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COMUNICAZIONE
L’ospedale come medium comunicativo e pubblicitario. MultiMedia
Hospital ci prova.
Sono sempre i burocrati a non saper cogliere le occasioni tipiche del mercato? A far luce sulle
opportunità che si presentano anche in un settore come quello ospedaliero è Marco Stancati, in
un articolo pubblicato su NEXT-Strumenti per l'Innovazione (ed. S3 Studium) e riproposto oggi
da Eccellere.
di Marco Stancati
“Fosse per me…la sua è un’idea splendida, ma non ci sono le condizioni. C’è troppa burocrazia intorno,
fosse per me…” E già: sono sempre gli altri i burocrati ottusi, i privi di coraggio, quelli che non capiscono e
non colgono le occasioni. Ogni volta che qualcuno esordisce elogiando “l’idea” (straordinaria, geniale,
creativa, unica…) quasi sempre vuol dire che quello è il massimo che è disposto a concedere: i complimenti
per la trasmissione insomma. Quanto poi ad impegnarsi in un progetto, non se ne parla neanche. E i
direttori delle ASLL (generali, sanitari, amministrativi) mi facevano i complimenti, ma nessuno prendeva in
seria considerazione l’Ospedale come medium comunicativo: per l’informazione sanitaria, per la stessa
comunicazione interna alle strutture ospedaliere, per le campagne sociali dell’Inail, e (perché no?) per
pubblicità commerciale a pagamento.
Eravamo all’inizio del 2000, Gianni Billia era Presidente dell’Inail e mi aveva voluto come Responsabile della
Comunicazione, con un mandato preciso: “Ha carta bianca perché questo Paese si occupi finalmente
d’infortuni e sicurezza sul lavoro, ma voglio i risultati. E li voglio ieri”. Il budget era piuttosto contenuto e io
mi aggiravo alla ricerca di nuovi media e di nuovi spazi per la comunicazione istituzionale, con un’idea
guida mutuata dal mio Presidente “fare rete nella Pubblica Amministrazione.”. Mentre ero in un ambulatorio
del policlinico Umberto 1° di Roma cominciai a chiedermi quanta gente, tutti i giorni, soggiornasse nelle
sale d’attesa delle ASL d’Italia senza avere niente di meglio da fare che farneticare sul proprio stato di
salute, sull’ansia di benessere e di restauro (chirurgia estetica, fisioterapia, dermatologia sono le aree più
intasate), di digitare sul telefonino, e perfino di leggere deprimenti “comunicazioni della direzione
sanitaria”.Tutto quel pubblico mi appariva interessantissimo dal punto di vista comunicativo perché era in
attesa di qualcosa e non chiedeva di meglio che essere intrattenuto. Tutte quelle pareti, bianche (almeno
nelle intenzioni) o di un grigio intristito, di un verdolino indefinibile o celeste avariato, mi sembravano
sprecate nella loro nudità messa in discussione soltanto da polverose comunicazioni della direzione
sanitaria, tenute su grazie a strisce di cerotto. “Una comunicazione ferita” mi venne da pensare.
Iniziai un’indagine empirica sui tempi medi d’attesa del pubblico e sulle attività. Circa 20 minuti, prevalente
l’uso del telefonino, frequente la lettura, al terzo posto il gossip da ambulatorio, parente delle “chiacchiere
da bar”: al posto del calcio ci sono eclatanti vicende sanitarie personali o di amici, positive (“miracolato”,
“mo’ sta come ‘n grillo”, “, “novo, l’hanno fatto novo”) o negative (“er povero Gino, Nando, Peppe…” che, a
Roma, è l’epitaffio sintetico dei trapassati indipendentemente dalla situazione patrimoniale dei medesimi).
Con una classifica, in continua e dialettica evoluzione, di primari, aiuti e specialisti: di volta in volta
bravissimi, santi subito, o felloni da malasanità.
Un amico fisiatra, responsabile di reparto, ci consentì di montare, in due sale d’attesa, bacheche che
potessero ospitare manifesti con informazioni sulla prevenzione infortuni dentro casa e sul posto di lavoro.
Il report fu più che incoraggiante: il 90% degli utenti prese in considerazione i manifesti, e di questi il 75%
si avvicinò per leggere tutto il body copy (il testo insomma), il 40% commentò ad alta voce o scambiò
opinioni. Nel secondo ambulatorio, dove avevamo collocato anche un dispenser, brandizzato Inail e con il
numero verde in grande evidenza, i 300 opuscoli per prevenire gli incidenti casalinghi, erano già esauriti a
metà giornata e, alla fine della mattinata, il call center ricevette una ventina di chiamate di persone che
chiedevano l’opuscolo e/o informazioni. Ripetemmo per tre volte l’esperimento con qualche variante, ma il
risultato restava chiarissimo: le sale d’attesa delle ASL potevano assicurare contatti di qualità (per tempo
dedicato, disponibilità degli utenti, possibilità di innescare passaparola e commenti) alla comunicazione
sociale presentata con tecniche pubblicitarie o parapubblicitarie. E probabilmente anche alla pubblicità
commerciale che tenesse conto d’alcuni vincoli ambientali e di contenuto.
Un’altra idea affascinava me e i miei collaboratori: avevamo sperimentato una comunicazione che rientrava
nei canoni più classici dell’“esterna” (manifesti, affissioni) con qualche contaminazione di below the line
(opuscoli, dispenser brandizzati) e di “integrata” (rinvio al sito Inail e al callcenter). E se negli ambulatori
qualche concessionaria illuminata decidesse di installare un circuito televisivo con un palinsesto editoriale
specifico sul quale innestare un palinsesto pubblicitario? Insomma una sorta di Outdoor Television del
Sistema Sanitario Nazionale (o regionale) che veicolasse in maniera divulgativa e attraente contenuti
informativi garantiti, formazione a distanza, campagne sociali, comunicazioni di servizio. La vendita degli
spazi pubblicitari avrebbe potuto finanziare il sistema. E, inoltre, stante la progressiva convergenza dei
media, quali strade avrebbe potuto aprire Internet su quegli stessi schermi?
In preda a raptus progettuale contattai direttori amministrativi, direttori sanitari, primari, direttori generali
illustrando le possibilità che si aprivano sia sotto il profilo della comunicazione sia del Fund Raising,
proponendo una prima collaborazione sperimentale con l’Inail. Ma le risposte restavano tragicamente
ancorate a quel “fosse per me…” C’erano indubbiamente alcuni problemi oggettivi: l’individuazione degli
spazi d’affissione, la vendita e la gestione degli stessi, la manutenzione degli impianti, l’individuazione di
uno schema contrattuale che tenesse conto della natura privatistica dell’attività, ecc. Tentai anche un’altra
strada. Contattai due grandi concessionarie di pubblicità: una specializzata in “esterna” e una “plurimezzi”
per sondare la loro reazione all’idea di un circuito comunicativo-pubblicitario delle ASL. Pure loro mi fecero i
complimenti per la trasmissione e, una delle due, anche un offerta di lavoro come direttore marketing.
“Grazie sto bene dove sto; allora che ne dite?” Solita tiritera: la sua visione è affascinante ma, vede, una
concessionaria di un nuovo circuito valuta l’atteggiamento, il sentiment della popolazione che lo frequenta e
“in ospedale c’è gente inevitabilmente triste, sono degenti…”
Falso! I “degenti” rappresentano meno del 5% della popolazione di un ospedale. Più del 95% è costituito da
popolazione attiva (dipendenti, familiari, studenti, volontari, fornitori, pazienti ambulatoriali) che
“attraversano” l’ospedale o si adoperano per quel 5% che combatte per riconquistare la salute. Le
resistenze all’introduzione d’attività pubblicitaria all’interno dell’ospedale si basa su una serie di polverosi
luoghi comuni il primo dei quali, come abbiamo visto, è smentito dai dati. Inoltre questi luoghi comuni non
tengono conto delle nuove culture del benessere: si frequentano gli ambulatori anche per assicurare
continuità allo star bene e per “apparire” meglio. Insomma sempre meno “pazienti” della sanità e sempre
più protagonisti del processo salute: perfino il Ministero di lì a poco si sarebbe adeguato cambiando il
nome…
Niente da fare. Stavo per abbandonare la partita quando mi segnalarono, nel dicembre del 2000, l’esistenza
di una concessionaria, nata da poco, che aveva consorziato una cinquantina di ospedali nel Nord Italia:
MultiMedia Hospital (MMH). Credo sia stato uno dei pochi casi in cui fui io, inserzionista, a cercare la
concessionaria e non viceversa, ma era successo anche con Telesia Sistemi, che cominciava a gestire il
principale network di schermi negli aeroporti italiani, e che rimase sorpresa che fosse un Ente pubblico, tra i
primissimi, a sperimentare (e con successo, a consuntivo) il nuovo mezzo e a suggerire format e soluzioni
creative.
Certo il circuito MMH non era, e non è, nazionale perché localizzato solo al Nord, il “multimedia” era un
dolus bonus più che una realtà, dal momento che il circuito era all’epoca solo d’affissioni, ma l’idea di poter
utilizzare un network di 50 ospedali era seducente, visto il pubblico al quale ci saremmo rivolti in prima
battuta: essenzialmente le casalinghe. Che sono una quota consistente della popolazione che frequenta gli
ambulatori per se o per accompagnare familiari. Partimmo quasi subito, nel gennaio del 2001 e per tutto il
mese, con la campagna sull’assicurazione contro gli infortuni domestici. Con una ottima redemption: il 10%
circa delle assicurate “lombardo-venete” di quell’anno rispose al sondaggio dicendo di avere letto/saputo
dell’assicurazione in ospedale.
Bruno Della Negra, amministratore delegato e fondatore della concessionaria MMH, ha una somatica
nordica. E’ un torinese milanesizzato con un volto senza fronzoli, tratti somatici sintetici e asciutti, una
faccia vagamente da avatar propositivo: per età, quarantacinque anni, non può essere un “nativo digitale,
ma gli assomiglia. E’ un ingegnere che si è consolidato nel mondo della comunicazione, della pubblicità e
delle relazioni pubbliche; è stato anche amministratore delegato della Burson e Marsteller e socio della Pepe
& Rossi. L’ho incontrato per la prima volta nel 2008 perché mi aveva chiamato a partecipare, nella veste di
docente di Media planning della Sapienza, ad una tavola rotonda ad Exposanità a Bologna, proprio sul tema
delle strutture ospedaliere come medium pubblicitario. Rimase a bocca aperta, quando all’inizio del mio
intervento snocciolai tutti gli argomenti dei sostenitori del “no” (“la pubblicità è invasiva”, “incompatibilità
tra fini di lucro e fini istituzionali”, “manipolazione di un target debole”, “chi soffre non consuma”,
“mancanza di test di verifica del gradimento”, “mancanza di un quadro normativo definito”, “impossibilità di
calcolare i GRP” ecc.) senza tralasciare neanche la scomunica di Silvio Garattini dell’Istituto Negri di Milano
(“non è etico!”). Riprese fiato, chiuse la bocca e alzò impercettibilmente un sopracciglio, quando demolii o
ridimensionai queste argomentazioni ricordando, tra l’altro, che una recente ricerca Bates afferma che più
della metà delle ASL italiane è disponibile ad ospitare messaggi pubblicitari e che, fin dalla legge Finanziaria
del 1998, il legislatore ha autorizzato la comunicazione pubblicitaria nelle pubbliche Amministrazioni.
Da bravo ingenere, Della Negra comincia dai numeri. MMH è un netrwork di 65 ospedali e 120
poliambulatori pubblici, 400mila utenti giornalieri, tre circuiti: GATE (strade interne, ingressi, hall, corridoi
con 600 postazioni), WAIT ( 400 postazioni essenzialmente nelle sale d’attesa degli ambulatori e nei CUP) e
LIFT (le porte esterne degli ascensori destinati al pubblico), una ricerca mirata e periodica realizzata da GFK
Eurisko sul “gradimento” con uno storico di 3000 interviste. Il tutto al servizio di questa mission: fornire al
mercato un nuovo media in grado di garantire qualità ed efficacia agli interventi di comunicazione delle
aziende sponsor e, nello stesso tempo, dare la possibilità alle strutture di utilizzare i medesimi spazi per un
processo comunicativo più organico e continuo con l’utenza. D’accordo, ma in pratica cosa fate? MMH
individua e propone le soluzioni e i luoghi atti a sviluppare le potenzialità mediatiche dell’ospedale; attrezza
a proprio carico gli stabilimenti ospedalieri con impianti idonei; gestisce le attrezzature per il tempo di
durata della concessione (manutenzione, sostituzione, assicurazione ed ammodernamento); ricerca e
gestire i clienti; effettua il monitoraggio periodico; destina alle campagne di pubblica utilità ed alle
informazioni di servizio una percentuale di spazi da concordare in convenzione.
In sintesi zero spese per le Aziende Sanitarie, tutti i costi d’installazione, commercializzazione e generali
sono a carico di Multimedia Hospital. Ogni anno una parte dei ricavati della raccolta, sotto forma di
Royalties, è versata alle Aziende sanitarie; inoltre viene messo a disposizione per la comunicazione delle
Aziende uno spazio dedicato. Spazio per la comunicazione sanitaria che è il punto nodale del nuovo
progetto MMH Channel: “Ci prepariamo oggi a digitalizzare il network; evoluzione questa che permetterà
all'ospedale di diventare a pieno titolo un media, anzi un Ambient Media. Il media ospedale si prepara
quindi a comunicare se stesso, con le stesse malizie e la stessa efficacia della comunicazione commerciale
che lo ha pacificamente invaso in questa prima parte del progetto”. E cioè, ingegnere? Della Negra cita il
Censis: il 41% degli italiani ritiene che i due maggiori fattori di cambiamento della futura organizzazione
ospedaliera saranno l’invecchiamento della popolazione e la maggiore informazione sanitaria agli utenti.
Quindi ? “Ogni sala d’attesa in area ospedaliera, attrezzata con la corretta tecnologia, rende possibile
impiegare utilmente il tempo degli utenti per tradurre e divulgare in un linguaggio accessibile i grandi temi
della sanità e della salute. Questi temi spesso sono di difficile trattazione tramite gli strumenti caratteristici
dell’ufficio stampa o attraverso campagne pubblicitarie fatte sui media generalisti. Le ricerche svolte
(tramite GFK Eurisko; n.d.r.) c’indicano invece che, nel momento dell’attesa in area ospedaliera, il pubblico
ha rivelato una disponibilità ed una capacità di memorizzazione delle informazioni molto superiore alla
media.”
In pratica (ha visto, Presidente Billia?) quell’intuizione di nove anni fa di una TV Outdoor con un palinsesto
editoriale dedicato ai temi core business della salute, sul quale innestare un palinsesto pubblicitario che
sostenga finanziariamente l’iniziativa, comincerebbe a trovare attuazione. Dove? In Lombardia, grazie ad
una regione che sembra più pronta degli altri a fare innovazione. Ma MMH è disponibile e pronta ad
espandersi in ogni regione che si dimostri disponibile.
Da solido ingegnere, che non spreca le occasioni, Della Negra mi chiede, in chiusura, una lettura critica.
Eccola: in un Paese addormentato dal punto di vista dell’innovazione comunicativa e pubblicitaria, MMH ci
prova a creare un nuovo circuito dalle grandi potenzialità. Ma deve investire al Centro Sud, ingegnere. Ad
eccezione di Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli e Trentino, il network ha un andamento da esame di
laboratorio: qualche cellula nel Lazio e tracce in Sicilia. Inoltre occorrerà trovare un sistema di certificazione
degli “ascolti” riconosciuto; i suoi account commerciali sono bravi, ma la mancanza di una sorta di
Audihospital non li aiuta. Quanto al processo di digitalizzazione è l’unica strada, anche perché può garantire
l’equilibrio tra palinsesto editoriale sui temi della salute, che dovrebbe essere l’obiettivo qualificante delle
ASL (e non le royalties, che suppongo comunque modeste), e palinsesto pubblicitario. Occorre poi, in
un’epoca di convergenze dei media, rivedere il ruolo promozionale di Internet, a cominciare dal sito di MMH
che per struttura, colori, contenuti è da dieta ospedaliera: clinico e asettico. Anche il logo aziendale appare
piuttosto anonimo, articolato su due frecce tristarelle, che sembrano quelle dell’INPS andate in pensione:
per il logo avanzo istanza di pronto e immediato restyling. Oggi la parola d’ordine è engagement. Un
coinvolgimento spinto, fisico e sensoriale. Una roba da architetti in senso lato, ingegnere. Ne associ
qualcuno.
Per il resto, grazie per non essersi rifugiato nell’imperfetto congiuntivo “fosse per me” dei finti innovatori.
Che non vogliono rischiare nulla.
21-9-2009
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