I GRANDI CAPITOLI DEL NOVECENTO 1 FILIPPO DE PISIS pittura primo amore La Farsettiarte e la Galleria Tega ringraziano i loro collezionisti per i cortesi prestiti che hanno permesso la realizzazione della mostra. GALLERIA TEGA arte moderna e contemporanea Portichetto di Via Manzoni (ang. Via Spiga) Tel. +39 02 76013228 - Fax +39 02 76012706 [email protected] www.farsettiarte.it Via Senato, 24 Tel. +39 02 76006473 - Fax +39 02 799707 [email protected] www.galleriatega.it I GRANDI CAPITOLI DEL NOVECENTO 1 FILIPPO DE PISIS pittura primo amore FARSETTIARTE / GALLERIA TEGA MILANO Filippo de Pisis nel giardino di via Rugabella, Milano (1942). Presentazione Il primo amore di de Pisis, per quanto sappiamo, fu la poesia; in seguito, evoluzione naturale e parallela, la pittura. Per noi che ci occupiamo d’arte è stata certo la pittura il primo amore, e di de Pisis, nelle nostre gallerie, abbiamo organizzato, fin dagli anni Sessanta, diverse mostre. Un autore, del resto, inesauribile nella sua generosità e fluenza, insieme di lettura emozionante e di alto spessore poetico. Ogni volta si possono scoprire di de Pisis lati sorprendenti o meno frequentati, opere che sanno suscitare interesse e fascinazione. Per mantenere l’accento su questo tesoro creativo che ha coinvolto diverse generazioni nel secolo scorso proponiamo ora a Milano – dove de Pisis abitò, tornava sempre con piacere e si spense nel 1956 – una rassegna di quadri scelti per mostrare anche ai giovani, studiosi, collezionisti e al pubblico quale importante capitolo della cultura internazionale il pittore rappresenti. Fascino del personaggio e della pittura che si rinnova nella nostra epoca e, come i grandi argomenti della storia dell’arte, permette di entrare nel futuro delle immagini, in ciò che l’uomo riesce a inventare con inesauribile percezione dei valori espressivi. Rileggiamo volentieri nella monografia su de Pisis del 1952, le pagine iniziali di Giuseppe Raimondi che coglieva l’essenza dell’artista: «è vissuto vicino a noi, in un tempo troppo distratto per accorgersi della eccezionalità di questo personaggio […]. È in questa opera la capacità grande di stupire con un senso di diletto e di dimenticanza del presente. Così è delle opere della poesia, di quelle in ispecie che inducono l’animo a trasportarsi fuori dal reale […]. Opera di poesia, l’arte pittorica di de Pisis, tra quelle che più hanno attinto e derivato dalla realtà, proprio per staccarsi da questa ed elevarsi, a prezzo di fantasia e di dolore, sul piano dell’immaginazione». Iniziamo con la manifestazione dedicata a Filippo de Pisis la serie dei «Grandi capitoli del Novecento». Le prossime visite saranno a Mario Sironi, Ottone Rosai, Giorgio de Chirico, Ardengo Soffici, Carlo Carrà, Giorgio Morandi, Massimo Campigli, Lorenzo Viani, Gino Severini, Giacomo Balla… Tutti autori che, negli anni, hanno avuto nelle nostre sale esposizioni monografiche. Ci si chiederà: un ritorno alla pittura? La pittura è il patrimonio che ha reso celebre la nostra civiltà, non ce ne siamo mai allontanati, è utile ricordarlo. Franco e Frediano Farsetti / Giulio Tega 7 8 9 Filippo de Pisis (Luigi Filippo Tibertelli, Ferrara 11 maggio 1896 – Milano 2 aprile 1956) in una fotografia scattata dal pittore Gabriele Mucchi, probabilmente all’Albergo Vittoria, via Durini, Milano (1940-1941). De Pisis appare come lo descrive Ardengo Soffici in un testo datato «Milano, 23 novembre ’41», in «Fogli di diario», Corriere della Sera, Milano, 22 agosto 1956: «in costume da casa scuro elegantemente trasandato […]. Aveva intorno al collo un nastro multicolore negligentemente annodato a guisa di cravatta». 10 Filippo de Pisis Pittura primo amore Luigi Cavallo E fiorire animo e corpo, corpo, animo e vento in luce e profumi sottili. Voglio per cantar la mia gioia (innamorato come a vent’anni o mio cuor cinquantenne?) ch’esca dal mio petto, no dalle spalle, un bell’arcobaleno iridato che rida, brilli e sfolgori non visto, come l’aureola dei Santi. Santo non son ma poeta e perdonatemi le stramberie. Filippo de Pisis da “Canto di primavera” (Cattività veneziana, 1966). Parigi con la Tour Eiffel, Natura morta marina, Paesaggio di Cortina, Porri sulla spiaggia, Paesaggio nel Gers, Fiori, Ponte di Rialto… come guardare in un mare dipinto, in un mare di pittura. Il disordine ha gloriosa magnificenza, ci fa muovere come sull’acqua, vertigine leggera che all’improvvisazione mescola la grazia. Il sortilegio di Filippo de Pisis ha percorso e iridato il secolo XX e ci chiediamo, ora che da dieci anni siamo entrati nel nuovo millennio, e constatiamo che le parole scritte sono state sovrastate dalle immagini, dal cinetismo delle immagini, con quali occhi osserviamo, o ci sentiamo osservati, dalla sua opera. Gli addobbi contemporanei, gli scoppi e gli artifici di illustrazioni inusitate e invasive hanno lasciato qualcosa di intonso nella nostra sensibilità? oppure tutto è intorbidito dal fracasso e dalla virtualità che ci provocano più che vertigine, angoscia? Cerchiamo ristoro in una mostra di de Pisis che ha come insegna Pittura primo amore, un ritorno e una prosecuzione. Nostro intento non è proporre nuovi schemi per decifrare de Pisis o far da Mentore a chi guarda. Quadri celebri, alcuni poco noti o inediti, osservati in sequenza e magari in filigrana con le note critiche che abbiamo accoppiato, pongono piuttosto altri quesiti, espongono la complessità, la profondità estetica e lo spessore culturale di un’opera risultato di una personalità beatamente immorale, alla Gide, e sciolta da vincoli di scuola e di gruppo, libera sulle ali delle proprie preferenze (W Morandi, W Carrà, W Pippo, scrive sulle sue tele). Esperienze e ricerche, le sue, molto variate, contaminate da vizi e clamori – a Venezia, giugno 1945, arrestato durante un ballo da lui organizzato, trascorre tre giorni in carcere; nel 1946, è aggredito in casa da alcuni giovinastri – che furono vere e proprie alzate di sipario sul gusto, sulla presenza originale di un 11 pittore così fuori dagli schemi, aperto alle intrusioni sentimentali, al momento che passa e alla nostalgia, al mascheramento, da essere oggi quanto mai contemporaneo e disponibile, come pochi suoi colleghi del Novecento, a una rilettura che coinvolge il costume, il gesto provocatorio, la poesia. Persino le Nature morte, i Fiori, se osservati in un’angolatura che consideri il rapporto quotidiano con le cose, il significato di colori e profumi nell’evocazione di un ricordo, paiono transiti allegorici nell’esistenza umana, o meglio una variazione alla perentorietà del reale, realtà che diviene malleabile per l’insidia di dati (colori-luci) precari. Ci troviamo su una bella strada, con alberi e nubi alte, scorre dell’acqua accanto e la stagione è propizia; de Pisis ci tiene per mano ancora una volta, la sua compagnia non può che esserci grata. Ci apre le sue città dalle cento meraviglie: Ferrara, Roma, Parigi, Londra, Milano, Rimini, Venezia… De Pisis visita le città e i paesi con quelle doti liriche coltivate fin da ragazzo, e con la vocazione a rendere in un complesso grafico, sintetico, il primo impatto della visione. Blocchi formali che trasforma da volumi architettonici in filamenti, tocchi, accentature sensibili (vedi Ponte di Rialto, 1947, n. 71), tali da ottenere la sensazione delle forme più che le forme stesse, in un crescendo dove riconosciamo libertà e varietà di linguaggio. Si dischiudono le ombre o sono adoprate per rilevare alcuni punti brillanti, pietre da far risplendere. Resta comunque un alveo ben segnato nelle opere, l’ansia di porre un’impronta di stile, una matrice personale, sulle immagini. Lo aveva notato Roberto Salvini (Guida all’Arte Moderna, L’Arco, Firenze, 1949, p. 48): «quella di de Pisis non è eleganza esteriore, relativa al soggetto, è una raffinatezza tutta spirituale. Attraverso una pennellata leggerissima, quasi disintegrata, egli risolve il colore in un brillio di preziosissimi toni: e l’immagine si dissolve così in una balenante apparizione […]. Modigliani, de Pisis: due pittori profondamente diversi: ma grandi artisti ambedue e concordi pertanto, nell’imprimere nei loro soggetti, senza preoccupazioni mondane, il sigillo della loro personalità, la sacra scintilla di un umano sentimento.» Visitare una mostra di de Pisis è come passare sotto le dita il filo della vita, quella vera e quella sognata; anzi egli ci conduce nei luoghi più che inattesi, trasognati: le sue letture, gli scritti, gli amori rintoccano in una materia che sembra talvolta sul punto di diventare arcobaleno. Arcobaleno non è solo un inganno ottico; per de Pisis è schermo trasparente traverso cui può essere visto l’intero suo lavoro. In un vecchio testo ce ne consegna una versione che letta insieme con i quadri prende bella estensione: In certe giornate nuvolose e combattute d’estate (avevo forse visto passando verso sera da un ponte un bell’arcobaleno alto sul Tevere gonfio) il cielo dietro il campanile di Santa Lucia diventava di un bel rosa vivo sfumantesi in cangiante coll’azzurro e lo stavo a guardare inerte, così, dal mio tavolo. Passavano e ripassavano con piccole strida i rondoni, grigie le pareti delle case, quasi d’argento. Era fuggevole quel rosa, il cielo quasi subito si faceva grigio di madre- 12 perla, fuggevole come certe mie estasi beate in cui, allontanato da me il grigio fardello delle preoccupazioni quotidiane, ero felice come un dio. («L’arcobaleno», 15.IV.1924; in F. de Pisis, Roma al sole, Neri Pozza, Vicenza, 1994, p. 223). Hanno valore, oltre il soggetto, scelto o casuale in apparenza, anche lo spessore della pennellata che dà particolare incidenza alla luce, il grumo, l’impasto filato, liquido dei colori che non rispettano le leggi dei complementari, e tutto ciò rende fascino ed eloquenza alla stesura dell’originale; per entrare a fondo nella sua pronuncia, cogliere i passaggi di voce, è bene guardare i quadri dal vero, come diceva Roberto Longhi metaforicamente per i fondi oro, «metterseli sulle ginocchia», poiché i dipinti sono pressoché impossibili da riprodurre. Al teatro con de Pisis Quadri come un teatro che inventa altri teatri; propongono legami eccepibili fra sentimento e follia: in fondo lui ha sempre dipinto, fino alla fine, a Villa Fiorita, come fosse nella sua prima stanza di Palazzo Calcagnini, battezzata camera melodrammatica. Con il teatro e il melodramma l’artista ha legami i più vari. Conosciamo le sue fotografie giovanili in costume di umanista, di gentiluomo del Settecento, dell’Ottocento, in abito da cacciatore di farfalle, in bizzarri travestimenti per balli eccentrici; qui si mostrava l’ambizione di essere attore protagonista sul palco del suo «bel mondo». Diverse opere, alcuni grandi pannelli, paiono fondali di commedie; la sua stessa personalità che cedeva al femminile e al dandismo, lo portava a muoversi come fosse su una scena: gli piaceva esibirsi in pubblico e quando per le strade di Cortina, a Venezia o altrove, dipingeva en plein air essere attorniato dai curiosi lo stimolava e in qualche modo risarciva dall’indifferenza che lamentava nei critici o negli organizzatori delle grandi mostre nazionali. La frequentazione a Roma, nei primi anni Venti, di Anton Giulio Bragaglia, della sua Casa d’Arte – e qui il giovane pittore tenne due mostre (sul fascicolo di aprile 1921 della rivista Cronache d’attualità, diretta da Bragaglia, nelle 68 esposizioni elencate, ai numeri 29 [marzo 1920] e 40 [settembre 1920] è citato de Pisis) – influì certo e incrementò le sue tendenze a interpretare vita e arte come spettacolo. Bragaglia proponeva, fra altro, «Allestimenti teatrali – Vestiari», e in via degli Avignonesi il «Teatro sperimentale. Spettacoli Scenici di Eccezione. / 1 Compagnia di Pantomime e di Balli Plastici / 2 Compagnia di Prosa / 3 Spettacoli d’invenzione moderna». Tutto quanto accade al giovane artista, con percorsi più o meno sotterranei darà ricchezza alla sua opera pittorica e poetica; non ci sono vicende che possiamo dire estranee al suo nucleo creativo. 13 Copertina del libro di Ercole Luigi Morselli, Orione – Glauco, Treves, Milano, 1920. Della tragedia Glauco tratta lo scritto di de Pisis. «Glauco e il suo autore», manoscritto di Filippo de Pisis, datato Roma 23.IV.921. Prima e ultima pagina del manoscritto. 14 Merita approfondire anche uno scampolo di tale sua versatile inclinazione al teatro, un saggio del talento critico di de Pisis, esercitato in quel tempo su qualche giornale. Leggiamo in sei paginette autografe firmate e datate «Roma 23.IV.921» inviate a Pietro Zanetti per la rivista di Torino L’Ascesa (siamo grati a Paola Zanetti Casorati per averci messo a disposizione questo materiale del padre) una recensione, «Glauco e il suo Autore», in cui viene ricordata la morte appena avvenuta di Ercole Luigi Morselli e la messa in scena al Teatro Argentina di Roma della sua tragedia Glauco: Torno dall’Argentina dove ho assistito alla commemorazione del povero Morselli con un discorso di Dario Niccodemi e alla rappresentazione del Glauco. Che miseria, dio mio! Del Glauco, quando tutti ineggiavano al capolavoro e alla meraviglia, scrissi una critica piuttosto acerba e, per esser sinceri, una demolizione stringente. Trovai pochi consenzienti, almeno in parte Carlo Panseri di Genova, Antonio Scolari di Verona. Del resto non deve stupire certo se la critica ufficiale, in Italia non fa che riecheggiare i successi delle platee. Stasera, davanti alla memoria del povero Morto (in questo tempo da amici intimi venni a conoscere un po’ l’uomo che mi era del tutto ignoto) un sentimento diverso mi dominava; un sentimento soprattutto di tenerezza e di pietà per questo giovane artista che certo, assistendo alla rappresentazione fiacca del suo dramma tanto acclamato, in un momento di vera lucidità interiore, sarebbe stato daccordo con me io penso nel condannarlo in gran parte. La vita di un artista minore, quale il Morselli, la sua pena nei “duri cimenti dell’arte” come dicono, tutto ciò di ineffabile che pur domina attraverso alle immagini e alle parole non sublimi, ci interessa ben più dell’opera e ce lo può fare amare. Noi allora gli perdoneremo la mediocrità, e presi dalla sua commozione sapremo anche commuoverci. Ma che dire della rappresentazione di questo dramma, dove passioni di grado elevato sono annegate in un guazzabuglio di incertezze, di luoghi comuni, di riecheggiature dannunziane, di ricordi classici mal interpretati e mal digeriti, di atteggiamenti falsi, di scene che se tollerabili alla lettura, divengono tremendamente buffe sulla scena? Quel mare e quelle rocce di cartone, quelle sirene, quelle barbe finte, quel Glauco personaggio troppo grande, visto sempre di scorcio che si agita che grida, queste scene che dovrebber esser di vita reale e palpitante, ma attraverso ai trucchi della ricreazione storica appaiono sempre incerte e false… Ma non voglio ripetere qui la critica, facile del resto. Io pensavo a certe vecchie commedie a certi melodrammi, figurazioni sceniche, vaudevilles, accolti con grande entusiasmo dai contemporanei, salutati come oracoli, paragonati (ciò si è fatto per il Glauco anche da gente che dovrebbe vergognarsene!) ai più grandi capolavori dell’antichità, ma delle quali certo i più arguti spiriti ridevano. Pensavo a queste vecchie commedie et cetera, stampate in 15 opuscoli con fregi con larghi margini, con pompose dediche a sovrani, e a illustri dame, e che ora riposano sotto la polvere nelle scansie delle biblioteche o nei pacchi di libri antiquari… Povero Morselli, figlio del tuo tempo, per te, per la tua dolce memoria, io sentivo tenerezza e rispetto e mi rammaricavo d’essere stato anche più severo verso la tua opera…, ma come fare?... Del resto consolati: davanti alla ineffabile indifferenziabilità del tutto, qualche spunto felice della tua opera à un valore indistruttibile. Io sì sentivo che la tua anima o Ercole Luigi Morselli aveva certo conosciuto commozioni e deliri benedetti e io t’abbracciavo come un fratello, teneramente; sentivo anche che tu non mi serbavi rancore del giudizio della tua opera, così bella e tenera nella intenzione di certe attitudini. Che vuoi…, perdonami, ma io potrei confessarti come il rude Forchis [personaggio del Glauco]: “La poesia non mi va più” vale a dire quella che vorrebbe esserlo, ma non lo è del tutto. È l’eterna questione “tutto è relativo!” Anche il pubblico a questa postuma rappresentazione (colpa anche degli attori) certo non ebbe l’entusiasmo della prima volta… Ciò mi diceva che ero stato profeta. Tornando per le strade deserte, io andavo pensando alla profondità davvero tragica di certe scene dell’Andreiew [probabilmente Leonid Nikolaeviç Andreev, 1871-1919, scrittore russo, autore di drammi nichilisti] e poi recitavo alcuni versi di poeti un po’ dimenticati, come il Giusti, il Fusinato, il Prati, che senza essere grandi, ànno cose di ben salda tempra e mi domandavo per quale strana legge la folla è così suscettibile alla suggestione e come si lascia commuovere anche dal cartone colorato e dai fantocci, e come nei più (appunto forse perché ingenui dei più complicati problemi dello spirito!) manca quel senso di ironia che non permette una vera commozione se non davanti alla voce spontanea e pretta o a quella modulata con vera arte. Del resto che sarebbe dell’arte se fosse davvero dei più? Le contraddizioni di de Pisis non fanno che accendere altri lumi nel suo bagaglio culturale; quando scrive di «guazzabuglio di incertezze, di luoghi comuni, di riecheggiature dannunziane, di ricordi classici mal interpretati», sembra mettere mani nelle sue stesse fragilità, lui, dannunziano in nuce, che porterà a evidenza figurativa, e riuscirà a riscattare con originale resa formale, paccottiglia di rigattiere e frusti luoghi comuni. Persino «quel mare e quelle rocce di cartone» potranno starci, citazione e miraggio, nelle sue Nature morte marine. Sono le forme favoleggiate, antirealistiche, l’ambiente improbabile di spiagge deserte, la migrazione del vero nel finto che de Pisis renderà qualità mirabili del suo stile. Poesia scritta, poesia dipinta Al suo insaziato desiderio di cogliere la vita appena dietro il mistero dell’ombra, salvare oggetti, paesaggi e figure dall’indistinto dell’ombra, quando le 16 cose si fanno alonate di luci artificiali e la fantasia si occupa di accendere i dettagli con colori impossibili, egli prestò non solo una tavolozza distonica, spuria magari di materie organiche, ma rivoli di umori, vene liquide, succhi vegetali, aromi e acri liquami che nell’insieme, nell’impasto, raffigurano quanto non è possibile figurare con una forma plastica, si pongono in sintonia con ciò che resta di una spiumatura, di una scomposizione, la battitura del grano sentimentale. Non possiamo trattenerci dal riprodurre altre due brevi prose che de Pisis inviò all’avvocato Pietro Zanetti, destinate alla sua rivista, poiché porgono argomenti di riflessione sulla città, Roma, in cui fioriva il pittore nel seno del letterato: le «lame gialle», «luce incerta di luna», «rigidi piani, spettrali», «qualche stella verde», sono gli impasti di immagini e colori, oltre il riecheggiamento da Apollinaire, «Le pont Mirabeau». Lungo Tevere Come corri, come fuggi, fiume, stanotte… Il mio sguardo a pena segue dell’acqua nera i gorghi, rotti da lame gialle! Fra ripide, liscie, grandi sponde, come corri, come fuggi, fiume, stanotte!... Alto io ti guardo e il cuor mi pesa e sembrami, disciolto in te trascorrere. Luce incerta di luna è su nel cielo!... Il cruccio si è mutato nel mio petto in un’ebbrezza vana, divina. Case con rigidi piani, spettrali d’attorno e chiare vegliano! uomini laceri, sotto gran sonno, in terra stanno, rannicchiati e muti. Su una larga strada, più tardi, come in un sogno errando, levato il capo a fatica, sopra un palazzo scuro (aperte tutte le finestre e mute) tremare vidi qualche stella verde sulla grande città tutta dormente. F. de Pisis / Roma / gennaio 1921 Notte gelida “Questo non è vento è lo spirito che passa” (Andreiew Il Cieco) Ne la gelida notte, a veglia, Spirito io ti invoco… Dominatore, Incubo,… Sollievo. … “Aiutami oh Signore, a portar la mia croce perché essa sia più che peso, sostegno”… Mi tornano alle labbra e sul cuore queste cristiane parole, come balsamo ed incenso, in un tremulo, docile pianto. Fuori le stelle, fisse nel gran cielo, ed io che reprimo a fatica il grande canto d’amore il grido di pianto, che pure vorrebbe dall’anima partire… 17 Cuori lontani, e fratelli, ore perdute nei giorni chiari. Misterioso Spirito che il corpo fragile domi e sollevi… Una voce di campana, ecco mi desta dal mio torpore… Penso a mondi distrutti e creati… Scorro col tutto, attendendo, nel sonno, un po’ della morte che viene. F. de Pisis Roma. Febbraio 1921 A far splendere queste schegge letterarie è probabilmente la fama a posteriori dell’artista. Nell’accumulo, il fiume di velluto e di scorie che raccolgono i suoi quadri, vi è disvelamento: via via che la pittura si carica di polveri lucenti si schiude il carattere del personaggio nella sua unicità e complessità, cioè completo per le sue frammentarietà e incompiutezze e per l’importante formazione letteraria. Se facciamo mente alla tesi di laurea in lettere (1920), e al suo amore per Giovanni Pascoli, professato con letture pubbliche e conferenze, comprendiamo come le sue pitture possano generare parole, provocare parole. È fatale con de Pisis smarginare dalla pittura alla poesia e viceversa… E ogni volta la bellezza è scintilla di tale coinvolgimento. Così, a oltre mezzo secolo dalla scomparsa, riconosciamo il Marchesino pittore un patrimonio particolarmente fecondo della cultura italiana, europea; ricchezza che si afferma con documentazione sempre più vasta, una messe di opere letterarie e pittoriche che facciamo fatica a rapportare con un’esistenza di sessant’anni, e tormentata negli ultimi da grave malattia. Raccolti insieme i suoi scritti, poesie, prose, saggi, lettere, materiali editi e inediti, occuperebbero parecchi volumi, e sarebbe utile un’edizione filologica per averne un profilo completo. Manca anche una estesa bibliografia critica. Di grande aiuto la ricostruzione biografica di Sandro Zanotto, Filippo de Pisis ogni giorno (Neri Pozza, Vicenza, 1996), fa da base per ogni ulteriore approfondimento sulle vicende dell’artista. I dipinti a olio, con il Catalogo generale di Giuliano Briganti, 1991, sono stati in larga parte sistemati, molti però rimangono gli inediti. Si attende la pubblicazione degli incrementi al catalogo, dal 1993 in poi, quanto esaminato dall’Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis. L’impegnativo lavoro di vagliatura, svolto dall’Associazione, è stato diretto da Claudia Gian Ferrari, scomparsa di recente, una grave perdita per gli studi sul Novecento italiano. Comunque i quadri nell’insieme assommano ad alcune migliaia. Per gli acquarelli e i disegni non vi è un catalogo generale. L’opera grafica di Filippo de Pisis è stata studiata organicamente da Manlio Malabotta (Edizioni di Comunità, Milano, 1969). Il perdigiorno che inseguiva rane e farfalle e passeggiava con il pappagallo sulla spalla, innamorato dell’amore, fu lavoratore instancabile. È possibile quindi che un autore come de Pisis possa ormai essere percepito come un classico? Siamo convinti di sì. E non per le sue opere del tutto anticlassiche da un punto di vista stilistico, ma per essere riferimento storico di 18 una vicenda creativa e critica che è ossatura anche del mondo d’oggi. Consideriamo, la sua, una contemporaneità sovratemporale, se si può dire, capitolo ben solido in mezzo a molti mobili valori. De Pisis modifica taluni punti fermi dell’estetica – diamo per sopravvissuta questa zona della filosofia. È resistente alla memoria un germoglio, un fiocco di neve adagiato in una composizione come e più di una montagna dipinta; la libertà è strumento da usarsi con leggerezza e disinvoltura, perché non sembri solo gesto paradossale e compiacimento. E così una pioggia di riflessi colorati, l’abbondanza neobarocca, il tutto pieno, possono riscattare una visione quanto l’asciutta, sintetica razionalità, la conduzione economica di una struttura, come avviene in Morandi o in Licini. Apprezziamo attraverso de Pisis, a contrasto con i valori plastici a tutto tondo, anche le smagliature evidenti della forma quando essa si sfarina in luce e pare consegnata a un destino breve. E pure magari in certi interni ambrati, in cui ristagna la polvere, un po’ malati alla Gozzano, nature morte sparpagliate sui piani, ma ben costruite, pesci corrotti e uccelli impagliati, abbiamo la precisa cognizione che de Pisis chieda risultati profondi all’arte: chiede all’arte di mettersi in parallelo con la vita, di essere viva, esponendo interi anche i suoi aggettivi languidi, disperati. Gli oggetti dipinti, i corpi nudi, la mensa lasciata con gli avanzi di cibo e fermata quasi avesse consistenza sacra, sono insieme sintomo e simbolo di un giudizio sugli individui e sul destino, pittura che intralcia il meccanismo delle illusioni e, diresti, dell’ordinamento civile. Considerata nel suo insieme la pittura depisisiana ci porta sul piano di valori e disvalori umani: nessun infingimento né ipocrisia di perbenismo. Sul piano formale la voglia di impossessarsi dell’intero creato, senza remore di cose belle e cose brutte: tutto diventa onorevole, per via di amoroso contatto, quando è toccato dal genio dell’artista. Ed è, questa, posizione quanto mai moderna, se non di riscontrabile attualità. È da considerare che de Pisis piaceva sia a un poeta di grande sobrietà come Eugenio Montale sia al canterino e canzonatorio Aldo Palazzeschi, a Giovanni Comisso, Marino Moretti e Giuseppe Raimondi come a Malaparte, Raffaele Carrieri, Roberto Longhi, ad Ardengo Soffici, a Giorgio de Chirico e a Ottone Rosai. È folto l’appello dei suoi ammiratori. De Pisis serve la nostra fantasia come nessun altro maestro del Novecento; non la costringe a divagare, a travalicare il senso della realtà, ma la sollecita a vedere quanto traspare, si intravede, dal reale. De Chirico e Savinio ci propongono il prodotto finale del fantastico già ben squadernato. Sironi della realtà ferma una versione monumentale, e Morandi depura ogni frase al confine dell’astrazione. Le atmosfere e i panorami interni ed esterni di de Pisis si intridono non solo di quell’inguaribile amore per l’arte, ma per il gusto anche di dare importanza a piccoli particolari come a grandi vedute: un frammento, un’inezia, sono per de Pisis accumuli di briciole cristalline, metalli e terre, squame argentate e setole; è nella materia organica, nel groviglio minerale e vegetale, che procede suscitando non solo concordanze, giunture e congiungimenti, ma il piacere delle discordanze preziose, dell’invenzione, parole ritmate, anche in certi rab- 19 buiamenti che sono della coscienza e della malinconia. Non perde spontaneità persino il sapore di raffermo, il colore fangoso che talvolta usa per le sue nature morte o per le campiture dei paesi. Il pittore ha questo dono, sorgente spensierata, pur se visita i suoi disincanti. E la bellezza per lui non è astratta parola: ogni giorno suscitata, nutrita dall’insieme della magnificenza naturale, panorami alpini, spiagge, corpi efebici. Del resto che cosa cerchiamo nei suoi quadri? Che ridestino sensazioni, qualcosa di remoto che torna ad affiorare, o l’emozione di una scoperta che squilla in due steli di fiore. Diresti che larga parte della sua opera è fatta per uso privato, per rammentargli quei momenti di vita, magari meno memorabili, per non abbandonare i giorni di magia nella macina della dimenticanza: Il nome del mese: Marzo odora di giaggiolo e di mela renetta e giovedì è giorno d’oro filato e c’è il nome di un Santo sconosciuto ma che è quello di una dolce creatura che ami. O biondo, divina grazia, proteggimi. «Calendario», Cattività veneziana, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano, 1966. Da qui e da tanti altri possibili ingressi sappiamo che nelle sue pitture de Pisis voleva con i colori, i colpi di pennello, gli sfregamenti e gli accumuli, i grumi gelatinosi suggerire, con la luce, anche i profumi, la freschezza della colonia, l’acre del caffè tostato e l’acuto dolce del miele. Talvolta la voce si incrina, lastra di vetro, tabula per scrittura che imprime solo suoni disparati e che – è sortilegio depisisiano – riesce a catturare complesse armonie come per un’istantanea dell’universo umano. Per città e paesi La Galleria Donatello di Firenze, che trattava abitualmente i quadri di de Pisis, organizzò nel 1943 una Mostra collettiva dei pittori: Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis, Antonio Gajoni, Osvaldo Medici del Vascello, Alberto Savinio, Gino Severini, Mario Tozzi (il catalogo è senza data). La «Presentazione» di Alberto Savinio – ignorata finora – illustra alcuni sottosquadra critici, che aprono angolature meno scontate anche per il nostro artista, visto nella compagnia dei colleghi parigini; bisogna però riportarsi a quel periodo bellico, particolarmente drammatico a Firenze, in cui le sottolineature nazionaliste si imponevano per carità di patria. 20 De Pisis rientra con un nuovo paesaggio nel suo studio di via Rugabella, Milano (1942). 21 Copertina del catalogo Mostra collettiva, presentazione di Alberto Savinio, Galleria Donatello, Firenze (1943). 22 Così si spiega Savinio: Gli amici che mi hanno invitato a scrivere la “presentazione” di questa mostra di gruppo, non sospettano neppure la tristezza in cui il loro invito mi ha piombato. Si tratta di rievocare gli anni tra il 1925 e il 1935, il decennio in cui alcuni pittori italiani vissero e operarono a Parigi: Giorgio de Chirico, Gino Severini, Massimo Campigli, Filippo de Pisis, Mario Tozzi, Osvaldo Medici del Vascello, Antonio Gajoni, io stesso. Triste guardare il passato: più triste guardare il proprio passato. È anche in altri questo sentimento ch’è in me? Se è, vuol dire, e consolantemente dire che il senso morale della vita è molto più diffuso di quanto io creda; se non è, vuol dire che soltanto io ho senso morale della vita: io che non ho pensiero, non desiderio, non gioia che non sieno rivolti a quello che ancora non ho fatto; quello invece che mi sono lasciato dietro le spalle, se torno a guardarlo mi spaventa come una colpa, mi rattrista come l’ombra medesima del male. Ricordo le opere dei pittori qui sopra nominati. Le ricordo in seno a quella morbidissima civiltà, già così vicina, e inconsapevolmente vicina alla fine. Meno le pitture di de Pisis che sono farfalle dalle ali appesantite talvolta da un poco di mota, erano quelle pitture come uomini di ferro, dure e imperative, in mezzo a molli creature di stoffa, tinteggiate di pallide tinte; decise tra le indecise, affermative tra le negative, e insistevano a dire “sì” mentre quelle intorno continuavano discrete a dire no, usando soltanto vocaboli, a e i o u, mentre quelle in giro sibilavano e gorgheggiavano sommesse consonanti. Il Bon-Ton, signori, è morto. Le opere dei nostri pittori che primi mostrarono novamente a quelli occhi velati d’impressionismo e di squisite perplessità l’energia e la “certezza” della pittura italiana, sono ritornate nelle patrie città e oggi si raggruppano per un tardivo scambio di ricordi in questa galleria. Onore alla salute. Che è avvenuto nel frattempo? Giorgio de Chirico ha ceduto alle tentazioni della bella materia. Mario Tozzi si è scaldato e comincia a rosseggiare. Severini sbriglia la sua pittura come una donna si scioglie le trecce. Io stesso… In tutti c’è come una rinuncia alla “volontà di ferro” di una volta, c’è un ammorbidimento, una grazia, un bon-ton… I morti si vendicano. In una «Nota» finale, rilevata in neretto e siglata «a.s.», chiarito ulteriormente il senso del discorso: «Molta polemica è stata fatta intorno ai “pittori italiani di Parigi”. La verità è che i pittori italiani di Parigi non fecero mai pittura “parigina”. La fecero invece, molti pittori che stavano in Italia.» Riguardo a de Pisis, nell’arco del suo lavoro parigino, che va dal 1925 al 1939, è impossibile disconoscere quanto sia stata assimilata e rifusa con esemplare efficacia la scuola degli impressionisti; importante anche perché ha potuto generare artisti come de Pisis. Generare nel senso che la buona semente è stata messa a dimora in un campo diverso, ma eccellente, e ha dato fiori che, ap- 23 punto, ci fanno esclamare che il nuovo tempo non si avvia senza confortevoli esempi: possiamo allargare le nostre conoscenze dell’essere attraverso le profumate vetrine depisisiane in cui sono messi in mostra i piaceri, le commozioni, il senso di felice disperazione che pervade il poeta, quelle qualità di sapiente incertezza, persino mescolanze informali, di gioco ineffabile, di vizio, dramma e preghiera nelle quali nulla è definito e che l’indefinitezza della pittura riesce a renderci vivide. Sembra quasi non esistano gerarchie formali nell’opera di de Pisis. I quadri parigini affermano che un rosso ceralacca vale quanto un edificio, un azzurro squilla pregiato ed equivale a una nera figuretta; così i fiocchi di bianco dispensano un’irrequieta frangia di gioia. Se dobbiamo valutarlo con le sequenze pittoriche, partendo dai quadri ferraresi, fino ai paesaggi di Milano e Venezia, il cuore di de Pisis batte con forti sbalzi («Il sangue batte allora il ritmo / alla gioia del mondo»; da «Non plane»; Cattività veneziana, cit.). È quieto e lento se guarda nella campagna del Gers o nelle valli cortinesi; rapido, distonico nelle vie cittadine di Parigi, di Londra. Quasi sembra incrinarsi la sua vocazione naturalistica, là dove velocità e incombere di case oscurano e rendono più strutturate e architettoniche le sue pagine. A Venezia è certo preso dal fascino dei maestri antichi che, al pari di lui, godevano della laguna, delle calli; il Guardi, il Tiepolo gli sono parenti e saremmo tentati di saltare gli ostacoli temporali che li separano. De Pisis pianta il suo cavalletto, come fosse una postazione da direttore d’orchestra, e a Venezia fa schiudere tutti i suoi erbari, le fioriture che ha custodito tra Ferrara e Parigi, tra Londra e Milano. Grondano le sue tele di incipit musicali e ogni volta non basta ascoltare il suo fremito d’archi, ci coinvolge e ci provoca, magari interrompendo la partitura. Per questo insieme molto ampio – nel quale sono sbalzi di tono, e pure componenti unitarie come l’uso del colore denso di riflessi, il gusto per gli addobbi decorativi e la composizione pronta a rompere gli equilibri classici – si è forse abusato con letture di degustazione, mettendo l’accento sulla sensiblerie. Certo la pittura depisisiana, così il personaggio del resto, induce forte seduzione, ci tenta a un confronto ravvicinato e, forse, si sfoca l’ampia prospettiva storico-critica. I gesti istintivi, l’aroma di fieno e di tabacco, talvolta le seriche frequenze o il provocante largo del paesaggio marino, il chiudersi rapido dei piani nelle nature morte non sono gli ultimi pregi dell’artista pronto a esibirsi con il suo talento e più spesso a concentrare in un accento, in un guizzo sonante il senso di un organismo vitale. Quando de Pisis, colpito da malattia nervosa, passava i suoi giorni nella clinica di Villa Fiorita, a Brugherio, ed erano gli ultimi anni, dal 1949, fece proseguire, con prospettiva differente, da una serra in piena luce, il suo rapporto con la materia vitale della pittura. Ad alcuno sembrò un periodo minore o declinante della sua arte. Le forze via via cedevano, ma il maestro riusciva a dare elevati saggi delle sue capacità, raffinando ancor più il tessuto della pittura; talvolta gli bastavano due soli toni o il monocromo dell’inchiostro acquarellato per rendere la sua narrativa quanto mai acuta, un colloquio di squisita leggerezza, estenuato ma come una voce che radduce le forme al loro inizio, come l’Espero di Saffo. 24 Una lettera di Ragghianti Firenze, città amata da de Pisis, in un anno per lui doloroso, 1952, che segna la cessazione dell’attività pittorica, gli dedicò una grande esposizione antologica rimasta poco documentata; mancava il catalogo, quindi vi è scarsa traccia nella stampa. A conferma della reputazione di cui godeva il pittore, pur appartato a Villa Fiorita, il prestigio che si era conquistato anche nella critica ufficiale italiana, riproduciamo il comunicato stampa, steso probabilmente dal segretario della mostra, Renzo Federici, e la lettera su carta intestata «Studio italiano di storia dell’arte / Firenze / Palazzo Strozzi» che Carlo Ludovico Ragghianti inviò al «ch.mo signore / Filippo de Pisis / Milano», il 15 febbraio 1952 (dobbiamo a Piero Pananti la conoscenza di queste carte): Caro de Pisis, Lei ricorderà certamente che, all’atto dell’annunzio ufficiale della istituzione delle Mostre d’Arte Moderna di Firenze, fu pubblicato che il Comitato che vi presiedeva avrebbe organizzato una grande Mostra di omaggio a Filippo de Pisis. Ero di quella Mostra promotore. Ed ho sentito l’obbligo di sciogliere la promessa che era stata fatta a Lei ed a tutti coloro che l’ammirano e le vogliono bene. Sono perciò, oggi, particolarmente lieto di annunziarle che il 29 febbraio si aprirà ne “La Strozzina”, cioè nella Galleria di mostre permanenti d’arte antica e moderna di Palazzo Strozzi, una grande Mostra delle Sue opere appartenenti alle Collezioni fiorentine e toscane. Sarà una Mostra, crediamo, altrettanto importante della Mostra di Ferrara. Esporremo circa cento opere sue, fra le quali sono molti capolavori, e molti dipinti sconosciuti o poco noti di tutti i periodi della sua attività. È stato formato un comitato di Amici di de Pisis, e di collezionisti, che ha assunto l’organizzazione e la responsabilità della Mostra. Presiede alla Mostra un Comitato di cui è a capo il Sindaco di Firenze. Le manifestazioni de “La Strozzina” sono manifestazioni della Città, e perciò la Mostra è anche un omaggio che Firenze Le rende. Sarà mia cura perché Le giunga tempestivamente l’annunzio ufficiale della mostra. L’amico Enrico Vallecchi ha aderito a pubblicare un volumetto di testimonianze e scritti su di lei, unitamente ad una raccolta di illustrazioni di opere esposte in questa Mostra. La prego di rendermi noto il Suo gradimento, che non mancherà certo. Sarebbe una vera festa per tutti noi Suoi amici, se ella potesse presenziare all’inaugurazione della Mostra: spero vivamente che Le sia consentito. Personalmente, sono molto lieto di questa occasione che ho avuto di dar prova dell’ammirazione che sento per il grande Artista che ella è. Frattanto mi creda, coi più cordiali ringraziamenti e saluti Carlo L. Ragghianti 25 Il comunicato stampa: Una grande mostra di Filippo de Pisis alla Strozzina di Firenze Avrà luogo giovedì 28 febbraio p.v., a Firenze, in Palazzo Strozzi, l’inaugurazione di una grande mostra di opere del pittore Filippo de Pisis, tratte da collezioni fiorentine e toscane. La mostra, che comprende circa cento dipinti non mai esposti e del tutto sconosciuti al pubblico, è stata resa possibile dalla particolare bellezza e pregio delle opere comprese nelle raccolte toscane; e, per larghezza e varietà del materiale esposto, viene a configurarsi come una vera e propria mostra monografica dell’artista. Dipinti del periodo giovanile e romano, opere del momento parigino, rare vedute londinesi, infine una larga scelta della produzione più recente e varia, permettono di seguire lo splendido sviluppo dell’artista, in opere e momenti di particolare intensità e ricchezza. Per l’occasione uscirà presso l’editore Vallecchi una ricca pubblicazione dedicata all’artista, corredata di molte tavole a colori e in nero, dovuta alla collaborazione di artisti, scrittori e critici, legati a Firenze: cordiale omaggio a una delle personalità più alte ed autentiche della contemporanea pittura italiana ed europea. Quantità di mostre, saggi, monografie su de Pisis, letterato e pittore, non ha certo esaurito le ricerche; i contatti internazionali e gli aspetti che riguardano l’artista oltre i confini italiani vanno ancora estesamente esplorati. Talvolta si ha del maestro ferrarese un giudizio troppo ristretto alla cultura nostrana. Persino la generosità numerica delle sue pagine dipinte fa come attenuare quel senso di preziosità e di rarità che pare più spiccato in altri autori, anche meno meritevoli. Va invece incrementato, o meglio, inteso compiutamente il valore di unicità e pregevolezza di ogni documento depisisiano, scritto, disegnato o dipinto: ciascuno è una tessera che aiuta a completare la figura creativa di tale protagonista del secolo XX. L’indipendenza e la fecondità anche umana del suo testamento vitale sta nel destino delle creature in cui si riconosce. La traccia attualissima del pittorepoeta è di chi ha fatto una visita a questo (bel) mondo e si è lasciato dietro una scia di luce. febbraio-marzo 2010 26 De Pisis nel giardino di via Rugabella, Milano, 1941. Foto di Luigi Comencini. Nota Fotografie e documenti che abbiamo utilizzato provengono da alcuni amici cui va la nostra gratitudine: Umbro Apollonio, Augusto Barboso, Raffaele Carrieri, Raffaele de Grada, Bona de Pisis, Gabriele Mucchi, Piero Pananti, Dino Prandi, Franco Russoli, Paola Zanetti Casorati. Abbiamo anche attinto all’archivio Ardengo Soffici e all’archivio Ottone Rosai. Avvertenza Nelle schede delle opere le voci bibliografiche sono date per esteso. Unica abbreviazione: De Pisis. Catalogo generale, 1991, sta per: Giuliano Briganti, De Pisis. Catalogo generale, tomo I e II, con la collaborazione di Daniela De Angelis, Electa, Milano, 1991, con cronologia, esposizioni e bibliografia. 27 28 29 Frontespizio dell’opuscolo di Filippo de Pisis, Anamnesi dell’arte, 1920, con autografo dell’autore «Con desto animo / l’a.» La pubblicazione, senza indicazione del luogo di editore e di stampa (Ferrara), è dedicata «A Olga Resuevie [sic; leggi Resnevic] Signorelli». 30 Filippo Tibertelli de Pisis. Notizie biografiche Le ricerche sulla biografia di de Pisis (Ferrara 1896 – Milano 1956) si sono estese per merito soprattutto di Sandro Zanotto nel volume Filippo de Pisis ogni giorno, Neri Pozza Editore, Vicenza 1996. Riproponiamo, come documento d’epoca, le note biografiche, pubblicate sul fascicolo dedicato all’artista, della rivista fiorentina Il Frontespizio, Vallecchi, Firenze, aprile 1938. Il testo non firmato è dello stesso de Pisis. «Artisti italiani: Filippo de Pisis» Filippo de Pisis è nato a Ferrara, suolo ferace di rigogli pittorici, l’11 maggio 1896 dal Cavaliere Ermanno e da Giuseppina Senoni bolognese. La famiglia, oriunda di Pisa, diede nella prima metà del quattrocento, Filippo, nobile e valoroso «condottiero» che meriterebbe esser meglio conosciuto. Questo Filippo (ma non ci dilungheremo su di lui dovendo oggi parlare del rampollo, pittore!) fu fra l’altro amico di Lionello d’Este e gli si attribuisce l’uccisione del Duce d’Urmagnac. Nobili auspici dunque! Il nostro pittore, scarabocchiò fino da fanciullo, e cominciò ragazzo a prendere, insieme alla sorella, delle lezioncine di disegno dal prof. Odoardo Domenichini Ferrare, figlio e nipote di egregi «figuristi e ornatisti» del secolo passato. Il suo amore per le arti in genere, e la pittura in specie, non andò però disgiunto da quello della storia, della poesia. Versò per tempo tenere lacrime sulle liriche del Contino di Recanati, e giovanissimo, con scarso peculio, datogli dalla tenera madre che egli sempre adorò fino alla sua morte, intraprese una sorta di pellegrinaggio nel paese, alla casa del suo poeta. Alle «monografie» storico artistiche, che pubblicò essendo ancora in liceo, seguirono prove liriche, pubblicate nelle riviste di «poesie d’avanguardia» come si diceva allora, notate con lode anche da poeti e critici severi come Soffici, Papini, Boine, Govoni. Il giovane poeta si vide acclamato come una nuova speranza dalla falange dei confratelli, e un bel giorno si vide arrivare un gran pacco di libri e manifesti futuristi con abbracci da Marinetti. Si laureò in Lettere e Filosofia a Bologna, con una tesi sulla pittura ferrarese dalle origini. Fin dal 1916, anno nel quale ebbe la ventura di incontrare nella sua Ferrara i fratelli de Chirico, Giorgio e Alberto Savinio, soldati e reduci da Parigi, e poi Carrà, Soffici e altri, comprese l’ importanza di una certa forma d’arte che fu poi battezzata facendo sorgere molti equivoci, metafisica e ne fu anzi, sebbene pochi lo riconoscano oggi, uno dei fondatori. Un suo opuscolo, oggi rarissimo, s’intitola Mercoledì 14, stampato a Bologna e dedicato a de Chirico e Savinio, è uno dei pochi esempi, e forse il migliore, di un genere di letteratura fiorito poi a Parigi. Piacque del resto ad Apollinaire che inviò all’autore il suo Poète assassiné. Non in note affrettate o in poche pagine si può compendiare la vita o la «carriera» di un artista, ma insomma diremo che se fin da questa epoca de Pisis sapeva 31 Filippo de Pisis a sei anni. 32 più o meno disegnare (fu solo un lungo lavoro di quindici anni con studi diretti sul nudo che lo mise davvero in possesso di questa arma senza la quale non si domina la forma) e dipingeva un po’ e si faceva apostolo della nuova pittura (vedi la sua Pittura moderna, conferenza detta a Viareggio, Ferrara, Taddei; Anamnesi dell’arte etc.). Fu solo ad Assisi dove fu professore alla Scuola Magistrale nel 1923, che riprese i pennelli con rinnovato fervore. Una mostra personale a Roma nel Teatro Nazionale (gli sembrò di buon auspicio che il più intelligente collezionista di Spadini, il dott. Signorelli, comprasse per primo alcune sue opere) e poi due quadri esposti alla prima mostra del 900 lo rivelarono e imposero all’attenzione dei migliori critici e di quegli spiriti acuti che formano la vera élite spirituale dell’Italia. Per quasi sei anni visse a Roma, dove un suo lontano cugino, S.E. Mons. Nasalli Rocca, oggi Cardinale di Bologna, era a quell’epoca elemosiniere segreto in Vaticano. Frequentò la «migliore società» passando dalla papale aula dell’Arcadia, dove tenne conferenze, alle gallerie d’arte «futurista» (tutta l’arte che non era tradizionale era tale agli occhi del pubblico in quest’epoca). Espose infatti per due volte da Bragaglia. Le sue opere, sebbene in principio male esposte, furono notate a Venezia, dove la sua sala personale del 1934 fu quasi un avvenimento. La sua cultura, minutissima in certi rami, il suo modo di vivere fastoso e povero nel tempo stesso, le sue vaste conoscenze, ne formavano un personaggio assai curioso e amato da uomini insigni. In parte, ma in troppo rapidi tocchi è stato dipinto in un libretto da Giovanni Cavicchioli [Venezia, Nord-Est, 1932] e da Alfredo Panzini in un delizioso articolo sul Corriere della Sera. Un bel giorno della primavera del 1925 una botte romana trasportava lui e un certo bauletto nero alla stazione di Termini, dove Filippo de Pisis prendeva il treno per Parigi. Gli amici pensarono che si trattasse di una gita di piacere: è ormai tredici anni che egli vive nella «Babele moderna». Se potessimo vedere, sfogliare, rigirare in tutti i sensi questa benedetta parola vivere, avremo, forse il segreto dell’arte del nostro artista. Molte cose che si son dette del suo conterraneo Boldini, che andò a Parigi quaranta anni prima, si potrebbero ripetere forse per il nostro ferrarese, sebbene a giudizio di critici rispettabili assai (v. l’ultima opera di Fierens «F. d. P.», Chroniques du Jour, Paris, 1937) de Pisis è non solo pittore ma artista molto più raffinato, molto più creatore nel senso moderno dell’espressione. Nel 1936 restò per diversi mesi a Londra, dove una sua mostra alla Galleria Zwemmer ebbe molto successo. Non vogliamo pronunciarci sul poeta: egli suole dire che si ritiene più grande poeta che pittore; aspettiamo che i suoi versi siano più largamente diffusi e che sia passato un po’ di tempo. Vive dunque a Parigi al 7 di quella tranquilla Rue Servandoni (architetto di origine fiorentina) che parte dal fianco così romano della Chiesa di San Suplice e arriva al cancello del giardino del Luxernbourg «à l’ombre des tours de Saint Sulpice», in una specie di aereo granaio allietato da un balcone fiorito e dalla parlantina di un bel pappagallo verde e giallo. Quanti sono ormai saliti a questo granaio! Se non è le Paradis di Monteris è però uno «charmant grenier». 33 Filippo de Pisis a diciotto anni, fotografato alla Balzac, con dedica «A G. Ravegnani / amicamente / F. de Pisis 12.I.19» Foto La Glisentiana E. Codognato, corso Giovecca n. 64, Ferrara. Ne scrive Ravegnani nel testo a fianco. 34 Un compagno di gioventù, nella città di Ariosto Giuseppe Ravegnani Di famiglia nobile un po’ ferrarese e po’ pisana, si chiamava Luigi Filippo Tibertelli de Pisis; ed abitavamo tutti e due nella città dell’Ariosto, che è città medianica, dove le Muse camminano per le strade e i colori vi regnano, sotto cieli che più belli non potrebbero essere (ricordate i cieli, malinconici e stralunati, del Tura e del Cossa, o quelli della poesia di Govoni!). […] de Pisis poco più che bambino s’incantava ai colori dei coriandoli, nelle feste di Carnevale, ed erano per la sua età gioie contemplazioni inconsuete. In quel tempo e dopo, il nostro amabile de Pisis abitava in una delle strade più armoniose e gentili di Ferrara cinquecentesca, via Montebello, quasi di fronte all’arioso, davvero metafisico, piazzale di Santo Spirito, in un antico palazzo color ruggine, dalle alte finestre e dal cornicione di mattone cotto. Nei giorni della prima guerra mondiale, proprio a Ferrara, in una rossa, piccola casa fiabesca, di faccia quasi a quella di de Pìsis, de Chirico scopriva i suoi manichini mitologici, le larghe solenni piazze metafisiche, i rigidi casamenti malinconici, le solitarie finestre sbarrate come gli occhi del tempo sui misteri della poesia e della fantasia, e quei suoi verdi ossessionati cieli da Apocalisse; mentre Carrà inventava le squadre, i compassi, i pavimenti squallidi, le aride giunture dei mattoni, la banalità e il terrore degli interni, e i suoi morbidi, teneri rosa da confettura; e in fine Savino cercava l’estro e i motivi per l’Hermafrodito entro le botteghe d’una curiosa Ferrara, ammuffita da tanti anni di dominio pontificio. Allora de Pisis, più che pittore, era poeta, un giovane poetino di provincia, che amava farsi fotografare, un po’ per gusto e un po’ per burla, in panni e atteggiamenti antiquati, quasi un Balzac raggentilito e di maniera, con i baffi spuntati dei tempi di via Marais-Saint-Germain, i capelli divisi a mezzo in due bande perfette e ben pettinate sino alla grazia morbida dell’orecchio, la nera cravatta alla Byron gemmata da un grosso, prezioso cammeo, il panciotto di velluto bianco a fiorellini rosei e azzurri, le labbra leggermente carnose e sorridenti, di quel gioioso quasi infantile sorriso, ch’era allora il biglietto da visita della sua anima bianca e idilliaca, dalla quale nacque, corse un limpido filo d’argento, la sua poesia prima, e la sua pittura poi. «Le poesie di Filippo de Pisis», Epoca, Milano, 15 novembre 1953. 35 Terza di sopraccoperta della rivista Cronache d’Attualità, dirette da Anton Giulio Bragaglia, Roma, n. 6-10, giugnoottobre 1922. De Pisis fra i collaboratori. 36 Roma, alle grotte di Bragaglia Virgilio Guzzi La prima volta che vidi de Pisis fu molti anni addietro, nell’altro dopoguerra, alle grotte di Bragaglia in via degli Avignonesi. Teatro d’avanguardia e galleria d’arte, quelle profonde e profane «catacombe» esalavano un forte odore di umidità e tela juta. Facevano molto Parigi e Berlino, in questa vecchia Roma immobile e sordastra […]. Ricordo un giovane […] vestito in un modo che mi parve eccentrico. de Pisis per molti anni fu per me un tipo pittoresco. La sua camicia colorata, la sua giacca a quadri furono forse la prima imagine, che si stampò nella mia testa, di un pittore moderno. «Primo ed ultimo de Pisis», in Ricordo di de Pisis, Carlo Colombo, Roma, 1956. A Roma (1925). 37 1 La casa col pino, 1916. Olio su cartoncino applicato su tavola, cm 34,9x25,3. In basso a destra: Pisis 16 [probabile aggiunta posteriore]. Al verso: scritta [autografa di Pisis?] «Opera giovanile / Pisis 1916»; etichetta Galleria del Naviglio, Milano, con n. 1061, e timbro; etichetta Centro di Cultura di Palazzo Grassi, con timbro. Esposizioni Omaggio a de Pisis, a cura di G. Ballo, Studio del pittore a Villa Fiorita, Brugherio, 2 giugno-6 luglio 1980, riprodotto in cat. p. 21 De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 65 De Pisis, a cura di G. Briganti, Palazzo Grassi, Venezia, 3 settembre-20 novembre 1983, riprodotto in cat. p. 52, n. 8 De Pisis, a cura di C. Gian Ferrari, coordinamento F. Farina, Palazzo Bellini, Comacchio, 12 luglio-22 settembre 1986, riprodotto in cat. p. 26, n. 2 De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13 giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat. p. 73 De Pisis. Dalle avanguardie al «diario», a cura di R. Barilli, B. de Pisis, C. Gian Ferrari, A. Monferini, F. Tibertelli, L. Velani, testi di vari, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 6 febbraio-12 aprile 1993, riprodotto in cat. n. 6 Exempla: arte italiana nella vicenda europea 1900/1960, a cura di B. Corà, Pinacoteca Civica, Teramo, 5 dicembre 1999-7 febbraio 2000, riprodotto in cat. p. 78. Bibliografia G. Raimondi, Filippo de Pisis, Vallecchi, Firenze, 1952, riprodotto tav. 1 G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, pp. 56, 155, riprodotto n. 105 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1916/7 De Pisis, a cura di S. Salvagnini, inserto redazionale allegato al n. 219 di Art e Dossier, Giunti, Firenze, febbraio 2006, riprodotto p. 8. Guido Ballo, monografia 1968, cit., p. 56: «Sicuramente del ’16 è […] la Casa col pino: rivela una immediatezza pittorica e una sintesi elementare, che precorre certi accenti metafisici, coincidendo con 38 una riscoperta dei primitivi: l’essenzialità, il bisogno di purezza raggiungono effetti nuovi, che saranno poi sviluppati nel Novecento.» Ancora a p. 155: «Un certo intimismo crepuscolare si nota nelle prime opere del ’16: La casa col pino è risolta, in una sintesi quasi da pittore candido, con effetti di presenza incombente, per le montagne sommarie e il verticalismo del pino, che quasi eliminano ogni prospettiva, appena accennata dalla casa nitida agli spigoli.» Intatto il senso di stupore, come l’immagine rivelasse un mondo nuovo, affacciata per la prima volta all’attenzione dell’artista ventenne. La fresca semplicità dei primitivi, dai nostri duecenteschi a Rousseau il Doganiere, che coloravano le forme disegnate quasi per tenere memoria di un’apparizione arcana, sarà fra le componenti di tutto l’insieme creativo di de Pisis. 39 2 L’uomo dal cappellone, 1920. Olio su cartone, cm 35x28. In basso a destra: Pisis 1920. Esposizioni Filippo de Pisis. Nel centenario della nascita. La felicità del dipingere, a cura di L. Laureati e D. De Angelis, Galleria Pananti, Firenze, febbraio-marzo 1996, riprodotto in cat. n. 1 Filippo de Pisis. La figura umana, a cura di L. Caramel e C. Gian Ferrari, Museo Mallé, Dronero, 21 aprile-8 settembre 2002, riprodotto in cat. p. 35 De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat. n. 3. Bibliografia G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 126 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1920/1 (cm 35x25). Daniela De Angelis, scheda per il catalogo 1998, cit.: «Il 1920 fu un anno cruciale per de Pisis: il 28 novembre si laureò in Lettere a Bologna discutendo una tesi dal titolo La pittura ferrarese (dalle origini agli albori del secolo XV), e la scelta del tema non era certo casuale, visto che proprio fra il ’19 ed il ’23 egli si scoprì pittore, dopo aver per molti anni pensato di essere nato scrittore e poeta. Le prove precedenti al 1920 sono chiaramente sperimentali; solo in questo periodo, mentre l’artista ferrarese risiedeva a Roma in casa delle sorelle Cipolla e frequentava de Chirico e Spadini, prende corpo la sua vera pratica pittorica, destinata a svilupparsi ancor di più all’atto del suo trasferimento a Parigi, sotto gli influssi della grande pittura impressionista. Filippo de Pisis aveva incontrato a Roma nel 1919 lo scrittore Giovanni Comisso, che gli sarebbe stato vicino, con alti e bassi nella loro amicizia, per tutta la vita. Proprio Cornisso ricordava le numerose vacanze trascorse dal pittore nel Cadore, durante le quali quest’ultimo dipingeva i ritratti dei ragazzi di montagna fissandone sulla tela i volti imberbi, lo sguardo puro e caparbio, i lineamenti forti e decisi: “Mi scrisse che era a villeggiare a Cima Gogna, in una vallata del Cadore, dove il verde dei prati invadeva il suo studio da pittore e an- 40 dassi a trovarlo. Era con sua madre, una signora minuta, che parlava assai poco e sembrava imbarazzata davanti al discorrere imperioso del figlio. Fui alcuni giorni suo ospite, ma da principio non mi parlò della sua pittura. Era come inebriato di quegli uomini di montagna addetti al disincaglio dei tronchi d’albero abbattuti nelle foreste e spinti nelle acque del Piave per mandarli fino alle segherie [...]. Conosceva tutta la squadra e a loro aveva regalato pipe di pochi soldi e pacchetti di tabacco. Qualcuno era venuto a posare e gli aveva ritratto la testa chiusa nell’ombra del berretto unto e sformato” (da Mio sodalizio con de Pisis [1954]). Il dipinto qui esposto presenta larghe fasce compatte di colore, steso senza chiaroscuri; il quadro vivace, brillante, è basato su una complessa gamma di marroni, ocra, terre di Siena, gialli, bruni; lo sfondo è praticamente inesistente, ciò che interessa il pittore è lo sguardo intenso del modello, la sua compatta e giovanile epidermide, le grandi e fanciullesche orecchie che si intravedono sotto l’ala del cappello, messo forse per la prima volta, in un giorno di festa.» Il ritratto, realtà vissuta un attimo; inizia un percorso che nei visi maschili è pro memoria. Come i suoi fogli di appunti, poesie, prose, sono firmati e datati, così disegni e quadri testimoniano ogni giorno della vita di de Pisis, per lasciare traccia delle sue prorompenti doti creative. Lo si è detto un genio dispersivo, ma il suo lavoro era fatto perché nulla, delle sue emozioni, dei suoi incontri andasse perduto. 41 3 Stivaletto azzurro, 1923. Acquarello su carta applicata su cartone, cm 25x39,6. In basso a destra: de Pisis / 23. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 00663. Una rosa infilata nello stivaletto, un cuore poggiato sul piano a righe azzurre. Possiamo guardare questa scarpuccia e leggere insieme una pagina di de Pisis, «Vizio», dal suo libro La Città dalle 100 Meraviglie che, proprio nel 1923, fu pubblicato a spese dell’autore dalla Casa d’Arte Bragaglia, Roma (p. 131; poi F. de Pisis, La Città dalle Cento Meraviglie e altri scritti, a cura di Bona de Pisis, introduzione di Giuseppe Raimondi, Vallecchi, Firenze, 1965, pp. 502-503): «Per più sere, tutte le volte che passavo dalla vetrina di una nuova calzoleria, mi fermavo a contemplare le scarpe esposte e specialmente due stivali di pelle gialla da cavallerizzo esposti con i loro legni per tenerli tesi, precisi e ben intarsiati. La mia ammirazione ha raggiunto un grado di tale intensità ch’io non posso più tacerla e godermela solo “nel mio per di dentro” come dice la “Castalda”. Non potrò esprimerla interamente con le parole, ma almeno mi sia concesso in parte. Non date allori e serti e premi ai poetucoli e agli agili maneggiatori di versi e rime, ma all’artefice che è riuscito a piegare, a forgiare in modo così mirabile la materia ribelle. Dategli un premio degno di lui. Mi sembra che il lavorante di questa calzoleria sia un giovane bruno e forte. Scegliete la più bella ragazza della città dalle 100 meraviglie e offritela ignuda e incoronata di rose tra tripudi di canti e di danze. (Io penso con un po’ di nostalgia smelensa ai tempi di Grecia libera e fiorente di arti e di suoni). Ciò però sembra consono anche ai tempi nuovi pur tanto lontani e diversi da quelli. È difficile colla pelle, lo spago e i chiodi di legno e di ferro fare una scarpa anche inelegante, ma fare un paio di stivali di questa perfezione tocca il portento dell’arte! Non un leggero pentimento, non una lieve stonatura.» 42 43 4 La cena del cappuccino (1923). Olio su cartone, cm 34x48,8. Esposizioni De Pisis, a cura di G. Briganti, Palazzo Grassi, Venezia, 3 settembre-20 novembre 1983, riprodotto in cat. p. 56, n. 14 Filippo de Pisis. Nature morte, a cura di S. Crespi, testi di C. Gian Ferrari e S. Crespi, Galleria Civica, Campione d’Italia, 19 aprile-30 maggio 1996, riprodotto in cat. p. 33 Italian Stll Life. Painting, Seiji Togo Memorial Yasuda Kasai Museum of Art, Tokyo, aprile-maggio 2001; idem, Art Museum, Niigata City; idem, Hakodate Museum of Art, Hokkaido; idem, Shimin Plaza Art Gallery, Toyama; idem, Museum of Art, Ashikaga; idem, Museum of Art, Yamagata, riprodotto in cat. n. 58. Bibliografia G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 143 (1924 c.) De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1923/2. Claudia Gian Ferrari nel testo per il catalogo 1996, cit.: «Verso la fine del 1920 […] de Pisis si trasferisce a Roma, che, rispetto alla sua formazione, costruita con tenacia e accanimento, pur con aneliti e curiosità internazionali, nella quieta Ferrara, rappresenta il luogo del dibattito culturale, il luogo delle meraviglie da cogliere a piene mani nelle frequenti passeggiate lungo le navate delle mille chiese e sulle pareti infinite dei musei, il luogo dei turbamenti e delle scelte. Nascono in questo clima stimolante e suggestivo alcuni dei suoi capolavori, tra i quali molte composizioni di natura morta, un genere pittorico nel quale de Pisis riesce a fondere la sua vocazione letteraria, narrando attraverso un armamentario simbolico di forte suggestione, una messa in scena affabulata e insieme misteriosa. Nel 1941, riferendosi alla propria pittura di quei primi anni romani, de Pisis scriverà [“Note sulla mia pittura”, Gazzetta del Popolo, Torino, 20 gennaio 1941]: “Dipingevo certe nature morte che mi paiono ora un po’ secche, servendomi fra l’altro come modelli degli utensili da cucina di certe brave signore che mi ospitavano; una cucina misteriosa, come ne esistevano ancora a quei tempi a Roma […]. Dipingevo con grande semplicità di mezzi fra una pagina e l’altra perché 44 allora soprattutto davo lezione di latino, scrivevo e facevo, horresco referens, conferenze in Arcadia”». 45 5 Natura morta con fiasco, 1923. Olio su carta applicata su tela, cm 56,8x67,8. In basso a destra: de Pisis / 23. Al verso: sulla tela etichetta Galleria Palma, Roma, con n. 550; sul telaio etichetta blu con scritta a inchiostro «56 / Il Milione»; etichetta «Mostra di Filippo de Pisis, Ferrara 1951», con n. 7. Esposizioni De Pisis, a cura di G. Raimondi, Castello Estense, Ferrara, giugno-luglio 1951, in cat. p. 57, n. 7 De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 68 De Pisis, a cura di G. Briganti, Palazzo Grassi, Venezia, 3 settembre-20 novembre 1983, riprodotto in cat. p. 57, n. 16 (Natura morta con fiasco e ceramica bianca; olio su tela). Bibliografia G. Raimondi, Filippo de Pisis, Vallecchi, Firenze, 1952, riprodotto tav. 9 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1923/22 De Pisis, a cura di S. Salvagnini, inserto redazionale allegato al n. 219 di Art e Dossier, Giunti, Firenze, febbraio 2006, riprodotto p. 20. Giuseppe Raimondi (1952, cit., pp. 13-14) in quella che fu l’ultima monografia vista de Pisis: «Noi sentiamo adunarsi, nelle tele e sui cartoni romani, dal periodo tra il ’20 e il ’23, come un cumulo di potenti passioni, liriche ed umane che agitarono la mente di alcuni uomini di cultura italiana [ ... ]. L’arte di de Pisis nasce all’ombra classica e barocca di Roma, nelle strade acciottolate, negli orti cosparsi di ruderi, nell’aria cupa viola e nera di sale silenziose, sotto un pergolato fuori porta; quasi realizzando la fusione di un sangue, e di una civiltà un poco nordica, come la fantasia lunatica dei Ferraresi, con la luce e il sorriso vastissimo delle sponde mediterranee [ ... ]. Frequentava, in quel tempo, il pittore Spadini; ma di più, lo frequentava il ricordo e l’amore degli antichi. Il Lorenese, e Poussin, e Caravaggio, Guercino e Preti. E i pittori seicenteschi di nature morte, incontrati nelle stanze deserte dei musei [ ... ]. È, il suo, un colore evocativo di storia e di sentimento italiano, direi stendhaliano: dopo la serie dei grigi e dei verdi-chiari tipici di un suo 46 soggiorno ad Assisi, l’accordo famoso dei verdi-poltrona, coi rossi cardinalizi, papali romaneschi. E i viola coi verdi, coi rossi, coi rosa di carne; ricavati dall’ombra delle antiche case romane, dei domicili abbandonati. Rossi e verdi che, come una predestinazione, egli riscoprirà, appena giunto a Parigi nel suo Delacroix.» Giuliano Briganti nell’introduzione al catalogo del 1983, cit.: «Nella Roma dei Valori Plastici e de La Ronda, nella Roma scettica e sorniona dove Spadini cominciava ad essere un mito, dove il suo de Chirico, rintanato nello studio alle pendici del Gianicolo, fra una crisi di depressione e una di misantropia, sentiva risuonare dal cielo e disperdersi giù per i giardini e gli orti del bel colle romano, gli squilli delle trombe angeliche che annunziavano il suo personale Rinascimento. Quegli squilli non giungevano, al di qua del Tevere, sino a Via Monserrato 149, nell’appartamento delle Signore Cipolla, dove de Pisis abitava, ma la febbre del dipingere l’aveva attaccato violentemente, distruggendo ogni rigidità e ogni impaccio, e spingendolo molto presto a meditare l’evasione da quell’aria di chiuso che pesava su Roma, fra tanti severi richiami, tante buone intenzioni e tanti discorsi al caffè.» 47 6 L’attaccapanni (Il cappotto), 1923. Olio su cartoncino telato, cm 50x34,5. In alto a destra: F. de Pisis. Provenienza: Gussoni, Milano. Esposizioni Filippo de Pisis, a cura di G. Granzotto, Galleria Dante Vecchiato, Padova, 6 maggio-19 giugno 1999, riprodotto in cat. p. 37 Filippo de Pisis. Dipinti 1916-1951, a cura di G. Bordonaro, consulenza F. Gallo e G. Granzotto, Salone delle Bifore, Palazzo Sclafani, Palermo, 12 febbraio-12 marzo 2000, riprodotto in cat. p. 38, n. 4 De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat. n. 4. Bibliografia G. Ballo, Filippo de Pisis, Edizioni «La Simonetta», Milano, 1956, riprodotto tav. 5 G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 111 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1923/34. La struttura di questo scorcio interno dell’appartamento romano ha qualche richiamo alle composizioni astratte, del neoplasticismo, se consideriamo il fondo con le barre scure che danno confini geometrici a campiture piatte. Impaginazione coraggiosa, disegnata con precisione e, nel suo rigore, dispone una sorta di lettura duplice e contrastante: iperrealismo, cappello cappotto bastone, in un ambiente alla De Stijl. 48 49 7 Natura morta con il fiasco (1924). Olio su tela, cm 49,5x58 In basso a sinistra: de Pisis. Al verso: sulla tela etichetta «[XCII] Esposizione di Belle Arti / [Soc]ietà Amatori e Cultori di Belle Arti / Roma 7 Febbraio -maggio 1926». Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 01406. Esposizioni XCII Esposizione di Belle Arti, Società Amatori e Cultori di Belle Arti, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 7 febbraio-maggio 1926, Sala V, in cat. n. 17 o 21 (Natura morta) Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre 2001-6 gennaio 2002; poi Farsettiarte, Milano, 6 febbraio-7 marzo 2002, in cat. p. 14, riprodotto n. 2 Natura morta natura viva nella pittura del Novecento, a cura di C. Gian Ferrari, Studio di Consulenza per il ’900 italiano, Milano, 29 maggio-25 luglio 2003, riprodotto in cat. p. 19, n. 12 La bella pittura. 1900-1945, a cura di L. Gavioli, testi di vari, Pinacoteca Provinciale, Potenza, 10 ottobre 2003-19 gennaio 2004, riprodotto in cat. p. 107 Montecitorio e la bella pittura, a cura di L. Gavioli, Palazzo Montecitorio, Sala della Regina, Roma, 2 marzo-9 aprile 2004, riprodotto in cat. p. 93. Maurizio Fagiolo dell’Arco, scheda per il catalogo 2001, cit.: «Un’opera (recentemente riscoperta) esposta in una delle prime occasioni pubbliche, la Esposizione degli Amatori e Cultori che si tiene a Roma nella primavera 1926. Ci sono tutti gli elementi della grammatica del pittore, manca la felice sintassi della follia pittorica. Fiasco e pignatta, coperchio e mela, limone e piano in prospettiva delineano un microcosmo di “modeste cose trascurate”, ma Madama Pittura verrà a fargli compagnia soltanto tra pochi mesi a Parigi. Via Monserrato, nel rione di Parione: sarà anche il luogo di vita di un altro poeta, della scrittura automatica, Cy Twombly, un altro medium che riesce a trasformare la sua esistenziale stenografia in capolavori di pittura. Un curioso destino.» 50 Claudia Gian Ferrari nnella presentazione in catalogo 2003, cit.: «Il dipinto di de Pisis Natura morta con il fiasco è ancora un altro modo di avvicinarsi al tema: la costruzione è classica, ma il soggetto non ha nulla di aulico o di solenne, è il tavolo di cucina della casa dove a Roma, ospite in via di Monserrato delle sorelle Cipolla, egli dipingeva “secche nature morte”, con una intensità di toni caldi e di profondi rapporti nella poesia delle povere cose, che resteranno, anche nelle sempre presenti successive esperienze attorno al genere, elementi ricorrenti e significanti nell’intero ambito del suo discorso pittorico.» 51 8 Natura morta con funghi (1925). Olio su cartone applicato su tavola, cm 35x51,2. In basso a destra: de Pisis. Al verso: etichetta «Ex libris Tibertelli de Pisis», con scritto «Signorelli» di pugno dell’artista. Provenienza: Tibertelli de Pisis, Milano; Olga Signorelli, Roma. Dichiarazione su fotografia dell’Associazione Nazionale Gallerie d’Arte moderna e contemporanea, Milano, 5 giugno 1995. Giuliano Briganti nel testo in catalogo Filippo de Pisis 1896-1956, Régine’s Gallery, Roma, aprile-giugno 1983: «C’è poi, nella prima metà degli anni Venti, il de Pisis romano, il de Pisis delle nature morte negli interni, dipinte ad Assisi, a Cave, a Roma, al tempo in cui de Chirico sosteneva di aver sentito lo squillo delle trombe celesti che lo esortavano alla “grande pittura”, al “mestiere”. Anche de Pisis in qualche modo sente per un breve momento l’ondata di riflusso che investe non solo l’Italia ma tutta la pittura europea. Vi è in quelle nature morte come un sentore di “sano ottocento”, come una leggera suggestione verso la “buona pittura”, quasi non fosse insensibile ai suggerimenti di Soffici o all’esempio di Spadini. Ma è appena un sentore, un soffio leggero. Quelle umili terraglie, quelle pentole, quei piatti, quei fiaschi, quel corredo da cucina campagnola, quasi da Magini, se echeggiano, nella composizione, certe pesantezze novecentesche si affidano alla sicurezza di un istinto che sa riconoscere sempre la vera dalla buona pittura. Pur nella campitura più piena, la leggerezza di mano non si tradisce mai. Né il senso straordinario e musicale del colore. I verdi grigi, i bianchi, gli avana, i neri che predominano sono come il succo di olive, come l’essenza delle nocciole, del latte, del carbone. Insomma de Pisis è sempre de Pisis, anche prima di aver trovato a Parigi una seconda patria, anche prima di aver scoperto Venezia. Sempre, nei suoi tratti più felici, vi è una carica sensuale così prepotente che stordisce e che si concentra tutta, nell’impressione. Dagli inizi alla fine della sua vita è sempre il suo estro che vince, come segno più certo della natura fragile e invitta, caduca ed eterna della pittura. La pittura come specchio della felicità e della pena, come simbolo di un dono fugace.» 52 53 54 55 56 Visita alla casa-studio di rue Servandoni, presso Saint-Sulpice Nicolò F. Mancuso Sono andato a trovare Filippo de Pisis nel suo eremo solingo. Filippo de Pisis vive in raccoglimento, in una casetta antica e silenziosa, non so se al sesto o al settimo piano, in una via deserta e provinciale di Parigi, in prossimità della piazza, suggestiva e tranquilla, di San Sulpizio. La sua casetta ed il suo studio sono poveri, modesti: ma in questo eremitaggio sotto i tetti si trovano mobili e oggetti preziosi. Questa dimora umile a sfumature d’ombre, è ricca di dorature classiche. Le camere sembrano celle di frati: vi si respira qualche cosa di conventuale: quasi un profumo d’incenso. Ma in questo ritiro di pace ove l’armonia del silenzio è solo cullata dal suono grave delle campane della secolare chiesa vicina, a mattutino ed a vespero, si trovano mobili austeri che sembrano del più puro fiammingo, degli arazzi, dei ferri battuti, uno specchio antico con cornice d’oro zecchino, un costume teatrale del settecento veneziano, una lanterna giapponese a fiorami stilizzati, vasi antichi dalle forme simboliche: tutto un arsenale di belle, vecchie cose, raccolte con gusto e con amore. Una sinfonia d’arte in una semplice atmosfera francescana. In verità Filippo de Pisis, uomo di lettere regolarmente laureato all’università che prima di dare all’arte fu professore, cominciò con insegnare ad Assisi. Forse dalla suggestione di quell’ambiente, dovette venirgli quel sentimento francescano, al quale ha voluto uniformare la sua anima e la sua vita. Filippo de Pisis, nato a Ferrara da nobile famiglia, nel 1896, si dedicò interamente alla pittura solo verso il 1923 dopo la morte del padre. Questo scrittore e poeta, che fin dall’età di otto anni aveva studiato il disegno, optò un bel giorno per l’arte pittorica. E da dilettante divenne presto professionista, entrando nel gruppo del primo Novecento costituitosi intorno a Margherita Sarfatti. I suoi primi quadri furono acquistati dal Gussoni, che aveva fondato la Galleria Milano. Dopo questo primo successo, l’artista esordiente si decise a fare una mostra personale, i cui risultati oltrepassarono le sue aspettative. Preso dalla fiamma dell’entusiasmo, inebriato dalle realizzazioni del suo nuovo sogno, colui ch’era stato un novelliere, un romanziere, un critico d’arte, armatosi di tavolozza e di tele, volle affrontare l’agone parigino. Al 1925 venne a Parigi. Le sue prime lotte furono durissime: ma la notorietà non si fece troppo aspettare. Coloritore di razza, cominciò a farsi notare con dei paesaggi delicati e vigorosi insieme. Un mercante polacco Sierpski, che ne intuì le forti qualità non tardò a lanciarlo. I suoi quadri furono accettati al Salon d’automne. Fu il suo primo, vero successo parigino. Da allora, cominciò ad esporre in tutti i Salons. Amatori d’arte e mecenati cominciarono a disputarselo. Le sue recenti mostre personali alla Galleria Bonjean ed alla Galerie des Quatre Chemins, sono state fra le più interessanti della stagione. Oggi i quadri di de Pisis si trovano nelle più importanti collezioni europee ed internazionali. Il giorno in cui sono andato a trovarlo, de Pisis era intento a dare l’ultimo tocco ad una bella natura morta, delle giorgine e delle dalie, palpitanti d’una 57 tenerezza autunnale. E mi raccontò che, passando qualche giorno prima per la rue de la Boétie, era rimasto impressionato da una ricca serie di quadri di fiori del Derain uno dei più grandi pittori moderni, che empivano dei loro toni freschi e vivaci, tutta la vetrina della Galleria Guillaume. Era rimasto sopratutto a contemplare una tela che rappresentava delle giorgine e delle dalie scempie. Questi fiori emergevano da un vaso semplicissimo, su uno sfondo dorato, quasi ardente. Il suo trasporto era stato tale, che era subito andato in giro dai fiorai, per trovare quei fiori. Li aveva disposti in un vaso e li aveva dipinti amorosamente. Avea voluto, nel suo spirito, comporre un omaggio a Derain, uno degli artisti che egli più ammira. Ed era stato un omaggio di valore perché la sua era una delle più squisite visioni di fiori che siano uscite dal suo pennello. Di questo entusiasmo è animata la sua arte, e di questo entusiasmo è animata la sua vita. Con entusiasmo gioioso egli crea febbrilmente, e la sua opera è vasta e feconda. Alla Seconda Quadriennale di Roma, che si aprirà ai primi di febbraio, Filippo de Pisis avrà una saletta particolare nella quale esporrà una bella serie di paesaggi del Gers, eseguiti in un mese e mezzo da lui trascorso nella solitudine di quella provincia di Francia: paesaggi chiari della Guascogna, in una ricerca di toni limpidi, con una tavolozza fatta di tenui luminosità e di trasparenze. Esse segneranno l’ultima espressione della sua arte in continua evoluzione. Di de Pisis si ricorda lo scenario per Teresa nel Bosco al teatro Goldoni per il Festival Musicale di Venezia. L’artista aveva eseguito i bozzetti senza annettervi troppa importanza, e fu non poco sorpreso quando ne vide il magnifico effetto. Il pubblico internazionale che affollava il teatro quella sera, non celò la sua ammirazione. La scena del Bosco ricorda i grandi scenografi del settecento, pur mantenendo il suo spiccato carattere moderno. Non bisogna, però tacere che una parte del merito va anche al Grandi, scenografo della Scala, che seppe interpretare sapientemente i bozzetti del de Pisis dai toni così luminosi da far pensare all’acquerello. I bozzetti di de Pisis erano quasi anti-tecnici: erano opera di pittore, più che di scenografo: eppure il Grandi seppe trarne risultati superbi, ottenendone tutta la luminosità e la grandiosità. Quei bozzetti sono stati poi acquistati da quella sensitiva protettrice delle arti, che è la contessa Pecci-Blunt, il cui salotto a Parigi accoglie il fiore della intellettualità italiana della capitale. All’esposizione organizzata dalla Dante Alighieri, a Ginevra, nel settembre di quest’anno, de Pisis presentò una natura morta, con funghi che realizzava una tendenza verista, ed una natura morta con dei pani che aveva quasi un simbolico senso di lirismo e di irrealtà, su uno sfondo drammatico. Queste due opere furono tra le più ammirate della mostra, per la loro intensità e per la loro efficacia. All’ultima Biennale di Venezia, i quattro quadri che de Pisis espose, erano quasi passati inosservati all’inizio. Ma a poco a poco interessarono il pubblico e finirono per conquistarlo. La critica celebrò sopratutto Canale a Rimini e Lavandaie nella Marecchia come due tra le più belle tele di tutta l’esposizione. Alla prossima mostra di ritratti, che avrà luogo a Parigi, alla Galleria Bonjean, 58 de Pisis figurerà accanto ad altri venti maestri. E non è certo piccolo titolo per lui, essere stato prescelto a partecipare ad una mostra, che accoglierà i migliori rappresentanti della moderna arte pittorica francese. La pittura di Filippo de Pisis, scaturita da un’anima di poeta, è fatta per i poeti. È una pittura suffusa tutta d’un fresco lirismo; una pittura gioiosa perché creata con gioia. È tutta una festosità di colori, che canta un grande inno alla vita. Esteta dalla immaginazione feconda, quest’artista amò gli impressionisti francesi, ma amò anche molto i maestri del Rinascimento. Spirito colto e meditativo, realizza un’arte intellettuale fatta di valori lirici, nella quale spiccano quella grazia e quel buon gusto che sono le leggi precipue della sua vita. In ogni sua opera palpita una sensibilità estrema; in ogni sua opera si sente un temperamento fatto di freschezza e di ingenuità, attraverso una vena chiara e sensuale. Le sue nature morte, i suoi paesaggi, le sue composizioni, hanno una linea estetica, una distinzione di un fascino profondo. È il pittore completo, e perciò apprezzato da spiriti di tendenze e di concezioni opposte; critici d’avanguardia ammirano i suoi disegni, e adoratori del classico si estasiano dinanzi alle sue nature morte. È un carattere assolutamente moderno, con una base metafisica moderna. E pur essendo modernissima, la sua pittura ha un substrato classico; è arte assolutamente italiana, che si ricollega ai grandi del settecento. Arte italiana perché de Pisis, malgrado viva a Parigi ed abbia grandi simpatie per i più significativi artisti francesi, non ha mai spezzato quel legame spirituale ed intellettuale, che lo congiunge alla sua Terra, al suo passato di studi e di educazione. Ogni anno si reca in Italia, come in un pellegrinaggio spirituale, e là, tra i luoghi cari che ama lavora in pienezza di esaltazione. Quest’anno ha dipinto a Venezia due superbi paesaggi, San Lorenzo e San Giovanni e Paolo, ed ha fatto dono d’una bella tela pel museo che si sta costituendo ad Olevano Romano. Così il figlio lontano feconda col suo amore, la trama sentimentale, che lo unisce sempre alla Madre inobliata. «Gallerie di Parigi. Filippo de Pisis», L’Ora, Palermo, 9 novembre 1934. 59 Parigi, 1926. Con il corpo dipinto all’orientale, per un ballo mascherato. 60 Uno sguardo ai surrealisti antichi e moderni Filippo de Pisis Le belle tavole che l’amico Longanesi pubblica nel n. 21 dell’Italiano riproducenti alcune gustosissime pitture di Giuseppe Arcimboldi [ nota dell’autore: fiorito nella seconda metà del ’500. Ricavo da una enciclopedia queste notizie sommarie: Arcimboldi Giuseppe – Pittore italiano, di Milano, nato nel 1533, morto a Praga nel 1593, meritò il titolo di pittore degli Imperatori Massimiliano II e Rodolfo. Il suo talento era soprattutto originale. Egli si era fatto celebre componendo le sue pitture con gli elementi i più disparati e faceva degli abbozzi, che rassomigliavano di lontano a figure umane. Altre figure non sono che un insieme abile di fiori e di frutti. Qualcuna di queste opere bizzarre è conservata al Museo di Vienna ] hanno una curiosa somiglianza con l’opera di alcuni artisti surrealisti o affini, Dalì soprattutto, e ci inducono a delle considerazioni che potrebbero tornar utili. La legge comune di indifferenziabilità domina forse l’arte come la materia. Dalì è un pittore che ha trovato a Parigi fervidi ammiratori, sia pure in un’élite abbastanza ristretta e che certo ha un talento attraente; però la sua, come quella di altri artisti moderni, pure lontani da lui sotto altri aspetti, ci sembra su una via traversa e non sulla buona nel cammino dell’arte o almeno, per meglio intenderci, della pittura. Un pittore come l’Arcimboldi, pure con un talento e con una serietà (ci sia concesso di dirlo!) ben superiori a certi moderni, a noi moderni, alla sua epoca, anche nel miglior favore non fu certo considerato che come un elegante e squisito artefice, ma non come un grande, non solo da non porsi nello stesso cielo (nell’arte come nella santità vi è pure una scala di perfezione) di Raffaello e di Tiziano, ma neppure in quello del Perugino o del Francia. Arte preziosa, ma un po’ fredda, decorativa fiamingheggiante (si pensi alle nature morte del Baschenis o di qualche olandese) del tempo; ma un po’ folle e perversa. La verità è che la pittura, la vera, la buona pittura (a che avrebbero valso tanti sforzi geniali altrimenti?) ha fatto grandi passi sulla strada maestra dell’arte dal ’500 a questa parte, anche come perfezione tecnica se per questa si intende semplicità e immediatezza (e anche nei colori in senso chimico, ma ciò ha un’importanza assai relativa). Le tappe però sono tenute dai veri pittori, gli altri artisti, sia pure interessanti, restano a valle. Orbene, i giudici un po’ superficiali, si incantano davanti alle finezze tecniche, alle minuzie di certi pittori surrealisti o affini, e non si accorgono che queste segnano se mai un regresso. In altre parole, dipingere una mano o anche una scarpa come sapeva Manet è più difficile (mi si passi l’espressione) che come la dipinse Giotto o Beato Angelico. Ma, naturalmente, la questione non è solo della tecnica! Il valore di un’opera d’arte è davvero trasmissibile (sia pure col tempo e in condizioni favorevoli) e reale solo quando è cosciente ed è l’emanazione diretta e prepotente di una commozione lirica da parte dell’artefice. Ed ecco perché i veri grandi pittori furono più o meno poeti. 61 Ci sono in certe vetrine di fioristi delle teste di terracotta che si tengono in bagno e poi vi si spolvera sopra dei piccoli semi che si trasformeranno in fili verdi. Oh il grazioso effetto! Non mi direte però che questa sia dell’arte. E lo stesso il senso metafisico, un certo gusto perverso che stuzzica le passioncelle di noi moderni, l’accordo o l’accoppo di qualche bel tono voi li trovate, con un po’ di buona volontà un po’ ovunque da le pitture en consierge a quelle dei così detti maestri moderni. Ma una pittura, a noi pare, che debba essere soprattutto una buona pittura e nel senso contemporaneo, per essere opera d’Arte. E questo vecchio artista italiano, Arcimboldi, può condurre a scuola i surrealisti, e anche certi prerafaelliti espressionisti, etc. Fra questi vi sono pittori assai curiosi e deliziosi nel senso di una decorazione che con una grand’ironia può essere compatibile anche con l’architettura di un interno moderno. Citerò fra questi Pierre Roy che fu amico di de Chirico e che, pare, lo precedesse nel comporre e dipingere certe nature morte formate dall’insieme di oggetti talora di apparenza eterogenea. La fattura minuziosa, l’impasto delicato, i bei colori limpidi del Roy, lo avvicinano davvero a certi pittori antichi, fra cui il nostro Arcimboldi. Le composizioni del Dalì, spagnolo e miniaturista, sono complicate di elementi surrealisti d’incubo, di sogno macabro e spesso con elementi sessuali. A noi sembra che tutti gli elementi letterari e stilistici di cui, bene inteso, non furono scevri gli antichi, nuocciono, piuttosto che favorire, l’arte moderna. Comprendo piuttosto la morte della pittura, in quanto decorazione, di fronte all’arte futurista o quella che da essa può scaturire. L’Arcimboldi compose in uno spirito che fa presentire l’Arcadia, una figura dell’Agricoltura con aratri, zappe, rastrelli, e biondi covoni a quella guisa che alcuni pittori moderni potrebbero comporre la figura dell’uomo nuovo, con apparecchi di telegrafia senza fili, aeroplani, eliche e motori. In parte è stato tentato: pensate ai pittori così detti metafisici o ad alcuni futuristi. Sarà curioso osservare, senza spingere la parentesi troppo oltre, come in un certo senso la trasformazione sia pure lenta dell’uomo animale è forse un fatto reale: come si trasformerà l’aspetto delle città, digià i cavalli da tiro sembrano un anacronismo nella città moderna. La vita dell’attimo, il canto del motore, l’ebbrezza della velocità, riporta agli antichi, distruggerà o ridurrà di molto l’interesse per l’antico, per il museo. Un pittore attratto dai misteri che si producono nella materia sensibile in seno e in rapporto alla vita moderna e che in un certo senso potrebbe riallacciarsi al vecchio maestro italiano è Max Ernst soprattutto per certe nature morte delicatissime. Anch’io (mi sia concesso citarmi) ho fatto anni sono composizioni di oggetti cercando di rilevare il loro dramma muto e ancora recentemente ho dipinto qualche natura morta con gruppamenti di oggetti disparati, ma il gusto del dipingere rapido, del dire il più possibile con il meno sforzo mi vince, a scapito forse di una pittura più compatta e patetica. 62 E voglio chiudere queste note con un saluto a un modesto artista ingenuo che senza saperlo rende omaggio allo spirito (amo pensarlo beato nel mondo dei trapassati!) del pittore di Massimiliano II e Rodolfo. Si tratta di un oste o patron du restaurant nei pressi di place Pigalle, il quale da un anno circa orna la sua vetrina di vere e proprie nature morte di legumi e frutta, ma ritoccate da una sua arte burlesca e vivace: un piede di aglio gigante diventa una testa vivissima di impenitente pensatrice, un cavolo rosso (sormontato da un berretto frigio, decorato con fiammiferi, par pitto, barba e baffi di radici delicate) la testa di un sanculotto, una zampa di anitra, un uccello fantastico, una carota, un diavolino di Cartevici. Alcune di queste figure vegetali e antropomorfe in certe fredde sere di Montmartre mi han fatto pensare senza mia colpa a certi ritratti di Soutine, il postimpressionista russo-parigino tanto quotato dai collezionisti. Ben poco rapporto in realtà fra le due espressioni d’arte. La deformazione della figura umana, iniziatasi in certi grandi cinquecentisti e così caratteristica nel Greco ha trovato in certi moderni una specie di sfogo alla lotta contro la materia in pro dello spirito: salutare quando è richiesto da un bisogno sinceramente sentito, ma pericoloso giuoco. Le nature morte animate del locandiere da boulevard stanno rispetto alle figure di Soutine o alle pitture dell’Arcimboldi come certe figure da baraccone alla pittura di Modigliani. Monito salutare però agli inesperti e simpatiche se non altro perché il buon oste non cerca [che] di richiamare con esse la clientela e nulla più. «L’Arcimboldi italiano e i surrealisti parigini», L’Italia Letteraria, Roma, 14 gennaio 1934. 63 Il connaisseur a Parigi Filippo de Pisis L’abate Galliani disse «Paris c’est le café de l’Europe», si potrebbe dire che Parigi è anche un grande arsenale dove si trovano confuse o amalgamate non solo le razze e i personaggi più strani, ma anche gli oggetti. All’epoca dell’esposizione del Tintoretto a Venezia, parlando con amici alla «terrasse du Dôme à Montparnasse», io potevo dire accennando in alto, un sesto o settimo piano: «Qua sopra c’ è uno dei più bei Tintoretti che esistano (Lucrezia e Tarquinio) quasi sconosciuto, salvo che a un piccolo gruppo di iniziati, e sepolto fino a poco fa in un château en province. Il fortunato possessore è un colto tedesco, degno della penna di Balzac, e celebre per una raccolta di mirabili Courbet e Géricault. Una specie di registro sapiente delle opere d’arte «che passano» sulla piazza di Parigi alle vendite pubbliche o di quelle che sono «gelosamente» custodite (si dice così ma spesso del tutto misconosciute) in case private, presenterebbe il più grande interesse per il critico d’arte e curiose sorprese . Un amico mi diceva che in una specie di «camera buia» (è conosciuta così dai colleghi) di uno dei più grandi mercanti d’arte moderna di Parigi, sono accumulati disegni di gran valore che in parte il proprietario ha dimenticato e che da anni non vedono la luce. In quanto a me, quante volte sono stato tentato di prendere la penna in mano, di correre da un fotografo per illustrare, far noto agli eruditi e ai colti dilettanti, pubblicare in riviste d’arte o in monografie, opere che mi capitava di scoprire. Ma se sono (e lo sono pure come pochi) conoscitore e critico, non amo molto di scrivere e poi purtroppo quando si deve far la pittura, la cucina, lavare i pennelli, innaffiare i vasi e scrivere di tanto in tanto qualche verso e leggere le belle cose scritte dai grandi morti, non resta molto tempo. L’altro giorno il mio « artisan encadreur», il bravo monsieur B. mi mostra, nella sua bottega, due nature morte, «un pendant», che gli avevano dato a ripulire. Una è una bella pittura olandese del seicento, brillante di colore, un po’ fredda e compassata, ma l’altra ... questo canestro rotondo di fichi verdini in pila, fichi dalla «goccia d’oro» (oh Apennino solatio, oh aria della mia terra!), questi conigli che brucano l’insalata, queste pere gialle e il cielo basso sopra una villa nostrana... Ho subito riconosciuto un’opera di Pier Paolo Barbieri il bravo fratello del Guercino. Si ha di sua mano una specie di registro delle opere del grande centese. «Infatti, mi dice il signor B., questa tela è un po’ più piccola». Dirò fra parentesi che due belle nature della stessa mano ha nella sua raccolta il tedesco possessore del superbo Tintoretto, ed una bellissima con delle uova dai bei bianchi e delle brocche, ha mia sorella a Ferrara. Un disegno del Guercino (quattro o cinque Tiepolo superbi ho visto anche da piccoli antiquari in questi dieci anni), un santo vescovo con la destra levata, vedo quasi ogni giorno dietro la vetrina di un antiquario di rue Bonaparte e son tentato sempre di acquistarlo; esito perché una parte è un po’ slavata, il che non sarebbe grave, ma forse è ritoccata ed ho orrore delle opere d’arte 64 «tripotées». Un lungo elenco si potrebbe fare delle opere italiane più o meno conosciute (a parte quelle che sono al Louvre dove le attribuzioni dei disegni sono insufficienti) a Parigi, ma qui sarebbe fuori posto. Un vero saluto della dolce patria, proprio come una mano amica che mi facesse cenno dalla scura parete polverosa del «brocanteur», tra un violino senza corde e una sottana di seta di «madame la grand’mère» fu l’altra sera un delizioso quadro, il bozzetto forse per una pala d’altare, dello Scarsellino. Sigismondo Scarsella detto lo «Scarsellino» o meglio del figlio Ippolito (1551-1620). E mi parve di vedermi ancor fanciullo curvo su una pagina di uno dei grossi tomi dell’Arciprete Girolamo Baruffaldi «Le vite dei pittori e scultori Ferraresi» con le teste incise in rame; e mi parve rivedere una tela ripiena di una mistica commozione (non il delirio dei senesi del trecento ma una specie di nenia del rosario a sera dopo la cena in Emilia o il profumo dei vasi su un altarino per il mese mariano), che tenevo appesa su una parete della mia camera da letto da ragazzo. Cristo nudo fino alla cintola con una gran corona di spine e un mantello di lacca carminata, fra due sante in adorazione. Una vestita di nero con una pezzuola bianca. Questa tela (attraverso quali vicende venuta fin qui?) che non ho saputo resistere alla tentazione di comperare è ora qui appesa nel mio granaio (provvisoriamente, al posto di un bel paesaggio di Paolo Bril). Rappresenta l’Incoronazione della Vergine, portata in alto verso Cristo, il Padre Eterno, seduti su nuvoli, da leggiadri angeli ben guercineschi. In basso, in diversi atteggiamenti, i Profeti. Uno seminudo, il profilo ariostesco illuminato da calda luce, spicca a destra. Certo non si tratta dell’opera di un maestro: Guercino o Carracci, a cui un conoscitore superficiale potrebbe attribuire la tela, sono pittori ben più forti, ma però quanta grazia e che gustosa «tonalità». Per la composizione, un amorino sgambetta sul davanti appeso alle nubi, si potrebbe dire che la grande tradizione tizianesca e tintorettiana arriva al piccolo maestro di provincia attraverso il caposcuola Guercino, che aveva furoreggiato a Roma e in tutta Europa. L’amico Giuseppe Raimondi ha scritto non è molto un simpatico articolo sul «Meridiano di Roma» a proposito di questi maestri secondari della scuola ferrarese. Un brioso gustoso pittore che attende di essere meglio conosciuto è il Caletti detto il Cremonese di cui io possiedo un piccolo «martirio di San Pietro domenicano». Ma adesso ho scritto forse abbastanza e «cocò» dà segni di impazienza e ho una gran voglia di correre a vedere certi alberi appena rinverditi in riva alla Senna. «Aria di casa», Il Frontespizio, Firenze, aprile 1938. 65 9 Parigi con la Tour Eiffel (1925). Olio su tela, cm 55x45,5. In basso al centro: de Pisis. Al verso: sul telaio etichetta «De Pisis / Gli anni di Parigi / 1925 -1939 / Galleria dello Scudo / Verona, 13 dicembre 1987-31 gennaio 1988 / Galleria dell’Oca / Roma, 5 febbraio 1988-19 marzo 1988». Esposizioni Mostra documentaria di Filippo de Pisis [in occasione della presentazione del volume di G. Ballo dedicato all’artista, Torino, 1968], Galleria del Naviglio, Milano, 17 dicembre 1968-7 gennaio 1969, riprodotto in cat. (Paris à la Tour Eiffel) De Pisis, a cura di G. Briganti, Palazzo Grassi, Venezia, 3 settembre-20 novembre 1983, riprodotto in cat. n. 24 (Rue des Volontaires) De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939, a cura di G. Briganti, testi di vari, Galleria dello Scudo, Verona, 13 dicembre 198731 gennaio 1988; poi Galleria dell’Oca, Roma, 5 febbraio-19 marzo 1988; poi Castello Svevo, Bari, 24 marzo-29 aprile 1988, riprodotto in cat. n. l e in sopraccoperta, e sull’invito (Rue des Volontaires. Parigi con la Tour Eiffel) De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, cat. n. 10 (Rue des Volontaires). Bibliografia U. Nebbia, Filippo de Pisis, Artisti italiani contemporanei, collezione diretta da M. Bechis, Chiantore, Torino, s.d. [1943], riprodotto tav. IV (Parigi) M. Valsecchi, Filippo de Pisis, Electa, Milano, 1956, riprodotto tav. 5 (Parigi) G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 185 (Paris à la Tour Eiffel) M. Carrà, «Neocezannismo e realismo magico», in L’Arte Moderna, vol. IX, Fabbri, Milano, 1967, riprodotto p. 266 C. Bertelli-G. Briganti-A. Giuliano, Storia dell’arte italiana, Milano, 1986, vol. IV, p. 270, n. 29 L. Pratesi, «Nudini sulla Senna», Panorama, Roma, 14 febbraio 1988, riprodotto p. 8. M. Calvesi, «Metapisis», L’Espresso, Roma, 6 marzo 1988, riprodotto p. 155 G. Contini, «Il menu dipinto», Leggere, Milano, n. 4, 1988, riprodotto p. 23 66 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1925/84 Catalogo Asta Farsettiarte, Prato, 28 novembre 2009, riprodotto n. 750, scheda di F. Marini. Nella scheda del Catalogo generale 1991, cit.: «Il quadro raffigura la Tour Eiffel vista da rue des Volontaires, dove de Pisis ebbe il suo primo studio parigino.» Daniela De Angelis, scheda per il catalogo 1987, cit.: «Poco prima di partire per Parigi, nel marzo 1925, de Pisis dipinse un angolo di via Merulana a Roma, il Paysage romain riprodotto da Waldemar George nel 1928 e oggi di ubicazione ignota; da poco giunto nella capitale francese, stabilitosi presso l’Hôtel Esperia di avenue Suffren, il pittore ritrasse la vicina rue des Volontaires in un quadro che è sicuramente tra le prime tele dipinte in Francia. La differenza che intercorre fra i due lavori, cronologicamente vicinissimi, è ben visibile: affrancatosi dall’ossessione del ben dipingere che lo aveva costantemente seguito negli anni romani, de Pisis vivifica la sua tavolozza, a favore di una visione più immediata. Anche il carattere volutamente patetico, significante, delle vedute romane, cede il posto alla notazione rapida, al movimento delle figurine nere incolonnate, alla sommarietà felice dei segni prospettici. “Dipingere è un modo intenso di vivere un’avventura. Così dipingeva de Pisis in Parigi”, scriveva Francesco Arcangeli su Paragone nel 1951, quasi a confermare una consuetudine, quella depisisiana nel dipingere en plein air, divenuta leggendaria per la velocità dell’esecuzione, per la capacità di rendere in un flash, l’impressione, e anche per la proverbiale cordialità di de Pisis nell’intrattenere la folla dei passanti incuriositi, la gente che offriva al pittore i suoi commenti, le sue critiche, a volte qualche richiesta d’appuntamenti. Ricordava lo stesso artista in uno scritto del 1946 pubblicato nel volume Confessioni dell’artista, edito nel 1983: “Mi sarebbe certo insopportabile scrivere una poesia, mentre qualcuno dietro alle spalle legge parola per parola. Forse l’aria aperta, il lavoro manuale-pittorico neutralizzano la spiacevole impressione di un astante. Certo è che se non potessi dipingere avendo degli spettatori alle spalle dovrei rinunciare al lavoro en plein air, per me assolutamente indispensabile per far cose buone. Io infatti – salvo casi particolari – non do una pennellata senza il vero. Sono un po’ del parere del Cézanne che consigliava ai suoi seguaci ‘Dipingete ciò che vedete’. Devo dire che sono talmente abituato ad avere degli spettatori che quasi non li avverto. A volte mi diverto addirittura a fare un po’ di commedia: interrogo, conciono... Appena uno degli astanti apre bocca – e anche prima capisco con chi ho a che fare. Una frase che ripeto (fu di un grande critico, a Parigi) è questa: ‘Ecco dei giovinetti, della gente, che passa alla storia senza saperlo: vede dipingere uno dei più bei talenti pittorici che siano mai esistiti.’ Dico anche: ‘Io sono più di un cardinale, più di un ministro, più di un generale... ‘ Non è la stagione che si può preferire, ma il perfetto accordo tra lo stato d’animo e la luce: tra la luce interiore e l’atmosfera.”» Francesca Marini, scheda per il catalogo 2009, cit.: «Scrittore, poeta e pittore, Filippo de Pisis punta all’obbiettivo più alto: la restituzione dell’intera gamma dei sensi attraverso le atmosfere che traduce sulla tela, siano esse paesaggi, nature morte o ritratti [...]. Dopo Ferrara, la città delle cento meraviglie, fu Parigi a rappresentare la svolta artistica come pittore per Filippo de Pisis. Vi giunse nel marzo del 1925, quando la Ville Lumière era il centro del mondo. Giunto nella capitale francese avrebbe alloggiato presso l’Hôtel Esperia in rue Suffren. La tela intitolata Rue des Volontaires (Parigi con la Tour Eiffel) costituisce una delle prime e preziose prove di questo soggiorno, a testimonianza della svolta intercorsa tra la fase giovanile romana e la successiva maturazione dell’artista. È lo scorcio di una strada vicina all’albergo in cui risiedeva il giovane de Pisis che, in quest’opera, dimostra di aver già avviato quel processo esecutivo rapido, immediato del luogo ritratto, svolto generalmente en plein air, ovvero cogliendo dal vero il soggetto con tratti veloci quanto essenziali e cromie sapienti, giocate cogliendo le trasparenze dell’aria». 67 10 Le poisson, 1925. Olio su cartone, cm 46,4x60,8. In basso a destra: de Pisis 25. Al verso: a matita blu «le poisson». Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 02746 Esposizioni Exposition de peintures de Filippo de Pisis, presentazione di F.P. Mulé, Galerie Carmine, Parigi, 16-30 giugno 1925, riprodotto in cat. n. 2. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1925/62. Nel Catalogo generale 1991, cit., indicato «ubicazione ignota»; si tratta di un importante recupero all’antologia depisisiana. Anche se la composizione fosse stata fatta a Parigi, ancora si risentono le compatte materie delle nature morte ferraresi, riflessi metallici, colori tendenti allo scuro, un’austerità di forme ma anche la libertà di collocare nel fondo due riproduzioni; sulla destra un’immagine, forse un suo quadro, appoggiato sul fianco, produce una sorta di spaesamento, inserto che dà originalità all’insieme. La natura morta è riprodotta nel piccolo catalogo della prima mostra tenuta a Parigi dall’artista, presentata con un articolo di F.P. Mulé, «Il pittore Filippo de Pisis», già pubblicato su Il Mondo, Roma, 8 novembre 1924: «Le tele del giovane pittore Filippo de Pisis non danno l’impressione abituale di pigre acque stagnanti, ma danno al contrario, anche quando sono solo tentate non ancora compiute la sensazione evidente di uno spirito vivace che non si attarda sulle cose facili, ma che pensa, cerca e si tormenta per pronunciare una parola che gli sia propria […]. La vittoria che il giovane artista riporta sulla propria cerebralità e sulla materia si manifesta in modo sicuro e evidente in molte nature morte che vivono d’una armonia completa di linee, di plastica e di luce. Qui soprattutto il pittore si mostra in possesso di una tecnica personale, docile, animatrice. In queste cose morte – pesci, frutti, biancheria, erbe, cristalli disposti magnificamente in un interno o all’aria aperta – si espandono e tremano le vibrazioni della vita. In alcune di queste nature morte così particolari, 68 i rapporti delle diverse tonalità giungono per la pura trasparenza del colore, ad una ammirabile perfezione. Ecco la voce di Filippo de Pisis giovane pieno di doni reali e di una cultura poco comune, sarà il primo a esserne convinto […]. Più egli supererà lo sforzo del pensiero e della tecnica più le sue fantasie colorate manterranno l’intima palpitazione della vita» (traduzione). 69 11 Natura morta con violette (1925). Olio su cartone, cm 46x56. In alto a destra: Pisis / Parigi. Al verso: scritta a matita autografa dell’autore «Questa / pittura fu / eseguita / a Parigi / […] / 1925»; scritta a pastello nero, non dell’autore «De Pisis / Parigi»; etichetta Galleria Milano, Milano [intestazione cassata], con n. 202; cartiglio a stampa «Proprietà [Gu]ssoni»; etichetta «Quarta Quadriennale Nazionale d’Arte, Roma» con indicato «“Natura morta” di / Filippo de Pisis / Proprietario Filippo de Pisis / rue Servandoni / Parigi»; timbro «registro n. 166»; timbro Galleria del Naviglio, Milano, con n. 2763, e firma Cardazzo; etichetta «Centre d’Art Italien à Paris / “La Jeune Peinture Italienne” / 15 maggio-15 giugno», con indicato «Nature morte / Filippo de Pisis / Paris»; etichetta «The Institute of Contemporary Art / Boston / Exhibition of Contemporary Italian Paintings / with the collaboration of Galleria del Cavallino of Venice». Esposizioni Quarta Quadriennale d’Arte Nazionale, Palazzo delle Esposizioni, Roma, maggioluglio 1943, sala VI, in cat. n. 14 o 18 (Natura morta). Nel disegno di questa natura morta vi è traccia della ricercata grazia delle stampe giapponesi; composizione di fiori e steli e semi sorpresi nell’appoggio distratto sul piano o meglio disposti con la naturalezza trasandata che fa vivere ogni particolare, petali e spine, la gioielleria della natura. Si riscopre ogni volta la realtà nelle pagine di de Pisis e si riscontra nel vero e con la pittura quel vero appare ancor più guarnito di fascino. 70 71 12 Natura morta marina, 1925. Acquarello su carta applicata su tela, cm 34x41. In basso a sinistra: de Pisis 25. Al verso: etichetta Galleria dell’Oca, Roma. Provenienza: Galleria Dell’Oca. Dichiarazione su fotografia di Demetrio Bonuglia, Roma, 29.1.86. Esposizioni De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di D. Tega, Galleria Tega, Milano, ottobre-novembre 1987, riprodotto in cat. n. 3 Dino Tega nel catalogo 1987, cit.: «Nell’anno in cui de Pisis giunse a Parigi eseguì la Natura morta pubblicata al n. 3. È la sua tipica scena a sfondo marino: la conchiglia ingigantita nel primo piano della spiaggia funge da vassoio ad altri piccoli molluschi. Il volano, oggetto frequente nelle sue nature morte marine, sta quasi a dimostrare l’importanza, nella composizione poetica, di un oggetto semplice che diviene primo attore. La sobria linea del mare fa parte in questo concerto dell’impronta personale che avrà un lungo seguito nella sua pittura. Interessante il grafismo pittorico della firma con data.» 72 73 13 Natura morta con fiori e funghi, 1926. Olio su tela, cm 50x65. In basso a destra, sul libro: de Pisis 26. Al verso: etichetta Galleria Milano; etichetta proprietà Rosetta Varenna Gussoni; timbri Raccolta Mobilio, Firenze; timbri Galleria Medea, Cortina d’Ampezzo; timbro Galleria Falsetti, Prato, con n. 4837. Esposizioni 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. tav. CXXII (Funghi e fiori) De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 76. Bibliografia G. Dal Bo, «Porterò a Venezia il de Pisis più bello», La Vernice, Venezia, maggiogiugno 1983, riprodotto p. 26 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1926/134. Questo de Pisis è tutt’altro che frettoloso o approssimativo nel disegnare e colorire le forme di ciò che gli interessa: funghi di diverse qualità, fiorellini, una farfalla, la copertina di un libro; accenna persino le nervature della tavola di legno che sostiene la composizione bene illuminata da un fondo di intonaco chiaro spartito su due gradazioni e come gessato. E ormai avviato, pur indugiando ancora nell’analisi e nella descrizione, alle sue pagine celebri, invase dalla luce, colte con fulminante rapidità. Ma sono conquiste, come si vede in quest’opera, passate attraverso l’accorto studio del vero e una disciplina che darà comunque fondamento a ogni licenza poetica. 74 75 14 Natura morta marina, 1926. Olio su tavola, cm 41,2x32,7 In basso a destra: de Pisis 26. Al verso: scritta autografa dell’autore «À bon Boris. Paris 15. II. 34». Esposizioni Filippo de Pisis. Nature morte, a cura di S. Crespi, testi di C. Gian Ferrari e S. Crespi, Galleria Civica, Campione d’Italia, 19 aprile-30 maggio 1996, riprodotto in cat. p. 49 e in copertina Italian Stll Life. Painting, Seiji Togo Memorial Yasuda Kasai Museum of Art, Tokyo, aprile-maggio 2001; idem, Art Museum, Niigata City; idem, Hakodate Museum of Art, Hokkaido; idem, Shimin Plaza Art Gallery, Toyama; idem, Museum of Art, Ashikaga; idem, Museum of Art, Yamagatan, riprodotto in cat. p. 97, n. 59. Bibliografia Catalogo De Pisis. Gli anni di Parigi 19251939, a cura di G. Briganti, testi di vari, Galleria dello Scudo, Verona, 13 dicembre 1987-31 gennaio 1988; poi Galleria dell’Oca, Roma, 5 febbraio-19 marzo 1988; poi Castello Svevo, Bari, 24 marzo -29 aprile 1988, riprodotto p. 96 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1926/125. Nel catalogo 1987, cit., p. 86, questo quadro è riprodotto a commento di uno esposto, La grande conchiglia, 1927. Daniela De Angelis nella scheda: «In una tela del 1926, Natura morta marina, de Pisis aveva ritratto la stessa conchiglia reclinata sulla spiaggia, vicino a una bottiglia e a un altro recipiente [un vasetto con fiori]. Sullo sfondo alla figurina s’accostava un carrettino trainato da un cavallo, notazione che rende singolare questo quadro.» Stefano Crespi nel testo «De Pisis, nature morte e la pagina bianca», nel catalogo 1996, cit., pp. 19, 21: «Nella natura morta di de Pisis si consumano e si superano i residui dell’eredità simbolista di Morandi (luce e ombra, finito e infinito, tempo ed eterno). C’è una concezione irritornabile della vita, del ripetersi stupendo e doloroso. L’intuizione poetica in de Pisis è la caduta da un immobile eterno, per accettare fino in fondo la grazia disperante del tempo […]. La natura morta in de Pisis ha un’energia di pittura, di verità, di invenzione, anche perché c’è un pensiero in grande sulla pittura, sulla sua rimeditazione. C’è 76 sì un rischio, un estro, un rapimento, ma nello stesso tempo un paragone con gli antichi, in particolare con la pittura veneziana tra Cinque e Settecento.» 77 15 Natura morta con maschera (1926). Olio su tela, cm 50x70. In basso a sinistra: de Pisis. Al verso: sulla tela etichetta Il Ridotto Galleria d’Arte Moderna, Torino, con firma; timbro Battista Pero, Milano; sul telaio etichetta Galleria Bonaparte, Milano, con n. 2922; timbro Battista Pero, Milano; timbro Galleria Barbaroux, Milano, con n. 544. Esposizioni De Pisis, didascalie per un pittore, a cura di Luigi Cavallo, Milano, Brerarte, 18 maggio -18 giugno 1983, riprodotto in cat. p. 81 (1928). Bibliografia S. Zanotto, «Filippo de Pisis: l’intonazione letteraria», Terzoochio, Bologna, giugno 1983, riprodotto p. 18 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1926/129 Catalogo Asta Farsettiarte, Prato, 26 novembre 2005, riprodotto in cat. n. 922, scheda di P. Pacini Catalogo Asta Farsettiarte, Prato, 31 maggio 2008, riprodotto in cat. n. 800, scheda di F. Marini. Al dipinto, nella mostra del 1983, cit., si attribuiva la data 1928 circa, giustificando in didascalia: «Una composizione con elementi simili, maschera, vaso, ciotola, collana ecc. è pubblicata da Ballo, 1968 [Ilte,Torino], al n. 142 con data dubitativa, 1924, data attribuita fin qui a questo dipinto che ci appare però più fuso di pittura, rispetto alle nature morte romane. Potremmo pensare a un momento posteriore, di maturità già parigina.» Nel Catalogo generale 1991, cit., Giuliano Briganti propone, tra parentesi, 1926; plausibile anche questa collocazione, che possiamo accettare, poiché siamo già in ambito parigino. Piero Pacini, scheda per il catalogo 2005, cit.: « De Pisis rimane fedele all’immagine che ha offerto di se stesso nel Marcbesino pittore [F. de Pisis, Il Marchesino pittore, Longanesi, Milano, 1969] in ogni momento della sua esistenza, quando è più propenso a sublimare i processi mentali più intimi e scabrosi, o quando cerca di chiarire a se stesso il programma di vita o cerca il miglior modo di essere e di stare 78 tra gli altri uomini. Le confessioni riversate nel Marchesino pittore, in Vaghe stelle dell’orsa [F. de Pisis, Vaghe stelle dell’orsa. 1916-1918, Longanesi, Milano, 1970], negli scritti postumi e nell’epistolario, ribadiscono la sua coltivata predisposizione per i comportamenti narcisistici e dandy, come una certa spregiudicatezza alla Oscar Wilde, ma anche una costante capacità di stupire con quel “senso di diletto e di dimenticanza del presente” che ci ha rivelato Giuseppe Raimondi. Nel corso della sua feconda attività de Pisis si immerge progressivamente nell’essenza delle cose; la penetrante lettura fornita da letterati e da storici a lui vicini ha infirmato, una volta per tutte, l’accusa di leggerezza e di friabilità, rivalutando la levità di tocco, ovvero le proverbiali stenografi” sorrette dal provvidenziale intervento della poesia e da irripetibili sollecitazioni visive. Già nel 1932 Cesare Bradi [«Il pittore Filippo de Pisis», Dedalo, Milano-Roma, maggio 1932] può scrivere: “spesso di un frutto [de Pisis] ritiene appena una pennellata di verde tenero […] o quella pruina ineffabile che copre i chicchi dell’uva, o la guazza caduta sui fiori, o i guizzi madreperlacei delle ostriche; le sue abbreviazioni sono però così precise, nascono da una tale consumata esperienza naturalistica che a nessuno verrebbe mai il pensiero di chiedere di più, di volere anche la polpa, il peso, la specie esatta del frutto o dell’animale che dipinge. È che l’arte di de Pisis è un’arte di evocazione, di ricordo e non di mimesi”. Per tale approccio al motivo ispiratore “piante, fiori, animali sono permeati d’aria, si sciolgono, si liquefanno”, ma non prima che il loro odore e la loro presenza arrivino a stimolare le corde del ricordo. Persiste la memoria del pittore che, mentre dipinge una rosa, ne aspira il profumo, freme al contatto con la morbidezza dei petali e sogna di vivere, almeno per un istante, la vita di questo fiore. Per artisti del suo temperamento, le giornate sono più dense di eventi poetici che di immagini reali; negli anni in cui esplora la città di Parigi e assorbe con gli occhi e con i polmoni le apparizioni e le mutevoli atmosfere di questa città imprevedibile, in incessante trasformazione , l’artista è spesso tentato – felicemente tentato come Des Esseintes e come d’Annunzio – dalle “cose vive” e dai “bei corpi”; ma questi empiti sensuali sono controbilanciati dalla sensibilità estetica che trasforma in ricordi e in eventi lirici gli incontri che più tenacemente s’impongono al suo sguardo. L’ar- tista si attarda su cose squisite come i fiori che “sembrano impazzire nella vivacità dei colori”, i passeri che portano un soffio di primavera nei giardini e nei luoghi più appartati, o la “dame en noir” che trasfigura con la sua sola presenza un viale intessuto di verde; afferra, allo stesso tempo “lo strazio sottile che è nell’aria”, la giovinezza e la gioia di vivere delle persone che lo sfiorano durante le sue lente passeggiate o nei ritrovi eleganti. In questa situazione di benessere fisico e spirituale il pittore riceve gioia o momenti di gratificante distensione anche nella contemplazione degli oggetti che dipinge in aggregazioni apparentemente casuali: nell’appropriazione di una tazzina rallegrata da violette o di una ceramica ridondante di lustri, di un bijou trovato chissà dove o di un ventaglio rallegrato da una ordinaria fioritura. Quando lo spirito è più rilassato e i fatti della vita sono ridimensionati dalla ritrovata tranquillità domestica, le cose gli si impongono nella loro riposta esistenza sotto lo sguardo indecifrabile della maschera appesa al muro: l’oggetto rosso – scelto per assolvere una importante funzione di equilibrio – si fa morbido e sembra quasi respirare; i lustri della ceramica favoriscono tutta un’avventura della luce, i fiori della ventola sembrano staccarsi dal loro supporto e dirigersi verso il grigio tenero dello sfondo che sembra già presentire ulteriori accensioni ed umori atmosferici. Il Marchesino pittore percorre solo fino ad un certo punto la direzione privilegiata dai personaggi di Huysmans e di d’Annunzio perché, seguendo una logica interna e confidando nell’istinto, ha già preso coscienza della vita silente e degli aspetti preziosi dei fiori e degli oggetti; la trasparenza e l’imprevedibilità dei cieli percorsi da fremiti stagionali sembrano poi dirgli che la comunione con le cose può aver luogo anche con una descrizione sommaria, con tocchi leggeri che rivelino – come ha osservato C. Brandi – l’essenza, ovvero la parte più qualificante delle cose e delle forme viventi. Per questa riflessione, gli oggetti inanimati prendono a dialogare tra di loro, trasfigurati da un sentimento interiore chiaramente orientato alla degustazione di quel lirismo o di quella poesia che la luce ed il silenzio infondono nelle cose.» Francesca Marini, scheda per il catalogo 2008, cit.: «Natura morta con maschera è una testimonianza saliente della raffinata alchimia di luci e colori con cui Filippo de Pisis eleva gli oggetti al sofisticato lirismo del quale è permeata la sua pittura, imprescindibilmente connessa alla sua predilezione per le arti drammatiche, ma soprattutto per la poesia. Concepita al principio del lungo soggiorno parigino di Filippo de Pisis, che si trasferì da Roma alla capitale francese nel 1925, Natura morta con maschera sembra conservare intatto il potere che la città ebbe nell’innescare un processo culturale e artistico che fu senz’altro una chiave di volta per l’artista. Natura morta con maschera rivela la profonda comprensione di Filippo de Pisis per la pittura francese più recente, attraverso la quale inonda l’atmosfera di quel “mondo primaverile, arioso, percorso da correnti vitali, pieno di luce e di colore”(G. Briganti, in catalogo De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939, 1987-1988, p. 14) appreso attraverso Manet e Renoir e nel contempo affonda nella ricercatezza della pittura francese del Settecento, attraverso la quale si arricchisce dei morbidi pastelli, dei grigi perlacei, dei verdi cristallini, e delle lacche rosse, consentanee ai decori e le chinoiseries che ricordano Chardin o Watteau. Memore della pittura settecentesca francese in questo dipinto appare il quieto brillare della tazza in primo piano, l’opalescenza luminosa sulla pancia e la bocca del vaso, al pari del fondo del quadro, intriso e vibrante di luce, al fine di accrescere la sensuale spiritualità che scaturisce dall’atmosfera di questo quadro. Bona de Pisis riferisce che durante i quattordici anni passati a Parigi l’artista dipingesse ogni opera in una sola seduta, operando in uno stato di trance o “stato medianico” come lo definiva lo stesso de Pisis. E forse è proprio attraverso l’apertura alle riflessioni sul ricordo, stimolate dalla trance, che opera come un filtro rispetto all’oggetto della raffigurazione, che de Pisis arriva ad un felice congiungimento del mondo pittorico con quello letterario. È da questo connubio che in quest’opera appaiono trasfusi il respiro di un quotidiano che riflette il sensualismo dannunziano e la profonda comprensione della Recerche di Proust. Un allestimento di oggetti appare altresì debitore delle “camere melodrammatiche”, composizioni teatrali d’effetto costituite da oggetti, fiori, libri e tele, allestite nella soffitta di casa fin da quando Filippo de Pisis era ancora fanciullo, rivelando un’attitudine che sarà alla radice della perpetua ricerca dedicata al genere della natura morta.» 79 16 Strada di Parigi, 1926. Olio su tela, cm 60,9x49,9. In basso a destra: de Pisis / 26. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 02923. Bibliografia Catalogo Asta, Farsettiarte, Prato, 1° dicembre 2007, riprodotto in cat. n. 645, scheda di C. Gian Ferrari. Claudia Gian Ferrari nella scheda per il catalogo 2007, cit.: «Quando de Pisis lascia Roma per Parigi è il 1925, e là vi è attratto dalla intensa vita culturale, da quel crogiuolo di linguaggi e di espressività che faranno ancora per due decenni della capitale francese il luogo più stimolante d’Europa, e non solo. Gli anni successivi rappresentano per il maestro ferrarese il momento delle scelte e di una propria emancipazione, ancora una volta autonoma dalle grandi correnti culturali d’avanguardia, delle quali partecipa in senso cognitivo, dialettico, ma traendo da questo un proprio personale indirizzo, coltivato anche, e soprattutto, nella frequentazione dei musei, che siano i vasti corridoi del Louvre o le sale intime del Guimet. La Parigi della metà degli anni Venti certo non vedeva Picasso, Braque o de Chirico dipingere en plein air. La creazione dell’opera era frutto di una elaborazione fatta fra le quattro pareti dell’atelier. Ma de Pisis, nelle sue scelte sempre trasgressive, scende col cavalletto nelle strade e ritrae straordinarie vedute di città animate dalla vita vorticosa di tutti i giorni, straniate dall’incredibile luce del cielo, che non è ancora nordico, ma non è più mediterraneo. Il paesaggio di città ha in de Pisis la caratteristica di una rappresentazione catturata dal vivo sul fremito del vento attorno ai palazzi, della luce che cambia tra le nubi, dell’andare e venire della gente, un andare e venire che lascia solo delle ombre nere sulla tela. De Pisis è curioso della vita, del mondo, e per lui scendere nella strada, a contatto con la gente, è come una carica magnetica che lo stimola a ritrarre non solo l’aspetto esteriore di un angolo di quartiere, ma il suo umore e il suo carattere più intrinseco. Sono descrizioni che, proprio per tale approccio, non scivolano mai nella abusata vedutistica, ma che, con una libertà e una capacità di cogliere l’indole e l’attimo vitale di una cit- 80 tà millenaria, ci regalano, come in questo dipinto, un’interpretazione nuova, diversa, intensa e tagliente, attuale e insieme senza tempo.» 81 17 Natura morta con biscotto (1926). Olio su tela, cm 65x50,3. In basso a destra: de Pisis 1916 / Ferara [sic; di difficoltosa lettura]. Al verso: sul telaio etichetta senza intestazione con indicato, a macchina, «N. 1640 / Filippo de Pisis / Natura morta / Olio / cm 50x64 / 1916»; etichetta «Comune di Verona / Mostra di / Filippo de Pisis / 6 luglio-21 settembre 1969 / Palazzo della Gran Guardia - Verona», con indicato «Natura morta col biscotto» e nn. 75 e 165; etichetta Gondrand con indicato «Natura morta con biscotto e paesaggio / Olio su tela / Mostra “Da Monet a Morandi” – Conegliano»; timbro Galleria Falsetti, Prato. Esposizioni Mostra dell’opera pittorica e grafica di Filippo de Pisis, a cura di L. Magagnato, M. Malabotta, S. Zanotto, Palazzo della Gran Guardia, Verona, 12 luglio-21 settembre 1969, riprodotto in cat. p. 160, n. 165 (1935) 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. tav. XI Da Monet a Morandi. Paesaggi dello spirito, a cura di M. Goldin, Galleria Comunale d’arte, Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 13 aprile-15 giugno 1997, riprodotto in cat. p. 68 (Natura morta con biscotto e paesaggio, 1916). Bibliografia F. de Pisis, «La cosidetta “Arte metafisica”», Emporium, Bergamo, novembre 1938, riprodotto p. 263 (Fantasma meridiano, 1916) G. Vigni, «Profilo di de Pisis», Emporium, Bergamo, gennaio-febbraio-marzo 1944, riprodotto p. 28 (Fantasma meridiano, 1916) De Pisis, Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1926/122 (riprodotto a specchio). Su di uno specchio inchiodato un biscotto a forma di cuore, un flauto, una scatola di fiammiferi, oggetti appesi, bei ricordi dechirichiani di Ferrara. La luce piove dall’alto e ombreggia le forme. A spaesare ancor più l’immagine il paesaggio dipinto in predella, una statuetta con figura distesa al centro, spiazza le dimensioni, spropor- 82 ziona il primo piano. De Pisis seduce con l’inquietudine dell’innocenza e la fragilità di un momento incantato. Nel corpo del suo articolo «La cosidetta “Arte metafisica”» 1938, cit., il quadro è riprodotto con acconcio titolo, Fantasma meridiano, e data 1916, così come si legge in calce, sulla destra, «de Pisis 1916 / Ferara [sic]». Titolo e data furono evidentemente adattati allo scritto, davano alla sua pittura cronologia contemporanea con quella di de Chirico e Carrà; anzi, a leggere altre date sotto i suoi quadri (I pani gloriosi, 1915; Il crociato, 1916; Fichi secchi, 1915), il Marchesino lasciava intendere di aver precorso gli illustri colleghi, dei quali erano pubblicati notissimi soggetti metafisici del 1917 e 1918. Invenzione che si giustifica con la civetteria di un carattere narcisista. Ma quanto si legge nel testo depisisiano è in più parti da condividere; a chiusura scrive: «La metafisica è fatta spesso più di semplicità, chiarezza, sonorità e palpito che di ricerca e di aridità.» Il suo amico scrittore, Giovanni Cavicchioli, firma nel 1932, Edizioni Nord-Est, Venezia, una piccola monografia, Filippo de Pisis, nella quale si dà interpretazione di provenienze culturali e destinazioni emotive per dipinti come questo: «De Chirico mi ha introdotto presso certe cose che diventano strane a furia d’esser banali: i biscotti, le squadre, le commessure degli impiantiti, gli squallidi casamenti popolari, le garette dei soldati, gli usci aperti sui pianerottoli bui, le teste di gesso, i mobili da dozzina, i manichini giù di moda. Egli ha riabilitato per sempre la pittura degli ex voto e delle testiere di letto. Ma de Pisis è più idillico e più cristiano, più umano. La sua azione redentrice non si è arrestata ai biscotti e alle squadre, né ai graffiti da caverna e ai presepi di Carrà, e si è rivolta a tutto un mondo di piccoli diseredati. I rocchetti del filo, i vasetti e le bottiglie, i pesci, le carte geografiche, i burattini e i fiaschi, le forbici, le melanzane e gli strofinacci, i fiori, le cartoline illustrate e le scatole da fiammiferi, le pipe, le farfalle, i cuori di cera e le conchiglie acquistano l’anima, respirano, se pure invisibilmente: non si capisce perché stiano fermi, pervasi d’una vita tanto più inquietante quanto meno era supponibile in loro. Li segue la piccola ombra, ma non è ombra di cose morte, è un’ombra che essi potrebbero vendere, come Pietro Schlemil vendette la sua. Anzi sta proprio qui il lato tenebroso della faccenda: si sente che l’hanno venduta, o l’hanno frustata, a forza di star per il mondo, e poi hanno dovuto acquistarne una con mezzi illeciti, una specie di seconda giovinezza alla Woronoff, che sa un tantino delle pratiche della magia nera. Ma non fa nulla, bisogna perdonar loro nel nome dell’arte. Proviamoci a domandare con grande delicatezza, per non farle fuggire, come spiriti: – Dite, cosine belle, diteci chi siete, svelate di grazia il vostro mistero... – Allora, dal mondo degli archetipi, dove stanno come in uno sconfinato magazzino tutte le forme, tutti gli stampi in cui il demiurgo versa la materia a sua disposizione per questi eterni giuochi, vengono dolcissime vocine che rispondono: – lo sono Pipa, io sono Melanzana, ecc. – Adesso capisco perché questi personaggi si drappeggiano con ombre che non sono di loro proprietà: dove abitano non ci sono ombre, perché da per tutto si diffonde chiara, uguale e vittoriosa luce: scesi sulla terra debbono per forza prendere umano costume: noi non abbiamo che un sole, dove essi stanno tutto è sole. Qui sulla terra dobbiamo trascinarci dietro l’ombra.» 83 18 La Cour des Arts (1926). Olio su tela, cm 60x50. In basso a sinistra: de Pisis. Al verso: sul telaio etichetta Galleria Gian Ferrari, Milano con indicato «“La Cour des Arts”, 1926» e n. 3072; sulla cornice etichetta Ivam Centre Julio Gonzáles, con indicato «Exposición: Filippo de Pisis / Del 12.07.2000 al 1.10.2000». Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 01233. Esposizioni Filippo de Pisis, presentazione di K. de Barañano e P. Weiermair, testi di L. Caramel, M. Paz, C. Gian Ferrari, Ivam Centre Julio Gonzáles, Valencia, 12 luglio-1° ottobre 2000; Rupertinum Museum für Moderne und Zeitgenössische Kunst, Salisburgo, 18 ottobre-3 dicembre 2000, riprodotto in cat. p. 44. Si conoscono, del 1926, tre altre versioni di questo scorcio della vecchia Parigi (in De Pisis. Catalogo generale, 1991, tomo I: La Cour des Arts, n. 1926/19; La chiave rossa, n. 1926/20; La Cour de Rohan, n. 1926/22). La chiave rossa, che dà titolo a un quadro, la troviamo anche nel nostro dipinto, ben visibile sul fianco destro; La Cour de Rohan indica la precisa ubicazione del luogo ritratto, quasi un cortile interno fra la Cour du Commerce e rue du Jardinet, all’Odéon. Le case guarnite di vecchie insegne, il punto di convergenza verso un passaggio ad arco ricordano la Cour du Dragon, altrettanto caratteristica, nella quale de Pisis, appena arrivato in città, aprile 1925, riuscì, per fortunosa combinazione, ad avere un primo studio, ospitato da un incisore e maestro di musica e da sua moglie. De Pisis, proveniente da Roma, era quindi da un anno a Parigi; qui non gli mancavano certo visioni monumentali e scorci più raccolti come questo che richiama sia certe viuzze romane a imbuto brulicanti di vetrine e di artigiani, sia qualche angolo centrale di Ferrara. L’esclamazione di Carlo V quando arrivò a Parigi nel 1538 «non urbs sed orbis», non solo una città ma un mondo, è partecipata da de Pisis che si lancia nella capitale con l’entusiasmo di chi ha capito che quello era il palcoscenico adatto alla sua recita artistica: giornalista, scrittore, poeta, esercita 84 largamente il suo talento letterario collaborando a giornali in Italia e in Francia, tiene conferenze anche in luoghi prestigiosi. Errabondo e felice, con qualche crisi di pianto, frequenta i caffè letterari, il Dôme di Montparnasse e il Deux Magots con de Chirico: cambia domicili come fossero guanti: Hôtel Esperia, in avenue de Suffren 149; poi rue de Rennes 50; una garçonnière davanti alla chiesa di Saint-Etienne-duMont; una camera ammobiliata all’Hôtel des Ecoles in rue Descartes, e quindi un appartamento a place Saint-Sulpice 3; a fine 1926 uno studio in rue Madame 18. Esplora le chiese, i ponti, le strade, i cortili, l’irrequieta vitalità delle case con inesausto desiderio di far sue le forme e il senso della città alla quale si apre con spirito creativo: non è artista che accoglie passivamente il paesaggio e lo riflette nel suo lavoro, ma ha l’entusiasmo di donare qualcosa alla città, sa che può aggiungere una sua interpretazione, diversa, intensa, una parola ancora al coro di quanti a Parigi hanno attinto e hanno profuso le loro energie inventive; e il pensiero corre a Baudelaire, ad Apollinaire, a Proust, a Max Jacob. De Pisis sceglie le inquadrature del paesaggio come a segnare nella memoria le emozioni che lo affrancano dagli spasmi di un carattere che vuole a ogni costo affermarsi. Ha coscienza delle proprie capacità e del grande impulso culturale che questo nuovo campo di conoscenze e di azione gli consente. Parigi insomma è il sigillo che lo fa sentire europeo e gli toglie definitivamente la patina di provincialismo che aveva percepito come malattia mortale. Da Ferrara, anche in quel tempo gli giungono amarezze dovute all’invidia e notizie di piccinerie, di rifiuti, che non gli favoriscono certo nostalgie per la sua città. La Cour des Arts è costruita con solida carpenteria, architettura delineata da pennellate sostanziose, formata sul vero. I toni tendono allo scuro – del resto questo è stato definito il periodo «nero» della sua pittura – l’atmosfera è violacea, un inchiostro prezioso intride le case e le figure che popolano la strada. Nasce da tale capacità di addensare con tratto sicuro forma e colore, di schizzare con senso della prospettiva e dei rapporti di spazio, il de Pisis che sorrade e sorvola con disinvolte allegorie i suoi panorami. È dimostrazione di quante corde il pittore sappia magistralmente toccare: qui c’è completezza e ordine sinfonico, una partitura scritta nei dettagli, nella quale non mancano particolari resi velocemente, riflessi vetrini, accentature vermiglie. La vita è assunta come incantamento, e si propone quale luogo di incontro, con il piacere di «abitare» una certa parte di città, tenendo a freno il desiderio di fuga. 85 19 Due rombi sulla spiaggia, 1927. Olio su tela, cm 70x90. In basso a destra: de Pisis 27. Al verso: sulla tela etichetta Galleria Annunciata, Milano, con n. 3767, firma Bruno Grossetti e timbro; sul telaio etichetta «Comune di Verona / Mostra di Filippo de Pisis / 6 luglio-21 settembre 1969 / n. 73». Esposizioni Opere di Massimo Campigli, Carlo Carrà, Filippo de Pisis, Giorgio Morandi, Mario Sironi, Galleria L’Annunciata, Milano, marzo-aprile 1960, riprodotto in cat. (Rombi) Mostra dell’opera pittorica e grafica di Filippo de Pisis, a cura di L. Magagnato, M. Malabotta, S. Zanotto, Palazzo della Gran Guardia, Verona, 12 luglio-21 settembre 1969, in cat. pp. 12-14, riprodotto in cat. p. 126, n. 73 (Marina con i rombi) Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre 2001-6 gennaio 2002; poi Farsettiarte, Milano, 6 febbraio-7 marzo 2002, riprodotto in cat. n. 4 e in copertina. Bibliografia G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, n. 211 (I rombi, noto anche come Natura morta marina) De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1927/6 (I rombi) Fondazione Umberto Severi. III. Pittura contemporanea, a cura di S. Evangelisti e P. Bonfiglioli, Franco Cosimo Panini Editore, Modena, 1993, riprodotto p. 57. Le citazioni, i prelievi, i rifacimenti dall’antico sono stati argomenti molto frequentati nell’arte contemporanea; non c’è grande autore che non abbia con la formula di omaggio rivisitato nella propria pittura immagini storicamente precedenti. De Pisis non fa eccezione; da un gelido ed esecutivo foglio di Flamen – leggiamo nel testo di Magagnato che riportiamo di seguito – prende spunto per uno dei suoi quadri più nobili, in cui fascino e nostalgia sono incantamento, momento perfetto di un luogo sinfonico. Licisco Magagnato nella introduzione al catalogo 1969, cit., pp. 12, 14: «Abbiamo trovato […] tra le sue carte conservate a Parigi da André de Mandiargues, una stampa olandese del settecento, strappata 86 probabilmente da un trattatello di ittiologia; vi si riconosce la matrice di tutta una serie di nature morte marine. Diventa così possibile vedere il punto e il momento in cui quel certo quadro scenico che durerà a lungo, direi fino all’ultimo, come schema apparentemente inventato delle nature morte marine di de Pisis, è stato invece trovato. Direi che ciò accade intorno al ’2627; Sergio Solmi (Filippo de Pisis, Milano, 1941, tav. XI) che vide nella collezione Gussoni una natura morta marina, direttamente derivata da quella stampa […] la data 1927; Waldemar George (Filippo de Pisis, Parigi, 1928, tav. X) invece che la intitola Tempesta (un titolo che fu sempre caro a de Pisis e buono per molti soggetti, anche se legato costantemente a gruppi binati di cose o animali, in rapporto quindi, osiamo supporre con la loro presenza in coppia), la data 1926». Maurizio Fagiolo dell’Arco, scheda per il catalogo 2001, cit.: «La tela, di formato quasi quadrato, è stata dipinta a Parigi: non è di quelle in commercio, e il pittore l’ha ordinata su misura dal corniciaio di rue Bonaparte. Il quadro è appartenuto a Luigi Bianchi, sarto e pittore parigino, e poi alla collezione Severi di Carpi […]. Sulla riva del mare, con le vele all’orizzonte, i due rombi chiodati, presenti quasi come feticci, occupano tutta la visuale della spiaggia: la pennellata virtuosistica coglie fremiti e riflessi di due autentici “pesci sacri”. Ritorna troppe volte questo motivo dei rombi accoppiati (La tempête, 1926; Nature morte marine, 1926; Natura morta marina, 1927) per far ritenere che sia puramente casuale.» Albert Flamen, I rombi, incisione, siglata e firmata in basso a sinistra «AB Flamen». Pittore e incisore di origine fiamminga (Bruges) lavorò a Parigi fra il 1646 e il 1648. Filippo de Pisis, La tempesta (1927). 87 20 Vaso di fiori, 1927. Olio su tela, cm 27,8x19. In basso a sinistra: de Pisis 27. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 02238. Il 1927 è anno di grande fecondità creativa per de Pisis, dipinge a Parigi quadri importanti come Le cipolle di Socrate, Piede romano, Lungosenna al Pont Neuf (cfr. Catalogo generale 1991, nn. 1927/74, 1927/21, 1927/35). Ogni porzione di vita che frequenta è segnata di forme e colori talmente smaglianti che sembrano mantenuti freschi dalla pioggia. De Pisis pare abbia sempre bisogno dei fiori sotto gli occhi, un gioioso trofeo, perché rimanga accesa la sua tavolozza e dalla consultazione diretta dei colori naturali si esprima, sorgiva, la sua sonora scatola cromatica. 88 89 21 Cortina (1927). Olio su tela, cm 65x50. In basso a destra: de Pisis. Al verso: sulla tela etichetta Galleria Il Portico, Santa Margherita Ligure; sul telaio etichetta Galleria La Bussola, Torino con n. 10897 e due timbri. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 01881. Bibliografia Catalogo Asta, Farsettiarte, Prato, 28 novembre 2009, riprodotto n. 751, con scheda di F. Marini. Francesca Marini, nel testo «Filippo de Pisis Il marchesino pittore», per il catalogo 2009, cit.: «Reduce dalla prima mostra pa- rigina aperta nel giugno del 1926, Filippo de Pisis passa l’estate nella valle del Cadore con la madre, a Villa Agnoli, non lontano da Pieve, il paese natale di Tiziano, e a Cortina, raffigurata in una serie di dipinti alla quale appartiene anche questo paesaggio della “Perla delle Dolomiti” del 1927, in cui sullo sfondo delle montagne appare la raffigurazione di una tipica fontana del luogo con la vasca di legno, vicino alla quale si trova una delle donne e una gallina. Oltre alla madre, che ricorda con preoccupazione l’assiduità con cui Filippo de Pisis si dedica alla pittura durante quell’estate, lo circondano alcuni amici come il barone Francovich o la cugina Anna Fracanzani, che aveva sposato il conte Nasali Rocca, figlio di un senatore. Le gite in montagna sono l’occasione per trovare nuovi soggetti da ritrarre sulla tela o sulla carta al pari di quelle compiute alla scoperta dei Al verso della fotografia un disegno a inchiostro seppia. 90 piccoli paesi della valle, ma il giovane de Pisis si dedica anche alle scalate, come ricorda quando scrive: “Faccio escursioni e ascensioni, anche con pericolo di vita, ma nel pericolo è una specie di ebbrezza inebriante” (S. Zanotto, Filippo de Pisis ogni giorno, Vicenza, 1996, p. 200). Quell’estate de Pisis dedica lo stesso entusiasmo alla pittura e alla scrittura nutrendosi degli studi dedicati all’arte cadorina antica avviati l’anno precedente. Scrive un’intera serie di articoli intorno alle opere d’arte del Cadore ravvisandovi naturalmente il rapporto con l’arte veneta, ma anche le “influenze d’oltralpe, dell’arte tedesca e perfino fiamminga”. Di qui avviene il passaggio ultimo che gli permette di valicare l’ascendenza ferrarese, l’esperienza intellettuale del crepuscolarismo, la metafisica, per approdare infine alla varietà di stimoli che Parigi gli offriva.» A Cortina de Pisis dipinge en plein air (1939), davanti a un negozio di fiori. Sul cartello si legge: «Garofani I scelta / Gladioli / Rose / Specialità Edelweiss / Corone – cuscini ecc. » (Per cortesia di Dino Prandi) 91 22 Paesaggio di Cortina, 1927. Olio su tela, cm 54,5x36,5 In basso a destra: 27 de Pisis. Al verso: sulla tela etichetta Galleria Milano, Milano. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 02241. A Cortina d’Ampezzo de Pisis trascorse molte felici stagioni estive; il luogo che attirava diversi altri artisti, la trasparenza dell’aria alpina, la schietta armonia della vegetazione, le rustiche costruzioni con il mirabile sfondo dei monti gli sollecitavano il lavoro en plein air. Il colore acquista fragranze quanto mai naturali, si sentono aromi di resina e di fieno nel paesaggio equilibrato simmetricamente sull’asse del bianco campanile che rende l’immagine slanciata verso il triangolo nitidissimo del cielo. Un gruppo vivace di tetti, alberi, qualche figuretta ad alimentare il ritmo cantato. È fluido come una sorgente alpina l’andamento rapito del fare pittura, con la gioia per de Pisis di immergersi in quella sfera vivificante che riunisce la sua creatività con l’intero creato. La bellezza è anche pienezza spirituale, un incontro di favorevoli luoghi esteriori e interiori. A Cortina ebbe pure il conforto di un’accoglienza entusiasta da parte di uno dei suoi più appassionati collezionisti, Mario Rimoldi. Con le opere di Rimoldi è stato istituito nel centro ampezzano un museo dove de Pisis è largamente rappresentato. Filippo de Pisis e il collezionista Mario Rimoldi, Cortina d’Ampezzo (anni ’40). Il campanile è quello dipinto nel paesaggio. 92 93 23 Calle di Venezia, 1927. Olio su cartone, cm 48x33. In basso a destra: de Pisis / Venezia 1.8.27. Esposizioni De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13 giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat. p. 106 (Venezia) De Pisis. Dalle avanguardie al «diario», a cura di R. Barilli, B. de Pisis, C. Gian Ferrari, A. Monferini, F. Tibertelli, L. Velani, testi di vari, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 6 febbraio-12 aprile 1993, riprodotto in cat. n. 30 (olio su tela, cm 55x33) Filippo de Pisis, presentazione di K. de Barañano e P. Weiermair, testi di L. Caramel, M. Paz, C. Gian Ferrari, Ivam Centre Julio Gonzáles, Valencia, 12 luglio-1° ottobre 2000; Rupertinum Museum für Moderne und Zeitgenössische Kunst, Salisburgo, 18 ottobre-3 dicembre 2000, riprodotto in cat. p. 48 De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat. n. 24 (Venezia). Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1927/84 (olio su tela, cm 55x33). Abbiamo luogo, giorno, mese e anno iscritti nel quadro: Venezia primo agosto 1927, un dato sicuro da aggiungere alla biografia di de Pisis. In vacanza a Fiera di Primiero dal 14 luglio, fa qualche visita a Venezia che gli permette di raccogliere immagini necessarie a soddisfare i propri e gli altrui desideri: ha pressanti richieste di quadri, ciò lo lusinga e lo stimola. Commenta Sandro Zanotto (Filippo de Pisis ogni giorno, Vicenza, 1996, pp. 226-227): «Nonostante in questo periodo l’economia italiana si trovasse in un momento molto difficile, con la “quota 90”, che aveva messo in crisi anche il mercato dell’arte, egli vende moltissimo durante l’estate. Incassa perciò molto denaro da persone a cui vende direttamente, da Bonuglia e Cavicchioli che avevano quadri in deposito, da Piero che si occupava delle riscossioni e dall’onorevole Gussoni a cui spedisce 45 quadri.» L’intrusione nella calle veneziana fitta di 94 case, quasi a sorprendere un istante irripetibile, non è diversa dall’approccio con alcuni passages parigini: la prospettiva affollata di porte e finestre accoglie la vita di ogni giorno, passanti, operai. Il brusio popolare rintocca sulle facciate, si alza crepitando al cielo. La pittura segue, ma esalta e inventa questo lavorio sonoro: ogni particolare partecipa del flusso sollecitato dal vero, ed è reso perpetuo dal dono lirico. 95 24 Primavera a Parigi (1928). Olio su tela, cm 56x46. In basso a destra: de Pisis. Provenienza: Pietro Feroldi, Brescia; Gianni Mattioli, Milano. Esposizioni Mostra Protesta del Collezionista [Opere della Collezione Feroldi], Galleria Il Milione, Milano, 23 dicembre1933-4 gennaio 1934, elencato nella pubblicazione che fa da catalogo: Il Milione. Bollettino della Galleria del Milione, n. 20, Milano, 23 dicembre 1933-4 gennaio 1934 (La strada) [Mostra antologica], Galleria del Milione, Milano, novembre 1952, sala IV, elencato nella pubblicazione che fa da catalogo: Il Milione. Bollettino della Galleria del Milione, n. 1, Milano, novembre 1952 (Strada di Parigi, 1925) Capolavori di arte moderna nelle raccolte privale, a cura di M. Valsecchi, Civica Galleria d’arte moderna, Torino, 31 ottobre-8 dicembre 1959, riprodotto in cat. n. 19, tav. 12 Masters of Modern Italian Art from the Collection of Gianni Mattioli, a cura di F. Russoli, The Phillips Collection, Washington D.C., novembre 1967-gennaio 1968; poi The Dallas Museum of Fine Arts, Dallas, febbraio-marzo 1968; poi The San Francisco Museum of Art, San Francisco, marzo-aprile 1968; poi The Detroit Institute of Arts, Detroit, giugno-luglio 1968; poi William Rockhill Nelson Gallery of Art, Kansas City, ottobre-novembre 1968; poi The Museum of Fine Arts, Boston, gennaio-febbraio 1969; poi Negozio Olivetti, New York, marzo-aprile 1969, in cat. p. 77, n. 101; poi Maîtres de l’art moderne en Italie. 1910-1935, Palais des Beaux Arts, Bruxelles, settembre-ottobre 1969, in cat. p. 92, n. 102; poi Italiensk Kunst. 1910-1935. Gianni Mattiolis Samling, Louisiana, Copenaghen, novembredicembre 1969, in cat. p. 92, n. 102; poi Italienische Kunst. Sammlung Gianni Mattioli, Hamburger Kunsthalle, Hamburg, febbraio-marzo 1970, in cat. p. 92, n. 102; poi Maestros del Arte Moderno en Italia 1910-1935, Museo Español de Arte Contemporáneo, Madrid, novembre-dicembre 1970; poi Palacio de la Virreina, Barcelona, dicembre 1970-gennaio 1971; poi Museo de Arte Contemporáneo, Sevilla, gennaio-febbraio 1971, in cat. p. 98, n. 100; poi Masters of Modern Italian Art from the Collection of Gianni Mattioli, The 96 National Museum of Modern Art, Kyoto, aprile-maggio 1972; poi The National Museum of Modern Art, Tokyo, maggio-luglio 1972, in cat. p. 105, n. 102 Mostra dell’opera pittorica e grafica di Filippo de Pisis, a cura di L. Magagnato, M. Malabotta, S. Zanotto, Palazzo della Gran Guardia, Verona, 12 luglio-21 settembre 1969, riprodotto in cat. p. 149, n. 108 De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939, a cura di G. Briganti, testi di vari, Galleria dello Scudo, Verona, 13 dicembre 198731 gennaio 1988; poi Galleria dell’Oca, Roma, 5 febbraio-19 marzo 1988; poi Castello Svevo, Bari, 24 marzo-29 aprile 1988, riprodotto in cat. p. 107, n. 18 De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat. n. 28. Bibliografia G. Comisso, Mio sodalizio con de Pisis, Garzanti, Milano, 1954, riprodotto in controfrontespizio (La torre Eiffel) M. Valsecchi, «Venti quadri da salvare», Tempo, Milano, 8 settembre 1955 Almanacco artistico Italiano, 1956, riprodotto. G. Ballo, Filippo de Pisis, Edizioni «La Simonetta», Milano, 1956, riprodotto tav. 28 M. Valsecchi, Filippo de Pisis, Electa, Milano, 1956, riprodotto tav. 18 M. Valsecchi, Maestri moderni, Garzanti, Milano, 1957, riprodotto G. Marchiori, De Pisis, Garzanti, Milano, 1963, p. 38, n. 135, riprodotto tav. XVI e in copertina G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 288 M. Valsecchi, Maestri della pittura moderna, Garzanti, Milano, 1970, riprodotto tav. 79 (La torre Eiffel, 1926) G. Barigazzi, «Dipingeva il mondo che non poteva avere», Gente, Milano, 21 gennaio 1988, riprodotto p. 56 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1928/63 G. Di Genova, Storia dell’Arte Italiana del ’900 per generazioni. Generazione maestri storici, tomo II, Edizioni Bora, Bologna, 1994, p. 1160 Catalogo Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in Italia 1919-1945 dalle collezioni private, a cura di M. Goldin, Galleria Comunale d’Arte, Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 21 aprile-30 giugno 2002, riprodotto p. 62. Celebre tela che è stata nella grande raccolta Feroldi di Brescia, passata poi alla raccolta Mattioli di Milano. Giovanni Comisso nel libro Mio sodalizio con de Pisis, 1954, cit., riproduce il quadro a colori nel controfrontespizio; conferma così come sia significativa la tela, chiave di lettura del pittore per il suo ingresso nella cultura di respiro internazionale. Parigi lo affranca dalle opacità provinciali – non potrebbe esserci immagine più eloquente di questa Primavera – e lo pone in uno stato di indipendenza anche dai movimenti di punta che in quella città pullulavano, fra surrealisti e astrattisti. Un appunto di Comisso dato al 1927, pp. 29-30: «Tutta la città sembrava creata per lui, per la sua libertà e per il suo gusto di pittore che oramai aveva preso forma consistente […]. La sua mano si era fatta libera e audace alla pari con la sua vita.» Daniela De Angelis, scheda per il catalogo 1987, cit.: «Dopo gli esordi tra il 1925 e il 1926, continua per de Pisis il rapporto d’amore con l’“aria di Parigi”, in una pratica sempre più felice. Le pitture eseguite all’aperto raffigurano gli scorci della città cari all’artista, così come gli indirizzi delle sue abitazioni e dei suoi studi evidenziano l’affetto per alcuni luoghi privilegiati […]. È veramente una luce verde quella che illumina la tela Primavera a Parigi, esaltata nel verde scuro delle pennellate circolari, nei tocchi verticali di forte risonanza materica color giallo-verde. Gli alberi che fiancheggiano la via ritratta sono i veri protagonisti del quadro, accostati ai segni rossi dei fanali e dei passanti, mentre sullo sfondo appare la Torre Eiffel.» 97 25 Cascinale, 1928. Olio su tela, cm 99x64. In basso a destra: de Pisis 28. Bibliografia Catalogo Asta, Farsettiarte, Prato, 31 maggio 1997, riprodotto in cat. n. 372 (riferimenti bibliografici errati). Gli angoli rustici cadorini offrono all’artista quantità di stimoli ottici; la pittura è nutrita, sicura, con profondità ambrate che ricreano le condizioni del luogo fra luce e ombra. L’interpretazione della scena aderisce al suo gusto che tocca non solo le gloriose marine, i grandi spazi montani, i viali cittadini, ma anche quegli esterni più modesti, guarniti di particolari domestici, in cui la realtà collima con il lavoro dei contadini: rivedremo queste ambientazioni in alcuni paesaggi di Brugherio degli anni ’50. In questo caso potremmo osservare cascinale, covone di fieno, alberi, in parallelo con le inquadrature di Ardengo Soffici, gli spigoli delle case che fanno cornice, per gli scorci di Poggio a Caiano. 98 99 26 Ritratto sentimentale, 1928. Tempera su tavola, cm 21,7x20,8. In basso a destra: 928 ?? [sic] / de Pisis. Al verso: scritta a inchiostro «Filippo de Pisis / Ritratto sentimentale»; etichetta «Ex libris / Tibertelli de Pisis / “Ritratto sentim[en] / tale”/ Tempera»; timbro Biblioteca Olivetti; timbro Galleria del Naviglio, Milano, con n. 2031. Esposizioni Figure e ritratti nell’opera di Filippo de Pisis, testo di G. Raimondi, Biblioteca Olivetti, Ivrea, 28 febbraio-15 marzo 1954, in cat. n. 24 Ritratti e figure di Filippo de Pisis, testo di G. Raimondi, Galleria d’arte della Gazzetta del Popolo, Torino, 8-22 aprile 1954, in cat. n. 18. L’opera è stata esposta alla mostra di Ivrea che per la prima volta documentava in modo organico un aspetto meno studiato di de Pisis, figure e ritratti. L’esposizione, accresciuta (dipinti da 1 a 65, disegni da 66 a 120), con un catalogo in forma di rivista (stessa presentazione di Raimondi, note biografiche, diverse riproduzioni), fu trasferita nella Galleria del quotidiano torinese, Gazzetta del Popolo. Giuseppe Raimondi nel catalogo del 1954, cit.: «È quindi evidente che l’artista ricerca, e colloca nell’animo, quindi nell’aspetto del modello, un destino umano, e l’azione fermata di un previsto e già sofferto sentimento. Per questo, taluni ritratti di de Pisis sono saturi di un contenuto morale, e quasi gnomico: sempre sono esenti da una portata naturalistica. Il modello del ritratto è, sempre, il protagonista di un carattere.» 100 101 27 Porri sulla spiaggia, 1928. Olio su cartone, cm 44,5x53. In basso a destra: Al caro / di S. Lazzaro / Editore e /Amico / de Pisis / de Pisis / 28 / Paris novembre 28. Esposizioni Omaggio a Filippo de Pisis, testo di G. Marchiori, mostra organizzata dalla Galleria Falsetti, Prato, Galleria Dolomiti, Cortina d’Ampezzo, 25 dicembre 1967-10 gennaio 1968, riprodotto in cat. tav. VII 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. tav. XXVII Filippo de Pisis. Venti opere vent’anni dopo, testo di E. Natali, Galleria Falsetti, Focette, 3-29 luglio 1976, riprodotto in cat. n. 6 Filippo de Pisis, testo di L. Carluccio, Palazzo Liceo Saracco, Acqui Terme, 5 agosto-10 settembre 1978, riprodotto in cat. s.n. Aria d’Europa. De Chirico de Pisis, a cura di L. Cavallo, collaborazione di O. Nicolini, Galleria Farsetti, Milano, Focette, Cortina d’Ampezzo, Prato, giugno-settembre 1987, riprodotto in cat. p. 67, tav. IV De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939, a cura di G. Briganti, testi di vari, Galleria dello Scudo, Verona, 13 dicembre 198731 gennaio 1988; poi Galleria dell’Oca, Roma, 5 febbraio-19 marzo 1988; poi Castello Svevo, Bari, 24 marzo-29 aprile 1988, riprodotto in cat. p. 101, n. 15 «Le joli secret» di de Pisis. Venti opere, Galleria Farsetti, Milano, 11 giugno-4 luglio 1991 De Pisis. Dalle avanguardie al «diario», a cura di R. Barilli, B. de Pisis, C. Gian Ferrari, A. Monferini, F. Tibertelli, L. Velani, testi di vari, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 6 febbraio-12 aprile 1993, riprodotto in cat. n. 41 Una dolcezza inquieta. L’universo poetico di Eugenio Montale, a cura di G. Marcenaro e P. Boragina, Palazzo del Banco di Chiavari e della Riviera Ligure, Genova, 14 febbraio-20 aprile 1996; poi Palazzo Besana, Milano, 16 maggio-30 giugno 1996 riprodotto in cat. p. 85, n. I.114 De Pisis, a cura di A. Buzzoni, testi di vari, Palazzo Massari, Museo d’arte moderna e contemporanea Filippo de Pisis, Ferrara, 29 settembre 1996-19 gennaio 1997, riprodotto in cat. p. 44, n. 14 (Natura morta marina con i porri) 102 Gualtieri di San Lazzaro, cui è dedicato il dipinto, fu editore delle monografie di de Pisis nel 1928 e nel 1937. Precedenti, diciamo così, ideali di questo quadro la composizione I pani gloriosi, una delle prime eseguite a Parigi, 1925; e pure Le cipolle di Socrate, 1927, che ha evidenti richiami della metafisica ferrarese in un taglio di natura morta marina. A proposito de I pani gloriosi l’autore scrive nel suo testo «La cosidetta “Arte metafisica”» (Emporium, Bergamo, novembre 1938): «compare di già [ma il quadro era erroneamente dato al 1915, mentre è chiara la data sulla tavola e in una fotografia con scritta autografa nel nostro archivio] una linea di mare e, sul lido deserto, una figuretta bianca di filosofo. Confesserò che l’idea del filosofo greco in toga candida aggirantesi sulla riva del risonante mare la devo proprio a de Chirico, ma nelle mie composizioni (si veda la lunga serie delle Nature morte marine venute poi) questo filosofo è dipinto con fare largo (impressionista, per intenderci, sibbene facilmente dimostrerei che la mia pittura in realtà non ha che contatti ben superficiali con l’impressionismo), quasi una macchia che si confonde con le nubi.» Nel dipinto qui riprodotto la «figuretta» anziché sostare in una piazza d’Italia è in riva al mare, a distanza dalle monumentali verdure che, come rapporto di formaambiente, insistono nelle proporzioni dechirichiane (fra carciofi o banane e gli spazi urbani). Certo in de Chirico l’aria è sospesa, l’evento di freddezza diamantina; de Pisis è nutrito di spiriti agresti, umanizza anziché disumanare; una metafora di più calda e svagata liricità. Con il fascino del soggetto, l’alto concerto cromatico e luminoso tenuto con sobria efficienza di struttura e materia pittorica. Maurizio Fagiolo in catalogo 2001, cit.: «Un dipinto molto fresco […]. Su una spiaggia, passeggia una figura antica vestita di bianco, mentre in primo piano (si avverte il profumo della soupe da bistrot) dialogano due porri. L’antico diventa eterno nel ritmo della natura.» Le cipolle di Socrate, 1927. I pani gloriosi, fra i primi dipinti di de Pisis a Parigi, 1925. L’impaginazione richiama i trofei dei blasoni medioevali. Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre 2001-6 gennaio 2002; poi Farsettiarte, Milano, 6 febbraio-7 marzo 2002, riprodotto in cat. n. 5 (Natura morta marina con i porri). Bibliografia G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 204 (Olio su tela, Natura morta marina con i porri) De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1928/51. 103 28 Rose, 1929. Olio su cartone, cm 68,5x51. In basso a destra: de Pisis 29. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 02412. Renato Barilli, nel saggio «L’arte di de Pisis: collezione e montaggio», per il catalogo De Pisis. Dalle avanguardie al «diario» (Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 6 febbraio-12 aprile 1993, pp. 2425), esamina il tema delle composizioni in interno: «Va da sé che le nature morte non sono un genere tra gli altri, nella produzione depisisiana, ma il macrogenere, il teatro delle apparizioni, la “camera delle meraviglie” cui egli affida tutte le sue risorse di poetica, tutte le sue capacità tecniche. Gli altri generi non possono evitare di rapportarsi a quella casistica centrale, e di risultarne come nulla più che varianti, facilmente riconducibili alla ricetta di base. Merita dedicare qualche attenzione alla intensa serie dei vasi di fiori, in cui. potrebbe riaffacciarsi il rischio di interpretare l’arte del Nostro secondo la misura riduttiva dell’impressionismo, oltre tutto nella versione epigonica resa manifesta dal post. I fiori, per loro natura, sono frantumati, dispersivi, portati alla confusione, a sconfiggere cioè una salda intelaiatura di piani, favorendo invece una osmosi tra questi e la loro dissoluzione finale in uno sfondo generico, al termine di una sorta di degradazione entropica. Da qui l’inevitabile tentazione, nell’affrontare un tema floreale, di lasciarsi andare, di portare stoccate alla brava fidando in una felicità cromatica disarmata, contenta di se stessa. E in apparenza è così; mai de Pisis sembra più felice, smemorato, abbandonato al dono pittorico, di quando appunto si tuffa a rappresentare lussuosi, lussureggianti bouquets, espandendoli, facendoli scoppiare gioiosamente negli interni ospitali. Eppure, anche in questi casi, c’è una più o meno visibile rete di contenzione. I soliti sfondi tenaci vigilano, sono pronti a elevare barriere doganali, a comprimere l’effluvio delle chiome floreali, o a distendersi dietro il loro intrico, così da ricucirne e ricompattarne gli strappi.» 104 105 29 Natura morta marina, 1929. Inchiostro, acquarello e tempera su carta, cm 30x44. In basso a destra: de Pisis 29. Esposizioni De Pisis. Opere su carta 1913-1953, a cura di E. Pontiggia e P. Thea, Galleria d’arte moderna, Milano, 19 settembre-18 novembre 1985, riprodotto in cat. n. 21 De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di D. Tega, Galleria Tega, Milano, ottobre-novembre 1987, riprodotto in cat. n. 7. Dino Tega nel catalogo 1987, cit.: «Natura morta marina, firmata e datata 1929 […]: in primo piano conchiglie, scampi, ostriche al limite della spiaggia la linea essenziale del mare. Colori luminosi e tenui. Si addice a questa immagine uno scritto di Sergio Solmi pubblicato nel 1931 [Hoepli, Milano]: “Questa capacità di larghe evocazioni ottenute con pochi segni e poche forme, che trova i suoi momenti di più intensa espressione proprio nel mondo limitato e composito della natura morta, ci sembra la qualità più schietta e appunto più spiccatamente lirica del nostro pittore”.» 106 107 30 Natura morta, 1929. Olio su cartone, cm 35,5x50,3. In basso a destra: de Pisis / 29. Al verso: etichetta Galleria Milano con data «febbraio 1932» e n. 1645; etichetta Galleria Milano con data «1.7.931» e n. 1622; etichetta proprietà Zita De Lama Gussoni; etichetta frammentaria con scritta «proprietà Cavaliere del Lavoro Collezione Gussoni»; firma Dino Tega. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 01374. Esposizioni Filippo de Pisis. La poesia nei fiori e nelle cose, a cura di C. Gian Ferrari, testi di C. Gian Ferrari e L. Caramel, Liceo Saracco, Acqui Terme, 16 luglio-10 settembre 2000, riprodotto in cat. p. 51, n. 15 (Natura morta marina) Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in Italia 1919-1945 dalle collezioni private, a cura di M. Goldin, Galleria Comunale d’Arte, Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 21 aprile-30 giugno 2002, riprodotto in cat. p. 180. Bibliografia Centottanta opere, a cura di D. Severi e G. Tega, testi di V. Coen, schede di S. Foglia e C. Miramonti, Galleria Tega, Milano, 2005, riprodotto p. 117. Luciano Caramel nel testo per il catalogo 2000, cit., «La pittura come autoritratto», p. 20: «Diversamente che nella natura morta di ascendenza controriformista, mancano insistenze e accentuazioni simboliche. Concettosità e moralismo non hanno cittadinanza in queste tele, come, è implicito, la mimesi passiva, muta, senz’anima. De Pisis non ammonisce, e neppure semplicemente constata. Manifesta, invece, una condizione di abbandono partecipato al destino dell’uomo, per natura fatto di gioia e di dolore, di effusione sensuale e di afflizione psicologica, dove un termine implica l’altro, ma non l’annulla.» I frutti qui sono messi in posa, paiono di cera o di martorana, composti in gruppo piramidale che culmina nel volo di uccelli. La pesca aperta, primo elemento in vista, è offerta sensuale e due colori complementari, il rosso delle ciliegie a sinistra, il verde dei fichi a destra tengono raccolta l’immagine e soddisfano, si direbbe, una memoria antica, insieme tradizione di bel- 108 lezza e nobiltà della forma. La grande foglia, un pampino di vite, è appoggiata con centralità raggiante nel nido della frutta. La piana della spiaggia con il mare lontano solcato da un cenno di vela è luogo spesso diletto da de Pisis, l’Adriatico. 109 31 Place de la Concorde, 1929. Olio su tela, cm 65,4x50,5. In basso a destra: de Pisis / 29. Bibliografia G. Raimondi, De Pisis, Vallecchi, Firenze, 1952, riprodotto tav. 31 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n.1929/14. Giuseppe Raimondi nella monografia 1952, cit., p. 18: «È proprio sugli anni tra il ’29 e il ’30 che nella mente plastica di de Pisis (la sua camera ottica) entrano un’ansia e una felicità, a rendere più veloce la sensazione e il sentimento. È come se il suo occhio si strugga di non seguire la rapidità invisibile del tempo e della luce. E la mente pittorica racconta, trafelata, sudata, col fiato in gola. […] le forme del paesaggio sono colte di volo, repentinamente, in una corsa dell’occhio, e quasi col batticuore. Si direbbe lo stesso trapasso avvenuto, nello stile romantico francese, dalla pagina impenetrabile di stile di Flaubert, ad uno schizzo, ad una scena di Jules Laforgue, di Jules Renard. Con tutto quello, di scontentezza e di disperazione, che cotesto mutamento nella sostanza letteraria e poetica, s’è portato dietro. La tavolozza di de Pisis, nel rinnovarsi, si schiarisce, cambia la pelle. Si accresce, nei bianchi e nei grigi insistiti, di qualcosa dell’atmosfera acre, del cielo incerto, dell’aria umida di Parigi. Codesti elementi sono entrati nel suo studio, ne hanno preso possesso. Anche se egli, come faceva, si trasferisce sotto il cielo d’Italia, anche se inizia il suo lungo, contrastato e infine trionfante rapporto ideale con Venezia, che fu si può dire, la riformatrice, insieme a Parigi, del suo temperamento e della sua mente artistica. Lontano, ormai, il cuore della nativa Ferrara; lontana l’armonia musicale e cromatica della Roma barocca, con gli stucchi morbidi, gli ori delle chiese, le sete tra la polvere dei granai. Parigi e Venezia, ormai, tengono per mano il nostro pittore, la cui opera tende a farsi europea, per interessi e portata culturale. R. De Grada («De Pisis. Genio e mutevolezza», Arte, Milano, marzo 1986, p. 50): «Pochissimi, dopo i famosi boulevards di Pissarro-Sisley-Monet (eppure si è fatto tanto strazio delle vedute parigine), hanno saputo rendere con altrettanta verità le atmosfere di dolce risonanza, di invernale concerto, di struggente morbidezza che si 110 levano dalle strade di Parigi quando un occhio di sole cerca di penetrare attraverso il velario dei cieli grigi. Allora stranamente fioriscono colori di insegne e di oggetti già irrilevanti che stimolano la fantasia e il senso di vivere una giornata con la natura, con l’esterno, il che è proprio di Parigi, una città dove non puoi occuparti dei fatti tuoi senza guardare fuori, all’esterno, il mondo che stai vivendo.» 111 32 Pesce con bottiglia, bicchiere e mela, 1930. Olio su tela, cm 50x60,8. In basso a destra: de Pisis 30. Al verso: sulla tela cartiglio con scritti a inchiostro dati dell’opera e provenienza; sul telaio etichetta frammentaria «[ ... ] de Pisis / [Ferr]ara 1951». Esposizioni De Pisis, a cura di G. Raimondi, Castello Estense, Ferrara, giugno-luglio 1951, in cat. n. 66 (Pesce con bottiglia). Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1930/109 Catalogo Asta, Farsettiarte, Prato, 31 maggio 2008, riprodotto in cat. n. 768, con scheda di F. Marini. Francesca Marini, scheda per il catalogo 2008, cit.: «Presente alla fondamentale monografica su Filippo de Pisis curata da Raimondi, ospitata presso il Castello Estense a Ferrara – “suolo ferace di rigogli pittorici” come l’artista definisce la città in cui era nato nel 1896 –, Pesce con bottiglia, bicchiere e mela proviene dalla raccolta parigina dell’editore Gualtieri di San Lazzaro […]. A un solo anno di distanza dall’esecuzione di questo dipinto, Filippo de Pisis avrebbe spiegato: “Le mie nature morte, ancor prima di un loro valore pittorico e costruttivo, ne debbono avere per me uno lirico e interiore” (Confessioni, 1931). In questo periodo l’artista mira a una pittura che sembra volta a scoprire l’afflato interiore che scaturisce dagli oggetti più vicini al quotidiano e per questo il pesce in primo piano, la bottiglia e il bicchiere di vino rosso lasciato a metà vicino alla mela e al coltello, ci riportano a un momento della vita di tutti i giorni, alla “dolce melanconia” delle cose modeste. Ed è a quest’ultime che l’artista fa riferimento nella conferenza tenuta all’inaugurazione della mostra al Teatro Nazionale di Roma del 1924, quando de Pisis afferma che “l’animo commosso dell’artista” aspira a una comunione con il mistero della semplicità espressa dall’angolo “di una vecchia cucina, baciato di nascosto dalla luce perlata della sera”, quando la materia “racchiude un’anima per chi sia uso alla contemplazione del nostro breve mistero”.» È una mensa gloriosa che de Pisis riesce a 112 mettere in mostra, con povere cose, come fosse un altare domestico. L’impaginazione equilibrata dal rintoccare dei vetri a sinistra e a destra, il metallo prezioso delle squame, il mobile sovrastato da una figura in cornice, il colore terra di Siena chiara e scura conferiscono solennità all’immagine. 113 33 Vaso di fiori, 1930. Olio su tela, cm 80x62,5. In basso a destra: de Pisis / 30. Provenienza: Emilio Jesi, Milano. Esposizioni XXVIII Esposizione Biennale Internazionale d’arte, Venezia, 1956, sala XIII «Filippo de Pisis», in cat. n. 20 (Fiori). Bibliografia G. Ballo, De Pisis, Torino, 1968, riprodotto n. 243 (Fiori) De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n.1930/70. Il dipinto fu inserito nella sala personale, 65 opere, che la Biennale di Venezia, 1956, cit., dedicò a Filippo de Pisis, appena scomparso a Milano, il 2 aprile di quell’anno, affidando la scelta agli studiosi che si erano occupati del maestro: commissari Umbro Apollonio e Marco Valsecchi, testo in catalogo di Francesco Arcangeli. Il critico bolognese dava sguardo d’insieme all’opera: «È facile, da parte dei giovani bombardieri della critica filoastratta o filorealista, accusare questa storia di de Pisis di letteratura o di decadenza; ma egli la patì fino all’ultima goccia di vita, del suo bene e del suo male fu il primo eroe e la prima vittima. Sarebbe davvero ingiusto imprimere i tratti apparenti d’una vicenda che resta privata su un’opera che fu, non c’è dubbio, quella d’un “uomo di buona volontà”. Proprio perché pagò fino in fondo gli fu possibile riscattare una vecchia vicenda italiana in storia universale, ben leggibile per noi, e anche per gli stranieri che avranno antenne per intenderla e per non confonderla con molti casi ben più generici di postimpressionismo. Perché, dai suoi maestri immediati di pittura, di letteratura, di costume (a stenderlo, sarebbe un catalogo ben divertente e bizzarro) che gli diedero una prima, indispensabile modernità, de Pisis risalì a una sual tradizione, secondo il processo che è naturale, per solito, alle personalità vere; non per il gusto dei ritorni, ma per quel bisogno, che a un certo punto si fa strada anche nell’artista più rivoluzionario, di sentire più certo, più profondamente radicato nel tempo il proprio gesto. De Pisis delibò appena, e scartò presto dal suo cammino, le strutture solenni e intellettuali dei primitivi italiani, e ritrovò invece i suoi lari sulla grande strada che conduce da Tiziano 114 a Manet. Questo poté dare ad alcune sue opere il sapore della rievocazione culturale (denunciata talvolta dagli entusiastici , evviva rivolti dal suo pennello a questo o a quel maestro), ma fu anche la scuola per una libera e ricca presa sul reale, che non fa mai cadere il pittore, anche quando vola più libero, nell’inespresso o nel vago. Qui si costituì la forza di base, il nerbo della sua operazione artistica: quasi un letto visivo in analogia con Matisse (ma su due dimensioni, appunto, quasi sempre più elaborate e antiche) o con Soutine. Di qui partì per le sue mirabili partenze; spesso, come un nuovo Guardi, per una meta elegante, divertita, estrosa; ma quando il suo animo si spoglia degli ornamenti e della cultura più illustre, l’incontro diretto con i luoghi, con gli esseri, con le cose, accadde quasi per risorgiva d’un impressionismo del tutto inedito. Qui è, probabilmente, l’aspetto più nuovo e moderno di de Pisis. È miracoloso come, nelle sue visite memorabili a Parigi, Londra, Venezia, Roma, Milano, de Pisis sappia restare fedele allo spirito d’un luogo come un vedutista del ’700 o come un impressionista; e come in pari tempo il suo occhio sia un tramite per estrarre dalla realtà una carica vitale assai più complessa. Quando piantava, intrepidamente, il cavalletto nelle piazze delle capitali, dovettero accadere coram populo fenomeni d’ordine medianico: non più un occhio, ma un assorbente, una spugna: dalla gente lì intorno, ai rumori, ai colori nella retina, alla voce dei rami, agli odori, ai microbi, che grandinata d’arrivi alla stazione dei sensi! Così, anche la sua famosa stenografia pittorica è anzitutto il mezzo per far coincidere tutto lo sperimentabile col fitto sussurrante monologo che l’artista intrattiene con se stesso. Anche se ridotta al minimo della presenza attiva, la coscienza è al massimo della vibrazione. Sulla tela scoperta, vuoto dell’animo in apparenza annullato, de Pisis, solo entro la pienezza della vita, capta messaggi indecifrabili al comune alfabeto. Resta all’opera realizzata il senso, esistenziale senza nessuna retorica, di cosa afferrata sul vuoto, in una condizione disperata e felice; da non travisare in tragedia, ma da non deprimere, tanto meno, in facilità. “Voli, ombre, punti, / echi, note, un nulla”: sono parole d’una sua poesia, che appuntano il senso della sua vita verso uno dei vertici dell’arte del nostro secolo.» 115 34 Natura morta, 1930. Olio su cartone applicato su tela, cm 50x70. In basso a destra: A / “L’Italiano” / de Pisis / 30. Provenienza: Leo Longanesi, Milano; Galleria Il Milione, Milano. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1930/16. Leo Longanesi era il proprietario del quadro. Sulla rivista da lui diretta L’Italiano, nel n. 5-6, del 17 aprile 1930, un testo, non firmato, probabilmente dello stesso Longanesi, «Filippo de Pisis e la polemica decorativa», illustrato con un ritratto a inchiostro di de Pisis, disegnato a Parigi da Larionov. Nell’articolo si riconosce che de Pisis è uno dei cinque o sei artisti dell’Italia d’oggi; la sua pittura però è troppo semplice e delicata per ottenere pieno successo: «De Pisis non avrà mai il plauso di chi giudica a peso e a pagine. La facilità con cui tutto è risolto nei suoi quadri, è il frutto di un lungo e cauto studio, è l’armonia ormai raggiunta. Il facile, in questo pittore, è difficilissimo.» Longanesi aveva sposato una delle figlie di Armando Spadini, Maria; sappiamo quanto il primo de Pisis, nel crogiuolo romano, stimasse Spadini, da lui ricavò elementi che lo prepararono all’incontro con gli impressionisti. L’amicizia con Longanesi aveva cospicue parentele culturali: erano della medesima regione, a Bologna frequentavano gli stessi ambienti, Raimondi, Morandi, e la libertà espressiva di de Pisis anche come letterato, piaceva al geniale editore. La penna appoggiata sul piano e un minuscolo libro sembrano far cenno al lavoro, o al vizio, letterario; gli oggetti toccati con naturale grazia hanno insieme la levità di una lettera amichevole e il rilievo di una intuizione preziosa, memorabile nella sua semplicità. 116 117 35 Venezia chiesa dell’Arsenale, 1930. Olio su tela, cm 70x50. In basso a destra: de Pisis 30. Galleria Tega, Milano. Esposizioni Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in Italia 1919-1945 dalle collezioni private, a cura di M. Goldin, Galleria Comunale d’Arte, Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 21 aprile-30 giugno 2002, riprodotto in cat. p. 179 De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat. n. 46. Dal 29 agosto 1930 de Pisis è a Venezia, abita in una pensione, e vi rimane tutto settembre. Vincenzo Cardarelli gli fa conoscere il pittore Juti Ravenna che lo ospita per dipingere nel suo studio a San Stae. Alla Biennale di quell’anno tre sue opere erano presentate nella sala 23, «Appels d’Italie», con presentazione di Waldemar George, commissario ordinatore Mario Tozzi. Scrive George: «Sotto l’aggressivo titolo di “Appels d’Italie” abbiamo riunito le opere di pittori italiani di Parigi, e di artisti francesi e stranieri della scuola parigina, rivelando un fenomeno nuovo: una volontà collettiva e cosciente di ritrovare lo smarrito sentimento dello spirito italiano […]. Questi artisti non sono, come si potrebbe credere dei tradizionalisti; sono al contrario, dei rivoluzionari. L’Italia è la loro mèta, la loro fonte di ispirazione eternamente viva.» L’artista abbraccia con l’entusiasmo dell’innamorato questa città che sente così perfetta per il suo temperamento ansioso di rifondare l’antico nei moderni palpiti dell’espressione. Si è molto affinato il suo linguaggio nella forgia parigina, la materia mossa ha persino scosse espressioniste; comunque il pittore domina con forte energia mentale il compiersi di un sortilegio cromatico-luminoso che lo pone ormai fra i protagonisti del secolo. 118 119 36 Fiori nel secchio, 1930. Olio su tela, cm 86,5x62,5. In basso a destra: Cadore / de Pisis /30. Esposizioni Mostra di Filippo de Pisis, a cura di C.L. Ragghianti, La Strozzina, Palazzo Strozzi, Firenze, 29 febbraio-marzo 1952 [senza catalogo] 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. tav. XXXVIII Filippo de Pisis, testo di L. Carluccio, Palazzo Liceo Saracco, Acqui Terme, 5 agosto-10 settembre 1978, riprodotto in cat. s.n. Aria d’Europa. De Chirico de Pisis, a cura di L. Cavallo, collaborazione di O. Nicolini, Galleria Farsetti, Milano, Focette, Cortina d’Ampezzo, Prato, giugno-settembre 1987, riprodotto in cat. p. 71, tav. VI. vedere un sottilissimo filo durare sino agli ultimi dipinti di Brugherio; la tempestosa lezione di Delacroix, la lezione del Guardi, quella del Tiepolo e quella degli impressionisti, amata nei giorni di Parigi, ma anche quella dei tanti artisti esuli dall’Europa orientale e balcanica, che sapevano tradurre come han fatto Pougny e Soutine in una pasta pittorica profumata e sapida ed in un segno fiammeggiante ogni loro ansietà. Tutti quegli amori e tutte quelle suggestioni hanno una cosa in comune in primo luogo il rapporto diretto ed autentico con la realtà naturale. Una realtà rispettata sino a volerne realizzare anche la dimensione tempo. I dipinti di Filippo de Pisis devono infatti essere letti secondo la successione dei loro motivi nello spazio-tempo; come si leggono le nuvole nei cieli del Tiepolo, le piccole figure e i dettagli delle architetture di fantasia nelle vedute del Guardi, lo stormire delle foglie secondo i lampi di luce ch’esse rimandano nei dipinti di Sisley o di Pissarro. In secondo luogo hanno in comune gli aspetti fantastici, irreali della realtà naturale, sicché questa può apparire agli occhi dello spettatore, ai nostri occhi, come una natura interamente ricreata, non su concetti ma su rapide, intense, a volte struggenti e sempre fragili assunzioni della sua certezza e della sua concretezza fisica. Ma anche del suo non meno certo e concreto mistero. Realtà e mistero, natura e mistero, sembrano parole inconciliabili eppure si incontrano e si fondono proprio nella pittura di Filippo de Pisis.» Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1930/68. Opera proveniente dalla raccolta di Corrado Carapelli al quale il Comitato organizzatore della mostra di de Pisis alla Strozzina di Firenze, 1952, cit., si rivolse per ottenere il prestito di tutti i de Pisis della sua collezione (n. 4, nel documento qui riprodotto; notizie sulla mostra nella nostra prefazione). Di primo impulso l’immagine – tornito metallo nel secchio, macerati e spenti colori nei fiori – ci dà richiami importanti per de Pisis: Guardi, Manet. Ma l’artista ferrarese ha nel suo bagaglio sempre le sorprese cromatiche del Cossa, del Tura, che intridono il languore verlainiano e i rintocchi sonori manetiani. La tela era presente alla mostra di Acqui Terme 1978, cit., curata da Luigi Carluccio. Il critico torinese nell’introduzione: «Un altro amore schietto era Fragonard, oltre gli impressionisti, s’intende, e tra questi in particolare Manet. D’altra parte la possibilità di guardarsi intorno su un vasto orizzonte e cogliere una quantità quasi incredibile di suggestioni è comune a tutti gli artisti del nostro tempo. Restringendo il campo al caso de Pisis è evidente che si deve riconoscere che sono esatti gli orientamenti sui quali si è più insistito: la pittura metafisica, per esempio, della quale si può 120 Elenco dei «Quadri di de Pisis prestati dalla Coll. Corrado Carapelli» per la mostra personale alla Galleria La Strozzina, Palazzo Strozzi, Firenze, 29 febbraio-marzo 1952. Al n. 4 Fiori in un secchio. Cadore. 121 37 Natura morta nello studio (Natura morta marina), 1931. Olio su tela, cm 69x99,8. Al centro: de Pisis / 31. Al verso: sul telaio cartiglio «Proprietà / Rosetta Varenna Gussoni»; due etichette Galleria Milano, Milano, una con data 1.7.931 e n. 1566, e una con data Febbraio 1932 e n. 2928; etichetta «De Pisis / Gli anni di Parigi / 1925-1939 / Galleria dello Scudo / Verona, 13 dicembre 1987-31 gennaio 1988 / Galleria dell’Oca / Roma, 5 febbraio 1988-19 marzo 1988»; timbro «Studio d’Arte / Prof. Dino Tega / Milano», con n. 182A; etichetta Galleria dello Scudo, Verona, con titolo «Natura morta marina» . Dichiarazione su fotografia di Demetrio Bonuglia, Roma, 10.1.1984. Esposizioni De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 89 e particolare in copertina De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939, a cura di G. Briganti, testi di vari, Galleria dello Scudo, Verona, 13 dicembre 198731 gennaio 1988; poi Galleria dell’Oca, Roma, 5 febbraio-19 marzo 1988, riprodotto in cat. p. 147, n. 38 (Natura morta marina con cocomero). Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1931/26. Paesaggio nel paesaggio: doppia finzione della realtà. Fantasia che si sovrappone al reale. L’immagine accumula livelli diversi di visione con coerente linguaggio cromatico, raffrontato sul vero. Il primo piano acceso dalle frutta, cui sovrasta il quadro dipinto legato con altri fogli alla cartella che ha funzione di quinta, quasi mascheramento e sovrapposizione a un paesaggio noto che diventa misterioso per essere nascosto da un altro noto paesaggio. Dietro, quindi, s’intuisce il puro limitare del mare. Ai lati sfocia questo panorama altro: con due colonne intense di azzurro sostiene la composizione che da uno stato mentale di contemplatività assume, come in un percorso teatrico, la complessa struttura che potremmo chiamare surreale. Giocano le memorie della metafisica ferrarese, il nutri- 122 mento della natura consultata come campione dell’universo psichico, la consuetudine letteraria che suggerisce al pittore tempi e concatenazioni di spazi plurimi. Scheda di Daniela De Angelis nel catalogo 1987, cit.: «In questo quadro de Pisis sovrappone tre livelli d’immagini: la natura morta in primo piano, la riproduzione del quadro con paesaggio, posto sul lato di una cartella per disegni, la marina sullo sfondo. La natura morta di frutta è impostata con la consueta immediatezza sul contrasto tra il verde delle mele e della buccia del cocomero e la polpa rossa di questo. Il quadro posto nel quadro illumina ancora di più questa tela brillante, con il verde dell’albero e il sole che irradia luce dorata. L’orizzonte sulla marina è definito in tenero rosa, stemperato in un cielo azzurro carico, da sera imminente. Il mare è un sottile nastro nero sul quale s’alzano due voli. La maestria dell’autore è esaltata in questo quadro, che al pari di altre tele eseguite in quello stesso 1931 (come la Natura morta marina con pesci, lettera e rosa, e il Paravento) riunisce molti dei motivi a lui cari, dimostrando il suo interesse per l’inganno, per il motivo del quadro nel quadro. Come è riportato in Mio sodalizio con de Pisis [1954], scriveva l’artista a Comisso il 2 maggio 1931 da Parigi: “Ho il piacere [...] di dirti che ormai Parigi si interessa a me. I migliori mercanti mi domandano cose e le vendite si succedono [...]. In questa settimana (incredibile) ho venduto un quadro quasi ogni giorno. È un buon momento, lavoro con gioia e cerco di migliorarmi in tutto”. In effetti la perfetta padronanza dei mezzi spinge de Pisis a un virtuosismo che diverrà costante negli anni seguenti, già anticipato in questa tela del ’31.» 123 38 Pastorale, 1931. Olio su tela, cm 45x81. In basso a destra: Pisis [31 poco leggibile]. Al verso: sul telaio scritta «Pastorale 1931»; scritta «Gussoni, Milano»; etichetta Galleria del Naviglio, Milano, con titolo «Pastorale 1931»; timbro Galleria del Naviglio, Milano, con n. 1597; etichetta «Provincia Regionale di Siracusa / Mostra Genius / Cripta del Collegio, Siracusa, 18 settembre-30 ottobre 1997». Esposizioni De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 90 De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di D. Tega, Galleria Tega, Milano, ottobrenovembre 1987, riprodotto in cat. n. 17 (Natura morta) De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13 giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat. p. 128 Genius. Primato degli artisti italiani del Novecento, a cura di F. Gallo, Cripta del Collegio, Siracusa, 18 settembre-30 ottobre 1997, riprodotto in cat. p. 74, n. 26 Filippo de Pisis, a cura di G. Granzotto, Galleria Dante Vecchiato, Padova, 6 maggio-19 giugno 1999, riprodotto in cat. p. 63 Filippo De Pisis. Dipinti 1916-1951, Salone delle Bifore, Palazzo Sclafani, Palermo, 2000, riprodotto in cat. p. 52, n. 19 Filippo de Pisis. L’uomo e la natura, a cura di L.M. Barbero, organizzazione Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Chiesa di San Vincenzo, Modena, 1° dicembre 2001-24 febbraio 2002, riprodotto in cat. p. 67, n. 9 e particolare p. 66 Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in Italia 1919-1945 dalle collezioni private, a cura di M. Goldin, Galleria Comunale d’Arte, Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 21 aprile-30 giugno 2002, riprodotto in cat. p. 186 De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, in cat. pp. 23-24, riprodotto p. 36 e p. 165, n. 50. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1931/96 CatalogoDe Pisis a Ferrara. Opere nelle collezioni del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea Filippo de Pisis. Catalogo 124 generale completamente illustrato, direttore della mostra A. Buzzoni, coordinamento scientifico B. Guidi, Palazzo dei Diamanti, Ferrara, 12 marzo-4 giugno 2006, riprodotto p. 28, n. 10. Pier Giovanni Castagnoli nel testo «Apertura su de Pisis» nel catalogo 2005, cit., pp. 23-24: «Nell’ordine delle invenzioni ardite, delle alchimie dell’immaginazione risalta, in questo stesso anno, un’altra Natura morta (tav. 50), in cui un ritaglio di prato con due mucche poggia al suolo come un tappeto in procinto di alzarsi e di volare, sovrastato da un ripiano che assomiglia a una vecchia imposta librata nell’aria; è un dipinto dall’aria surreale, a cui potrebbe bene adattarsi la dichiarazione in cui il pittore riconosce le tangenze esistenti tra la propria visione e la poetica dell’inconscio, del meraviglioso, del sogno, quando scrive, nel 1938: “I surrealisti ignoravano o fingevano di ignorare un aspetto della mia pittura che pure ha molti contatti con la loro estetica, solo la tecnica se ne discosta”. De Pisis sembra qui riferirsi a quella fusione, tanto frequente nella sua pittura, tra verità e immaginazione, tra reale e irreale, che destabilizza le certezze percettive, spiazza le abitudini visive, suscitando stupore e meraviglia come chiavi per aprire l’accesso alla poesia, come strumento per predisporne l’ascolto.» Nel medesimo catalogo Corrado Levi, «Effimere su de Pisis», riproduce il quadro con didascalia: «Sezione La fantasia. Ci dice dei confini estremi della mente dove l’infinito fantastico come un buco nero o bianco ci trascina». 125 39 Canale a Venezia, 1931. Olio su tela, cm 68x43. In basso a sinistra: de Pisis 31. Al verso: sul telaio etichetta XXIII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia, 1942. Esposizioni De Pisis, a cura di C. Gian Ferrari, coordinamento F. Farina, Palazzo Bellini, Comacchio, 12 luglio-22 settembre 1986, riprodotto in cat. p. 60, n. 36 Un secolo di Arte Italiana. Lo sguardo del Collezionista. Opere dalla Fondazione V.A.F., Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Rovereto, 2 luglio-20 novembre 2005, riprodotto in cat. p. 120. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1931/38. Alla XXIII Biennale di Venezia, 1942, de Pisis ebbe una sala personale con 18 opere, ma nell’elenco non compare il titolo di questo dipinto. Spesso accadeva che all’ultimo venissero cambiati o aggiunti dei quadri, quando il catalogo era già stampato. Nel 1931 de Pisis, che dal 1925 risiede a Parigi, passando di solito le vacanze in Italia, trascorre il mese di settembre a Venezia e lavora nello studio di Juti Ravenna; è solito dipingere all’aperto e scrive agli amici di come sia sempre circondato dalla curiosità del pubblico. Può essere riferito a questo periodo un ricordo del critico Ugo Nebbia (in De Pisis, Chiantore, Torino, 1943; ristampato in plaquette da Luigi Maestri, Milano, s.d., Ugo Nebbia e de Pisis, parentesi per una confessione): «Un giorno, non visto, l’ho seguito mentre lavorava […], la mira era dall’alto, da una finestra dall’altra parte del rio dell’Osmarin. Siamo dunque a Venezia […]. Credo nel periodo in cui ci dava, tra l’altro, quell’autentico capolavoro che è la Facciata di S. Moisè. Mattinata di settembre carica di presagi temporaleschi […]. Scorgo la sua figura badiale, accentuata da certe brache alla zuava, col basco sul cucuzzolo, ferma ad un angolo, sullo sfondo d’una facciata sanguigna che guizza capovolta nel canale. La tela è ancora immacolata, né capisco donde nasca il primo spunto per violarla, quando vi fa sopra con qualche fregio scuro certi segni cabalistici. Credo scruti piuttosto laggiù, dove il buio d’una calle sfonda i piani di certe case tutta 126 luce. Sembra però già sicuro di quello che vuole e tutt’altro che invasato. Al rito assiste il suo valletto accoccolato in un angolo con le salmerie pittoriche […] stropiccia già qualcosa, saltellando qua e là come per organizzare un tentativo pittorico. Pentito, vuol disfare e cancellare: ma una strofinatura che invade in alto il candore della tela, pare che gli dia lo spunto. Vi strizza accanto qualcosa direttamente dal tubetto poi la fa dilagare. Il chierico si scuote ad un richiamo, ma pare gli risponda che non c’è più quello che cerca. Dev’essere stato qualcosa di non indispensabile, visto che va avanti lo stesso, impegnandosi oramai più deciso tra la tavolozza e la tela con una certa urgenza. Più che dipingere sembra però che graffi e strappi, seguitando a buttar sempre via quanto ha fatto, per poi rifare e correggere. Più che scrivere ciò che vede o sente, pare che gli bastino le virgole ed i punti. Probabilmente le frasi del suo racconto stenografico stanno lo stesso sorgendo dalle cancellature che tessono la più stramba rete. Qualche strofinatura più energica tenta rischiarare qua e là l’intrico, rimettendo in luce lo sfondo, dove mi pare lavorino più i manici che le punte dei pennelli. C’è sempre però qualcosa che non va lo stesso, visto come seguita a buttar via […]. Il pennello ora batte e guizza sempre più fitto, mentre lui s’avvicina strizzando gli occhi ed acutizzando sempre più curiosamente la sua larga maschera intelligente […] qualche strappo violento e qualche sfregatura più bruciante e rovinosa fanno capire che il rito dev’essere al momento critico. Tutto sembra buttato all’aria, mentre dal breve torbido di quel caos sprizza senza dubbio qualche luce di tela appena strofinata […] sta per un pezzo a riguardarsi la sua tela appena chiazzata e virgolata, che seguita a spostare per terra. Balena ancora qualche tentativo di raggrumare ed impaludare linee e colori: ma dura poco, poiché il sacrificio appare ormai compiuto.» Dal racconto di Nebbia possiamo quasi seguire il farsi di pitture come questa; ma i percorsi intimi e le assonanze che danno vita alle immagini depisisiane sono del tutto intrinseche alle sue facoltà ineffabili di interprete che riesce a nutrire il sotterraneo frangersi della luce sulle forme, il fiorire dei colori sulle superfici componendo ordine e disordine con una regia musicale che proprio a Venezia, nella comunione di luogo fisico e luogo mentale, raggiunge i vertici espressivi. Venezia è cuore e pelle di de Pisis; l’arti- sta riesce a restituirle incanto e magia, freschezza di sorprese luminose, accordi di materie umorose. Intonaci alleggeriti dai riflessi, case guarnite di alberelli, brusio d’acqua e di gente che sono sostanza stessa della rapsodia veneziana. Quel tanto di antico, di usato, di logoro; quel tanto di raro, di sempre rinnovato dai lumi del giorno e della notte; quel tanto di amoroso gioco tra le forme delle costruzioni che vibrano alla spinta della marea: questo è pure il senso profondo della personalità di de Pisis, la sua giovinezza che si rinnova ogni volta offrendo alla visione il suo candore e la sua pregiata sensibilità. 127 40 Fiori (1931). Olio su cartone, cm 54x45. Al verso: etichetta proprietà Carletto Gussoni; etichetta Galleria Milano, datata «febbraio 1932», con n. 1221; etichetta Galleria Milano datata «1.7.931», con n. 1299; etichetta Collezione Lizzola, con n. 54 e timbri; una scritta «questo dipinto di Filippo de Pisis Fiori olio su cartone cent. 47x55 risulta nell’elenco raccolta On. Gussoni col n° 1299. In fede Gussoni, Milano 27 maggio 1962». Esposizioni Filippo de Pisis, a cura di G. Granzotto, Galleria Dante Vecchiato, Padova, 6 maggio-19 giugno 1999, riprodotto in cat. p. 59 (1926-1931) Filippo de Pisis. L’uomo e la natura, a cura di L.M. Barbero, organizzazione Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Chiesa di San Vincenzo, Modena, 1° dicembre 2001-24 febbraio 2002, riprodotto in cat. p. 60, n. 6. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1931/47 Catalogo Filippo de Pisis. Dipinti 19161951, a cura di G. Bordonaro, consulenza F. Gallo e G. Granzotto, Salone delle Bifore, Palazzo Sclafani, Palermo, 12 febbraio-12 marzo 2000, riprodotto p. 31 (1926). Luciano Caramel nel testo «La pittura come autoritratto», per il catalogo Filippo de Pisis. La poesia nei fiori e nelle cose, Liceo Saracco, Acqui Terme, 16 luglio-10 settembre 2000, pp. 19-20: «i frammenti, e i tocchi, e i vuoti, e il coesistere di tensioni centrifughe e centripete, di segni grafici nervosamente riassuntivi e di più uniformi campiture, elevano […] l’immediatezza della sensazione, l’istantaneità del rapporto percettivo e fisico a metro del generale, dell’universale, dando corpo a una dilatazione che non insidia l’attestarsi sul fenomeno, sul singolo istante, sulla flagranza esistenziale e naturale. Risultato di una vena poetica sempre riconoscibile, ma non schematizzabile, per il riaffiorare, come nei corsi d’acqua carsici, di umori che parevano esser stati assorbiti, e che invece restano vivi, seppur latenti, pronti a far valere la loro presenza, in una complessità di voci che sempre ripropone la ricchezza e la varietà dell’ispirazione depisisiana, con la 128 sua sensualità e la sua riflessività, sul filo vibrante della coesistenza di vitalità e di coscienza dell’effimero, l’una e l’altra talora protagoniste, però in ogni caso presupponenti l’altro termine dialettico. Con il trasparire, o imporsi, di accenti elegiaci e talora persino di notazioni da epicedio, sommesse o gridate, nell’incombere di plumbei cieli minacciosi o di squillanti cromie sanguigne o di neri profondi.» 129 41 Natura morta aerea, 1931. Olio su tela, cm 116x89. In basso a destra: de Pisis / 31. Al verso: sul telaio etichetta abrasa «XX Esposizione Biennale Internazionale d’Arte / Venezia 1936 XIV»; etichetta «Paul Vallotton S.A., Lausanne (Suisse)», con n. 5120; etichetta Palais des Beaux Arts, Charleroi; etichetta «Petit Palais – Musée – Genève / La belle Epoque de Montparnasse / du 1 juin au 31 octobre 1978». Esposizioni XX Esposizione Biennale Internazionale d’arte, Venezia, 1936, sala XXVII, in cat. n. 33. Bibliografia P. Fierens, Filippo de Pisis, Art italien moderne, Editions des Chroniques du Jour, Paris-Ulrico Hoepli, Milano, 1937, riprodotto tav. 8 Il Frontespizio, Firenze, aprile 1938, numero dedicato a Filippo de Pisis, riprodotto nell’inserto per il pittore, p. III «De Pisis [recensione alla monografia di Raimondi, 1952]», seleArte, Firenze, maggio-giugno 1953, riprodotto p. 39 G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 66 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1931/78. Alla Biennale di Venezia del 1936, cit., de Pisis esponeva nove opere, fra cui questa Natura morta aerea, poi riprodotta in tavola grande nella raffinata monografia di Paul Fierens della collana Art italien moderne, curata da Gualtieri di San Lazzaro, 1937, cit. Il critico francese così chiudeva il suo scritto: «La libertà – questa libertà alla quale Filippo de Pisis è debitore della sua giovane gloria: libertà d’ispirazione e di conduzione – è una ricompensa e il coronamento di un duro sforzo. C’è qualcosa che deve essere meritato. Il dono è gratuito, ma solo la coltivazione del dono produce l’opera d’arte, il capolavoro. Non resta che augurare a chiunque faccia della pittura la grande soddisfazione di arrivare un giorno a dipingere, a dipingere come si vive, come si respira, a dipingere come fa Filippo de Pisis in un sentimento di concordanza ideale fra i movimenti del mondo esterno e quelli del suo cervello, del suo cuore, della sua mano» (traduzione). Il dipinto compare anche a piena pagina 130 nel fascicolo della rivista, diretta da Piero Bargellini, edita da Vallecchi, Firenze, Il Frontespizio, aprile 1938, che è di omaggio all’artista. Disegni, acquarelli, dipinti ornano le pagine; de Pisis firma lo scritto «Aria di casa» e due poesie, «Primavera velata» e «Luna di giorno». Nell’inserto centrale «Artisti italiani. Filippo de Pisis», un sunto biografico che riportiamo all’inizio di questo catalogo. L’autore aveva certo particolare stima per questa immagine inventata come un giorno del giudizio: la beccaccia appesa al centro del cielo livido. Silenzio e abbandono nell’edificio, rudere maestoso nel quale avvertiamo il senso di una civiltà estinta. La statua resiste sul piedistallo, sta come a osservare la scena inquietante. 131 42 Fiori, 1932. Olio su tela, cm 62x50. In basso a destra: de Pisis / Roma 32. Al verso: timbro Galleria Zanini, Roma, con n. 955; timbro Studio Tega, con n. 63A. Esposizioni De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 93 (Vaso di fiori in interno). Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1932/45. In un articolo di recensione alla personale che de Pisis tenne alla Galleria Milano nel novembre 1932, Paolo Sighinolfi («De Pisis a Milano», ritaglio datato «Milano, novembre» [1932], quotidiano non identificato, probabilmente L’Impero, Roma) considera opere di quel momento: «La medesima vena [di alcune Nature morte marine], fresca e sensuale, più libera e sfogata si può notare in altre tele esposte e di recentissima produzione: i fiori che formano il soggetto di diverse composizioni, nella loro asciutta intonazione di verdognoli, gialli, paglierini e rossi spenti […]. È in questa fusione fra gli elementi del vero e il sogno, dove la individualità dell’artista si pone in armonia con l’universo. Ma il mondo delle sensazioni di Filippo de Pisis è ampio e vasto. […] è il gusto dell’intimo che de Pisis possiede in alto grado e che egli adopera con squisita suggestione a commentare con atmosfere tonali, ombrose e raccolte, attimi di silenzio, sospensioni dell’essere, turbamenti raccolti nelle cose. Il suo linguaggio pittorico è dunque quello di una estrema e squisita sensibilità che passata al vaglio di una solida concettualità si risolve in autentica poesia pittorica, nervosa, agile, elegante, tanto mobile e rapida da racchiudere molte vibrazioni del nostro tempo inquieto e tanto equilibrata da superarlo.» 132 133 43 Natura morta con l’aragosta, 1932. Olio su tela, cm 73x54. In basso a destra: de Pisis / 32. Al verso: sul telaio etichetta Galleria Lorenzelli, Bergamo. Esposizioni De Pisis, a cura di G. Raimondi, Castello Estense, Ferrara, giugno-luglio 1951, in cat. p. 63, n. 79 Filippo de Pisis 1896-1956, a cura di G. Briganti, Régine’s Gallery, Roma, aprilegiugno 1983, riprodotto in cat. n. 3 (Natura morta con aragosta e bottiglia) De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13 giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat. p. 145 (Natura morta con aragosta e bottiglia) Arte nei secoli. Dall’umanesimo alla transavanguardia, sezione antica di F. Baldassari, sezione contemporanea di L. Cavallo, collaborazione di O. Nicolini, Farsettiarte, Cortina d’Ampezzo, Milano, Prato, 26 dicembre 1992-10 marzo 1993, riprodotto in cat. n. 33 Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre 2001-6 gennaio 2002; poi Farsettiarte, Milano, 6 febbraio-7 marzo 2002, riprodotto in cat. n. 10 (Natura morta con Eros). Bibliografia G. Raimondi, Filippo de Pisis, Vallecchi, Firenze, 1952, riprodotto tav. 49 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1932/51. Catalogo Filippo de Pisis. La poesia nei fiori e nelle cose, a cura di C. Gian Ferrari, testi di C. Gian Ferrari e L. Caramel, Liceo Saracco, Acqui Terme, 16 luglio-10 settembre 2000, riprodotto p. 19 (Natura morta con aragosta e bottiglia). Oretta Nicolini, scheda per il catalogo 1992, cit.: «Questa natura morta del 1932 pare un compendio di temi e modi di de Pisis, e non solo del periodo fra le due guerre; c’è quasi un’anticipazione di quanto sarà la sua pittura ultima, le pagine rarefatte di Villa Fiorita. Nello spazio indefinito di una parete o di un tavolo – o di entrambi riconoscendo il limite di un rettangolo in basso, chiaro su chiaro con margini azzurri – appaiono oggetti privi fra loro di legami, pure resi coerenti dall’interesse 134 che l’artista ha in loro riposto: due foglie e un fiore bianco di sambuco, un crostaceo bianco rosato, il vetro trasparente di una bottiglia lunga e sottile e un reperto antiquario, la riproduzione di un giovane dio alato, nudo come i modelli che il pittore ritraeva nel suo studio. La pittura, larga, non insegue il dettaglio, eppure riesce a cogliere di ogni oggetto l’intima verità. Così il bianco luminoso dei piccoli fiori traduce la freschezza del rametto appena colto; bianca e rosata di conchiglia la corazza dello scampo; tocchi di biacca danno volume alle foglie e trasparenza vetrosa alla bottiglia di liquore. Un’invasione di luce che toglie rilievo all’ambiente e fa galleggiare gli oggetti come evocati dal fondo marino, dalle profondità della memoria o del sogno. De Pisis qui dipinge con l’aria, la sua mano è leggera fra le cose che conosce e ama, felice, si vorrebbe dire, se non fosse una tensione sottile, non detta, a correre come un brivido sulla pagina dipinta: come se il pittore appuntasse le forme prima della sparizione, appunti sommari dai quali ricostruire almeno il senso delle cose se non la loro precisa fisonomia. Appunti delle sue stanze, della sua vita. Indizi frammentati di una vita dilapidata all’inseguimento di sensazioni fuggenti, e pure puntigliosamente annotata giorno per giorno come in un diario colorato. De Pisis racconta per accenni, non ha tempo di fermarsi a spiegare cosa sia la vita, a elaborare teorie; la vita lo incalza e lo consuma, nel suo cammino ondeggiante e tumultuoso lascia dietro di sé schegge di poesia.» Maurizio Fagiolo dell’Arco nel catalogo 2001, cit., modifica il titolo, Natura morta con Eros: «Il quadro è stato esposto nella mostra antologica di Ferrara (1951); pubblicato nella monografia di Giuseppe Raimondi (1952) quando apparteneva alla collezione di Filippo Anfuso. Nel formato “20 points Paysage”, su uno sfondo immateriale, prendono vita uno scampo mediterraneo, un rametto di viburno, due foglioline, una bottiglia allungata, la stampa accartocciata di un amorino ellenico che prepara l’arco. Nello spazio privo d’aria, le timide presenze naturali o storiche stanno apparendo sotto i nostri occhi, ma suggeriscono allo stesso tempo l’impressione di scomparire, in una dissolvenza incrociata. E tutto avviene sotto la protezione di Eros.» 135 44 Natura morta aerea, 1933. Olio su tela, cm 73x92. In basso a destra, sul foglio: Paris / Janvair [sic] / 33. In alto a sinistra, sul biglietto appoggiato alla tavola: de Pisis [di cattiva lettura] / de Pisis. Esposizioni Filippo de Pisis, a cura di G. Granzotto, Galleria Dante Vecchiato, Padova, 6 maggio-19 giugno 1999, riprodotto in cat. p. 67 Filippo de Pisis, a cura di G. Biasutti, testo di P.P. Benedetto, Galleria Biasutti & Biasutti, Torino, 20 novembre 2001-19 gennaio 2002, riprodotto in cat. n. 10. Bibliografia F. de Pisis, «Natura morta aerea. Commento inutile», Colonna, Milano, febbraio 1934, riprodotto p. 21 De Pisis. Catalogo generale, 1991, tomo I, n. 1933/36. Sulla rivista diretta dall’amico Alberto Savinio, Colonna, 1934, cit., il pittore dette lettura della composizione, nata da suscitazioni sonore che si combinano con vibrazioni cromatiche, luminose e un’onda di profumi. Testo di Filippo de Pisis «Natura morta aerea. Commento inutile», pubblicato sulla rivista Colonna, Milano, febbraio 1934, diretta da Alberto Savinio. 136 137 45 Fiori, 1933. Olio su tela, cm 70x50. In basso a destra: de Pisis 33. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1933/6. Inquadrate da un grande telaio, in un vaso azzurro trasparente, con accanto dei libri, le chiome colorate e profumate dei fiori alimentano il largo respiro, il piacere lirico che de Pisis riesce a suscitare come una scia di luce nella sua opera. A gennaio 1933 una personale a Firenze, Palazzo Ferroni, è recensita da Piero Domenichelli, «Pittori nostri. Filippo de Pisis» (citiamo da un ritaglio di un quotidiano fiorentino, 7 gennaio 1933; poi in Il Lavoro fascista,Roma, 11 gennaio 1933): «De Pisis […] è un pittore fine ed aristocratico, un colorista sottile, gioioso, plastico, movimentatissimo. Come pochi altri conferisce alle pitture il suo temperamento nella maniera più intima, costante, persistente, personale. […] il suo sentimento interpretativo è tanto visibile e ripetuto negli impasti e nel tessuto della sua tecnica da diventare stile se non creazione. E sono impasti leggeri, sapienti, trasparenti; tessuti minuti, luminosi quasi aerei. Elegantissimo pittore, fluido e lucente con disposizioni coloristiche e plastiche semplicemente sorprendenti, con felicità non meno meravigliosa di scegliere i soggetti, vi mette dinanzi ai pezzi della natura o della vita naturalistica delle piante, dei fiori, degli animali, delle stagioni, come a cose rifatte dal sentimento suo […]. Cosicché i fiori, i frutti di de Pisis gli uccelli e i pesci e magari le prospettive di un giardino, di un palazzo o di una via, sono della realtà, sì, ma con una idealizzazione di colore passata per il filtro sentimentale, di questo pittore virtuoso di signorile gusto inesauribile. […] niente stilizzazioni qui e tanto meno intellettualismi. Non c’è ricerca o sforzo, e se mai affinamento e l’intelligenza è quella che Filippo de Pisis, di così meritata e larga fama e di sì vive simpatie presta col suo gusto pittorico ai fiori e alle piante, alle erbe, alle piume degli uccelli, alle creature umili e innocenti che egli anima più che spiritualizzare, in sfondo cromatici di luminosità e lucentezze che felicemente si ripetono. Così che sono sempre presenti i grigi chiari, argentei, i bianchi e i rosa; ed è su questi sfondi che de Pisis intesse, in una 138 specie di trasposizione di tavolozza ingenua e sapiente insieme, la magia palpitante delle sue intime nature.» 139 46 Il Ponte di Tiberio a Rimini, 1933. Olio su tela, cm 65x97. In basso a destra: de Pisis 33. Esposizioni XIX Esposizione Biennale Internazionale d’arte, Venezia, 1934, sala XIV, n. 5 (Dal Ponte di Tiberio) Personale di de Pisis, presentazione di S. Giannelli, Sala d’arte Le ruote presso il Giornale del Mattino, Firenze, 9-24 febbraio 1955, riprodotto in cat. n. 9 (Dal Ponte di Tiberio a Rimini) Biennale Internazionale d’arte. 20° Premio del Fiorino, Unione Fiorentina, Palazzo Strozzi, Firenze, 8 maggio-20 giugno 1971, in cat. p. 87, n. 6 (Dal Ponte di Tiberio a Rimini) Filippo de Pisis, a cura di L. Cavallo, Galleria Menghelli, Firenze, 6-31 ottobre 1972, riprodotto in cat. (Dal ponte di Tiberio a Rimini) 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. tav. LIII Filippo de Pisis. Venti opere vent’anni dopo, testo di E. Natali, Galleria Falsetti, Focette, 3-29 luglio 1976, riprodotto in cat. tav. 11 Omaggio a de Pisis pittore e scrittore, testi di G. Marchiori, S. Zanotto, G. Comisso, R. Pallucchini, A. Pais, «Lettere, poesie e scritti di Filippo de Pisis», Galleria Falsetti, Cortina d’Ampezzo, 29 agosto-14 settembre 1976, riprodotto in cat. tav. XVIII. Bibliografia P. Bargellini, L’arte del Novecento, Vallecchi, Firenze, 1970, riprodotto tav. 76 (Dal Ponte di Tiberio a Rimini) De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1933/19. Nell’ambito del 20° Premio del Fiorino, 1971, cit., che celebrava i vincitori delle passate edizioni, Raffaele Monti, curatore della mostra di 11 opere di de Pisis (premiato nel 1953), scelte fra i «capolavori», scrive, pp. 85-86: «il passar del tempo glorifica sempre di più la mano di un pittore che, per chi voglia o sappia intendere, è uno dei fenomeni vitalistici più impressionanti e complessi in cui sia dato imbattersi […]. Non la poetica del vedere ma il vedere stesso; lo sguardo che rivela il mondo nella sua sostanza sensitiva. E non vitalismo 140 irrazionale, occhio pànico incontrollato, meccanica restitutiva del colore; in tutte le opere più alte l’occhio diviene tramite d’anima e di coscienza.» In questo scorcio riminese, un poco misterioso, che non richiama certo i fornici monumentali del Ponte di Tiberio, possiamo ripetere che «l’occhio diviene tramite d’anima e di coscienza». La fusione d’acqua terra e cielo, i vapori che uniscono, con sommesso colore il panorama raccolto, sono anima infusa nella visione, da cui, con gravità e meditata sospensione di forme si calibra una coscienza del luogo, o meglio, quanto dal luogo si alza come percezione di una coltivata umanità. 141 47 Paesaggio nel Gers (1935). Olio su tela applicata su cartone, cm 33x54. In basso a destra: Gers / de Pisis. Esposizioni 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. tav. LIX (Paesaggio di collina) Aria d’Europa. De Chirico de Pisis, a cura di L. Cavallo, collaborazione di O. Nicolini, Galleria Farsetti, Milano, Focette, Cortina d’Ampezzo, Prato, giugno-settembre 1987, riprodotto in cat. p. 79, tav. X (Paesaggio a Gers) «Le joli secret» di de Pisis. Venti opere, Galleria Farsetti, Milano, 11 giugno-4 luglio 1991 Il paesaggio. Opere dal XV al XX secolo, Farsettiarte, Cortina d’Ampezzo, 22 febbraio-9 marzo 1997, riprodotto sull’invito Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre 2001-6 gennaio 2002; poi Farsettiarte, Milano, 6 febbraio-7 marzo 2002, riprodotto in cat. n. 15. Riguardo il soggiorno di de Pisis in Guascogna, dove eseguì considerevole numero di opere, il fratello Pietro (in De Pisis, Milano, 1957, pp. 64-66) ha scritto: «Prima della guerra avevo acquistato in Guascogna, precisamente nel Gers, una ferme con relativo château Luigi XVI; era ammobiliato, ma da tempo non vi abitava più nessuno, tranne la famiglia di contadini che ne occupava metà. Quasi per burla gli avevo proposto di andarvi a trascorrere l’estate. Sul momento non parve entusiasta dell’idea; però alla fine di luglio – eravamo nel ’34 – mi scrisse che vi si trovava già e stava benone, tanto più perché poteva dipingere bellissime cose [ ... ]. La vita all’aperto gli ricordava i tempi della nostra infanzia nella villetta di Porotto, e gli piaceva di poterli in qualche modo rivivere. Aveva ripreso le gite in bicicletta, a raccogliere fiori, a pescar rane […]. Tornò varie estati in quel castello sperduto nel Gers.» Nell’estate 1935 una lettera a Cornisso da Château d’Argenteins (in Corriere della Sera, Milano, 9 aprile 1978): «Vedessi che bei pezzi di pittura ho fatto in questi 142 ultimi tempi, ma se vogliono i quadroni, faremo i quadroni.» Maurizio Fagiolo dell’Arco, scheda per il catalogo 2001, cit.: «Una tela (“l0 points Marine”) dipinta in quelle lunghe estati di Guascogna passate con gli amici che amavano la pittura e i bei ragazzi: “Gers” è appuntato stenograficamente in basso. La tela è appartenuta a Gherardo Casini e poi alla Galleria dell’Obelisco. Nella campagna guascone traspare Grizzana, nella pittura del Marchesino affiora quel tanto di Cézanne che era stato ruminato da Giorgio Morandi.» 143 48 Il ponte del Louvre durante i lavori di ampliamento, 1936. Olio su tela, cm 79x58. In basso a destra: de Pisis 36. Al verso: sul telaio etichetta frammentaria con scritta: «Town in Southern France, 1935»; etichetta «San Francisco Museum of Art / Exhibition - painting in Post War Italy», con n. 1677.59, titolo «Town in Southern France», 1935; etichetta Galleria dell’Oca, Roma, con n. 73/93. Esposizioni Italian Festival Exhibition, M.H. De Young Memorial Museum, San Francisco, estate 1956 Painting in post-war Italy, San Francisco Museum of Arts, San Francisco, primavera 1959 21 de Pisis, testo di G. Briganti, schede di D. De Angelis, Galleria dell’Oca, Roma, dal 12 maggio 1992, riprodotto in cat. n. 16 Filippo de Pisis. Nel centenario della nascita. La felicità del dipingere, a cura di L. Laureati e D. De Angelis, Galleria Pananti, Firenze, febbraio-marzo 1996, riprodotto in cat. n. 49. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1936/42. La tela apparteneva allo scrittore Marino Moretti, intimo di de Pisis. Scheda di Daniela De Angelis nel catalogo 1992, cit.: «Compare in questo quadro un’immagine particolarissima del ponte del Louvre durante i lavori di ampliamento, un’istantanea pittorica d’incredibile freschezza ed immediatezza relativa ad una situazione provvisoria e quindi recante quel tanto di allegria e precarietà propria di ogni cambiamento di un arredo urbano storicamente dato e percepito come immutabile. La sistemazione momentanea è foriera di movimento ed agitazione, le stesse caratteristiche che sembrano animare il bellissimo cielo cangiante dipinto da de Pisis in tutte le sfumature che vanno dal bianco al grigio, dal celeste al blu. Anche la statua che sembra sovrintendere al via-vai dei passanti pare osservare divertita tanto brulichio ed il pittore la ritrae come un’apparizione benevola ed arguta.» 144 145 49 Fiori, 1936. Olio su tela, cm 92x73. In basso a destra: de Pisis / 36. Al verso: cartiglio con dati dell’opera; etichetta «Regione Piemonte / Città di Cherasco / Provincia di Cuneo / Gli Italiani di Parigi / da Modigliani a Campigli / Palazzo Salmatoris - Cherasco (Cn) / 13 ottobre -9 dicembre 2007», con timbro Città di Cherasco / Cuneo. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 01174. Esposizioni Gli Italiani di Parigi. Da Modigliani a Campigli, a cura di C. Bertone, testi di vari, Palazzo Salmatoris, Cherasco, 13 ottobre-9 dicembre 2007, riprodotto in cat. p. 147. Si può parlare di resa ottica della visione frammentata per questo gruppo di fiori che fa sbocciare primavera nell’interno. Nei fiori de Pisis mette la sua sapienza botanica e il suo trasporto sentimentale: la perizia e il cuore consegnati all’immagine. 146 147 50 La tempesta, 1937. Olio su tavola, cm 67,5x50. In basso a destra: 37 / de Pisis. Esposizioni 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. tav. LXV Filippo de Pisis. Venti opere vent’anni dopo, testo di E. Natali, Galleria Falsetti, Focette, 3-29 luglio 1976, riprodotto in cat. n. 14 Omaggio a de Pisis pittore e scrittore, testi di G. Marchiori, S. Zanotto, G. Comisso, R. Pallucchini, A. Pais, «Lettere, poesie e scritti di Filippo de Pisis», Galleria Falsetti, Cortina d’Ampezzo, 29 agosto-14 settembre 1976, riprodotto in cat. tav. XXVII Filippo de Pisis, testo di L. Carluccio, Palazzo Liceo Saracco, Acqui Terme, 5 agosto-10 settembre 1978, riprodotto in cat. s.n. Aria d’Europa. De Chirico de Pisis, a cura di L. Cavallo, collaborazione di O. Nicolini, Galleria Farsetti, Milano, Focette, Cortina d’Ampezzo, Prato, giugno-settembre 1987, riprodotto in cat. p. 80, tav. XI. Bibliografia S. Solmi, Filippo de Pisis, Arte moderna italiana, Hoepli, Milano, III ediz. 1946, riprodotto tav. XXIV G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 349 De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1937/20. Pagina fra le elette di de Pisis, s’impone per fulminante drammaticità. Elencate con vago richiamo di simboli le cose che sono poste come su un davanzale: il garofano con i petali verso la busta, una fronda fiorita, il gheriglio di noce. L’artista fa percepire questo scorcio ravvicinando la sua stessa presenza (i suoi occhi così addosso al quadro). La tempesta, l’aria macchiata da qualche volo, un accumularsi rapido di pennellate su colori di pietra dura, con una frequenza pittorica che convoca la materia di El Greco e di Magnasco. Sergio Solmi nella monografia del 1946, cit.: «quanto nella pittura di de Pisis potrebbe, a un primo colpo d’occhio, apparire semplicemente piacevole o divertente, si svela subito dopo come rilevato da un’ombra di estrema crudezza, quasi di sofferenza: si pensa a una specie di combustione 148 che lasci dietro di sé neri grossi segni imprecisi, tinte squarciate, macchie fumose; si pensa al rovescio di questa ricca gioia di dipingere e di riflettere apparenze, alla cenere che piove dalla festa dei colori trascorso l’attimo del suo più intenso splendore: un piacere, insomma, “scorticato a vivo”. Questa sottolineatura tragica, in una pittura che potrebbe parere aerea e delicata come la polvere iridescente delle ali di farfalla, è l’estrema punta dell’arte di de Pisis. È, se vogliamo, la punta di scandalo che, in ogni arte, destano sempre le nature fortemente ispirate, destinate a toccare, insieme al fondo dell’espressione, il suo segreto spasimo. Ad altri il gusto della cosa ben fatta, ben costruita, equilibrata. Ma anche questa apparente furia e lacerazione è destinata ben presto a placarsi agli occhi dello spettatore amoroso e attento.» 149 51 Natura morta con conchiglie (1938). Olio su tela, cm 45,5x55. In basso a destra: de Pisis. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 03433. La tela appartenne alla raccolta di Mario Rimoldi, Cortina d’Ampezzo, uno dei maggiori collezionisti e amico di de Pisis. La costruzione fa perno sulla tornitura ceramica della conchiglia, ha una centralità che viene espansa dalle barre arcuate nel fondo e resta ambigua l’ambientazione, con riflessi che sollevano il piano, l’apertura verso l’esterno complessa da vegetali, una pianta rampicante sulla sinistra, riflessi di vetro, un’anta di finestra a destra, ma giocata con margini e profili che lasciano un che di misterioso all’insieme. I ricami dei paliotti quattrocenteschi, i pannelli a decorazioni fantastiche del Settecento, i velluti con motivi fitomorfi del 1600, la rarità cromatica dei piviali del Trecento: l’artista aduna sensazioni rare, sembra richiami lavori di antico artigianato per stendere un letto di cultura, di arcani rintocchi al suo dipingere che ha conquistato ormai larga platea critica. Su una delle maggiori riviste d’arte fra le due guerre, Emporium, edito dall’Istituto Italiano d’arti grafiche, Bergamo, nel gennaio 1938, Giuseppe Marchiori dedica un saggio a «Filippo de Pisis» disteso su otto pagine con illustrazioni: «In un tempo di reazione neoclassica, l’arte di de Pisis potrà sembrare edonistica, raffinato riflesso di una maniera antica, ripresa per contraddire, con eleganza e con grazia, a un’estetica meramente scolastica. De Pisis oppone la sensibilità fresca e diretta, la noncuranza del mestiere, l’interesse continuamente ravvivato per la natura morta, come rivelazione di un mondo intimo e pur pieno di senso cosmico, alla falsità delle pesanti accademie, dei granitici luoghi comuni della noia illustrativa. È una polemica indiretta, alla quale tuttavia de Pisis non pensa affatto. Egli non viene a patti colla sua verità: assolutamente sincero, la esprime, senza darsi la pena di vedere se essa brilla luminosa in ogni faccetta. Impurità non ne mancano. Ma de Pisis non s’è mai sognato di nasconderle.» 150 151 52 La casa sola (Gers), 1938. Olio su tela, cm 70x90,2. In basso a destra: Gers de Pisis 38. Al verso: etichetta Galleria del Girasole con n. 1951; etichetta Galleria Torbandena con n. 333. Esposizioni Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in Italia 1919-1945 dalle collezioni private, a cura di M. Goldin, Galleria Comunale d’Arte, Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 21 aprile-30 giugno 2002, riprodotto in cat. p. 182 De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat. n. 64. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991, n. 1938/10. Ultima estate felice nel Château del Gers: «mi à accolto quest’anno con sorrisi cordiali» scrive all’amico Marino Moretti, il 22 luglio 1938 (S. Zanotto, F. de Pisis ogni giorno, 1996, pp. 340-341), «vedessi caro Marino che cielo sopra i vecchi tigli esausti. Stamane una luna fatua, il canto degli uccelli sperduti sulle piane verdi. Che grazia nell’aria e tre rose stanche di un dolcissimo rosa in un bicchiere davanti al ritratto di “mamà”». Ancora scrive al collezionista di Cortina, Mario Rimoldi, il 2 agosto: «Anche qui lavoro talora con delizia, ma anche con non poca pena. Il paesaggio à un carattere diverso dalle Marmarole “care al Vecellio” (Carducci) ma pure interessante.» Confida a un altro amico il 16 luglio «Vedessi come è bella la campagna in queste chiare sere che ànno già la luce del settembre […]. Ho dipinto qualche tela bellissima». 152 153 154 155 De Pisis nella biblioteca della casa-studio di via Rugabella, Milano, 1941. Foto di Luigi Comencini. Al verso: autografo del pittore. 156 Frammenti di arcobaleno Raffaele Carrieri Una volta l’avete visto. Dico una sola volta. L’avete incontrato a Rimini con un paio di calze cardinalizie. O alle 17,15 a Milano in Via Montenapoleone con un mazzolino di violette. Lo avete incontrato a Vicenza o a Ferrara, sul crepuscolo, con la grande corniola al dito. A Vicenza vi avrà parlato del Palladio con quel suo accento nasale di prelato garbato. A Rimini di farfalle. Lo avrete certamente incontrato a Venezia su Riva degli Schiavoni come un eroe di De Musset, vestito di velluto, con un colombo sulla spalla. Dimesso e fastoso, con capi di corredo introvabili: l’ombrello verde dei mercati romagnoli, le sciarpette a doppia faccia, la tabacchiera a forma di stivaletto, e camicie di colore tenue sottratte a un fallimento del Secondo Impero. . Le sue tasche sono piene di farfalle, di fazzoletti arborei, di scarabei, di indirizzi sportivi. I nuotatori di provincia, il campione di lotta libera, l’adolescente podista trovano in lui un estimatore platonico, de Pisis è l’ultimo pittore che si esprime in termini lirici quando parla di anatomia. Si aiuta con le sue grosse mani che si muovono come colombi. Preciso e distratto, civettone, cerimonioso, indifferente, ha sempre un appuntamento urgente. L’Europa per de Pisis è rappresentata da una serie di angoli e di Caffè celebri. La sera alle 10,30 sparisce. Dico sparisce non in senso figurativo. Nessuno ha mai saputo gli arcani luoghi delle sue puntualissime fughe. Avrà certamente ammirato la vostra cravatta: «Questo grigio e questo rosa fa Manet. Fa molto Manet». Tutto gli ricorda la pittura e i pittori. Ovunque vada, con chiunque si trovi. Parla dei suoi quadri con molta tenerezza. Ha ricordi che assai somigliano a gorgheggi: pettirossi, pappagalli, ciuffi di nastri, fiori, funghi, pacchetti di carta velina appena confezionati, oche impagliate, oggetti fuori moda di porcellana colorata. Gli altri hanno le idee. De Pisis ha la sua natura. Una natura prensile, sottile, piena di rapide accensioni, vorace, elegante, perspicace, di una freschezza assorbente e dilatante, ricca di umori vegetali e di suoni fecondi, qualche cosa di leggiadramente mostruoso. È un pittore di sensazioni. Sensazioni di paesaggio. Sensazioni di figure. Sensazioni di nature morte. Una vita formicolante di sensibilissimi attimi pittorici percepiti con una intensità e fugacità meravigliose. De Pisis non ricorda niente e nessuno. Lo stile di de Pisis è il centro del suo sistema nervoso. È la retina che cattura l’atomo e ce lo rende tangibile nelle sue infinite trasformazioni. Usa tutti i mezzi, biacche, lacche, il manico del pennello, la tela greggia, i grumi, il malloppo: e infine sempre ci meraviglia. È come una musica di mandolini. È un virtuosismo d’occhio e di mano. Traccia dei profili col flauto e li popola di non so quale erborescenza minerale. Frammenti di arcobaleno, polveri armene, piaghette di pietre preziose, il talco, la stagnola, i semi di una sconosciuta pianta di rose, le penne, gli occhi dei boa e dei manicotti, erbe in pacchetti. Dipinge con gli odori. Dipinge con la memoria e fa con mano prestidigitazioni naturali come bouquets frutta volti conchiglie mari merletti. «Filippo de Pisis», Tempo, Milano, 16-23 gennaio 1941. 157 De Pisis ritrae la moglie dello scultore Messina, Bianca, via Rugabella, Milano, 1941. Foto di Luigi Comencini. Nello studio della scultrice Genni Mucchi, che aveva studio in un altro stabile di via Rugabella, 1942. 158 Visita alla casa milanese del pittore Ettore Della Giovanna De Pisis crea in tutti i momenti la sua vita, come crea le sue pitture, le sue poesie. Come l’Enrico IV di Pirandello è entrato un giorno in un nuovo mondo, non so se per lenta trasformazione o per improvvisa illuminazione, e ha cancellato il precedente, ha deciso di continuare nell’avventura dimenticando e polarizzando i pensieri intorno alla sua arte e ai derivati sensitivi di essa. Ed è diventato insensibile a tutto il resto. De Pisis riesce a ignorare ciò che non lo riguarda da vicino, viene a conoscere i fatti del giorno con una settimana o due di ritardo sull’avvenimento e li commenta con accenti di viva comprensione e con tono svagato indifferente. È un esteta che non pecca d’estetismo, perché ha perduto il senso della realtà pratica: conosce e ama soltanto i fiori e i paesaggi che alimentano i suoi quadri. La pittura lo ha reso famoso, il suo parlare con tono jeratico, il suo gestire prelatizio, le sue cravatte violente, le sue calze cardinalizie, lo hanno reso popolare. Quando a Milano si è parsa la voce che Filippo de Pisis aveva lasciato l’albergo per scegliersi una dimora fissa in una casa come tutti, a quella casa sono accorsi amici, conoscenti, sconosciuti: sono accorsi a vedere quella casa come si sarebbero precipitati al circo equestre, alla bottega dei miracoli, al padiglione delle meraviglie. E nessuno è rimasto deluso. Il patrizio de Pisis accoglie i visitatori noti e ignoti, ricchi e poveri, acquirenti e scrocconi, con la grazia della Contessa Maffei e con la suprema indifferenza di Lord Brummel: è cortesissimo per educazione artistica e per retaggio atavico, onora l’ospite offrendogli liquori rari, ma si occupa soltanto di se stesso: quando mostra le sue cose le mostra per ammirarle egli stesso e non ascolta i commenti. La conversazione si regge soltanto perché lui ama raccontare passando velocemente e con tanto garbo da un argomento all’altro, eludendo le risposte, ignorando l’ultima domanda. Nell’antico palazzo di via Rugabella, oltre un cortile a portici, oltre un andito buio, fra due giardini incolti, a un piano terreno, c’è l’appartamento di de Pisis: un’anticamera, un corridoietto, un cucinino per i ghiotti esperimenti gastronomici del padrone di casa, e poi tre o quattro camerette colme di cose rare. De Pisis, artistico re Mida, trasforma gli oggetti che tocca e che mostra all’ospite: i quadretti comperati dai piccoli rigattieri diventano quadri famosi e spesso il felice intuito della scelta coincide con un valore reale e riconosciuto e con la scoperta di tele importanti, e le cianfruscole diventano pezzi di museo. Cianfruscole e aggeggi riuniti, ma non ammucchiati, con la più eclettica fantasia: vasi, vasetti, rane sotto spirito con visceri iniettati di colore, macchine inutili di Munari, pelli di gattopardo, pipe di gesso, pipe con la testa di Garibaldi, pipe tirolesi, cuccume, caffettiere, pennelli, tubi di colore, pistole, cornici, reti da pesca intorno alle lampade, carte variopinte e frastagliate, specchietti, pentolini, statuette, scampoli di stoffe rare, mobili antichi, piume di struzzo, conchiglie, maschere, e poi fiori fiori fiori, formano la casa nella quale de Pisis vive fuori della realtà in un mondo di fiabe immaginose che riesce a far credere anche agli altri. E su tutte queste cose domina l’ineffabile Cocò, il 159 pappagallo docile e impertinente che è l’unico amico di de Pisis, l’unico essere vivente col quale de Pisis comunica veramente e che accetta in ogni momento di lasciarsi trasformare dalla fantasia dell’uomo del poeta e del pittore. «Filippo de Pisis in casa», Stile, Milano, gennaio 1942. Cartolina di de Pisis a Giovanni Cavicchioli, da Pisa (seconda metà anni ’40). 160 A Pisa, petali sul selciato Giuseppe Viviani Non avrei mai pensato di conoscere de Pisis a Pisa. Parigi, Roma, Venezia o Milano erano le città dove potevo incontrarlo; ma a Pisa, mi pareva incredibile! Invece, per de Pisis, trovarsi a Pisa era la cosa più naturale di questo mondo; camminava con passo nostrano, l’aria era sua e gesticolava colle mani prelatesche abbracciando con tenerezza i Lungarni, i ponti, i palazzi, col suo parlare prelibato: così, quando bussò a un porta ed entrò, lo fece come se fosse a casa sua. Spiegai questo più tardi, quando seppi che di Pisa portava qualcosa nel sangue, perché i suoi avi erano pisani e il suo nome proveniva dal nome di questa città. Ricordo che, sul Lungarno, a un tratto, de Pisis si fermò con gioia a guardare in terra; ai suoi piedi aveva scorto sul grigio del selciato una costellazione di petali; di una rosa, di un rosa delicatissimo e ardente che il tramonto marino accendeva come fiammelle in un piccolo alone fosforescente. De Pisis sorrise: pareva un omaggio alla sua pittura! Quei petali, sul fondo grigio, erano le sue pennellate materiate di luce. (De Pisis, quando dipinge, non mette colore sulla tela, ma un pezzetto di quello che vede, come se con un coltello strappasse un pezzo di carne, di stoffa; o di un fiore; di una conchiglia, di una magica pasta). Fece un giro largo, per non calpestare quei petali, quel gesto fu fatto con tanta gentilezza da mettere un brivido. «A passeggio con de Pisis», La Rassegna, Pisa, maggio-agosto 1953. 161 53 Piazza Carlina a Torino (1939). Olio su tela, cm 80,2x59,8. In basso a destra: Pisis. Bibliografia G. Raimondi, Filippo de Pisis, Vallecchi, Firenze, 1952, riprodotto tav. 88 De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1939/35. Di un passaggio a Torino nel 1939 (forse quando in estate torna in Italia da Parigi?) vi è documento nel dipinto Duomo di San Giovanni a Torino, in raccolta privata (vedi catalogo De Pisis, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, n. 69) e in questa Piazza Carlina, una delle più caratteristiche della città sabauda, rimasta ancora oggi intatta. Vediamo come gli interessi di de Pisis non si siano modificati e possiamo confrontare questa tela con quella del 1936, qui esposta, Il Ponte del Louvre durante i lavori di ampliamento. La statua sul piedistallo, gli edifici nel fondo, le figurette che si muovono sono in tutto simili, vibrante l’insieme che fa avvertire il volo dei colombi, la fragranza delle piante. Nessuna separazione di stile, per ora, nell’opera che ha ammirevoli fluenze luminose. Il quadro è riprodotto nella monografia di Giuseppe Raimondi, 1952, cit., che annota, p. 22: «De Pisis ritorna in Italia nel ’39, alla vigilia della guerra. Grande parte della sua vita di artista si conclude con questo ritorno alla patria. Era, in quel tempo, tanto di volontà e di forza nella sua fibra. Furono, come tutti sappiamo, anni felicissimi per lui, cioè per il suo lavoro. Una felicità, che si sposa all’impazienza di stringere coi mezzi espressivi la irruenza, la velocità dei temi proposti dalla fantasia sempre in apprensione. Si sposta di continuo, quasi a riattingere e meditare su di una ferma nostalgia italiana, perduta nelle vecchie città del nord e padane.» 162 163 54 Platani dell’Arena di Milano, 1939. Olio su tela, cm 79,5x60. In basso a destra: de Pisis 39. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1939/42. Uno dei documenti significativi della rentrée in Italia di de Pisis. Si comprende con che entusiasmo egli partecipi il ricongiungimento. L’ingresso dell’Arena, a Milano, guarnito da grandi platani ormai spogli: l’autunno inoltrato è colto con il gusto di abbandonarsi al ritmo della natura che trasforma anche l’atmosfera cittadina. Il cielo rarefatto è quello dei Veneti, la stagione presa come in un Sisley, la maturità tecnica trasfonde al paesaggio un’onda di liricità del tutto intima, filtrata in un rapporto visione-sentimento che ha corde armoniche e melanconiche, sussurri di piccoli personaggi nella sfera appena ambrata della città per lui nuova. 164 165 55 Fiori, 1939. Olio su cartone applicato su tela, cm 68,5x52,5. In basso a destra: de Pisis 39. Esposizioni De Pisis a Venezia, testi di P. Rizzi e G. Perocco, Casinò municipale, Ca’ Vendramin Calergi, Venezia, 8 dicembre 1968-6 gennaio 1969, non elencato in cat. 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. tav. LXXVI Omaggio a de Pisis pittore e scrittore, testi di G. Marchiori, S. Zanotto, G. Comisso, R. Pallucchini, A. Pais, «Lettere, poesie e scritti di Filippo de Pisis», Galleria Falsetti, Cortina d’Ampezzo, 29 agosto-14 settembre 1976, riprodotto in cat. tav. XXXVII Maestri moderni e contemporanei. Antologia scelta 2003, Tornabuoni Arte, Firenze, dal 13 dicembre 2002, riprodotto in cat. p. 111 Natura: da de Chirico a Renoir, da Pascali a Boetti, 1910-1999, Chiesa Madonna del Carmine, Palazzo Lanfranchi, Matera, 9 ottobre-21 novembre 2004, riprodotto in cat. p. 27. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1939/53 M. Florentino, Arte Cucina Vino, Matteo Editore, Dosson di Casier (Treviso), 2004, riprodotto p. 112 Catalogo Asta, Farsettiarte, Prato, 29 novembre 2008, riprodotto in cat. n. 813, scheda di C. Gian Ferrari. Scheda di Claudia Gian Ferrari per il catalogo 2008, cit.: «è nel 1939 che de Pisis trascorre a Parigi l’ultimo anno della sua lunga permanenza, iniziata con il trasferimento del 1925 […]. Il periodo parigino viene considerato come la stagione più intensa e matura della sua pittura, a contatto con il panorama culturale internazionale, nel quale il suo carattere di intellettuale curioso e affamato di nuove esperienze, trova il riscontro più stimolante, foriero di una serie di assoluti capolavori, come il rutilante mazzo di fiori di cui si parla. Il rientro in Italia alle prime avvisaglie di guerra, coincide con un momento di analisi e di ripensamenti sulla pittura, ma anche sulla crisi delle coscienze, e le sue opere 166 rifletteranno un incupimento nei toni cromatici e una composizione più dialettica e sofferta […]. Fra le tematiche con le quali si confronta il suo fare arte nella costante ricerca dell’assoluto, il tema dei fiori, spesso recisi in vasi e inseriti in descrizioni di interno, rappresenta un leit-motiv caratterizzante; una straordinaria teoria di colori sgargianti, vere esplosioni di toni cromatici e di forme rubate alla natura, che colgono 1’attimo fuggente della bellezza. Di ogni fiore che coglie o acquista, di campagna o di serra, per disporli in vasi preziosi o in semplici calici di vetro, per farne il soggetto delle sue composizioni, de Pisis conosce il nome, le caratteristiche botaniche, le abitudini. Li frequenta e ne gode con l’amore e il riguardo, con l’attenzione e la considerazione tipici di chi della conoscenza ha fatto strumento per trasmettere emozioni. Il fiore è ornamento e allegoria, è aristocrazia e decadenza, è sensualità e disperazione per la sua caducità. Nella rigogliosa descrizione del 1939, dove lo spessore del colore quasi costruisce in rilievo la realtà dei petali, le ombre nere, sottolineano per contrasto un sentimento di labile felicità, di provvisoria e fragile bellezza.» 167 56 Passeggiata romantica, 1939. Olio su cartone applicato su tela, cm 68,5x 52,5. In basso al centro: de Pisis 39. Esposizioni 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. LXXIV. Il cartone non preparato, lasciato in vista, favorisce l’elemento spaziale, l’impaginazione prende slancio in quella strada ideale sulla quale la coppia si avvia. Colore moderato, tono su tono, la scelta dei grigi e dei verdi bassi, il segno deciso, il bianco calce che campeggia sembrano imparentare la composizione con taluni personaggi di Lorenzo Viani, raccolti con semplicità ed energia. Qualcosa di tenero – più che romantico chapliniano – abita il quadro; il ponte, che si riflette nell’acqua, fa pensare a Parigi, un incantamento che de Pisis si porterà dentro per sempre, sovrapponendo climi e ambienti, memorie e fantasie. 168 169 57 Natura morta, 1940. Olio su tela, cm 60x85. In basso a destra: Pisis 40. Al verso: sul telaio etichetta Galleria Gissi, Torino, «Mostra maestri contemporanei», con n. 7052; etichetta «Galleria Taras / Ente provinciale del Turismo / Taranto / Cinquanta Pittori Figurativi / 2-17 maggio 1959»; due timbri G. Zanini Arte Contemporanea; etichetta « Soprintendenza alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna / Mostra “Pittura Italiana Contemporanea” / giugno-ottobre 1958»; etichetta «Mostra d’arte Italiana Contemporanea / a cura dell’I.C.I.» Dichiarazione su fotografia di Demetrio Bonuglia. Esposizioni Cinquanta pittori figurative, prefazione di R. Biasion, Galleria Taras dell’Ente provinciale per il Turismo, Taranto, 30 aprile-15 maggio 1959, riprodotto in cat. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1940/116. Nel 1940 de Pisis abitava a Milano; usava dipingere frutti, ortaggi, pesci che erano poi il suo desinare. Si può dire che quelle cibarie divorava con gli occhi prima di nutrirsene; anche questa abitudine aveva un che di rituale, un aspetto provocante della sua estetica militante. Giorgio Vigni, su Emporium, Bergamo, nel fascicolo di gennaio-marzo 1944, in «Profilo di de Pisis», dava lettura di pagine come questa: «Difficilmente de Pisis è sereno; mai, si può dire, se per serenità s’intende uno stato di calma. Anche quando egli sembra più abbandonarsi alla pura gioia del dipingere – fiori, frutti, oggetti, paesaggi – gli elementi base della sua creazione, la luce e il colore, vibrano in modo che una sospesa inquietudine si rapprende su tutte le cose, perfino dove la distensione è più piena […]; l’atmosfera stessa brulica senza possibilità di riposo: la luce trascorre per tutto e sembra che faccia muover le cose, perché trema e vibra continuamente nella foga dei segni e dei colori frementi di punti […]; punti luminosi brillano nelle nature morte con una intensità affascinante […]; tutto sembra trasformarsi sotto gli occhi per una intima vitalità prodigiosa. […] L’arte di de Pisis rimane l’espressione 170 istintiva della acuta sensibilità di un poeta, pittoricamente maturata da un segreto lievito, nel quale, a titolo, di esperimento per scandagliarne la formazione, ben si potrebbe gettare il ricordo di certa arguta mobilità di luce dell’arte settecentesca veneziana e di certe forme del grande impressionismo francese dell’Ottocento; ma senza la pretesa di dar fondo al segreto di un’arte, che molto ha conosciuto e che i doni dell’istinto sublima in combinazione con una sottile intelligenza.» 171 58 Vaso di fiori con conchiglia, 1940. Olio su tela, cm 80x60. In basso a destra: Milano / Pisis / 40. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 02213. L’ordine di de Pisis ha infinite variabili, accumulo di forme e, in simultaneità pittorica, dispersione, una condotta che accende questo Vaso di fiori come fiammata nella cenere, il colore basso del fondo grigliato, una tavola che pare passerella verso l’apertura al cielo. Sergio Solmi (Filippo de Pisis, Hoepli, Milano, II ediz. 1941): «I dipinti di de Pisis vanno covati, calmati, decantati nella lunga contemplazione. A rivedere queste ultime tele fra qualche anno, esse ci appariranno, come oggi ci appaiono i maggiori pezzi della sua passata pittura, fissate e concluse nel cristallo d’una visione pacata, dove se ne potranno individuare e seguire, con meraviglia sempre nuova, le estreme finezze. Come sempre nell’arte maggiore, in cui la variata, molteplice compiutezza dell’espressione appare tanto più miracolosamente evidente e necessaria, quanto più perentoria, violenta, è la forza di passione ch’essa racchiude.» 172 173 59 Paese di Casalecchio (1940). Olio su tela, cm 70,5x80,5. In basso a destra: Casalecchio / Pisis. Al verso: sulla tela etichetta Galleria del Cavallino, Venezia; sul telaio timbro Galleria del Cavallino, Venezia, con n. 59. Provenienza: G. Raimondi, Bologna. Esposizioni Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre 2001-6 gennaio 2002; poi Farsettiarte, Milano, 6 febbraio-7 marzo 2002, riprodotto in cat. n. 18. Bibliografia S. Solmi, Filippo de Pisis, Arte moderna italiana n. 19, Hoepli, Milano, 1941, riprodotto tav. XXVII De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1940/63 (Casalecchio). Nella scheda del Catalogo generale 1991, cit.: «Questo paesaggio di de Pisis rappresenta, con tutta probabilità, un omaggio a Giorgio Morandi e soprattutto al Morandi paesaggista. La tela faceva parte della collezione di Giuseppe Raimondi, critico eminente e grande esperto della pittura dell’artista bolognese.» Maurizio Fagiolo dell’Arco nel catalogo 2001, cit.: «La tela è entrata nella collezione di Giuseppe Raimondi (viene quasi l’idea che sia stato lo scrittore a commissionare un quadro tanto morandiano); è poi appartenuta alla Galleria del Cavallino di Venezia, ed è stata recentemente riscoperta. Nel formato quasi quadrato, viene descritta una campagna con il cielo quasi inesistente all’orizzonte. Il sito ripreso è scritto in bella vista accanto alla firma: non è distante quel luogo (così come la vibrazione pittorica) dalla Grizzana di Morandi.» 174 175 60 La grande foglia, 1940. Olio su tela, cm 75x98. In basso a destra: Milano / Pisis / 40. gli uomini riuniti in società. Era per lui come non esistessero, non contassero. Lo incontrai a Milano in Galleria il giorno in cui l’Italia entrò in guerra contro la Francia (il 10 giugno 1940). Al triste annuncio che gli dovetti dare, a lui, mezzo parigino, certo insopportabile (perciò mi limitai a dirgli che l’Italia era entrata in guerra), de Pisis mi chiese con l’aria più candida: “La guerra… contro chi? I tedeschi?”» Esposizioni Mostra dell’opera pittorica e grafica di Filippo de Pisis, a cura di L. Magagnato, M. Malabotta, S. Zanotto, Palazzo della Gran Guardia, Verona, 12 luglio-21 settembre 1969, riprodotto in cat. p. 179, n. 192. Bibliografia Documento, Roma, marzo 1942, riprodotto un particolare p. 4 D. Bonuglia, «Filippo de Pisis», Il Veltro, Città della Pieve, luglio-agosto 1961, riprodotto Lettere di de Pisis 1924-1952, a cura di D. Bonuglia, Lerici, Milano, 1966, riprodotto (Foglie nella tempesta) De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1940/97 (Foglia nella tempesta). Ampia, ariosa, lirica e quasi struggente ambientazione della «foglia frale»; vento che porta via nell’autunno le decorazioni arboree e i sogni… Sulla rivista Documento 1942, cit., il particolare di sinistra è in piena pagina, a didascalia due versi del pittore: «Una foglia si è mossa / Come un’ala». Non vi è titolo nella riproduzione. Adottiamo quello della mostra di Verona 1969, cit. Può capirsi che il soggetto, datato 1940, sia leggibile come foglia nella tempesta: l’artista con l’evidente turbolenza del cielo e il vento che spazza la pianura, intendeva far cenno, forse, alla grande tempesta che si era abbattuta sull’Europa. Ma non forziamo i significati. Una testimonianza di Raffaele de Grada, «A Palazzo dei Diamanti di Ferrara de Pisis è nel suo ambiente», Giorni, Milano, 1° agosto 1973, p. 83, dà chiarimenti sulla scarsa e nulla sensibilità sociale del pittore: «De Pisis […] sentiva l’arte come un mezzo, come la parola, un mezzo per esprimere la propria gioia di vivere, di sentirsi in mezzo agli uomini, di conoscere i regali irripetibili di cui la natura è così ricca con chi veramente la sa capire e le vuol bene. […] era un avventuroso, un viaggiatore, un uccello migratore. La Natura, dicevo, e non certo la Società, la Storia. Il naturalismo di de Pisis era sganciato da qualunque rapporto con la storicità sociale, con 176 Particolare del quadro riprodotto a piena pagina sulla rivista Documento, Roma, marzo 1942, con versi di de Pisis. 177 61 Natura morta (1940). Olio su tela, cm 52x65. Al centro verso destra: Pisis. In alto a destra: Rimini / [40 di cattiva lettura]. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 02698 Sandro Zanotto, Filippo de Pisis ogni giorno, Neri Pozza, Vicenza, 1996, p. 373, riferito al 1940: «Il 18 luglio è a Rimini in una “simpatica cameretta” all’albergo Montefeltro». Potrebbe essere l’ambiente nel quale dipinge questa natura morta. La luminosità è estiva, la luce risalta dalle tende bianche della finestra, giocando sul tavolo scuro con gli oggetti sparsi, descritti a rapidi colpi di pennello in un brillare di riflessi che rendono palpitante la stanza. 178 179 62 Ritratto maschile, 1941. Olio su carta applicata su cartone, cm 50x35. In basso a sinistra: Milano / Pisis / 41. Al verso: su cartone di supporto etichetta Galleria Biasutti & Biasutti, Torino. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 01443. Esposizioni Artefiera, Bologna, gennaio 2001, stand Galleria Biasutti & Biasutti, Torino Filippo de Pisis. Natura e contaminazione umana, a cura di L. Cavallo, testi di L. Cavallo e A. Alibrandi, Galleria Tornabuoni, Pietrasanta, 16 agosto-7 settembre 2001; idem, Zefiro Arte, Empoli, 29 settembre-27 ottobre 2001; idem, Galleria Il Ponte, Firenze, 10 novembre-29 dicembre 2001, riprodotto in cat. n. 18 Filippo de Pisis. La figura umana, a cura di L. Caramel e C. Gian Ferrari, Museo Mallé, Dronero, 21 aprile-8 settembre 2002, riprodotto in cat. p. 89. Si impone con fierezza la fisonomia del giovane, senz’altro bella e austera, colta con energiche colpeggiature e qualche durezza, che seguono e anche interpretano il volto con un irrobustirsi della vena declamatoria, quasi a sottolineare una personalità forte. I colori che prevalgono, blu-azzurro, bianco, bastano a condurre il gioco. Pagina di alta significazione espressiva, da porsi fra la migliore ritrattistica del periodo. 180 181 63 Natura morta, 1941. Olio su tavola, cm 29,2x44,5. Al centro, verso destra: Pisis / 41. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 02915. Piena di umori, densa di corpi plastici e di colori squillati; un saggio di come si può rendere godibile una natura morta tenendo insieme aroma di antico e palpiti moderni – ciò che prediligeva de Pisis collezionista di tele d’antiquariato. La forma che si alimenta di colore-materia e smargina conquistando spazio, mettendo in mostra il lavoro del pennello che coglie rapido i trasalimenti della luce. 182 183 64 Ritratto di ragazzo col garofano (1941). Olio su cartoncino applicato su tavola, cm 44,5x31,5. Sul lato sinistro: Pisis. Al verso: etichetta Galleria Martina, Torino. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 01539. Esposizioni Filippo de Pisis. Natura e contaminazione umana, a cura di L. Cavallo, testi di L. Cavallo e A. Alibrandi, Galleria Tornabuoni, Pietrasanta, 16 agosto-7 settembre 2001; idem, Zefiro Arte, Empoli, 29 settembre-27 ottobre 2001; idem, Galleria Il Ponte, Firenze, 10 novembre-29 dicembre 2001, riprodotto in cat. n. 16 Filippo de Pisis. La figura umana, a cura di L. Caramel e C. Gian Ferrari, Museo Mallé, Dronero, 21 aprile-8 settembre 2002, riprodotto in cat. p. 93. Il busto di ragazzo con berretto a visiera ha suggestiva ambientazione all’aperto. Pare una spiaggia il piano che dà sfondo al busto, la linea d’orizzonte ripartisce i due campi, terra e cielo, in giusta metà. Il garofano capovolto si ritrova, e nella stessa posizione, nella natura morta, La tempesta, 1937 (vedi n. 50). Anche in questa pagina, che abbiamo attribuito all’inizio degli anni Quaranta, l’aria è mossa, percorsa da brividi temporaleschi. La tonalità è come cosparsa di viola (ha scritto Raffaele Carrieri, Forme, Milano Sera, 1949, p. 145: «È come una musica di mandolini, un virtuosismo d’occhio e di mano. Traccia profili col clarino e li popola di non so quale erborescenza») e la superficie tutta sembra assumere riflessi da una siepe in fiore, da qui prende alimento cromatico e profumi. Gli occhi stellati, le grandi sopracciglia, la bocca sinuosa, il volto a calice – ma la figura richiama la clessidra, il tempo ancora... – pure questi elementi fisonomici quasi suggeriscono l’idea dello sbocciare, solo in quel momento, per poco, della forma, e la corruzione, del garofano capovolto, del giovane viso, della stagione, è appena oltre la soglia della pittura. 184 185 65 Fiori nello studio, 1942. Olio su tela, cm 60x56. In alto a destra: V.R. In basso a destra sul vasetto: Pisis 42. Esposizioni De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di L. Cavallo, Mazzotta /Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 115 De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di D. Tega, Galleria Tega, Milano, ottobre-novembre 1987, riprodotto in cat. n. 23 De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13 giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat. p. 177. Bibliografia G. Raimondi, Filippo de Pisis, Monografie d’arte di «Stile», a cura di V.E. Barbaroux e Gio Ponti, Garzanti, Milano, s.d. [1944], riprodotto tav. XLIX G. Ballo, Filippo de Pisis, Edizioni «La Simonetta», Milano, 1956, riprodotto tav. 57 (Natura morta con fiori) De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n.1942/71. Guido Ballo nella monografia 1956, cit., pp. 39-40: «Molte opere del periodo di via Rugabella, siglate V.R., sono tra le più intense di de Pisis; pur rivelando una continua tensione nel segno, ritornano alla larghezza delle strutture: ma decisamente in movimento, con tocchi eccitati, a volte addirittura frenetici, in una fuga musicale: chiusa nei richiami degli spazi risolti tendenzialmente in ampie superfici, nelle assonanze del colore […]. Il neo-barocchetto di de Pisis è concitato, ma rende sempre più autonoma l’espressività del colore, libero completamente da ogni tono locale: espressività che nasce non soltanto dal timbro, ma dagli spazi di un ritmo corsivo in cui vive il colore. In sostanza c’è sempre una sorta di contrappunto: tra le stesure di fondo, colorate o anche nude (ma già colore di larghe superfici), e i tocchi in movimento che animano e segnano i ritmi degli spazi. È un criterio di pura espressività: gli oggetti figurativi, con chiara coscienza critica, diventano emanazioni soggettive: pretesti lirici, vissuti tanto da diventare nuovo ritmo, nel segreto dell’inconscio e della mente più lucida. Interno con Cocò 186 (1940, coll. Jesi), Natura morta con fiori (1942, coll. Malavasi) […] sono esempi che possono definitivamente far superare il mito di un de Pisis dispersivo, facile o semplice pittore della sensazione.» 187 188 189 Un raro Autoritratto a pastello (1944). 190 Da Milano a Venezia Luigi Cavallo Il bombardamento di Milano dell’agosto 1943, che colpì anche la sua abitazione di via Rugabella, aveva spinto de Pisis a sgombrare dalla città. Il nuovo domicilio è a Venezia. Da qui l’11 settembre scrive a Demetrio Bonuglia: «Il mio nido di Milano è infranto. L’armistizio (in cui speravo) è arrivato troppo tardi. Per poco. La roba e i quadri sono salvi» (Lettere di de Pisis 1924-1952, a cura di D. Bonuglia, Lerici, Milano, 1966). Per de Pisis «pittore autobiografico», protagonista delle proprie opere, il trasferimento a Venezia, sotto la stretta degli eventi, significa differenti condizioni cromatiche, luminose, sonore, e motivi da un diverso ambiente umano. L’aspetto che possiamo chiamare biologico e psicologico dell’arte di de Pisis viene via via modificato e coltivato dal clima in cui vive; si potrebbero individuare le dominanti comuni ai gruppi di opere eseguiti nei vari luoghi. Anche se sostanzialmente il suo stile mantiene omogeneità per sviluppo e consistenza compositiva, le sollecitazioni locali consentono avvertibili variazioni, nel colore, nella saturazione luminosa, nei rapporti tra soggetto esterno e oggetto dipinto. Le città in cui si trova (o le sue consuete stazioni, l’Adriatico, il Cadore) talvolta sono cesure che chiudono e aprono i periodi della sua pittura. Certo di Venezia e della pittura veneta l’opera intera di de Pisis è profondamente intrisa. Ma ora la presenza si fa più a ridosso e dilaga. I suoi dipinti, anche di natura morta, di fiori, acquistano, rispetto a quelli della stagione di via Rugabella (ma negli anni di guerra 1944-1945 ancora prevalgono i neri) un aspetto più chiaro, trasparente; palpitano di luce friabile. La sua pagina perde qualcosa in drammaticità sonora ma ha maggior senso di astrazione. Sembra non aver alcun bisogno di cose reali. Sembra che le cose si sciolgano, corrose dalla luce, da una grafia iridescente. Per conoscere anche letterariamente cosa sia Venezia per de Pisis, il suo libro, curato da Bona de Pisis e Sandro Zanotto, Ore veneziane (Longanesi, Milano, 1974) è guida inestimabile. Presentando una mostra di De Pisis a Venezia (dipinti provenienti da collezioni veneziane, Comune di Venezia, Assessorato alle Belle Arti, Casinò municipale, 8 dicembre 1968-6 gennaio 1969), Guido Perocco ha ricostruito i rapporti del pittore con la città: «Venezia tra le tante città è particolarmente vicina all’arte di de Pisis e in nessuna, forse, l’artista si sentì così felice [...]. De Pisis amava attirare l’attenzione sulla sua persona e a Venezia questa attenzione si accentra facilmente [...]. De Pisis aveva [...] la tavolozza, il pappagallo e perfino la gondola con lo strascico di seta. Poteva lavorare circondato dalla gente che vedeva nascere un suo paesaggio da un gesto così infallibile e sicuro [...] ancora ragazzo, a sedici anni, nel 1912 venne a Venezia accompagnato dal padre: uno di quegli incontri che restano indimenticabili. Poi nel 1916 ritornò per una visita di controllo per il servizio militare. Nel 1919 sono ricordate alcune pagine inedite su Venezia [...]. Ritornava a Venezia spesso d’estate a visitare le varie Biennali [...]. Nel [...] 1943 l’artista venne a stabilirvisi e rimase fino al 1948; [ ...] per la prima volta in vita sua, dopo tanto girovagare per 191 Parigi (1947-1948). 192 il mondo, comperò una casa a San Sebastiano [chiamata anche S. Bastian], dove il rio di S. Basegio s’incontra con il rio dei Carmini. Poco dopo venne ad abitare con lui la nipote Bona de Pisis [...]. Si recava ogni giorno nello studio a S. Barnaba, in uno degli angoli più deliziosi di Venezia: da un lato dello studio vi sono le absidi dei Carmini e il campanile di S. Sebastiano, dall’altro lato si specchiano nel rio il campanile di S. Barnaba e in fondo, al di là del Canal Grande, quello di S. Samuele. Tutti luoghi dipinti con amore da de Pisis [...] i luoghi preferiti: S. Vidal con il piccolo campanile romanico appoggiato all’altissima chiesa settecentesca, la cupola verde rame di S. Simeone, le facciate barocche di S. Moisè, di S. Maria del Giglio o degli Scalzi, il Canal Grande dal ponte dell’Accademia, la grazia inimitabile della Chiesa della Salute, il profilo di S. Giorgio nella prospettiva del Bacino di S. Marco, i campielli più riposti come S. Giacomo dell’Orio, S. Stin, S. Lorenzo.» De Pisis va alla ricerca di una sua immagine rara in un luogo saccheggiato dai pittori, e già anche dai fotografi, con l’impegno non poi tanto recondito di ridare sfarzo al clima e alla luminosità antica. Gli scorci sfocati in occasionali variazioni strutturali sono riscattati da una precisa ricerca di idee-emozioni, che quasi abbagliano nella carica emotiva che la grafia pittorica mantiene alla narrazione. Una oggettività polivalente, una partecipazione vitale e allegorica dell’autore alla tela gonfia di impennate poetiche, personaggi e architetture vive in fuga sopra un raso chiaro. 193 De Pisis come lo descrive Valsecchi, 1954. 194 Bellezza, emozione piena Cesare Zavattini De Pisis l’ho praticato poco o niente e purtroppo non conosco neppure le sue elogiate poesie. Una volta sola scrissi di lui per ricordarlo alle nozze di Alberto Mondadori che mangiava in piedi una fetta di torta, c’era lui solo e la torta mentre gli altri lo urtavano nel passargli vicino; quando ebbe finito andò a deporre il piatto e dopo si aggirava fra gli invitati sorridente con le mani alzate come un cinese muovendo le dita gentilmente per liberarsi dell’appiccicaticcio. Lo incontrai anche all’albergo Colonna con una vestaglia di seta rosso cupo dove uno strappo pareva fatto apposta, e infine nella sua ultima dimora lombarda cinque o sei anni fa dove stava sempre tutto agitato nell’attesa di una cosa che non si capiva; stava tra le sue tele nuove, belle, delicate però sbiancate rispetto a prima quasi che nell’impasto ora entrasse un po’ di calcina. Per me, non c’è un solo quadro di de Pisis che non mi faccia trasalire e subito dico mi piace, lo ripeto infantilmente, mi piace, mi piace, mi piace, è un trasalire dei sensi per cui potrei dire che io li guardo con la lingua i suoi quadri ma la lingua i polpastrelli delle dita le labbra sono in quel momento incorruttibili come certi oggetti investiti dal sole in un’ora favorevole. Si vorrebbe essere spremuti da un tubetto di de Pisis e lasciati lì sulle spiagge tra quelle sue mandorle in primo piano che ho visto da Chiurazzi giorni fa in cui tra la scorza e il frutto con una pennellata da niente fa vedere – io non l’avevo mai visto – che c’è del bianco tenero che esprime l’alba d’una stagione. Non ho vergogna di ripetere che mi si muove la lingua le mani tutto davanti a uno qualsiasi dei suoi quadri come fossi una tastiera percorsa da un colpo di vento. Ancora un attimo e la sua materia così buttata poteva colare giù ma egli la ferma un fiato prima. Comincia insomma la sua opera forse con ingordigia e la finisce sempre nell’astinenza, e questo press’a poco è lo stile, che de Pisis ha avuto subito dalla natura come il respiro. «Ricordo di de Pisis», in Ricordo di de Pisis, Carlo Colombo, Roma, 1956. 195 A Brugherio, il crepuscolo del poeta Marco Valsecchi Vallecchi mandò i volumi delle Poesie, proprio allora usciti dai torchi; Codignola acconsentì a trasferire di Ivrea la mostra dei ritratti ordinata dal Raimondi per il Centro Olivetti; e infine il Ghiringhelli mise a disposizione la galleria. Quella sera stessa potei così telefonare a Brugherio e comunicare a de Pisis che la lettura sarebbe stata fatta, realizzando un suo desiderio. Mi rispose, all’altro capo del filo, la sua voce stanca: «Sto male, caro, non mi aspettate...» Tuttavia andai a prenderlo. Era un pomeriggio piovoso, il vento sbatteva la pioggia sull’asfalto e le strade di Brugherio apparvero deserte come nei crepuscoli invernali. Pensavo già di dover tornare a Milano e di presentarmi agli amici radunati, senza de Pisis; e il malumore si impossessava di me, per quella lettura di versi che, senza di lui, sarebbe apparsa una squallida commemorazione. Invece lo vidi dentro lo sguancio della porticina di Villa Fiorita, che si proteggeva dalla pioggia e mi aspettava impaziente. Aveva messo un abito scuro col nodo della cravatta nera un po’ allentato sotto il colletto floscio; in testa aveva messo, invece del solito basco, un berretto da ciclista. Mi fece un cenno di mano e venne avanti diritto nella pioggia, incontro all’auto. Ebbe piacere che l’autista gli aprisse la portiera, togliendosi il cappello: «Grazie, caro – badava a dirgli – grazie... » Passammo da Monza e ci fermammo a prendere un cappuccino al bar del Broletto, dove era solito sedere qualche tempo quando usciva a passeggiare; si fece portare una fetta di panettone, che immerse con visibile golosità nel caffellatte, e ripartimmo. Aveva l’occhio calmo, si era fatto la barba e teneva le sue grosse mani sui ginocchi. Gli dissi che avrebbe incontrato Solmi, Vittorini, Marino Marini, Carlo Bo; e assentiva col capo. In via Bigli salì le scale come fossero uno scalone principesco durante una festa di corte; e volle vedere prima i suoi dipinti. Li riconobbe uno per uno, «questo è un bel de Pisis – diceva, oppure – un nero così lo faceva Manet», e disse di chi erano quei volti, dove li aveva dipinti. Dinanzi al ritratto emaciato di una specie di beato Labre, disse di averlo incontrato a porta Venezia e di averlo tenuto in via Rugabella per due giorni, poi sparì. Anche Carrà era uscito di casa, malgrado la pioggia, e si salutarono. Carrà parlava con la sua voce d’orco, de Pisis gli rispondeva con una voce in falsetto, e fecero insieme il giro delle sale. Poi Paolo Grassi fece le presentazioni dei due attori del Piccolo Teatro e fattosi il silenzio in sala cominciò la lettura. Gli attori ebbero la gentilezza di non alzare le voci, di parlare quasi più che leggere, spegnendo le cadenze vibrate. De Pisis si era seduto in prima fila, a fianco gli stava Codignola e dietro aveva il Mazzotta, un suo collezionista. Io lo guardavo di lato, senza che se ne avvedesse; seguiva con le labbra la dizione degli attori, anticipando di un soffio le loro sillabe, e con un leggero battito della mano abbandonata in grembo quasi ne dirigeva il flusso. Ogni poco assentiva anche col capo e si volgeva a guardare ora Bo e ora Carrà. Sul libro dell’attrice, prima di partire, volle lasciare un 196 autografo, ed era un verso in cui parlava di rondini. Ora la sera era caduta e le luci di Milano splendevano sul bagnato. Quel fiume di fuoco ci accompagnò per tutto il corso Buenos Ayres, si spense oltre il viadotto ferroviario di viale Padova; gruppi di operai in bicicletta sfilavano dietro la macchina in corsa. Le siepi e gli alberi madidi di pioggia splendevano di mille gocciole, guizzi veloci e barbagli sotto i fari dell’auto. Seduti al buio intravvedevo appena il profilo magro di de Pisis contro il vetro, eretto, con l’ala del berretto che gli copriva d’ombra gli occhi. Non ci dicemmo niente per tutto il tragitto. Si trattenne per un poco dinanzi al cancello della Villa a passeggiare in su e in giù. Disse che desiderava sgranchirsi le gambe; ma con l’occhio guardava in fondo alla strada dove correvano le biciclette a frotte. Poi mi porse la mano e, «grazie, caro», varcò la soglia, sparì nel buio del cortile. «Sera del 24 aprile 1954», in Ricordo di de Pisis, Carlo Colombo, Roma, 1956. 197 66 Piazza San Marco (1943). Olio su tela, cm 64,5x89,5. In basso a destra: de Pisis. Al verso: sul telaio etichetta Galeria Bonino, Buenos Aires. Esposizioni Collection Acquarone. Pintura italiana contemporanea en commemoracion del VII centenario de Dante, Museo Nacional de Bellas Artes, Buenos Aires, luglio-agosto 1965, in cat. n. 74 Venezia e oltre. XVIII-XX secolo. Arte nei secoli a confronto, a cura di M. Fagioli e R. Ferrario, Farsettiarte, Cortina d’Ampezzo, 26 dicembre 1998-10 gennaio 1999; poi Prato, 14-18 gennaio 1999, riprodotto in cat. n. 18 Sognare la natura. Il paesaggio nell’arte a Milano dal novecento all’informale (19191959),a cura di E. Pontiggia, Casa del Mantegna, Mantova, e Torre Civica, Medole, 4 settembre-31 ottobre 1999, riprodotto in cat. p. 86 Golden Venice da Guardi a Fontana, testi di F. Farsetti e M. Fagioli, schede di F. Marini e M. Fagioli, Farsettiarte, Cortina d’Ampezzo, 9 agosto-2 settembre 2007; poi Milano, 19 settembre-4 ottobre 2007, riprodotto in cat. n. 11. Scheda di Francesca Marini per il catalogo 2007, cit.: «È il valore dell’aria e dell’atmosfera che sembra frantumare l’immagine di questa piazza San Marco di Filippo de Pisis, svolta dall’artista restituendo la poetica allusione del campanile, della facciata della basilica e del movimento dei piccioni e dei passanti, e infine quello dei turisti intenti ad ammirare la bellezza della piazza; elementi visivi che sembrano riformulati pittoricamente dall’artista-intellettuale ricorrendo alla lezione dei maestri ideali, sfruttando un doppio registro: quello formale, espresso nella ripresa di proficui elementi stilistici, e quello storico, attuato scegliendo maestri filologicamente connessi con la città della laguna. I tocchi febbrili di Guardi, le piazzature atmosferiche dei cieli tiepoleschi, e poi Turner, citato da de Pisis a proposito di Venezia fin da un appunto del 1922, per essere studiato poi più direttamente durante i soggiorni londinesi del 1933 e del 1935 durante i quali egli rileva l’analogia tra l’umida atmosfera londinese e lo sfumare dei volumi lagunari. Proprio questo è uno degli aspetti visivi della città che sembra lo avesse maggior- 198 mente colpito, come avrebbe spiegato in un’intervista rilasciata nel 1944, nella quale affermava: “Le prospettive esatte di Venezia sono a fuoco solamente sui rii. Le calli, le fondamenta hanno ancora troppo legname, troppa materia di consuetudine; a Venezia si addice soprattutto il fluido e fresco silenzio dei suoi canali” (F. de Pisis, 12 novembre 1944). Lo stretto rapporto tra l’attività pittorica e la consistente produzione scritta di de Pisis ha permesso di scoprire l’interdipendenza delle due discipline nello sviluppo della poetica dell’artista, ed è per questo che proprio quel “fresco silenzio” veneziano sembra aver favorito de Pisis nella creazione dei molti scritti legati alla città lagunare e nel fissare sulla tela, lasciata nuda, l’immagine di piazza San Marco, quale attimo felice di una giornata, tracciato come un’illuminazione balenante e passeggera. Un processo creativo spiegato in una poesia composta a Venezia e intitolata “Bene che cerco”, nella quale con pochissime parole 1’artista descrive la genesi della sua pittura: “Bene che cerco / dove sei? / [. .. ] / non è / sterile il pianto / di un poeta / e quando appari / un attimo basta / e la mia opera / bella e pura / è nata” (F. de Pisis, Cattività veneziana, Milano, 1966, p. 47). Cartolina di de Pisis, da Venezia, S. Barnaba, datata «30.7 [4]3», a Giovanni Cavicchioli. 199 67 Il gondoliere (1944). Olio su cartone, cm 50,5x27,5. In basso a destra: S.B. / Pisis. Al verso: timbro Galleria del Milione, Milano, con n. 4411. Esposizioni 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. tav. LXXXIV (1941). Costruito con colori di cenere e calce; l’emozione di un momento trova, anche per questa parsimonia cromatica, estensione armonica, qualcosa che dallo sciacquio delle calli, dai riposanti vapori serali dell’acqua, da un lontano battito d’ali il pittore ha trasfuso facendo praticare vie sommesse: protagonista è l’evocazione. 200 201 68 Ritratto (1944). Olio su tela, cm 45,1x35,1. In basso a destra: Pisis. A sinistra: S. B. Al verso: timbri Galleria Zanini, Roma. Attribuito al 1944, fa parte di una galleria di ritratti, tematica meno frequentata da de Pisis, che è stata proposta nella mostra Filippo de Pisis. La figura umana, a cura di Luciano Caramel e Claudia Gian Ferrari, Museo Mallé, Dronero, 21 aprile-8 settembre 2002. Sono da tener presenti non tanto, non solo, le più celebrate facoltà del pittore; qui entra in gioco anche la capacità di valutazione psicologica dei personaggi, un lavoro di scavo in diretta partecipazione con il modello scelto. Giuseppe Raimondi nella monografia del 1944 (Garzanti, Milano) affronta i problemi di costruzione e di stile, ormai definiti in quegli anni: «Il punto d’attacco dell’arte di de Pisis con la tradizione italiana, è rintracciabile in qualcosa di pungente, di estroso e quasi volante che traspare dal carattere, fisico e materiale, del suo stile. Quel bizzarro, e impetuoso suo segno che si è detto, dotato di una incurvatura di sapore anacronistico, così rapido e preciso nel realizzare la forma, quell’urgenza sfrenata per cui, anche nelle sue tele, i tratti sono fermati, tracciati con segni quasi di penna, macchiati, accennati sommariamente. Egli scrive in punta di pennello. Macchiare, si direbbe proprio il suo tratto, ed è un gusto un poco veneto; conservando qualcosa della furia del disegno, più lieve e corrente nelle parti restanti, ma in qualcuna, nello scavo di un’orbita, nella curva di una bocca, nel forare di un orecchio, affondati nel nero dell’ombra più nera. Ferrarese, de Pisis, è bene l’erede del padano Guercino, maestro della “grande macchia” nel disegnare. E, messo su questa strada gli dev’essere riuscito agevole di tradurre un tale istinto in una materia pittorica accortamente fluida, ma non troppo, di tocco più che d’impasto, insomma plastica, esprimente il senso un poco arso di bassorilievo sbozzato in creta. Così, si può dire elusivamente, egli ha realizzato una specie di nuovo barocco, applicato su una materia magra e asciutta, prodotto di un temperamento intellettivo. Un barocco senza scorci, volute e sforzature, ma di una spietata tensione nel concepimento 202 e nell’impianto dell’opera. Animato da una vitalità dispersiva, e quasi microbica; atmosferico, addirittura pulviscolare. Ma senza faticosi impasti di, colore; anzi pulito, scabro, e con un senso di arsura quale emana da una tempera di Tiepolo, nella quale si avverta il tepore del tono riscaldare lo strato di gesso.» 203 69 Fiori, 1945. Olio su tela, cm 100x70. In alto a destra: Pisis 45. In alto a sinistra: S.B. Esposizioni De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 118 De Pisis, a cura di C. Gian Ferrari, coordinamento F. Farina, Palazzo Bellini, Comacchio, 12 luglio-22 settembre 1986, riprodotto in cat. p. 114, n. 95 (Fiori sul tappeto persiano) De Pisis, a cura di C. Gian Ferrari e C. Spadoni, Galleria Trimarchi, Bologna, novembre 1986, riprodotto in cat. De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13 giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat. p. 197 (Fiori sul tappeto persiano) De Pisis. Dalle avanguardie al «diario», a cura di R. Barilli, B. de Pisis, C. Gian Ferrari, A. Monferini, F. Tibertelli, L. Velani, testi di vari, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 6 febbraio-12 aprile 1993, riprodotto in cat. n. 105 De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat. n. 87. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1945/32. Giovanni Testori a recensione della mostra di Comacchio 1986, cit. («De Pisis, la leggerezza tragica», Corriere della Sera, Milano, 1° agosto 1986) scrive dello «svirgolante insormontabile cloisonné nero che la lingua dell’ombra lascia attorno agli oggetti leggeri di de Pisis come una bava atroce, una pece dura». Claudia Gian Ferrari nel catalogo di Comacchio aveva arricchito il titolo del quadro: Fiori sul tappeto persiano. C’è, in effetti, fra tracciature scure, neri che danno più smalto alle luci, l’andamento di un addobbo prezioso, tessitura piena di colori in questa tela celebrativa della bellezza. Nasce a Venezia, come si vede dalla sigla «S.B.», nutrita dagli splendori orientali della Sere- 204 nissima e dall’antico amore per le magnificenze della natura. Reperti recisi dell’universo ammirevole che si possono portare in casa; de Pisis con queste sue opere narra di bellezza senza pudorosi ritegni. 205 70 Natura morta (1945). Olio su tela, cm 55x71. In basso a destra: de Pisis In basso a sinistra: S.B. Archivio Associazione per il Patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 02125. Giovanni Testori in «De Pisis, la leggerezza tragica», Corriere della Sera, Milano, 1° agosto 1986, ha toccato «il lato nero, il lato frivolmente, ma inesorabilmente umbratile, notturno, quando non tragico, della poetica del maestro». Ed è un dato ricorrente fin dal primo periodo, e che si rende con ancor più teatrica evidenza negli anni della guerra e del primo dopoguerra. Per Testori «il timbro memorabile» è nel de Pisis «dalla materia combusta, incarbonita, arsa ed ardente, bruciata e bruciante; dalla materia, talvolta, perfidamente innamorata di sé, ma anche del suo fatale cinereo finire […] contro la favola d’un suo presunto neo-impressionismo, il de Pisis inventore del gran nero dell’ombra; ombra che, qui, sembra mangiarsi, roditrice imperterrita, tutta la luce della realtà. Quasi che la realtà, per de Pisis, esistesse solo in quanto gli permetteva di stampare sulla terra, sulle rive dei mari, sui tavoli o dentro gli occhi dei suoi ragazzi e dei suoi giovani innamorati e perduti, la di lei orma inchiostrata; quasi fosse proprio quell’orma ciò che de Pisis soprattutto intendeva farci conoscere ed amare.» 206 207 71 Il ponte di Rialto (1947). Olio su tela, cm 65,2x100. In basso a destra: Pisis. Sul lato destro al centro: S.B. Al verso: sul telaio timbro Galleria Gissi, Torino, con n. 3642; etichetta frammentaria «Mostra d’Ar[te Itali]ana / in Svizzera»; etichetta e timbro La Nuova Bussola, Torino; etichetta «Comune di Ferrara / Museo d’Arte Moderna e Contemporanea / “Filippo de Pisis” / Mostra del I° Centenario / della nascita di Filippo de Pisis / 1896 -1996»; etichetta Galleria Galatea, Torino. rifrazione ipertesa, immobile alla fine, di macchiette, di pali, di riflessi. Il Settecento veneziano gli è presente più che mai». Il quadro è attribuito da Arcangeli al 1944; plausibile la rettifica di Ballo al 1947, accolta anche da Briganti. In certi paesaggi di Milano del 1947 de Pisis sembra inte- ressato a serrare e consolidare la forma, ma qui – Venezia consente la trasformazione – rende la forma liquida, la disfa in una cascata di luce sulfurea; si vede come un foglio messo in trasparenza contro sole, ne risultano i profili grafici, quanto sta oltre la definizione, sul limitare del sogno. Esposizioni Ricordo di Filippo de Pisis, Galleria Philippe Daverio, Milano, dal 29 aprile 1981, cartolina nel portfolio De Pisis, a cura di A. Buzzoni, testi di vari, Palazzo Massari, Museo d’arte moderna e contemporanea Filippo de Pisis, Ferrara, 29 settembre 1996-19 gennaio 1997, riprodotto in cat. p. 99, n. 70. Bibliografia G. Marchiori, «Filippo de Pisis», Stile, Milano, marzo 1946, riprodotto p. 28. F. Arcangeli, «Appunti per una storia di de Pisis», Paragone, Firenze, luglio 1951, p. 44, riprodotto tav. 21 (1944) G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 444 (Venezia) De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1947/97. Francesco Arcangeli nel saggio 1951, cit., p. 44: «sulla fine del ’43, de Pisis si trasferisce a Venezia. Non sarà facile dire se questi anni veneziani abbiano aggiunto qualche novità sostanziale all’arte del pittore; quand’anche si dovesse rispondere di no, si era già tanto allargato il raggio della sua poesia, del suo mondo, che basterebbe la rievocazione di tanta ricchezza in nuovi timbri a sostenere la qualità. Ed è quello che accade. L’anno ’44 è splendido di capolavori. […] non posso a meno di presentare questo mirabile Ponte di Rialto (tavola 21), ripresa del momento più rapito della fantasia di de Pisis, ma ora entro un’aria esaltata, allucinata, rarefatta, dove l’agitazione del pennello corre, frenata entro uno scheletro splendidamente calibrato, quasi sulle canne di un organo: Guardi, sta bene, ma come trasfigurato entro questa 208 Autografo di de Pisis sulla fotografia: «S. Bastian / casa de Pisis». È il palazzetto con i tre archi, dietro il ponte. 209 72 Natura morta (1947). Olio su tela, cm 75x90. In basso a destra: Pisis. In centro verso destra: Pisis. In basso verso sinistra, sul piano: S.B. Archivio Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis, Milano, n. 02418. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1947/71. Eseguito a Venezia, a San Barnaba o a San Bastian, nell’immediato dopoguerra, appena de Pisis, lasciato lo studio bombardato di Milano, prese stanza nella città lagunare. Immagine concepita in modo esemplare per la poetica depisisiana. La campitura del cielo, il vuoto, prevale sul pieno – secondo quanto suggerisce l’architettura veneziana – e anche il soggetto è inventato in qualità di forma tutt’altro che plastica: quattro cozze sull’angolo della tavola, una granseola al centro, un drappo o sciarpa spiegazzata da cui spunta come la copertina di un libro con il nome dell’autore, Pisis, stampato nel corpo della composizione. Nell’insieme condotto con larghezza tiepolesca il pittore firma anche l’aria che circola nella pittura che si fa spirituale; un’altra volta «Pisis», corsivo, all’angolo destro della tela che fa ripiano e vola con quelle ali di uccello disseminate nelle macchiature sovrastanti. Persino il piano – una tela tirata su telaio con bene in vista i chiodi che la fermano nel bordo – su cui sono deposti gli oggetti in confusa occasionalità, sembra negarsi a precise geometrie: il rettangolo si apre nei profili, mostra ampie trasparenze e sgorature. Il colore è caldo, acquarellato, e freme sotto una spinta vitalissima, porta altrove, non riempie, scorpora piuttosto, perché le apparenze divengano partitura, e la presenza delle cose fisiche si faccia pretesto per scomporre, tramutare quell’unità e affidare il quadro, la sostanza dipinta, solo alla collimanza con i toni melodici; musica che si sostituisce alla figurazione, che dalla figurazione assume valori ineffabili. 210 211 73 Milano, 1947. Olio su tela, cm 75,3x55,5. In basso a sinistra: Pisis 47. Esposizioni 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. tav. CLXXXVII L’Uomo e lo Spazio. Estetiche della percezione, a cura di V. Coen e G. Martinelli Braglia, Centro d’Arte e Cultura, Chiesa di San Paolo, Modena, 16 dicembre 20064 febbraio 2007, riprodotto in cat. p. 71, scheda di L. Silingardi. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1947/55 Centottanta opere, a cura di D. Severi e G. Tega, testi di V. Coen, schede di S. Foglia e C. Miramonti, Galleria Tega, Milano, 2005, riprodotto p. 121. Anno di spostamenti continui il 1947. Roma, Milano, Parigi… de Pisis è inseguito dalla sua inquietudine, eppure qui lo scorcio milanese è colto con architettura ben ferma, studiata sul vero, presa d’un colpo, ma con prospettiva così precisa da ricordare le vedute di Parigi che Utrillo copiava dalle cartoline. L’aria è tersa, felice il ritmo dei passanti; sosta un’auto sul marciapiede a sinistra. Il cartello tondo con divieto di sosta è nota di colore rosso fissa nelle pareti muschiate verdi. De Pisis abita la sua visione/illusione e ne è abitato, si affaccia nella città prendendone possesso da signore. Scrive un suo collega fiorentino, Gastone Breddo («De Pisis e la pittura contemporanea», Le Tre Venezie, Padova, ottobre-dicembre 1947, pp. 363364): «L’urgenza di cogliere ogni particolare che ha toccato l’emozione del pittore non dà luogo a trascrizioni ma diventa immagine, seguitando quella imponderabile corsa interna e salvandosi, ineffabile, nel suo abbandono nell’amore delle cose. […] è sempre la fantasia che gli fa sottrarre elementi al mondo prelevandoli vivi, freschi, palpitanti, quindi anche il legame che esiste fra loro nel quadro è irrazionale, fantastico, poeticissimo. Fra gli equilibri più instabili, fra gli etimi più svariati, de Pisis 212 imposta una sorta di coerenza che oggi ha pochi paralleli in Italia. […] occorre dire che non ci sono oggi troppi paragoni validi di pittori che ogni cosa sappiano mutare in altrettanta pittura, vedere il mondo così profondamente sotto la specie della pittura, quanto de Pisis.» 213 74 Baracche nel cortile, 1948. Olio su tela, cm 65x81. In basso a destra: […] 48 Pisis. Esposizioni Mostra di Filippo de Pisis, Galleria La Chiocciola, Padova, 24 ottobre-8 novembre 1964; riprodotto nel libro edito in occasione della mostra, Neri Pozzi, 1965, vedi Mostra dell’opera pittorica e grafica di Filippo de Pisis, a cura di L. Magagnato, M. Malabotta, S. Zanotto, Palazzo della Gran Guardia, Verona, 12 luglio-21 settembre 1969, in cat. n. 233 (1947) Filippo de Pisis, testi di vari, Galleria dello Scudo, Verona, 25 novembre 1978-7 gennaio 1979, riprodotto in cat. (1947) De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 120 De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di D. Tega, Galleria Tega, Milano, ottobre-novembre 1987, riprodotto in cat. n. 26 Primo ’900. Partecipazione e solitudine dell’arte. Balla Boccioni Carrà Casorati de Chirico Sironi Morandi de Pisis Campigli, a cura di C. Panepinto, Castello Monumentale, Comune di Lerici, 7 luglio-6 ottobre 1991, riprodotto in cat. p. 93, n. 57 Genius. Primato degli artisti italiani del Novecento, a cura di F. Gallo, Cripta del Collegio, Siracusa, 18 settembre-30 ottobre 1997, riprodotto in cat. p. 76, n. 28 De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat. n. 91. Bibliografia Dipinti, disegni, litografie, manoscritti inediti di Filippo de Pisis, con una poesia di D. Valeri, una postilla di G. Raimondi, note biografiche e catalogo manoscritti inediti di S. Zanotto, Neri Pozza, Vicenza, 1965, riprodotto tav. 11 e in sopraccoperta (Parigi: Montmartre, 1928) De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1948/41. Il pittore è a Parigi nel 1948, fino a maggio; in questi primi mesi dell’anno può essere collocata l’opera. Dino Tega, nel catalogo del 1987, cit.: «Baracche nel cortile è un dipinto che fa certamente parte di quelli eseguiti in questo fugace viaggio a Parigi. Vi 214 si riconosce l’ambiente; lo evidenziano il movimentato disegno delle piccole costruzioni in primo piano ed il largo pennellare del cielo a toni degradanti in azzurro. La scena è calda e richiama vecchi quadri dipinti in precedenza in banlieu con tocco preciso. Tutto rnagistralmente descritto con chiarezza senza ambiguità. Di misura importante». 215 75 Cortile a Brugherio, 1948. Olio su tela, cm 54x73. In basso a destra: Brugherio / Pisis 48. Dichiarazione su fotografia di Demetrio Bonuglia, Roma, 16.10.1982. Attilio Podestà nella presentazione in catalogo De Pisis nelle collezioni genovesi, La Rinascente, Genova, 5-22 aprile 1965: «Negli anni veneziani del dopoguerra la pittura di de Pisis si fa ancora più libera e sicura e si decanta e si purifica, in sintesi guardinghe e misurate, in colori trasparenti, viola scialbati, rosa romantici, bianchi argentei, su una trama compositiva di una elementare essenzialità, negli anni di sofferenza nella clinica di Brugherio.» 216 217 76 Natura morta (1950). Olio su tela cartonata, cm 10x20. In basso a sinistra: V.F. In basso al centro: Pisis. Al verso: timbro Galleria Tega, Milano. Esposizioni De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 121 De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di D. Tega, Galleria Tega, Milano, ottobrenovembre 1987, riprodotto in cat. n. 28 (Natura morta marina). Dino Tega nel catalogo del 1987, cit.: «una piccola Natura morta marina del 1950 […] è dipinta quasi a ricordo di tutto un programma. Due frutti sulla spiaggia e la ben conosciuta linea del mare color bleu di Prussia, suggellano un’epopea». Da Villa Fiorita de Pisis immagina la brezza marina, e ne fa sentire l’onda di nostalgia; mela e limone sulla spiaggia, qualche uccello che ha la libertà del cielo. Al poeta serve davvero poco per illudersi. 218 219 77 Natura morta con conchiglie (1952). Acquarello su carta intelata, cm 45x60. In basso a destra: Pisis. Al verso: timbri Galleria d’arte antica e moderna di Dino Tega, Riccione. Dichiarazione su fotografia di Demetrio Bonuglia, Roma, 9.5.1981. Esposizioni De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 158 De Pisis. Opere su carta 1913-1953, a cura di E. Pontiggia e P. Thea, Galleria d’arte moderna, Milano, 19 settembre-18 novembre 1985, riprodotto in cat. n. 33 De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di D. Tega, Galleria Tega, Milano, ottobrenovembre 1987, riprodotto in cat. n. 29 (1951) Pittura e realtà, a cura di A. Buzzoni, F. D’Amico, F. Gualdoni, Palazzo dei Diamanti, Ferrara, e Palazzo del Governatore, Cento, 28 febbraio-30 maggio 1993, riprodotto in cat. p. 268, n. 196 (1951) De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat. n. 44 (1951) Demetrio Bonuglia nella dichiarazione su fotografia del 1981: «La Natura morta marina con conchiglie sulla spiaggia […] anche secondo notizie attendibili, fu eseguita dal maestro de Pisis a Villa Fiorita, la casa di cura presso Monza (Brugherio). Ed è, a mio avviso, tra le ultime estreme sue cose, del ’52 o ’53. Dello stesso tempo in cui dipinse la bellissima Natura morta con la penna (v. catalogo della Mostra di Verona di Filippo de Pisis, 1969), alla quale bisognerà, sempre a mio avviso, rifarsi per comprendere questa finale espressione dell’arte di de Pisis, in cui gli oggetti rappresentati, come nella natura morta di cui retro, appaiono in una luce ed in uno spazio nuovi “come se sull’improvviso rarefarsi intorno ad esse dell’atmosfera e dello spazio cognito, ciascuno di essi avesse assunto una essenzialità assoluta”.» Le attribuzioni di data, 1952 o 1951, sono ambedue plausibili; siamo comunque nell’ultimo lembo creativo di de Pisis che 220 usa colori all’acqua, più leggeri da manovrare, e un tono monocromo che per virtù essenzialmente lirica infonde all’immagine pregio pienamente pittorico e anzi esalta quel senso di sconfinamento, aria luminosa per cui le forme si fanno trasparenza. 221 78 Natura morta con calamaio, 1952. Olio su tela, cm 40x50. In basso a sinistra: V.F. [Villa Fiorita] / 52. In basso al centro: V. / Pisis. Al verso: etichetta Galleria Annunciata, Milano n. 04165, con timbro; timbro Galleria Selecta, Roma, con n. 02203; timbro Galleria R. Rotta,Genova. Esposizioni 100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G. Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973, riprodotto in cat. tav. CXII Filippo de Pisis. Venti opere vent’anni dopo, testo di E. Natali, Galleria Falsetti, Focette, 3-29 luglio 1976, riprodotto in cat. n. 19 Filippo de Pisis, testo di L. Carluccio, Palazzo Liceo Saracco, Acqui Terme, 5 agosto-10 settembre 1978, riprodotto in cat. s.n. De Pisis a Villa Fiorita, a cura di C. Levi, Galleria dell’Oca, Roma, novembre 1981, riprodotto in cat. quarta di copertina De Pisis, a cura di G. Briganti, Palazzo Grassi, Venezia, 3 settembre-20 novembre 1983, riprodotto in cat. p. 162, n. A 3 Aria d’Europa. De Chirico de Pisis, a cura di L. Cavallo, collaborazione di O. Nicolini, Galleria Farsetti, Milano, Focette, Cortina d’Ampezzo, Prato, giugno-settembre 1987, riprodotto in cat. p. 89, tav. XV «Le joli secret» di de Pisis. Venti opere, Galleria Farsetti, Milano, 11 giugno-4 luglio 1991, senza catalogo De Pisis a Brugherio (1949-1953). I capolavori del dolore, a cura di D. De Angelis, testi di D. De Angelis, N. Naldini, C. Levi, Biblioteca Civica, Palazzo Ghirlanda, Brugherio, 20 settembre -24 novembre 1996, riprodotto in cat. n. 44 De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi, E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti, M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, Torino, 14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat. p. 37 e p. 214, n. 99. Bibliografia De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991, n. 1952/21 Catalogo De Pisis a Ferrara. Opere nelle collezioni del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea Filippo de Pisis. Catalogo generale completamente illustrato, direttore della mostra A. Buzzoni, coordinamento 222 scientifico B. Guidi, Palazzo dei Diamanti, Ferrara, 12 marzo-4 giugno 2006, riprodotto p. 33, n. 15. Nella casa di cura di Villa Fiorita a de Pisis avevano risparmiato uno stanzino-serra per dipingere. La sua ultima camera melodrammatica ormai spoglia: gli oggettini nei quadri sono gli stessi della sua vita d’ammalato; qualche boccetta, tubetti, scatolette di fiammiferi, matite, stecchi; sembra dipinga con inchiostro e dentifricio, una carestia di materia che rende le sue pagine ancora più tenere e lampeggiate di quel dramma che rispecchia l’intima sostanza dell’uomo, ma con la grazia di chi accondiscende, fino all’ultimo a tenere un diario delle proprie sensazioni poetiche: dipinto come accadimento vitale, ancora, estremo saluto dell’essere al mondo che l’ha accolto. Forse la grandezza di de Pisis è soprattutto in questo fine di giornata, in questa concordanza misteriosa con la luce, con la dispersione della luce in cenere. Pier Giovanni Castagnoli nel testo «Apertura su de Pisis» nel catalogo 2005, cit., p. 29: «Natura morta con calamaio, 1952 (tav. 99), violentata dalla luce, scarnificata nelle forme, fino al confine estremo dell’astrazione». Nel medesimo catalogo Corrado Levi, «Effimere su de Pisis», p. 37, riproduce il quadro e commenta: «Sezione L’ultima Metafisica. Il periodo di Villa Fiorita, di cui si è detto della tecnica, mostra un artista, forse unico fra i grandi pittori italiani del Novecento, capace di rinnovarsi nel dopoguerra. L’esistente visibile è qui interrogato non più coi colori ma col grigio, non con la concitazione ma col silenzio, non con la cultura ma col non sapere.» 223 Nota biografica Oretta Nicolini Luigi Filippo Tibertelli nasce a Ferrara nel 1896, terzo di sette figli; fra gli antenati un Filippo Tibertelli da Pisa o de Pisis, capitano di ventura al servizio degli Estensi. I primi studi, come i suoi fratelli, li compie a casa; il prof. Domenichini è il suo insegnante di disegno e con lui de Pisis inizia anche a dipingere. Frequenta poi le scuole pubbliche fino a conseguire la licenza ginnasiale. Quando, nel 1906, la famiglia si trasferisce a Palazzo Calcagnini, il giovane ha a disposizione alcune stanze che arreda a suo gusto: vi dispone il «museo», raccolta dei vari oggetti che colleziona, dai libri antichi alle farfalle ai cocci graffiti; si cimenta con la letteratura, scrivendo novelle e poesie. Nel 1916 conosce Giorgio de Chirico e Savinio, suo fratello, rientrati dalla Francia per prestare volontario servizio militare, e destinati a Ferrara. Oltre ai de Chirico, frequenta il poeta Corrado Govoni che scrive la prefazione al suo libro di prose liriche I canti della Croara. Nello stesso anno pubblica Emporio, recensito favorevolmente da Giovanni Boine. Nel 1917 anche Carlo Carrà, soldato a Pieve di Cento, entra in rapporto con Giorgio de Chirico che andava elaborando in teoria e in pratica la pittura metafisica. A Bologna, dove frequenta l’Università, de Pisis intrattiene rapporti con Binazzi, Raimondi, Bacchelli, Meriano, Marino Moretti e con il pittore Giorgio Morandi. È in corrispondenza fra gli altri con Tristan Tzara e con Ardengo Soffici. Scrive articoli eruditi e recensioni di mostre d’arte. Pubblica Mercoledì 14 novembre 1917 (1918), Prose e Il Signor Luigi B. (1920). Nel 1920 tiene a Roma, presso la casa d’arte Bragaglia la prima mostra di disegni e acquarelli; a fine anno a Bologna si laurea in lettere. Nel 1921 con il trasferimento a Roma si apre per de Pisis un periodo di rinnovati interessi che fanno rapidamente maturare le sue doti creative e le sue qualità di pittore. Nel 1923 pubblica La città dalle cento meraviglie, Edizioni Bragalia. Nel 1924, prima di partire per Parigi dove risiederà fino al 1939, tiene a Roma una mostra personale nel ridotto del Teatro Nazionale. A Parigi de Pisis trova un ambiente quanto mai congeniale, la città lo affascina e lo stimola, architettura e natura si fondono nella sua pittura che si arricchisce di luce, leggerezza e libertà di tocco. Quasi ogni anno trascorre i mesi estivi in Italia, a Rimini o in Cadore, tra Fiera di Primiero e Cortina d’Ampezzo. Nel 1928 per le Editions des Chroniques du Jour viene edita la prima monografia sul pittore con testo di Waldemar George. Nel 1930 personale a Milano. Partecipa a Biennali e Quadriennali; piccola monografia con testo di Sergio Solmi nella collana Arte moderna italiana (Hoepli, 1931). Nel 1933 soggiorna a Londra, dove si reca per dipingere e visitare i musei. Nel 1935, di nuovo a Londra, tiene una personale alla Galleria Zwemmer, che ha buon successo. È ospitato nello studio di Vanessa Bell, sorella di Virginia Woolf. 224 Nel 1937 esce un libro sulla sua pittura con testo di Paul Fierens nella collana Art Italien Moderne, curata da Gualtieri di San Lazzaro. Nel 1939 pubblica Poesie presso la Libreria internazionale Modernissima di Roma. Per lo scoppio della guerra rientra in Italia; dopo brevi soggiorni a Venezia, Rimini, Bologna e Roma, si stabilisce a Milano, via Rugabella 11. Diversi altri artisti risiedono nel caseggiato a fianco, il n. 9: Marino Marini, Cantatore, Borra, Salvadori, l’architetto Mancini, lo scrittore Sinisgalli. Mostre personali e collettive a Milano e in altre città. Sala personale nel 1942 alla XXIII Biennale di Venezia. Nell’agosto 1943 il bombardamento di Milano lo induce a lasciare la città e a trasferirsi a Venezia. Si sistema nello studio di San Barnaba, mentre viene approntata anche la casa in San Bastian. De Pisis vive immerso nel clima sospeso della città lagunare, gode la ricchezza leggiadra dei suoi monumenti, a contatto con gli artisti del Sei e Settecento che tanto ha amato. La sua pittura si spoglia così di qualsiasi rigidità, tutto appare come fatto di acque colorate, di luci, le architetture dei paesaggi, gli oggetti, e pure i corpi dei giovani modelli: ne resta ormai solo la traccia diafana, emozionante, un’evocazione lirica e struggente. Nel 1947 torna a Parigi con la nipote Bona, che da due anni vive con lui a Venezia. Sala personale alla Biennale di Venezia del 1948. Si manifestano i primi sintomi della malattia nervosa che non smetterà più di tormentarlo. Nel 1949 viene ricoverato a Villa Fiorita, la clinica di Brugherio, presso Monza, dove con brevi interruzioni rimarrà fino alla morte. Qui, nella serra, gli viene allestito una specie di studio, dove il pittore potrà continuare a dipingere quadri e acquarelli trasparenti come i vetri opachi che lo circondavano, fragili ricordi di una vita vissuta senza risparmio di emozioni. Nel 1951 grande mostra a Ferrara, Castello Estense con prefazione in catalogo di Giuseppe Raimondi che firma pure il testo per il catalogo della mostra alla Biblioteca Olivetti di Ivrea. Filippo de Pisis muore a Milano il 2 aprile 1956. 225 Indice dei testi 7 11 Presentazione, Franco e Frediano Farsetti / Giulio Tega Filippo de Pisis. Pittura primo amore, Luigi Cavallo 1896 – 1925 31 Filippo Tibertelli de Pisis. Notizie biografiche, [Filippo de Pisis] 35 Un compagno di gioventù, nella città di Ariosto, Giuseppe Ravegnani Roma, alle grotte di Bragaglia, Virgilio Guzzi 37 1925 – 1939 57 Visita alla casa-studio di rue Servandoni, presso Saint-Sulpice, Nicolò F. Mancuso 59 Uno sguardo ai surrealisti antichi e moderni, Filippo de Pisis 64 Il connaisseur a Parigi, Filippo de Pisis 1939 – 1943 157 Frammenti di arcobaleno, Raffaele Carrieri 159 Visita alla casa milanese del pittore, Ettore Della Giovanna 161 A Pisa, petali sul selciato, Giuseppe Viviani 1943 – 1956 191 Da Milano a Venezia, Luigi Cavallo 195 Bellezza, emozione piena, Cesare Zavattini 196 A Brugherio, il crepuscolo del poeta, Marco Valsecchi 224 Nota biografica, Oretta Nicolini