Scrittura + autori classici e questo studio era intercalato col lavoro manuale. Ma è lui che ha descritto le sette arti liberali che più tardi si chiameranno il trivium e il quadrivium. Il trivium consisteva nella grammatica, nella retorica e nella dialettica, cioè la comunicazione, mentre il quadrivium includeva la matematica, la musica, la geometria e l’astronomia. In più nel monastero di Cassiodoro si studiavano: + + + + + + le scienze profane le lettere greche la storia la geografia le scienze naturali la medicina e si metteva molta enfasi sulla trascrizione dei codici con tutta la disciplina necessaria per questo lavoro. Era veramente un centro culturale molto importante. Però la speranza di Cassiodoro che il lavoro intellettuale da lui iniziato venisse proseguito dai suoi monaci andò delusa giacché il monastero si estinse prestissimo dopo la morte del fondatore (Penco, p. 48). Anzi all’inizio del secolo settimo, vent’anni dopo la morte di Cassiodoro, se ne perdono le tracce. E’ probabile che una parte della biblioteca, che era ricchissima, sia finita al Laterano da cui i testi si diffusero fuori dall’Italia. 19 Anche se il monastero di Cassiodoro non ebbe un’esistenza molto lunga, il suo contributo fu notevole perché la morfologia della cultura monastica rimase in gran parte nel Medioevo quale l’aveva fissata e delineata Cassiodoro, non Benedetto ma Cassiodoro (Penco, p. 49). Il terzo autore che volevo consultare è San Basilio il grande, che San Benedetto cita nella sua regola. San Basilio (330-378) Basilio di Cesarea, Le Regole (Magnano, Edizioni Qiqajon, 1993) San Basilio di Cappadocia (Asia Minore, oggi Turchia, la parte orientale) morì nel 378, quindi quasi due secoli prima di san Benedetto. Egli ha scritto due Regole, quella Lunga e quella Breve, ma queste Regole di genere letterario sono una catechesi sulla vita cristiana, non una regola nel senso di un regolamento dettagliato della vita di una determinata comunità come la Regola di san Benedetto. Ma Basilio è interessante perché lui descrive una scuola esterna gestita dai monaci. CONTESTO: UNA SCUOLA ESTERNA GESTITA DA MONACI L’età - Nel capitolo 15 di questa Regola Lunga pone la domanda: a partire da quale età si deve permettere a qualcuno di consacrarsi a Dio e quando si deve considerare sicura la promessa di verginità? E risponde (p. 125): Riteniamo che ogni tempo, anche quello dell’infanzia, sia conveniente per accogliere qualcuno tra noi. Quindi il sistema di Basilio è simile a quello di San Benedetto; consiste cioè nel ricevere fanciulli, anche bambini, come oblati. Separazione dal mondo, ma anche separazione dal monastero - Nel contesto di San Basilio però la scuola per i fanciulli è separata sia dal mondo sia dalla comunità al monastero. Dice (p. 127): “non è bene annoverare questi ragazzi subito tra i fratelli e inserirli nella comunità per 20 timore che la vergogna di un insuccesso non ricada sulla vita cristiana”. Sarebbe uno scandalo. “Bisogna invece allevarli con amore pieno come se fossero figli di tutta la comunità e mantenerne separati l’abitazione e il regime di vita sia per i maschi che per le femmine”, quindi non soltanto per i maschi ma anche per le femmine, “così che non si ingeneri in loro né libertà eccessiva né un’esagerata familiarità nei rapporti coi più anziani, anzi incontrandosi di rado con loro possa essere custodito il rispetto per chi si occupa della loro educazione”. Quindi la motivazione della separazione dalla comunità è di mantenere una certa distanza professionale e il rispetto. E dice di nuovo (p. 127): “Così la dimora degli asceti non sarà disturbata dalle lezioni necessarie per i giovani”. Preghiera con la comunità (p.127) - Tuttavia partecipano alla preghiera quotidiana della comunità e in questo modo, dice san Basilio, i ragazzi, vedendo lo zelo degli anziani, si abituano alla compunzione e gli adulti ricevono dai bambini un non piccolo aiuto vicendevole nella preghiera. Programma (p. 127) - Come programma ci sono indicazioni soltanto vaghe; si stabiliscono, dice Basilio, occupazioni particolari in un regime adatto per loro per quanto riguarda il sonno, la veglia, l’orario dei pasti, la misura e la qualità del cibo. Maestro (p. 127) - Vi si parla un po’ del maestro, si mette come loro capo qualcuno maggiore di età con un’esperienza più grande degli altri e conosciuto per la sua pazienza, in modo che possa correggere i peccati dei giovani con paterna bontà e con parole sapienti offrendo il rimedio adatto per ogni colpa così che vi sia correzione del peccato e contemporaneamente l’anima si eserciti a dominare le passioni. 21 FORMAZIONE DI CARATTERE Quindi si tratta della formazione di carattere, non soltanto della mente, e San Basilio descrive un po’ questa formazione di carattere che anche per noi è importante. Cito un brano che indica lo spirito di Basilio in questo carisma educativo (p. 128): “Uno di loro, ad esempio, se è adirato con un compagno? Sia costretto ad averne cura e servirlo in misura proporzionata a ciò che ha osato fare”. Se litigano fra di loro, come si può risolvere la cosa? Quello che ha iniziato il problema deve servire l’altro. “Infatti, poiché molto spesso è l’orgoglio che genera in noi l’ira, l’abitudine dell’umiltà potrebbe sradicare dall’anima la collera. Qualcuno ha preso del cibo fuori pasto? Resti a digiuno la maggior parte della giornata. Qualcuno viene accusato di mangiare in modo smodato o indecoroso? Lo si obblighi al momento del pasto a restare senza cibo e a guardare gli altri mentre mangiano come si deve in modo da essere castigato tramite la privazione del cibo e da imparare le buone maniere anche nel mangiare”. C’è una punizione abbastanza severa. “Qualcuno ha detto parole vane e offensive per il prossimo, menzogne o qualche altra parola proibita? Lo si faccia rinsavire con il digiuno e il silenzio”. Formazione alla virtù - Quindi c’è un’attenzione alla debolezza del fanciullo, ai suoi peccati, ai suoi limiti e un programma per la formazione alla virtù. Dice inoltre: “La semplicità propria dell’età, la franchezza e l’incapacità a mentire aiutano il ragazzo a confessare facilmente i segreti dell’anima e così per non essere sempre sorpreso in pensieri proibiti egli eviterà i pensieri sconvenienti e li rifuggirà continuamente per timore di essere svergognato dai rimproveri” (pp. 128-129). 22 Formazione alla virtù - Quindi c’è una formazione interiore su quali pensieri sono convenienti e quali pensieri sono da scartare. Non sono tanto le azioni, quanto i pensieri. Dice inoltre: “Bisogna incitare l’anima, esercitarsi in ogni opera buona subito, fin dal principio, finché è ancora malleabile, tenera e molle come la cera e si lascia facilmente plasmare secondo le forme che le vengono date. E così sopraggiungeranno la ragione e l’abitudine al discernimento, potrà cominciare la sua corsa a partire dai primi rudimenti e dai principi della formazione cristiana che ha ricevuto, poiché la ragione suggerirà ciò che è utile e l’abitudine renderà più facile agire rettamente” (p. 129). Quindi si parla dell’uso della ragione e dell’abitudine della virtù, due cose necessarie per la formazione di carattere. Formazione alla castità - Un altro aspetto di San Basilio è la formazione alla castità. Se uno di questi ragazzi vuole farsi monaco dopo sedici-diciassette anni, c’è il momento di scelta sia per la vita della verginità che per la vita del mondo e la scelta deve provenire da una decisione, un discernimento personale nel pieno uso della ragione. Ma per tutti quanti per San Basilio, “la temperanza”, che vuol dire per lui digiuno, autocontrollo, “è necessaria ed evidente... Nient’altro riesce quanto la temperanza a trattare duramente il corpo e ridurlo in schiavitù. L’esuberanza della giovinezza infatti e la foga delle passioni sono trattenute dalla temperanza come da un freno” (Regola, c. 16, pp. 130-131). Un tema sempre attuale: la formazione alla castità. 23 FORMAZIONE NELLE ARTI CONCLUSIONE Sempre in San Basilio c’è anche la formazione alle arti. Dice: “Poiché in certe arti bisogna esercitarsi fin dall’infanzia, qualora alcuni di questi bambini mostrino inclinazione per esse, non proibiamo che passino la giornata con chi insegna loro quell’arte”, come in un tirocinio: “la notte, però, devono assolutamente tornare tra i loro compagni, con i quali devono anche prendere i pasti” (p. 130). Quindi dev’esserci un rapporto intimo con il maestro dell’arte mantenendo, nonostante l’attività, l’abitazione e la comunità fra i ragazzi. In questa prima parte abbiamo esaminato tre autori monastici da ambienti molto diversi. Le loro idee sono confluite nel Medioevo per formare una nuova sintesi. Adesso nella seconda parte vorrei proporre questa sintesi e poi porre anche delle domande per provocare un dibattito. FORMAZIONE CULTURALE La formazione culturale non è descritta con grandi dettagli però ci sono alcune indicazioni. Basilio dice che (p. 128) “è necessario che anche lo studio sia conforme al fine che ci siamo proposti in modo che i ragazzi imparino a servirsi delle parole tratte dalla Scrittura e in luogo dei miti”, cioè della letteratura greca, “si raccontino loro le opere meravigliose della storia di salvezza” e imparino a leggere con il testo della Bibbia e non coi racconti dei miti. Per quanto riguarda la pedagogia, dice: “Li si istruisca con i detti del libro dei Proverbi che parlano di come vivere bene e si dia loro una ricompensa quando ricorderanno nomi e fatti”, un piccolo premio: “In questo modo, divertendosi e quasi per gioco, raggiungeranno lo scopo senza fatica e senza difficoltà” (p. 128). Infine dice: attraverso un’indicazione corretta i ragazzi si abituino facilmente ad essere attenti e a non distrarsi, se i loro maestri domandano loro di continuo dove è la loro mente e a che cosa si volgono i loro pensieri. Oggi sperimentiamo una grande difficoltà nelle scuole di concentrarsi, di essere attenti, ma già nel IV secolo san Basilio ne parla. 24 SECONDA PARTE: SINTESI E DIBATTITO Ci sono quattro elementi del carisma educativo monastico che abbiamo individuato: 1) 2) 3) 4) c’è la scuola, ci sono gli educatori,i formatori, poi il metodo pedagogico e infine il contenuto. Vorrei dire qualcosa su questi quattro argomenti. 1. Prima di tutto la scuola. Abbiamo visto scuole all’interno del monastero e anche all’esterno del monastero, in ogni caso una scuola in disparte, separata dal mondo. Domanda: per educare i nostri figli è necessario un contesto separato dal mondo? Personalmente credo di sì, ma in quale misura? Perché è anche importante saper relazionarsi col mondo. Il mondo si può concepire secondo due categorie: il creato che Dio ha fatto (e questo 25 mondo è bello, attraente, meraviglioso) e il mondo nel senso del vangelo di san Giovanni, e questo mondo è profondamente malato. La cultura dominante è basata sulle menzogne.Un distacco formativo è necessario per poter poi tornare al mondo con gli strumenti necessari per affrontare la malattia e le menzogne. Il sistema educativo aiuta i nostri figli ad avere questo atteggiamento di indipendenza dalla cultura dominante? Acquistano gli strumenti per fare una critica coerente di questa cultura? 2. La seconda categoria: gli educatori. Abbiamo visto: - l’esempio degli anziani, - la sollecitudine dell’abate alternando rigore e dolcezza, la severità del maestro, la tenerezza del padre. - Abbiamo visto l’attenzione del cellerario nelle cose pratiche, - la premura del maestro, molto paziente, con molta esperienza, capace non soltanto di insegnare la materia ma di “guadagnare le anime”. Domanda: chi sono gli educatori dei nostri figli? Sono affidabili? Danno un buon esempio di vita? Hanno la capacità di formare non soltanto la mente ma anche lo spirito? Nel sistema monastico gli scolastici imitano i loro modelli. I nostri insegnanti offrono buoni modelli da imitare? 3. La terza categoria è il metodo pedagogico, in tre parti; prima di tutto: - la disciplina. San Benedetto insiste sulla disciplina, una disciplina rigorosa ma non oppressiva, fatta con misura, con ragionevolezza, con discrezione, per mantenere il buon ordine e per correggere le colpe. Riflessione mia: i frutti della disciplina, secondo me, sono lo spirito di 26 sacrificio, di abnegazione, di autocontrollo. Queste sono virtù molto importanti. Il nostro sistema educativo attuale aiuta i nostri figli ad acquistare queste virtù, questa autodisciplina? - Un secondo aspetto del metodo pedagogico è l’approccio basato sulla Parola, la Parola di Dio, la Bibbia. - Si sottolinea l’importanza: - della memorizzazione, - della ripetizione, - della lettura ad alta voce - e c’è un corpus limitato di materie, non ci sono tantissime possibilità, c’è un repertorio limitato che si può approfondire e c’è molta attenzione alla parola scritta e parlata. Questo aspetto non è molto sviluppato nelle nostre fonti perché è dato per scontato, in quanto la parola di Dio sta alla base della cultura monastica. Per acquistare questa cultura, però - per poter leggere con comprensione - si deve essere attenti e non distratti. I nostri figli hanno questa capacità di concentrarsi? Il sistema educativo favorisce questo tipo di concentrazione? Vorremmo persone con la capacità di pensare, riflettere, valutare - per poi poter comunicare ciò che hanno meditato. Queste capacità sono abbastanza rare... Quindi ci sono due aspetti da considerare: la Bibbia come base della cultura cristiana e la capacità di leggere la Bibbia con attenzione. - Il terzo aspetto del metodo pedagogico è l’integrazione. Nel sistema monastico ci sono tre aspetti della formazione dei giovani che vanno assolutamente integrati: a) la formazione intellettuale, 27 b) la formazione morale, di carattere, e c) la formazione spirituale. Questi tre aspetti sono presenti nei nostri programmi educativi? 4. Sviluppo un po’ questa triplice formazione: intellettuale, morale e spirituale. a) La formazione intellettuale: 1) nelle nostre fonti il nucleo spirituale è - la Bibbia, specialmente i salmi, - la liturgia (perché i ragazzi devono imparare a memoria gli inni nei cantici) e - i Padri della chiesa. Domanda: i nostri figli conoscono i salmi? Leggono la Bibbia? Frequentano la liturgia nei luoghi rari dove è celebrata bene? Hanno qualche conoscenza dei Padri della Chiesa? Di solito sono completamente digiuni di queste cose. Quindi ciò che costituiva il nucleo spirituale fondamentale di un tempo non c’è più e ci meravigliamo che c’è una crisi di fede. 2) Un altro aspetto della formazione intellettuale è l’umanistica, - il latino, - il trivium, - il quadrivium. 3) Altre materie: - storia, - letteratura, - scienze naturali, ecc. Queste materie fondamentali fanno parte del programma di studio del nostro sistema educativo? Non è piuttosto vero che il sistema antico è stato abbandonato? E’ giusto che sia così? Possiamo recuperare qualche cosa? 4) Per quanto riguarda le arti: Sarebbe bello se oltre alle materie accademiche ogni studente imparasse un’arte, cioè la capacità di fare qualcosa con le proprie mani. Si potrebbe fare un tirocinio da + un falegname, + un cuoco, + un sarto, + un fabbro, + un idraulico, + un muratore, + un agricoltore, + un allevatore degli animali e così via; si potrebbe cioè avere una capacità anche pratica. b) La seconda parte di questa triplice formazione, oltre alla formazione intellettuale, è la formazione spirituale e nelle nostre fonti questa formazione consisteva nella - preghiera con i monaci, - Lectio divina, - salmi. Domanda: i nostri figli ricevono una formazione spirituale? La catechesi 28 29 parrocchiale è, in genere, inutile, ma i nostri figli devono imparare a pregare. Si prega in famiglia? Si acquistano abitudini di virtù quali la preghiera quotidiana, la lectio divina, la confessione frequente, i ritiri o cose occasionali di direzione spirituale e così via? Sono cose difficili, lo so. c) La terza parte della triplice formazione è la formazione morale, di carattere. Abbiamo visto nelle nostre fonti l’enfasi: + sull’acquisto delle virtù, + sulla formazione alla castità, + sulle buone maniere, + la cortesia, + la capacità di relazionarsi con altri, + la capacità di vivere in comunità. Nel mondo accademico e nel mondo monastico ogni tanto si incontrano delle persone molto intelligenti che si comportano da barbari, cioè non sanno relazionarsi con gli altri anche se molto intelligenti, quindi la loro formazione è stata deficiente. I nostri figli ricevono una formazione nelle buone maniere e nelle varie espressioni di cortesia? I giovani sono aiutati a sradicare i vizi per acquistare le virtù? C’è una formazione alla castità? Hanno la capacità di vivere in comunità mettendo da parte il loro egoismo a favore del bene degli altri? Questa è una condizione essenziale non soltanto per la vita monastica ma anche per la vita in famiglia, nel matrimonio. 30 Infine qual è la responsabilità della scuola nella formazione di carattere e qual è la responsabilità della famiglia? Ho posto tante domande. Non ho una risposta per tutte queste domande. Questo è per il nostro dibattito. Marco Sermarini: Ora se qualcuno vuole fare delle considerazioni o delle domande o dare qualche risposta c’è il microfono. Padre Cassian: Forse la voce che viene dall’antichità, dalla tradizione monastica è sempre un po’ strana per la nostra realtà di oggi, ha un sapore diverso. Però proprio perché è diverso può provocare delle riflessioni. Domanda: Padre Cassian, io sono rimasto colpito quando sul discorso sulla scuola tu dicevi: “E’ necessario staccare l’alunno dal mondo” perché è una delle obiezioni che abbiamo incontrato nella nostra scuola. Poi ripensandoci adesso ho pensato: nella vita militare c’è un addestramento precedente, uno non lo fa sul campo di battaglia altrimenti dura un minuto. Nel calcio, nello sport mi viene da pensare a tantissime situazioni dove nessuno si immaginerebbe mai di buttare il proprio figlio in mezzo alla mischia. Nella scuola però no; cioè nell’educazione, nell’affrontare la vita un adolescente spesso viene lasciato solo e di fronte alle obiezioni di chi dice: “Guarda, forse è ancora un po’ piccolo” , “no, si deve fare le ossa”. Però c’è un po’ di difficoltà, quando invece magari noi stessi genitori in tantissime situazioni diciamo: “No, prima di farlo andare in acqua da solo lo stacco dall’acqua stessa, cioè non lo faccio andare oltre il punto dove non tocca perché altrimenti so che rischierebbe la vita”. Mi piacerebbe, insomma, che ci spiegassi un po’ 31 questa cosa, cioè, non è che c’è da spiegare, perché se è vero in questi casi è vero anche nell’educazione. Padre Cassian: E’ molto difficile dire che se la nostra cultura fosse favorevole alla fede cristiana sarebbe un’altra cosa, cioè non sarebbe necessario staccarsi così drammaticamente dal mondo, ma se la cultura è ostile, non soltanto indifferente, ma proprio ostile alla fede cattolica, e se i nostri ragazzi che vanno alla scuola statale imparano cose implicitamente, non sempre esplicitamente, spaventose e queste cose entrano, come l’aria che respirano, nel loro modo di pensare, abbiamo abdicato dal nostro ruolo educativo, quindi credo che nella nostra epoca sia più necessario che mai qualche distacco, non però per rimanere in disparte, ma per fornire agli alunni quegli strumenti necessari per affrontare il mondo e per essere capaci di discernere tra il bene e il male e per poter percepire quando qualcosa è una menzogna o è la verità. Non è facile fare questo discernimento perché i media, i giornali e la televisione rafforzano sempre questi modelli culturali che per noi sono un’aberrazione. C’è un rischio però: conosco negli Stati Uniti vari gruppi che fanno la scuola a casa e se i genitori non sono attenti, è possibile che i piccoli non imparino mai a relazionarsi con un gruppo più grande e la formazione diventi un po’ riduttiva. Non è necessario un aiuto alla formazione del giovane, quindi non è una ricetta assoluta. Quindi lo scopo, ripeto, non è rimanere in disparte, ma avere gli strumenti necessari per affrontare il mondo come testimoni. Marco Sermarini: L’aspetto che io ho notato di quello che dicevi è quello relativo alla disciplina, sia nel senso di una disciplina che aiuti a gestire i giovani come ne parla san Benedetto, che dice: “Ci vuole qualcuno che li guardi perché poi giustamente ci vuole la disciplina”, sia nel 32 senso delle ultime cose che hai detto, ovverosia quando tu parlavi di una formazione che serva ad acquisire abnegazione. Erano anni che non sentivo questa parola: abnegazione. Lo dico ridendo però è vero; abnegazione, spirito di sacrificio (hai usato un’altra parola che adesso mi sfugge, ho preso anche degli appunti ma adesso non ritrovo più niente, però tu sai come trovarle queste cose). Questo criterio della disciplina oggi non mi sembra un argomento di discussione, mi sembra fuori da qualunque curriculum educativo, eppure io ho dovuto imparare tante cose da grande perché da ragazzo tante cose non sono stato educato a farle, perlomeno fino a un certo momento. Dopo infatti in certi momenti ho fatto più fatica, poi la vita arriva, stringe ed è opportuno che tu eserciti queste virtù perché lo scopo che ti si pone davanti necessita queste virtù perché altrimenti non lo ottieni. Anche se poi noto tante volte una sorta di schizofrenia, cioè la disciplina in quanto tale spesso nelle scuole non viene minimamente considerata. Dall’altra parte si suggerisce un cinismo; quando si affronta la vita, quando si diventa grandi, cioè quando si esce dal sistema scolastico, dal sistema educativo o anche mentre sei nel sistema scolastico-educativo, dall’altra parte appunto a volte, o in casa o fuori di casa, i modelli che si vedono ci suggeriscono un cinismo piuttosto squallido che però necessita almeno una cattiveria per ottenere certe determinate cose, per cui, ad esempio, se uno vuole diventare un campione di calcio deve allenarsi tanto e quindi necessita di uno spirito di sacrificio che a mio avviso meriterebbe miglior causa. Vorrei che tu approfondissi questa questione, cioè se da una parte non si suggerisce la disciplina, dall’altra (non mi sembra la stessa parola, non è giusto chiamarla disciplina) si suggeriscono un cinismo e una forza di volontà che secondo me meriterebbero miglior causa. 33 Padre Cassian: Se posso sviluppare l’immagine degli atleti, questo è accettabile nella nostra cultura, cioè la disciplina per l’allenamento degli atleti è anche lodata. I giovani sono disponibili a sacrificarsi per lo sport. I padri monastici adoperano molto quest’immagine dell’atleta nella vita spirituale e dicono che c’è il monaco che è l’atleta dello spirito e ci vuole un allenamento spirituale per arrivare al premio. Questo allenamento richiede disciplina interiore ma non è una degli esercizi per correre più velocemente, più celermente e quando diventa un esperto corre con libertà, con gioia, con leggerezza, per così dire. Quindi lo scopo è di fare le cose difficili con questo spirito di padronanza. Un musicista che suona il pianoforte, ad esempio; qualcuno molto bravo che si è esercitato per anni e anni suona senza sforzo, come se fosse una cosa facile; sembra facile perché per anni ha lavorato, si è esercitato. Niente è facile, è una bugia dire che si può avere tutto adesso; non è vero, non corrisponde alla realtà. Si deve lavorare per anni per acquisire queste capacità; è così anche per le cose dello spirito. Quindi, ripeto, non soltanto per i monaci, ma per la vita in famiglia, se qualcuno non sa disciplinarsi, frenare il proprio desiderio e non sa andare incontro agli altri, abnegare se stesso a favore degli altri, come si può vivere insieme? Diventa un inferno, infatti molti vivono nell’inferno proprio perché manca questo spirito di autodisciplina. Quindi è per il nostro bene, per la nostra libertà interiore, una cosa positiva, però è difficile, non possiamo pretendere di far finta che non è difficile. come ne parli tu, da come poi sono stato anche un po’ educato in questa Compagnia vedo che è proprio corrispondente a come è fatto l’uomo, a come è fatto il bambino. Lo vedo anche in mio figlio; lui le cose belle le impara a memoria, le cose che lui ritiene belle, valide per sé, le impara a memoria. Però il problema è di chi educa, non è tanto del bambino, perché il problema dell’educazione è dell’adulto, non è tanto del bambino. Il grande problema è questo, cioè per noi che in qualche modo abbiamo a che fare coi nostri figli, coi figli dei nostri amici, essere costantemente richiamati a questo compito qui è una cosa grande. Chi ha questa responsabilità come può essere in qualche modo sostenuto e aiutato costantemente ogni giorno? Domanda: Una domanda molto semplice sulla questione degli educatori. Prima un’altra cosa: sulla questione del fatto che si debba abituare con l’esercizio e con la correzione continua i giovani, i bambini a coltivare queste virtù, io ho sempre pensato, quando ero ragazzino, che fosse magari qualcosa di negativo, una costrizione; invece, da Padre Cassian: Sono domande importanti e anche difficili. Direi: questa è una generalizzazione su cui si può discutere, ma dopo la seconda guerra mondiale, quindi negli ultimi sessant’anni circa, abbiamo almeno due generazioni, se non tre, in cui l’educazione non è stata fatta bene e quindi i genitori non sanno educare i figli. Il problema non sono i figli, sono i genitori, ma non è colpa dei genitori perché i loro genitori, a loro volta, non li hanno educati bene e quindi abbiamo due o tre generazioni di crollo del nostro contesto sociale che lascia ferite profonde nella società e nella nostra vita personale. Nel monastero abbiamo, grazie a Dio, molte vocazioni ma le vocazioni vengono dalla nostra società e con ferite serie che richiedono tantissimo tempo per guarire e ricostituire la persona, in un certo senso, perché mancavano gli educatori. E’ utile avere una visione un po’ più larga per capire il perché, però è inutile aspettare altre persone per correggere il problema. Sono convinto, grazie alla mia esperienza personale, che noi dobbiamo ricominciare da capo, quindi l’educatore sei tu; tu devi educare i tuoi figli e poi tuo figlio avrà una maggiore possibilità di educare i suoi figli meglio perché le generazioni 34 35 possono adesso andare al meglio anziché al peggio. Quindi abbiamo una grande responsabilità, ma tocca a noi, non possiamo aspettare gli altri. Ne sono convinto. Per quanto riguarda il sostegno degli altri, avete una comunità bellissima qui in cui troverete proprio questo sostegno, quest’amicizia e questa guida delle persone più anziane. Quindi ci sono buone possibilità, la situazione non è negativa in questo senso. C’è la speranza della nuova vita e quindi dobbiamo ricominciare e voi state facendo proprio questo. Domanda: Io ringrazio della presentazione di questo tema e mi venivano queste riflessioni che volevo comunicare. Nella Chiesa alla sequela di Cristo restiamo sempre discepoli, quindi questo educare non è solo dei benedettini e neanche della scuola, ma di tutta la vita. Anche Benedetto XVI, il grande maestro e Pietro rimangono discepoli, ogni giorno vanno alla scuola di Gesù. La lectio divina è andare a scuola di Gesù. Io posso aver studiato tanto, poi tutte le mattine mi alzo presto per andare a fare la lectio, cioè mi siedo, come Maria di Betania, ai piedi di Gesù che mi educa. Volevo dire che è scuola anche quello che ho imparato dalla Bibbia, dalla parola di Dio, con cui Dio stesso educa il suo popolo, educa me attraverso la Scrittura e questo va tenuto presente. Anche se tante volte nelle omelie dei sacerdoti non impariamo questo che invece è essenziale. Dio mi educa attraverso la parola, ma mi educa anche attraverso quello che succede nella mia vita. Se io ho una prova, la fede mi dice: Dio mi sta educando, per esempio, a un’umiliazione; Dio mi sta educando a una malattia; Dio mi sta educando ad essere povero; occorre leggere questo suo intervento perché rimane il maestro, perché Gesù è il maestro. Ma volevo dire che anche la Chiesa educa. Io sono d’accordo con Marco, certe parole non si usano, ma noi non andiamo col mondo, noi andiamo col vangelo. La 36 chiesa educa attraverso l’esempio dei santi. Io sono molto presa da domani. Domani qui succede un evento che io sto vivendo con una grazia grande. Vengono i genitori di santa Teresina del Bambin Gesù. Io sono stata educata da Teresina di Lisieux. Parte della mia vocazione è venuta leggendo “Storie di un’anima”, che mi ha allargato gli orizzonti. Io volevo fare la missionaria, cosa ho imparato da Teresina? E’ patrona delle missioni, ma non è mai uscita dal convento, non è uscita dalla Francia, ha salvato più anime lei dei missionari che hanno viaggiato. Sono cose veramente grandiose. Patrona delle missioni una monaca di clausura vissuta lì in convento. Io ricordo mia mamma che mentre mi sfregava le mani perché avevo freddo, diceva:“Teresina non l’avrebbe fatto”. Io sono cresciuta con l’esempio di Teresina, perché Gesù sa che hai freddo alle mani, non devi farlo vedere agli altri, lo offri. Pare fuori moda, io stessa, mentre lo dico qui, mi ritrovo in mezzo a una chiesa viva. I Tipi Loschi insegnano ai bambini gli esempi dei santi. Teresina di Lisieux non si scusava. Ti hanno fatto un’offesa, hanno detto una cosa di te che non è giusta? Devi far valere i tuoi diritti! Far valere i diritti? Mia mamma mi ha insegnato: “Teresina non lo faceva”. Il noviziato io l’ho fatto prima con mia mamma e santa Teresina. Volevo comunicare questo e ricordare che domani vengono i genitori di santa Teresina. A me prima un signore che è qui in mezzo (non so il nome) ha detto: “I genitori di Teresina ti vengono a trovare, Camilla!”. Ed è vero! Io lo sento come un dono che Dio fa a me, oltre che a tutti noi. Volevo dire di fare molta attenzione, al di là delle mode e di quel che si dice, e di educare anche attraverso l’esempio dei santi. Padre Cassian: Grazie per la testimonianza. Domanda: Io ho una domanda. In questi giorni qui alla Festa abbiamo 37 trattato anche il tema della liturgia e io mi sono sentito dire per due volte in due occasioni diverse (una volta da un prete e un’altra volta da un barista) di essere un lefebvriano. La prima volta il prete si è rifiutato di leggere la preghiera a san Michele Arcangelo. Io dopo gli ho chiesto il perché di questo suo rifiuto e lui ha detto che, secondo il Concilio Vaticano II (io la dico come l’ho sentita), il demonio è stato sconfitto per sempre da Cristo. Allora io mi domandavo: allora gli esorcisti dovrebbero essere mandati in pensione perché cosa stanno a fare se il demonio non esiste più? Poi la seconda volta che me lo sono sentito dire (ero in presenza anche di alcuni amici) parlavamo in un bar. Io ho detto, dopo la partita Italia- Germania, che la Germania di buono ha solamente il papa Benedetto XVI. Allora questo qui, che è uno cattolico, ha fatto così con la testa e allora io gli ho detto:“Scusa, perché (poi porta anche il rosario, è una brava persona, ci ha fatto anche da sponsor), qual è il problema?”. “No, perché il papa...”. Allora lui mi ha nominato subito don Gallo, che non so se conosci, ma è un prete che appoggia l’aborto, è uno di quei preti che vanno in giro con la sciarpa della pace e allora io gli ho detto: “Don Gallo secondo me dovrebbe essere scomunicato”, in maniera provocatoria. Allora lui mi ha detto: “Allora tu sei un lefebvriano”, per la seconda volta. Allora io mi sono domandato: siccome anche Marco ci ha educato, anche con la vostra amicizia, anche attraverso dei piccoli esercizi (non si finisce mai di educarsi), vedo che molte persone nel nostro rito moderno non si inginocchiano alla consacrazione, fanno così al Padre Nostro (sembrano Buffon), non si alzano quando il Santissimo viene portato via, tante volte anche gli stessi religiosi ti danno il Santissimo sulle mani guardando da un’altra parte. Lì c’è il concetto del maestro e questa cosa qui mi ha fatto rivalutare anche il concetto del maestro nella Chiesa; quanta scomposizione, quanta distrazione c’è in noi cattolici? Io ho avuto una piccola esperienza con la nostra squadra di rugby, non abbiamo giocato mai perché ci siamo solo allenati. Dicevamo la preghiera prima di andare via, la preghiera prima di iniziare per le persone malate, in particolar modo per i bambini, e quando io mi dimenticavo, loro mi dicevano: “Ma non preghiamo?”. E quando loro sbagliavano, io gli facevo fare dieci flessioni, però le facevamo tutti assieme. Ho visto che questa cosa qui ha creato un bel gruppo, poi si è sfasciato subito come il monastero di Cassiodoro, però per me è stato molto efficace, perciò io vorrei che tu ci chiarissi bene anche questo nuovo rito che il papa sta introducendo e mi dessi un po’ di argomenti per farmi sentire meno lefebvriano. 38 39 Padre Cassian: L’appellativo lefebvriano non c’entra assolutamente nulla, è soltanto una reazione emotiva. Credo che al fondo delle situazioni che hai descritto ci sia una crisi di fede nella Chiesa, non al di fuori di essa, ma nella Chiesa. Di fronte ad un’espressione di fede come la tua, un’altra persona può sentirsi a disagio e quindi può rispondere con questa reazione emotiva, perché l’espressione della fede provoca una reazione o forse implicitamente un rimprovero, se la persona ha qualche resto della fede e si sente un po’ rimproverata e a disagio. Quindi non ti preoccupare di queste cose, la questione non è neanche sulla liturgia antica o sulla liturgia attuale perché si possono fare tutte e due bene o male. E’ una questione di fede, perché se io ho fede celebro la messa sia nel rito attuale sia nel rito antico con reverenza, con devozione. Se non ho fede, non importa, faccio qualsiasi cosa e la gente percepisce subito la differenza tra chi la fa con fede o senza. Quindi grande è stata l’intuizione di papa Benedetto di indire un anno di fede, lui come al solito mette il dito proprio sulla piaga. La piaga è la crisi di fede, quindi non dobbiamo essere sorpresi se la nostra fede provoca delle reazioni e dobbiamo essere sempre gentili, cioè non ostili da parte nostra. Quindi dobbiamo rafforzare la nostra fede. Domanda: Io sono rimasto colpito, tra le altre cose già state dette, da quel discorso che diceva che in famiglia bisogna pregare i salmi, leggere i Padri della chiesa, ecc. Dopo che uno ascolta queste cose dice: “Da domani inizio a fare questo, a leggere questo, quell’altro, poi dopo una settimana finisce tutto. Siccome siamo maestri in questo, cioè nel dare il giusto passo a tutto, partendo a mille e poi ci si ferma, io ti volevo chiedere qualche consiglio pratico, un modo per poi essere fedeli a questa cosa qui, perché nel mondo soprattutto noi che magari lavoriamo non abbiamo tutti i giorni un contatto con qualcuno che ci ricorda questo, invece in monastero ritengo che sia più semplice, perché uno lì ha i confratelli, oppure anche in una famiglia che pratica questo ritengo che sia più semplice, ma se uno sta da solo oppure al lavoro dopo un po’... Ci vediamo spesso tra di noi, però il rischio grande è sempre questo, il cuore batte forte, poi dopo una settimana o dieci giorni è tutto finito. Allora puoi darci qualche consiglio molto pratico? Grazie. Vangeli, ma è sempre la Parola di Dio e ci sono intuizioni importanti. Come diceva lei, leggendo la Sacra Scrittura, il capitolo assegnato per quel giorno, tante volte ho sperimentato che il Signore mi dava proprio il versetto, la parola di cui avevo bisogno per affrontare i problemi della giornata, come se fosse indirizzato proprio a me. Quindi posso dare a Marco una copia di questo programma perché è molto concreto e fattibile, altrimenti avremmo questi ideali: ah sì, sarebbe bello leggere la Bibbia e poi, come hai detto, non ci riusciamo mai. Quindi questo è un suggerimento concreto: un capitolo al giorno. Funziona! Marco Sermarini: Ci sono altre domande? Sì, bene. Padre Cassian: Ho un suggerimento molto concreto; seguo questo metodo da decenni. C’è un opuscolo che divide la Bibbia in capitoli in modo che si possa leggere tutto il Nuovo Testamento in un anno, facendo un capitolo al giorno, e il Vecchio Testamento in due anni, facendo sempre un capitolo al giorno, quindi in tre anni con quindici minuti al giorno si può leggere tutta la Bibbia. Per me è molto utile perché seguo le indicazioni oggettive del programma anche se i miei sentimenti forse sono altrove. Ad esempio in questo momento sto leggendo il libro di Ester e poco fa il secondo libro delle Cronache. Non c’è necessariamente lo stesso succo spirituale che si trova nei Domanda: Mi ha colpito questo, sentendo tutto quello che hai detto all’inizio sulla tradizione, sulle regole che i monaci hanno, sulle abitudini giornaliere. Mi ha colpito il fatto che si è parlato di un po’ tutta la vita dell’uomo, di tutto quello che si svolge durante le giornate, il mangiare, il tempo libero, come i giovani devono andare a dormire, le cose che devono mangiare, come devono giocare, devono studiare, devono memorizzare. Io penso che ciascuno di noi, ascoltando tutte queste cose, si sia ritrovato su un particolare e, secondo me, sbagliando, perché spesso e volentieri ognuno di noi si fissa su un particolare. Chi si fissa su come deve mangiare il proprio figlio per non farlo ingrassare, l’altro si fissa sul fatto che dev’essere pulito e non deve puzzare, l’altro si fissa che deve studiare e dare il massimo perché è giusto dare il massimo nello studio, però poi mi pare che alla fine si perda un po’ di vista qual è lo scopo di tutte queste cose che i monaci nella loro tradizione hanno tramandato nel tempo ed è quello che volevano fare effettivamente, regolando tutte queste cose qui. Se ci potessi ridare una chiave unitaria di tutte queste cose qui affinché non andiamo a casa 40 41 con l’idea che in fondo io a mio figlio gli esercizi fisici glieli faccio fare perché il fisico è importante, il che è effettivamente importante (non è che non lo è) però, ecco, non è solo quello. Padre Cassian: Comincio con l’obiettivo. L’obiettivo, se posso parafrasare la Lettera agli Efesini, capitolo 4, è la piena maturità di Cristo, cioè la piena maturità umana in Cristo. Questo è il nostro scopo, ciò che vogliamo per i nostri figli. Come arrivare a questo obiettivo? Come hai detto giustamente, c’è l’insieme delle cose, non soltanto elementi singoli e per questo volevo accennare all’importanza dell’integrazione di elementi intellettuali, morali e spirituali nella formazione. Come sapere quando enfatizzare un aspetto o l’altro? Questo San Benedetto lo chiama discretio, per avere la discrezione che viene con l’esperienza e con la grazia di Dio di sapere che cosa fare, quando, come e in quale misura. Non c’è una ricetta per questo, è la virtù della discretio, che per San Benedetto è la virtù principale, la madre di tutte le virtù, dice citando Cassiano. Quindi, di nuovo, non è che io possa dare una ricetta perché la responsabilità è la tua, cioè di chiedere questo dono della discrezione per sapere come gestire la formazione integrale, integrativa per arrivare allo scopo della piena maturità, non soltanto umana, ma in Cristo, spirituale, perché noi genitori diamo vita fisica ai nostri figli e questa è la parte forse più facile, ma dare la vita spirituale è molto più difficile, ma anche molto più importante. Però hai ragione, non è un singolo elemento, è l’insieme delle cose, con discretio. Mi dispiace non aver dato una risposta più facile. padre Cassian sono domande che uno dovrebbe portare stampate, cioè farsele una volta bene, dare delle risposte bene e poi rifarsele dopo un po’ per dirsi: dove sono arrivato? Dove stiamo andando? Non mi sembra peregrino, mi sembra importante e noi stiamo insieme per questo, perché tra noi possiamo svegliarci quotidianamente per tenere sempre desta la bandiera del mondo, come diceva il nostro amico Chesterton, affinché noi possiamo avere sempre a cuore il vero bene dei nostri figli, dei nostri amici, di tutti quelli che abbiamo intorno e del mondo che ci è stato dato in custodia, in consegna, pezzetto pezzetto. E’ un po’ come nel gioco del rugby, dove bisogna avanzare e conquistare terreno per fare meta. Ecco, bisogna continuare così, quotidianamente bisogna richiedersi se stiamo andando per la strada giusta e poi correggere il tiro se c’è da correggerlo, quindi grazie, padre Cassian! Ancora una volta grazie! Non mi sembra poco anche perché comunque noi confidiamo sul vostro aiuto sempre, non solo nella preghiera ma anche in questa bella dritta costante che ci venite dando. Dal canto nostro noi facciamo quello che è possibile verso di voi. Teniamo sempre alta la bandiera del mondo anche per voi, proprio perché siete quel pezzetto interessante che ci piace e che vorremmo espandere insieme a voi. Marco Sermarini: C’è qualche altra domanda? No? Bene, allora possiamo chiudere. Per concludere dico solo questo: mi sembra che ci si siano aperti non solo degli interrogativi. Le domande che ci ha fatto 42 43 Finito di Stampare nel mese di Ottobre 2012 pro manuscripto 44