I GRANDI CAPITOLI DEL NOVECENTO
1
FILIPPO DE PISIS
pittura primo amore
La Farsettiarte e la Galleria Tega
ringraziano i loro collezionisti
per i cortesi prestiti
che hanno permesso la realizzazione della mostra.
GALLERIA TEGA
arte moderna e contemporanea
Portichetto di Via Manzoni (ang. Via Spiga)
Tel. +39 02 76013228 - Fax +39 02 76012706
[email protected]
www.farsettiarte.it
Via Senato, 24
Tel. +39 02 76006473 - Fax +39 02 799707
[email protected]
www.galleriatega.it
I GRANDI CAPITOLI DEL NOVECENTO
1
FILIPPO DE PISIS
pittura primo amore
FARSETTIARTE / GALLERIA TEGA
MILANO
Filippo de Pisis nel giardino di via Rugabella, Milano (1942).
Presentazione
Il primo amore di de Pisis, per quanto sappiamo, fu la poesia; in seguito, evoluzione naturale e parallela, la pittura.
Per noi che ci occupiamo d’arte è stata certo la pittura il primo amore, e di
de Pisis, nelle nostre gallerie, abbiamo organizzato, fin dagli anni Sessanta,
diverse mostre.
Un autore, del resto, inesauribile nella sua generosità e fluenza, insieme di
lettura emozionante e di alto spessore poetico.
Ogni volta si possono scoprire di de Pisis lati sorprendenti o meno frequentati, opere che sanno suscitare interesse e fascinazione.
Per mantenere l’accento su questo tesoro creativo che ha coinvolto diverse
generazioni nel secolo scorso proponiamo ora a Milano – dove de Pisis abitò,
tornava sempre con piacere e si spense nel 1956 – una rassegna di quadri
scelti per mostrare anche ai giovani, studiosi, collezionisti e al pubblico quale
importante capitolo della cultura internazionale il pittore rappresenti.
Fascino del personaggio e della pittura che si rinnova nella nostra epoca e,
come i grandi argomenti della storia dell’arte, permette di entrare nel futuro
delle immagini, in ciò che l’uomo riesce a inventare con inesauribile percezione dei valori espressivi.
Rileggiamo volentieri nella monografia su de Pisis del 1952, le pagine iniziali
di Giuseppe Raimondi che coglieva l’essenza dell’artista: «è vissuto vicino a
noi, in un tempo troppo distratto per accorgersi della eccezionalità di questo
personaggio […]. È in questa opera la capacità grande di stupire con un senso di diletto e di dimenticanza del presente. Così è delle opere della poesia,
di quelle in ispecie che inducono l’animo a trasportarsi fuori dal reale […].
Opera di poesia, l’arte pittorica di de Pisis, tra quelle che più hanno attinto
e derivato dalla realtà, proprio per staccarsi da questa ed elevarsi, a prezzo di
fantasia e di dolore, sul piano dell’immaginazione».
Iniziamo con la manifestazione dedicata a Filippo de Pisis la serie dei «Grandi
capitoli del Novecento». Le prossime visite saranno a Mario Sironi, Ottone
Rosai, Giorgio de Chirico, Ardengo Soffici, Carlo Carrà, Giorgio Morandi,
Massimo Campigli, Lorenzo Viani, Gino Severini, Giacomo Balla… Tutti autori che, negli anni, hanno avuto nelle nostre sale esposizioni monografiche.
Ci si chiederà: un ritorno alla pittura? La pittura è il patrimonio che ha reso
celebre la nostra civiltà, non ce ne siamo mai allontanati, è utile ricordarlo.
Franco e Frediano Farsetti / Giulio Tega
7
8
9
Filippo de Pisis (Luigi Filippo Tibertelli, Ferrara 11 maggio 1896 – Milano 2 aprile 1956) in una fotografia scattata dal pittore Gabriele Mucchi,
probabilmente all’Albergo Vittoria, via Durini, Milano (1940-1941).
De Pisis appare come lo descrive Ardengo Soffici in un testo datato «Milano, 23 novembre ’41», in «Fogli di diario», Corriere della Sera, Milano,
22 agosto 1956: «in costume da casa scuro elegantemente trasandato […]. Aveva intorno al collo un nastro multicolore negligentemente annodato a guisa di cravatta».
10
Filippo de Pisis
Pittura primo amore
Luigi Cavallo
E fiorire animo e corpo,
corpo, animo e vento
in luce e profumi sottili.
Voglio per cantar la mia gioia
(innamorato come a vent’anni
o mio cuor cinquantenne?)
ch’esca dal mio petto, no dalle spalle,
un bell’arcobaleno iridato
che rida, brilli e sfolgori
non visto, come l’aureola dei Santi.
Santo non son ma poeta
e perdonatemi le stramberie.
Filippo de Pisis
da “Canto di primavera”
(Cattività veneziana, 1966).
Parigi con la Tour Eiffel, Natura morta marina, Paesaggio di Cortina, Porri sulla
spiaggia, Paesaggio nel Gers, Fiori, Ponte di Rialto… come guardare in un mare
dipinto, in un mare di pittura. Il disordine ha gloriosa magnificenza, ci fa
muovere come sull’acqua, vertigine leggera che all’improvvisazione mescola
la grazia.
Il sortilegio di Filippo de Pisis ha percorso e iridato il secolo XX e ci chiediamo, ora che da dieci anni siamo entrati nel nuovo millennio, e constatiamo
che le parole scritte sono state sovrastate dalle immagini, dal cinetismo delle
immagini, con quali occhi osserviamo, o ci sentiamo osservati, dalla sua opera.
Gli addobbi contemporanei, gli scoppi e gli artifici di illustrazioni inusitate
e invasive hanno lasciato qualcosa di intonso nella nostra sensibilità? oppure
tutto è intorbidito dal fracasso e dalla virtualità che ci provocano più che vertigine, angoscia?
Cerchiamo ristoro in una mostra di de Pisis che ha come insegna Pittura
primo amore, un ritorno e una prosecuzione. Nostro intento non è proporre
nuovi schemi per decifrare de Pisis o far da Mentore a chi guarda.
Quadri celebri, alcuni poco noti o inediti, osservati in sequenza e magari in
filigrana con le note critiche che abbiamo accoppiato, pongono piuttosto altri
quesiti, espongono la complessità, la profondità estetica e lo spessore culturale
di un’opera risultato di una personalità beatamente immorale, alla Gide, e
sciolta da vincoli di scuola e di gruppo, libera sulle ali delle proprie preferenze
(W Morandi, W Carrà, W Pippo, scrive sulle sue tele).
Esperienze e ricerche, le sue, molto variate, contaminate da vizi e clamori – a
Venezia, giugno 1945, arrestato durante un ballo da lui organizzato, trascorre
tre giorni in carcere; nel 1946, è aggredito in casa da alcuni giovinastri – che
furono vere e proprie alzate di sipario sul gusto, sulla presenza originale di un
11
pittore così fuori dagli schemi, aperto alle intrusioni sentimentali, al momento che passa e alla nostalgia, al mascheramento, da essere oggi quanto mai
contemporaneo e disponibile, come pochi suoi colleghi del Novecento, a una
rilettura che coinvolge il costume, il gesto provocatorio, la poesia.
Persino le Nature morte, i Fiori, se osservati in un’angolatura che consideri il
rapporto quotidiano con le cose, il significato di colori e profumi nell’evocazione di un ricordo, paiono transiti allegorici nell’esistenza umana, o meglio
una variazione alla perentorietà del reale, realtà che diviene malleabile per
l’insidia di dati (colori-luci) precari.
Ci troviamo su una bella strada, con alberi e nubi alte, scorre dell’acqua accanto e la stagione è propizia; de Pisis ci tiene per mano ancora una volta, la sua
compagnia non può che esserci grata.
Ci apre le sue città dalle cento meraviglie: Ferrara, Roma, Parigi, Londra, Milano, Rimini, Venezia… De Pisis visita le città e i paesi con quelle doti liriche
coltivate fin da ragazzo, e con la vocazione a rendere in un complesso grafico,
sintetico, il primo impatto della visione. Blocchi formali che trasforma da
volumi architettonici in filamenti, tocchi, accentature sensibili (vedi Ponte di
Rialto, 1947, n. 71), tali da ottenere la sensazione delle forme più che le forme
stesse, in un crescendo dove riconosciamo libertà e varietà di linguaggio. Si dischiudono le ombre o sono adoprate per rilevare alcuni punti brillanti, pietre
da far risplendere. Resta comunque un alveo ben segnato nelle opere, l’ansia
di porre un’impronta di stile, una matrice personale, sulle immagini.
Lo aveva notato Roberto Salvini (Guida all’Arte Moderna, L’Arco, Firenze,
1949, p. 48): «quella di de Pisis non è eleganza esteriore, relativa al soggetto, è
una raffinatezza tutta spirituale. Attraverso una pennellata leggerissima, quasi
disintegrata, egli risolve il colore in un brillio di preziosissimi toni: e l’immagine si dissolve così in una balenante apparizione […]. Modigliani, de Pisis: due
pittori profondamente diversi: ma grandi artisti ambedue e concordi pertanto, nell’imprimere nei loro soggetti, senza preoccupazioni mondane, il sigillo
della loro personalità, la sacra scintilla di un umano sentimento.»
Visitare una mostra di de Pisis è come passare sotto le dita il filo della vita,
quella vera e quella sognata; anzi egli ci conduce nei luoghi più che inattesi,
trasognati: le sue letture, gli scritti, gli amori rintoccano in una materia che
sembra talvolta sul punto di diventare arcobaleno.
Arcobaleno non è solo un inganno ottico; per de Pisis è schermo trasparente
traverso cui può essere visto l’intero suo lavoro.
In un vecchio testo ce ne consegna una versione che letta insieme con i quadri
prende bella estensione:
In certe giornate nuvolose e combattute d’estate (avevo forse visto
passando verso sera da un ponte un bell’arcobaleno alto sul Tevere
gonfio) il cielo dietro il campanile di Santa Lucia diventava di un bel
rosa vivo sfumantesi in cangiante coll’azzurro e lo stavo a guardare
inerte, così, dal mio tavolo.
Passavano e ripassavano con piccole strida i rondoni, grigie le pareti
delle case, quasi d’argento.
Era fuggevole quel rosa, il cielo quasi subito si faceva grigio di madre-
12
perla, fuggevole come certe mie estasi beate in cui, allontanato da me
il grigio fardello delle preoccupazioni quotidiane, ero felice come un
dio.
(«L’arcobaleno», 15.IV.1924; in F. de Pisis, Roma al sole, Neri Pozza,
Vicenza, 1994, p. 223).
Hanno valore, oltre il soggetto, scelto o casuale in apparenza, anche lo spessore della pennellata che dà particolare incidenza alla luce, il grumo, l’impasto filato, liquido dei colori che non rispettano le leggi dei complementari, e
tutto ciò rende fascino ed eloquenza alla stesura dell’originale; per entrare a
fondo nella sua pronuncia, cogliere i passaggi di voce, è bene guardare i quadri dal vero, come diceva Roberto Longhi metaforicamente per i fondi oro,
«metterseli sulle ginocchia», poiché i dipinti sono pressoché impossibili da
riprodurre.
Al teatro con de Pisis
Quadri come un teatro che inventa altri teatri; propongono legami eccepibili
fra sentimento e follia: in fondo lui ha sempre dipinto, fino alla fine, a Villa
Fiorita, come fosse nella sua prima stanza di Palazzo Calcagnini, battezzata
camera melodrammatica.
Con il teatro e il melodramma l’artista ha legami i più vari. Conosciamo le
sue fotografie giovanili in costume di umanista, di gentiluomo del Settecento,
dell’Ottocento, in abito da cacciatore di farfalle, in bizzarri travestimenti per
balli eccentrici; qui si mostrava l’ambizione di essere attore protagonista sul
palco del suo «bel mondo».
Diverse opere, alcuni grandi pannelli, paiono fondali di commedie; la sua
stessa personalità che cedeva al femminile e al dandismo, lo portava a muoversi come fosse su una scena: gli piaceva esibirsi in pubblico e quando per le
strade di Cortina, a Venezia o altrove, dipingeva en plein air essere attorniato
dai curiosi lo stimolava e in qualche modo risarciva dall’indifferenza che lamentava nei critici o negli organizzatori delle grandi mostre nazionali.
La frequentazione a Roma, nei primi anni Venti, di Anton Giulio Bragaglia,
della sua Casa d’Arte – e qui il giovane pittore tenne due mostre (sul fascicolo
di aprile 1921 della rivista Cronache d’attualità, diretta da Bragaglia, nelle
68 esposizioni elencate, ai numeri 29 [marzo 1920] e 40 [settembre 1920] è
citato de Pisis) – influì certo e incrementò le sue tendenze a interpretare vita
e arte come spettacolo.
Bragaglia proponeva, fra altro, «Allestimenti teatrali – Vestiari», e in via degli
Avignonesi il «Teatro sperimentale. Spettacoli Scenici di Eccezione. / 1 Compagnia di Pantomime e di Balli Plastici / 2 Compagnia di Prosa / 3 Spettacoli
d’invenzione moderna».
Tutto quanto accade al giovane artista, con percorsi più o meno sotterranei
darà ricchezza alla sua opera pittorica e poetica; non ci sono vicende che possiamo dire estranee al suo nucleo creativo.
13
Copertina del libro di Ercole Luigi Morselli, Orione –
Glauco, Treves, Milano, 1920.
Della tragedia Glauco tratta lo scritto di de Pisis.
«Glauco e il suo autore», manoscritto di Filippo de Pisis, datato Roma
23.IV.921.
Prima e ultima pagina del manoscritto.
14
Merita approfondire anche uno scampolo di tale sua versatile inclinazione al
teatro, un saggio del talento critico di de Pisis, esercitato in quel tempo su
qualche giornale.
Leggiamo in sei paginette autografe firmate e datate «Roma 23.IV.921» inviate a Pietro Zanetti per la rivista di Torino L’Ascesa (siamo grati a Paola Zanetti Casorati per averci messo a disposizione questo materiale del padre) una
recensione, «Glauco e il suo Autore», in cui viene ricordata la morte appena
avvenuta di Ercole Luigi Morselli e la messa in scena al Teatro Argentina di
Roma della sua tragedia Glauco:
Torno dall’Argentina dove ho assistito alla commemorazione del povero Morselli con un discorso di Dario Niccodemi e alla rappresentazione del Glauco.
Che miseria, dio mio! Del Glauco, quando tutti ineggiavano al capolavoro e alla meraviglia, scrissi una critica piuttosto acerba e, per
esser sinceri, una demolizione stringente. Trovai pochi consenzienti,
almeno in parte Carlo Panseri di Genova, Antonio Scolari di Verona.
Del resto non deve stupire certo se la critica ufficiale, in Italia non fa
che riecheggiare i successi delle platee.
Stasera, davanti alla memoria del povero Morto (in questo tempo da
amici intimi venni a conoscere un po’ l’uomo che mi era del tutto
ignoto) un sentimento diverso mi dominava; un sentimento soprattutto di tenerezza e di pietà per questo giovane artista che certo, assistendo alla rappresentazione fiacca del suo dramma tanto acclamato,
in un momento di vera lucidità interiore, sarebbe stato daccordo con
me io penso nel condannarlo in gran parte.
La vita di un artista minore, quale il Morselli, la sua pena nei “duri
cimenti dell’arte” come dicono, tutto ciò di ineffabile che pur domina
attraverso alle immagini e alle parole non sublimi, ci interessa ben più
dell’opera e ce lo può fare amare. Noi allora gli perdoneremo la mediocrità, e presi dalla sua commozione sapremo anche commuoverci.
Ma che dire della rappresentazione di questo dramma, dove passioni
di grado elevato sono annegate in un guazzabuglio di incertezze, di
luoghi comuni, di riecheggiature dannunziane, di ricordi classici mal
interpretati e mal digeriti, di atteggiamenti falsi, di scene che se tollerabili alla lettura, divengono tremendamente buffe sulla scena?
Quel mare e quelle rocce di cartone, quelle sirene, quelle barbe finte, quel Glauco personaggio troppo grande, visto sempre di scorcio
che si agita che grida, queste scene che dovrebber esser di vita reale e
palpitante, ma attraverso ai trucchi della ricreazione storica appaiono
sempre incerte e false… Ma non voglio ripetere qui la critica, facile
del resto. Io pensavo a certe vecchie commedie a certi melodrammi,
figurazioni sceniche, vaudevilles, accolti con grande entusiasmo dai
contemporanei, salutati come oracoli, paragonati (ciò si è fatto per
il Glauco anche da gente che dovrebbe vergognarsene!) ai più grandi capolavori dell’antichità, ma delle quali certo i più arguti spiriti
ridevano. Pensavo a queste vecchie commedie et cetera, stampate in
15
opuscoli con fregi con larghi margini, con pompose dediche a sovrani,
e a illustri dame, e che ora riposano sotto la polvere nelle scansie delle
biblioteche o nei pacchi di libri antiquari…
Povero Morselli, figlio del tuo tempo, per te, per la tua dolce memoria, io sentivo tenerezza e rispetto e mi rammaricavo d’essere stato
anche più severo verso la tua opera…, ma come fare?...
Del resto consolati: davanti alla ineffabile indifferenziabilità del tutto,
qualche spunto felice della tua opera à un valore indistruttibile.
Io sì sentivo che la tua anima o Ercole Luigi Morselli aveva certo conosciuto commozioni e deliri benedetti e io t’abbracciavo come un
fratello, teneramente; sentivo anche che tu non mi serbavi rancore del
giudizio della tua opera, così bella e tenera nella intenzione di certe
attitudini.
Che vuoi…, perdonami, ma io potrei confessarti come il rude Forchis
[personaggio del Glauco]: “La poesia non mi va più” vale a dire quella
che vorrebbe esserlo, ma non lo è del tutto.
È l’eterna questione “tutto è relativo!” Anche il pubblico a questa postuma rappresentazione (colpa anche degli attori) certo non ebbe l’entusiasmo della prima volta… Ciò mi diceva che ero stato profeta.
Tornando per le strade deserte, io andavo pensando alla profondità
davvero tragica di certe scene dell’Andreiew [probabilmente Leonid
Nikolaeviç Andreev, 1871-1919, scrittore russo, autore di drammi nichilisti] e poi recitavo alcuni versi di poeti un po’ dimenticati, come il
Giusti, il Fusinato, il Prati, che senza essere grandi, ànno cose di ben
salda tempra e mi domandavo per quale strana legge la folla è così
suscettibile alla suggestione e come si lascia commuovere anche dal
cartone colorato e dai fantocci, e come nei più (appunto forse perché
ingenui dei più complicati problemi dello spirito!) manca quel senso
di ironia che non permette una vera commozione se non davanti alla
voce spontanea e pretta o a quella modulata con vera arte. Del resto
che sarebbe dell’arte se fosse davvero dei più?
Le contraddizioni di de Pisis non fanno che accendere altri lumi nel suo
bagaglio culturale; quando scrive di «guazzabuglio di incertezze, di luoghi
comuni, di riecheggiature dannunziane, di ricordi classici mal interpretati»,
sembra mettere mani nelle sue stesse fragilità, lui, dannunziano in nuce, che
porterà a evidenza figurativa, e riuscirà a riscattare con originale resa formale,
paccottiglia di rigattiere e frusti luoghi comuni. Persino «quel mare e quelle
rocce di cartone» potranno starci, citazione e miraggio, nelle sue Nature morte
marine.
Sono le forme favoleggiate, antirealistiche, l’ambiente improbabile di spiagge
deserte, la migrazione del vero nel finto che de Pisis renderà qualità mirabili
del suo stile.
Poesia scritta, poesia dipinta
Al suo insaziato desiderio di cogliere la vita appena dietro il mistero dell’ombra, salvare oggetti, paesaggi e figure dall’indistinto dell’ombra, quando le
16
cose si fanno alonate di luci artificiali e la fantasia si occupa di accendere i
dettagli con colori impossibili, egli prestò non solo una tavolozza distonica,
spuria magari di materie organiche, ma rivoli di umori, vene liquide, succhi vegetali, aromi e acri liquami che nell’insieme, nell’impasto, raffigurano
quanto non è possibile figurare con una forma plastica, si pongono in sintonia
con ciò che resta di una spiumatura, di una scomposizione, la battitura del
grano sentimentale.
Non possiamo trattenerci dal riprodurre altre due brevi prose che de Pisis
inviò all’avvocato Pietro Zanetti, destinate alla sua rivista, poiché porgono
argomenti di riflessione sulla città, Roma, in cui fioriva il pittore nel seno
del letterato: le «lame gialle», «luce incerta di luna», «rigidi piani, spettrali»,
«qualche stella verde», sono gli impasti di immagini e colori, oltre il riecheggiamento da Apollinaire, «Le pont Mirabeau».
Lungo Tevere
Come corri, come fuggi, fiume, stanotte…
Il mio sguardo a pena segue dell’acqua nera i gorghi, rotti da lame
gialle!
Fra ripide, liscie, grandi sponde, come corri, come fuggi, fiume, stanotte!...
Alto io ti guardo e il cuor mi pesa e sembrami, disciolto in te trascorrere.
Luce incerta di luna è su nel cielo!...
Il cruccio si è mutato nel mio petto in un’ebbrezza vana, divina.
Case con rigidi piani, spettrali d’attorno e chiare vegliano!
uomini laceri, sotto gran sonno, in terra stanno, rannicchiati e muti.
Su una larga strada, più tardi, come in un sogno errando, levato il
capo a fatica, sopra un palazzo scuro (aperte tutte le finestre e mute)
tremare vidi qualche stella verde sulla grande città tutta dormente.
F. de Pisis / Roma / gennaio 1921
Notte gelida
“Questo non è vento è lo spirito
che passa”
(Andreiew Il Cieco)
Ne la gelida notte, a veglia, Spirito io ti invoco…
Dominatore, Incubo,… Sollievo.
… “Aiutami oh Signore, a portar la mia croce perché essa sia più che
peso, sostegno”…
Mi tornano alle labbra e sul cuore queste cristiane parole, come balsamo ed incenso, in un tremulo, docile pianto.
Fuori le stelle, fisse nel gran cielo, ed io che reprimo a fatica il grande canto d’amore il grido di pianto, che pure vorrebbe dall’anima partire…
17
Cuori lontani, e fratelli, ore perdute nei giorni chiari.
Misterioso Spirito che il corpo fragile domi e sollevi…
Una voce di campana, ecco mi desta dal mio torpore…
Penso a mondi distrutti e creati…
Scorro col tutto, attendendo, nel sonno, un po’ della morte che viene.
F. de Pisis
Roma. Febbraio 1921
A far splendere queste schegge letterarie è probabilmente la fama a posteriori
dell’artista.
Nell’accumulo, il fiume di velluto e di scorie che raccolgono i suoi quadri, vi
è disvelamento: via via che la pittura si carica di polveri lucenti si schiude il
carattere del personaggio nella sua unicità e complessità, cioè completo per le
sue frammentarietà e incompiutezze e per l’importante formazione letteraria.
Se facciamo mente alla tesi di laurea in lettere (1920), e al suo amore per Giovanni Pascoli, professato con letture pubbliche e conferenze, comprendiamo
come le sue pitture possano generare parole, provocare parole.
È fatale con de Pisis smarginare dalla pittura alla poesia e viceversa… E ogni
volta la bellezza è scintilla di tale coinvolgimento.
Così, a oltre mezzo secolo dalla scomparsa, riconosciamo il Marchesino pittore un patrimonio particolarmente fecondo della cultura italiana, europea;
ricchezza che si afferma con documentazione sempre più vasta, una messe di
opere letterarie e pittoriche che facciamo fatica a rapportare con un’esistenza
di sessant’anni, e tormentata negli ultimi da grave malattia.
Raccolti insieme i suoi scritti, poesie, prose, saggi, lettere, materiali editi e
inediti, occuperebbero parecchi volumi, e sarebbe utile un’edizione filologica
per averne un profilo completo. Manca anche una estesa bibliografia critica.
Di grande aiuto la ricostruzione biografica di Sandro Zanotto, Filippo de Pisis
ogni giorno (Neri Pozza, Vicenza, 1996), fa da base per ogni ulteriore approfondimento sulle vicende dell’artista.
I dipinti a olio, con il Catalogo generale di Giuliano Briganti, 1991, sono stati
in larga parte sistemati, molti però rimangono gli inediti. Si attende la pubblicazione degli incrementi al catalogo, dal 1993 in poi, quanto esaminato
dall’Associazione per il patrocinio dell’opera di Filippo de Pisis. L’impegnativo lavoro di vagliatura, svolto dall’Associazione, è stato diretto da Claudia
Gian Ferrari, scomparsa di recente, una grave perdita per gli studi sul Novecento italiano.
Comunque i quadri nell’insieme assommano ad alcune migliaia. Per gli acquarelli e i disegni non vi è un catalogo generale. L’opera grafica di Filippo de
Pisis è stata studiata organicamente da Manlio Malabotta (Edizioni di Comunità, Milano, 1969).
Il perdigiorno che inseguiva rane e farfalle e passeggiava con il pappagallo
sulla spalla, innamorato dell’amore, fu lavoratore instancabile.
È possibile quindi che un autore come de Pisis possa ormai essere percepito
come un classico? Siamo convinti di sì. E non per le sue opere del tutto anticlassiche da un punto di vista stilistico, ma per essere riferimento storico di
18
una vicenda creativa e critica che è ossatura anche del mondo d’oggi. Consideriamo, la sua, una contemporaneità sovratemporale, se si può dire, capitolo
ben solido in mezzo a molti mobili valori.
De Pisis modifica taluni punti fermi dell’estetica – diamo per sopravvissuta
questa zona della filosofia. È resistente alla memoria un germoglio, un fiocco
di neve adagiato in una composizione come e più di una montagna dipinta; la
libertà è strumento da usarsi con leggerezza e disinvoltura, perché non sembri
solo gesto paradossale e compiacimento. E così una pioggia di riflessi colorati,
l’abbondanza neobarocca, il tutto pieno, possono riscattare una visione quanto l’asciutta, sintetica razionalità, la conduzione economica di una struttura,
come avviene in Morandi o in Licini.
Apprezziamo attraverso de Pisis, a contrasto con i valori plastici a tutto tondo,
anche le smagliature evidenti della forma quando essa si sfarina in luce e pare
consegnata a un destino breve. E pure magari in certi interni ambrati, in cui
ristagna la polvere, un po’ malati alla Gozzano, nature morte sparpagliate sui
piani, ma ben costruite, pesci corrotti e uccelli impagliati, abbiamo la precisa cognizione che de Pisis chieda risultati profondi all’arte: chiede all’arte di
mettersi in parallelo con la vita, di essere viva, esponendo interi anche i suoi
aggettivi languidi, disperati.
Gli oggetti dipinti, i corpi nudi, la mensa lasciata con gli avanzi di cibo e
fermata quasi avesse consistenza sacra, sono insieme sintomo e simbolo di un
giudizio sugli individui e sul destino, pittura che intralcia il meccanismo delle
illusioni e, diresti, dell’ordinamento civile.
Considerata nel suo insieme la pittura depisisiana ci porta sul piano di valori
e disvalori umani: nessun infingimento né ipocrisia di perbenismo. Sul piano
formale la voglia di impossessarsi dell’intero creato, senza remore di cose belle
e cose brutte: tutto diventa onorevole, per via di amoroso contatto, quando è
toccato dal genio dell’artista. Ed è, questa, posizione quanto mai moderna, se
non di riscontrabile attualità.
È da considerare che de Pisis piaceva sia a un poeta di grande sobrietà come
Eugenio Montale sia al canterino e canzonatorio Aldo Palazzeschi, a Giovanni
Comisso, Marino Moretti e Giuseppe Raimondi come a Malaparte, Raffaele
Carrieri, Roberto Longhi, ad Ardengo Soffici, a Giorgio de Chirico e a Ottone Rosai. È folto l’appello dei suoi ammiratori.
De Pisis serve la nostra fantasia come nessun altro maestro del Novecento;
non la costringe a divagare, a travalicare il senso della realtà, ma la sollecita a
vedere quanto traspare, si intravede, dal reale.
De Chirico e Savinio ci propongono il prodotto finale del fantastico già ben
squadernato. Sironi della realtà ferma una versione monumentale, e Morandi
depura ogni frase al confine dell’astrazione.
Le atmosfere e i panorami interni ed esterni di de Pisis si intridono non solo
di quell’inguaribile amore per l’arte, ma per il gusto anche di dare importanza
a piccoli particolari come a grandi vedute: un frammento, un’inezia, sono per
de Pisis accumuli di briciole cristalline, metalli e terre, squame argentate e
setole; è nella materia organica, nel groviglio minerale e vegetale, che procede
suscitando non solo concordanze, giunture e congiungimenti, ma il piacere
delle discordanze preziose, dell’invenzione, parole ritmate, anche in certi rab-
19
buiamenti che sono della coscienza e della malinconia.
Non perde spontaneità persino il sapore di raffermo, il colore fangoso che
talvolta usa per le sue nature morte o per le campiture dei paesi. Il pittore ha
questo dono, sorgente spensierata, pur se visita i suoi disincanti. E la bellezza
per lui non è astratta parola: ogni giorno suscitata, nutrita dall’insieme della
magnificenza naturale, panorami alpini, spiagge, corpi efebici. Del resto che
cosa cerchiamo nei suoi quadri? Che ridestino sensazioni, qualcosa di remoto
che torna ad affiorare, o l’emozione di una scoperta che squilla in due steli di
fiore.
Diresti che larga parte della sua opera è fatta per uso privato, per rammentargli quei momenti di vita, magari meno memorabili, per non abbandonare i
giorni di magia nella macina della dimenticanza:
Il nome del mese: Marzo
odora di giaggiolo e di mela renetta
e giovedì è giorno d’oro filato
e c’è il nome di un Santo sconosciuto
ma che è quello
di una dolce creatura che ami.
O biondo, divina grazia,
proteggimi.
«Calendario», Cattività veneziana, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano, 1966.
Da qui e da tanti altri possibili ingressi sappiamo che nelle sue pitture de Pisis
voleva con i colori, i colpi di pennello, gli sfregamenti e gli accumuli, i grumi
gelatinosi suggerire, con la luce, anche i profumi, la freschezza della colonia,
l’acre del caffè tostato e l’acuto dolce del miele.
Talvolta la voce si incrina, lastra di vetro, tabula per scrittura che imprime solo
suoni disparati e che – è sortilegio depisisiano – riesce a catturare complesse
armonie come per un’istantanea dell’universo umano.
Per città e paesi
La Galleria Donatello di Firenze, che trattava abitualmente i quadri di de
Pisis, organizzò nel 1943 una Mostra collettiva dei pittori: Giorgio de Chirico,
Filippo de Pisis, Antonio Gajoni, Osvaldo Medici del Vascello, Alberto Savinio,
Gino Severini, Mario Tozzi (il catalogo è senza data). La «Presentazione» di
Alberto Savinio – ignorata finora – illustra alcuni sottosquadra critici, che
aprono angolature meno scontate anche per il nostro artista, visto nella compagnia dei colleghi parigini; bisogna però riportarsi a quel periodo bellico,
particolarmente drammatico a Firenze, in cui le sottolineature nazionaliste si
imponevano per carità di patria.
20
De Pisis rientra con un nuovo paesaggio nel suo studio di via Rugabella, Milano (1942).
21
Copertina del catalogo Mostra collettiva, presentazione di Alberto Savinio, Galleria Donatello, Firenze (1943).
22
Così si spiega Savinio:
Gli amici che mi hanno invitato a scrivere la “presentazione” di questa
mostra di gruppo, non sospettano neppure la tristezza in cui il loro
invito mi ha piombato. Si tratta di rievocare gli anni tra il 1925 e il
1935, il decennio in cui alcuni pittori italiani vissero e operarono a
Parigi: Giorgio de Chirico, Gino Severini, Massimo Campigli, Filippo
de Pisis, Mario Tozzi, Osvaldo Medici del Vascello, Antonio Gajoni,
io stesso. Triste guardare il passato: più triste guardare il proprio passato. È anche in altri questo sentimento ch’è in me? Se è, vuol dire, e
consolantemente dire che il senso morale della vita è molto più diffuso
di quanto io creda; se non è, vuol dire che soltanto io ho senso morale
della vita: io che non ho pensiero, non desiderio, non gioia che non
sieno rivolti a quello che ancora non ho fatto; quello invece che mi
sono lasciato dietro le spalle, se torno a guardarlo mi spaventa come
una colpa, mi rattrista come l’ombra medesima del male.
Ricordo le opere dei pittori qui sopra nominati. Le ricordo in seno a
quella morbidissima civiltà, già così vicina, e inconsapevolmente vicina alla fine. Meno le pitture di de Pisis che sono farfalle dalle ali
appesantite talvolta da un poco di mota, erano quelle pitture come
uomini di ferro, dure e imperative, in mezzo a molli creature di stoffa,
tinteggiate di pallide tinte; decise tra le indecise, affermative tra le
negative, e insistevano a dire “sì” mentre quelle intorno continuavano
discrete a dire no, usando soltanto vocaboli, a e i o u, mentre quelle in
giro sibilavano e gorgheggiavano sommesse consonanti.
Il Bon-Ton, signori, è morto. Le opere dei nostri pittori che primi
mostrarono novamente a quelli occhi velati d’impressionismo e di
squisite perplessità l’energia e la “certezza” della pittura italiana, sono
ritornate nelle patrie città e oggi si raggruppano per un tardivo scambio di ricordi in questa galleria. Onore alla salute.
Che è avvenuto nel frattempo? Giorgio de Chirico ha ceduto alle tentazioni della bella materia. Mario Tozzi si è scaldato e comincia a rosseggiare. Severini sbriglia la sua pittura come una donna si scioglie le
trecce. Io stesso…
In tutti c’è come una rinuncia alla “volontà di ferro” di una volta, c’è
un ammorbidimento, una grazia, un bon-ton…
I morti si vendicano.
In una «Nota» finale, rilevata in neretto e siglata «a.s.», chiarito ulteriormente
il senso del discorso: «Molta polemica è stata fatta intorno ai “pittori italiani
di Parigi”. La verità è che i pittori italiani di Parigi non fecero mai pittura
“parigina”. La fecero invece, molti pittori che stavano in Italia.»
Riguardo a de Pisis, nell’arco del suo lavoro parigino, che va dal 1925 al 1939,
è impossibile disconoscere quanto sia stata assimilata e rifusa con esemplare
efficacia la scuola degli impressionisti; importante anche perché ha potuto
generare artisti come de Pisis. Generare nel senso che la buona semente è stata
messa a dimora in un campo diverso, ma eccellente, e ha dato fiori che, ap-
23
punto, ci fanno esclamare che il nuovo tempo non si avvia senza confortevoli
esempi: possiamo allargare le nostre conoscenze dell’essere attraverso le profumate vetrine depisisiane in cui sono messi in mostra i piaceri, le commozioni,
il senso di felice disperazione che pervade il poeta, quelle qualità di sapiente
incertezza, persino mescolanze informali, di gioco ineffabile, di vizio, dramma e preghiera nelle quali nulla è definito e che l’indefinitezza della pittura
riesce a renderci vivide.
Sembra quasi non esistano gerarchie formali nell’opera di de Pisis. I quadri
parigini affermano che un rosso ceralacca vale quanto un edificio, un azzurro
squilla pregiato ed equivale a una nera figuretta; così i fiocchi di bianco dispensano un’irrequieta frangia di gioia.
Se dobbiamo valutarlo con le sequenze pittoriche, partendo dai quadri ferraresi,
fino ai paesaggi di Milano e Venezia, il cuore di de Pisis batte con forti sbalzi («Il
sangue batte allora il ritmo / alla gioia del mondo»; da «Non plane»; Cattività
veneziana, cit.). È quieto e lento se guarda nella campagna del Gers o nelle valli
cortinesi; rapido, distonico nelle vie cittadine di Parigi, di Londra. Quasi sembra incrinarsi la sua vocazione naturalistica, là dove velocità e incombere di case
oscurano e rendono più strutturate e architettoniche le sue pagine.
A Venezia è certo preso dal fascino dei maestri antichi che, al pari di lui, godevano della laguna, delle calli; il Guardi, il Tiepolo gli sono parenti e saremmo
tentati di saltare gli ostacoli temporali che li separano.
De Pisis pianta il suo cavalletto, come fosse una postazione da direttore d’orchestra, e a Venezia fa schiudere tutti i suoi erbari, le fioriture che ha custodito
tra Ferrara e Parigi, tra Londra e Milano.
Grondano le sue tele di incipit musicali e ogni volta non basta ascoltare il suo
fremito d’archi, ci coinvolge e ci provoca, magari interrompendo la partitura.
Per questo insieme molto ampio – nel quale sono sbalzi di tono, e pure componenti unitarie come l’uso del colore denso di riflessi, il gusto per gli addobbi decorativi e la composizione pronta a rompere gli equilibri classici – si è
forse abusato con letture di degustazione, mettendo l’accento sulla sensiblerie.
Certo la pittura depisisiana, così il personaggio del resto, induce forte seduzione, ci tenta a un confronto ravvicinato e, forse, si sfoca l’ampia prospettiva
storico-critica. I gesti istintivi, l’aroma di fieno e di tabacco, talvolta le seriche
frequenze o il provocante largo del paesaggio marino, il chiudersi rapido dei
piani nelle nature morte non sono gli ultimi pregi dell’artista pronto a esibirsi
con il suo talento e più spesso a concentrare in un accento, in un guizzo sonante il senso di un organismo vitale.
Quando de Pisis, colpito da malattia nervosa, passava i suoi giorni nella clinica di Villa Fiorita, a Brugherio, ed erano gli ultimi anni, dal 1949, fece proseguire, con prospettiva differente, da una serra in piena luce, il suo rapporto
con la materia vitale della pittura. Ad alcuno sembrò un periodo minore o
declinante della sua arte. Le forze via via cedevano, ma il maestro riusciva
a dare elevati saggi delle sue capacità, raffinando ancor più il tessuto della
pittura; talvolta gli bastavano due soli toni o il monocromo dell’inchiostro
acquarellato per rendere la sua narrativa quanto mai acuta, un colloquio di
squisita leggerezza, estenuato ma come una voce che radduce le forme al loro
inizio, come l’Espero di Saffo.
24
Una lettera di Ragghianti
Firenze, città amata da de Pisis, in un anno per lui doloroso, 1952, che segna
la cessazione dell’attività pittorica, gli dedicò una grande esposizione antologica rimasta poco documentata; mancava il catalogo, quindi vi è scarsa traccia
nella stampa.
A conferma della reputazione di cui godeva il pittore, pur appartato a Villa
Fiorita, il prestigio che si era conquistato anche nella critica ufficiale italiana,
riproduciamo il comunicato stampa, steso probabilmente dal segretario della
mostra, Renzo Federici, e la lettera su carta intestata «Studio italiano di storia
dell’arte / Firenze / Palazzo Strozzi» che Carlo Ludovico Ragghianti inviò al
«ch.mo signore / Filippo de Pisis / Milano», il 15 febbraio 1952 (dobbiamo a
Piero Pananti la conoscenza di queste carte):
Caro de Pisis,
Lei ricorderà certamente che, all’atto dell’annunzio ufficiale della istituzione delle Mostre d’Arte Moderna di Firenze, fu pubblicato che il
Comitato che vi presiedeva avrebbe organizzato una grande Mostra di
omaggio a Filippo de Pisis.
Ero di quella Mostra promotore. Ed ho sentito l’obbligo di sciogliere
la promessa che era stata fatta a Lei ed a tutti coloro che l’ammirano
e le vogliono bene.
Sono perciò, oggi, particolarmente lieto di annunziarle che il 29 febbraio
si aprirà ne “La Strozzina”, cioè nella Galleria di mostre permanenti d’arte
antica e moderna di Palazzo Strozzi, una grande Mostra delle Sue opere
appartenenti alle Collezioni fiorentine e toscane.
Sarà una Mostra, crediamo, altrettanto importante della Mostra di Ferrara. Esporremo circa cento opere sue, fra le quali sono molti capolavori, e
molti dipinti sconosciuti o poco noti di tutti i periodi della sua attività.
È stato formato un comitato di Amici di de Pisis, e di collezionisti, che
ha assunto l’organizzazione e la responsabilità della Mostra.
Presiede alla Mostra un Comitato di cui è a capo il Sindaco di Firenze.
Le manifestazioni de “La Strozzina” sono manifestazioni della Città, e
perciò la Mostra è anche un omaggio che Firenze Le rende.
Sarà mia cura perché Le giunga tempestivamente l’annunzio ufficiale
della mostra. L’amico Enrico Vallecchi ha aderito a pubblicare un volumetto di testimonianze e scritti su di lei, unitamente ad una raccolta
di illustrazioni di opere esposte in questa Mostra.
La prego di rendermi noto il Suo gradimento, che non mancherà
certo. Sarebbe una vera festa per tutti noi Suoi amici, se ella potesse
presenziare all’inaugurazione della Mostra: spero vivamente che Le sia
consentito.
Personalmente, sono molto lieto di questa occasione che ho avuto di
dar prova dell’ammirazione che sento per il grande Artista che ella è.
Frattanto mi creda, coi più cordiali ringraziamenti e saluti
Carlo L. Ragghianti
25
Il comunicato stampa:
Una grande mostra di Filippo de Pisis alla Strozzina di Firenze
Avrà luogo giovedì 28 febbraio p.v., a Firenze, in Palazzo Strozzi,
l’inaugurazione di una grande mostra di opere del pittore Filippo de
Pisis, tratte da collezioni fiorentine e toscane.
La mostra, che comprende circa cento dipinti non mai esposti e del
tutto sconosciuti al pubblico, è stata resa possibile dalla particolare
bellezza e pregio delle opere comprese nelle raccolte toscane; e, per
larghezza e varietà del materiale esposto, viene a configurarsi come
una vera e propria mostra monografica dell’artista.
Dipinti del periodo giovanile e romano, opere del momento parigino,
rare vedute londinesi, infine una larga scelta della produzione più recente e varia, permettono di seguire lo splendido sviluppo dell’artista,
in opere e momenti di particolare intensità e ricchezza.
Per l’occasione uscirà presso l’editore Vallecchi una ricca pubblicazione dedicata all’artista, corredata di molte tavole a colori e in nero,
dovuta alla collaborazione di artisti, scrittori e critici, legati a Firenze:
cordiale omaggio a una delle personalità più alte ed autentiche della
contemporanea pittura italiana ed europea.
Quantità di mostre, saggi, monografie su de Pisis, letterato e pittore, non ha
certo esaurito le ricerche; i contatti internazionali e gli aspetti che riguardano
l’artista oltre i confini italiani vanno ancora estesamente esplorati.
Talvolta si ha del maestro ferrarese un giudizio troppo ristretto alla cultura
nostrana. Persino la generosità numerica delle sue pagine dipinte fa come attenuare quel senso di preziosità e di rarità che pare più spiccato in altri autori,
anche meno meritevoli.
Va invece incrementato, o meglio, inteso compiutamente il valore di unicità
e pregevolezza di ogni documento depisisiano, scritto, disegnato o dipinto:
ciascuno è una tessera che aiuta a completare la figura creativa di tale protagonista del secolo XX.
L’indipendenza e la fecondità anche umana del suo testamento vitale sta nel
destino delle creature in cui si riconosce. La traccia attualissima del pittorepoeta è di chi ha fatto una visita a questo (bel) mondo e si è lasciato dietro
una scia di luce.
febbraio-marzo 2010
26
De Pisis nel giardino di via Rugabella, Milano, 1941.
Foto di Luigi Comencini.
Nota
Fotografie e documenti che abbiamo utilizzato provengono da alcuni amici
cui va la nostra gratitudine: Umbro Apollonio, Augusto Barboso, Raffaele
Carrieri, Raffaele de Grada, Bona de Pisis, Gabriele Mucchi, Piero Pananti,
Dino Prandi, Franco Russoli, Paola Zanetti Casorati.
Abbiamo anche attinto all’archivio Ardengo Soffici e all’archivio Ottone Rosai.
Avvertenza
Nelle schede delle opere le voci bibliografiche sono date per esteso. Unica
abbreviazione: De Pisis. Catalogo generale, 1991, sta per: Giuliano Briganti,
De Pisis. Catalogo generale, tomo I e II, con la collaborazione di Daniela De
Angelis, Electa, Milano, 1991, con cronologia, esposizioni e bibliografia.
27
28
29
Frontespizio dell’opuscolo di Filippo de Pisis, Anamnesi dell’arte, 1920, con autografo dell’autore «Con desto
animo / l’a.»
La pubblicazione, senza indicazione del luogo di editore e di stampa (Ferrara), è dedicata «A Olga Resuevie [sic;
leggi Resnevic] Signorelli».
30
Filippo Tibertelli de Pisis. Notizie biografiche
Le ricerche sulla biografia di de Pisis (Ferrara 1896 – Milano 1956) si sono
estese per merito soprattutto di Sandro Zanotto nel volume Filippo de Pisis
ogni giorno, Neri Pozza Editore, Vicenza 1996.
Riproponiamo, come documento d’epoca, le note biografiche, pubblicate sul
fascicolo dedicato all’artista, della rivista fiorentina Il Frontespizio, Vallecchi,
Firenze, aprile 1938.
Il testo non firmato è dello stesso de Pisis.
«Artisti italiani: Filippo de Pisis»
Filippo de Pisis è nato a Ferrara, suolo ferace di rigogli pittorici, l’11 maggio
1896 dal Cavaliere Ermanno e da Giuseppina Senoni bolognese.
La famiglia, oriunda di Pisa, diede nella prima metà del quattrocento, Filippo, nobile e valoroso «condottiero» che meriterebbe esser meglio conosciuto.
Questo Filippo (ma non ci dilungheremo su di lui dovendo oggi parlare del
rampollo, pittore!) fu fra l’altro amico di Lionello d’Este e gli si attribuisce
l’uccisione del Duce d’Urmagnac. Nobili auspici dunque!
Il nostro pittore, scarabocchiò fino da fanciullo, e cominciò ragazzo a prendere, insieme alla sorella, delle lezioncine di disegno dal prof. Odoardo Domenichini Ferrare, figlio e nipote di egregi «figuristi e ornatisti» del secolo passato.
Il suo amore per le arti in genere, e la pittura in specie, non andò però disgiunto da quello della storia, della poesia. Versò per tempo tenere lacrime sulle
liriche del Contino di Recanati, e giovanissimo, con scarso peculio, datogli
dalla tenera madre che egli sempre adorò fino alla sua morte, intraprese una
sorta di pellegrinaggio nel paese, alla casa del suo poeta.
Alle «monografie» storico artistiche, che pubblicò essendo ancora in liceo, seguirono prove liriche, pubblicate nelle riviste di «poesie d’avanguardia» come
si diceva allora, notate con lode anche da poeti e critici severi come Soffici,
Papini, Boine, Govoni.
Il giovane poeta si vide acclamato come una nuova speranza dalla falange dei
confratelli, e un bel giorno si vide arrivare un gran pacco di libri e manifesti
futuristi con abbracci da Marinetti.
Si laureò in Lettere e Filosofia a Bologna, con una tesi sulla pittura ferrarese
dalle origini.
Fin dal 1916, anno nel quale ebbe la ventura di incontrare nella sua Ferrara i
fratelli de Chirico, Giorgio e Alberto Savinio, soldati e reduci da Parigi, e poi
Carrà, Soffici e altri, comprese l’ importanza di una certa forma d’arte che fu
poi battezzata facendo sorgere molti equivoci, metafisica e ne fu anzi, sebbene
pochi lo riconoscano oggi, uno dei fondatori.
Un suo opuscolo, oggi rarissimo, s’intitola Mercoledì 14, stampato a Bologna
e dedicato a de Chirico e Savinio, è uno dei pochi esempi, e forse il migliore,
di un genere di letteratura fiorito poi a Parigi.
Piacque del resto ad Apollinaire che inviò all’autore il suo Poète assassiné. Non
in note affrettate o in poche pagine si può compendiare la vita o la «carriera»
di un artista, ma insomma diremo che se fin da questa epoca de Pisis sapeva
31
Filippo de Pisis a sei anni.
32
più o meno disegnare (fu solo un lungo lavoro di quindici anni con studi
diretti sul nudo che lo mise davvero in possesso di questa arma senza la quale
non si domina la forma) e dipingeva un po’ e si faceva apostolo della nuova
pittura (vedi la sua Pittura moderna, conferenza detta a Viareggio, Ferrara,
Taddei; Anamnesi dell’arte etc.). Fu solo ad Assisi dove fu professore alla Scuola Magistrale nel 1923, che riprese i pennelli con rinnovato fervore.
Una mostra personale a Roma nel Teatro Nazionale (gli sembrò di buon auspicio che il più intelligente collezionista di Spadini, il dott. Signorelli, comprasse per primo alcune sue opere) e poi due quadri esposti alla prima mostra
del 900 lo rivelarono e imposero all’attenzione dei migliori critici e di quegli
spiriti acuti che formano la vera élite spirituale dell’Italia.
Per quasi sei anni visse a Roma, dove un suo lontano cugino, S.E. Mons.
Nasalli Rocca, oggi Cardinale di Bologna, era a quell’epoca elemosiniere segreto in Vaticano. Frequentò la «migliore società» passando dalla papale aula
dell’Arcadia, dove tenne conferenze, alle gallerie d’arte «futurista» (tutta l’arte
che non era tradizionale era tale agli occhi del pubblico in quest’epoca). Espose infatti per due volte da Bragaglia.
Le sue opere, sebbene in principio male esposte, furono notate a Venezia,
dove la sua sala personale del 1934 fu quasi un avvenimento.
La sua cultura, minutissima in certi rami, il suo modo di vivere fastoso e povero nel tempo stesso, le sue vaste conoscenze, ne formavano un personaggio
assai curioso e amato da uomini insigni. In parte, ma in troppo rapidi tocchi
è stato dipinto in un libretto da Giovanni Cavicchioli [Venezia, Nord-Est,
1932] e da Alfredo Panzini in un delizioso articolo sul Corriere della Sera.
Un bel giorno della primavera del 1925 una botte romana trasportava lui e un
certo bauletto nero alla stazione di Termini, dove Filippo de Pisis prendeva il
treno per Parigi. Gli amici pensarono che si trattasse di una gita di piacere: è
ormai tredici anni che egli vive nella «Babele moderna».
Se potessimo vedere, sfogliare, rigirare in tutti i sensi questa benedetta parola
vivere, avremo, forse il segreto dell’arte del nostro artista.
Molte cose che si son dette del suo conterraneo Boldini, che andò a Parigi
quaranta anni prima, si potrebbero ripetere forse per il nostro ferrarese, sebbene a giudizio di critici rispettabili assai (v. l’ultima opera di Fierens «F. d. P.»,
Chroniques du Jour, Paris, 1937) de Pisis è non solo pittore ma artista molto
più raffinato, molto più creatore nel senso moderno dell’espressione.
Nel 1936 restò per diversi mesi a Londra, dove una sua mostra alla Galleria
Zwemmer ebbe molto successo.
Non vogliamo pronunciarci sul poeta: egli suole dire che si ritiene più grande
poeta che pittore; aspettiamo che i suoi versi siano più largamente diffusi e
che sia passato un po’ di tempo.
Vive dunque a Parigi al 7 di quella tranquilla Rue Servandoni (architetto di
origine fiorentina) che parte dal fianco così romano della Chiesa di San Suplice e arriva al cancello del giardino del Luxernbourg «à l’ombre des tours de
Saint Sulpice», in una specie di aereo granaio allietato da un balcone fiorito e
dalla parlantina di un bel pappagallo verde e giallo.
Quanti sono ormai saliti a questo granaio! Se non è le Paradis di Monteris è
però uno «charmant grenier».
33
Filippo de Pisis a diciotto anni, fotografato alla Balzac,
con dedica «A G. Ravegnani / amicamente / F. de Pisis 12.I.19»
Foto La Glisentiana E. Codognato, corso Giovecca n. 64, Ferrara.
Ne scrive Ravegnani nel testo a fianco.
34
Un compagno di gioventù, nella città di Ariosto
Giuseppe Ravegnani
Di famiglia nobile un po’ ferrarese e po’ pisana, si chiamava Luigi Filippo
Tibertelli de Pisis; ed abitavamo tutti e due nella città dell’Ariosto, che è città
medianica, dove le Muse camminano per le strade e i colori vi regnano, sotto
cieli che più belli non potrebbero essere (ricordate i cieli, malinconici e stralunati, del Tura e del Cossa, o quelli della poesia di Govoni!). […] de Pisis poco
più che bambino s’incantava ai colori dei coriandoli, nelle feste di Carnevale,
ed erano per la sua età gioie contemplazioni inconsuete.
In quel tempo e dopo, il nostro amabile de Pisis abitava in una delle strade
più armoniose e gentili di Ferrara cinquecentesca, via Montebello, quasi di
fronte all’arioso, davvero metafisico, piazzale di Santo Spirito, in un antico
palazzo color ruggine, dalle alte finestre e dal cornicione di mattone cotto. Nei
giorni della prima guerra mondiale, proprio a Ferrara, in una rossa, piccola
casa fiabesca, di faccia quasi a quella di de Pìsis, de Chirico scopriva i suoi
manichini mitologici, le larghe solenni piazze metafisiche, i rigidi casamenti
malinconici, le solitarie finestre sbarrate come gli occhi del tempo sui misteri
della poesia e della fantasia, e quei suoi verdi ossessionati cieli da Apocalisse;
mentre Carrà inventava le squadre, i compassi, i pavimenti squallidi, le aride
giunture dei mattoni, la banalità e il terrore degli interni, e i suoi morbidi,
teneri rosa da confettura; e in fine Savino cercava l’estro e i motivi per l’Hermafrodito entro le botteghe d’una curiosa Ferrara, ammuffita da tanti anni di
dominio pontificio.
Allora de Pisis, più che pittore, era poeta, un giovane poetino di provincia,
che amava farsi fotografare, un po’ per gusto e un po’ per burla, in panni e
atteggiamenti antiquati, quasi un Balzac raggentilito e di maniera, con i baffi
spuntati dei tempi di via Marais-Saint-Germain, i capelli divisi a mezzo in
due bande perfette e ben pettinate sino alla grazia morbida dell’orecchio, la
nera cravatta alla Byron gemmata da un grosso, prezioso cammeo, il panciotto
di velluto bianco a fiorellini rosei e azzurri, le labbra leggermente carnose e
sorridenti, di quel gioioso quasi infantile sorriso, ch’era allora il biglietto da
visita della sua anima bianca e idilliaca, dalla quale nacque, corse un limpido
filo d’argento, la sua poesia prima, e la sua pittura poi.
«Le poesie di Filippo de Pisis», Epoca, Milano, 15 novembre 1953.
35
Terza di sopraccoperta della rivista Cronache d’Attualità, dirette da Anton Giulio Bragaglia, Roma, n. 6-10, giugnoottobre 1922.
De Pisis fra i collaboratori.
36
Roma, alle grotte di Bragaglia
Virgilio Guzzi
La prima volta che vidi de Pisis fu molti anni addietro, nell’altro dopoguerra,
alle grotte di Bragaglia in via degli Avignonesi. Teatro d’avanguardia e galleria
d’arte, quelle profonde e profane «catacombe» esalavano un forte odore di
umidità e tela juta. Facevano molto Parigi e Berlino, in questa vecchia Roma
immobile e sordastra […].
Ricordo un giovane […] vestito in un modo che mi parve eccentrico. de Pisis
per molti anni fu per me un tipo pittoresco. La sua camicia colorata, la sua
giacca a quadri furono forse la prima imagine, che si stampò nella mia testa,
di un pittore moderno.
«Primo ed ultimo de Pisis», in Ricordo di de Pisis, Carlo Colombo, Roma,
1956.
A Roma (1925).
37
1
La casa col pino, 1916.
Olio su cartoncino applicato su tavola,
cm 34,9x25,3.
In basso a destra: Pisis 16 [probabile aggiunta posteriore].
Al verso: scritta [autografa di Pisis?] «Opera giovanile / Pisis 1916»; etichetta Galleria del Naviglio, Milano, con n. 1061,
e timbro; etichetta Centro di Cultura di
Palazzo Grassi, con timbro.
Esposizioni
Omaggio a de Pisis, a cura di G. Ballo, Studio del pittore a Villa Fiorita, Brugherio,
2 giugno-6 luglio 1980, riprodotto in cat.
p. 21
De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di
L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 65
De Pisis, a cura di G. Briganti, Palazzo
Grassi, Venezia, 3 settembre-20 novembre
1983, riprodotto in cat. p. 52, n. 8
De Pisis, a cura di C. Gian Ferrari, coordinamento F. Farina, Palazzo Bellini, Comacchio, 12 luglio-22 settembre 1986,
riprodotto in cat. p. 26, n. 2
De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13
giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat.
p. 73
De Pisis. Dalle avanguardie al «diario», a
cura di R. Barilli, B. de Pisis, C. Gian Ferrari, A. Monferini, F. Tibertelli, L. Velani,
testi di vari, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 6 febbraio-12 aprile 1993,
riprodotto in cat. n. 6
Exempla: arte italiana nella vicenda europea
1900/1960, a cura di B. Corà, Pinacoteca
Civica, Teramo, 5 dicembre 1999-7 febbraio 2000, riprodotto in cat. p. 78.
Bibliografia
G. Raimondi, Filippo de Pisis, Vallecchi,
Firenze, 1952, riprodotto tav. 1
G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, pp.
56, 155, riprodotto n. 105
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1916/7
De Pisis, a cura di S. Salvagnini, inserto
redazionale allegato al n. 219 di Art e Dossier, Giunti, Firenze, febbraio 2006, riprodotto p. 8.
Guido Ballo, monografia 1968, cit., p.
56: «Sicuramente del ’16 è […] la Casa
col pino: rivela una immediatezza pittorica e una sintesi elementare, che precorre
certi accenti metafisici, coincidendo con
38
una riscoperta dei primitivi: l’essenzialità,
il bisogno di purezza raggiungono effetti
nuovi, che saranno poi sviluppati nel Novecento.» Ancora a p. 155: «Un certo intimismo crepuscolare si nota nelle prime
opere del ’16: La casa col pino è risolta,
in una sintesi quasi da pittore candido,
con effetti di presenza incombente, per le
montagne sommarie e il verticalismo del
pino, che quasi eliminano ogni prospettiva, appena accennata dalla casa nitida agli
spigoli.»
Intatto il senso di stupore, come l’immagine rivelasse un mondo nuovo, affacciata
per la prima volta all’attenzione dell’artista
ventenne. La fresca semplicità dei primitivi, dai nostri duecenteschi a Rousseau il
Doganiere, che coloravano le forme disegnate quasi per tenere memoria di un’apparizione arcana, sarà fra le componenti di
tutto l’insieme creativo di de Pisis.
39
2
L’uomo dal cappellone, 1920.
Olio su cartone, cm 35x28.
In basso a destra: Pisis 1920.
Esposizioni
Filippo de Pisis. Nel centenario della nascita.
La felicità del dipingere, a cura di L. Laureati e D. De Angelis, Galleria Pananti,
Firenze, febbraio-marzo 1996, riprodotto
in cat. n. 1
Filippo de Pisis. La figura umana, a cura di
L. Caramel e C. Gian Ferrari, Museo Mallé, Dronero, 21 aprile-8 settembre 2002,
riprodotto in cat. p. 35
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat.
n. 3.
Bibliografia
G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 126
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1920/1 (cm 35x25).
Daniela De Angelis, scheda per il catalogo 1998, cit.: «Il 1920 fu un anno cruciale
per de Pisis: il 28 novembre si laureò in
Lettere a Bologna discutendo una tesi dal
titolo La pittura ferrarese (dalle origini agli
albori del secolo XV), e la scelta del tema
non era certo casuale, visto che proprio fra
il ’19 ed il ’23 egli si scoprì pittore, dopo
aver per molti anni pensato di essere nato
scrittore e poeta. Le prove precedenti al
1920 sono chiaramente sperimentali; solo
in questo periodo, mentre l’artista ferrarese risiedeva a Roma in casa delle sorelle Cipolla e frequentava de Chirico e Spadini,
prende corpo la sua vera pratica pittorica,
destinata a svilupparsi ancor di più all’atto
del suo trasferimento a Parigi, sotto gli influssi della grande pittura impressionista.
Filippo de Pisis aveva incontrato a Roma
nel 1919 lo scrittore Giovanni Comisso, che gli sarebbe stato vicino, con alti e
bassi nella loro amicizia, per tutta la vita.
Proprio Cornisso ricordava le numerose
vacanze trascorse dal pittore nel Cadore,
durante le quali quest’ultimo dipingeva i
ritratti dei ragazzi di montagna fissandone
sulla tela i volti imberbi, lo sguardo puro
e caparbio, i lineamenti forti e decisi: “Mi
scrisse che era a villeggiare a Cima Gogna,
in una vallata del Cadore, dove il verde dei
prati invadeva il suo studio da pittore e an-
40
dassi a trovarlo. Era con sua madre, una
signora minuta, che parlava assai poco e
sembrava imbarazzata davanti al discorrere
imperioso del figlio. Fui alcuni giorni suo
ospite, ma da principio non mi parlò della
sua pittura. Era come inebriato di quegli
uomini di montagna addetti al disincaglio
dei tronchi d’albero abbattuti nelle foreste
e spinti nelle acque del Piave per mandarli
fino alle segherie [...]. Conosceva tutta la
squadra e a loro aveva regalato pipe di pochi soldi e pacchetti di tabacco. Qualcuno
era venuto a posare e gli aveva ritratto la
testa chiusa nell’ombra del berretto unto
e sformato” (da Mio sodalizio con de Pisis
[1954]). Il dipinto qui esposto presenta
larghe fasce compatte di colore, steso senza chiaroscuri; il quadro vivace, brillante,
è basato su una complessa gamma di marroni, ocra, terre di Siena, gialli, bruni; lo
sfondo è praticamente inesistente, ciò che
interessa il pittore è lo sguardo intenso del
modello, la sua compatta e giovanile epidermide, le grandi e fanciullesche orecchie
che si intravedono sotto l’ala del cappello,
messo forse per la prima volta, in un giorno di festa.»
Il ritratto, realtà vissuta un attimo; inizia
un percorso che nei visi maschili è pro
memoria. Come i suoi fogli di appunti,
poesie, prose, sono firmati e datati, così
disegni e quadri testimoniano ogni giorno della vita di de Pisis, per lasciare traccia
delle sue prorompenti doti creative. Lo si è
detto un genio dispersivo, ma il suo lavoro
era fatto perché nulla, delle sue emozioni,
dei suoi incontri andasse perduto.
41
3
Stivaletto azzurro, 1923.
Acquarello su carta applicata su cartone,
cm 25x39,6.
In basso a destra: de Pisis / 23.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 00663.
Una rosa infilata nello stivaletto, un cuore
poggiato sul piano a righe azzurre. Possiamo guardare questa scarpuccia e leggere
insieme una pagina di de Pisis, «Vizio»,
dal suo libro La Città dalle 100 Meraviglie che, proprio nel 1923, fu pubblicato
a spese dell’autore dalla Casa d’Arte Bragaglia, Roma (p. 131; poi F. de Pisis, La
Città dalle Cento Meraviglie e altri scritti,
a cura di Bona de Pisis, introduzione di
Giuseppe Raimondi, Vallecchi, Firenze,
1965, pp. 502-503): «Per più sere, tutte le
volte che passavo dalla vetrina di una nuova calzoleria, mi fermavo a contemplare le
scarpe esposte e specialmente due stivali
di pelle gialla da cavallerizzo esposti con i
loro legni per tenerli tesi, precisi e ben intarsiati. La mia ammirazione ha raggiunto
un grado di tale intensità ch’io non posso
più tacerla e godermela solo “nel mio per di
dentro” come dice la “Castalda”. Non potrò
esprimerla interamente con le parole, ma
almeno mi sia concesso in parte. Non date
allori e serti e premi ai poetucoli e agli agili
maneggiatori di versi e rime, ma all’artefice
che è riuscito a piegare, a forgiare in modo
così mirabile la materia ribelle. Dategli un
premio degno di lui. Mi sembra che il lavorante di questa calzoleria sia un giovane
bruno e forte. Scegliete la più bella ragazza
della città dalle 100 meraviglie e offritela
ignuda e incoronata di rose tra tripudi di
canti e di danze. (Io penso con un po’ di
nostalgia smelensa ai tempi di Grecia libera e fiorente di arti e di suoni). Ciò però
sembra consono anche ai tempi nuovi pur
tanto lontani e diversi da quelli. È difficile
colla pelle, lo spago e i chiodi di legno e di
ferro fare una scarpa anche inelegante, ma
fare un paio di stivali di questa perfezione
tocca il portento dell’arte! Non un leggero
pentimento, non una lieve stonatura.»
42
43
4
La cena del cappuccino (1923).
Olio su cartone, cm 34x48,8.
Esposizioni
De Pisis, a cura di G. Briganti, Palazzo
Grassi, Venezia, 3 settembre-20 novembre
1983, riprodotto in cat. p. 56, n. 14
Filippo de Pisis. Nature morte, a cura di S.
Crespi, testi di C. Gian Ferrari e S. Crespi, Galleria Civica, Campione d’Italia, 19
aprile-30 maggio 1996, riprodotto in cat.
p. 33
Italian Stll Life. Painting, Seiji Togo Memorial Yasuda Kasai Museum of Art,
Tokyo, aprile-maggio 2001; idem, Art
Museum, Niigata City; idem, Hakodate
Museum of Art, Hokkaido; idem, Shimin
Plaza Art Gallery, Toyama; idem, Museum
of Art, Ashikaga; idem, Museum of Art,
Yamagata, riprodotto in cat. n. 58.
Bibliografia
G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 143 (1924 c.)
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1923/2.
Claudia Gian Ferrari nel testo per il catalogo 1996, cit.: «Verso la fine del 1920
[…] de Pisis si trasferisce a Roma, che, rispetto alla sua formazione, costruita con
tenacia e accanimento, pur con aneliti e
curiosità internazionali, nella quieta Ferrara, rappresenta il luogo del dibattito culturale, il luogo delle meraviglie da cogliere
a piene mani nelle frequenti passeggiate
lungo le navate delle mille chiese e sulle
pareti infinite dei musei, il luogo dei turbamenti e delle scelte. Nascono in questo
clima stimolante e suggestivo alcuni dei
suoi capolavori, tra i quali molte composizioni di natura morta, un genere pittorico
nel quale de Pisis riesce a fondere la sua
vocazione letteraria, narrando attraverso
un armamentario simbolico di forte suggestione, una messa in scena affabulata e
insieme misteriosa. Nel 1941, riferendosi alla propria pittura di quei primi anni
romani, de Pisis scriverà [“Note sulla mia
pittura”, Gazzetta del Popolo, Torino, 20
gennaio 1941]: “Dipingevo certe nature
morte che mi paiono ora un po’ secche,
servendomi fra l’altro come modelli degli
utensili da cucina di certe brave signore
che mi ospitavano; una cucina misteriosa,
come ne esistevano ancora a quei tempi a
Roma […]. Dipingevo con grande semplicità di mezzi fra una pagina e l’altra perché
44
allora soprattutto davo lezione di latino,
scrivevo e facevo, horresco referens, conferenze in Arcadia”».
45
5
Natura morta con fiasco, 1923.
Olio su carta applicata su tela,
cm 56,8x67,8.
In basso a destra: de Pisis / 23.
Al verso: sulla tela etichetta Galleria Palma, Roma, con n. 550; sul telaio etichetta
blu con scritta a inchiostro «56 / Il Milione»; etichetta «Mostra di Filippo de Pisis,
Ferrara 1951», con n. 7.
Esposizioni
De Pisis, a cura di G. Raimondi, Castello
Estense, Ferrara, giugno-luglio 1951, in
cat. p. 57, n. 7
De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di
L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 68
De Pisis, a cura di G. Briganti, Palazzo
Grassi, Venezia, 3 settembre-20 novembre
1983, riprodotto in cat. p. 57, n. 16 (Natura morta con fiasco e ceramica bianca; olio
su tela).
Bibliografia
G. Raimondi, Filippo de Pisis, Vallecchi,
Firenze, 1952, riprodotto tav. 9
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1923/22
De Pisis, a cura di S. Salvagnini, inserto
redazionale allegato al n. 219 di Art e Dossier, Giunti, Firenze, febbraio 2006, riprodotto p. 20.
Giuseppe Raimondi (1952, cit., pp. 13-14)
in quella che fu l’ultima monografia vista
de Pisis: «Noi sentiamo adunarsi, nelle tele
e sui cartoni romani, dal periodo tra il ’20 e
il ’23, come un cumulo di potenti passioni,
liriche ed umane che agitarono la mente di
alcuni uomini di cultura italiana [ ... ].
L’arte di de Pisis nasce all’ombra classica
e barocca di Roma, nelle strade acciottolate, negli orti cosparsi di ruderi, nell’aria
cupa viola e nera di sale silenziose, sotto
un pergolato fuori porta; quasi realizzando
la fusione di un sangue, e di una civiltà un
poco nordica, come la fantasia lunatica dei
Ferraresi, con la luce e il sorriso vastissimo
delle sponde mediterranee [ ... ]. Frequentava, in quel tempo, il pittore Spadini; ma
di più, lo frequentava il ricordo e l’amore
degli antichi. Il Lorenese, e Poussin, e Caravaggio, Guercino e Preti. E i pittori seicenteschi di nature morte, incontrati nelle
stanze deserte dei musei [ ... ]. È, il suo, un
colore evocativo di storia e di sentimento
italiano, direi stendhaliano: dopo la serie
dei grigi e dei verdi-chiari tipici di un suo
46
soggiorno ad Assisi, l’accordo famoso dei
verdi-poltrona, coi rossi cardinalizi, papali
romaneschi. E i viola coi verdi, coi rossi,
coi rosa di carne; ricavati dall’ombra delle
antiche case romane, dei domicili abbandonati. Rossi e verdi che, come una predestinazione, egli riscoprirà, appena giunto a
Parigi nel suo Delacroix.»
Giuliano Briganti nell’introduzione al
catalogo del 1983, cit.: «Nella Roma dei
Valori Plastici e de La Ronda, nella Roma
scettica e sorniona dove Spadini cominciava ad essere un mito, dove il suo de Chirico, rintanato nello studio alle pendici del
Gianicolo, fra una crisi di depressione e
una di misantropia, sentiva risuonare dal
cielo e disperdersi giù per i giardini e gli
orti del bel colle romano, gli squilli delle
trombe angeliche che annunziavano il suo
personale Rinascimento. Quegli squilli
non giungevano, al di qua del Tevere, sino
a Via Monserrato 149, nell’appartamento
delle Signore Cipolla, dove de Pisis abitava,
ma la febbre del dipingere l’aveva attaccato
violentemente, distruggendo ogni rigidità
e ogni impaccio, e spingendolo molto presto a meditare l’evasione da quell’aria di
chiuso che pesava su Roma, fra tanti severi
richiami, tante buone intenzioni e tanti
discorsi al caffè.»
47
6
L’attaccapanni (Il cappotto), 1923.
Olio su cartoncino telato, cm 50x34,5.
In alto a destra: F. de Pisis.
Provenienza: Gussoni, Milano.
Esposizioni
Filippo de Pisis, a cura di G. Granzotto, Galleria Dante Vecchiato, Padova, 6 maggio-19
giugno 1999, riprodotto in cat. p. 37
Filippo de Pisis. Dipinti 1916-1951, a cura
di G. Bordonaro, consulenza F. Gallo e
G. Granzotto, Salone delle Bifore, Palazzo
Sclafani, Palermo, 12 febbraio-12 marzo
2000, riprodotto in cat. p. 38, n. 4
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat.
n. 4.
Bibliografia
G. Ballo, Filippo de Pisis, Edizioni «La Simonetta», Milano, 1956, riprodotto tav. 5
G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 111
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1923/34.
La struttura di questo scorcio interno
dell’appartamento romano ha qualche
richiamo alle composizioni astratte, del
neoplasticismo, se consideriamo il fondo
con le barre scure che danno confini geometrici a campiture piatte. Impaginazione
coraggiosa, disegnata con precisione e, nel
suo rigore, dispone una sorta di lettura duplice e contrastante: iperrealismo, cappello
cappotto bastone, in un ambiente alla De
Stijl.
48
49
7
Natura morta con il fiasco (1924).
Olio su tela, cm 49,5x58
In basso a sinistra: de Pisis.
Al verso: sulla tela etichetta «[XCII] Esposizione di Belle Arti / [Soc]ietà Amatori e
Cultori di Belle Arti / Roma 7 Febbraio
-maggio 1926».
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 01406.
Esposizioni
XCII Esposizione di Belle Arti, Società
Amatori e Cultori di Belle Arti, Palazzo
delle Esposizioni, Roma, 7 febbraio-maggio 1926, Sala V, in cat. n. 17 o 21 (Natura
morta)
Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo
dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre
2001-6 gennaio 2002; poi Farsettiarte,
Milano, 6 febbraio-7 marzo 2002, in cat.
p. 14, riprodotto n. 2
Natura morta natura viva nella pittura
del Novecento, a cura di C. Gian Ferrari,
Studio di Consulenza per il ’900 italiano,
Milano, 29 maggio-25 luglio 2003, riprodotto in cat. p. 19, n. 12
La bella pittura. 1900-1945, a cura di L.
Gavioli, testi di vari, Pinacoteca Provinciale, Potenza, 10 ottobre 2003-19 gennaio
2004, riprodotto in cat. p. 107
Montecitorio e la bella pittura, a cura di L.
Gavioli, Palazzo Montecitorio, Sala della
Regina, Roma, 2 marzo-9 aprile 2004, riprodotto in cat. p. 93.
Maurizio Fagiolo dell’Arco, scheda per il
catalogo 2001, cit.: «Un’opera (recentemente riscoperta) esposta in una delle prime occasioni pubbliche, la Esposizione degli
Amatori e Cultori che si tiene a Roma nella
primavera 1926. Ci sono tutti gli elementi
della grammatica del pittore, manca la felice sintassi della follia pittorica. Fiasco e
pignatta, coperchio e mela, limone e piano
in prospettiva delineano un microcosmo
di “modeste cose trascurate”, ma Madama
Pittura verrà a fargli compagnia soltanto
tra pochi mesi a Parigi. Via Monserrato,
nel rione di Parione: sarà anche il luogo
di vita di un altro poeta, della scrittura automatica, Cy Twombly, un altro medium
che riesce a trasformare la sua esistenziale
stenografia in capolavori di pittura. Un curioso destino.»
50
Claudia Gian Ferrari nnella presentazione in catalogo 2003, cit.: «Il dipinto di de
Pisis Natura morta con il fiasco è ancora
un altro modo di avvicinarsi al tema: la
costruzione è classica, ma il soggetto non
ha nulla di aulico o di solenne, è il tavolo
di cucina della casa dove a Roma, ospite
in via di Monserrato delle sorelle Cipolla,
egli dipingeva “secche nature morte”, con
una intensità di toni caldi e di profondi
rapporti nella poesia delle povere cose, che
resteranno, anche nelle sempre presenti
successive esperienze attorno al genere,
elementi ricorrenti e significanti nell’intero ambito del suo discorso pittorico.»
51
8
Natura morta con funghi (1925).
Olio su cartone applicato su tavola,
cm 35x51,2.
In basso a destra: de Pisis.
Al verso: etichetta «Ex libris Tibertelli de
Pisis», con scritto «Signorelli» di pugno
dell’artista.
Provenienza: Tibertelli de Pisis, Milano;
Olga Signorelli, Roma.
Dichiarazione su fotografia dell’Associazione Nazionale Gallerie d’Arte moderna e
contemporanea, Milano, 5 giugno 1995.
Giuliano Briganti nel testo in catalogo Filippo de Pisis 1896-1956, Régine’s Gallery,
Roma, aprile-giugno 1983: «C’è poi, nella
prima metà degli anni Venti, il de Pisis romano, il de Pisis delle nature morte negli
interni, dipinte ad Assisi, a Cave, a Roma,
al tempo in cui de Chirico sosteneva di
aver sentito lo squillo delle trombe celesti che lo esortavano alla “grande pittura”,
al “mestiere”. Anche de Pisis in qualche
modo sente per un breve momento l’ondata di riflusso che investe non solo l’Italia
ma tutta la pittura europea. Vi è in quelle nature morte come un sentore di “sano
ottocento”, come una leggera suggestione
verso la “buona pittura”, quasi non fosse insensibile ai suggerimenti di Soffici o
all’esempio di Spadini. Ma è appena un
sentore, un soffio leggero. Quelle umili
terraglie, quelle pentole, quei piatti, quei
fiaschi, quel corredo da cucina campagnola, quasi da Magini, se echeggiano, nella
composizione, certe pesantezze novecentesche si affidano alla sicurezza di un istinto
che sa riconoscere sempre la vera dalla buona pittura. Pur nella campitura più piena,
la leggerezza di mano non si tradisce mai.
Né il senso straordinario e musicale del
colore. I verdi grigi, i bianchi, gli avana,
i neri che predominano sono come il succo di olive, come l’essenza delle nocciole,
del latte, del carbone. Insomma de Pisis è
sempre de Pisis, anche prima di aver trovato a Parigi una seconda patria, anche prima di aver scoperto Venezia. Sempre, nei
suoi tratti più felici, vi è una carica sensuale così prepotente che stordisce e che
si concentra tutta, nell’impressione. Dagli
inizi alla fine della sua vita è sempre il suo
estro che vince, come segno più certo della
natura fragile e invitta, caduca ed eterna
della pittura. La pittura come specchio
della felicità e della pena, come simbolo di
un dono fugace.»
52
53
54
55
56
Visita alla casa-studio di rue Servandoni, presso Saint-Sulpice
Nicolò F. Mancuso
Sono andato a trovare Filippo de Pisis nel suo eremo solingo.
Filippo de Pisis vive in raccoglimento, in una casetta antica e silenziosa, non
so se al sesto o al settimo piano, in una via deserta e provinciale di Parigi, in
prossimità della piazza, suggestiva e tranquilla, di San Sulpizio. La sua casetta
ed il suo studio sono poveri, modesti: ma in questo eremitaggio sotto i tetti si
trovano mobili e oggetti preziosi. Questa dimora umile a sfumature d’ombre,
è ricca di dorature classiche. Le camere sembrano celle di frati: vi si respira
qualche cosa di conventuale: quasi un profumo d’incenso. Ma in questo ritiro
di pace ove l’armonia del silenzio è solo cullata dal suono grave delle campane
della secolare chiesa vicina, a mattutino ed a vespero, si trovano mobili austeri
che sembrano del più puro fiammingo, degli arazzi, dei ferri battuti, uno specchio antico con cornice d’oro zecchino, un costume teatrale del settecento veneziano, una lanterna giapponese a fiorami stilizzati, vasi antichi dalle forme
simboliche: tutto un arsenale di belle, vecchie cose, raccolte con gusto e con
amore. Una sinfonia d’arte in una semplice atmosfera francescana. In verità
Filippo de Pisis, uomo di lettere regolarmente laureato all’università che prima di dare all’arte fu professore, cominciò con insegnare ad Assisi. Forse dalla
suggestione di quell’ambiente, dovette venirgli quel sentimento francescano,
al quale ha voluto uniformare la sua anima e la sua vita.
Filippo de Pisis, nato a Ferrara da nobile famiglia, nel 1896, si dedicò interamente alla pittura solo verso il 1923 dopo la morte del padre. Questo scrittore e poeta, che fin dall’età di otto anni aveva studiato il disegno, optò un
bel giorno per l’arte pittorica. E da dilettante divenne presto professionista,
entrando nel gruppo del primo Novecento costituitosi intorno a Margherita
Sarfatti. I suoi primi quadri furono acquistati dal Gussoni, che aveva fondato
la Galleria Milano.
Dopo questo primo successo, l’artista esordiente si decise a fare una mostra
personale, i cui risultati oltrepassarono le sue aspettative.
Preso dalla fiamma dell’entusiasmo, inebriato dalle realizzazioni del suo nuovo sogno, colui ch’era stato un novelliere, un romanziere, un critico d’arte,
armatosi di tavolozza e di tele, volle affrontare l’agone parigino. Al 1925 venne a Parigi. Le sue prime lotte furono durissime: ma la notorietà non si fece
troppo aspettare.
Coloritore di razza, cominciò a farsi notare con dei paesaggi delicati e vigorosi insieme. Un mercante polacco Sierpski, che ne intuì le forti qualità non
tardò a lanciarlo. I suoi quadri furono accettati al Salon d’automne. Fu il suo
primo, vero successo parigino. Da allora, cominciò ad esporre in tutti i Salons.
Amatori d’arte e mecenati cominciarono a disputarselo. Le sue recenti mostre
personali alla Galleria Bonjean ed alla Galerie des Quatre Chemins, sono state
fra le più interessanti della stagione. Oggi i quadri di de Pisis si trovano nelle
più importanti collezioni europee ed internazionali.
Il giorno in cui sono andato a trovarlo, de Pisis era intento a dare l’ultimo
tocco ad una bella natura morta, delle giorgine e delle dalie, palpitanti d’una
57
tenerezza autunnale. E mi raccontò che, passando qualche giorno prima per
la rue de la Boétie, era rimasto impressionato da una ricca serie di quadri di
fiori del Derain uno dei più grandi pittori moderni, che empivano dei loro
toni freschi e vivaci, tutta la vetrina della Galleria Guillaume.
Era rimasto sopratutto a contemplare una tela che rappresentava delle giorgine e delle dalie scempie. Questi fiori emergevano da un vaso semplicissimo,
su uno sfondo dorato, quasi ardente. Il suo trasporto era stato tale, che era
subito andato in giro dai fiorai, per trovare quei fiori. Li aveva disposti in un
vaso e li aveva dipinti amorosamente. Avea voluto, nel suo spirito, comporre
un omaggio a Derain, uno degli artisti che egli più ammira. Ed era stato un
omaggio di valore perché la sua era una delle più squisite visioni di fiori che
siano uscite dal suo pennello.
Di questo entusiasmo è animata la sua arte, e di questo entusiasmo è animata
la sua vita. Con entusiasmo gioioso egli crea febbrilmente, e la sua opera è
vasta e feconda.
Alla Seconda Quadriennale di Roma, che si aprirà ai primi di febbraio, Filippo de Pisis avrà una saletta particolare nella quale esporrà una bella serie di
paesaggi del Gers, eseguiti in un mese e mezzo da lui trascorso nella solitudine
di quella provincia di Francia: paesaggi chiari della Guascogna, in una ricerca
di toni limpidi, con una tavolozza fatta di tenui luminosità e di trasparenze.
Esse segneranno l’ultima espressione della sua arte in continua evoluzione.
Di de Pisis si ricorda lo scenario per Teresa nel Bosco al teatro Goldoni per il
Festival Musicale di Venezia. L’artista aveva eseguito i bozzetti senza annettervi troppa importanza, e fu non poco sorpreso quando ne vide il magnifico
effetto. Il pubblico internazionale che affollava il teatro quella sera, non celò
la sua ammirazione.
La scena del Bosco ricorda i grandi scenografi del settecento, pur mantenendo
il suo spiccato carattere moderno.
Non bisogna, però tacere che una parte del merito va anche al Grandi, scenografo della Scala, che seppe interpretare sapientemente i bozzetti del de
Pisis dai toni così luminosi da far pensare all’acquerello. I bozzetti di de Pisis
erano quasi anti-tecnici: erano opera di pittore, più che di scenografo: eppure
il Grandi seppe trarne risultati superbi, ottenendone tutta la luminosità e la
grandiosità. Quei bozzetti sono stati poi acquistati da quella sensitiva protettrice delle arti, che è la contessa Pecci-Blunt, il cui salotto a Parigi accoglie il
fiore della intellettualità italiana della capitale.
All’esposizione organizzata dalla Dante Alighieri, a Ginevra, nel settembre
di quest’anno, de Pisis presentò una natura morta, con funghi che realizzava
una tendenza verista, ed una natura morta con dei pani che aveva quasi un
simbolico senso di lirismo e di irrealtà, su uno sfondo drammatico. Queste
due opere furono tra le più ammirate della mostra, per la loro intensità e per
la loro efficacia.
All’ultima Biennale di Venezia, i quattro quadri che de Pisis espose, erano
quasi passati inosservati all’inizio. Ma a poco a poco interessarono il pubblico
e finirono per conquistarlo. La critica celebrò sopratutto Canale a Rimini e
Lavandaie nella Marecchia come due tra le più belle tele di tutta l’esposizione.
Alla prossima mostra di ritratti, che avrà luogo a Parigi, alla Galleria Bonjean,
58
de Pisis figurerà accanto ad altri venti maestri.
E non è certo piccolo titolo per lui, essere stato prescelto a partecipare ad una
mostra, che accoglierà i migliori rappresentanti della moderna arte pittorica
francese.
La pittura di Filippo de Pisis, scaturita da un’anima di poeta, è fatta per i poeti.
È una pittura suffusa tutta d’un fresco lirismo; una pittura gioiosa perché creata
con gioia. È tutta una festosità di colori, che canta un grande inno alla vita.
Esteta dalla immaginazione feconda, quest’artista amò gli impressionisti francesi, ma amò anche molto i maestri del Rinascimento. Spirito colto e meditativo, realizza un’arte intellettuale fatta di valori lirici, nella quale spiccano
quella grazia e quel buon gusto che sono le leggi precipue della sua vita.
In ogni sua opera palpita una sensibilità estrema; in ogni sua opera si sente un
temperamento fatto di freschezza e di ingenuità, attraverso una vena chiara e
sensuale.
Le sue nature morte, i suoi paesaggi, le sue composizioni, hanno una linea
estetica, una distinzione di un fascino profondo. È il pittore completo, e perciò
apprezzato da spiriti di tendenze e di concezioni opposte; critici d’avanguardia
ammirano i suoi disegni, e adoratori del classico si estasiano dinanzi alle sue
nature morte. È un carattere assolutamente moderno, con una base metafisica
moderna. E pur essendo modernissima, la sua pittura ha un substrato classico;
è arte assolutamente italiana, che si ricollega ai grandi del settecento.
Arte italiana perché de Pisis, malgrado viva a Parigi ed abbia grandi simpatie
per i più significativi artisti francesi, non ha mai spezzato quel legame spirituale ed intellettuale, che lo congiunge alla sua Terra, al suo passato di studi e
di educazione. Ogni anno si reca in Italia, come in un pellegrinaggio spirituale, e là, tra i luoghi cari che ama lavora in pienezza di esaltazione.
Quest’anno ha dipinto a Venezia due superbi paesaggi, San Lorenzo e San
Giovanni e Paolo, ed ha fatto dono d’una bella tela pel museo che si sta costituendo ad Olevano Romano. Così il figlio lontano feconda col suo amore, la
trama sentimentale, che lo unisce sempre alla Madre inobliata.
«Gallerie di Parigi. Filippo de Pisis», L’Ora, Palermo, 9 novembre 1934.
59
Parigi, 1926.
Con il corpo dipinto all’orientale, per un ballo mascherato.
60
Uno sguardo ai surrealisti antichi e moderni
Filippo de Pisis
Le belle tavole che l’amico Longanesi pubblica nel n. 21 dell’Italiano riproducenti alcune gustosissime pitture di Giuseppe Arcimboldi [ nota dell’autore:
fiorito nella seconda metà del ’500. Ricavo da una enciclopedia queste notizie
sommarie: Arcimboldi Giuseppe – Pittore italiano, di Milano, nato nel 1533,
morto a Praga nel 1593, meritò il titolo di pittore degli Imperatori Massimiliano II e Rodolfo. Il suo talento era soprattutto originale. Egli si era fatto
celebre componendo le sue pitture con gli elementi i più disparati e faceva
degli abbozzi, che rassomigliavano di lontano a figure umane. Altre figure
non sono che un insieme abile di fiori e di frutti. Qualcuna di queste opere
bizzarre è conservata al Museo di Vienna ] hanno una curiosa somiglianza con
l’opera di alcuni artisti surrealisti o affini, Dalì soprattutto, e ci inducono a
delle considerazioni che potrebbero tornar utili.
La legge comune di indifferenziabilità domina forse l’arte come la materia.
Dalì è un pittore che ha trovato a Parigi fervidi ammiratori, sia pure in un’élite
abbastanza ristretta e che certo ha un talento attraente; però la sua, come quella di altri artisti moderni, pure lontani da lui sotto altri aspetti, ci sembra su
una via traversa e non sulla buona nel cammino dell’arte o almeno, per meglio
intenderci, della pittura.
Un pittore come l’Arcimboldi, pure con un talento e con una serietà (ci sia
concesso di dirlo!) ben superiori a certi moderni, a noi moderni, alla sua epoca, anche nel miglior favore non fu certo considerato che come un elegante e
squisito artefice, ma non come un grande, non solo da non porsi nello stesso
cielo (nell’arte come nella santità vi è pure una scala di perfezione) di Raffaello
e di Tiziano, ma neppure in quello del Perugino o del Francia. Arte preziosa,
ma un po’ fredda, decorativa fiamingheggiante (si pensi alle nature morte del
Baschenis o di qualche olandese) del tempo; ma un po’ folle e perversa.
La verità è che la pittura, la vera, la buona pittura (a che avrebbero valso tanti
sforzi geniali altrimenti?) ha fatto grandi passi sulla strada maestra dell’arte dal
’500 a questa parte, anche come perfezione tecnica se per questa si intende
semplicità e immediatezza (e anche nei colori in senso chimico, ma ciò ha
un’importanza assai relativa). Le tappe però sono tenute dai veri pittori, gli
altri artisti, sia pure interessanti, restano a valle.
Orbene, i giudici un po’ superficiali, si incantano davanti alle finezze tecniche,
alle minuzie di certi pittori surrealisti o affini, e non si accorgono che queste
segnano se mai un regresso.
In altre parole, dipingere una mano o anche una scarpa come sapeva Manet
è più difficile (mi si passi l’espressione) che come la dipinse Giotto o Beato
Angelico.
Ma, naturalmente, la questione non è solo della tecnica!
Il valore di un’opera d’arte è davvero trasmissibile (sia pure col tempo e in
condizioni favorevoli) e reale solo quando è cosciente ed è l’emanazione diretta e prepotente di una commozione lirica da parte dell’artefice. Ed ecco
perché i veri grandi pittori furono più o meno poeti.
61
Ci sono in certe vetrine di fioristi delle teste di terracotta che si tengono in
bagno e poi vi si spolvera sopra dei piccoli semi che si trasformeranno in fili
verdi.
Oh il grazioso effetto! Non mi direte però che questa sia dell’arte.
E lo stesso il senso metafisico, un certo gusto perverso che stuzzica le passioncelle di noi moderni, l’accordo o l’accoppo di qualche bel tono voi li trovate,
con un po’ di buona volontà un po’ ovunque da le pitture en consierge a quelle
dei così detti maestri moderni. Ma una pittura, a noi pare, che debba essere
soprattutto una buona pittura e nel senso contemporaneo, per essere opera
d’Arte.
E questo vecchio artista italiano, Arcimboldi, può condurre a scuola i surrealisti, e anche certi prerafaelliti espressionisti, etc.
Fra questi vi sono pittori assai curiosi e deliziosi nel senso di una decorazione
che con una grand’ironia può essere compatibile anche con l’architettura di
un interno moderno.
Citerò fra questi Pierre Roy che fu amico di de Chirico e che, pare, lo precedesse nel comporre e dipingere certe nature morte formate dall’insieme di oggetti talora di apparenza eterogenea. La fattura minuziosa, l’impasto delicato,
i bei colori limpidi del Roy, lo avvicinano davvero a certi pittori antichi, fra
cui il nostro Arcimboldi.
Le composizioni del Dalì, spagnolo e miniaturista, sono complicate di elementi surrealisti d’incubo, di sogno macabro e spesso con elementi sessuali.
A noi sembra che tutti gli elementi letterari e stilistici di cui, bene inteso, non
furono scevri gli antichi, nuocciono, piuttosto che favorire, l’arte moderna.
Comprendo piuttosto la morte della pittura, in quanto decorazione, di fronte
all’arte futurista o quella che da essa può scaturire.
L’Arcimboldi compose in uno spirito che fa presentire l’Arcadia, una figura
dell’Agricoltura con aratri, zappe, rastrelli, e biondi covoni a quella guisa che
alcuni pittori moderni potrebbero comporre la figura dell’uomo nuovo, con
apparecchi di telegrafia senza fili, aeroplani, eliche e motori. In parte è stato
tentato: pensate ai pittori così detti metafisici o ad alcuni futuristi.
Sarà curioso osservare, senza spingere la parentesi troppo oltre, come in un
certo senso la trasformazione sia pure lenta dell’uomo animale è forse un fatto
reale: come si trasformerà l’aspetto delle città, digià i cavalli da tiro sembrano
un anacronismo nella città moderna.
La vita dell’attimo, il canto del motore, l’ebbrezza della velocità, riporta agli
antichi, distruggerà o ridurrà di molto l’interesse per l’antico, per il museo.
Un pittore attratto dai misteri che si producono nella materia sensibile in seno
e in rapporto alla vita moderna e che in un certo senso potrebbe riallacciarsi
al vecchio maestro italiano è Max Ernst soprattutto per certe nature morte
delicatissime.
Anch’io (mi sia concesso citarmi) ho fatto anni sono composizioni di oggetti
cercando di rilevare il loro dramma muto e ancora recentemente ho dipinto
qualche natura morta con gruppamenti di oggetti disparati, ma il gusto del
dipingere rapido, del dire il più possibile con il meno sforzo mi vince, a scapito forse di una pittura più compatta e patetica.
62
E voglio chiudere queste note con un saluto a un modesto artista ingenuo che
senza saperlo rende omaggio allo spirito (amo pensarlo beato nel mondo dei
trapassati!) del pittore di Massimiliano II e Rodolfo.
Si tratta di un oste o patron du restaurant nei pressi di place Pigalle, il quale
da un anno circa orna la sua vetrina di vere e proprie nature morte di legumi
e frutta, ma ritoccate da una sua arte burlesca e vivace: un piede di aglio gigante diventa una testa vivissima di impenitente pensatrice, un cavolo rosso
(sormontato da un berretto frigio, decorato con fiammiferi, par pitto, barba
e baffi di radici delicate) la testa di un sanculotto, una zampa di anitra, un
uccello fantastico, una carota, un diavolino di Cartevici.
Alcune di queste figure vegetali e antropomorfe in certe fredde sere di Montmartre mi han fatto pensare senza mia colpa a certi ritratti di Soutine, il
postimpressionista russo-parigino tanto quotato dai collezionisti. Ben poco
rapporto in realtà fra le due espressioni d’arte.
La deformazione della figura umana, iniziatasi in certi grandi cinquecentisti e
così caratteristica nel Greco ha trovato in certi moderni una specie di sfogo
alla lotta contro la materia in pro dello spirito: salutare quando è richiesto da
un bisogno sinceramente sentito, ma pericoloso giuoco.
Le nature morte animate del locandiere da boulevard stanno rispetto alle figure di Soutine o alle pitture dell’Arcimboldi come certe figure da baraccone alla
pittura di Modigliani. Monito salutare però agli inesperti e simpatiche se non
altro perché il buon oste non cerca [che] di richiamare con esse la clientela e
nulla più.
«L’Arcimboldi italiano e i surrealisti parigini», L’Italia Letteraria, Roma, 14
gennaio 1934.
63
Il connaisseur a Parigi
Filippo de Pisis
L’abate Galliani disse «Paris c’est le café de l’Europe», si potrebbe dire che
Parigi è anche un grande arsenale dove si trovano confuse o amalgamate non
solo le razze e i personaggi più strani, ma anche gli oggetti. All’epoca dell’esposizione del Tintoretto a Venezia, parlando con amici alla «terrasse du Dôme à
Montparnasse», io potevo dire accennando in alto, un sesto o settimo piano:
«Qua sopra c’ è uno dei più bei Tintoretti che esistano (Lucrezia e Tarquinio)
quasi sconosciuto, salvo che a un piccolo gruppo di iniziati, e sepolto fino a
poco fa in un château en province. Il fortunato possessore è un colto tedesco,
degno della penna di Balzac, e celebre per una raccolta di mirabili Courbet e
Géricault.
Una specie di registro sapiente delle opere d’arte «che passano» sulla piazza di
Parigi alle vendite pubbliche o di quelle che sono «gelosamente» custodite (si
dice così ma spesso del tutto misconosciute) in case private, presenterebbe il
più grande interesse per il critico d’arte e curiose sorprese .
Un amico mi diceva che in una specie di «camera buia» (è conosciuta così dai
colleghi) di uno dei più grandi mercanti d’arte moderna di Parigi, sono accumulati disegni di gran valore che in parte il proprietario ha dimenticato e che
da anni non vedono la luce.
In quanto a me, quante volte sono stato tentato di prendere la penna in mano,
di correre da un fotografo per illustrare, far noto agli eruditi e ai colti dilettanti, pubblicare in riviste d’arte o in monografie, opere che mi capitava di
scoprire. Ma se sono (e lo sono pure come pochi) conoscitore e critico, non
amo molto di scrivere e poi purtroppo quando si deve far la pittura, la cucina,
lavare i pennelli, innaffiare i vasi e scrivere di tanto in tanto qualche verso e
leggere le belle cose scritte dai grandi morti, non resta molto tempo.
L’altro giorno il mio « artisan encadreur», il bravo monsieur B. mi mostra,
nella sua bottega, due nature morte, «un pendant», che gli avevano dato a
ripulire. Una è una bella pittura olandese del seicento, brillante di colore, un
po’ fredda e compassata, ma l’altra ... questo canestro rotondo di fichi verdini in pila, fichi dalla «goccia d’oro» (oh Apennino solatio, oh aria della mia
terra!), questi conigli che brucano l’insalata, queste pere gialle e il cielo basso
sopra una villa nostrana... Ho subito riconosciuto un’opera di Pier Paolo Barbieri il bravo fratello del Guercino. Si ha di sua mano una specie di registro
delle opere del grande centese. «Infatti, mi dice il signor B., questa tela è un
po’ più piccola».
Dirò fra parentesi che due belle nature della stessa mano ha nella sua raccolta
il tedesco possessore del superbo Tintoretto, ed una bellissima con delle uova
dai bei bianchi e delle brocche, ha mia sorella a Ferrara.
Un disegno del Guercino (quattro o cinque Tiepolo superbi ho visto anche da
piccoli antiquari in questi dieci anni), un santo vescovo con la destra levata,
vedo quasi ogni giorno dietro la vetrina di un antiquario di rue Bonaparte
e son tentato sempre di acquistarlo; esito perché una parte è un po’ slavata,
il che non sarebbe grave, ma forse è ritoccata ed ho orrore delle opere d’arte
64
«tripotées».
Un lungo elenco si potrebbe fare delle opere italiane più o meno conosciute
(a parte quelle che sono al Louvre dove le attribuzioni dei disegni sono insufficienti) a Parigi, ma qui sarebbe fuori posto.
Un vero saluto della dolce patria, proprio come una mano amica che mi facesse
cenno dalla scura parete polverosa del «brocanteur», tra un violino senza corde
e una sottana di seta di «madame la grand’mère» fu l’altra sera un delizioso
quadro, il bozzetto forse per una pala d’altare, dello Scarsellino. Sigismondo
Scarsella detto lo «Scarsellino» o meglio del figlio Ippolito (1551-1620).
E mi parve di vedermi ancor fanciullo curvo su una pagina di uno dei grossi
tomi dell’Arciprete Girolamo Baruffaldi «Le vite dei pittori e scultori Ferraresi» con le teste incise in rame; e mi parve rivedere una tela ripiena di una
mistica commozione (non il delirio dei senesi del trecento ma una specie di
nenia del rosario a sera dopo la cena in Emilia o il profumo dei vasi su un altarino per il mese mariano), che tenevo appesa su una parete della mia camera
da letto da ragazzo. Cristo nudo fino alla cintola con una gran corona di spine
e un mantello di lacca carminata, fra due sante in adorazione. Una vestita di
nero con una pezzuola bianca.
Questa tela (attraverso quali vicende venuta fin qui?) che non ho saputo resistere alla tentazione di comperare è ora qui appesa nel mio granaio (provvisoriamente, al posto di un bel paesaggio di Paolo Bril). Rappresenta l’Incoronazione della Vergine, portata in alto verso Cristo, il Padre Eterno, seduti su
nuvoli, da leggiadri angeli ben guercineschi. In basso, in diversi atteggiamenti,
i Profeti.
Uno seminudo, il profilo ariostesco illuminato da calda luce, spicca a destra.
Certo non si tratta dell’opera di un maestro: Guercino o Carracci, a cui un
conoscitore superficiale potrebbe attribuire la tela, sono pittori ben più forti,
ma però quanta grazia e che gustosa «tonalità».
Per la composizione, un amorino sgambetta sul davanti appeso alle nubi, si
potrebbe dire che la grande tradizione tizianesca e tintorettiana arriva al piccolo maestro di provincia attraverso il caposcuola Guercino, che aveva furoreggiato a Roma e in tutta Europa.
L’amico Giuseppe Raimondi ha scritto non è molto un simpatico articolo
sul «Meridiano di Roma» a proposito di questi maestri secondari della scuola
ferrarese.
Un brioso gustoso pittore che attende di essere meglio conosciuto è il Caletti
detto il Cremonese di cui io possiedo un piccolo «martirio di San Pietro domenicano».
Ma adesso ho scritto forse abbastanza e «cocò» dà segni di impazienza e ho
una gran voglia di correre a vedere certi alberi appena rinverditi in riva alla
Senna.
«Aria di casa», Il Frontespizio, Firenze, aprile 1938.
65
9
Parigi con la Tour Eiffel (1925).
Olio su tela, cm 55x45,5.
In basso al centro: de Pisis.
Al verso: sul telaio etichetta «De Pisis / Gli
anni di Parigi / 1925 -1939 / Galleria dello Scudo / Verona, 13 dicembre 1987-31
gennaio 1988 / Galleria dell’Oca / Roma,
5 febbraio 1988-19 marzo 1988».
Esposizioni
Mostra documentaria di Filippo de Pisis [in
occasione della presentazione del volume
di G. Ballo dedicato all’artista, Torino,
1968], Galleria del Naviglio, Milano, 17
dicembre 1968-7 gennaio 1969, riprodotto in cat. (Paris à la Tour Eiffel)
De Pisis, a cura di G. Briganti, Palazzo
Grassi, Venezia, 3 settembre-20 novembre
1983, riprodotto in cat. n. 24 (Rue des Volontaires)
De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939, a
cura di G. Briganti, testi di vari, Galleria
dello Scudo, Verona, 13 dicembre 198731 gennaio 1988; poi Galleria dell’Oca,
Roma, 5 febbraio-19 marzo 1988; poi
Castello Svevo, Bari, 24 marzo-29 aprile
1988, riprodotto in cat. n. l e in sopraccoperta, e sull’invito (Rue des Volontaires.
Parigi con la Tour Eiffel)
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, cat. n. 10 (Rue des
Volontaires).
Bibliografia
U. Nebbia, Filippo de Pisis, Artisti italiani
contemporanei, collezione diretta da M.
Bechis, Chiantore, Torino, s.d. [1943], riprodotto tav. IV (Parigi)
M. Valsecchi, Filippo de Pisis, Electa, Milano, 1956, riprodotto tav. 5 (Parigi)
G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 185 (Paris à la Tour Eiffel)
M. Carrà, «Neocezannismo e realismo
magico», in L’Arte Moderna, vol. IX, Fabbri, Milano, 1967, riprodotto p. 266
C. Bertelli-G. Briganti-A. Giuliano, Storia
dell’arte italiana, Milano, 1986, vol. IV,
p. 270, n. 29
L. Pratesi, «Nudini sulla Senna», Panorama, Roma, 14 febbraio 1988, riprodotto
p. 8.
M. Calvesi, «Metapisis», L’Espresso, Roma,
6 marzo 1988, riprodotto p. 155
G. Contini, «Il menu dipinto», Leggere,
Milano, n. 4, 1988, riprodotto p. 23
66
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1925/84
Catalogo Asta Farsettiarte, Prato, 28 novembre 2009, riprodotto n. 750, scheda di
F. Marini.
Nella scheda del Catalogo generale 1991,
cit.: «Il quadro raffigura la Tour Eiffel vista
da rue des Volontaires, dove de Pisis ebbe
il suo primo studio parigino.»
Daniela De Angelis, scheda per il catalogo
1987, cit.: «Poco prima di partire per Parigi, nel marzo 1925, de Pisis dipinse un angolo di via Merulana a Roma, il Paysage romain riprodotto da Waldemar George nel
1928 e oggi di ubicazione ignota; da poco
giunto nella capitale francese, stabilitosi
presso l’Hôtel Esperia di avenue Suffren, il
pittore ritrasse la vicina rue des Volontaires in un quadro che è sicuramente tra le
prime tele dipinte in Francia. La differenza
che intercorre fra i due lavori, cronologicamente vicinissimi, è ben visibile: affrancatosi dall’ossessione del ben dipingere che
lo aveva costantemente seguito negli anni
romani, de Pisis vivifica la sua tavolozza, a
favore di una visione più immediata. Anche il carattere volutamente patetico, significante, delle vedute romane, cede il posto
alla notazione rapida, al movimento delle
figurine nere incolonnate, alla sommarietà
felice dei segni prospettici. “Dipingere è
un modo intenso di vivere un’avventura.
Così dipingeva de Pisis in Parigi”, scriveva
Francesco Arcangeli su Paragone nel 1951,
quasi a confermare una consuetudine,
quella depisisiana nel dipingere en plein
air, divenuta leggendaria per la velocità
dell’esecuzione, per la capacità di rendere
in un flash, l’impressione, e anche per la
proverbiale cordialità di de Pisis nell’intrattenere la folla dei passanti incuriositi, la
gente che offriva al pittore i suoi commenti, le sue critiche, a volte qualche richiesta
d’appuntamenti. Ricordava lo stesso artista in uno scritto del 1946 pubblicato nel
volume Confessioni dell’artista, edito nel
1983: “Mi sarebbe certo insopportabile
scrivere una poesia, mentre qualcuno dietro alle spalle legge parola per parola. Forse l’aria aperta, il lavoro manuale-pittorico
neutralizzano la spiacevole impressione di
un astante. Certo è che se non potessi dipingere avendo degli spettatori alle spalle
dovrei rinunciare al lavoro en plein air, per
me assolutamente indispensabile per far
cose buone. Io infatti – salvo casi particolari – non do una pennellata senza il vero.
Sono un po’ del parere del Cézanne che
consigliava ai suoi seguaci ‘Dipingete ciò
che vedete’. Devo dire che sono talmente
abituato ad avere degli spettatori che quasi
non li avverto. A volte mi diverto addirittura a fare un po’ di commedia: interrogo,
conciono... Appena uno degli astanti apre
bocca – e anche prima capisco con chi ho
a che fare. Una frase che ripeto (fu di un
grande critico, a Parigi) è questa: ‘Ecco dei
giovinetti, della gente, che passa alla storia
senza saperlo: vede dipingere uno dei più
bei talenti pittorici che siano mai esistiti.’
Dico anche: ‘Io sono più di un cardinale,
più di un ministro, più di un generale... ‘
Non è la stagione che si può preferire, ma
il perfetto accordo tra lo stato d’animo e la
luce: tra la luce interiore e l’atmosfera.”»
Francesca Marini, scheda per il catalogo
2009, cit.: «Scrittore, poeta e pittore, Filippo de Pisis punta all’obbiettivo più alto:
la restituzione dell’intera gamma dei sensi
attraverso le atmosfere che traduce sulla tela, siano esse paesaggi, nature morte
o ritratti [...]. Dopo Ferrara, la città delle
cento meraviglie, fu Parigi a rappresentare
la svolta artistica come pittore per Filippo de Pisis. Vi giunse nel marzo del 1925,
quando la Ville Lumière era il centro del
mondo. Giunto nella capitale francese
avrebbe alloggiato presso l’Hôtel Esperia
in rue Suffren. La tela intitolata Rue des
Volontaires (Parigi con la Tour Eiffel) costituisce una delle prime e preziose prove
di questo soggiorno, a testimonianza della
svolta intercorsa tra la fase giovanile romana e la successiva maturazione dell’artista.
È lo scorcio di una strada vicina all’albergo
in cui risiedeva il giovane de Pisis che, in
quest’opera, dimostra di aver già avviato
quel processo esecutivo rapido, immediato del luogo ritratto, svolto generalmente
en plein air, ovvero cogliendo dal vero il
soggetto con tratti veloci quanto essenziali
e cromie sapienti, giocate cogliendo le trasparenze dell’aria».
67
10
Le poisson, 1925.
Olio su cartone, cm 46,4x60,8.
In basso a destra: de Pisis 25.
Al verso: a matita blu «le poisson».
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 02746
Esposizioni
Exposition de peintures de Filippo de Pisis,
presentazione di F.P. Mulé, Galerie Carmine, Parigi, 16-30 giugno 1925, riprodotto
in cat. n. 2.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1925/62.
Nel Catalogo generale 1991, cit., indicato
«ubicazione ignota»; si tratta di un importante recupero all’antologia depisisiana.
Anche se la composizione fosse stata fatta
a Parigi, ancora si risentono le compatte
materie delle nature morte ferraresi, riflessi metallici, colori tendenti allo scuro,
un’austerità di forme ma anche la libertà di
collocare nel fondo due riproduzioni; sulla
destra un’immagine, forse un suo quadro,
appoggiato sul fianco, produce una sorta
di spaesamento, inserto che dà originalità
all’insieme.
La natura morta è riprodotta nel piccolo
catalogo della prima mostra tenuta a Parigi dall’artista, presentata con un articolo
di F.P. Mulé, «Il pittore Filippo de Pisis»,
già pubblicato su Il Mondo, Roma, 8 novembre 1924: «Le tele del giovane pittore
Filippo de Pisis non danno l’impressione
abituale di pigre acque stagnanti, ma danno al contrario, anche quando sono solo
tentate non ancora compiute la sensazione
evidente di uno spirito vivace che non si
attarda sulle cose facili, ma che pensa, cerca e si tormenta per pronunciare una parola che gli sia propria […]. La vittoria che
il giovane artista riporta sulla propria cerebralità e sulla materia si manifesta in modo
sicuro e evidente in molte nature morte che
vivono d’una armonia completa di linee,
di plastica e di luce. Qui soprattutto il
pittore si mostra in possesso di una tecnica personale, docile, animatrice. In queste cose morte – pesci, frutti, biancheria,
erbe, cristalli disposti magnificamente in
un interno o all’aria aperta – si espandono
e tremano le vibrazioni della vita. In alcune di queste nature morte così particolari,
68
i rapporti delle diverse tonalità giungono
per la pura trasparenza del colore, ad una
ammirabile perfezione. Ecco la voce di Filippo de Pisis giovane pieno di doni reali e
di una cultura poco comune, sarà il primo
a esserne convinto […]. Più egli supererà
lo sforzo del pensiero e della tecnica più le
sue fantasie colorate manterranno l’intima
palpitazione della vita» (traduzione).
69
11
Natura morta con violette (1925).
Olio su cartone, cm 46x56.
In alto a destra: Pisis / Parigi.
Al verso: scritta a matita autografa dell’autore «Questa / pittura fu / eseguita / a Parigi / […] / 1925»; scritta a pastello nero,
non dell’autore «De Pisis / Parigi»; etichetta Galleria Milano, Milano [intestazione
cassata], con n. 202; cartiglio a stampa
«Proprietà [Gu]ssoni»; etichetta «Quarta
Quadriennale Nazionale d’Arte, Roma»
con indicato «“Natura morta” di / Filippo de Pisis / Proprietario Filippo de Pisis /
rue Servandoni / Parigi»; timbro «registro
n. 166»; timbro Galleria del Naviglio, Milano, con n. 2763, e firma Cardazzo; etichetta «Centre d’Art Italien à Paris / “La
Jeune Peinture Italienne” / 15 maggio-15
giugno», con indicato «Nature morte /
Filippo de Pisis / Paris»; etichetta «The
Institute of Contemporary Art / Boston /
Exhibition of Contemporary Italian Paintings / with the collaboration of Galleria
del Cavallino of Venice».
Esposizioni
Quarta Quadriennale d’Arte Nazionale,
Palazzo delle Esposizioni, Roma, maggioluglio 1943, sala VI, in cat. n. 14 o 18
(Natura morta).
Nel disegno di questa natura morta vi è
traccia della ricercata grazia delle stampe
giapponesi; composizione di fiori e steli e
semi sorpresi nell’appoggio distratto sul
piano o meglio disposti con la naturalezza
trasandata che fa vivere ogni particolare,
petali e spine, la gioielleria della natura. Si
riscopre ogni volta la realtà nelle pagine di
de Pisis e si riscontra nel vero e con la pittura quel vero appare ancor più guarnito
di fascino.
70
71
12
Natura morta marina, 1925.
Acquarello su carta applicata su tela,
cm 34x41.
In basso a sinistra: de Pisis 25.
Al verso: etichetta Galleria dell’Oca,
Roma.
Provenienza: Galleria Dell’Oca.
Dichiarazione su fotografia di Demetrio
Bonuglia, Roma, 29.1.86.
Esposizioni
De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di D.
Tega, Galleria Tega, Milano, ottobre-novembre 1987, riprodotto in cat. n. 3
Dino Tega nel catalogo 1987, cit.: «Nell’anno in cui de Pisis giunse a Parigi eseguì la
Natura morta pubblicata al n. 3. È la sua
tipica scena a sfondo marino: la conchiglia
ingigantita nel primo piano della spiaggia
funge da vassoio ad altri piccoli molluschi.
Il volano, oggetto frequente nelle sue nature morte marine, sta quasi a dimostrare
l’importanza, nella composizione poetica,
di un oggetto semplice che diviene primo
attore. La sobria linea del mare fa parte in
questo concerto dell’impronta personale
che avrà un lungo seguito nella sua pittura. Interessante il grafismo pittorico della
firma con data.»
72
73
13
Natura morta con fiori e funghi,
1926.
Olio su tela, cm 50x65.
In basso a destra, sul libro: de Pisis 26.
Al verso: etichetta Galleria Milano; etichetta proprietà Rosetta Varenna Gussoni;
timbri Raccolta Mobilio, Firenze; timbri
Galleria Medea, Cortina d’Ampezzo; timbro Galleria Falsetti, Prato, con n. 4837.
Esposizioni
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. tav. CXXII (Funghi e
fiori)
De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di
L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 76.
Bibliografia
G. Dal Bo, «Porterò a Venezia il de Pisis
più bello», La Vernice, Venezia, maggiogiugno 1983, riprodotto p. 26
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1926/134.
Questo de Pisis è tutt’altro che frettoloso
o approssimativo nel disegnare e colorire
le forme di ciò che gli interessa: funghi di
diverse qualità, fiorellini, una farfalla, la
copertina di un libro; accenna persino le
nervature della tavola di legno che sostiene la composizione bene illuminata da un
fondo di intonaco chiaro spartito su due
gradazioni e come gessato. E ormai avviato, pur indugiando ancora nell’analisi e
nella descrizione, alle sue pagine celebri,
invase dalla luce, colte con fulminante rapidità. Ma sono conquiste, come si vede
in quest’opera, passate attraverso l’accorto
studio del vero e una disciplina che darà
comunque fondamento a ogni licenza poetica.
74
75
14
Natura morta marina, 1926.
Olio su tavola, cm 41,2x32,7
In basso a destra: de Pisis 26.
Al verso: scritta autografa dell’autore «À
bon Boris. Paris 15. II. 34».
Esposizioni
Filippo de Pisis. Nature morte, a cura di S.
Crespi, testi di C. Gian Ferrari e S. Crespi, Galleria Civica, Campione d’Italia, 19
aprile-30 maggio 1996, riprodotto in cat.
p. 49 e in copertina
Italian Stll Life. Painting, Seiji Togo Memorial Yasuda Kasai Museum of Art, Tokyo,
aprile-maggio 2001; idem, Art Museum,
Niigata City; idem, Hakodate Museum
of Art, Hokkaido; idem, Shimin Plaza Art
Gallery, Toyama; idem, Museum of Art,
Ashikaga; idem, Museum of Art, Yamagatan, riprodotto in cat. p. 97, n. 59.
Bibliografia
Catalogo De Pisis. Gli anni di Parigi 19251939, a cura di G. Briganti, testi di vari,
Galleria dello Scudo, Verona, 13 dicembre 1987-31 gennaio 1988; poi Galleria
dell’Oca, Roma, 5 febbraio-19 marzo
1988; poi Castello Svevo, Bari, 24 marzo
-29 aprile 1988, riprodotto p. 96
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1926/125.
Nel catalogo 1987, cit., p. 86, questo quadro è riprodotto a commento di uno esposto, La grande conchiglia, 1927. Daniela
De Angelis nella scheda: «In una tela del
1926, Natura morta marina, de Pisis aveva
ritratto la stessa conchiglia reclinata sulla
spiaggia, vicino a una bottiglia e a un altro recipiente [un vasetto con fiori]. Sullo
sfondo alla figurina s’accostava un carrettino trainato da un cavallo, notazione che
rende singolare questo quadro.»
Stefano Crespi nel testo «De Pisis, nature morte e la pagina bianca», nel catalogo
1996, cit., pp. 19, 21: «Nella natura morta
di de Pisis si consumano e si superano i
residui dell’eredità simbolista di Morandi
(luce e ombra, finito e infinito, tempo ed
eterno). C’è una concezione irritornabile
della vita, del ripetersi stupendo e doloroso. L’intuizione poetica in de Pisis è la
caduta da un immobile eterno, per accettare fino in fondo la grazia disperante del
tempo […]. La natura morta in de Pisis ha
un’energia di pittura, di verità, di invenzione, anche perché c’è un pensiero in grande
sulla pittura, sulla sua rimeditazione. C’è
76
sì un rischio, un estro, un rapimento, ma
nello stesso tempo un paragone con gli antichi, in particolare con la pittura veneziana tra Cinque e Settecento.»
77
15
Natura morta con maschera
(1926).
Olio su tela, cm 50x70.
In basso a sinistra: de Pisis.
Al verso: sulla tela etichetta Il Ridotto Galleria d’Arte Moderna, Torino, con firma;
timbro Battista Pero, Milano; sul telaio
etichetta Galleria Bonaparte, Milano, con
n. 2922; timbro Battista Pero, Milano;
timbro Galleria Barbaroux, Milano, con
n. 544.
Esposizioni
De Pisis, didascalie per un pittore, a cura di
Luigi Cavallo, Milano, Brerarte, 18 maggio -18 giugno 1983, riprodotto in cat.
p. 81 (1928).
Bibliografia
S. Zanotto, «Filippo de Pisis: l’intonazione letteraria», Terzoochio, Bologna, giugno
1983, riprodotto p. 18
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1926/129
Catalogo Asta Farsettiarte, Prato, 26 novembre 2005, riprodotto in cat. n. 922,
scheda di P. Pacini
Catalogo Asta Farsettiarte, Prato, 31 maggio 2008, riprodotto in cat. n. 800, scheda
di F. Marini.
Al dipinto, nella mostra del 1983, cit., si
attribuiva la data 1928 circa, giustificando in didascalia: «Una composizione con
elementi simili, maschera, vaso, ciotola,
collana ecc. è pubblicata da Ballo, 1968
[Ilte,Torino], al n. 142 con data dubitativa, 1924, data attribuita fin qui a questo dipinto che ci appare però più fuso di
pittura, rispetto alle nature morte romane.
Potremmo pensare a un momento posteriore, di maturità già parigina.»
Nel Catalogo generale 1991, cit., Giuliano Briganti propone, tra parentesi, 1926;
plausibile anche questa collocazione, che
possiamo accettare, poiché siamo già in
ambito parigino.
Piero Pacini, scheda per il catalogo 2005,
cit.: « De Pisis rimane fedele all’immagine
che ha offerto di se stesso nel Marcbesino
pittore [F. de Pisis, Il Marchesino pittore,
Longanesi, Milano, 1969] in ogni momento della sua esistenza, quando è più
propenso a sublimare i processi mentali
più intimi e scabrosi, o quando cerca di
chiarire a se stesso il programma di vita o
cerca il miglior modo di essere e di stare
78
tra gli altri uomini. Le confessioni riversate nel Marchesino pittore, in Vaghe stelle
dell’orsa [F. de Pisis, Vaghe stelle dell’orsa.
1916-1918, Longanesi, Milano, 1970],
negli scritti postumi e nell’epistolario, ribadiscono la sua coltivata predisposizione
per i comportamenti narcisistici e dandy,
come una certa spregiudicatezza alla Oscar
Wilde, ma anche una costante capacità di
stupire con quel “senso di diletto e di dimenticanza del presente” che ci ha rivelato
Giuseppe Raimondi. Nel corso della sua
feconda attività de Pisis si immerge progressivamente nell’essenza delle cose; la
penetrante lettura fornita da letterati e da
storici a lui vicini ha infirmato, una volta
per tutte, l’accusa di leggerezza e di friabilità, rivalutando la levità di tocco, ovvero
le proverbiali stenografi” sorrette dal provvidenziale intervento della poesia e da irripetibili sollecitazioni visive. Già nel 1932
Cesare Bradi [«Il pittore Filippo de Pisis»,
Dedalo, Milano-Roma, maggio 1932] può
scrivere: “spesso di un frutto [de Pisis] ritiene appena una pennellata di verde tenero
[…] o quella pruina ineffabile che copre i
chicchi dell’uva, o la guazza caduta sui fiori, o i guizzi madreperlacei delle ostriche;
le sue abbreviazioni sono però così precise,
nascono da una tale consumata esperienza
naturalistica che a nessuno verrebbe mai il
pensiero di chiedere di più, di volere anche
la polpa, il peso, la specie esatta del frutto
o dell’animale che dipinge. È che l’arte di
de Pisis è un’arte di evocazione, di ricordo e non di mimesi”. Per tale approccio
al motivo ispiratore “piante, fiori, animali
sono permeati d’aria, si sciolgono, si liquefanno”, ma non prima che il loro odore
e la loro presenza arrivino a stimolare le
corde del ricordo. Persiste la memoria del
pittore che, mentre dipinge una rosa, ne
aspira il profumo, freme al contatto con la
morbidezza dei petali e sogna di vivere, almeno per un istante, la vita di questo fiore.
Per artisti del suo temperamento, le giornate sono più dense di eventi poetici che
di immagini reali; negli anni in cui esplora
la città di Parigi e assorbe con gli occhi e
con i polmoni le apparizioni e le mutevoli
atmosfere di questa città imprevedibile, in
incessante trasformazione , l’artista è spesso tentato – felicemente tentato come Des
Esseintes e come d’Annunzio – dalle “cose
vive” e dai “bei corpi”; ma questi empiti
sensuali sono controbilanciati dalla sensibilità estetica che trasforma in ricordi e
in eventi lirici gli incontri che più tenacemente s’impongono al suo sguardo. L’ar-
tista si attarda su cose squisite come i fiori
che “sembrano impazzire nella vivacità dei
colori”, i passeri che portano un soffio di
primavera nei giardini e nei luoghi più appartati, o la “dame en noir” che trasfigura
con la sua sola presenza un viale intessuto
di verde; afferra, allo stesso tempo “lo strazio sottile che è nell’aria”, la giovinezza e la
gioia di vivere delle persone che lo sfiorano
durante le sue lente passeggiate o nei ritrovi eleganti. In questa situazione di benessere fisico e spirituale il pittore riceve gioia
o momenti di gratificante distensione anche nella contemplazione degli oggetti che
dipinge in aggregazioni apparentemente
casuali: nell’appropriazione di una tazzina
rallegrata da violette o di una ceramica ridondante di lustri, di un bijou trovato chissà dove o di un ventaglio rallegrato da una
ordinaria fioritura. Quando lo spirito è più
rilassato e i fatti della vita sono ridimensionati dalla ritrovata tranquillità domestica,
le cose gli si impongono nella loro riposta esistenza sotto lo sguardo indecifrabile
della maschera appesa al muro: l’oggetto
rosso – scelto per assolvere una importante
funzione di equilibrio – si fa morbido e
sembra quasi respirare; i lustri della ceramica favoriscono tutta un’avventura della
luce, i fiori della ventola sembrano staccarsi dal loro supporto e dirigersi verso il
grigio tenero dello sfondo che sembra già
presentire ulteriori accensioni ed umori atmosferici. Il Marchesino pittore percorre
solo fino ad un certo punto la direzione
privilegiata dai personaggi di Huysmans e
di d’Annunzio perché, seguendo una logica interna e confidando nell’istinto, ha
già preso coscienza della vita silente e degli aspetti preziosi dei fiori e degli oggetti;
la trasparenza e l’imprevedibilità dei cieli
percorsi da fremiti stagionali sembrano
poi dirgli che la comunione con le cose
può aver luogo anche con una descrizione
sommaria, con tocchi leggeri che rivelino
– come ha osservato C. Brandi – l’essenza,
ovvero la parte più qualificante delle cose e
delle forme viventi. Per questa riflessione,
gli oggetti inanimati prendono a dialogare
tra di loro, trasfigurati da un sentimento
interiore chiaramente orientato alla degustazione di quel lirismo o di quella poesia
che la luce ed il silenzio infondono nelle
cose.»
Francesca Marini, scheda per il catalogo
2008, cit.: «Natura morta con maschera è
una testimonianza saliente della raffinata
alchimia di luci e colori con cui Filippo de
Pisis eleva gli oggetti al sofisticato lirismo
del quale è permeata la sua pittura, imprescindibilmente connessa alla sua predilezione per le arti drammatiche, ma soprattutto per la poesia. Concepita al principio
del lungo soggiorno parigino di Filippo de
Pisis, che si trasferì da Roma alla capitale
francese nel 1925, Natura morta con maschera sembra conservare intatto il potere
che la città ebbe nell’innescare un processo
culturale e artistico che fu senz’altro una
chiave di volta per l’artista. Natura morta
con maschera rivela la profonda comprensione di Filippo de Pisis per la pittura francese più recente, attraverso la quale inonda
l’atmosfera di quel “mondo primaverile,
arioso, percorso da correnti vitali, pieno di
luce e di colore”(G. Briganti, in catalogo
De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939,
1987-1988, p. 14) appreso attraverso
Manet e Renoir e nel contempo affonda
nella ricercatezza della pittura francese del
Settecento, attraverso la quale si arricchisce dei morbidi pastelli, dei grigi perlacei,
dei verdi cristallini, e delle lacche rosse,
consentanee ai decori e le chinoiseries che
ricordano Chardin o Watteau. Memore
della pittura settecentesca francese in questo dipinto appare il quieto brillare della
tazza in primo piano, l’opalescenza luminosa sulla pancia e la bocca del vaso, al pari
del fondo del quadro, intriso e vibrante di
luce, al fine di accrescere la sensuale spiritualità che scaturisce dall’atmosfera di
questo quadro. Bona de Pisis riferisce che
durante i quattordici anni passati a Parigi
l’artista dipingesse ogni opera in una sola
seduta, operando in uno stato di trance
o “stato medianico” come lo definiva lo
stesso de Pisis. E forse è proprio attraverso
l’apertura alle riflessioni sul ricordo, stimolate dalla trance, che opera come un filtro rispetto all’oggetto della raffigurazione,
che de Pisis arriva ad un felice congiungimento del mondo pittorico con quello
letterario. È da questo connubio che in
quest’opera appaiono trasfusi il respiro di
un quotidiano che riflette il sensualismo
dannunziano e la profonda comprensione
della Recerche di Proust. Un allestimento
di oggetti appare altresì debitore delle “camere melodrammatiche”, composizioni
teatrali d’effetto costituite da oggetti, fiori, libri e tele, allestite nella soffitta di casa
fin da quando Filippo de Pisis era ancora
fanciullo, rivelando un’attitudine che sarà
alla radice della perpetua ricerca dedicata
al genere della natura morta.»
79
16
Strada di Parigi, 1926.
Olio su tela, cm 60,9x49,9.
In basso a destra: de Pisis / 26.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 02923.
Bibliografia
Catalogo Asta, Farsettiarte, Prato, 1° dicembre 2007, riprodotto in cat. n. 645,
scheda di C. Gian Ferrari.
Claudia Gian Ferrari nella scheda per il catalogo 2007, cit.: «Quando de Pisis lascia
Roma per Parigi è il 1925, e là vi è attratto
dalla intensa vita culturale, da quel crogiuolo di linguaggi e di espressività che faranno ancora per due decenni della capitale
francese il luogo più stimolante d’Europa,
e non solo. Gli anni successivi rappresentano per il maestro ferrarese il momento
delle scelte e di una propria emancipazione, ancora una volta autonoma dalle
grandi correnti culturali d’avanguardia,
delle quali partecipa in senso cognitivo,
dialettico, ma traendo da questo un proprio personale indirizzo, coltivato anche, e
soprattutto, nella frequentazione dei musei, che siano i vasti corridoi del Louvre o
le sale intime del Guimet. La Parigi della
metà degli anni Venti certo non vedeva
Picasso, Braque o de Chirico dipingere en
plein air. La creazione dell’opera era frutto
di una elaborazione fatta fra le quattro pareti dell’atelier. Ma de Pisis, nelle sue scelte
sempre trasgressive, scende col cavalletto
nelle strade e ritrae straordinarie vedute di
città animate dalla vita vorticosa di tutti
i giorni, straniate dall’incredibile luce del
cielo, che non è ancora nordico, ma non è
più mediterraneo. Il paesaggio di città ha
in de Pisis la caratteristica di una rappresentazione catturata dal vivo sul fremito
del vento attorno ai palazzi, della luce che
cambia tra le nubi, dell’andare e venire della gente, un andare e venire che lascia solo
delle ombre nere sulla tela. De Pisis è curioso della vita, del mondo, e per lui scendere nella strada, a contatto con la gente, è
come una carica magnetica che lo stimola
a ritrarre non solo l’aspetto esteriore di un
angolo di quartiere, ma il suo umore e il
suo carattere più intrinseco. Sono descrizioni che, proprio per tale approccio, non
scivolano mai nella abusata vedutistica,
ma che, con una libertà e una capacità di
cogliere l’indole e l’attimo vitale di una cit-
80
tà millenaria, ci regalano, come in questo
dipinto, un’interpretazione nuova, diversa,
intensa e tagliente, attuale e insieme senza
tempo.»
81
17
Natura morta con biscotto (1926).
Olio su tela, cm 65x50,3.
In basso a destra: de Pisis 1916 / Ferara
[sic; di difficoltosa lettura].
Al verso: sul telaio etichetta senza intestazione con indicato, a macchina, «N. 1640
/ Filippo de Pisis / Natura morta / Olio
/ cm 50x64 / 1916»; etichetta «Comune
di Verona / Mostra di / Filippo de Pisis /
6 luglio-21 settembre 1969 / Palazzo della Gran Guardia - Verona», con indicato
«Natura morta col biscotto» e nn. 75 e
165; etichetta Gondrand con indicato
«Natura morta con biscotto e paesaggio /
Olio su tela / Mostra “Da Monet a Morandi” – Conegliano»; timbro Galleria Falsetti, Prato.
Esposizioni
Mostra dell’opera pittorica e grafica di Filippo de Pisis, a cura di L. Magagnato, M.
Malabotta, S. Zanotto, Palazzo della Gran
Guardia, Verona, 12 luglio-21 settembre
1969, riprodotto in cat. p. 160, n. 165
(1935)
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. tav. XI
Da Monet a Morandi. Paesaggi dello spirito,
a cura di M. Goldin, Galleria Comunale
d’arte, Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 13
aprile-15 giugno 1997, riprodotto in cat.
p. 68 (Natura morta con biscotto e paesaggio, 1916).
Bibliografia
F. de Pisis, «La cosidetta “Arte metafisica”»,
Emporium, Bergamo, novembre 1938, riprodotto p. 263 (Fantasma meridiano,
1916)
G. Vigni, «Profilo di de Pisis», Emporium,
Bergamo, gennaio-febbraio-marzo 1944,
riprodotto p. 28 (Fantasma meridiano,
1916)
De Pisis, Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1926/122 (riprodotto a specchio).
Su di uno specchio inchiodato un biscotto a forma di cuore, un flauto, una scatola
di fiammiferi, oggetti appesi, bei ricordi
dechirichiani di Ferrara. La luce piove
dall’alto e ombreggia le forme. A spaesare
ancor più l’immagine il paesaggio dipinto
in predella, una statuetta con figura distesa
al centro, spiazza le dimensioni, spropor-
82
ziona il primo piano. De Pisis seduce con
l’inquietudine dell’innocenza e la fragilità
di un momento incantato.
Nel corpo del suo articolo «La cosidetta
“Arte metafisica”» 1938, cit., il quadro è
riprodotto con acconcio titolo, Fantasma
meridiano, e data 1916, così come si legge in calce, sulla destra, «de Pisis 1916 /
Ferara [sic]». Titolo e data furono evidentemente adattati allo scritto, davano alla
sua pittura cronologia contemporanea con
quella di de Chirico e Carrà; anzi, a leggere
altre date sotto i suoi quadri (I pani gloriosi, 1915; Il crociato, 1916; Fichi secchi,
1915), il Marchesino lasciava intendere di
aver precorso gli illustri colleghi, dei quali
erano pubblicati notissimi soggetti metafisici del 1917 e 1918. Invenzione che si
giustifica con la civetteria di un carattere
narcisista. Ma quanto si legge nel testo depisisiano è in più parti da condividere; a
chiusura scrive: «La metafisica è fatta spesso più di semplicità, chiarezza, sonorità e
palpito che di ricerca e di aridità.»
Il suo amico scrittore, Giovanni Cavicchioli, firma nel 1932, Edizioni Nord-Est,
Venezia, una piccola monografia, Filippo
de Pisis, nella quale si dà interpretazione di
provenienze culturali e destinazioni emotive per dipinti come questo: «De Chirico mi
ha introdotto presso certe cose che diventano strane a furia d’esser banali: i biscotti,
le squadre, le commessure degli impiantiti,
gli squallidi casamenti popolari, le garette
dei soldati, gli usci aperti sui pianerottoli
bui, le teste di gesso, i mobili da dozzina, i
manichini giù di moda. Egli ha riabilitato
per sempre la pittura degli ex voto e delle
testiere di letto. Ma de Pisis è più idillico
e più cristiano, più umano. La sua azione
redentrice non si è arrestata ai biscotti e
alle squadre, né ai graffiti da caverna e ai
presepi di Carrà, e si è rivolta a tutto un
mondo di piccoli diseredati. I rocchetti del
filo, i vasetti e le bottiglie, i pesci, le carte
geografiche, i burattini e i fiaschi, le forbici, le melanzane e gli strofinacci, i fiori, le
cartoline illustrate e le scatole da fiammiferi, le pipe, le farfalle, i cuori di cera e le
conchiglie acquistano l’anima, respirano,
se pure invisibilmente: non si capisce perché stiano fermi, pervasi d’una vita tanto
più inquietante quanto meno era supponibile in loro. Li segue la piccola ombra, ma
non è ombra di cose morte, è un’ombra
che essi potrebbero vendere, come Pietro
Schlemil vendette la sua. Anzi sta proprio
qui il lato tenebroso della faccenda: si sente che l’hanno venduta, o l’hanno frustata,
a forza di star per il mondo, e poi hanno
dovuto acquistarne una con mezzi illeciti, una specie di seconda giovinezza alla
Woronoff, che sa un tantino delle pratiche
della magia nera. Ma non fa nulla, bisogna
perdonar loro nel nome dell’arte. Proviamoci a domandare con grande delicatezza,
per non farle fuggire, come spiriti: – Dite,
cosine belle, diteci chi siete, svelate di grazia il vostro mistero... – Allora, dal mondo
degli archetipi, dove stanno come in uno
sconfinato magazzino tutte le forme, tutti
gli stampi in cui il demiurgo versa la materia a sua disposizione per questi eterni
giuochi, vengono dolcissime vocine che rispondono: – lo sono Pipa, io sono Melanzana, ecc. – Adesso capisco perché questi
personaggi si drappeggiano con ombre che
non sono di loro proprietà: dove abitano
non ci sono ombre, perché da per tutto si
diffonde chiara, uguale e vittoriosa luce:
scesi sulla terra debbono per forza prendere umano costume: noi non abbiamo
che un sole, dove essi stanno tutto è sole.
Qui sulla terra dobbiamo trascinarci dietro l’ombra.»
83
18
La Cour des Arts (1926).
Olio su tela, cm 60x50.
In basso a sinistra: de Pisis.
Al verso: sul telaio etichetta Galleria Gian
Ferrari, Milano con indicato «“La Cour
des Arts”, 1926» e n. 3072; sulla cornice
etichetta Ivam Centre Julio Gonzáles, con
indicato «Exposición: Filippo de Pisis /
Del 12.07.2000 al 1.10.2000».
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 01233.
Esposizioni
Filippo de Pisis, presentazione di K. de Barañano e P. Weiermair, testi di L. Caramel,
M. Paz, C. Gian Ferrari, Ivam Centre Julio
Gonzáles, Valencia, 12 luglio-1° ottobre
2000; Rupertinum Museum für Moderne
und Zeitgenössische Kunst, Salisburgo, 18
ottobre-3 dicembre 2000, riprodotto in
cat. p. 44.
Si conoscono, del 1926, tre altre versioni
di questo scorcio della vecchia Parigi (in
De Pisis. Catalogo generale, 1991, tomo I:
La Cour des Arts, n. 1926/19; La chiave
rossa, n. 1926/20; La Cour de Rohan, n.
1926/22).
La chiave rossa, che dà titolo a un quadro,
la troviamo anche nel nostro dipinto, ben
visibile sul fianco destro; La Cour de Rohan
indica la precisa ubicazione del luogo ritratto, quasi un cortile interno fra la Cour du
Commerce e rue du Jardinet, all’Odéon.
Le case guarnite di vecchie insegne, il
punto di convergenza verso un passaggio
ad arco ricordano la Cour du Dragon, altrettanto caratteristica, nella quale de Pisis,
appena arrivato in città, aprile 1925, riuscì, per fortunosa combinazione, ad avere
un primo studio, ospitato da un incisore e
maestro di musica e da sua moglie.
De Pisis, proveniente da Roma, era quindi
da un anno a Parigi; qui non gli mancavano certo visioni monumentali e scorci
più raccolti come questo che richiama sia
certe viuzze romane a imbuto brulicanti di
vetrine e di artigiani, sia qualche angolo
centrale di Ferrara.
L’esclamazione di Carlo V quando arrivò
a Parigi nel 1538 «non urbs sed orbis», non
solo una città ma un mondo, è partecipata
da de Pisis che si lancia nella capitale con
l’entusiasmo di chi ha capito che quello
era il palcoscenico adatto alla sua recita artistica: giornalista, scrittore, poeta, esercita
84
largamente il suo talento letterario collaborando a giornali in Italia e in Francia, tiene
conferenze anche in luoghi prestigiosi.
Errabondo e felice, con qualche crisi di
pianto, frequenta i caffè letterari, il Dôme
di Montparnasse e il Deux Magots con
de Chirico: cambia domicili come fossero
guanti: Hôtel Esperia, in avenue de Suffren
149; poi rue de Rennes 50; una garçonnière davanti alla chiesa di Saint-Etienne-duMont; una camera ammobiliata all’Hôtel
des Ecoles in rue Descartes, e quindi un
appartamento a place Saint-Sulpice 3; a
fine 1926 uno studio in rue Madame 18.
Esplora le chiese, i ponti, le strade, i cortili,
l’irrequieta vitalità delle case con inesausto
desiderio di far sue le forme e il senso della
città alla quale si apre con spirito creativo:
non è artista che accoglie passivamente il
paesaggio e lo riflette nel suo lavoro, ma ha
l’entusiasmo di donare qualcosa alla città,
sa che può aggiungere una sua interpretazione, diversa, intensa, una parola ancora
al coro di quanti a Parigi hanno attinto e
hanno profuso le loro energie inventive; e
il pensiero corre a Baudelaire, ad Apollinaire, a Proust, a Max Jacob.
De Pisis sceglie le inquadrature del paesaggio come a segnare nella memoria le
emozioni che lo affrancano dagli spasmi di
un carattere che vuole a ogni costo affermarsi. Ha coscienza delle proprie capacità
e del grande impulso culturale che questo
nuovo campo di conoscenze e di azione gli
consente.
Parigi insomma è il sigillo che lo fa sentire
europeo e gli toglie definitivamente la patina di provincialismo che aveva percepito
come malattia mortale. Da Ferrara, anche
in quel tempo gli giungono amarezze dovute all’invidia e notizie di piccinerie, di
rifiuti, che non gli favoriscono certo nostalgie per la sua città.
La Cour des Arts è costruita con solida carpenteria, architettura delineata da pennellate sostanziose, formata sul vero. I toni
tendono allo scuro – del resto questo è
stato definito il periodo «nero» della sua
pittura – l’atmosfera è violacea, un inchiostro prezioso intride le case e le figure che
popolano la strada. Nasce da tale capacità
di addensare con tratto sicuro forma e colore, di schizzare con senso della prospettiva e dei rapporti di spazio, il de Pisis che
sorrade e sorvola con disinvolte allegorie i
suoi panorami. È dimostrazione di quante
corde il pittore sappia magistralmente toccare: qui c’è completezza e ordine sinfonico, una partitura scritta nei dettagli, nella
quale non mancano particolari resi velocemente, riflessi vetrini, accentature vermiglie. La vita è assunta come incantamento,
e si propone quale luogo di incontro, con
il piacere di «abitare» una certa parte di città, tenendo a freno il desiderio di fuga.
85
19
Due rombi sulla spiaggia, 1927.
Olio su tela, cm 70x90.
In basso a destra: de Pisis 27.
Al verso: sulla tela etichetta Galleria Annunciata, Milano, con n. 3767, firma Bruno Grossetti e timbro; sul telaio etichetta
«Comune di Verona / Mostra di Filippo de
Pisis / 6 luglio-21 settembre 1969 / n. 73».
Esposizioni
Opere di Massimo Campigli, Carlo Carrà,
Filippo de Pisis, Giorgio Morandi, Mario
Sironi, Galleria L’Annunciata, Milano,
marzo-aprile 1960, riprodotto in cat.
(Rombi)
Mostra dell’opera pittorica e grafica di Filippo de Pisis, a cura di L. Magagnato, M.
Malabotta, S. Zanotto, Palazzo della Gran
Guardia, Verona, 12 luglio-21 settembre
1969, in cat. pp. 12-14, riprodotto in cat.
p. 126, n. 73 (Marina con i rombi)
Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo
dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre
2001-6 gennaio 2002; poi Farsettiarte,
Milano, 6 febbraio-7 marzo 2002, riprodotto in cat. n. 4 e in copertina.
Bibliografia
G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, n.
211 (I rombi, noto anche come Natura
morta marina)
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1927/6 (I rombi)
Fondazione Umberto Severi. III. Pittura
contemporanea, a cura di S. Evangelisti e P.
Bonfiglioli, Franco Cosimo Panini Editore, Modena, 1993, riprodotto p. 57.
Le citazioni, i prelievi, i rifacimenti dall’antico sono stati argomenti molto frequentati nell’arte contemporanea; non c’è grande
autore che non abbia con la formula di
omaggio rivisitato nella propria pittura immagini storicamente precedenti. De Pisis
non fa eccezione; da un gelido ed esecutivo foglio di Flamen – leggiamo nel testo
di Magagnato che riportiamo di seguito
– prende spunto per uno dei suoi quadri
più nobili, in cui fascino e nostalgia sono
incantamento, momento perfetto di un
luogo sinfonico.
Licisco Magagnato nella introduzione al
catalogo 1969, cit., pp. 12, 14: «Abbiamo
trovato […] tra le sue carte conservate a
Parigi da André de Mandiargues, una
stampa olandese del settecento, strappata
86
probabilmente da un trattatello di ittiologia; vi si riconosce la matrice di tutta una
serie di nature morte marine. Diventa così
possibile vedere il punto e il momento in
cui quel certo quadro scenico che durerà
a lungo, direi fino all’ultimo, come schema apparentemente inventato delle nature
morte marine di de Pisis, è stato invece trovato. Direi che ciò accade intorno al ’2627; Sergio Solmi (Filippo de Pisis, Milano,
1941, tav. XI) che vide nella collezione
Gussoni una natura morta marina, direttamente derivata da quella stampa […] la
data 1927; Waldemar George (Filippo de
Pisis, Parigi, 1928, tav. X) invece che la
intitola Tempesta (un titolo che fu sempre
caro a de Pisis e buono per molti soggetti,
anche se legato costantemente a gruppi binati di cose o animali, in rapporto quindi,
osiamo supporre con la loro presenza in
coppia), la data 1926».
Maurizio Fagiolo dell’Arco, scheda per il
catalogo 2001, cit.: «La tela, di formato
quasi quadrato, è stata dipinta a Parigi:
non è di quelle in commercio, e il pittore
l’ha ordinata su misura dal corniciaio di
rue Bonaparte. Il quadro è appartenuto
a Luigi Bianchi, sarto e pittore parigino,
e poi alla collezione Severi di Carpi […].
Sulla riva del mare, con le vele all’orizzonte, i due rombi chiodati, presenti quasi
come feticci, occupano tutta la visuale
della spiaggia: la pennellata virtuosistica
coglie fremiti e riflessi di due autentici
“pesci sacri”. Ritorna troppe volte questo
motivo dei rombi accoppiati (La tempête,
1926; Nature morte marine, 1926; Natura
morta marina, 1927) per far ritenere che
sia puramente casuale.»
Albert Flamen, I rombi, incisione, siglata e firmata in basso a sinistra
«AB Flamen».
Pittore e incisore di origine fiamminga (Bruges) lavorò a Parigi fra
il 1646 e il 1648.
Filippo de Pisis, La tempesta (1927).
87
20
Vaso di fiori, 1927.
Olio su tela, cm 27,8x19.
In basso a sinistra: de Pisis 27.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 02238.
Il 1927 è anno di grande fecondità creativa per de Pisis, dipinge a Parigi quadri
importanti come Le cipolle di Socrate, Piede romano, Lungosenna al Pont Neuf (cfr.
Catalogo generale 1991, nn. 1927/74,
1927/21, 1927/35). Ogni porzione di vita
che frequenta è segnata di forme e colori
talmente smaglianti che sembrano mantenuti freschi dalla pioggia.
De Pisis pare abbia sempre bisogno dei
fiori sotto gli occhi, un gioioso trofeo, perché rimanga accesa la sua tavolozza e dalla
consultazione diretta dei colori naturali si
esprima, sorgiva, la sua sonora scatola cromatica.
88
89
21
Cortina (1927).
Olio su tela, cm 65x50.
In basso a destra: de Pisis.
Al verso: sulla tela etichetta Galleria Il Portico, Santa Margherita Ligure; sul telaio
etichetta Galleria La Bussola, Torino con
n. 10897 e due timbri.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 01881.
Bibliografia
Catalogo Asta, Farsettiarte, Prato, 28 novembre 2009, riprodotto n. 751, con scheda di F. Marini.
Francesca Marini, nel testo «Filippo de
Pisis Il marchesino pittore», per il catalogo
2009, cit.: «Reduce dalla prima mostra pa-
rigina aperta nel giugno del 1926, Filippo
de Pisis passa l’estate nella valle del Cadore
con la madre, a Villa Agnoli, non lontano da Pieve, il paese natale di Tiziano, e a
Cortina, raffigurata in una serie di dipinti
alla quale appartiene anche questo paesaggio della “Perla delle Dolomiti” del 1927,
in cui sullo sfondo delle montagne appare
la raffigurazione di una tipica fontana del
luogo con la vasca di legno, vicino alla quale si trova una delle donne e una gallina.
Oltre alla madre, che ricorda con preoccupazione l’assiduità con cui Filippo de Pisis
si dedica alla pittura durante quell’estate,
lo circondano alcuni amici come il barone
Francovich o la cugina Anna Fracanzani,
che aveva sposato il conte Nasali Rocca,
figlio di un senatore. Le gite in montagna
sono l’occasione per trovare nuovi soggetti da ritrarre sulla tela o sulla carta al
pari di quelle compiute alla scoperta dei
Al verso della fotografia un disegno a inchiostro seppia.
90
piccoli paesi della valle, ma il giovane de
Pisis si dedica anche alle scalate, come ricorda quando scrive: “Faccio escursioni e
ascensioni, anche con pericolo di vita, ma
nel pericolo è una specie di ebbrezza inebriante” (S. Zanotto, Filippo de Pisis ogni
giorno, Vicenza, 1996, p. 200). Quell’estate de Pisis dedica lo stesso entusiasmo alla
pittura e alla scrittura nutrendosi degli studi dedicati all’arte cadorina antica avviati
l’anno precedente. Scrive un’intera serie di
articoli intorno alle opere d’arte del Cadore ravvisandovi naturalmente il rapporto
con l’arte veneta, ma anche le “influenze
d’oltralpe, dell’arte tedesca e perfino fiamminga”. Di qui avviene il passaggio ultimo
che gli permette di valicare l’ascendenza
ferrarese, l’esperienza intellettuale del crepuscolarismo, la metafisica, per approdare
infine alla varietà di stimoli che Parigi gli
offriva.»
A Cortina de Pisis dipinge en plein air (1939), davanti a
un negozio di fiori.
Sul cartello si legge: «Garofani I scelta / Gladioli / Rose /
Specialità Edelweiss / Corone – cuscini ecc. »
(Per cortesia di Dino Prandi)
91
22
Paesaggio di Cortina, 1927.
Olio su tela, cm 54,5x36,5
In basso a destra: 27 de Pisis.
Al verso: sulla tela etichetta Galleria Milano, Milano.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 02241.
A Cortina d’Ampezzo de Pisis trascorse
molte felici stagioni estive; il luogo che
attirava diversi altri artisti, la trasparenza
dell’aria alpina, la schietta armonia della
vegetazione, le rustiche costruzioni con il
mirabile sfondo dei monti gli sollecitavano il lavoro en plein air. Il colore acquista
fragranze quanto mai naturali, si sentono
aromi di resina e di fieno nel paesaggio
equilibrato simmetricamente sull’asse del
bianco campanile che rende l’immagine
slanciata verso il triangolo nitidissimo del
cielo. Un gruppo vivace di tetti, alberi,
qualche figuretta ad alimentare il ritmo
cantato. È fluido come una sorgente alpina l’andamento rapito del fare pittura,
con la gioia per de Pisis di immergersi in
quella sfera vivificante che riunisce la sua
creatività con l’intero creato. La bellezza è
anche pienezza spirituale, un incontro di
favorevoli luoghi esteriori e interiori.
A Cortina ebbe pure il conforto di un’accoglienza entusiasta da parte di uno dei
suoi più appassionati collezionisti, Mario
Rimoldi. Con le opere di Rimoldi è stato
istituito nel centro ampezzano un museo
dove de Pisis è largamente rappresentato.
Filippo de Pisis e il collezionista Mario Rimoldi, Cortina d’Ampezzo (anni ’40).
Il campanile è quello dipinto nel paesaggio.
92
93
23
Calle di Venezia, 1927.
Olio su cartone, cm 48x33.
In basso a destra: de Pisis / Venezia
1.8.27.
Esposizioni
De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13
giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat.
p. 106 (Venezia)
De Pisis. Dalle avanguardie al «diario», a cura
di R. Barilli, B. de Pisis, C. Gian Ferrari, A.
Monferini, F. Tibertelli, L. Velani, testi di
vari, Galleria Nazionale d’Arte Moderna,
Roma, 6 febbraio-12 aprile 1993, riprodotto
in cat. n. 30 (olio su tela, cm 55x33)
Filippo de Pisis, presentazione di K. de Barañano e P. Weiermair, testi di L. Caramel,
M. Paz, C. Gian Ferrari, Ivam Centre Julio
Gonzáles, Valencia, 12 luglio-1° ottobre
2000; Rupertinum Museum für Moderne
und Zeitgenössische Kunst, Salisburgo, 18
ottobre-3 dicembre 2000, riprodotto in
cat. p. 48
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat.
n. 24 (Venezia).
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1927/84 (olio su tela, cm 55x33).
Abbiamo luogo, giorno, mese e anno
iscritti nel quadro: Venezia primo agosto
1927, un dato sicuro da aggiungere alla
biografia di de Pisis. In vacanza a Fiera di
Primiero dal 14 luglio, fa qualche visita
a Venezia che gli permette di raccogliere
immagini necessarie a soddisfare i propri e
gli altrui desideri: ha pressanti richieste di
quadri, ciò lo lusinga e lo stimola. Commenta Sandro Zanotto (Filippo de Pisis
ogni giorno, Vicenza, 1996, pp. 226-227):
«Nonostante in questo periodo l’economia
italiana si trovasse in un momento molto
difficile, con la “quota 90”, che aveva messo in crisi anche il mercato dell’arte, egli
vende moltissimo durante l’estate. Incassa perciò molto denaro da persone a cui
vende direttamente, da Bonuglia e Cavicchioli che avevano quadri in deposito, da
Piero che si occupava delle riscossioni e
dall’onorevole Gussoni a cui spedisce 45
quadri.»
L’intrusione nella calle veneziana fitta di
94
case, quasi a sorprendere un istante irripetibile, non è diversa dall’approccio con
alcuni passages parigini: la prospettiva affollata di porte e finestre accoglie la vita di
ogni giorno, passanti, operai. Il brusio popolare rintocca sulle facciate, si alza crepitando al cielo. La pittura segue, ma esalta
e inventa questo lavorio sonoro: ogni particolare partecipa del flusso sollecitato dal
vero, ed è reso perpetuo dal dono lirico.
95
24
Primavera a Parigi (1928).
Olio su tela, cm 56x46.
In basso a destra: de Pisis.
Provenienza: Pietro Feroldi, Brescia; Gianni Mattioli, Milano.
Esposizioni
Mostra Protesta del Collezionista [Opere
della Collezione Feroldi], Galleria Il Milione, Milano, 23 dicembre1933-4 gennaio 1934, elencato nella pubblicazione che
fa da catalogo: Il Milione. Bollettino della
Galleria del Milione, n. 20, Milano, 23 dicembre 1933-4 gennaio 1934 (La strada)
[Mostra antologica], Galleria del Milione,
Milano, novembre 1952, sala IV, elencato
nella pubblicazione che fa da catalogo: Il
Milione. Bollettino della Galleria del Milione, n. 1, Milano, novembre 1952 (Strada
di Parigi, 1925)
Capolavori di arte moderna nelle raccolte
privale, a cura di M. Valsecchi, Civica Galleria d’arte moderna, Torino, 31 ottobre-8
dicembre 1959, riprodotto in cat. n. 19,
tav. 12
Masters of Modern Italian Art from the Collection of Gianni Mattioli, a cura di F. Russoli, The Phillips Collection, Washington
D.C., novembre 1967-gennaio 1968; poi
The Dallas Museum of Fine Arts, Dallas, febbraio-marzo 1968; poi The San
Francisco Museum of Art, San Francisco,
marzo-aprile 1968; poi The Detroit Institute of Arts, Detroit, giugno-luglio 1968;
poi William Rockhill Nelson Gallery of
Art, Kansas City, ottobre-novembre 1968;
poi The Museum of Fine Arts, Boston,
gennaio-febbraio 1969; poi Negozio Olivetti, New York, marzo-aprile 1969,
in cat. p. 77, n. 101; poi Maîtres de l’art
moderne en Italie. 1910-1935, Palais des
Beaux Arts, Bruxelles, settembre-ottobre
1969, in cat. p. 92, n. 102; poi Italiensk
Kunst. 1910-1935. Gianni Mattiolis Samling, Louisiana, Copenaghen, novembredicembre 1969, in cat. p. 92, n. 102;
poi Italienische Kunst. Sammlung Gianni
Mattioli, Hamburger Kunsthalle, Hamburg, febbraio-marzo 1970, in cat. p. 92,
n. 102; poi Maestros del Arte Moderno en
Italia 1910-1935, Museo Español de Arte
Contemporáneo, Madrid, novembre-dicembre 1970; poi Palacio de la Virreina,
Barcelona, dicembre 1970-gennaio 1971;
poi Museo de Arte Contemporáneo, Sevilla, gennaio-febbraio 1971, in cat. p. 98,
n. 100; poi Masters of Modern Italian Art
from the Collection of Gianni Mattioli, The
96
National Museum of Modern Art, Kyoto,
aprile-maggio 1972; poi The National Museum of Modern Art, Tokyo, maggio-luglio
1972, in cat. p. 105, n. 102
Mostra dell’opera pittorica e grafica di Filippo de Pisis, a cura di L. Magagnato, M.
Malabotta, S. Zanotto, Palazzo della Gran
Guardia, Verona, 12 luglio-21 settembre
1969, riprodotto in cat. p. 149, n. 108
De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939, a
cura di G. Briganti, testi di vari, Galleria
dello Scudo, Verona, 13 dicembre 198731 gennaio 1988; poi Galleria dell’Oca,
Roma, 5 febbraio-19 marzo 1988; poi
Castello Svevo, Bari, 24 marzo-29 aprile
1988, riprodotto in cat. p. 107, n. 18
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat.
n. 28.
Bibliografia
G. Comisso, Mio sodalizio con de Pisis,
Garzanti, Milano, 1954, riprodotto in
controfrontespizio (La torre Eiffel)
M. Valsecchi, «Venti quadri da salvare»,
Tempo, Milano, 8 settembre 1955
Almanacco artistico Italiano, 1956, riprodotto.
G. Ballo, Filippo de Pisis, Edizioni «La Simonetta», Milano, 1956, riprodotto tav.
28
M. Valsecchi, Filippo de Pisis, Electa, Milano, 1956, riprodotto tav. 18
M. Valsecchi, Maestri moderni, Garzanti,
Milano, 1957, riprodotto
G. Marchiori, De Pisis, Garzanti, Milano,
1963, p. 38, n. 135, riprodotto tav. XVI e
in copertina
G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 288
M. Valsecchi, Maestri della pittura moderna, Garzanti, Milano, 1970, riprodotto
tav. 79 (La torre Eiffel, 1926)
G. Barigazzi, «Dipingeva il mondo che
non poteva avere», Gente, Milano, 21 gennaio 1988, riprodotto p. 56
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1928/63
G. Di Genova, Storia dell’Arte Italiana del
’900 per generazioni. Generazione maestri
storici, tomo II, Edizioni Bora, Bologna,
1994, p. 1160
Catalogo Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in
Italia 1919-1945 dalle collezioni private,
a cura di M. Goldin, Galleria Comunale
d’Arte, Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 21
aprile-30 giugno 2002, riprodotto p. 62.
Celebre tela che è stata nella grande raccolta Feroldi di Brescia, passata poi alla
raccolta Mattioli di Milano.
Giovanni Comisso nel libro Mio sodalizio
con de Pisis, 1954, cit., riproduce il quadro
a colori nel controfrontespizio; conferma
così come sia significativa la tela, chiave di
lettura del pittore per il suo ingresso nella cultura di respiro internazionale. Parigi
lo affranca dalle opacità provinciali – non
potrebbe esserci immagine più eloquente
di questa Primavera – e lo pone in uno stato di indipendenza anche dai movimenti
di punta che in quella città pullulavano,
fra surrealisti e astrattisti.
Un appunto di Comisso dato al 1927, pp.
29-30: «Tutta la città sembrava creata per
lui, per la sua libertà e per il suo gusto di
pittore che oramai aveva preso forma consistente […]. La sua mano si era fatta libera e audace alla pari con la sua vita.»
Daniela De Angelis, scheda per il catalogo
1987, cit.: «Dopo gli esordi tra il 1925 e
il 1926, continua per de Pisis il rapporto
d’amore con l’“aria di Parigi”, in una pratica sempre più felice. Le pitture eseguite
all’aperto raffigurano gli scorci della città
cari all’artista, così come gli indirizzi delle
sue abitazioni e dei suoi studi evidenziano
l’affetto per alcuni luoghi privilegiati […].
È veramente una luce verde quella che illumina la tela Primavera a Parigi, esaltata nel
verde scuro delle pennellate circolari, nei
tocchi verticali di forte risonanza materica
color giallo-verde. Gli alberi che fiancheggiano la via ritratta sono i veri protagonisti del quadro, accostati ai segni rossi dei
fanali e dei passanti, mentre sullo sfondo
appare la Torre Eiffel.»
97
25
Cascinale, 1928.
Olio su tela, cm 99x64.
In basso a destra: de Pisis 28.
Bibliografia
Catalogo Asta, Farsettiarte, Prato, 31 maggio 1997, riprodotto in cat. n. 372 (riferimenti bibliografici errati).
Gli angoli rustici cadorini offrono all’artista quantità di stimoli ottici; la pittura
è nutrita, sicura, con profondità ambrate
che ricreano le condizioni del luogo fra
luce e ombra. L’interpretazione della scena
aderisce al suo gusto che tocca non solo le
gloriose marine, i grandi spazi montani, i
viali cittadini, ma anche quegli esterni più
modesti, guarniti di particolari domestici,
in cui la realtà collima con il lavoro dei
contadini: rivedremo queste ambientazioni in alcuni paesaggi di Brugherio degli
anni ’50. In questo caso potremmo osservare cascinale, covone di fieno, alberi, in
parallelo con le inquadrature di Ardengo
Soffici, gli spigoli delle case che fanno cornice, per gli scorci di Poggio a Caiano.
98
99
26
Ritratto sentimentale, 1928.
Tempera su tavola, cm 21,7x20,8.
In basso a destra: 928 ?? [sic] / de Pisis.
Al verso: scritta a inchiostro «Filippo de
Pisis / Ritratto sentimentale»; etichetta
«Ex libris / Tibertelli de Pisis / “Ritratto
sentim[en] / tale”/ Tempera»; timbro Biblioteca Olivetti; timbro Galleria del Naviglio, Milano, con n. 2031.
Esposizioni
Figure e ritratti nell’opera di Filippo de Pisis,
testo di G. Raimondi, Biblioteca Olivetti,
Ivrea, 28 febbraio-15 marzo 1954, in cat.
n. 24
Ritratti e figure di Filippo de Pisis, testo di
G. Raimondi, Galleria d’arte della Gazzetta del Popolo, Torino, 8-22 aprile 1954, in
cat. n. 18.
L’opera è stata esposta alla mostra di Ivrea
che per la prima volta documentava in
modo organico un aspetto meno studiato
di de Pisis, figure e ritratti. L’esposizione,
accresciuta (dipinti da 1 a 65, disegni da
66 a 120), con un catalogo in forma di
rivista (stessa presentazione di Raimondi,
note biografiche, diverse riproduzioni), fu
trasferita nella Galleria del quotidiano torinese, Gazzetta del Popolo.
Giuseppe Raimondi nel catalogo del 1954,
cit.: «È quindi evidente che l’artista ricerca,
e colloca nell’animo, quindi nell’aspetto
del modello, un destino umano, e l’azione
fermata di un previsto e già sofferto sentimento. Per questo, taluni ritratti di de
Pisis sono saturi di un contenuto morale,
e quasi gnomico: sempre sono esenti da
una portata naturalistica. Il modello del
ritratto è, sempre, il protagonista di un
carattere.»
100
101
27
Porri sulla spiaggia, 1928.
Olio su cartone, cm 44,5x53.
In basso a destra: Al caro / di S. Lazzaro /
Editore e /Amico / de Pisis / de Pisis / 28 /
Paris novembre 28.
Esposizioni
Omaggio a Filippo de Pisis, testo di G. Marchiori, mostra organizzata dalla Galleria
Falsetti, Prato, Galleria Dolomiti, Cortina
d’Ampezzo, 25 dicembre 1967-10 gennaio 1968, riprodotto in cat. tav. VII
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. tav. XXVII
Filippo de Pisis. Venti opere vent’anni dopo,
testo di E. Natali, Galleria Falsetti, Focette,
3-29 luglio 1976, riprodotto in cat. n. 6
Filippo de Pisis, testo di L. Carluccio, Palazzo Liceo Saracco, Acqui Terme, 5 agosto-10 settembre 1978, riprodotto in cat.
s.n.
Aria d’Europa. De Chirico de Pisis, a cura di
L. Cavallo, collaborazione di O. Nicolini,
Galleria Farsetti, Milano, Focette, Cortina d’Ampezzo, Prato, giugno-settembre
1987, riprodotto in cat. p. 67, tav. IV
De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939, a
cura di G. Briganti, testi di vari, Galleria
dello Scudo, Verona, 13 dicembre 198731 gennaio 1988; poi Galleria dell’Oca,
Roma, 5 febbraio-19 marzo 1988; poi
Castello Svevo, Bari, 24 marzo-29 aprile
1988, riprodotto in cat. p. 101, n. 15
«Le joli secret» di de Pisis. Venti opere, Galleria Farsetti, Milano, 11 giugno-4 luglio
1991
De Pisis. Dalle avanguardie al «diario», a
cura di R. Barilli, B. de Pisis, C. Gian Ferrari, A. Monferini, F. Tibertelli, L. Velani,
testi di vari, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 6 febbraio-12 aprile 1993,
riprodotto in cat. n. 41
Una dolcezza inquieta. L’universo poetico di
Eugenio Montale, a cura di G. Marcenaro e
P. Boragina, Palazzo del Banco di Chiavari e della Riviera Ligure, Genova, 14 febbraio-20 aprile 1996; poi Palazzo Besana,
Milano, 16 maggio-30 giugno 1996 riprodotto in cat. p. 85, n. I.114
De Pisis, a cura di A. Buzzoni, testi di vari,
Palazzo Massari, Museo d’arte moderna e
contemporanea Filippo de Pisis, Ferrara,
29 settembre 1996-19 gennaio 1997, riprodotto in cat. p. 44, n. 14 (Natura morta
marina con i porri)
102
Gualtieri di San Lazzaro, cui è dedicato il
dipinto, fu editore delle monografie di de
Pisis nel 1928 e nel 1937.
Precedenti, diciamo così, ideali di questo
quadro la composizione I pani gloriosi,
una delle prime eseguite a Parigi, 1925;
e pure Le cipolle di Socrate, 1927, che ha
evidenti richiami della metafisica ferrarese in un taglio di natura morta marina. A
proposito de I pani gloriosi l’autore scrive
nel suo testo «La cosidetta “Arte metafisica”» (Emporium, Bergamo, novembre
1938): «compare di già [ma il quadro era
erroneamente dato al 1915, mentre è chiara la data sulla tavola e in una fotografia
con scritta autografa nel nostro archivio]
una linea di mare e, sul lido deserto, una
figuretta bianca di filosofo. Confesserò che
l’idea del filosofo greco in toga candida
aggirantesi sulla riva del risonante mare la
devo proprio a de Chirico, ma nelle mie
composizioni (si veda la lunga serie delle
Nature morte marine venute poi) questo
filosofo è dipinto con fare largo (impressionista, per intenderci, sibbene facilmente dimostrerei che la mia pittura in realtà
non ha che contatti ben superficiali con
l’impressionismo), quasi una macchia che
si confonde con le nubi.»
Nel dipinto qui riprodotto la «figuretta»
anziché sostare in una piazza d’Italia è in
riva al mare, a distanza dalle monumentali verdure che, come rapporto di formaambiente, insistono nelle proporzioni
dechirichiane (fra carciofi o banane e gli
spazi urbani). Certo in de Chirico l’aria è
sospesa, l’evento di freddezza diamantina;
de Pisis è nutrito di spiriti agresti, umanizza anziché disumanare; una metafora di
più calda e svagata liricità. Con il fascino
del soggetto, l’alto concerto cromatico e
luminoso tenuto con sobria efficienza di
struttura e materia pittorica.
Maurizio Fagiolo in catalogo 2001, cit.:
«Un dipinto molto fresco […]. Su una
spiaggia, passeggia una figura antica vestita di bianco, mentre in primo piano (si
avverte il profumo della soupe da bistrot)
dialogano due porri. L’antico diventa eterno nel ritmo della natura.»
Le cipolle di Socrate, 1927.
I pani gloriosi, fra i primi dipinti di de Pisis
a Parigi, 1925. L’impaginazione richiama i
trofei dei blasoni medioevali.
Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo
dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre
2001-6 gennaio 2002; poi Farsettiarte,
Milano, 6 febbraio-7 marzo 2002, riprodotto in cat. n. 5 (Natura morta marina
con i porri).
Bibliografia
G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 204 (Olio su tela, Natura morta marina con i porri)
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1928/51.
103
28
Rose, 1929.
Olio su cartone, cm 68,5x51.
In basso a destra: de Pisis 29.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 02412.
Renato Barilli, nel saggio «L’arte di de
Pisis: collezione e montaggio», per il catalogo De Pisis. Dalle avanguardie al «diario» (Galleria Nazionale d’Arte Moderna,
Roma, 6 febbraio-12 aprile 1993, pp. 2425), esamina il tema delle composizioni
in interno: «Va da sé che le nature morte
non sono un genere tra gli altri, nella produzione depisisiana, ma il macrogenere, il
teatro delle apparizioni, la “camera delle
meraviglie” cui egli affida tutte le sue risorse di poetica, tutte le sue capacità tecniche. Gli altri generi non possono evitare di
rapportarsi a quella casistica centrale, e di
risultarne come nulla più che varianti, facilmente riconducibili alla ricetta di base.
Merita dedicare qualche attenzione alla
intensa serie dei vasi di fiori, in cui. potrebbe riaffacciarsi il rischio di interpretare
l’arte del Nostro secondo la misura riduttiva dell’impressionismo, oltre tutto nella
versione epigonica resa manifesta dal post.
I fiori, per loro natura, sono frantumati,
dispersivi, portati alla confusione, a sconfiggere cioè una salda intelaiatura di piani,
favorendo invece una osmosi tra questi e
la loro dissoluzione finale in uno sfondo
generico, al termine di una sorta di degradazione entropica. Da qui l’inevitabile
tentazione, nell’affrontare un tema floreale, di lasciarsi andare, di portare stoccate
alla brava fidando in una felicità cromatica
disarmata, contenta di se stessa. E in apparenza è così; mai de Pisis sembra più felice,
smemorato, abbandonato al dono pittorico, di quando appunto si tuffa a rappresentare lussuosi, lussureggianti bouquets,
espandendoli, facendoli scoppiare gioiosamente negli interni ospitali. Eppure, anche
in questi casi, c’è una più o meno visibile
rete di contenzione. I soliti sfondi tenaci
vigilano, sono pronti a elevare barriere doganali, a comprimere l’effluvio delle chiome floreali, o a distendersi dietro il loro
intrico, così da ricucirne e ricompattarne
gli strappi.»
104
105
29
Natura morta marina, 1929.
Inchiostro, acquarello e tempera su carta,
cm 30x44.
In basso a destra: de Pisis 29.
Esposizioni
De Pisis. Opere su carta 1913-1953, a cura
di E. Pontiggia e P. Thea, Galleria d’arte
moderna, Milano, 19 settembre-18 novembre 1985, riprodotto in cat. n. 21
De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di D.
Tega, Galleria Tega, Milano, ottobre-novembre 1987, riprodotto in cat. n. 7.
Dino Tega nel catalogo 1987, cit.: «Natura
morta marina, firmata e datata 1929 […]:
in primo piano conchiglie, scampi, ostriche al limite della spiaggia la linea essenziale del mare. Colori luminosi e tenui. Si
addice a questa immagine uno scritto di
Sergio Solmi pubblicato nel 1931 [Hoepli,
Milano]: “Questa capacità di larghe evocazioni ottenute con pochi segni e poche forme, che trova i suoi momenti di più intensa espressione proprio nel mondo limitato
e composito della natura morta, ci sembra
la qualità più schietta e appunto più spiccatamente lirica del nostro pittore”.»
106
107
30
Natura morta, 1929.
Olio su cartone, cm 35,5x50,3.
In basso a destra: de Pisis / 29.
Al verso: etichetta Galleria Milano con
data «febbraio 1932» e n. 1645; etichetta
Galleria Milano con data «1.7.931» e n.
1622; etichetta proprietà Zita De Lama
Gussoni; etichetta frammentaria con scritta «proprietà Cavaliere del Lavoro Collezione Gussoni»; firma Dino Tega.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 01374.
Esposizioni
Filippo de Pisis. La poesia nei fiori e nelle
cose, a cura di C. Gian Ferrari, testi di C.
Gian Ferrari e L. Caramel, Liceo Saracco, Acqui Terme, 16 luglio-10 settembre
2000, riprodotto in cat. p. 51, n. 15 (Natura morta marina)
Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in Italia
1919-1945 dalle collezioni private, a cura
di M. Goldin, Galleria Comunale d’Arte,
Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 21 aprile-30
giugno 2002, riprodotto in cat. p. 180.
Bibliografia
Centottanta opere, a cura di D. Severi e G.
Tega, testi di V. Coen, schede di S. Foglia
e C. Miramonti, Galleria Tega, Milano,
2005, riprodotto p. 117.
Luciano Caramel nel testo per il catalogo
2000, cit., «La pittura come autoritratto»,
p. 20: «Diversamente che nella natura morta di ascendenza controriformista, mancano insistenze e accentuazioni simboliche.
Concettosità e moralismo non hanno cittadinanza in queste tele, come, è implicito,
la mimesi passiva, muta, senz’anima. De
Pisis non ammonisce, e neppure semplicemente constata. Manifesta, invece, una
condizione di abbandono partecipato
al destino dell’uomo, per natura fatto di
gioia e di dolore, di effusione sensuale e
di afflizione psicologica, dove un termine
implica l’altro, ma non l’annulla.»
I frutti qui sono messi in posa, paiono di
cera o di martorana, composti in gruppo
piramidale che culmina nel volo di uccelli. La pesca aperta, primo elemento in
vista, è offerta sensuale e due colori complementari, il rosso delle ciliegie a sinistra,
il verde dei fichi a destra tengono raccolta
l’immagine e soddisfano, si direbbe, una
memoria antica, insieme tradizione di bel-
108
lezza e nobiltà della forma. La grande foglia, un pampino di vite, è appoggiata con
centralità raggiante nel nido della frutta.
La piana della spiaggia con il mare lontano
solcato da un cenno di vela è luogo spesso
diletto da de Pisis, l’Adriatico.
109
31
Place de la Concorde, 1929.
Olio su tela, cm 65,4x50,5.
In basso a destra: de Pisis / 29.
Bibliografia
G. Raimondi, De Pisis, Vallecchi, Firenze,
1952, riprodotto tav. 31
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n.1929/14.
Giuseppe Raimondi nella monografia
1952, cit., p. 18: «È proprio sugli anni
tra il ’29 e il ’30 che nella mente plastica
di de Pisis (la sua camera ottica) entrano
un’ansia e una felicità, a rendere più veloce
la sensazione e il sentimento. È come se il
suo occhio si strugga di non seguire la rapidità invisibile del tempo e della luce. E la
mente pittorica racconta, trafelata, sudata,
col fiato in gola. […] le forme del paesaggio sono colte di volo, repentinamente, in
una corsa dell’occhio, e quasi col batticuore. Si direbbe lo stesso trapasso avvenuto,
nello stile romantico francese, dalla pagina
impenetrabile di stile di Flaubert, ad uno
schizzo, ad una scena di Jules Laforgue, di
Jules Renard. Con tutto quello, di scontentezza e di disperazione, che cotesto mutamento nella sostanza letteraria e poetica,
s’è portato dietro. La tavolozza di de Pisis,
nel rinnovarsi, si schiarisce, cambia la pelle.
Si accresce, nei bianchi e nei grigi insistiti,
di qualcosa dell’atmosfera acre, del cielo
incerto, dell’aria umida di Parigi. Codesti
elementi sono entrati nel suo studio, ne
hanno preso possesso. Anche se egli, come
faceva, si trasferisce sotto il cielo d’Italia,
anche se inizia il suo lungo, contrastato e
infine trionfante rapporto ideale con Venezia, che fu si può dire, la riformatrice,
insieme a Parigi, del suo temperamento e
della sua mente artistica. Lontano, ormai,
il cuore della nativa Ferrara; lontana l’armonia musicale e cromatica della Roma
barocca, con gli stucchi morbidi, gli ori
delle chiese, le sete tra la polvere dei granai. Parigi e Venezia, ormai, tengono per
mano il nostro pittore, la cui opera tende
a farsi europea, per interessi e portata culturale.
R. De Grada («De Pisis. Genio e mutevolezza», Arte, Milano, marzo 1986, p. 50):
«Pochissimi, dopo i famosi boulevards di
Pissarro-Sisley-Monet (eppure si è fatto
tanto strazio delle vedute parigine), hanno saputo rendere con altrettanta verità le
atmosfere di dolce risonanza, di invernale
concerto, di struggente morbidezza che si
110
levano dalle strade di Parigi quando un occhio di sole cerca di penetrare attraverso il
velario dei cieli grigi. Allora stranamente
fioriscono colori di insegne e di oggetti
già irrilevanti che stimolano la fantasia e
il senso di vivere una giornata con la natura, con l’esterno, il che è proprio di Parigi,
una città dove non puoi occuparti dei fatti tuoi senza guardare fuori, all’esterno, il
mondo che stai vivendo.»
111
32
Pesce con bottiglia, bicchiere e
mela, 1930.
Olio su tela, cm 50x60,8.
In basso a destra: de Pisis 30.
Al verso: sulla tela cartiglio con scritti a
inchiostro dati dell’opera e provenienza;
sul telaio etichetta frammentaria «[ ... ] de
Pisis / [Ferr]ara 1951».
Esposizioni
De Pisis, a cura di G. Raimondi, Castello
Estense, Ferrara, giugno-luglio 1951, in
cat. n. 66 (Pesce con bottiglia).
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1930/109
Catalogo Asta, Farsettiarte, Prato, 31 maggio 2008, riprodotto in cat. n. 768, con
scheda di F. Marini.
Francesca Marini, scheda per il catalogo
2008, cit.: «Presente alla fondamentale monografica su Filippo de Pisis curata
da Raimondi, ospitata presso il Castello
Estense a Ferrara – “suolo ferace di rigogli
pittorici” come l’artista definisce la città in
cui era nato nel 1896 –, Pesce con bottiglia,
bicchiere e mela proviene dalla raccolta parigina dell’editore Gualtieri di San Lazzaro
[…]. A un solo anno di distanza dall’esecuzione di questo dipinto, Filippo de Pisis
avrebbe spiegato: “Le mie nature morte,
ancor prima di un loro valore pittorico e
costruttivo, ne debbono avere per me uno
lirico e interiore” (Confessioni, 1931). In
questo periodo l’artista mira a una pittura
che sembra volta a scoprire l’afflato interiore che scaturisce dagli oggetti più vicini
al quotidiano e per questo il pesce in primo piano, la bottiglia e il bicchiere di vino
rosso lasciato a metà vicino alla mela e al
coltello, ci riportano a un momento della
vita di tutti i giorni, alla “dolce melanconia” delle cose modeste. Ed è a quest’ultime che l’artista fa riferimento nella
conferenza tenuta all’inaugurazione della
mostra al Teatro Nazionale di Roma del
1924, quando de Pisis afferma che “l’animo commosso dell’artista” aspira a una
comunione con il mistero della semplicità
espressa dall’angolo “di una vecchia cucina, baciato di nascosto dalla luce perlata
della sera”, quando la materia “racchiude
un’anima per chi sia uso alla contemplazione del nostro breve mistero”.»
È una mensa gloriosa che de Pisis riesce a
112
mettere in mostra, con povere cose, come
fosse un altare domestico. L’impaginazione equilibrata dal rintoccare dei vetri a sinistra e a destra, il metallo prezioso delle
squame, il mobile sovrastato da una figura
in cornice, il colore terra di Siena chiara e
scura conferiscono solennità all’immagine.
113
33
Vaso di fiori, 1930.
Olio su tela, cm 80x62,5.
In basso a destra: de Pisis / 30.
Provenienza: Emilio Jesi, Milano.
Esposizioni
XXVIII Esposizione Biennale Internazionale
d’arte, Venezia, 1956, sala XIII «Filippo de
Pisis», in cat. n. 20 (Fiori).
Bibliografia
G. Ballo, De Pisis, Torino, 1968, riprodotto n. 243 (Fiori)
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n.1930/70.
Il dipinto fu inserito nella sala personale, 65 opere, che la Biennale di Venezia,
1956, cit., dedicò a Filippo de Pisis, appena scomparso a Milano, il 2 aprile di
quell’anno, affidando la scelta agli studiosi
che si erano occupati del maestro: commissari Umbro Apollonio e Marco Valsecchi, testo in catalogo di Francesco Arcangeli. Il critico bolognese dava sguardo
d’insieme all’opera: «È facile, da parte dei
giovani bombardieri della critica filoastratta o filorealista, accusare questa storia di de
Pisis di letteratura o di decadenza; ma egli
la patì fino all’ultima goccia di vita, del suo
bene e del suo male fu il primo eroe e la
prima vittima. Sarebbe davvero ingiusto
imprimere i tratti apparenti d’una vicenda
che resta privata su un’opera che fu, non
c’è dubbio, quella d’un “uomo di buona
volontà”. Proprio perché pagò fino in fondo gli fu possibile riscattare una vecchia
vicenda italiana in storia universale, ben
leggibile per noi, e anche per gli stranieri
che avranno antenne per intenderla e per
non confonderla con molti casi ben più
generici di postimpressionismo. Perché,
dai suoi maestri immediati di pittura, di
letteratura, di costume (a stenderlo, sarebbe un catalogo ben divertente e bizzarro)
che gli diedero una prima, indispensabile
modernità, de Pisis risalì a una sual tradizione, secondo il processo che è naturale,
per solito, alle personalità vere; non per
il gusto dei ritorni, ma per quel bisogno,
che a un certo punto si fa strada anche
nell’artista più rivoluzionario, di sentire
più certo, più profondamente radicato
nel tempo il proprio gesto. De Pisis delibò
appena, e scartò presto dal suo cammino,
le strutture solenni e intellettuali dei primitivi italiani, e ritrovò invece i suoi lari
sulla grande strada che conduce da Tiziano
114
a Manet. Questo poté dare ad alcune sue
opere il sapore della rievocazione culturale (denunciata talvolta dagli entusiastici ,
evviva rivolti dal suo pennello a questo o
a quel maestro), ma fu anche la scuola per
una libera e ricca presa sul reale, che non fa
mai cadere il pittore, anche quando vola
più libero, nell’inespresso o nel vago. Qui
si costituì la forza di base, il nerbo della
sua operazione artistica: quasi un letto visivo in analogia con Matisse (ma su due
dimensioni, appunto, quasi sempre più
elaborate e antiche) o con Soutine. Di qui
partì per le sue mirabili partenze; spesso,
come un nuovo Guardi, per una meta elegante, divertita, estrosa; ma quando il suo
animo si spoglia degli ornamenti e della
cultura più illustre, l’incontro diretto con i
luoghi, con gli esseri, con le cose, accadde
quasi per risorgiva d’un impressionismo
del tutto inedito. Qui è, probabilmente,
l’aspetto più nuovo e moderno di de Pisis.
È miracoloso come, nelle sue visite memorabili a Parigi, Londra, Venezia, Roma,
Milano, de Pisis sappia restare fedele allo
spirito d’un luogo come un vedutista del
’700 o come un impressionista; e come in
pari tempo il suo occhio sia un tramite per
estrarre dalla realtà una carica vitale assai
più complessa. Quando piantava, intrepidamente, il cavalletto nelle piazze delle
capitali, dovettero accadere coram populo
fenomeni d’ordine medianico: non più
un occhio, ma un assorbente, una spugna:
dalla gente lì intorno, ai rumori, ai colori
nella retina, alla voce dei rami, agli odori,
ai microbi, che grandinata d’arrivi alla stazione dei sensi! Così, anche la sua famosa
stenografia pittorica è anzitutto il mezzo
per far coincidere tutto lo sperimentabile
col fitto sussurrante monologo che l’artista
intrattiene con se stesso. Anche se ridotta
al minimo della presenza attiva, la coscienza è al massimo della vibrazione. Sulla tela
scoperta, vuoto dell’animo in apparenza
annullato, de Pisis, solo entro la pienezza
della vita, capta messaggi indecifrabili al
comune alfabeto. Resta all’opera realizzata
il senso, esistenziale senza nessuna retorica,
di cosa afferrata sul vuoto, in una condizione disperata e felice; da non travisare
in tragedia, ma da non deprimere, tanto
meno, in facilità. “Voli, ombre, punti, /
echi, note, un nulla”: sono parole d’una
sua poesia, che appuntano il senso della
sua vita verso uno dei vertici dell’arte del
nostro secolo.»
115
34
Natura morta, 1930.
Olio su cartone applicato su tela, cm 50x70.
In basso a destra: A / “L’Italiano” / de Pisis
/ 30.
Provenienza: Leo Longanesi, Milano; Galleria Il Milione, Milano.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1930/16.
Leo Longanesi era il proprietario del quadro. Sulla rivista da lui diretta L’Italiano,
nel n. 5-6, del 17 aprile 1930, un testo,
non firmato, probabilmente dello stesso
Longanesi, «Filippo de Pisis e la polemica
decorativa», illustrato con un ritratto a inchiostro di de Pisis, disegnato a Parigi da
Larionov. Nell’articolo si riconosce che de
Pisis è uno dei cinque o sei artisti dell’Italia
d’oggi; la sua pittura però è troppo semplice e delicata per ottenere pieno successo:
«De Pisis non avrà mai il plauso di chi giudica a peso e a pagine. La facilità con cui
tutto è risolto nei suoi quadri, è il frutto di
un lungo e cauto studio, è l’armonia ormai
raggiunta. Il facile, in questo pittore, è difficilissimo.»
Longanesi aveva sposato una delle figlie di
Armando Spadini, Maria; sappiamo quanto il primo de Pisis, nel crogiuolo romano,
stimasse Spadini, da lui ricavò elementi
che lo prepararono all’incontro con gli
impressionisti. L’amicizia con Longanesi
aveva cospicue parentele culturali: erano
della medesima regione, a Bologna frequentavano gli stessi ambienti, Raimondi,
Morandi, e la libertà espressiva di de Pisis
anche come letterato, piaceva al geniale
editore.
La penna appoggiata sul piano e un minuscolo libro sembrano far cenno al lavoro,
o al vizio, letterario; gli oggetti toccati con
naturale grazia hanno insieme la levità di
una lettera amichevole e il rilievo di una
intuizione preziosa, memorabile nella sua
semplicità.
116
117
35
Venezia chiesa dell’Arsenale, 1930.
Olio su tela, cm 70x50.
In basso a destra: de Pisis 30.
Galleria Tega, Milano.
Esposizioni
Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in Italia
1919-1945 dalle collezioni private, a cura
di M. Goldin, Galleria Comunale d’Arte,
Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 21 aprile-30
giugno 2002, riprodotto in cat. p. 179
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat.
n. 46.
Dal 29 agosto 1930 de Pisis è a Venezia,
abita in una pensione, e vi rimane tutto
settembre. Vincenzo Cardarelli gli fa conoscere il pittore Juti Ravenna che lo ospita per dipingere nel suo studio a San Stae.
Alla Biennale di quell’anno tre sue opere erano presentate nella sala 23, «Appels
d’Italie», con presentazione di Waldemar
George, commissario ordinatore Mario
Tozzi. Scrive George: «Sotto l’aggressivo
titolo di “Appels d’Italie” abbiamo riunito
le opere di pittori italiani di Parigi, e di
artisti francesi e stranieri della scuola parigina, rivelando un fenomeno nuovo: una
volontà collettiva e cosciente di ritrovare
lo smarrito sentimento dello spirito italiano […]. Questi artisti non sono, come si
potrebbe credere dei tradizionalisti; sono
al contrario, dei rivoluzionari. L’Italia è la
loro mèta, la loro fonte di ispirazione eternamente viva.»
L’artista abbraccia con l’entusiasmo
dell’innamorato questa città che sente così
perfetta per il suo temperamento ansioso
di rifondare l’antico nei moderni palpiti
dell’espressione. Si è molto affinato il suo
linguaggio nella forgia parigina, la materia
mossa ha persino scosse espressioniste; comunque il pittore domina con forte energia mentale il compiersi di un sortilegio
cromatico-luminoso che lo pone ormai fra
i protagonisti del secolo.
118
119
36
Fiori nel secchio, 1930.
Olio su tela, cm 86,5x62,5.
In basso a destra: Cadore / de Pisis /30.
Esposizioni
Mostra di Filippo de Pisis, a cura di C.L.
Ragghianti, La Strozzina, Palazzo Strozzi,
Firenze, 29 febbraio-marzo 1952 [senza
catalogo]
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. tav. XXXVIII
Filippo de Pisis, testo di L. Carluccio, Palazzo Liceo Saracco, Acqui Terme, 5 agosto-10 settembre 1978, riprodotto in cat.
s.n.
Aria d’Europa. De Chirico de Pisis, a cura di
L. Cavallo, collaborazione di O. Nicolini,
Galleria Farsetti, Milano, Focette, Cortina d’Ampezzo, Prato, giugno-settembre
1987, riprodotto in cat. p. 71, tav. VI.
vedere un sottilissimo filo durare sino agli
ultimi dipinti di Brugherio; la tempestosa
lezione di Delacroix, la lezione del Guardi,
quella del Tiepolo e quella degli impressionisti, amata nei giorni di Parigi, ma anche
quella dei tanti artisti esuli dall’Europa
orientale e balcanica, che sapevano tradurre come han fatto Pougny e Soutine in una
pasta pittorica profumata e sapida ed in
un segno fiammeggiante ogni loro ansietà.
Tutti quegli amori e tutte quelle suggestioni hanno una cosa in comune in primo
luogo il rapporto diretto ed autentico con
la realtà naturale. Una realtà rispettata sino
a volerne realizzare anche la dimensione
tempo. I dipinti di Filippo de Pisis devono
infatti essere letti secondo la successione
dei loro motivi nello spazio-tempo; come
si leggono le nuvole nei cieli del Tiepolo, le
piccole figure e i dettagli delle architetture
di fantasia nelle vedute del Guardi, lo stormire delle foglie secondo i lampi di luce
ch’esse rimandano nei dipinti di Sisley o
di Pissarro. In secondo luogo hanno in
comune gli aspetti fantastici, irreali della
realtà naturale, sicché questa può apparire
agli occhi dello spettatore, ai nostri occhi,
come una natura interamente ricreata,
non su concetti ma su rapide, intense, a
volte struggenti e sempre fragili assunzioni
della sua certezza e della sua concretezza
fisica. Ma anche del suo non meno certo e
concreto mistero. Realtà e mistero, natura
e mistero, sembrano parole inconciliabili
eppure si incontrano e si fondono proprio
nella pittura di Filippo de Pisis.»
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1930/68.
Opera proveniente dalla raccolta di Corrado Carapelli al quale il Comitato organizzatore della mostra di de Pisis alla
Strozzina di Firenze, 1952, cit., si rivolse
per ottenere il prestito di tutti i de Pisis
della sua collezione (n. 4, nel documento
qui riprodotto; notizie sulla mostra nella
nostra prefazione).
Di primo impulso l’immagine – tornito
metallo nel secchio, macerati e spenti colori nei fiori – ci dà richiami importanti
per de Pisis: Guardi, Manet. Ma l’artista
ferrarese ha nel suo bagaglio sempre le sorprese cromatiche del Cossa, del Tura, che
intridono il languore verlainiano e i rintocchi sonori manetiani.
La tela era presente alla mostra di Acqui
Terme 1978, cit., curata da Luigi Carluccio. Il critico torinese nell’introduzione:
«Un altro amore schietto era Fragonard,
oltre gli impressionisti, s’intende, e tra
questi in particolare Manet. D’altra parte
la possibilità di guardarsi intorno su un vasto orizzonte e cogliere una quantità quasi
incredibile di suggestioni è comune a tutti
gli artisti del nostro tempo. Restringendo
il campo al caso de Pisis è evidente che si
deve riconoscere che sono esatti gli orientamenti sui quali si è più insistito: la pittura
metafisica, per esempio, della quale si può
120
Elenco dei «Quadri di de Pisis prestati dalla Coll. Corrado
Carapelli» per la mostra personale alla Galleria La Strozzina,
Palazzo Strozzi, Firenze, 29 febbraio-marzo 1952.
Al n. 4 Fiori in un secchio. Cadore.
121
37
Natura morta nello studio (Natura
morta marina), 1931.
Olio su tela, cm 69x99,8.
Al centro: de Pisis / 31.
Al verso: sul telaio cartiglio «Proprietà /
Rosetta Varenna Gussoni»; due etichette
Galleria Milano, Milano, una con data
1.7.931 e n. 1566, e una con data Febbraio 1932 e n. 2928; etichetta «De Pisis / Gli
anni di Parigi / 1925-1939 / Galleria dello Scudo / Verona, 13 dicembre 1987-31
gennaio 1988 / Galleria dell’Oca / Roma,
5 febbraio 1988-19 marzo 1988»; timbro
«Studio d’Arte / Prof. Dino Tega / Milano», con n. 182A; etichetta Galleria dello
Scudo, Verona, con titolo «Natura morta
marina» .
Dichiarazione su fotografia di Demetrio
Bonuglia, Roma, 10.1.1984.
Esposizioni
De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura
di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 89 e particolare in copertina
De Pisis. Gli anni di Parigi 1925-1939, a
cura di G. Briganti, testi di vari, Galleria
dello Scudo, Verona, 13 dicembre 198731 gennaio 1988; poi Galleria dell’Oca,
Roma, 5 febbraio-19 marzo 1988, riprodotto in cat. p. 147, n. 38 (Natura morta
marina con cocomero).
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1931/26.
Paesaggio nel paesaggio: doppia finzione
della realtà. Fantasia che si sovrappone al
reale. L’immagine accumula livelli diversi
di visione con coerente linguaggio cromatico, raffrontato sul vero. Il primo piano
acceso dalle frutta, cui sovrasta il quadro
dipinto legato con altri fogli alla cartella
che ha funzione di quinta, quasi mascheramento e sovrapposizione a un paesaggio
noto che diventa misterioso per essere nascosto da un altro noto paesaggio. Dietro,
quindi, s’intuisce il puro limitare del mare.
Ai lati sfocia questo panorama altro: con
due colonne intense di azzurro sostiene la
composizione che da uno stato mentale di
contemplatività assume, come in un percorso teatrico, la complessa struttura che
potremmo chiamare surreale. Giocano le
memorie della metafisica ferrarese, il nutri-
122
mento della natura consultata come campione dell’universo psichico, la consuetudine letteraria che suggerisce al pittore
tempi e concatenazioni di spazi plurimi.
Scheda di Daniela De Angelis nel catalogo 1987, cit.: «In questo quadro de Pisis
sovrappone tre livelli d’immagini: la natura morta in primo piano, la riproduzione del quadro con paesaggio, posto sul
lato di una cartella per disegni, la marina
sullo sfondo. La natura morta di frutta è
impostata con la consueta immediatezza
sul contrasto tra il verde delle mele e della buccia del cocomero e la polpa rossa di
questo. Il quadro posto nel quadro illumina ancora di più questa tela brillante, con
il verde dell’albero e il sole che irradia luce
dorata. L’orizzonte sulla marina è definito
in tenero rosa, stemperato in un cielo azzurro carico, da sera imminente. Il mare
è un sottile nastro nero sul quale s’alzano
due voli. La maestria dell’autore è esaltata in questo quadro, che al pari di altre
tele eseguite in quello stesso 1931 (come
la Natura morta marina con pesci, lettera e
rosa, e il Paravento) riunisce molti dei motivi a lui cari, dimostrando il suo interesse
per l’inganno, per il motivo del quadro nel
quadro. Come è riportato in Mio sodalizio con de Pisis [1954], scriveva l’artista a
Comisso il 2 maggio 1931 da Parigi: “Ho
il piacere [...] di dirti che ormai Parigi
si interessa a me. I migliori mercanti mi
domandano cose e le vendite si succedono [...]. In questa settimana (incredibile)
ho venduto un quadro quasi ogni giorno.
È un buon momento, lavoro con gioia e
cerco di migliorarmi in tutto”. In effetti la
perfetta padronanza dei mezzi spinge de
Pisis a un virtuosismo che diverrà costante
negli anni seguenti, già anticipato in questa tela del ’31.»
123
38
Pastorale, 1931.
Olio su tela, cm 45x81.
In basso a destra: Pisis [31 poco leggibile].
Al verso: sul telaio scritta «Pastorale 1931»;
scritta «Gussoni, Milano»; etichetta Galleria del Naviglio, Milano, con titolo «Pastorale 1931»; timbro Galleria del Naviglio,
Milano, con n. 1597; etichetta «Provincia
Regionale di Siracusa / Mostra Genius /
Cripta del Collegio, Siracusa, 18 settembre-30 ottobre 1997».
Esposizioni
De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di
L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 90
De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di
D. Tega, Galleria Tega, Milano, ottobrenovembre 1987, riprodotto in cat. n. 17
(Natura morta)
De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13
giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat.
p. 128
Genius. Primato degli artisti italiani del Novecento, a cura di F. Gallo, Cripta del Collegio, Siracusa, 18 settembre-30 ottobre
1997, riprodotto in cat. p. 74, n. 26
Filippo de Pisis, a cura di G. Granzotto, Galleria Dante Vecchiato, Padova, 6 maggio-19
giugno 1999, riprodotto in cat. p. 63
Filippo De Pisis. Dipinti 1916-1951, Salone delle Bifore, Palazzo Sclafani, Palermo,
2000, riprodotto in cat. p. 52, n. 19 Filippo de Pisis. L’uomo e la natura, a cura
di L.M. Barbero, organizzazione Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Chiesa
di San Vincenzo, Modena, 1° dicembre
2001-24 febbraio 2002, riprodotto in cat.
p. 67, n. 9 e particolare p. 66
Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in Italia
1919-1945 dalle collezioni private, a cura
di M. Goldin, Galleria Comunale d’Arte,
Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 21 aprile-30
giugno 2002, riprodotto in cat. p. 186
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, in cat. pp. 23-24,
riprodotto p. 36 e p. 165, n. 50.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1931/96
CatalogoDe Pisis a Ferrara. Opere nelle collezioni del Museo d’Arte Moderna e
Contemporanea Filippo de Pisis. Catalogo
124
generale completamente illustrato, direttore
della mostra A. Buzzoni, coordinamento
scientifico B. Guidi, Palazzo dei Diamanti,
Ferrara, 12 marzo-4 giugno 2006, riprodotto p. 28, n. 10.
Pier Giovanni Castagnoli nel testo «Apertura su de Pisis» nel catalogo 2005, cit.,
pp. 23-24: «Nell’ordine delle invenzioni
ardite, delle alchimie dell’immaginazione risalta, in questo stesso anno, un’altra
Natura morta (tav. 50), in cui un ritaglio
di prato con due mucche poggia al suolo come un tappeto in procinto di alzarsi
e di volare, sovrastato da un ripiano che
assomiglia a una vecchia imposta librata
nell’aria; è un dipinto dall’aria surreale, a
cui potrebbe bene adattarsi la dichiarazione in cui il pittore riconosce le tangenze
esistenti tra la propria visione e la poetica
dell’inconscio, del meraviglioso, del sogno, quando scrive, nel 1938: “I surrealisti ignoravano o fingevano di ignorare un
aspetto della mia pittura che pure ha molti
contatti con la loro estetica, solo la tecnica
se ne discosta”. De Pisis sembra qui riferirsi a quella fusione, tanto frequente nella
sua pittura, tra verità e immaginazione, tra
reale e irreale, che destabilizza le certezze
percettive, spiazza le abitudini visive, suscitando stupore e meraviglia come chiavi
per aprire l’accesso alla poesia, come strumento per predisporne l’ascolto.»
Nel medesimo catalogo Corrado Levi,
«Effimere su de Pisis», riproduce il quadro
con didascalia: «Sezione La fantasia. Ci
dice dei confini estremi della mente dove
l’infinito fantastico come un buco nero o
bianco ci trascina».
125
39
Canale a Venezia, 1931.
Olio su tela, cm 68x43.
In basso a sinistra: de Pisis 31.
Al verso: sul telaio etichetta XXIII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia, 1942.
Esposizioni
De Pisis, a cura di C. Gian Ferrari, coordinamento F. Farina, Palazzo Bellini, Comacchio, 12 luglio-22 settembre 1986,
riprodotto in cat. p. 60, n. 36
Un secolo di Arte Italiana. Lo sguardo del
Collezionista. Opere dalla Fondazione
V.A.F., Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, Rovereto, 2
luglio-20 novembre 2005, riprodotto in
cat. p. 120.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1931/38.
Alla XXIII Biennale di Venezia, 1942, de
Pisis ebbe una sala personale con 18 opere, ma nell’elenco non compare il titolo di
questo dipinto. Spesso accadeva che all’ultimo venissero cambiati o aggiunti dei quadri, quando il catalogo era già stampato.
Nel 1931 de Pisis, che dal 1925 risiede a
Parigi, passando di solito le vacanze in Italia, trascorre il mese di settembre a Venezia
e lavora nello studio di Juti Ravenna; è solito dipingere all’aperto e scrive agli amici di
come sia sempre circondato dalla curiosità
del pubblico. Può essere riferito a questo
periodo un ricordo del critico Ugo Nebbia (in De Pisis, Chiantore, Torino, 1943;
ristampato in plaquette da Luigi Maestri,
Milano, s.d., Ugo Nebbia e de Pisis, parentesi per una confessione): «Un giorno, non
visto, l’ho seguito mentre lavorava […], la
mira era dall’alto, da una finestra dall’altra
parte del rio dell’Osmarin. Siamo dunque
a Venezia […]. Credo nel periodo in cui ci
dava, tra l’altro, quell’autentico capolavoro
che è la Facciata di S. Moisè. Mattinata di
settembre carica di presagi temporaleschi
[…]. Scorgo la sua figura badiale, accentuata da certe brache alla zuava, col basco
sul cucuzzolo, ferma ad un angolo, sullo
sfondo d’una facciata sanguigna che guizza
capovolta nel canale. La tela è ancora immacolata, né capisco donde nasca il primo
spunto per violarla, quando vi fa sopra con
qualche fregio scuro certi segni cabalistici.
Credo scruti piuttosto laggiù, dove il buio
d’una calle sfonda i piani di certe case tutta
126
luce. Sembra però già sicuro di quello che
vuole e tutt’altro che invasato. Al rito assiste il suo valletto accoccolato in un angolo
con le salmerie pittoriche […] stropiccia
già qualcosa, saltellando qua e là come per
organizzare un tentativo pittorico. Pentito, vuol disfare e cancellare: ma una strofinatura che invade in alto il candore della
tela, pare che gli dia lo spunto. Vi strizza
accanto qualcosa direttamente dal tubetto
poi la fa dilagare. Il chierico si scuote ad
un richiamo, ma pare gli risponda che non
c’è più quello che cerca. Dev’essere stato
qualcosa di non indispensabile, visto che
va avanti lo stesso, impegnandosi oramai
più deciso tra la tavolozza e la tela con
una certa urgenza. Più che dipingere sembra però che graffi e strappi, seguitando a
buttar sempre via quanto ha fatto, per poi
rifare e correggere. Più che scrivere ciò che
vede o sente, pare che gli bastino le virgole ed i punti. Probabilmente le frasi del
suo racconto stenografico stanno lo stesso
sorgendo dalle cancellature che tessono la
più stramba rete. Qualche strofinatura più
energica tenta rischiarare qua e là l’intrico,
rimettendo in luce lo sfondo, dove mi pare
lavorino più i manici che le punte dei pennelli. C’è sempre però qualcosa che non va
lo stesso, visto come seguita a buttar via
[…]. Il pennello ora batte e guizza sempre
più fitto, mentre lui s’avvicina strizzando
gli occhi ed acutizzando sempre più curiosamente la sua larga maschera intelligente
[…] qualche strappo violento e qualche
sfregatura più bruciante e rovinosa fanno
capire che il rito dev’essere al momento critico. Tutto sembra buttato all’aria, mentre
dal breve torbido di quel caos sprizza senza
dubbio qualche luce di tela appena strofinata […] sta per un pezzo a riguardarsi la
sua tela appena chiazzata e virgolata, che
seguita a spostare per terra. Balena ancora
qualche tentativo di raggrumare ed impaludare linee e colori: ma dura poco, poiché
il sacrificio appare ormai compiuto.»
Dal racconto di Nebbia possiamo quasi
seguire il farsi di pitture come questa; ma
i percorsi intimi e le assonanze che danno vita alle immagini depisisiane sono del
tutto intrinseche alle sue facoltà ineffabili
di interprete che riesce a nutrire il sotterraneo frangersi della luce sulle forme, il fiorire dei colori sulle superfici componendo
ordine e disordine con una regia musicale
che proprio a Venezia, nella comunione di
luogo fisico e luogo mentale, raggiunge i
vertici espressivi.
Venezia è cuore e pelle di de Pisis; l’arti-
sta riesce a restituirle incanto e magia, freschezza di sorprese luminose, accordi di
materie umorose. Intonaci alleggeriti dai
riflessi, case guarnite di alberelli, brusio
d’acqua e di gente che sono sostanza stessa
della rapsodia veneziana. Quel tanto di antico, di usato, di logoro; quel tanto di raro,
di sempre rinnovato dai lumi del giorno e
della notte; quel tanto di amoroso gioco
tra le forme delle costruzioni che vibrano alla spinta della marea: questo è pure
il senso profondo della personalità di de
Pisis, la sua giovinezza che si rinnova ogni
volta offrendo alla visione il suo candore e
la sua pregiata sensibilità.
127
40
Fiori (1931).
Olio su cartone, cm 54x45.
Al verso: etichetta proprietà Carletto Gussoni; etichetta Galleria Milano, datata
«febbraio 1932», con n. 1221; etichetta
Galleria Milano datata «1.7.931», con n.
1299; etichetta Collezione Lizzola, con n.
54 e timbri; una scritta «questo dipinto di
Filippo de Pisis Fiori olio su cartone cent.
47x55 risulta nell’elenco raccolta On. Gussoni col n° 1299. In fede Gussoni, Milano
27 maggio 1962».
Esposizioni
Filippo de Pisis, a cura di G. Granzotto,
Galleria Dante Vecchiato, Padova, 6 maggio-19 giugno 1999, riprodotto in cat.
p. 59 (1926-1931)
Filippo de Pisis. L’uomo e la natura, a cura
di L.M. Barbero, organizzazione Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Chiesa
di San Vincenzo, Modena, 1° dicembre
2001-24 febbraio 2002, riprodotto in cat.
p. 60, n. 6.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1931/47
Catalogo Filippo de Pisis. Dipinti 19161951, a cura di G. Bordonaro, consulenza F. Gallo e G. Granzotto, Salone delle
Bifore, Palazzo Sclafani, Palermo, 12 febbraio-12 marzo 2000, riprodotto p. 31
(1926).
Luciano Caramel nel testo «La pittura
come autoritratto», per il catalogo Filippo de Pisis. La poesia nei fiori e nelle cose,
Liceo Saracco, Acqui Terme, 16 luglio-10
settembre 2000, pp. 19-20: «i frammenti,
e i tocchi, e i vuoti, e il coesistere di tensioni centrifughe e centripete, di segni grafici
nervosamente riassuntivi e di più uniformi
campiture, elevano […] l’immediatezza
della sensazione, l’istantaneità del rapporto percettivo e fisico a metro del generale,
dell’universale, dando corpo a una dilatazione che non insidia l’attestarsi sul fenomeno, sul singolo istante, sulla flagranza
esistenziale e naturale. Risultato di una
vena poetica sempre riconoscibile, ma non
schematizzabile, per il riaffiorare, come nei
corsi d’acqua carsici, di umori che parevano esser stati assorbiti, e che invece restano
vivi, seppur latenti, pronti a far valere la
loro presenza, in una complessità di voci
che sempre ripropone la ricchezza e la
varietà dell’ispirazione depisisiana, con la
128
sua sensualità e la sua riflessività, sul filo
vibrante della coesistenza di vitalità e di
coscienza dell’effimero, l’una e l’altra talora protagoniste, però in ogni caso presupponenti l’altro termine dialettico. Con
il trasparire, o imporsi, di accenti elegiaci
e talora persino di notazioni da epicedio,
sommesse o gridate, nell’incombere di
plumbei cieli minacciosi o di squillanti
cromie sanguigne o di neri profondi.»
129
41
Natura morta aerea, 1931.
Olio su tela, cm 116x89.
In basso a destra: de Pisis / 31.
Al verso: sul telaio etichetta abrasa «XX
Esposizione Biennale Internazionale d’Arte / Venezia 1936 XIV»; etichetta «Paul
Vallotton S.A., Lausanne (Suisse)», con
n. 5120; etichetta Palais des Beaux Arts,
Charleroi; etichetta «Petit Palais – Musée
– Genève / La belle Epoque de Montparnasse / du 1 juin au 31 octobre 1978».
Esposizioni
XX Esposizione Biennale Internazionale
d’arte, Venezia, 1936, sala XXVII, in cat.
n. 33.
Bibliografia
P. Fierens, Filippo de Pisis, Art italien moderne, Editions des Chroniques du Jour,
Paris-Ulrico Hoepli, Milano, 1937, riprodotto tav. 8
Il Frontespizio, Firenze, aprile 1938, numero dedicato a Filippo de Pisis, riprodotto nell’inserto per il pittore, p. III
«De Pisis [recensione alla monografia di
Raimondi, 1952]», seleArte, Firenze, maggio-giugno 1953, riprodotto p. 39
G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 66
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1931/78.
Alla Biennale di Venezia del 1936, cit., de
Pisis esponeva nove opere, fra cui questa
Natura morta aerea, poi riprodotta in tavola grande nella raffinata monografia di
Paul Fierens della collana Art italien moderne, curata da Gualtieri di San Lazzaro,
1937, cit.
Il critico francese così chiudeva il suo scritto: «La libertà – questa libertà alla quale
Filippo de Pisis è debitore della sua giovane gloria: libertà d’ispirazione e di conduzione – è una ricompensa e il coronamento di un duro sforzo. C’è qualcosa che
deve essere meritato. Il dono è gratuito,
ma solo la coltivazione del dono produce
l’opera d’arte, il capolavoro. Non resta che
augurare a chiunque faccia della pittura la
grande soddisfazione di arrivare un giorno
a dipingere, a dipingere come si vive, come
si respira, a dipingere come fa Filippo de
Pisis in un sentimento di concordanza ideale fra i movimenti del mondo esterno e
quelli del suo cervello, del suo cuore, della
sua mano» (traduzione).
Il dipinto compare anche a piena pagina
130
nel fascicolo della rivista, diretta da Piero
Bargellini, edita da Vallecchi, Firenze, Il
Frontespizio, aprile 1938, che è di omaggio all’artista. Disegni, acquarelli, dipinti
ornano le pagine; de Pisis firma lo scritto
«Aria di casa» e due poesie, «Primavera velata» e «Luna di giorno». Nell’inserto centrale «Artisti italiani. Filippo de Pisis», un
sunto biografico che riportiamo all’inizio
di questo catalogo.
L’autore aveva certo particolare stima per
questa immagine inventata come un giorno del giudizio: la beccaccia appesa al centro del cielo livido. Silenzio e abbandono
nell’edificio, rudere maestoso nel quale
avvertiamo il senso di una civiltà estinta.
La statua resiste sul piedistallo, sta come a
osservare la scena inquietante.
131
42
Fiori, 1932.
Olio su tela, cm 62x50.
In basso a destra: de Pisis / Roma 32.
Al verso: timbro Galleria Zanini, Roma,
con n. 955; timbro Studio Tega, con n.
63A.
Esposizioni
De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura
di L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 93 (Vaso di fiori in interno).
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1932/45.
In un articolo di recensione alla personale che de Pisis tenne alla Galleria Milano
nel novembre 1932, Paolo Sighinolfi («De
Pisis a Milano», ritaglio datato «Milano,
novembre» [1932], quotidiano non identificato, probabilmente L’Impero, Roma)
considera opere di quel momento: «La
medesima vena [di alcune Nature morte
marine], fresca e sensuale, più libera e sfogata si può notare in altre tele esposte e di
recentissima produzione: i fiori che formano il soggetto di diverse composizioni, nella loro asciutta intonazione di verdognoli,
gialli, paglierini e rossi spenti […]. È in
questa fusione fra gli elementi del vero e
il sogno, dove la individualità dell’artista
si pone in armonia con l’universo. Ma il
mondo delle sensazioni di Filippo de Pisis
è ampio e vasto. […] è il gusto dell’intimo che de Pisis possiede in alto grado e
che egli adopera con squisita suggestione a
commentare con atmosfere tonali, ombrose e raccolte, attimi di silenzio, sospensioni
dell’essere, turbamenti raccolti nelle cose.
Il suo linguaggio pittorico è dunque quello di una estrema e squisita sensibilità che
passata al vaglio di una solida concettualità
si risolve in autentica poesia pittorica, nervosa, agile, elegante, tanto mobile e rapida
da racchiudere molte vibrazioni del nostro
tempo inquieto e tanto equilibrata da superarlo.»
132
133
43
Natura morta con l’aragosta, 1932.
Olio su tela, cm 73x54.
In basso a destra: de Pisis / 32.
Al verso: sul telaio etichetta Galleria Lorenzelli, Bergamo.
Esposizioni
De Pisis, a cura di G. Raimondi, Castello
Estense, Ferrara, giugno-luglio 1951, in
cat. p. 63, n. 79
Filippo de Pisis 1896-1956, a cura di G.
Briganti, Régine’s Gallery, Roma, aprilegiugno 1983, riprodotto in cat. n. 3 (Natura morta con aragosta e bottiglia)
De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13
giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat.
p. 145 (Natura morta con aragosta e bottiglia)
Arte nei secoli. Dall’umanesimo alla transavanguardia, sezione antica di F. Baldassari, sezione contemporanea di L. Cavallo,
collaborazione di O. Nicolini, Farsettiarte,
Cortina d’Ampezzo, Milano, Prato, 26 dicembre 1992-10 marzo 1993, riprodotto
in cat. n. 33
Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi
di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti,
Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre 2001-6
gennaio 2002; poi Farsettiarte, Milano, 6
febbraio-7 marzo 2002, riprodotto in cat.
n. 10 (Natura morta con Eros).
Bibliografia
G. Raimondi, Filippo de Pisis, Vallecchi,
Firenze, 1952, riprodotto tav. 49
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1932/51.
Catalogo Filippo de Pisis. La poesia nei fiori
e nelle cose, a cura di C. Gian Ferrari, testi
di C. Gian Ferrari e L. Caramel, Liceo Saracco, Acqui Terme, 16 luglio-10 settembre 2000, riprodotto p. 19 (Natura morta
con aragosta e bottiglia).
Oretta Nicolini, scheda per il catalogo
1992, cit.: «Questa natura morta del 1932
pare un compendio di temi e modi di de
Pisis, e non solo del periodo fra le due guerre; c’è quasi un’anticipazione di quanto
sarà la sua pittura ultima, le pagine rarefatte di Villa Fiorita. Nello spazio indefinito
di una parete o di un tavolo – o di entrambi riconoscendo il limite di un rettangolo in basso, chiaro su chiaro con margini
azzurri – appaiono oggetti privi fra loro
di legami, pure resi coerenti dall’interesse
134
che l’artista ha in loro riposto: due foglie e
un fiore bianco di sambuco, un crostaceo
bianco rosato, il vetro trasparente di una
bottiglia lunga e sottile e un reperto antiquario, la riproduzione di un giovane dio
alato, nudo come i modelli che il pittore
ritraeva nel suo studio. La pittura, larga,
non insegue il dettaglio, eppure riesce a
cogliere di ogni oggetto l’intima verità.
Così il bianco luminoso dei piccoli fiori
traduce la freschezza del rametto appena
colto; bianca e rosata di conchiglia la corazza dello scampo; tocchi di biacca danno
volume alle foglie e trasparenza vetrosa alla
bottiglia di liquore. Un’invasione di luce
che toglie rilievo all’ambiente e fa galleggiare gli oggetti come evocati dal fondo
marino, dalle profondità della memoria o
del sogno. De Pisis qui dipinge con l’aria,
la sua mano è leggera fra le cose che conosce e ama, felice, si vorrebbe dire, se non
fosse una tensione sottile, non detta, a correre come un brivido sulla pagina dipinta:
come se il pittore appuntasse le forme prima della sparizione, appunti sommari dai
quali ricostruire almeno il senso delle cose
se non la loro precisa fisonomia. Appunti
delle sue stanze, della sua vita. Indizi frammentati di una vita dilapidata all’inseguimento di sensazioni fuggenti, e pure puntigliosamente annotata giorno per giorno
come in un diario colorato. De Pisis racconta per accenni, non ha tempo di fermarsi a spiegare cosa sia la vita, a elaborare
teorie; la vita lo incalza e lo consuma, nel
suo cammino ondeggiante e tumultuoso
lascia dietro di sé schegge di poesia.»
Maurizio Fagiolo dell’Arco nel catalogo
2001, cit., modifica il titolo, Natura morta
con Eros: «Il quadro è stato esposto nella
mostra antologica di Ferrara (1951); pubblicato nella monografia di Giuseppe Raimondi (1952) quando apparteneva alla
collezione di Filippo Anfuso. Nel formato
“20 points Paysage”, su uno sfondo immateriale, prendono vita uno scampo mediterraneo, un rametto di viburno, due foglioline, una bottiglia allungata, la stampa
accartocciata di un amorino ellenico che
prepara l’arco. Nello spazio privo d’aria, le
timide presenze naturali o storiche stanno
apparendo sotto i nostri occhi, ma suggeriscono allo stesso tempo l’impressione di
scomparire, in una dissolvenza incrociata. E tutto avviene sotto la protezione di
Eros.»
135
44
Natura morta aerea, 1933.
Olio su tela, cm 73x92.
In basso a destra, sul foglio: Paris / Janvair
[sic] / 33.
In alto a sinistra, sul biglietto appoggiato
alla tavola: de Pisis [di cattiva lettura] / de
Pisis.
Esposizioni
Filippo de Pisis, a cura di G. Granzotto, Galleria Dante Vecchiato, Padova, 6 maggio-19
giugno 1999, riprodotto in cat. p. 67
Filippo de Pisis, a cura di G. Biasutti, testo
di P.P. Benedetto, Galleria Biasutti & Biasutti, Torino, 20 novembre 2001-19 gennaio 2002, riprodotto in cat. n. 10.
Bibliografia
F. de Pisis, «Natura morta aerea. Commento inutile», Colonna, Milano, febbraio
1934, riprodotto p. 21
De Pisis. Catalogo generale, 1991, tomo I,
n. 1933/36.
Sulla rivista diretta dall’amico Alberto Savinio, Colonna, 1934, cit., il pittore dette
lettura della composizione, nata da suscitazioni sonore che si combinano con vibrazioni cromatiche, luminose e un’onda
di profumi.
Testo di Filippo de Pisis «Natura morta aerea. Commento inutile», pubblicato sulla rivista Colonna, Milano, febbraio 1934, diretta da Alberto
Savinio.
136
137
45
Fiori, 1933.
Olio su tela, cm 70x50.
In basso a destra: de Pisis 33.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1933/6.
Inquadrate da un grande telaio, in un vaso
azzurro trasparente, con accanto dei libri,
le chiome colorate e profumate dei fiori
alimentano il largo respiro, il piacere lirico
che de Pisis riesce a suscitare come una scia
di luce nella sua opera.
A gennaio 1933 una personale a Firenze, Palazzo Ferroni, è recensita da Piero
Domenichelli, «Pittori nostri. Filippo de
Pisis» (citiamo da un ritaglio di un quotidiano fiorentino, 7 gennaio 1933; poi in
Il Lavoro fascista,Roma, 11 gennaio 1933):
«De Pisis […] è un pittore fine ed aristocratico, un colorista sottile, gioioso, plastico, movimentatissimo. Come pochi altri
conferisce alle pitture il suo temperamento
nella maniera più intima, costante, persistente, personale. […] il suo sentimento
interpretativo è tanto visibile e ripetuto
negli impasti e nel tessuto della sua tecnica da diventare stile se non creazione. E
sono impasti leggeri, sapienti, trasparenti;
tessuti minuti, luminosi quasi aerei. Elegantissimo pittore, fluido e lucente con
disposizioni coloristiche e plastiche semplicemente sorprendenti, con felicità non
meno meravigliosa di scegliere i soggetti,
vi mette dinanzi ai pezzi della natura o della vita naturalistica delle piante, dei fiori,
degli animali, delle stagioni, come a cose
rifatte dal sentimento suo […]. Cosicché i
fiori, i frutti di de Pisis gli uccelli e i pesci e
magari le prospettive di un giardino, di un
palazzo o di una via, sono della realtà, sì,
ma con una idealizzazione di colore passata
per il filtro sentimentale, di questo pittore virtuoso di signorile gusto inesauribile.
[…] niente stilizzazioni qui e tanto meno
intellettualismi. Non c’è ricerca o sforzo, e
se mai affinamento e l’intelligenza è quella che Filippo de Pisis, di così meritata e
larga fama e di sì vive simpatie presta col
suo gusto pittorico ai fiori e alle piante,
alle erbe, alle piume degli uccelli, alle creature umili e innocenti che egli anima più
che spiritualizzare, in sfondo cromatici di
luminosità e lucentezze che felicemente si
ripetono. Così che sono sempre presenti i
grigi chiari, argentei, i bianchi e i rosa; ed è
su questi sfondi che de Pisis intesse, in una
138
specie di trasposizione di tavolozza ingenua e sapiente insieme, la magia palpitante
delle sue intime nature.»
139
46
Il Ponte di Tiberio a Rimini, 1933.
Olio su tela, cm 65x97.
In basso a destra: de Pisis 33.
Esposizioni
XIX Esposizione Biennale Internazionale
d’arte, Venezia, 1934, sala XIV, n. 5 (Dal
Ponte di Tiberio)
Personale di de Pisis, presentazione di S.
Giannelli, Sala d’arte Le ruote presso il
Giornale del Mattino, Firenze, 9-24 febbraio 1955, riprodotto in cat. n. 9 (Dal
Ponte di Tiberio a Rimini)
Biennale Internazionale d’arte. 20° Premio
del Fiorino, Unione Fiorentina, Palazzo Strozzi, Firenze, 8 maggio-20 giugno
1971, in cat. p. 87, n. 6 (Dal Ponte di Tiberio a Rimini)
Filippo de Pisis, a cura di L. Cavallo, Galleria Menghelli, Firenze, 6-31 ottobre 1972,
riprodotto in cat. (Dal ponte di Tiberio a
Rimini)
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. tav. LIII
Filippo de Pisis. Venti opere vent’anni dopo,
testo di E. Natali, Galleria Falsetti, Focette, 3-29 luglio 1976, riprodotto in cat. tav.
11
Omaggio a de Pisis pittore e scrittore, testi
di G. Marchiori, S. Zanotto, G. Comisso,
R. Pallucchini, A. Pais, «Lettere, poesie e
scritti di Filippo de Pisis», Galleria Falsetti,
Cortina d’Ampezzo, 29 agosto-14 settembre 1976, riprodotto in cat. tav. XVIII.
Bibliografia
P. Bargellini, L’arte del Novecento, Vallecchi, Firenze, 1970, riprodotto tav. 76 (Dal
Ponte di Tiberio a Rimini)
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1933/19.
Nell’ambito del 20° Premio del Fiorino,
1971, cit., che celebrava i vincitori delle
passate edizioni, Raffaele Monti, curatore
della mostra di 11 opere di de Pisis (premiato nel 1953), scelte fra i «capolavori»,
scrive, pp. 85-86: «il passar del tempo glorifica sempre di più la mano di un pittore
che, per chi voglia o sappia intendere, è
uno dei fenomeni vitalistici più impressionanti e complessi in cui sia dato imbattersi
[…]. Non la poetica del vedere ma il vedere
stesso; lo sguardo che rivela il mondo nella sua sostanza sensitiva. E non vitalismo
140
irrazionale, occhio pànico incontrollato,
meccanica restitutiva del colore; in tutte
le opere più alte l’occhio diviene tramite
d’anima e di coscienza.»
In questo scorcio riminese, un poco misterioso, che non richiama certo i fornici
monumentali del Ponte di Tiberio, possiamo ripetere che «l’occhio diviene tramite d’anima e di coscienza». La fusione
d’acqua terra e cielo, i vapori che uniscono, con sommesso colore il panorama raccolto, sono anima infusa nella visione, da
cui, con gravità e meditata sospensione di
forme si calibra una coscienza del luogo, o
meglio, quanto dal luogo si alza come percezione di una coltivata umanità.
141
47
Paesaggio nel Gers (1935).
Olio su tela applicata su cartone,
cm 33x54.
In basso a destra: Gers / de Pisis.
Esposizioni
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. tav. LIX (Paesaggio di
collina)
Aria d’Europa. De Chirico de Pisis, a cura di
L. Cavallo, collaborazione di O. Nicolini,
Galleria Farsetti, Milano, Focette, Cortina d’Ampezzo, Prato, giugno-settembre
1987, riprodotto in cat. p. 79, tav. X (Paesaggio a Gers)
«Le joli secret» di de Pisis. Venti opere, Galleria Farsetti, Milano, 11 giugno-4 luglio
1991
Il paesaggio. Opere dal XV al XX secolo, Farsettiarte, Cortina d’Ampezzo, 22 febbraio-9 marzo 1997, riprodotto sull’invito
Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo
dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre
2001-6 gennaio 2002; poi Farsettiarte,
Milano, 6 febbraio-7 marzo 2002, riprodotto in cat. n. 15.
Riguardo il soggiorno di de Pisis in Guascogna, dove eseguì considerevole numero di opere, il fratello Pietro (in De Pisis, Milano, 1957, pp. 64-66) ha scritto:
«Prima della guerra avevo acquistato in
Guascogna, precisamente nel Gers, una
ferme con relativo château Luigi XVI; era
ammobiliato, ma da tempo non vi abitava
più nessuno, tranne la famiglia di contadini che ne occupava metà. Quasi per burla
gli avevo proposto di andarvi a trascorrere
l’estate. Sul momento non parve entusiasta dell’idea; però alla fine di luglio – eravamo nel ’34 – mi scrisse che vi si trovava
già e stava benone, tanto più perché poteva dipingere bellissime cose [ ... ]. La vita
all’aperto gli ricordava i tempi della nostra
infanzia nella villetta di Porotto, e gli piaceva di poterli in qualche modo rivivere.
Aveva ripreso le gite in bicicletta, a raccogliere fiori, a pescar rane […]. Tornò varie
estati in quel castello sperduto nel Gers.»
Nell’estate 1935 una lettera a Cornisso
da Château d’Argenteins (in Corriere della Sera, Milano, 9 aprile 1978): «Vedessi
che bei pezzi di pittura ho fatto in questi
142
ultimi tempi, ma se vogliono i quadroni,
faremo i quadroni.»
Maurizio Fagiolo dell’Arco, scheda per il
catalogo 2001, cit.: «Una tela (“l0 points
Marine”) dipinta in quelle lunghe estati
di Guascogna passate con gli amici che
amavano la pittura e i bei ragazzi: “Gers” è
appuntato stenograficamente in basso. La
tela è appartenuta a Gherardo Casini e poi
alla Galleria dell’Obelisco. Nella campagna guascone traspare Grizzana, nella pittura del Marchesino affiora quel tanto di
Cézanne che era stato ruminato da Giorgio Morandi.»
143
48
Il ponte del Louvre durante i lavori
di ampliamento, 1936.
Olio su tela, cm 79x58.
In basso a destra: de Pisis 36.
Al verso: sul telaio etichetta frammentaria
con scritta: «Town in Southern France,
1935»; etichetta «San Francisco Museum
of Art / Exhibition - painting in Post War
Italy», con n. 1677.59, titolo «Town in
Southern France», 1935; etichetta Galleria
dell’Oca, Roma, con n. 73/93.
Esposizioni
Italian Festival Exhibition, M.H. De Young
Memorial Museum, San Francisco, estate
1956
Painting in post-war Italy, San Francisco
Museum of Arts, San Francisco, primavera 1959
21 de Pisis, testo di G. Briganti, schede di D.
De Angelis, Galleria dell’Oca, Roma, dal 12
maggio 1992, riprodotto in cat. n. 16
Filippo de Pisis. Nel centenario della nascita.
La felicità del dipingere, a cura di L. Laureati e D. De Angelis, Galleria Pananti,
Firenze, febbraio-marzo 1996, riprodotto
in cat. n. 49.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1936/42.
La tela apparteneva allo scrittore Marino
Moretti, intimo di de Pisis.
Scheda di Daniela De Angelis nel catalogo 1992, cit.: «Compare in questo quadro
un’immagine particolarissima del ponte
del Louvre durante i lavori di ampliamento, un’istantanea pittorica d’incredibile
freschezza ed immediatezza relativa ad una
situazione provvisoria e quindi recante
quel tanto di allegria e precarietà propria
di ogni cambiamento di un arredo urbano
storicamente dato e percepito come immutabile. La sistemazione momentanea
è foriera di movimento ed agitazione, le
stesse caratteristiche che sembrano animare il bellissimo cielo cangiante dipinto da
de Pisis in tutte le sfumature che vanno dal
bianco al grigio, dal celeste al blu. Anche la
statua che sembra sovrintendere al via-vai
dei passanti pare osservare divertita tanto
brulichio ed il pittore la ritrae come un’apparizione benevola ed arguta.»
144
145
49
Fiori, 1936.
Olio su tela, cm 92x73.
In basso a destra: de Pisis / 36.
Al verso: cartiglio con dati dell’opera; etichetta «Regione Piemonte / Città di Cherasco / Provincia di Cuneo / Gli Italiani di
Parigi / da Modigliani a Campigli / Palazzo Salmatoris - Cherasco (Cn) / 13 ottobre
-9 dicembre 2007», con timbro Città di
Cherasco / Cuneo.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 01174.
Esposizioni
Gli Italiani di Parigi. Da Modigliani a
Campigli, a cura di C. Bertone, testi di
vari, Palazzo Salmatoris, Cherasco, 13 ottobre-9 dicembre 2007, riprodotto in cat.
p. 147.
Si può parlare di resa ottica della visione
frammentata per questo gruppo di fiori
che fa sbocciare primavera nell’interno.
Nei fiori de Pisis mette la sua sapienza botanica e il suo trasporto sentimentale: la
perizia e il cuore consegnati all’immagine.
146
147
50
La tempesta, 1937.
Olio su tavola, cm 67,5x50.
In basso a destra: 37 / de Pisis.
Esposizioni
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. tav. LXV
Filippo de Pisis. Venti opere vent’anni dopo,
testo di E. Natali, Galleria Falsetti, Focette,
3-29 luglio 1976, riprodotto in cat. n. 14
Omaggio a de Pisis pittore e scrittore, testi
di G. Marchiori, S. Zanotto, G. Comisso,
R. Pallucchini, A. Pais, «Lettere, poesie e
scritti di Filippo de Pisis», Galleria Falsetti,
Cortina d’Ampezzo, 29 agosto-14 settembre 1976, riprodotto in cat. tav. XXVII
Filippo de Pisis, testo di L. Carluccio, Palazzo Liceo Saracco, Acqui Terme, 5 agosto-10 settembre 1978, riprodotto in cat.
s.n.
Aria d’Europa. De Chirico de Pisis, a cura di
L. Cavallo, collaborazione di O. Nicolini,
Galleria Farsetti, Milano, Focette, Cortina d’Ampezzo, Prato, giugno-settembre
1987, riprodotto in cat. p. 80, tav. XI.
Bibliografia
S. Solmi, Filippo de Pisis, Arte moderna
italiana, Hoepli, Milano, III ediz. 1946,
riprodotto tav. XXIV
G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 349
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1937/20.
Pagina fra le elette di de Pisis, s’impone
per fulminante drammaticità. Elencate
con vago richiamo di simboli le cose che
sono poste come su un davanzale: il garofano con i petali verso la busta, una fronda
fiorita, il gheriglio di noce. L’artista fa percepire questo scorcio ravvicinando la sua
stessa presenza (i suoi occhi così addosso
al quadro). La tempesta, l’aria macchiata
da qualche volo, un accumularsi rapido di
pennellate su colori di pietra dura, con una
frequenza pittorica che convoca la materia
di El Greco e di Magnasco.
Sergio Solmi nella monografia del 1946,
cit.: «quanto nella pittura di de Pisis potrebbe, a un primo colpo d’occhio, apparire semplicemente piacevole o divertente, si
svela subito dopo come rilevato da un’ombra di estrema crudezza, quasi di sofferenza: si pensa a una specie di combustione
148
che lasci dietro di sé neri grossi segni imprecisi, tinte squarciate, macchie fumose;
si pensa al rovescio di questa ricca gioia
di dipingere e di riflettere apparenze, alla
cenere che piove dalla festa dei colori trascorso l’attimo del suo più intenso splendore: un piacere, insomma, “scorticato a
vivo”. Questa sottolineatura tragica, in
una pittura che potrebbe parere aerea e delicata come la polvere iridescente delle ali
di farfalla, è l’estrema punta dell’arte di de
Pisis. È, se vogliamo, la punta di scandalo
che, in ogni arte, destano sempre le nature fortemente ispirate, destinate a toccare,
insieme al fondo dell’espressione, il suo segreto spasimo. Ad altri il gusto della cosa
ben fatta, ben costruita, equilibrata. Ma anche questa apparente furia e lacerazione è
destinata ben presto a placarsi agli occhi
dello spettatore amoroso e attento.»
149
51
Natura morta con conchiglie
(1938).
Olio su tela, cm 45,5x55.
In basso a destra: de Pisis.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 03433.
La tela appartenne alla raccolta di Mario
Rimoldi, Cortina d’Ampezzo, uno dei
maggiori collezionisti e amico di de Pisis.
La costruzione fa perno sulla tornitura ceramica della conchiglia, ha una centralità
che viene espansa dalle barre arcuate nel
fondo e resta ambigua l’ambientazione,
con riflessi che sollevano il piano, l’apertura verso l’esterno complessa da vegetali,
una pianta rampicante sulla sinistra, riflessi di vetro, un’anta di finestra a destra, ma
giocata con margini e profili che lasciano
un che di misterioso all’insieme. I ricami
dei paliotti quattrocenteschi, i pannelli a
decorazioni fantastiche del Settecento, i
velluti con motivi fitomorfi del 1600, la
rarità cromatica dei piviali del Trecento:
l’artista aduna sensazioni rare, sembra
richiami lavori di antico artigianato per
stendere un letto di cultura, di arcani rintocchi al suo dipingere che ha conquistato
ormai larga platea critica.
Su una delle maggiori riviste d’arte fra le
due guerre, Emporium, edito dall’Istituto
Italiano d’arti grafiche, Bergamo, nel gennaio 1938, Giuseppe Marchiori dedica un
saggio a «Filippo de Pisis» disteso su otto
pagine con illustrazioni: «In un tempo di
reazione neoclassica, l’arte di de Pisis potrà
sembrare edonistica, raffinato riflesso di
una maniera antica, ripresa per contraddire, con eleganza e con grazia, a un’estetica
meramente scolastica. De Pisis oppone la
sensibilità fresca e diretta, la noncuranza
del mestiere, l’interesse continuamente
ravvivato per la natura morta, come rivelazione di un mondo intimo e pur pieno
di senso cosmico, alla falsità delle pesanti accademie, dei granitici luoghi comuni della noia illustrativa. È una polemica
indiretta, alla quale tuttavia de Pisis non
pensa affatto. Egli non viene a patti colla
sua verità: assolutamente sincero, la esprime, senza darsi la pena di vedere se essa
brilla luminosa in ogni faccetta. Impurità
non ne mancano. Ma de Pisis non s’è mai
sognato di nasconderle.»
150
151
52
La casa sola (Gers), 1938.
Olio su tela, cm 70x90,2.
In basso a destra: Gers de Pisis 38.
Al verso: etichetta Galleria del Girasole con
n. 1951; etichetta Galleria Torbandena con
n. 333.
Esposizioni
Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in Italia
1919-1945 dalle collezioni private, a cura
di M. Goldin, Galleria Comunale d’Arte,
Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 21 aprile-30
giugno 2002, riprodotto in cat. p. 182
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat.
n. 64.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo I, 1991,
n. 1938/10.
Ultima estate felice nel Château del Gers:
«mi à accolto quest’anno con sorrisi cordiali» scrive all’amico Marino Moretti,
il 22 luglio 1938 (S. Zanotto, F. de Pisis
ogni giorno, 1996, pp. 340-341), «vedessi
caro Marino che cielo sopra i vecchi tigli
esausti. Stamane una luna fatua, il canto
degli uccelli sperduti sulle piane verdi.
Che grazia nell’aria e tre rose stanche di un
dolcissimo rosa in un bicchiere davanti al
ritratto di “mamà”».
Ancora scrive al collezionista di Cortina,
Mario Rimoldi, il 2 agosto: «Anche qui
lavoro talora con delizia, ma anche con
non poca pena. Il paesaggio à un carattere
diverso dalle Marmarole “care al Vecellio”
(Carducci) ma pure interessante.»
Confida a un altro amico il 16 luglio «Vedessi come è bella la campagna in queste
chiare sere che ànno già la luce del settembre […]. Ho dipinto qualche tela bellissima».
152
153
154
155
De Pisis nella biblioteca della casa-studio di via Rugabella, Milano, 1941.
Foto di Luigi Comencini.
Al verso: autografo del pittore.
156
Frammenti di arcobaleno
Raffaele Carrieri
Una volta l’avete visto. Dico una sola volta. L’avete incontrato a Rimini con
un paio di calze cardinalizie. O alle 17,15 a Milano in Via Montenapoleone
con un mazzolino di violette. Lo avete incontrato a Vicenza o a Ferrara, sul
crepuscolo, con la grande corniola al dito. A Vicenza vi avrà parlato del Palladio con quel suo accento nasale di prelato garbato. A Rimini di farfalle. Lo
avrete certamente incontrato a Venezia su Riva degli Schiavoni come un eroe
di De Musset, vestito di velluto, con un colombo sulla spalla. Dimesso e fastoso, con capi di corredo introvabili: l’ombrello verde dei mercati romagnoli,
le sciarpette a doppia faccia, la tabacchiera a forma di stivaletto, e camicie di
colore tenue sottratte a un fallimento del Secondo Impero. .
Le sue tasche sono piene di farfalle, di fazzoletti arborei, di scarabei, di indirizzi sportivi. I nuotatori di provincia, il campione di lotta libera, l’adolescente podista trovano in lui un estimatore platonico, de Pisis è l’ultimo pittore
che si esprime in termini lirici quando parla di anatomia. Si aiuta con le sue
grosse mani che si muovono come colombi. Preciso e distratto, civettone, cerimonioso, indifferente, ha sempre un appuntamento urgente. L’Europa per
de Pisis è rappresentata da una serie di angoli e di Caffè celebri. La sera alle
10,30 sparisce. Dico sparisce non in senso figurativo. Nessuno ha mai saputo
gli arcani luoghi delle sue puntualissime fughe. Avrà certamente ammirato
la vostra cravatta: «Questo grigio e questo rosa fa Manet. Fa molto Manet».
Tutto gli ricorda la pittura e i pittori. Ovunque vada, con chiunque si trovi.
Parla dei suoi quadri con molta tenerezza. Ha ricordi che assai somigliano a
gorgheggi: pettirossi, pappagalli, ciuffi di nastri, fiori, funghi, pacchetti di
carta velina appena confezionati, oche impagliate, oggetti fuori moda di porcellana colorata. Gli altri hanno le idee. De Pisis ha la sua natura. Una natura
prensile, sottile, piena di rapide accensioni, vorace, elegante, perspicace, di
una freschezza assorbente e dilatante, ricca di umori vegetali e di suoni fecondi, qualche cosa di leggiadramente mostruoso. È un pittore di sensazioni.
Sensazioni di paesaggio. Sensazioni di figure. Sensazioni di nature morte. Una
vita formicolante di sensibilissimi attimi pittorici percepiti con una intensità
e fugacità meravigliose. De Pisis non ricorda niente e nessuno. Lo stile di de
Pisis è il centro del suo sistema nervoso. È la retina che cattura l’atomo e ce
lo rende tangibile nelle sue infinite trasformazioni. Usa tutti i mezzi, biacche,
lacche, il manico del pennello, la tela greggia, i grumi, il malloppo: e infine
sempre ci meraviglia. È come una musica di mandolini. È un virtuosismo
d’occhio e di mano. Traccia dei profili col flauto e li popola di non so quale
erborescenza minerale. Frammenti di arcobaleno, polveri armene, piaghette
di pietre preziose, il talco, la stagnola, i semi di una sconosciuta pianta di rose,
le penne, gli occhi dei boa e dei manicotti, erbe in pacchetti. Dipinge con gli
odori. Dipinge con la memoria e fa con mano prestidigitazioni naturali come
bouquets frutta volti conchiglie mari merletti.
«Filippo de Pisis», Tempo, Milano, 16-23 gennaio 1941.
157
De Pisis ritrae la moglie dello scultore Messina, Bianca, via Rugabella, Milano, 1941.
Foto di Luigi Comencini.
Nello studio della scultrice Genni Mucchi, che aveva studio in un altro stabile di
via Rugabella, 1942.
158
Visita alla casa milanese del pittore
Ettore Della Giovanna
De Pisis crea in tutti i momenti la sua vita, come crea le sue pitture, le sue
poesie. Come l’Enrico IV di Pirandello è entrato un giorno in un nuovo mondo, non so se per lenta trasformazione o per improvvisa illuminazione, e ha
cancellato il precedente, ha deciso di continuare nell’avventura dimenticando
e polarizzando i pensieri intorno alla sua arte e ai derivati sensitivi di essa. Ed
è diventato insensibile a tutto il resto. De Pisis riesce a ignorare ciò che non
lo riguarda da vicino, viene a conoscere i fatti del giorno con una settimana o
due di ritardo sull’avvenimento e li commenta con accenti di viva comprensione e con tono svagato indifferente. È un esteta che non pecca d’estetismo,
perché ha perduto il senso della realtà pratica: conosce e ama soltanto i fiori
e i paesaggi che alimentano i suoi quadri. La pittura lo ha reso famoso, il suo
parlare con tono jeratico, il suo gestire prelatizio, le sue cravatte violente, le
sue calze cardinalizie, lo hanno reso popolare.
Quando a Milano si è parsa la voce che Filippo de Pisis aveva lasciato l’albergo
per scegliersi una dimora fissa in una casa come tutti, a quella casa sono accorsi amici, conoscenti, sconosciuti: sono accorsi a vedere quella casa come si
sarebbero precipitati al circo equestre, alla bottega dei miracoli, al padiglione
delle meraviglie. E nessuno è rimasto deluso. Il patrizio de Pisis accoglie i visitatori noti e ignoti, ricchi e poveri, acquirenti e scrocconi, con la grazia della
Contessa Maffei e con la suprema indifferenza di Lord Brummel: è cortesissimo per educazione artistica e per retaggio atavico, onora l’ospite offrendogli
liquori rari, ma si occupa soltanto di se stesso: quando mostra le sue cose le
mostra per ammirarle egli stesso e non ascolta i commenti. La conversazione
si regge soltanto perché lui ama raccontare passando velocemente e con tanto garbo da un argomento all’altro, eludendo le risposte, ignorando l’ultima
domanda.
Nell’antico palazzo di via Rugabella, oltre un cortile a portici, oltre un andito
buio, fra due giardini incolti, a un piano terreno, c’è l’appartamento di de
Pisis: un’anticamera, un corridoietto, un cucinino per i ghiotti esperimenti
gastronomici del padrone di casa, e poi tre o quattro camerette colme di cose
rare. De Pisis, artistico re Mida, trasforma gli oggetti che tocca e che mostra
all’ospite: i quadretti comperati dai piccoli rigattieri diventano quadri famosi
e spesso il felice intuito della scelta coincide con un valore reale e riconosciuto
e con la scoperta di tele importanti, e le cianfruscole diventano pezzi di museo. Cianfruscole e aggeggi riuniti, ma non ammucchiati, con la più eclettica
fantasia: vasi, vasetti, rane sotto spirito con visceri iniettati di colore, macchine inutili di Munari, pelli di gattopardo, pipe di gesso, pipe con la testa di
Garibaldi, pipe tirolesi, cuccume, caffettiere, pennelli, tubi di colore, pistole,
cornici, reti da pesca intorno alle lampade, carte variopinte e frastagliate, specchietti, pentolini, statuette, scampoli di stoffe rare, mobili antichi, piume di
struzzo, conchiglie, maschere, e poi fiori fiori fiori, formano la casa nella quale
de Pisis vive fuori della realtà in un mondo di fiabe immaginose che riesce a
far credere anche agli altri. E su tutte queste cose domina l’ineffabile Cocò, il
159
pappagallo docile e impertinente che è l’unico amico di de Pisis, l’unico essere
vivente col quale de Pisis comunica veramente e che accetta in ogni momento
di lasciarsi trasformare dalla fantasia dell’uomo del poeta e del pittore.
«Filippo de Pisis in casa», Stile, Milano, gennaio 1942.
Cartolina di de Pisis a Giovanni Cavicchioli, da Pisa (seconda metà anni ’40).
160
A Pisa, petali sul selciato
Giuseppe Viviani
Non avrei mai pensato di conoscere de Pisis a Pisa. Parigi, Roma, Venezia o
Milano erano le città dove potevo incontrarlo; ma a Pisa, mi pareva incredibile!
Invece, per de Pisis, trovarsi a Pisa era la cosa più naturale di questo mondo;
camminava con passo nostrano, l’aria era sua e gesticolava colle mani prelatesche abbracciando con tenerezza i Lungarni, i ponti, i palazzi, col suo parlare
prelibato: così, quando bussò a un porta ed entrò, lo fece come se fosse a casa
sua. Spiegai questo più tardi, quando seppi che di Pisa portava qualcosa nel
sangue, perché i suoi avi erano pisani e il suo nome proveniva dal nome di
questa città.
Ricordo che, sul Lungarno, a un tratto, de Pisis si fermò con gioia a guardare
in terra; ai suoi piedi aveva scorto sul grigio del selciato una costellazione di
petali; di una rosa, di un rosa delicatissimo e ardente che il tramonto marino
accendeva come fiammelle in un piccolo alone fosforescente.
De Pisis sorrise: pareva un omaggio alla sua pittura! Quei petali, sul fondo
grigio, erano le sue pennellate materiate di luce. (De Pisis, quando dipinge,
non mette colore sulla tela, ma un pezzetto di quello che vede, come se con un
coltello strappasse un pezzo di carne, di stoffa; o di un fiore; di una conchiglia,
di una magica pasta). Fece un giro largo, per non calpestare quei petali, quel
gesto fu fatto con tanta gentilezza da mettere un brivido.
«A passeggio con de Pisis», La Rassegna, Pisa, maggio-agosto 1953.
161
53
Piazza Carlina a Torino (1939).
Olio su tela, cm 80,2x59,8.
In basso a destra: Pisis.
Bibliografia
G. Raimondi, Filippo de Pisis, Vallecchi,
Firenze, 1952, riprodotto tav. 88
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1939/35.
Di un passaggio a Torino nel 1939 (forse
quando in estate torna in Italia da Parigi?)
vi è documento nel dipinto Duomo di San
Giovanni a Torino, in raccolta privata (vedi
catalogo De Pisis, Galleria Civica d’Arte
moderna e contemporanea, Torino, 14
aprile-3 luglio 2005, n. 69) e in questa
Piazza Carlina, una delle più caratteristiche della città sabauda, rimasta ancora
oggi intatta.
Vediamo come gli interessi di de Pisis non
si siano modificati e possiamo confrontare
questa tela con quella del 1936, qui esposta, Il Ponte del Louvre durante i lavori di
ampliamento. La statua sul piedistallo, gli
edifici nel fondo, le figurette che si muovono sono in tutto simili, vibrante l’insieme che fa avvertire il volo dei colombi, la
fragranza delle piante. Nessuna separazione di stile, per ora, nell’opera che ha ammirevoli fluenze luminose.
Il quadro è riprodotto nella monografia
di Giuseppe Raimondi, 1952, cit., che
annota, p. 22: «De Pisis ritorna in Italia
nel ’39, alla vigilia della guerra. Grande
parte della sua vita di artista si conclude
con questo ritorno alla patria. Era, in quel
tempo, tanto di volontà e di forza nella sua
fibra. Furono, come tutti sappiamo, anni
felicissimi per lui, cioè per il suo lavoro.
Una felicità, che si sposa all’impazienza di
stringere coi mezzi espressivi la irruenza,
la velocità dei temi proposti dalla fantasia
sempre in apprensione. Si sposta di continuo, quasi a riattingere e meditare su di
una ferma nostalgia italiana, perduta nelle
vecchie città del nord e padane.»
162
163
54
Platani dell’Arena di Milano,
1939.
Olio su tela, cm 79,5x60.
In basso a destra: de Pisis 39.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1939/42.
Uno dei documenti significativi della rentrée in Italia di de Pisis. Si comprende con
che entusiasmo egli partecipi il ricongiungimento. L’ingresso dell’Arena, a Milano,
guarnito da grandi platani ormai spogli:
l’autunno inoltrato è colto con il gusto
di abbandonarsi al ritmo della natura che
trasforma anche l’atmosfera cittadina. Il
cielo rarefatto è quello dei Veneti, la stagione presa come in un Sisley, la maturità
tecnica trasfonde al paesaggio un’onda di
liricità del tutto intima, filtrata in un rapporto visione-sentimento che ha corde armoniche e melanconiche, sussurri di piccoli personaggi nella sfera appena ambrata
della città per lui nuova.
164
165
55
Fiori, 1939.
Olio su cartone applicato su tela,
cm 68,5x52,5.
In basso a destra: de Pisis 39.
Esposizioni
De Pisis a Venezia, testi di P. Rizzi e G. Perocco, Casinò municipale, Ca’ Vendramin
Calergi, Venezia, 8 dicembre 1968-6 gennaio 1969, non elencato in cat.
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. tav. LXXVI
Omaggio a de Pisis pittore e scrittore, testi
di G. Marchiori, S. Zanotto, G. Comisso,
R. Pallucchini, A. Pais, «Lettere, poesie e
scritti di Filippo de Pisis», Galleria Falsetti,
Cortina d’Ampezzo, 29 agosto-14 settembre 1976, riprodotto in cat. tav. XXXVII
Maestri moderni e contemporanei. Antologia scelta 2003, Tornabuoni Arte, Firenze,
dal 13 dicembre 2002, riprodotto in cat.
p. 111
Natura: da de Chirico a Renoir, da Pascali
a Boetti, 1910-1999, Chiesa Madonna del
Carmine, Palazzo Lanfranchi, Matera, 9
ottobre-21 novembre 2004, riprodotto in
cat. p. 27.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1939/53
M. Florentino, Arte Cucina Vino, Matteo
Editore, Dosson di Casier (Treviso), 2004,
riprodotto p. 112
Catalogo Asta, Farsettiarte, Prato, 29 novembre 2008, riprodotto in cat. n. 813,
scheda di C. Gian Ferrari.
Scheda di Claudia Gian Ferrari per il catalogo 2008, cit.: «è nel 1939 che de Pisis
trascorre a Parigi l’ultimo anno della sua
lunga permanenza, iniziata con il trasferimento del 1925 […]. Il periodo parigino
viene considerato come la stagione più intensa e matura della sua pittura, a contatto
con il panorama culturale internazionale,
nel quale il suo carattere di intellettuale
curioso e affamato di nuove esperienze,
trova il riscontro più stimolante, foriero
di una serie di assoluti capolavori, come
il rutilante mazzo di fiori di cui si parla.
Il rientro in Italia alle prime avvisaglie di
guerra, coincide con un momento di analisi e di ripensamenti sulla pittura, ma anche sulla crisi delle coscienze, e le sue opere
166
rifletteranno un incupimento nei toni cromatici e una composizione più dialettica e
sofferta […]. Fra le tematiche con le quali
si confronta il suo fare arte nella costante
ricerca dell’assoluto, il tema dei fiori, spesso recisi in vasi e inseriti in descrizioni di
interno, rappresenta un leit-motiv caratterizzante; una straordinaria teoria di colori
sgargianti, vere esplosioni di toni cromatici
e di forme rubate alla natura, che colgono
1’attimo fuggente della bellezza. Di ogni
fiore che coglie o acquista, di campagna o
di serra, per disporli in vasi preziosi o in
semplici calici di vetro, per farne il soggetto delle sue composizioni, de Pisis conosce
il nome, le caratteristiche botaniche, le abitudini. Li frequenta e ne gode con l’amore
e il riguardo, con l’attenzione e la considerazione tipici di chi della conoscenza ha
fatto strumento per trasmettere emozioni.
Il fiore è ornamento e allegoria, è aristocrazia e decadenza, è sensualità e disperazione per la sua caducità. Nella rigogliosa
descrizione del 1939, dove lo spessore del
colore quasi costruisce in rilievo la realtà
dei petali, le ombre nere, sottolineano per
contrasto un sentimento di labile felicità,
di provvisoria e fragile bellezza.»
167
56
Passeggiata romantica, 1939.
Olio su cartone applicato su tela,
cm 68,5x 52,5.
In basso al centro: de Pisis 39.
Esposizioni
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. LXXIV.
Il cartone non preparato, lasciato in vista,
favorisce l’elemento spaziale, l’impaginazione prende slancio in quella strada ideale sulla quale la coppia si avvia. Colore
moderato, tono su tono, la scelta dei grigi
e dei verdi bassi, il segno deciso, il bianco
calce che campeggia sembrano imparentare la composizione con taluni personaggi
di Lorenzo Viani, raccolti con semplicità
ed energia. Qualcosa di tenero – più che
romantico chapliniano – abita il quadro; il
ponte, che si riflette nell’acqua, fa pensare
a Parigi, un incantamento che de Pisis si
porterà dentro per sempre, sovrapponendo climi e ambienti, memorie e fantasie.
168
169
57
Natura morta, 1940.
Olio su tela, cm 60x85.
In basso a destra: Pisis 40.
Al verso: sul telaio etichetta Galleria Gissi,
Torino, «Mostra maestri contemporanei»,
con n. 7052; etichetta «Galleria Taras /
Ente provinciale del Turismo / Taranto /
Cinquanta Pittori Figurativi / 2-17 maggio
1959»; due timbri G. Zanini Arte Contemporanea; etichetta « Soprintendenza
alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna /
Mostra “Pittura Italiana Contemporanea”
/ giugno-ottobre 1958»; etichetta «Mostra
d’arte Italiana Contemporanea / a cura
dell’I.C.I.»
Dichiarazione su fotografia di Demetrio
Bonuglia.
Esposizioni
Cinquanta pittori figurative, prefazione di
R. Biasion, Galleria Taras dell’Ente provinciale per il Turismo, Taranto, 30 aprile-15 maggio 1959, riprodotto in cat.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1940/116.
Nel 1940 de Pisis abitava a Milano; usava
dipingere frutti, ortaggi, pesci che erano
poi il suo desinare. Si può dire che quelle
cibarie divorava con gli occhi prima di nutrirsene; anche questa abitudine aveva un
che di rituale, un aspetto provocante della
sua estetica militante.
Giorgio Vigni, su Emporium, Bergamo,
nel fascicolo di gennaio-marzo 1944, in
«Profilo di de Pisis», dava lettura di pagine come questa: «Difficilmente de Pisis
è sereno; mai, si può dire, se per serenità
s’intende uno stato di calma. Anche quando egli sembra più abbandonarsi alla pura
gioia del dipingere – fiori, frutti, oggetti,
paesaggi – gli elementi base della sua creazione, la luce e il colore, vibrano in modo
che una sospesa inquietudine si rapprende
su tutte le cose, perfino dove la distensione
è più piena […]; l’atmosfera stessa brulica
senza possibilità di riposo: la luce trascorre per tutto e sembra che faccia muover le
cose, perché trema e vibra continuamente
nella foga dei segni e dei colori frementi di
punti […]; punti luminosi brillano nelle
nature morte con una intensità affascinante […]; tutto sembra trasformarsi sotto gli
occhi per una intima vitalità prodigiosa.
[…] L’arte di de Pisis rimane l’espressione
170
istintiva della acuta sensibilità di un poeta, pittoricamente maturata da un segreto
lievito, nel quale, a titolo, di esperimento per scandagliarne la formazione, ben si
potrebbe gettare il ricordo di certa arguta mobilità di luce dell’arte settecentesca
veneziana e di certe forme del grande impressionismo francese dell’Ottocento; ma
senza la pretesa di dar fondo al segreto di
un’arte, che molto ha conosciuto e che i
doni dell’istinto sublima in combinazione
con una sottile intelligenza.»
171
58
Vaso di fiori con conchiglia, 1940.
Olio su tela, cm 80x60.
In basso a destra: Milano / Pisis / 40.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 02213.
L’ordine di de Pisis ha infinite variabili, accumulo di forme e, in simultaneità pittorica, dispersione, una condotta che accende
questo Vaso di fiori come fiammata nella
cenere, il colore basso del fondo grigliato,
una tavola che pare passerella verso l’apertura al cielo.
Sergio Solmi (Filippo de Pisis, Hoepli, Milano, II ediz. 1941): «I dipinti di de Pisis vanno covati, calmati, decantati nella
lunga contemplazione. A rivedere queste
ultime tele fra qualche anno, esse ci appariranno, come oggi ci appaiono i maggiori pezzi della sua passata pittura, fissate e
concluse nel cristallo d’una visione pacata,
dove se ne potranno individuare e seguire,
con meraviglia sempre nuova, le estreme
finezze. Come sempre nell’arte maggiore,
in cui la variata, molteplice compiutezza
dell’espressione appare tanto più miracolosamente evidente e necessaria, quanto
più perentoria, violenta, è la forza di passione ch’essa racchiude.»
172
173
59
Paese di Casalecchio (1940).
Olio su tela, cm 70,5x80,5.
In basso a destra: Casalecchio / Pisis.
Al verso: sulla tela etichetta Galleria del
Cavallino, Venezia; sul telaio timbro Galleria del Cavallino, Venezia, con n. 59.
Provenienza: G. Raimondi, Bologna.
Esposizioni
Filippo de Pisis. Artista d’Europa, contributi di O. Patani, F. Farsetti, M. Fagiolo
dell’Arco, L. Mari, Galleria Frediano Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre
2001-6 gennaio 2002; poi Farsettiarte,
Milano, 6 febbraio-7 marzo 2002, riprodotto in cat. n. 18.
Bibliografia
S. Solmi, Filippo de Pisis, Arte moderna
italiana n. 19, Hoepli, Milano, 1941, riprodotto tav. XXVII
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1940/63 (Casalecchio).
Nella scheda del Catalogo generale 1991,
cit.: «Questo paesaggio di de Pisis rappresenta, con tutta probabilità, un omaggio
a Giorgio Morandi e soprattutto al Morandi paesaggista. La tela faceva parte della
collezione di Giuseppe Raimondi, critico
eminente e grande esperto della pittura
dell’artista bolognese.»
Maurizio Fagiolo dell’Arco nel catalogo
2001, cit.: «La tela è entrata nella collezione di Giuseppe Raimondi (viene quasi
l’idea che sia stato lo scrittore a commissionare un quadro tanto morandiano); è
poi appartenuta alla Galleria del Cavallino
di Venezia, ed è stata recentemente riscoperta. Nel formato quasi quadrato, viene
descritta una campagna con il cielo quasi inesistente all’orizzonte. Il sito ripreso
è scritto in bella vista accanto alla firma:
non è distante quel luogo (così come la vibrazione pittorica) dalla Grizzana di Morandi.»
174
175
60
La grande foglia, 1940.
Olio su tela, cm 75x98.
In basso a destra: Milano / Pisis / 40.
gli uomini riuniti in società. Era per lui
come non esistessero, non contassero. Lo
incontrai a Milano in Galleria il giorno in
cui l’Italia entrò in guerra contro la Francia (il 10 giugno 1940). Al triste annuncio
che gli dovetti dare, a lui, mezzo parigino,
certo insopportabile (perciò mi limitai a
dirgli che l’Italia era entrata in guerra), de
Pisis mi chiese con l’aria più candida: “La
guerra… contro chi? I tedeschi?”»
Esposizioni
Mostra dell’opera pittorica e grafica di Filippo de Pisis, a cura di L. Magagnato, M.
Malabotta, S. Zanotto, Palazzo della Gran
Guardia, Verona, 12 luglio-21 settembre
1969, riprodotto in cat. p. 179, n. 192.
Bibliografia
Documento, Roma, marzo 1942, riprodotto un particolare p. 4
D. Bonuglia, «Filippo de Pisis», Il Veltro,
Città della Pieve, luglio-agosto 1961, riprodotto
Lettere di de Pisis 1924-1952, a cura di D.
Bonuglia, Lerici, Milano, 1966, riprodotto (Foglie nella tempesta)
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1940/97 (Foglia nella tempesta).
Ampia, ariosa, lirica e quasi struggente
ambientazione della «foglia frale»; vento
che porta via nell’autunno le decorazioni
arboree e i sogni…
Sulla rivista Documento 1942, cit., il particolare di sinistra è in piena pagina, a didascalia due versi del pittore: «Una foglia
si è mossa / Come un’ala». Non vi è titolo
nella riproduzione. Adottiamo quello della
mostra di Verona 1969, cit. Può capirsi che
il soggetto, datato 1940, sia leggibile come
foglia nella tempesta: l’artista con l’evidente turbolenza del cielo e il vento che spazza la pianura, intendeva far cenno, forse,
alla grande tempesta che si era abbattuta
sull’Europa. Ma non forziamo i significati.
Una testimonianza di Raffaele de Grada,
«A Palazzo dei Diamanti di Ferrara de Pisis è nel suo ambiente», Giorni, Milano,
1° agosto 1973, p. 83, dà chiarimenti sulla
scarsa e nulla sensibilità sociale del pittore:
«De Pisis […] sentiva l’arte come un mezzo, come la parola, un mezzo per esprimere la propria gioia di vivere, di sentirsi in
mezzo agli uomini, di conoscere i regali
irripetibili di cui la natura è così ricca con
chi veramente la sa capire e le vuol bene.
[…] era un avventuroso, un viaggiatore,
un uccello migratore. La Natura, dicevo,
e non certo la Società, la Storia. Il naturalismo di de Pisis era sganciato da qualunque rapporto con la storicità sociale, con
176
Particolare del quadro riprodotto a piena pagina sulla rivista Documento, Roma, marzo 1942,
con versi di de Pisis.
177
61
Natura morta (1940).
Olio su tela, cm 52x65.
Al centro verso destra: Pisis.
In alto a destra: Rimini / [40 di cattiva lettura].
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 02698
Sandro Zanotto, Filippo de Pisis ogni giorno, Neri Pozza, Vicenza, 1996, p. 373,
riferito al 1940: «Il 18 luglio è a Rimini
in una “simpatica cameretta” all’albergo
Montefeltro». Potrebbe essere l’ambiente
nel quale dipinge questa natura morta.
La luminosità è estiva, la luce risalta dalle
tende bianche della finestra, giocando sul
tavolo scuro con gli oggetti sparsi, descritti
a rapidi colpi di pennello in un brillare di
riflessi che rendono palpitante la stanza.
178
179
62
Ritratto maschile, 1941.
Olio su carta applicata su cartone,
cm 50x35.
In basso a sinistra: Milano / Pisis / 41.
Al verso: su cartone di supporto etichetta
Galleria Biasutti & Biasutti, Torino.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 01443.
Esposizioni
Artefiera, Bologna, gennaio 2001, stand
Galleria Biasutti & Biasutti, Torino
Filippo de Pisis. Natura e contaminazione
umana, a cura di L. Cavallo, testi di L.
Cavallo e A. Alibrandi, Galleria Tornabuoni, Pietrasanta, 16 agosto-7 settembre
2001; idem, Zefiro Arte, Empoli, 29 settembre-27 ottobre 2001; idem, Galleria Il
Ponte, Firenze, 10 novembre-29 dicembre
2001, riprodotto in cat. n. 18
Filippo de Pisis. La figura umana, a cura di
L. Caramel e C. Gian Ferrari, Museo Mallé, Dronero, 21 aprile-8 settembre 2002,
riprodotto in cat. p. 89.
Si impone con fierezza la fisonomia del
giovane, senz’altro bella e austera, colta con
energiche colpeggiature e qualche durezza,
che seguono e anche interpretano il volto
con un irrobustirsi della vena declamatoria, quasi a sottolineare una personalità
forte. I colori che prevalgono, blu-azzurro,
bianco, bastano a condurre il gioco. Pagina di alta significazione espressiva, da porsi
fra la migliore ritrattistica del periodo.
180
181
63
Natura morta, 1941.
Olio su tavola, cm 29,2x44,5.
Al centro, verso destra: Pisis / 41.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 02915.
Piena di umori, densa di corpi plastici e
di colori squillati; un saggio di come si
può rendere godibile una natura morta
tenendo insieme aroma di antico e palpiti
moderni – ciò che prediligeva de Pisis collezionista di tele d’antiquariato. La forma
che si alimenta di colore-materia e smargina conquistando spazio, mettendo in mostra il lavoro del pennello che coglie rapido
i trasalimenti della luce.
182
183
64
Ritratto di ragazzo col garofano
(1941).
Olio su cartoncino applicato su tavola,
cm 44,5x31,5.
Sul lato sinistro: Pisis.
Al verso: etichetta Galleria Martina, Torino.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 01539.
Esposizioni
Filippo de Pisis. Natura e contaminazione
umana, a cura di L. Cavallo, testi di L.
Cavallo e A. Alibrandi, Galleria Tornabuoni, Pietrasanta, 16 agosto-7 settembre
2001; idem, Zefiro Arte, Empoli, 29 settembre-27 ottobre 2001; idem, Galleria Il
Ponte, Firenze, 10 novembre-29 dicembre
2001, riprodotto in cat. n. 16
Filippo de Pisis. La figura umana, a cura di
L. Caramel e C. Gian Ferrari, Museo Mallé, Dronero, 21 aprile-8 settembre 2002,
riprodotto in cat. p. 93.
Il busto di ragazzo con berretto a visiera
ha suggestiva ambientazione all’aperto.
Pare una spiaggia il piano che dà sfondo al
busto, la linea d’orizzonte ripartisce i due
campi, terra e cielo, in giusta metà. Il garofano capovolto si ritrova, e nella stessa
posizione, nella natura morta, La tempesta,
1937 (vedi n. 50). Anche in questa pagina, che abbiamo attribuito all’inizio degli
anni Quaranta, l’aria è mossa, percorsa da
brividi temporaleschi. La tonalità è come
cosparsa di viola (ha scritto Raffaele Carrieri, Forme, Milano Sera, 1949, p. 145:
«È come una musica di mandolini, un virtuosismo d’occhio e di mano. Traccia profili col clarino e li popola di non so quale
erborescenza») e la superficie tutta sembra
assumere riflessi da una siepe in fiore, da
qui prende alimento cromatico e profumi.
Gli occhi stellati, le grandi sopracciglia, la
bocca sinuosa, il volto a calice – ma la figura richiama la clessidra, il tempo ancora...
– pure questi elementi fisonomici quasi
suggeriscono l’idea dello sbocciare, solo in
quel momento, per poco, della forma, e
la corruzione, del garofano capovolto, del
giovane viso, della stagione, è appena oltre
la soglia della pittura.
184
185
65
Fiori nello studio, 1942.
Olio su tela, cm 60x56.
In alto a destra: V.R.
In basso a destra sul vasetto: Pisis 42.
Esposizioni
De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura
di L. Cavallo, Mazzotta /Brerarte, Milano,
1983, riprodotto in cat. p. 115
De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di D.
Tega, Galleria Tega, Milano, ottobre-novembre 1987, riprodotto in cat. n. 23
De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13
giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat.
p. 177.
Bibliografia
G. Raimondi, Filippo de Pisis, Monografie
d’arte di «Stile», a cura di V.E. Barbaroux e
Gio Ponti, Garzanti, Milano, s.d. [1944],
riprodotto tav. XLIX
G. Ballo, Filippo de Pisis, Edizioni «La Simonetta», Milano, 1956, riprodotto tav.
57 (Natura morta con fiori)
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n.1942/71.
Guido Ballo nella monografia 1956, cit.,
pp. 39-40: «Molte opere del periodo di
via Rugabella, siglate V.R., sono tra le più
intense di de Pisis; pur rivelando una continua tensione nel segno, ritornano alla
larghezza delle strutture: ma decisamente
in movimento, con tocchi eccitati, a volte
addirittura frenetici, in una fuga musicale:
chiusa nei richiami degli spazi risolti tendenzialmente in ampie superfici, nelle assonanze del colore […]. Il neo-barocchetto di de Pisis è concitato, ma rende sempre
più autonoma l’espressività del colore,
libero completamente da ogni tono locale: espressività che nasce non soltanto dal
timbro, ma dagli spazi di un ritmo corsivo
in cui vive il colore. In sostanza c’è sempre
una sorta di contrappunto: tra le stesure di
fondo, colorate o anche nude (ma già colore di larghe superfici), e i tocchi in movimento che animano e segnano i ritmi degli spazi. È un criterio di pura espressività:
gli oggetti figurativi, con chiara coscienza
critica, diventano emanazioni soggettive:
pretesti lirici, vissuti tanto da diventare
nuovo ritmo, nel segreto dell’inconscio e
della mente più lucida. Interno con Cocò
186
(1940, coll. Jesi), Natura morta con fiori
(1942, coll. Malavasi) […] sono esempi
che possono definitivamente far superare
il mito di un de Pisis dispersivo, facile o
semplice pittore della sensazione.»
187
188
189
Un raro Autoritratto a pastello (1944).
190
Da Milano a Venezia
Luigi Cavallo
Il bombardamento di Milano dell’agosto 1943, che colpì anche la sua abitazione di via Rugabella, aveva spinto de Pisis a sgombrare dalla città. Il nuovo
domicilio è a Venezia. Da qui l’11 settembre scrive a Demetrio Bonuglia: «Il
mio nido di Milano è infranto. L’armistizio (in cui speravo) è arrivato troppo
tardi. Per poco. La roba e i quadri sono salvi» (Lettere di de Pisis 1924-1952, a
cura di D. Bonuglia, Lerici, Milano, 1966).
Per de Pisis «pittore autobiografico», protagonista delle proprie opere, il trasferimento a Venezia, sotto la stretta degli eventi, significa differenti condizioni cromatiche, luminose, sonore, e motivi da un diverso ambiente umano.
L’aspetto che possiamo chiamare biologico e psicologico dell’arte di de Pisis
viene via via modificato e coltivato dal clima in cui vive; si potrebbero individuare le dominanti comuni ai gruppi di opere eseguiti nei vari luoghi. Anche
se sostanzialmente il suo stile mantiene omogeneità per sviluppo e consistenza
compositiva, le sollecitazioni locali consentono avvertibili variazioni, nel colore, nella saturazione luminosa, nei rapporti tra soggetto esterno e oggetto dipinto. Le città in cui si trova (o le sue consuete stazioni, l’Adriatico, il Cadore)
talvolta sono cesure che chiudono e aprono i periodi della sua pittura.
Certo di Venezia e della pittura veneta l’opera intera di de Pisis è profondamente intrisa. Ma ora la presenza si fa più a ridosso e dilaga. I suoi dipinti,
anche di natura morta, di fiori, acquistano, rispetto a quelli della stagione di
via Rugabella (ma negli anni di guerra 1944-1945 ancora prevalgono i neri)
un aspetto più chiaro, trasparente; palpitano di luce friabile. La sua pagina
perde qualcosa in drammaticità sonora ma ha maggior senso di astrazione.
Sembra non aver alcun bisogno di cose reali. Sembra che le cose si sciolgano,
corrose dalla luce, da una grafia iridescente.
Per conoscere anche letterariamente cosa sia Venezia per de Pisis, il suo libro,
curato da Bona de Pisis e Sandro Zanotto, Ore veneziane (Longanesi, Milano,
1974) è guida inestimabile.
Presentando una mostra di De Pisis a Venezia (dipinti provenienti da collezioni veneziane, Comune di Venezia, Assessorato alle Belle Arti, Casinò municipale, 8 dicembre 1968-6 gennaio 1969), Guido Perocco ha ricostruito i
rapporti del pittore con la città: «Venezia tra le tante città è particolarmente
vicina all’arte di de Pisis e in nessuna, forse, l’artista si sentì così felice [...]. De
Pisis amava attirare l’attenzione sulla sua persona e a Venezia questa attenzione si accentra facilmente [...]. De Pisis aveva [...] la tavolozza, il pappagallo
e perfino la gondola con lo strascico di seta. Poteva lavorare circondato dalla
gente che vedeva nascere un suo paesaggio da un gesto così infallibile e sicuro
[...] ancora ragazzo, a sedici anni, nel 1912 venne a Venezia accompagnato dal
padre: uno di quegli incontri che restano indimenticabili. Poi nel 1916 ritornò per una visita di controllo per il servizio militare. Nel 1919 sono ricordate
alcune pagine inedite su Venezia [...]. Ritornava a Venezia spesso d’estate a
visitare le varie Biennali [...]. Nel [...] 1943 l’artista venne a stabilirvisi e rimase fino al 1948; [ ...] per la prima volta in vita sua, dopo tanto girovagare per
191
Parigi (1947-1948).
192
il mondo, comperò una casa a San Sebastiano [chiamata anche S. Bastian],
dove il rio di S. Basegio s’incontra con il rio dei Carmini. Poco dopo venne ad
abitare con lui la nipote Bona de Pisis [...]. Si recava ogni giorno nello studio a
S. Barnaba, in uno degli angoli più deliziosi di Venezia: da un lato dello studio
vi sono le absidi dei Carmini e il campanile di S. Sebastiano, dall’altro lato
si specchiano nel rio il campanile di S. Barnaba e in fondo, al di là del Canal
Grande, quello di S. Samuele. Tutti luoghi dipinti con amore da de Pisis [...] i
luoghi preferiti: S. Vidal con il piccolo campanile romanico appoggiato all’altissima chiesa settecentesca, la cupola verde rame di S. Simeone, le facciate
barocche di S. Moisè, di S. Maria del Giglio o degli Scalzi, il Canal Grande dal
ponte dell’Accademia, la grazia inimitabile della Chiesa della Salute, il profilo
di S. Giorgio nella prospettiva del Bacino di S. Marco, i campielli più riposti
come S. Giacomo dell’Orio, S. Stin, S. Lorenzo.»
De Pisis va alla ricerca di una sua immagine rara in un luogo saccheggiato dai
pittori, e già anche dai fotografi, con l’impegno non poi tanto recondito di
ridare sfarzo al clima e alla luminosità antica. Gli scorci sfocati in occasionali
variazioni strutturali sono riscattati da una precisa ricerca di idee-emozioni,
che quasi abbagliano nella carica emotiva che la grafia pittorica mantiene alla
narrazione. Una oggettività polivalente, una partecipazione vitale e allegorica
dell’autore alla tela gonfia di impennate poetiche, personaggi e architetture
vive in fuga sopra un raso chiaro.
193
De Pisis come lo descrive Valsecchi, 1954.
194
Bellezza, emozione piena
Cesare Zavattini
De Pisis l’ho praticato poco o niente e purtroppo non conosco neppure le sue
elogiate poesie. Una volta sola scrissi di lui per ricordarlo alle nozze di Alberto
Mondadori che mangiava in piedi una fetta di torta, c’era lui solo e la torta
mentre gli altri lo urtavano nel passargli vicino; quando ebbe finito andò a
deporre il piatto e dopo si aggirava fra gli invitati sorridente con le mani alzate
come un cinese muovendo le dita gentilmente per liberarsi dell’appiccicaticcio. Lo incontrai anche all’albergo Colonna con una vestaglia di seta rosso
cupo dove uno strappo pareva fatto apposta, e infine nella sua ultima dimora
lombarda cinque o sei anni fa dove stava sempre tutto agitato nell’attesa di una
cosa che non si capiva; stava tra le sue tele nuove, belle, delicate però sbiancate
rispetto a prima quasi che nell’impasto ora entrasse un po’ di calcina.
Per me, non c’è un solo quadro di de Pisis che non mi faccia trasalire e subito
dico mi piace, lo ripeto infantilmente, mi piace, mi piace, mi piace, è un trasalire dei sensi per cui potrei dire che io li guardo con la lingua i suoi quadri
ma la lingua i polpastrelli delle dita le labbra sono in quel momento incorruttibili come certi oggetti investiti dal sole in un’ora favorevole. Si vorrebbe
essere spremuti da un tubetto di de Pisis e lasciati lì sulle spiagge tra quelle
sue mandorle in primo piano che ho visto da Chiurazzi giorni fa in cui tra la
scorza e il frutto con una pennellata da niente fa vedere – io non l’avevo mai
visto – che c’è del bianco tenero che esprime l’alba d’una stagione. Non ho
vergogna di ripetere che mi si muove la lingua le mani tutto davanti a uno
qualsiasi dei suoi quadri come fossi una tastiera percorsa da un colpo di vento.
Ancora un attimo e la sua materia così buttata poteva colare giù ma egli la
ferma un fiato prima. Comincia insomma la sua opera forse con ingordigia e
la finisce sempre nell’astinenza, e questo press’a poco è lo stile, che de Pisis ha
avuto subito dalla natura come il respiro.
«Ricordo di de Pisis», in Ricordo di de Pisis, Carlo Colombo, Roma, 1956.
195
A Brugherio, il crepuscolo del poeta
Marco Valsecchi
Vallecchi mandò i volumi delle Poesie, proprio allora usciti dai torchi; Codignola acconsentì a trasferire di Ivrea la mostra dei ritratti ordinata dal Raimondi per il Centro Olivetti; e infine il Ghiringhelli mise a disposizione la
galleria. Quella sera stessa potei così telefonare a Brugherio e comunicare a de
Pisis che la lettura sarebbe stata fatta, realizzando un suo desiderio. Mi rispose,
all’altro capo del filo, la sua voce stanca: «Sto male, caro, non mi aspettate...»
Tuttavia andai a prenderlo. Era un pomeriggio piovoso, il vento sbatteva la
pioggia sull’asfalto e le strade di Brugherio apparvero deserte come nei crepuscoli invernali. Pensavo già di dover tornare a Milano e di presentarmi agli
amici radunati, senza de Pisis; e il malumore si impossessava di me, per quella
lettura di versi che, senza di lui, sarebbe apparsa una squallida commemorazione.
Invece lo vidi dentro lo sguancio della porticina di Villa Fiorita, che si proteggeva dalla pioggia e mi aspettava impaziente. Aveva messo un abito scuro col
nodo della cravatta nera un po’ allentato sotto il colletto floscio; in testa aveva
messo, invece del solito basco, un berretto da ciclista.
Mi fece un cenno di mano e venne avanti diritto nella pioggia, incontro all’auto. Ebbe piacere che l’autista gli aprisse la portiera, togliendosi il cappello:
«Grazie, caro – badava a dirgli – grazie... »
Passammo da Monza e ci fermammo a prendere un cappuccino al bar del
Broletto, dove era solito sedere qualche tempo quando usciva a passeggiare;
si fece portare una fetta di panettone, che immerse con visibile golosità nel
caffellatte, e ripartimmo. Aveva l’occhio calmo, si era fatto la barba e teneva le
sue grosse mani sui ginocchi. Gli dissi che avrebbe incontrato Solmi, Vittorini, Marino Marini, Carlo Bo; e assentiva col capo.
In via Bigli salì le scale come fossero uno scalone principesco durante una festa
di corte; e volle vedere prima i suoi dipinti. Li riconobbe uno per uno, «questo
è un bel de Pisis – diceva, oppure – un nero così lo faceva Manet», e disse di
chi erano quei volti, dove li aveva dipinti. Dinanzi al ritratto emaciato di una
specie di beato Labre, disse di averlo incontrato a porta Venezia e di averlo
tenuto in via Rugabella per due giorni, poi sparì.
Anche Carrà era uscito di casa, malgrado la pioggia, e si salutarono. Carrà
parlava con la sua voce d’orco, de Pisis gli rispondeva con una voce in falsetto,
e fecero insieme il giro delle sale.
Poi Paolo Grassi fece le presentazioni dei due attori del Piccolo Teatro e fattosi
il silenzio in sala cominciò la lettura. Gli attori ebbero la gentilezza di non
alzare le voci, di parlare quasi più che leggere, spegnendo le cadenze vibrate.
De Pisis si era seduto in prima fila, a fianco gli stava Codignola e dietro aveva
il Mazzotta, un suo collezionista. Io lo guardavo di lato, senza che se ne avvedesse; seguiva con le labbra la dizione degli attori, anticipando di un soffio le
loro sillabe, e con un leggero battito della mano abbandonata in grembo quasi
ne dirigeva il flusso. Ogni poco assentiva anche col capo e si volgeva a guardare ora Bo e ora Carrà. Sul libro dell’attrice, prima di partire, volle lasciare un
196
autografo, ed era un verso in cui parlava di rondini.
Ora la sera era caduta e le luci di Milano splendevano sul bagnato. Quel fiume di fuoco ci accompagnò per tutto il corso Buenos Ayres, si spense oltre
il viadotto ferroviario di viale Padova; gruppi di operai in bicicletta sfilavano
dietro la macchina in corsa. Le siepi e gli alberi madidi di pioggia splendevano
di mille gocciole, guizzi veloci e barbagli sotto i fari dell’auto. Seduti al buio
intravvedevo appena il profilo magro di de Pisis contro il vetro, eretto, con
l’ala del berretto che gli copriva d’ombra gli occhi. Non ci dicemmo niente
per tutto il tragitto. Si trattenne per un poco dinanzi al cancello della Villa a
passeggiare in su e in giù. Disse che desiderava sgranchirsi le gambe; ma con
l’occhio guardava in fondo alla strada dove correvano le biciclette a frotte. Poi
mi porse la mano e, «grazie, caro», varcò la soglia, sparì nel buio del cortile.
«Sera del 24 aprile 1954», in Ricordo di de Pisis, Carlo Colombo, Roma,
1956.
197
66
Piazza San Marco (1943).
Olio su tela, cm 64,5x89,5.
In basso a destra: de Pisis.
Al verso: sul telaio etichetta Galeria Bonino, Buenos Aires.
Esposizioni
Collection Acquarone. Pintura italiana
contemporanea en commemoracion del VII
centenario de Dante, Museo Nacional de
Bellas Artes, Buenos Aires, luglio-agosto
1965, in cat. n. 74
Venezia e oltre. XVIII-XX secolo. Arte nei
secoli a confronto, a cura di M. Fagioli e R.
Ferrario, Farsettiarte, Cortina d’Ampezzo,
26 dicembre 1998-10 gennaio 1999; poi
Prato, 14-18 gennaio 1999, riprodotto in
cat. n. 18
Sognare la natura. Il paesaggio nell’arte a
Milano dal novecento all’informale (19191959),a cura di E. Pontiggia, Casa del
Mantegna, Mantova, e Torre Civica, Medole, 4 settembre-31 ottobre 1999, riprodotto in cat. p. 86
Golden Venice da Guardi a Fontana, testi
di F. Farsetti e M. Fagioli, schede di F.
Marini e M. Fagioli, Farsettiarte, Cortina
d’Ampezzo, 9 agosto-2 settembre 2007;
poi Milano, 19 settembre-4 ottobre 2007,
riprodotto in cat. n. 11.
Scheda di Francesca Marini per il catalogo
2007, cit.: «È il valore dell’aria e dell’atmosfera che sembra frantumare l’immagine
di questa piazza San Marco di Filippo de
Pisis, svolta dall’artista restituendo la poetica allusione del campanile, della facciata
della basilica e del movimento dei piccioni
e dei passanti, e infine quello dei turisti intenti ad ammirare la bellezza della piazza;
elementi visivi che sembrano riformulati
pittoricamente
dall’artista-intellettuale
ricorrendo alla lezione dei maestri ideali, sfruttando un doppio registro: quello
formale, espresso nella ripresa di proficui
elementi stilistici, e quello storico, attuato
scegliendo maestri filologicamente connessi con la città della laguna. I tocchi febbrili di Guardi, le piazzature atmosferiche
dei cieli tiepoleschi, e poi Turner, citato da
de Pisis a proposito di Venezia fin da un
appunto del 1922, per essere studiato poi
più direttamente durante i soggiorni londinesi del 1933 e del 1935 durante i quali
egli rileva l’analogia tra l’umida atmosfera
londinese e lo sfumare dei volumi lagunari. Proprio questo è uno degli aspetti visivi
della città che sembra lo avesse maggior-
198
mente colpito, come avrebbe spiegato in
un’intervista rilasciata nel 1944, nella
quale affermava: “Le prospettive esatte di
Venezia sono a fuoco solamente sui rii. Le
calli, le fondamenta hanno ancora troppo
legname, troppa materia di consuetudine;
a Venezia si addice soprattutto il fluido e
fresco silenzio dei suoi canali” (F. de Pisis,
12 novembre 1944). Lo stretto rapporto
tra l’attività pittorica e la consistente produzione scritta di de Pisis ha permesso di
scoprire l’interdipendenza delle due discipline nello sviluppo della poetica dell’artista, ed è per questo che proprio quel
“fresco silenzio” veneziano sembra aver
favorito de Pisis nella creazione dei molti
scritti legati alla città lagunare e nel fissare sulla tela, lasciata nuda, l’immagine di
piazza San Marco, quale attimo felice di
una giornata, tracciato come un’illuminazione balenante e passeggera. Un processo
creativo spiegato in una poesia composta a
Venezia e intitolata “Bene che cerco”, nella
quale con pochissime parole 1’artista descrive la genesi della sua pittura: “Bene che
cerco / dove sei? / [. .. ] / non è / sterile il
pianto / di un poeta / e quando appari / un
attimo basta / e la mia opera / bella e pura
/ è nata” (F. de Pisis, Cattività veneziana,
Milano, 1966, p. 47).
Cartolina di de Pisis, da Venezia, S. Barnaba, datata «30.7 [4]3», a Giovanni Cavicchioli.
199
67
Il gondoliere (1944).
Olio su cartone, cm 50,5x27,5.
In basso a destra: S.B. / Pisis.
Al verso: timbro Galleria del Milione, Milano, con n. 4411.
Esposizioni
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. tav. LXXXIV (1941).
Costruito con colori di cenere e calce;
l’emozione di un momento trova, anche
per questa parsimonia cromatica, estensione armonica, qualcosa che dallo sciacquio delle calli, dai riposanti vapori serali
dell’acqua, da un lontano battito d’ali il
pittore ha trasfuso facendo praticare vie
sommesse: protagonista è l’evocazione.
200
201
68
Ritratto (1944).
Olio su tela, cm 45,1x35,1.
In basso a destra: Pisis.
A sinistra: S. B.
Al verso: timbri Galleria Zanini, Roma.
Attribuito al 1944, fa parte di una galleria
di ritratti, tematica meno frequentata da
de Pisis, che è stata proposta nella mostra
Filippo de Pisis. La figura umana, a cura di
Luciano Caramel e Claudia Gian Ferrari,
Museo Mallé, Dronero, 21 aprile-8 settembre 2002.
Sono da tener presenti non tanto, non
solo, le più celebrate facoltà del pittore;
qui entra in gioco anche la capacità di valutazione psicologica dei personaggi, un
lavoro di scavo in diretta partecipazione
con il modello scelto.
Giuseppe Raimondi nella monografia del
1944 (Garzanti, Milano) affronta i problemi di costruzione e di stile, ormai definiti
in quegli anni: «Il punto d’attacco dell’arte di de Pisis con la tradizione italiana, è
rintracciabile in qualcosa di pungente, di
estroso e quasi volante che traspare dal
carattere, fisico e materiale, del suo stile.
Quel bizzarro, e impetuoso suo segno che
si è detto, dotato di una incurvatura di sapore anacronistico, così rapido e preciso
nel realizzare la forma, quell’urgenza sfrenata per cui, anche nelle sue tele, i tratti
sono fermati, tracciati con segni quasi di
penna, macchiati, accennati sommariamente. Egli scrive in punta di pennello.
Macchiare, si direbbe proprio il suo tratto,
ed è un gusto un poco veneto; conservando qualcosa della furia del disegno, più
lieve e corrente nelle parti restanti, ma in
qualcuna, nello scavo di un’orbita, nella
curva di una bocca, nel forare di un orecchio, affondati nel nero dell’ombra più
nera. Ferrarese, de Pisis, è bene l’erede del
padano Guercino, maestro della “grande
macchia” nel disegnare. E, messo su questa strada gli dev’essere riuscito agevole di
tradurre un tale istinto in una materia pittorica accortamente fluida, ma non troppo, di tocco più che d’impasto, insomma
plastica, esprimente il senso un poco arso
di bassorilievo sbozzato in creta. Così, si
può dire elusivamente, egli ha realizzato
una specie di nuovo barocco, applicato su
una materia magra e asciutta, prodotto di
un temperamento intellettivo. Un barocco senza scorci, volute e sforzature, ma di
una spietata tensione nel concepimento
202
e nell’impianto dell’opera. Animato da
una vitalità dispersiva, e quasi microbica;
atmosferico, addirittura pulviscolare. Ma
senza faticosi impasti di, colore; anzi pulito, scabro, e con un senso di arsura quale
emana da una tempera di Tiepolo, nella
quale si avverta il tepore del tono riscaldare lo strato di gesso.»
203
69
Fiori, 1945.
Olio su tela, cm 100x70.
In alto a destra: Pisis 45.
In alto a sinistra: S.B.
Esposizioni
De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di
L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 118
De Pisis, a cura di C. Gian Ferrari, coordinamento F. Farina, Palazzo Bellini, Comacchio, 12 luglio-22 settembre 1986,
riprodotto in cat. p. 114, n. 95 (Fiori sul
tappeto persiano)
De Pisis, a cura di C. Gian Ferrari e C.
Spadoni, Galleria Trimarchi, Bologna, novembre 1986, riprodotto in cat.
De Pisis a Milano, a cura di C. Gian Ferrari, testi di vari, Palazzo Reale, Milano, 13
giugno-13 ottobre 1991, riprodotto in cat.
p. 197 (Fiori sul tappeto persiano)
De Pisis. Dalle avanguardie al «diario», a
cura di R. Barilli, B. de Pisis, C. Gian Ferrari, A. Monferini, F. Tibertelli, L. Velani,
testi di vari, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 6 febbraio-12 aprile 1993,
riprodotto in cat. n. 105
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat.
n. 87.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1945/32.
Giovanni Testori a recensione della mostra di Comacchio 1986, cit. («De Pisis,
la leggerezza tragica», Corriere della Sera,
Milano, 1° agosto 1986) scrive dello «svirgolante insormontabile cloisonné nero che
la lingua dell’ombra lascia attorno agli
oggetti leggeri di de Pisis come una bava
atroce, una pece dura».
Claudia Gian Ferrari nel catalogo di Comacchio aveva arricchito il titolo del quadro: Fiori sul tappeto persiano. C’è, in effetti, fra tracciature scure, neri che danno
più smalto alle luci, l’andamento di un addobbo prezioso, tessitura piena di colori in
questa tela celebrativa della bellezza. Nasce
a Venezia, come si vede dalla sigla «S.B.»,
nutrita dagli splendori orientali della Sere-
204
nissima e dall’antico amore per le magnificenze della natura. Reperti recisi dell’universo ammirevole che si possono portare
in casa; de Pisis con queste sue opere narra
di bellezza senza pudorosi ritegni.
205
70
Natura morta (1945).
Olio su tela, cm 55x71.
In basso a destra: de Pisis
In basso a sinistra: S.B.
Archivio Associazione per il Patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 02125.
Giovanni Testori in «De Pisis, la leggerezza tragica», Corriere della Sera, Milano, 1°
agosto 1986, ha toccato «il lato nero, il lato
frivolmente, ma inesorabilmente umbratile, notturno, quando non tragico, della
poetica del maestro». Ed è un dato ricorrente fin dal primo periodo, e che si rende
con ancor più teatrica evidenza negli anni
della guerra e del primo dopoguerra. Per
Testori «il timbro memorabile» è nel de
Pisis «dalla materia combusta, incarbonita,
arsa ed ardente, bruciata e bruciante; dalla
materia, talvolta, perfidamente innamorata di sé, ma anche del suo fatale cinereo
finire […] contro la favola d’un suo presunto neo-impressionismo, il de Pisis inventore del gran nero dell’ombra; ombra che,
qui, sembra mangiarsi, roditrice imperterrita, tutta la luce della realtà. Quasi che la
realtà, per de Pisis, esistesse solo in quanto
gli permetteva di stampare sulla terra, sulle
rive dei mari, sui tavoli o dentro gli occhi
dei suoi ragazzi e dei suoi giovani innamorati e perduti, la di lei orma inchiostrata;
quasi fosse proprio quell’orma ciò che de
Pisis soprattutto intendeva farci conoscere
ed amare.»
206
207
71
Il ponte di Rialto (1947).
Olio su tela, cm 65,2x100.
In basso a destra: Pisis.
Sul lato destro al centro: S.B.
Al verso: sul telaio timbro Galleria Gissi,
Torino, con n. 3642; etichetta frammentaria «Mostra d’Ar[te Itali]ana / in Svizzera»; etichetta e timbro La Nuova Bussola,
Torino; etichetta «Comune di Ferrara /
Museo d’Arte Moderna e Contemporanea
/ “Filippo de Pisis” / Mostra del I° Centenario / della nascita di Filippo de Pisis
/ 1896 -1996»; etichetta Galleria Galatea,
Torino.
rifrazione ipertesa, immobile alla fine, di
macchiette, di pali, di riflessi. Il Settecento
veneziano gli è presente più che mai».
Il quadro è attribuito da Arcangeli al 1944;
plausibile la rettifica di Ballo al 1947, accolta anche da Briganti. In certi paesaggi
di Milano del 1947 de Pisis sembra inte-
ressato a serrare e consolidare la forma, ma
qui – Venezia consente la trasformazione
– rende la forma liquida, la disfa in una
cascata di luce sulfurea; si vede come un
foglio messo in trasparenza contro sole, ne
risultano i profili grafici, quanto sta oltre la
definizione, sul limitare del sogno.
Esposizioni
Ricordo di Filippo de Pisis, Galleria Philippe Daverio, Milano, dal 29 aprile 1981,
cartolina nel portfolio
De Pisis, a cura di A. Buzzoni, testi di vari,
Palazzo Massari, Museo d’arte moderna e
contemporanea Filippo de Pisis, Ferrara,
29 settembre 1996-19 gennaio 1997, riprodotto in cat. p. 99, n. 70.
Bibliografia
G. Marchiori, «Filippo de Pisis», Stile, Milano, marzo 1946, riprodotto p. 28. F. Arcangeli, «Appunti per una storia di de Pisis», Paragone, Firenze, luglio 1951, p. 44,
riprodotto tav. 21 (1944)
G. Ballo, De Pisis, Ilte, Torino, 1968, riprodotto n. 444 (Venezia)
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1947/97.
Francesco Arcangeli nel saggio 1951, cit.,
p. 44: «sulla fine del ’43, de Pisis si trasferisce a Venezia. Non sarà facile dire se
questi anni veneziani abbiano aggiunto
qualche novità sostanziale all’arte del pittore; quand’anche si dovesse rispondere di
no, si era già tanto allargato il raggio della
sua poesia, del suo mondo, che basterebbe
la rievocazione di tanta ricchezza in nuovi
timbri a sostenere la qualità. Ed è quello
che accade. L’anno ’44 è splendido di capolavori. […] non posso a meno di presentare questo mirabile Ponte di Rialto (tavola
21), ripresa del momento più rapito della
fantasia di de Pisis, ma ora entro un’aria
esaltata, allucinata, rarefatta, dove l’agitazione del pennello corre, frenata entro uno
scheletro splendidamente calibrato, quasi sulle canne di un organo: Guardi, sta
bene, ma come trasfigurato entro questa
208
Autografo di de Pisis sulla fotografia: «S. Bastian / casa de Pisis».
È il palazzetto con i tre archi, dietro il ponte.
209
72
Natura morta (1947).
Olio su tela, cm 75x90.
In basso a destra: Pisis.
In centro verso destra: Pisis.
In basso verso sinistra, sul piano: S.B.
Archivio Associazione per il patrocinio
dell’opera di Filippo de Pisis, Milano,
n. 02418.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1947/71.
Eseguito a Venezia, a San Barnaba o a
San Bastian, nell’immediato dopoguerra,
appena de Pisis, lasciato lo studio bombardato di Milano, prese stanza nella città
lagunare. Immagine concepita in modo
esemplare per la poetica depisisiana. La
campitura del cielo, il vuoto, prevale sul
pieno – secondo quanto suggerisce l’architettura veneziana – e anche il soggetto
è inventato in qualità di forma tutt’altro
che plastica: quattro cozze sull’angolo
della tavola, una granseola al centro, un
drappo o sciarpa spiegazzata da cui spunta
come la copertina di un libro con il nome
dell’autore, Pisis, stampato nel corpo della composizione. Nell’insieme condotto
con larghezza tiepolesca il pittore firma
anche l’aria che circola nella pittura che si
fa spirituale; un’altra volta «Pisis», corsivo,
all’angolo destro della tela che fa ripiano e
vola con quelle ali di uccello disseminate
nelle macchiature sovrastanti.
Persino il piano – una tela tirata su telaio
con bene in vista i chiodi che la fermano
nel bordo – su cui sono deposti gli oggetti
in confusa occasionalità, sembra negarsi
a precise geometrie: il rettangolo si apre
nei profili, mostra ampie trasparenze e
sgorature. Il colore è caldo, acquarellato,
e freme sotto una spinta vitalissima, porta
altrove, non riempie, scorpora piuttosto,
perché le apparenze divengano partitura, e
la presenza delle cose fisiche si faccia pretesto per scomporre, tramutare quell’unità e
affidare il quadro, la sostanza dipinta, solo
alla collimanza con i toni melodici; musica
che si sostituisce alla figurazione, che dalla
figurazione assume valori ineffabili.
210
211
73
Milano, 1947.
Olio su tela, cm 75,3x55,5.
In basso a sinistra: Pisis 47.
Esposizioni
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. tav. CLXXXVII
L’Uomo e lo Spazio. Estetiche della percezione, a cura di V. Coen e G. Martinelli
Braglia, Centro d’Arte e Cultura, Chiesa
di San Paolo, Modena, 16 dicembre 20064 febbraio 2007, riprodotto in cat. p. 71,
scheda di L. Silingardi.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1947/55
Centottanta opere, a cura di D. Severi e G.
Tega, testi di V. Coen, schede di S. Foglia
e C. Miramonti, Galleria Tega, Milano,
2005, riprodotto p. 121.
Anno di spostamenti continui il 1947.
Roma, Milano, Parigi… de Pisis è inseguito dalla sua inquietudine, eppure qui lo
scorcio milanese è colto con architettura
ben ferma, studiata sul vero, presa d’un
colpo, ma con prospettiva così precisa da
ricordare le vedute di Parigi che Utrillo
copiava dalle cartoline. L’aria è tersa, felice il ritmo dei passanti; sosta un’auto sul
marciapiede a sinistra. Il cartello tondo
con divieto di sosta è nota di colore rosso fissa nelle pareti muschiate verdi. De
Pisis abita la sua visione/illusione e ne è
abitato, si affaccia nella città prendendone
possesso da signore. Scrive un suo collega
fiorentino, Gastone Breddo («De Pisis e la
pittura contemporanea», Le Tre Venezie,
Padova, ottobre-dicembre 1947, pp. 363364): «L’urgenza di cogliere ogni particolare che ha toccato l’emozione del pittore
non dà luogo a trascrizioni ma diventa immagine, seguitando quella imponderabile
corsa interna e salvandosi, ineffabile, nel
suo abbandono nell’amore delle cose. […]
è sempre la fantasia che gli fa sottrarre elementi al mondo prelevandoli vivi, freschi,
palpitanti, quindi anche il legame che esiste fra loro nel quadro è irrazionale, fantastico, poeticissimo. Fra gli equilibri più
instabili, fra gli etimi più svariati, de Pisis
212
imposta una sorta di coerenza che oggi ha
pochi paralleli in Italia. […] occorre dire
che non ci sono oggi troppi paragoni validi di pittori che ogni cosa sappiano mutare
in altrettanta pittura, vedere il mondo così
profondamente sotto la specie della pittura, quanto de Pisis.»
213
74
Baracche nel cortile, 1948.
Olio su tela, cm 65x81.
In basso a destra: […] 48 Pisis.
Esposizioni
Mostra di Filippo de Pisis, Galleria La
Chiocciola, Padova, 24 ottobre-8 novembre 1964; riprodotto nel libro edito in
occasione della mostra, Neri Pozzi, 1965,
vedi
Mostra dell’opera pittorica e grafica di Filippo de Pisis, a cura di L. Magagnato, M.
Malabotta, S. Zanotto, Palazzo della Gran
Guardia, Verona, 12 luglio-21 settembre
1969, in cat. n. 233 (1947)
Filippo de Pisis, testi di vari, Galleria dello
Scudo, Verona, 25 novembre 1978-7 gennaio 1979, riprodotto in cat. (1947)
De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di
L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 120
De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di D.
Tega, Galleria Tega, Milano, ottobre-novembre 1987, riprodotto in cat. n. 26
Primo ’900. Partecipazione e solitudine
dell’arte. Balla Boccioni Carrà Casorati de
Chirico Sironi Morandi de Pisis Campigli, a
cura di C. Panepinto, Castello Monumentale, Comune di Lerici, 7 luglio-6 ottobre
1991, riprodotto in cat. p. 93, n. 57
Genius. Primato degli artisti italiani del Novecento, a cura di F. Gallo, Cripta del Collegio, Siracusa, 18 settembre-30 ottobre
1997, riprodotto in cat. p. 76, n. 28
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat.
n. 91.
Bibliografia
Dipinti, disegni, litografie, manoscritti inediti di Filippo de Pisis, con una poesia di
D. Valeri, una postilla di G. Raimondi,
note biografiche e catalogo manoscritti
inediti di S. Zanotto, Neri Pozza, Vicenza,
1965, riprodotto tav. 11 e in sopraccoperta (Parigi: Montmartre, 1928)
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1948/41.
Il pittore è a Parigi nel 1948, fino a maggio;
in questi primi mesi dell’anno può essere
collocata l’opera. Dino Tega, nel catalogo
del 1987, cit.: «Baracche nel cortile è un dipinto che fa certamente parte di quelli eseguiti in questo fugace viaggio a Parigi. Vi
214
si riconosce l’ambiente; lo evidenziano il
movimentato disegno delle piccole costruzioni in primo piano ed il largo pennellare
del cielo a toni degradanti in azzurro. La
scena è calda e richiama vecchi quadri dipinti in precedenza in banlieu con tocco
preciso. Tutto rnagistralmente descritto
con chiarezza senza ambiguità. Di misura
importante».
215
75
Cortile a Brugherio, 1948.
Olio su tela, cm 54x73.
In basso a destra: Brugherio / Pisis 48.
Dichiarazione su fotografia di Demetrio
Bonuglia, Roma, 16.10.1982.
Attilio Podestà nella presentazione in catalogo De Pisis nelle collezioni genovesi, La
Rinascente, Genova, 5-22 aprile 1965:
«Negli anni veneziani del dopoguerra la
pittura di de Pisis si fa ancora più libera
e sicura e si decanta e si purifica, in sintesi
guardinghe e misurate, in colori trasparenti, viola scialbati, rosa romantici, bianchi
argentei, su una trama compositiva di una
elementare essenzialità, negli anni di sofferenza nella clinica di Brugherio.»
216
217
76
Natura morta (1950).
Olio su tela cartonata, cm 10x20.
In basso a sinistra: V.F.
In basso al centro: Pisis.
Al verso: timbro Galleria Tega, Milano.
Esposizioni
De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di
L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 121
De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di
D. Tega, Galleria Tega, Milano, ottobrenovembre 1987, riprodotto in cat. n. 28
(Natura morta marina).
Dino Tega nel catalogo del 1987, cit.: «una
piccola Natura morta marina del 1950
[…] è dipinta quasi a ricordo di tutto un
programma. Due frutti sulla spiaggia e la
ben conosciuta linea del mare color bleu di
Prussia, suggellano un’epopea».
Da Villa Fiorita de Pisis immagina la brezza marina, e ne fa sentire l’onda di nostalgia; mela e limone sulla spiaggia, qualche
uccello che ha la libertà del cielo. Al poeta
serve davvero poco per illudersi.
218
219
77
Natura morta con conchiglie
(1952).
Acquarello su carta intelata, cm 45x60.
In basso a destra: Pisis.
Al verso: timbri Galleria d’arte antica e
moderna di Dino Tega, Riccione.
Dichiarazione su fotografia di Demetrio
Bonuglia, Roma, 9.5.1981.
Esposizioni
De Pisis. Didascalie per un pittore, a cura di
L. Cavallo, Brerarte, Milano, 1983, riprodotto in cat. p. 158
De Pisis. Opere su carta 1913-1953, a cura
di E. Pontiggia e P. Thea, Galleria d’arte
moderna, Milano, 19 settembre-18 novembre 1985, riprodotto in cat. n. 33
De Pisis. Inediti ed opere scelte, testo di
D. Tega, Galleria Tega, Milano, ottobrenovembre 1987, riprodotto in cat. n. 29
(1951)
Pittura e realtà, a cura di A. Buzzoni, F.
D’Amico, F. Gualdoni, Palazzo dei Diamanti, Ferrara, e Palazzo del Governatore,
Cento, 28 febbraio-30 maggio 1993, riprodotto in cat. p. 268, n. 196 (1951)
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat.
n. 44 (1951)
Demetrio Bonuglia nella dichiarazione
su fotografia del 1981: «La Natura morta
marina con conchiglie sulla spiaggia […]
anche secondo notizie attendibili, fu eseguita dal maestro de Pisis a Villa Fiorita,
la casa di cura presso Monza (Brugherio).
Ed è, a mio avviso, tra le ultime estreme
sue cose, del ’52 o ’53. Dello stesso tempo
in cui dipinse la bellissima Natura morta
con la penna (v. catalogo della Mostra di
Verona di Filippo de Pisis, 1969), alla quale bisognerà, sempre a mio avviso, rifarsi
per comprendere questa finale espressione dell’arte di de Pisis, in cui gli oggetti
rappresentati, come nella natura morta di
cui retro, appaiono in una luce ed in uno
spazio nuovi “come se sull’improvviso rarefarsi intorno ad esse dell’atmosfera e dello spazio cognito, ciascuno di essi avesse
assunto una essenzialità assoluta”.»
Le attribuzioni di data, 1952 o 1951, sono
ambedue plausibili; siamo comunque
nell’ultimo lembo creativo di de Pisis che
220
usa colori all’acqua, più leggeri da manovrare, e un tono monocromo che per virtù
essenzialmente lirica infonde all’immagine
pregio pienamente pittorico e anzi esalta
quel senso di sconfinamento, aria luminosa per cui le forme si fanno trasparenza.
221
78
Natura morta con calamaio, 1952.
Olio su tela, cm 40x50.
In basso a sinistra: V.F. [Villa Fiorita] /
52.
In basso al centro: V. / Pisis.
Al verso: etichetta Galleria Annunciata,
Milano n. 04165, con timbro; timbro Galleria Selecta, Roma, con n. 02203; timbro
Galleria R. Rotta,Genova.
Esposizioni
100 Opere di Filippo de Pisis, scritti di G.
Marchiori e S. Zanotto, note bio-bibliografiche a cura di E. Natali, Galleria Falsetti, Prato, 19 maggio-19 giugno 1973,
riprodotto in cat. tav. CXII
Filippo de Pisis. Venti opere vent’anni dopo,
testo di E. Natali, Galleria Falsetti, Focette,
3-29 luglio 1976, riprodotto in cat. n. 19
Filippo de Pisis, testo di L. Carluccio, Palazzo Liceo Saracco, Acqui Terme, 5 agosto-10 settembre 1978, riprodotto in cat.
s.n.
De Pisis a Villa Fiorita, a cura di C. Levi,
Galleria dell’Oca, Roma, novembre 1981,
riprodotto in cat. quarta di copertina
De Pisis, a cura di G. Briganti, Palazzo
Grassi, Venezia, 3 settembre-20 novembre
1983, riprodotto in cat. p. 162, n. A 3
Aria d’Europa. De Chirico de Pisis, a cura di
L. Cavallo, collaborazione di O. Nicolini,
Galleria Farsetti, Milano, Focette, Cortina d’Ampezzo, Prato, giugno-settembre
1987, riprodotto in cat. p. 89, tav. XV
«Le joli secret» di de Pisis. Venti opere, Galleria Farsetti, Milano, 11 giugno-4 luglio
1991, senza catalogo
De Pisis a Brugherio (1949-1953). I capolavori del dolore, a cura di D. De Angelis,
testi di D. De Angelis, N. Naldini, C. Levi,
Biblioteca Civica, Palazzo Ghirlanda, Brugherio, 20 settembre -24 novembre 1996,
riprodotto in cat. n. 44
De Pisis, testi di P.G. Castagnoli, C. Levi,
E. Pontiggia, M. Vallora, M.M. Lamberti,
M.C. Mundici, E. Palaia, Galleria Civica
d’Arte moderna e contemporanea, Torino,
14 aprile-3 luglio 2005, riprodotto in cat.
p. 37 e p. 214, n. 99.
Bibliografia
De Pisis. Catalogo generale, tomo II, 1991,
n. 1952/21
Catalogo De Pisis a Ferrara. Opere nelle collezioni del Museo d’Arte Moderna e
Contemporanea Filippo de Pisis. Catalogo
generale completamente illustrato, direttore
della mostra A. Buzzoni, coordinamento
222
scientifico B. Guidi, Palazzo dei Diamanti,
Ferrara, 12 marzo-4 giugno 2006, riprodotto p. 33, n. 15.
Nella casa di cura di Villa Fiorita a de Pisis avevano risparmiato uno stanzino-serra
per dipingere. La sua ultima camera melodrammatica ormai spoglia: gli oggettini
nei quadri sono gli stessi della sua vita
d’ammalato; qualche boccetta, tubetti,
scatolette di fiammiferi, matite, stecchi;
sembra dipinga con inchiostro e dentifricio, una carestia di materia che rende le
sue pagine ancora più tenere e lampeggiate di quel dramma che rispecchia l’intima
sostanza dell’uomo, ma con la grazia di chi
accondiscende, fino all’ultimo a tenere un
diario delle proprie sensazioni poetiche:
dipinto come accadimento vitale, ancora,
estremo saluto dell’essere al mondo che
l’ha accolto. Forse la grandezza di de Pisis
è soprattutto in questo fine di giornata, in
questa concordanza misteriosa con la luce,
con la dispersione della luce in cenere.
Pier Giovanni Castagnoli nel testo «Apertura su de Pisis» nel catalogo 2005, cit., p.
29: «Natura morta con calamaio, 1952 (tav.
99), violentata dalla luce, scarnificata nelle
forme, fino al confine estremo dell’astrazione».
Nel medesimo catalogo Corrado Levi,
«Effimere su de Pisis», p. 37, riproduce
il quadro e commenta: «Sezione L’ultima
Metafisica. Il periodo di Villa Fiorita, di
cui si è detto della tecnica, mostra un artista, forse unico fra i grandi pittori italiani
del Novecento, capace di rinnovarsi nel
dopoguerra. L’esistente visibile è qui interrogato non più coi colori ma col grigio,
non con la concitazione ma col silenzio,
non con la cultura ma col non sapere.»
223
Nota biografica
Oretta Nicolini
Luigi Filippo Tibertelli nasce a Ferrara nel 1896, terzo di sette figli; fra gli
antenati un Filippo Tibertelli da Pisa o de Pisis, capitano di ventura al servizio
degli Estensi.
I primi studi, come i suoi fratelli, li compie a casa; il prof. Domenichini è il
suo insegnante di disegno e con lui de Pisis inizia anche a dipingere. Frequenta poi le scuole pubbliche fino a conseguire la licenza ginnasiale.
Quando, nel 1906, la famiglia si trasferisce a Palazzo Calcagnini, il giovane
ha a disposizione alcune stanze che arreda a suo gusto: vi dispone il «museo»,
raccolta dei vari oggetti che colleziona, dai libri antichi alle farfalle ai cocci
graffiti; si cimenta con la letteratura, scrivendo novelle e poesie.
Nel 1916 conosce Giorgio de Chirico e Savinio, suo fratello, rientrati dalla
Francia per prestare volontario servizio militare, e destinati a Ferrara. Oltre ai
de Chirico, frequenta il poeta Corrado Govoni che scrive la prefazione al suo
libro di prose liriche I canti della Croara. Nello stesso anno pubblica Emporio,
recensito favorevolmente da Giovanni Boine. Nel 1917 anche Carlo Carrà,
soldato a Pieve di Cento, entra in rapporto con Giorgio de Chirico che andava elaborando in teoria e in pratica la pittura metafisica.
A Bologna, dove frequenta l’Università, de Pisis intrattiene rapporti con Binazzi, Raimondi, Bacchelli, Meriano, Marino Moretti e con il pittore Giorgio
Morandi. È in corrispondenza fra gli altri con Tristan Tzara e con Ardengo
Soffici. Scrive articoli eruditi e recensioni di mostre d’arte. Pubblica Mercoledì
14 novembre 1917 (1918), Prose e Il Signor Luigi B. (1920).
Nel 1920 tiene a Roma, presso la casa d’arte Bragaglia la prima mostra di
disegni e acquarelli; a fine anno a Bologna si laurea in lettere.
Nel 1921 con il trasferimento a Roma si apre per de Pisis un periodo di rinnovati interessi che fanno rapidamente maturare le sue doti creative e le sue
qualità di pittore. Nel 1923 pubblica La città dalle cento meraviglie, Edizioni
Bragalia. Nel 1924, prima di partire per Parigi dove risiederà fino al 1939,
tiene a Roma una mostra personale nel ridotto del Teatro Nazionale.
A Parigi de Pisis trova un ambiente quanto mai congeniale, la città lo affascina
e lo stimola, architettura e natura si fondono nella sua pittura che si arricchisce di luce, leggerezza e libertà di tocco. Quasi ogni anno trascorre i mesi estivi
in Italia, a Rimini o in Cadore, tra Fiera di Primiero e Cortina d’Ampezzo.
Nel 1928 per le Editions des Chroniques du Jour viene edita la prima monografia sul pittore con testo di Waldemar George.
Nel 1930 personale a Milano. Partecipa a Biennali e Quadriennali; piccola monografia con testo di Sergio Solmi nella collana Arte moderna italiana
(Hoepli, 1931).
Nel 1933 soggiorna a Londra, dove si reca per dipingere e visitare i musei.
Nel 1935, di nuovo a Londra, tiene una personale alla Galleria Zwemmer, che
ha buon successo. È ospitato nello studio di Vanessa Bell, sorella di Virginia
Woolf.
224
Nel 1937 esce un libro sulla sua pittura con testo di Paul Fierens nella collana
Art Italien Moderne, curata da Gualtieri di San Lazzaro.
Nel 1939 pubblica Poesie presso la Libreria internazionale Modernissima di
Roma.
Per lo scoppio della guerra rientra in Italia; dopo brevi soggiorni a Venezia,
Rimini, Bologna e Roma, si stabilisce a Milano, via Rugabella 11. Diversi altri
artisti risiedono nel caseggiato a fianco, il n. 9: Marino Marini, Cantatore,
Borra, Salvadori, l’architetto Mancini, lo scrittore Sinisgalli. Mostre personali
e collettive a Milano e in altre città. Sala personale nel 1942 alla XXIII Biennale di Venezia. Nell’agosto 1943 il bombardamento di Milano lo induce a
lasciare la città e a trasferirsi a Venezia. Si sistema nello studio di San Barnaba,
mentre viene approntata anche la casa in San Bastian.
De Pisis vive immerso nel clima sospeso della città lagunare, gode la ricchezza
leggiadra dei suoi monumenti, a contatto con gli artisti del Sei e Settecento
che tanto ha amato. La sua pittura si spoglia così di qualsiasi rigidità, tutto
appare come fatto di acque colorate, di luci, le architetture dei paesaggi, gli
oggetti, e pure i corpi dei giovani modelli: ne resta ormai solo la traccia diafana, emozionante, un’evocazione lirica e struggente.
Nel 1947 torna a Parigi con la nipote Bona, che da due anni vive con lui a Venezia. Sala personale alla Biennale di Venezia del 1948. Si manifestano i primi
sintomi della malattia nervosa che non smetterà più di tormentarlo.
Nel 1949 viene ricoverato a Villa Fiorita, la clinica di Brugherio, presso Monza, dove con brevi interruzioni rimarrà fino alla morte. Qui, nella serra, gli
viene allestito una specie di studio, dove il pittore potrà continuare a dipingere quadri e acquarelli trasparenti come i vetri opachi che lo circondavano,
fragili ricordi di una vita vissuta senza risparmio di emozioni.
Nel 1951 grande mostra a Ferrara, Castello Estense con prefazione in catalogo
di Giuseppe Raimondi che firma pure il testo per il catalogo della mostra alla
Biblioteca Olivetti di Ivrea.
Filippo de Pisis muore a Milano il 2 aprile 1956.
225
Indice dei testi
7
11
Presentazione, Franco e Frediano Farsetti / Giulio Tega
Filippo de Pisis. Pittura primo amore, Luigi Cavallo
1896 – 1925
31
Filippo Tibertelli de Pisis. Notizie biografiche, [Filippo de Pisis]
35
Un compagno di gioventù, nella città di Ariosto,
Giuseppe Ravegnani
Roma, alle grotte di Bragaglia, Virgilio Guzzi
37
1925 – 1939
57
Visita alla casa-studio di rue Servandoni, presso Saint-Sulpice,
Nicolò F. Mancuso
59
Uno sguardo ai surrealisti antichi e moderni, Filippo de Pisis
64
Il connaisseur a Parigi, Filippo de Pisis
1939 – 1943
157
Frammenti di arcobaleno, Raffaele Carrieri
159
Visita alla casa milanese del pittore, Ettore Della Giovanna
161
A Pisa, petali sul selciato, Giuseppe Viviani
1943 – 1956
191
Da Milano a Venezia, Luigi Cavallo
195
Bellezza, emozione piena, Cesare Zavattini
196
A Brugherio, il crepuscolo del poeta, Marco Valsecchi
224
Nota biografica, Oretta Nicolini
Scarica

Untitled - Casa d`aste Farsettiarte