Raimondo Vinella, un medico e il suo “auto da fé” Vinella, Raimondo Putignano 1779 Galatina 1858 Taranto, Galatina Medicina La mattina del 16 agosto 1822, a Lecce, il professore di medicina don Raimondo Vinella di Galatina, ammanettato come un volgare malfattore, veniva accompagnato da due gendarmi dal carcere di San Francesco al Tribunale, per essere processato. Nei suoi confronti pendeva l'accusa di “materialismo” ed oltraggio alla religione per le idee contenute nel Quadro politico in cui trattasi la causa dell'umanità, della cui pubblicazione, avvenuta nel 1821, lo stesso autore si pentiva amaramente. “Grave errore io ho commesso nell'aver pubblicato il mio quadro”, scrisse nella sua autobiografia. Nella difesa che egli chiese di pronunciare prima dell'arringa del suo avvocato, Vinella affermò “di adorare un Dio, di non aver offeso l'umanità […], di amare la bellezza della religione cristiana” e soprattutto sottolineò che “il concetto di Natura che lì espongo non deve essere preso in senso opposto alla nostra religione”. La Gran Corte, all'unanimità, condannò Raimondo Vinella ad un anno di reclusione, a cinquanta ducati di multa, al pagamento delle spese processuali e soprattutto all'immediato sequestro di tutte le copie dell'opuscolo incriminato, che dovevano essere bruciate. Chi era il protagonista di questa amara vicenda di censura libraria l'indomani della ventata rivoluzionaria dei moti del 1820-21? Egli stesso, nel volume Le amarezze e lagrime del prigioniero dottor Raimondo Vinella, autobiografia edita nel 1846 e preceduta da alcune lettere indirizzate alla moglie e ad alcuni “amici fraterni”, descrisse i tratti salienti della sua vicenda umana e professionale. Nacque a Putignano il 14 maggio 1779, mostrando un temperamento “sensitivo, irritabile, immaginoso, appassionato”. Fu affidato dai genitori alla “direzione del sacerdote D. Giuseppe Campanella” ed entrò, nel 1794, nel Seminario di Conversano per approfondire lo studio delle belle lettere e ricevere i quattro ordini minori. L'invasione del Regno da parte dell'esercito francese lo costrinse, nel 1799, ad arruolarsi. Fu proprio in tale occasione che, “sedotto da giovani immorali corruttori, aspidi i più velenosi del cuore umano, che cercano di abbattere le antiche istituzioni stabilite da leggi eterne della ragione e della morale”, abbandonò l'abito talare e iniziò a studiare filosofia. Così, seguendo l'esempio di alcuni suoi concittadini, si recò a Napoli per applicarsi nello studio della fisica, della matematica, dell'anatomia e della medicina teorico-pratica sotto la guida di illustri professori tra cui l'insigne massafrese Nicola Andria [vedi scheda]. Si dedicò anche alla chirurgia, all'ostetricia nonché alla filosofia morale e alla botanica. Nominato, nel 1805, chirurgo dell'Ospedale militare di San Giovanni a Carbonara, vi rimase per poco tempo a causa di forti dissensi con i colleghi. Scelse di recarsi a Salerno, dove conseguì la laurea in Chirurgia il 20 settembre del 1807, facendo in seguito rientro nella sua Putignano, per esercitarvi la professione di medico. Anni fecondi quelli che seguirono: dapprima l'incontro con la vedova Marina Calichiopulo, conosciuta a Napoli e divenuta sua moglie nel 1809. Con lei si trasferì a Taranto, dove rimase per otto anni e pubblicò, in seguito a lunghe osservazioni, un'importante monografia dal titolo Febbre sporadica contagiosa di Taranto, sul tifo petecchiale che aveva colpito la città tra il 1814 e il 1817. L'opera si poneva, non senza originalità, nel 206 solco tracciato dal collega lombardo Giovanni Rasori (17631837), il quale aveva pubblicato un accurato resoconto sulla medesima epidemia di tifo petecchiale, che aveva flagellato la città di Genova tra il 1799 e il 1800. Studi analoghi sarebbero stati compiuti, successivamente, da illustri colleghi quali Pasquale Manni [vedi scheda], che aveva pubblicato un volume sulla febbre petecchiale di Lecce, e Giovanni Carelli, che, nella Clinica delle febbri perniciose per le osservazioni di quindici anni, aveva descritto alcuni casi osservati in provincia di Bari, dal 1819 al 1833, e curati, per lo più, con l'uso del solfato di chinino. Fu ancora una volta l'invidia di “alcuni mediconzoli tarantini”, in seguito alle lodi ricevute dall'Intendente della Provincia, Domenico Acclavio, per l'opuscolo sul tifo petecchiale, a spingere Raimondo Vinella ad accettare l'invito, di un fraterno amico di Galatina, don Pietro Cadura, a trasferirsi definitivamente in quella città, dove ottenne “una lieta e cordiale accoglienza”, un assegno annuo nonché la nomina a medico-cerusico dell'ospedale civile e di altri stabilimenti. Eccezion fatta per le avversità del 1822-23, egli vi rimase sino al 1858 anno della sua morte. Notevole la sua produzione medico-letteraria, pubblicata a partire dal 1807. Tra le opere più importanti i Principi di chirurgia medica, fondati sull'esperienza, e sul sistema di Brown (1807), il Quadro di cognizioni fisiologiche adatte all'intelligenza di tutti (1806), L'Epidemia contagiosa di Taranto 1816-17 (1818), il Saggio di direzione e di cura fisico-morale dell'uomo (1833). Lo storico Raffaele D'Addosio affermò che tutte le opere di Raimondo Vinella furono pubblicate in 10 volumi dalla tipografia del Filiatre-Sebezio di Napoli; molte di esse furono composte in collaborazione con l'eruditissima moglie Maria Calichiopulo. Vinella svolse la sua professione in quell'estremo lembo del Regno di Napoli, quale fu il Salento, in un contesto medicoculturale che aveva recepito i profondi mutamenti della medicina di inizio Ottocento. Tra le idee innovatrici che determinarono tale rinnovamento ottennero un notevole successo le teorie del medico scozzese John Brown (1735-88), affermatesi in Europa dopo la pubblicazione, nel 1780, dell'opera Elementa medicinae. Singolare si manifestò la posizione di Vinella, il quale, facendo propri i concetti di “eccitabilità”, “stimolo” e “forze eccitanti” enunciati da Brown, pubblicava nel 1807 i Principi di chirurgia medica, fondati sull'esperienza, e sul sistema di Brown. Egli si riconosceva debitore all'“immortale Brown della scoperta che i stimoli tutti agiscono nella stessa maniera eccitando l'economia animale” e asseriva che la “la chirurgia-medica […], figlia dei bisogni dell'uomo” dovesse avere come oggetto “innanzi tutto la conservazione della salute o il riparo tostoché sia sconcertata […]. Proprio perché un medico-chirurgo abbia un'idea generale dei rimedi […] fa d'uopo che sia anatomico, fisiologo, chimico, botanico, patologico”. Sulla scia dell'innovazione introdotta dal sistema brunoniano nella classificazione delle malattie, Vinella presentava nei Principi una attenta e minuziosa distinzione di queste ultime, che venivano classificate in asteniche, iperasteniche, universali e locali. Ora pur riconoscendo l'originalità di Brown nel respingere le tassonomie degli antichi, Vinella affermava che il medico scozzese era caduto in alcuni errori, i quali “verificheremo coi fatti”. Laddove ad esempio Brown designava con il nome di “febbre le malattie nelle quali il polso non è alterato in maniera turbolenta “ e “pyrexiae quelle in cui, al contrario, il polso è alterato in modo turbolento”, Vinella confutava che, “se il vocabolo febbre in italiano vale lo stesso che piressia in greco, ossia stato infiammatorio […], dobbiamo conseguentemente conchiudere di non avere il precitato Autore [Brown] ben definito la febbre […]. Saremo obbligati di ritrovare due termini della stessa lingua, uno che risvegliasse l'idea della febbre dipendente dallo stato di debolezza generale, l'altro della febbre infiammatoria […]. La surriferita classificazione merita di essere del tutto ribaltata. Si riterrà che le febbri intermittenti possano essere prodotte sia dalla debolezza che dall'eccessivo vigore”. LDP Cenni bibliografici Letteratura secondaria: Letteratura primaria: Giusto D., Dizionario bio-bibliografico degli scrittori pugliesi viventi e dei morti nel presente secolo, De Bonis, Napoli 1893, p. 213. Jacovelli G., Gli acquedotti di Cotugno. Medici pugliesi a Napoli tra illuminismo e Restaurazione, Congedo, Galatina 1988, pp. 80-81. Principi di chirurgia medica, Fondati sull'esperienza, e sul sistema di Brown, A. Coda, Napoli 1807. Quadro politico in cui trattasi la causa dell'umanità, Agianese, Lecce 1820. Saggio di direzione e di cura fisico morale dell'uomo, Tramater, Napoli 1833. Le amarezze e lagrime del prigioniero dottor Raimondo Vinella, Filiatre-Sebezio, Napoli 1846. Jacovelli G., Niccolò Andria, professore di medicina in Napoli, e la crisi del pensiero medico italiano del primo Ottocento, «Archivio storico pugliese», XXXV (1982) I-IV, pp. 459-65. Sisto P., I fantasmi della ragione. Letteratura scientifica in Puglia tra Illuminismo e Restaurazione, Schena, Fasano 1998, pp. 179-99. Vacca N., Un “auto da fé” ed un processo per “materialismo” a Lecce nel 1822, «Archivio storico pugliese», XIX (1966), pp. 237-61. Vallone A., La prosa “ortisana” di Raimondo Vinella, medico, «Bollettino storico di terra d'Otranto», V (1995), pp. 7-21. La diffusione delle teorie di John Brown (1735-88) nella Scuola di Napoli John Brown fu allievo del celebre William Cullen (1710-90), della Scuola di Edimburgo, il quale aveva individuato la capacità dell'organismo a risentire di stimoli esterni. Brown condivise tale affermazione sostenendo che la vita si presentava come uno stato “forzato”, che richiedeva di essere continuamente sollecitato da stimoli sia ambientali, come ad esempio l'aria, sia presenti in canali o cavità dell'organismo, come il sangue o gli alimenti. La proprietà fondamentale era l'“eccitabilità”, posseduta dalla sostanza midollare, dai nervi e dai muscoli. Le condizioni di vita erano correlate all'intensità degli stimoli, il cui aumento o diminuzione divenivano causa di stati patologici (definiti da Brown “stenici” o “astenici”), la cui cura si basava sull'uso di sostanze come l'etere, la canfora o l'oppio. Del medico scozzese affascinava la chiarezza teorica e soprattutto l'uso di un “linguaggio […] puro, espressivo, semplice ed intelligibile più di quello di cui si sono serviti fino al giorno d'oggi i medici pratici”, scriveva Valeriano Luigi Brera (17721822) nella Classificazione delle malattie secondo i principj di Brown esposta in una tavola descritta e delucidata, pubblicata a Venezia nel 1799. In Italia il brownismo ebbe numerosi seguaci, soprattutto nell'area settentrionale. Fu il medico lombardo Pietro Moscati (1739-1824) a far conoscere, a Milano, nel 1792, l'editio prima italica dell'opera di Brown, mentre Giovanni Rasori (1763-1837), profondo conoscitore della lingua inglese, pubblicò a Pavia, sempre nel 1792, la prima traduzione dell'edizione appunto inglese, col titolo di Compendio della nuova dottrina medica di G. Brown. L'adesione alle teorie di Brown non significò, tuttavia, una pedissequa accettazione, anzi a partire dal 1793, lo stesso Rasori cominciò a prendere le distanze da tali teorie, sulla scorta della propria esperienza clinica. Fu proprio nell'ambiente della medicina napoletana che si palesarono notevoli resistenze nei confronti del movimento di ispirazione brunoniana. Il valore della medicina era, qui, correlato al suo essere utile. “La medicina vuol fatti, e non ragioni”, affermava con veemenza Domenico Cotugno [vedi scheda]. E ancora: “Cognizioni pratiche sono le cognizioni mediche, e lo spirito della medicina è l'esser in lei ogni cosa di fatto”. Giuseppe Maria Galanti (1743-1806) ribadiva che “le speculazioni in questa professione sono quasi sempre vane e talvolta pericolose. Non siamo sicuri di certi metodi, che per la esperienza”. La polemica nei confronti di Brown si esplicitò nell'opera Prime linee di logica medica di Giustino Marruncelli, il quale sottolineava come la medicina non dovesse ridursi ad essere “arte congetturale, incerta, vacillante, da cui vantavi Brown di averla sottratta. Le strade dell'osservazione e de' fatti sfidano gli oltraggi di tutti i tempi e di tutti i secoli e si confondono con l'eternità. Se i medici di tutte le 207 epoche avessero raccolto unicamente ciò che è il risultato de' fatti e delle osservazioni da Ippocrate sino a noi la medicina avrebbe potuto occupare quel posto che si cuopre dalle altre scienze che si chiamano esatte”. di Brown, ancora di Weikard, opera tradotta da Valeriano Luigi Brera, e le Riflessioni sulla dottrina browniana riguardanti le debolezze dirette, indirette e miste, del medico ruvese Michele Jatta. Nel Regno di Napoli le dottrine di Brown, pur non godendo di eccessiva credibilità, furono diffuse grazie alle numerose traduzioni in lingua italiana. Nel 1796 gli Elementa furono tradotti, quindi stampati dai fratelli tipografi Antonio e Luigi Marotta, i quali, sempre nello stesso anno, pubblicarono il Prospetto di un sistema più semplice di medicina di G. Brown ossia Dilucidazione e conferma della Nuova Dottrina Medica di Brown, di Melchior Adam Weikard, curato da Joseph Frank. Sempre per i tipi Marotta vedevano la luce nel 1797 La dottrina di Brown delucidata in vari punti dal dottor G. Mocini in vari punti contraddetti dal dottor Gaetano Strambio nelle sue riflessioni sul libro intitolato Johannis Brunonis elementa medicinae e Il sistema di Brown difeso da varie imputazioni, di Pietro Riccobelli. Nel 1801 i Marotta stampavano gli Elementi di medicina pratica fondati sulla esperienza e sul sistema Nel 1802 fu la volta della stampa del secondo e del terzo volume dell'opera monumentale, in 10 volumi, Biblioteca Medica Browniana Germanica, che conteneva “una fedele traduzione delle migliori opere sopra la teoria di Brown pubblicate in Germania dall'anno 1795 fino al giorno presente”. Nello stesso anno presso Nobile veniva pubblicato il Trattato teoretico-pratico sulla podagra secondo il sistema di Brown, di Giuseppe Fieramosca che dava alle stampe, l'anno seguente, con l'editore De Turris, le Riflessioni al sistema di Medicina del dottor Brown, dedicata al medico leccese Cosimo Moschettini [vedi scheda]. Nel 1807 Raimondo Vinella pubblicava, con Angelo Coda, i Principj di chirurgia medica fondati sull'esperienza e sul sistema di Brown, infine, nel 1811, Perger ristampava gli Elementi di Medicina di Brown. L’eccitabilità “Eccitabilità un sol termine la disposizione che hanno le parti del corpo a risentire l'azione di qualunque agente. Dall'osservarsi che uno stimolo agendo su di una parte macchinale la sua azione si propaga per tutto il sistema; ciò ci fa ancora conchiudere che l'eccitabilità è unica ed indivisibile [...]. La vita è il prodotto delle potenze eccitanti che agiscono sull'eccitabilità. La morte sarà inevitabile quando la macchina non è più eccitabile o quando mancano di agire i stimoli sull'eccitabilità. Potenze eccitanti si intendono da Brown gli esterni influssi che agendo sull'eccitabilità ravvivano l'organismo. Le forze eccitanti che ravvivano la natura sono il calore e l'aria, quelle necessarie alla produzione della vita sono il cibo i liquidi spiritosi.” R. Vinella, Principi di chirurgia medica, Fondati sull'esperienza, e sul sistema di Brown, A. Coda, Napoli 1807, pp. 21, 24. Giuseppe Pacelli, il disegnatore di carte corografiche Pacelli, Giuseppe Manduria 1764 Lecce 1811 Oria, Otranto Geografia, cartografia Giuseppe Pacelli nasce a Manduria il 23 settembre 1764 da Pietro e Francesca Paola Viglietta. A nove anni, al Seminario di Oria, inizia a frequentare le lezioni di Matematica e Fisica di don Gaspare Papadotero, il quale gli fa dono di carte geografiche, che l'allievo ama rimirare nel tempo libero. L'ingegno del giovane non passa inosservato, tanto che il vescovo della diocesi di Oria, Alessandro Calefati, rettore dell'Università, lo prende a cuore. Addottoratosi nel 1785, Pacelli viene nominato lettore di Geografia, coprendo la cattedra che Calefati istituisce nel Seminario proprio in quell'anno. Il primo incarico ufficiale che riceve consiste nella compilazione della carta topografica della diocesi oritana. Dopo due anni, lo studioso preferisce lasciare la cattedra di Geografia e, divenuto canonico, passa ad insegnare Lettere, Poetica e Lingua greca. Intanto, nel 1795, viene data alle stampe, a Napoli, la sua prima opera, gli Elementi di geografia per uso del Seminario d'Otranto, un testo in cui è possibile ravvisare una certa impronta aristotelica. Si trasferisce ad Otranto, dove insegna Lettere e Lingua greca. Qui, oltre ad introdurre l'insegnamento della Geografia, inizia a dedicarsi alla raccolta del materiale per la realizzazione dell'Atlante Sallentino, che, nelle sue intenzioni, andrebbe ad integrare l'atlante oritano, ultimato nel 1803 e contenente mappe e notizie inedite sulle circoscrizioni ecclesiastiche della 208 subregione. Nel processo di elaborazione delle carte prevalgono forme di conoscenza qualitativa, che tuttavia consentono uno sguardo allargato alle forme, funzioni e relazioni socioeconomiche del territorio. Portato a termine nel 1807, su fogli di carta bambagina, l'Atlante Sallentino è pregevole per il contenuto antropo-geografico; la sua esecuzione rimane nondimeno ancorata alla tradizione tardosettecentesca, soprattutto per la concezione del disegno, spesso arricchito dall'interpretazione soggettiva dell'artista. A fine Settecento, la rilevazione topografica del Regno è ancora incompleta (un terzo del territorio) e la Terra d'Otranto non è ritratta in nessuna mappa sistematica. La Carte du théâtre de la guerre lors des premières campagnes de Bonaparte en Italie [La carta del teatro della guerra al momento delle prime campagne di Bonaparte in Italia], del 1802, prima ed unica rappresentazione corografica del territorio, viene realizzata dall'ingegnere e geografo militare Bacler Dalbe (1761-1824), su richiesta di Napoleone. Si tratta di un esempio tipico della produzione della cartografia pre-geodetica; contiene inoltre numerosi errori ed osservazioni inverosimili. L'intenzione dell'autore, capo dell'Ufficio Topografico, è sintetizzare in una rappresentazione uniforme le cartografie degli stati italiani, costruendo una grande carta (rapporto di 1:259.00), articolata in 30 fogli, per tutto il territorio nazionale. La Penisola