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GIROLAMO SEGATO
IL ROTOLATORE DEL SOLE
CUSTODE DELL'IMMORTALITÀ
Di Gaetano Barbella
INTRODUZIONE
Gerolamo (o Girolamo) Segato (1792-1836) rinomato cartografo, naturalista, sperimentatore, figlio
di quell'Illuminismo curioso e scientista, rappresenta uno dei periodi più fecondi nella storia del
pensiero umano. Come dimostrano diverse testimonianze, si credeva che, con l'opera di Segato,
fosse stato finalmente raggiunto l'obiettivo di conservare la materia organica senza alterarne il
colore, in una sorta di artificiosa immortalità fissata in una solidità lapidea in grado di vincere le
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leggi naturali della decomposizione.1 “Pietrificazione”, si può ben dire in una sola parola di questo
meraviglioso processo chimico, giusto il coronamento dell'opera di Segato, tanto da immaginare di
poterla legare ad un processo di alchimia che non pochi studiosi vi hanno intravisto. Di qui la mia
iniziativa di entrare in questa sorta di “pietra” seguendo un insolito itinerario, fuori dai canoni
accademici, nell'intento di svelarne un possibile incompreso, attirato anche dal fatto che Segato
portò con sé nella tomba il segreto chimico della suddetta “pietrificazione”.
Potrà sembrare una metafora il senso del titolo di questo saggio, Gerolamo Segato Rotolatore del
Sole custode dell'immortalità, ma è in relazione coerente al suo oscuro lavoro di “rotolatore” di
resti mummificati umani raccolti nel deserto della Bassa Nubia d'Africa, lungo il Nilo, a costo della
sua stessa vita. Resti umani, una sorta di “escrementi”, che a Segato parvero come un immaginario
meraviglioso “sole”, prezioso oggetto di rotolamento del mitico scarabeo ritenuto sacro nell'antico
Egitto. E se a questa sorta di eremita vagante nel deserto della vita, poiché fu enormemente
tribolata, si aggiunge un arricchimento culturale dell'antica scienza dei sacerdoti egizi che acquisì,
indagando nei meandri tombali egizi, tale da essere chiamato, e con diffidenza dai suoi denigratori,
“mago egiziano”, allora si può ben capire quanto sia seria la possibilità di intravedere in Gerolamo
Segato un precursore di una scienza della ricerca rivolta alla sopravvivenza dell'uomo, che però non
sembra di appartenere ancora a quest'epoca in cui domina l'egoismo.
Solo una speranza di immortalità e nulla oltre, ci si domanderà allora sulla felice relazione di Segato
al titolo di questo saggio, alla stregua di uno “Scarabeo Sacro” degli antichi egizi, veramente
“sacro” per la ricerca medica, giusto il riconoscimento dei suoi meriti scientifici, sia dei suoi
contemporanei che quelli odierni?
Illustrazione 1: Museo Anatomico Fiorentino. I reperti di
Girolamo Segato. Oggetto intarsiato con 214 pezzi anatomici
pietrificati, di cui solo alcuni forse identificabili dal punto
di vista istologico, come un piccolo rene, un quadrato di pelle
ed un piccolo piatto tibiale con menischi. Per gentile
concessione del Museo Anatomico Fiorentino.
http://www3.unifi.it/anatistol/anatomia/segato/
Beh, per questa domanda, la migliore e stupefacente risposta risiede in un tavolino di acero
1 IL SEGRETO DEI CORPI di Donatelli Lippi. http://www.oltremagazine.com/index.html?id_articolo=976
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intarsiato con 214 pezzi anatomici, il tutto pietrificato così come si può vedere attraverso l'illustr. 1.
Il tema del presente saggio porta appunto a questa risposta in cui si vedrà, verso la conclusione,
“rotolare” letteralmente quest'ovale al punto da vederlo come un perfetto circolo (un reale punto di
vista comune a tutte le cose che vediamo, essendo improbabile una centrata visione frontale, ma
sempre obliqua) per dar luogo a geometrie meravigliose. E questo al punto da chiedersi se Segato le
avesse predisposte volutamente nel confezionare l'ovale di legno poi pietrificato, giacché era un
esperto di geometria dimostrandosi un valente cartografo. A mio giudizio le ritengo improbabili,
tuttavia già dall'attenta analisi della specifica forma geometrica di ovale conferita al tavolino e
quella della serie di intarsi dei referti anatomici a mo' di rettangoli e quadrati, rispettosa di noti
canoni geometrici, debbono costituire un certo reale “effetto” sicuramente ricercato dal Segato in
piena sintonia con la sua cultura dell'antico Egitto da lui acquisita.
In che altro modo si può considerare il mio lavoro di ricerca su G. Segato? Come un tentativo di
esplorazione lungo un itinerario derridiano2 in cui alla parola morta, perché assai labile e incerta, si
sostituisce la geometria dei segni, l'unica a mantenere in vita ciò che presumibilmente ancora
potrebbero esistere, non si sa come, nei 214 resti umani, simili a ibernati, posti nei riquadri degli
intarsi del tavolino. Ecco, presumibilmente la panacea dell'invocata immortalità custodita
misteriosamente da Girolamo Segato, la matematica.
In merito a questo saggio su G. Segato, tutto ha inizio dall'aver visto sull'onda del web il tavolino
dell'illustrazione iniziale, ma il giusto procedere mi è venuto in seguito all'aver scritto un'e-mail al
Museo Anatomico Fiorentino dove esso è custodito onde ottenere l'autorizzazione a far uso della
foto relativa ed altre. Giusto un certo provvidenziale incontro “casuale” di chi, imprevedibilmente,
mi metterà sulla via giusta, proprio là dove Gerolamo Segato fu preso da viscerale fervore per
conservare la materia organica senza alterarne il colore, fissata in una solidità lapidea in grado di
vincere le leggi naturali della decomposizione.
La mia e-mail del 29/11/2011 al Museo Anatomico Fiorentino
Oggetto: Richiesta autorizzazione
C.A. Preg/mi Prof. Gherardo Gheri e Dr. F. Paternostro
Web administrators del Museo Anatomico Fiorentino. Sez. Reperti di Girolamo Segato
Sono un saggista che sta svolgendo studi sull'opera di Gerolamo Segato, in particolare sul suo
tavolino intarsiato con diversi pezzi anatomici pietrificati, conservato nel vs. Museo di Anatomia.
L'orientamento da me seguito esula il lato accademico dell'anatomia ed è tutto preso per lo studio
della sua geometria che trova sostegno sulla predisposizione del Segato per la cultura degli antichi
egizi di cui si dovette permeare durante le sue affannose peripezie in Egitto. Infatti il tavolino
intarsiato suddetto mi è sembrato chiaramente informato a noti canoni geometrici, tra l'altro, al
dimensionamento della piramide di Cheope.
Per cominciare si tratta del rapporto fra loro dei due assi dell'ellisse della tavola. Ma anche l'intarsio
racchiuso nel rettangolo nel mezzo della tavola, con la suddivisione all'insegna del sette e del
cinque, porta ancora alla cultura matematica, cosiddetta sacra, degli antichi egizi. E Segato era un
più che eccellente cartografo, dunque molto edotto in fatto di geometria in particolare.
Perché mi sono convinto della ipotetica relazione della geometria appena accennata con il reperto in
questione e, dunque, con l'intimo pensiero di Segato che così univa un'antica filosofia di vita, con
l'assoluta disposizione per la ricerca scientifica naturalistica che sappiamo? La risposta è a ragione
della sintonia del suo carattere intriso di modestia e al riparo dalle passioni umane, non senza una
forza d'animo e resistenza alla sofferenza che gli permetteva di superare ogni ostacolo soprattutto
fisico ai danni della sua salute.
2 http://www.liceosabin.it/iper08/decostruzionismo/0_pratiche_decostruttiviste/filosofia/frame_logocentrismo.html
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Segato lo vedo come un singolare mistico della scienza tale che al suo esordio in Egitto si stabilì un
legame intimo con l'antico Egitto. Spicca in tale unione il lato umano di questa mitica civiltà che li
vedeva proiettati verso un sacrale interesse per l'Uomo. Un interesse non solo per gli uomini illustri,
tra faraoni e principesse quali rappresentanti divini sulla terra, ma anche per i diseredati e gli umili.
Senza dubbio, è il loro concetto di solidarietà e rispetto, nei confronti dei poveri e degli emarginati
che si rivela attraverso gli abbondanti reperti grafologici, la cui manipolazione e conoscenza da
parte del Segato, costituì la ragione principe che lo trasformò radicalmente al punto da meritarsi
l'appellativo “mago egiziano”, che invece fu travisato e profanato con disprezzo da quel principe
asburgico di Toscana, il Granduca Leopoldo II, e quel tavolino ne fu la causa. Apuleio avrebbe
saputo fare la sua difesa in modo esemplare, quasi a far vergognare un tal ignorante se pur coronato.
Chi erano gli antichi egizi per Segato, da quel momento “regal sacerdote egizio”?
Oggi diremmo, quasi con mestizia e riverenza, essi sono l'ultimo baluardo di esemplare civiltà di
una modernità che li rende assolutamente immortali. E poi, il lato che dovette aver affascinato il
sagace ricercatore della scienza di frontiera fu la raffinata arte terapeutica che si fondava
sull’analogia dei colori o di forma fra l’organo ammalato e una pianta o altro oggetto dotato di
influenze benefiche, l’ingestione di formule magiche scritte o di immagini sacre. Cinquemila anni
fa, in Egitto, si praticava la cauterizzazione, si amputavano arti, si contenevano fratture, si operava
la cataratta, non senza una farmacopea sorprendentemente vasta. Una scienza medica di tutto
rispetto, ma attraverso empirismo, ritualismo e magia, che si prendevano cura dell’antico uomo
egizio, fino ad accompagnarlo nell’aldilà con formule che gli consentiva di “approdare oltre i
territori del deserto occidentale”. Con una simile prospettiva, di rudimentali strumenti e mezzi
operativi, fa meraviglia constatare che, in ogni modo, si siano ottenuti i sorprendenti risultati
terapeutici sopra elencati, stando alla testimonianza dei numerosi ritrovamenti archeologici.
A questo punto il sottomesso “discepolo” Gerolamo Segato dovette chiedersi quale sarà stata la
forza attiva, “agente” nell'egizio di quel tempo, a germinare un simile stato di grazia?
E la risposta ci viene oggi – secondo me – proprio da quanto di più prezioso ci resta di lui, quel
lapideo tavolino di acero a mo' di esemplare piramide in cui egli ha riposto con cura tanti resti
umani quasi ritenerli dei re da seppellire con un rituale a lui noto per un temporaneo soggiorno per
poi farli “rivivere”.
Occorre ricordare che del suo processo di mineralizzazione fu detto che era reversibile. E l'invocato
“agente” – secondo lui – non poteva che essere una peculiare geometria sacra per dar la giusta
forma ad ogni cosa di quel tavolino, e lo fece con accurata arte tale che nessuno avrebbe dovuto
profanarlo poiché non rivelò mai questo segreto, ma in questo gesto concorse anche un'avversa
sorte ai suoi danni. Con lo stesso criterio i faraoni predisponevano anzitempo la costruzione delle
loro tombe, alcune delle quali oggi non sono state ancora scoperte.
Ecco ho voluto anticipare ciò che risulta il “corpus” del mio lavoro che è in una fase piuttosto
avanzata di esecuzione. Naturalmente gran parte degli elaborati che ho prodotto, prevalentemente
basati su grafici, non li avrei potuto fare senza l'ausilio della foto del tavolino in questione esposta
sul vs. Sito. Vi chiedo perciò l'autorizzazione a farne uso in vista di una pubblicazione, e così pure
per un'altra immagine, quella della teca contenente 14 preparati, in particolare della fettina di
salame. Interessante quest'ultimo reperto perché mi è parso di intravedere la famosa spilla col
sangue mineralizzato che Segato regalò a Isabella della famiglia Rossi che lui frequentava durante il
suo soggiorno a Firenze.
In merito al tavolino sono incappato in una difficoltà nell'accettare per buone le misure dichiarate
sul vs. Sito a fronte della foto relativa. Viene riportato che “misura 196 cm. di circonferenza, 62 cm.
in larghezza e 47 cm. di altezza”, ma dall'indagine della foto, che è in buona risoluzione, ho
verificato che il rapporto dei due assi, si discosta abbastanza dal rapporto delle corrispondenti
misure, ossia 62:47 che dà 1,319 circa.
Rilevando in pixel le misure degli assi risultano 762 px circa il maggiore, mentre l'altro, il minore, è
5
594 px circa, consegue che il loro rapporto 762:594 dà invece 1,282. Dunque una delle misure
dichiarate, o tutte e due, non sono esattamente quelle suddette. Potrebbe andare - mettiamo - 60 cm
in larghezza e 47 cm. in lunghezza. Oppure altre misure, giusto per rispettare il rapporto 1,282 che è
quello buono.
Chiedo scusa se mi sono dimostrato prolisso fino a questo punto in merito alle misure suddette, ma
dal punto di vista della mia indagine è molto importante, perché questo rapporto (1,282) si avvicina
notevolmente a quello della piramide di Cheope che è informata, come si sa al dimensionamento del
perimetro della sua base quadrata uguale alla circonferenza di raggio pari alla sua altezza. Si tratta
della famosa “quadratura del cerchio”. Il rapporto teorico esatto è 1,273... inverso della quarta
parte di 3,1416... ossia pi greco.
Naturalmente non appena completato il saggio in questione avrò cura di inviarvi la copia del testo.
In attesa di un cortese riscontro e dell'autorizzazione sopra richiesta, porgo distinti saluti,
Gaetano Barbella
La risposta in data 01/12/2011
Da: Ferdinando Paternostro [email protected]
Gent.mo Dr. Barbella,
mi sono recato stamane a misurare con precisione il tavolino
60,5 cm
46,5 cm
Il riquadro interno rettangolare è di 39. 5 x 28.00 cm
I quadrati centrali mediamente di 5,5 cm
I quadrati angolari di 5 cm
Se questi numeri fossero una latitudine e una longitudine (Segato era anche un cartografo) ci
ritroveremmo nel primo caso nel lago di ARAL
http://maps.google.it/maps?
hl=it&q=60,5+46,5&gs_sm=e&gs_upl=1713l7000l0l7311l9l9l0l0l0l0l1203l5590l21.0.1.3.1.2l8l0&bav=on.2,or.r_gc.r_pw.,cf.osb&biw=1280&bih=656&um=1&ie=UTF8&sa=N&tab=wl
nel secondo in Arabia Saudita
http://maps.google.it/maps?
hl=it&q=60,5+46,5&gs_sm=e&gs_upl=1713l7000l0l7311l9l9l0l0l0l0l1203l5590l21.0.1.3.1.2l8l0&bav=on.2,or.r_gc.r_pw.,cf.osb&biw=1280&bih=656&um=1&ie=UTF8&sa=N&tab=wl
... ma queste sono ovviamente solo elucubrazioni...
La autorizziamo ad utilizzare nel nostre foto, citando la fonte, nella sua prossima pubblicazione.
Cordiali saluti e buon lavoro
Ferdinando Paternostro
---------------------------Segreteria
Dipartimento di Anatomia, Istologia
e Medicina Legale
6
Viale Morgagni 85
50134 Firenze
tel. 055/4271802 - fax 055/4379500
[email protected]
La mia replica in data 01/12/2011
Gent.mo Dott. Paternostro
le sono grato per la sua squisita disposizione nel perfezionare quanto da me richiesto per la stesura
del saggio su Gerolamo Segato. Ma lei ha superato ogni mia aspettativa aggiungendo una sua
concezione in relazione ai numeri delle misure del tavolino del Segato. E se la giudica
un'elucubrazione buttata lì a caso, beh, invece no. L'idea non del tutto balzana, anche se per
convalidarla occorrerebbe richiamare in vita Gerolamo Segato per confermarla o no.
I geni della taglia di Segato hanno di queste manie, tali da rendere perfetto, nel caso in questione,
un'opera nella quale riponeva tutto di sé. Essa doveva somigliare ad una piramide alla stregua di
quelle egizie. Parimenti, doveva risultare una pietra tombale, dunque doveva anche avere i giusti
“numeri” per essere in permanente sintonia con un determinato luogo, come dire in modo
astrologico, con l'Ascendente – mettiamo. E la sua idea della latitudine e longitudine può aver
fondamento. Segato ha così preso a campione l'asse maggiore dell'ellisse del tavolino, che, secondo
la mia geometria relativa costituisce l'altezza di una piramide, quella di Cheope. Di qui ha fatto
delle stime per proporzionarlo al numero di latitudine desiderato. Era un cartografo e perciò così
doveva fare. Ma prima di fare i conti per risalire all'ipotetica latitudine potrebbe anche essere
immaginato il luogo di riferimento. Conoscendo la storia del Segato e le sue peripezie per arrivare
alla sua scoperta, scopo dei suoi intenti, viene da pensare fortemente al luogo ove, a costo della vita,
scoprì il mistero sulla “carbonizzamento” del cadavere laggiù nella Bassa Nubia d'Egitto.
Nella Relazione della Società delle Scienze di Bologna, seduta del 1835, viene descritto il resoconto
di questo episodio, cardine di tutta la scienza della “pietrificazione” attribuita a Girolamo Segato:
«[…] trovandosi nel luglio 1820 in Africa, ed ivi discorrendo per quell'intervallo che da OuãdiElfa, ossia seconda cateratta del Nilo, tira diritto a Mograt nella provincia di Sokkot, si sollevò
avanti di lui una di quelle trombe terrestri, che di frequente sorgono ne' deserti e specialmente in
quelli limitrofi al Nilo nella Nubia. Il Segato ne seguì coraggiosamente il cammino per l'ampio e
profondo letto che nella sabbia essa andava scavando, e quivi attentamente cercando coll'occhio
scorse alcuni frammenti di sostanze carbonizzate, e dippoi un'intero cadavere con carne ed ossa del
tutto carbonizzate, negrissime le une siccome carbone, le altre di tinta filigginosa, e queste e quelle
friabili. Avvisò tosto il Segato che quel carbonizzamento derivar doveva dal calore dell'infuocato
sabbione, entro il quale forse per secoli era stato quel cadavere sepolto, e ne concluse che un
calore artificiale più moderato avrebbe potuto produrre un medio indurimento, atto alla
conservazione de' cadaveri; e quindi concepì il pensiero, ed al pensiero tenne dietro la speranza, e
pur anco una profonda fiducia di potere, coll'arte e mediante la chimica, tanto ottenere. [...]».
Dunque la misura dell'asse maggiore del tavolino indicherebbe in qualche modo – mettiamo – la
latitudine di questa località lungo la seconda cateratta del Nilo (non ha importanza, almeno per
Segato, la longitudine). Ma come immaginare di tradurre la misura di 60,5 centimetri in quella della
ipotizzabile latitudine di Mograt (che non sono ancora riuscito a trovare sulla mappa della bassa
Nubia). Se si è sulla giusta via occorre partire dalle unità di misura vigenti in Toscana dal 1800 in
poi. Facendo ricerche questa è la misura che più ci può interessare:
Braccio = 20 soli di 12 dinari = metri 0,58366
Non resta che fare ora il conto del valore corrispondente a 60,5 centimetri, che indicherò con
“braccia” provvisoriamente:
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“Braccia” = 0,605 : 0,58366 = 1,036562;
Ma non ci accosta alla presumibile latitudine che ci interessa e allora traduciamo questo valore nella
corrispondente misura di “soldi”:
“Soldi” = “Braccia” x 20 = 20,73,
ossia: Lat 20,73° N
Illustrazione 2: Sudan Settentrionale. Presumibile
Latitudine (20,73°N), indicato in rosso, del luogo della
scoperta di G. Segato del cadavere carbonizzato.
E con gran meraviglia si riscontra effettivamente che questo valore è quello del presumibile luogo
del gran “sabbione” a Mograd di Sokkot. Come a voler commentare che Segato fu ripagato con la
sua scoperta, con poco più di 20 soldi.
Avevo detto Ascendente, giusto per alludere al luogo suddetto, di quel cadavere carbonizzato.
Dott. Paternostro l'idea è tutta sua e ne può disporre a suo piacimento se le sta bene, mentre io non
farò altro che parlarne nel mio saggio, perché è interessante.
A ben risentirci,
Gaetano Barbella
Biografia di Gerolamo Segato
Risultati da Google eBook3
Girolamo Segato, celebre naturalista, nacque a Vedana, picciola villa posta nelle vicinanze della
regia città di Belluno, verso l'anno 1792. In Belluno si diede allo studio della chimica e mineralogia,
ed ebbe a maestro il ch. Professore Tommaso Catullo. La sua inclinazione agli studi di cose naturali,
il portava a far continue ricerche ne' monti del Feltrino e nelle valle di Agordo, cosicché nel giro di
due anni poté raccorre meglio di mille pezzi di fossili e di conchiglie. E qui ne par luogo di
ricordare, che inventò un suo metodo per istaccar quest'ultime dalle rocce senza infrangerle.
Alle dotte sue ricerche venivano però meno i mezzi: ma dotato siccome era di fervido ingegno, di
uno spirito intraprendente, non se ne scoraggiava; ché anzitutto a un tratto s'involò dai suoi cari,
3 Biografia degli Italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti ..., Volume 2, pagg. 446-447-448-449. a cura di Emilio
De Tipaldo – Venezia dalla Tipografia di Alvisopoli 1835. Risultati da Google eBook.
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recossi a Venezia, e di qui veleggiò per l'Egitto. Giunto in Alessandria passò al Cairo, e di là (corre
il maggio 1820) partì con l'esercito del viceré d'Egitto diretto alla conquista del Sennar.
Giunto alla seconda cataratta del Nilo, mosse pel gran deserto africano con un solo servo, due
cammelli e non d'altro provveduto che di qualche tozzo di pane, di pochi datteri e di alcuni otri di
acqua. In quegli sterminati deserti vagò per lo spazio di ottanta giorni: quivi esplorava l'andamento
della tromba terrestre, uno di que' fenomeni che non di rado sorgono nel deserto, e particolarmente
vicino al Nilo nell'alta Nubia.
Le trombe terrestri, come ognuno sa, son prodotte da un turbine, che girando attorno di sé a maniera
di spira, scava il terreno, ne alza la sabbia per disperderla in densi nembi fino a lontanissime
regioni. V'ha di paventare in tale emergente; ma il Segato, ansioso di rinvenire il germe di una
grande scoperta, dispregia ogni pericolo; scende arditamente nella scavazione operata dalla
meteora, e nell'esaminare accuratamente le impronte da essa lasciate, gli occorreva allo sguardo
qualche frammento di sostanza carbonizzata, ove gli sembra ravvisare caratteri animali, e
particolarmente di specie umana: ivi scopriva mummie intere di uomini e di animali rimasti
sommersi i quelle arene; il tutto petrificato dalla natura. Fin d'allora egli stanzio nella mente
d'imitare le vedute petrificazioni coll'arte: osservò che il carbonizzamento derivava dalla
incandescenza del sabbione entro il quale per secoli erano state sepolte quelle sostanze animali:
quindi venne argomentando, che il calorico naturale dell'arena era stato capace di produrre la
carbonizzazione di simili sostanze, con un calorico artificiale più mitigato potessi pervenire a
ottenere un diseccamento e induramento medio atto alla loro conservazione.
A forza di studio l'invitto Segato raggiunse lo scopo, che si era prefisso. Il metodo di lui non solo
opera su interi corpi, ma ben anche su parti di essi, prendendo il tutto una consistenza lapidea tanto
più determinata quanto più le parti sono molle e mucose. Cute, muscoli, nervi, adipe, sangue, tutto
subisce il portentoso cangiamento. I colori le forme, i caratteri degli animali non vanno punto
alterati da questa trasmutazione, e si conservano per lo contrario nello stato di loro identità.
Solo è a considerarsi, e questo non può non arrecare somma maraviglia, che il Segato gli talentava
potea rendere le membra a una media consistenza e flessibilità: quindi le giunture e le articolazioni
non cessavano per ciò di obbedire al movimento che potea essere loro impresso, e, abbandonate
ritornavano alla naturale loro posizione. L'inalterabilità di tai corpi animali, il cui volume sotto le
operazioni di lui non decresceva che di poco, e il suo peso restava pressoché medesimo, è tale, che
la umidità non gli altera, né l'immersione nell'acqua, né persino l'azione stessa delle terme: le
macchie della cute, sieno naturali, sieno prodotte dal morbo, rimangono; i peli vi si radicano più che
quando il corpo era in stato di freschezza e di vita.
Abbandonato il deserto, ritornò verso il Nilo, ed entrava a somma fatica nella profondissima
piramide di Abu-sir. Quivi restava per sei giorni, donde contrasse quella malattia che per poco nol
privò di vita. Ritornato al Cairo, lacero, macerato, coperto il volto di foltissima barba, i suoi amici a
mala pena poterono riconoscerlo. A ricuperare la guasta salute, pensò di ritornare al dolce clima
italiano: imbarcatosi in Alessandria, giunse a Livorno in tale stato, che facea disperare della sua
salute; ma l'aria beatissima del suol nativo lo ritornava ben presto in vita, e fra le braccia dei suoi
cari. Prese stanza in Firenze. Ivi dapprima intese a riordinare da esso lui eseguiti di opere
monumentali insino allora non delineate da persona, ma un tristo gliele involò. Indi si dedicò all'arte
calcografica, e a disegnare specialmente ed incidere carte geografiche: frutto di queste nuove sue
fatiche fu la celebre carta dell'Africa settentrionale e dell'impero del Marocco, che pubblicò in
Firenze. In essa venne rendendo conto con assai precisione anche delle ultime scoperte fatte verso il
centro dell'Africa. Poi ridusse a più compendiosa forma la carta topografica della Toscana del padre
Inghirami, per cui si acquistò fama di valentissimo geografo disegnatore.
Questo uomo così distinto cessò di vivere in Firenze la sera de' 3 febbraio 1836.
La scoperta, che egli fece di ridurre a consistenza lapidea ed a conservare intatti nel loro colore, nel
loro volume, e nelle loro configurazione gli avanzi di coloro che furono, dovea interessare il mondo
intero; eppure il mondo lo ignora, che il Segato morendo non isvelò il misterioso frutto de' suoi
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profondi studi, del lungo pellegrinaggio. È a sapere che il Segato appena avea di che sostener la
vita; che egli disegnò un tempo di ridurre a petrificazione quei resti animali, che a profitto della
scienza medica soleansi imbalsamare, con che soltanto gli fossero assegnati que' fondi che
annualmente occorreano per quest'ultima operazione, promettendo di lasciare il processo della sua
grande scoperta, la quale avrebbe diffusa tanta gloria sul nome italiano. : Non sappiamo se per un
segreto amaro d'invidia di coloro cui grava la soverchianza altrui in fatto di scienze, d'arti o lettere,
o per l'antipatia ch'egli destava in alcuni male avvisati uomini, che pretendono nella loro stoltezza di
vedere nella barba, cui lasciansi taluni crescere sul viso o per incuria, o per moda, opinioni alle loro
contrarie, sia stato attraversato il travisamento di un illustre Italiano: fatto è però che non gli diè
retta e che egli non comunicò a persona il processi della sua invenzione. A noi pare, malgrado tutto
quanto veniam dicendo, che al Segato fosse toccata più lunga malattie e men rapida morte avrebbe
dovuto lasciare in eredità alla sua patria il frutto de' suoi studi: ma lungi dal volerci erigere in
giudici in questo subietto, diremo bensì francamente, che sono da segnarsi da infamia coloro, o che
per malnata invidia, o per superstizione, o per qualunque altro motivo si pongono al progresso de'
lumi, e lasciano gemere nella indigenza quelli, che per loro meriti distinti hanno un sacro diritto ad
essere incoraggiati, protetti e provveduti. Qual frutto da una tale scopetta avrebbe tratto la scienza
medica, qual onore ne sarebbe ne sarebbe venuto al nome italiano, non è chi nel veggia: ma
sventuratamente essa è rimasta nel perpetuo silenzio.
Chimici valenti di Firenze Gazzeri, Betti, Targioni, Tozzetti, Lanetti resero pubblica testimonianza
di questo mirabile ritrovato.
Nel gabinetto del Segato era un tavolino, da esso lui costrutto, il quale presenta le seguenti forme:
Una superficie sferoidale di legno contiene un parallelogramma composto di dugento quattordici
pezzi regolari intarsiati, i quali all'occhio persino del perito sembrano le più belle pietre che da
natura sieno mai state prodotte. Gli svariati colori, la levigatezza, lo splendore, la sorprendente loro
durezza non lasciano dubbio veruno sul loro carattere lapideo; eppure sono tutti pezzi di membra
umane fra i quali que' della stessa qualità variano di colore, secondo le diverse malattie, da cui
furono presi quelli a' quali partegono. Vi si notano il diaspro sanguigno di Spagna, il corallino di
Cipro; l'uno è un rene di feto iniettato, l'altro un brano di cuore: il diaspro di Siberia; è milza, è rene.
È cuore: i diaspri di Sicilia, di Sassonia, di Boemia; e sono sarcoma pancreatico, collo d'utero
iniettato, utero partoriente, lato esterno di placenta, estremità superiore di lingua: il diaspro granito
del Cosentino, l'agato di Vallombrosa, il brecciato di Volterra; essi sono, faccia superiore della
lingua con papille, fegato con ossificazione delle arterie, vasi sanguigni delle epidermide, cervello
con tumore: la matrice di granato; è la superficie esterna della placenta, è parte interna della lingua:
il granato; è un rene sanissimo: il sardonico chiaro; è grossa pelle di sotto al calcagno: il sardonico
venato e ombrato; son vasi sanguigni della membrana comune di testicolo infiammato, e di altro di
fanciullo sano: la pietra di paragone; è testicolo di etico, è sangue venoso infiammato: la corniola
bionda; è un tumore fibroso dell'utero, è epididimo sano, è ciste fibrosa della rotula: la breccia di
corniola, e di stellaria delle isole ioniche; è utero di giovinetta, è deltoide, è fegato, è cuore: l'agata
arborizzata e la sardonica; sono una cornea con vasi asnguigni, ed un pene in sezione orizzontale: il
calcedonio di Volterra, l'agata veunta di Siberia, la Focaja di Norcia e di Cosentino; sono cervello,
rene, testicolo, utero iniettato a vasi minimi: il quarzo di monte Rufoli; è una succlavi ed aorta: il
granito dell'Adige e di Siberia, la lumachella di Maremma; sono pezzi di fegato: la lumachella di
Corintia; è un altro fegato con entrovi un corpo osseo: la breccia di lumachella; è un muscolo gran
pettorale: la pietra picea di Babilonia, la madreporite; sono un rene di etico, un brano di grossa cute
della schiena, una parotide, una tonsilla. Tre altre degenerazioni di fegato assomigliano alla pietra di
Siberia: rappresentano poi alcune varietà di lignite altri muscoli, fegato, glandale, cuore, pancreasa,
gemello,, milza polmone, cervello. Infine un pene in sezione trasversale, un rene di feto, un altro
fegato, rassembrano all'alabastro leonato orientale.
Il ch. Professore Luigi Muzzi ha celebrato la scoperta del Segato con le seguenti composizioni:
Quegl'insamini avanzi a noi sì cari,
10
Dove albergò la sospirata sposa
O il gemito parente o la gioiosa
prole d'amore o spirati preclari:
Son tratti appena appena dai nostri lari
Che n'è lor vista eternamente ascosa,
E il segno ingannatori qui riposa
Risuscita l'affanno e i pianti amari.
O care salme, più che non fa che assorte
dalla verminia fame or si condanni
L'antico diritto a rimaner di morte,
Lapidefatte senza nulli danni
Italo genio, di costei più forte,
Qual foste in vita vi consegna agli anni.
A
GIROLAMO SEGATO
Al nuovo genio della creatrice
Sapienza italiana
Che le umane spoglie
Dall'ugne al capello dalle fibra all'osso
Dal cerebro al sangue
Colla splendidezza de' natii colori
Petrifica elasticizza in eterna
Al vincitore delle ritrattistiche articolazioni
In tanta mirabilità modestissimo
I primi applausi di tutta la terra
LUIGI MUZZI
Attonito invia
Segato fu uomo modestissimo, di specchiati costumi. Su l'ultima linea delle cose mortali,
giudicando sé stesso, senza terrori, senza angosce, senza lamenti, entrò con serena tranquillità, con
fiducia in Dio nel passo donde non fu mai ritornato.4 G.M.Bozoli
4 Un elogio di Girolamo Segato fu scritto dall'avv. Giuseppe Pellegrini (Firenze, per V. Batelli e Figli, 1836, in 8, di p.
36). Altro tributo di stima fu reso al grande italiano nell'Indicatore (Febbraio e Marzo, 1836, p. 404). Nell'Omnibus di
Napoli essendo stato inserito un articolo di P.M. Laudati contro il Segato, il dott. Paolo Zanini mosso da un nobile
sentimento di patria carità dettò una difesa del suo concittadino, che pose sul N.8 del Gondoliere contrassegnando il suo
articolo colla sola iniziale L, a cui tenne poi dietro un opuscolo del fratello di lui Giambattista, intitolato: Sopra
Girolamo Segato a P.M. Laudati di Napoli due parole di un bellunese (Belluno, dalla Tipografia Tissi, 1836, in 8).
Confortiamoci, imperocché questi scritti fanno chiaramente conoscere che viviamo in tempi in cui non è dato di essere
impunemente ingiusti verso un illustre sventurato.
L'Editore.
11
Relazione della Società di Scienze di Bologna su Gerolamo Segato
Illustrazione 3: Museo Anatomico Fiorentino. Reperti di Girolamo
Segato. Teca contenente 14 preparati non identificabili, eccetto
che una curiosa fettina di salame in ottimo stato di conservazione.
Per gentile concessione del Museo Anatomico Fiorentino.
http://www3.unifi.it/anatistol/anatomia/segato/
Seduta del 19 Maggio 18355
Il Segretario presentò alla Società il fascicolo 4° della raccolta completa delle Opere del Prof.
Giacomo Tommasini, che attualmente qui si stampano dalla ditta Dell'Olmo e Tiocchi. - Pisani
Ascanio. - Saggio sull'igiene dei bambini, ossia sull'arte di migliorare la loro salute. Napoli 1835.
Dono dell'autore.
Dippoi si fece la lettura della Relazione, per allora anche inedita, dell'Avvocato Giuseppe
Pellegrini intorno all'artificial riduzione a solidità lapidea ed inalterabilità degli animali scoperta da
Girolamo Segato di Belluno.
In questa relazione, l'Autore dopo una breve e filosofica introduzione, passa a narrare, come
Girolamo Segato già conosciuto qual valente incisore di carte geografiche avendo con una sua
molta lode pubblicata quella dell'Africa e Marocco, nonché quella del ducato di Toscana, trovandosi
nel luglio 1820 in Africa, ed ivi discorrendo per quell'intervallo che da Ouãdi-Elfa, ossia seconda
cateratta del Nilo, tira diritto a Mograt nella provincia di Sokkot, si sollevò avanti di lui una di
quelle trombe terrestri, che di frequente sorgono ne' deserti e specialmente in quelli limitrofi al Nilo
nella Nubia. Il Segato ne seguì coraggiosamente il cammino per l'ampio e profondo letto che nella
sabbia essa andava scavando, e quivi attentamente cercando coll'occhio scorse alcuni frammenti di
sostanze carbonizzate, e dippoi un'intero cadavere con carne ed ossa del tutto carbonizzate,
negrissime le une siccome carbone, le altre di tinta filigginosa, e queste e quelle friabili.
Avvisò tosto il Segato che quel carbonizzamento derivar doveva dal calore dell'infuocato
sabbione, entro il quale forse per secoli era stato quel cadavere sepolto, e ne concluse che un calore
artificiale più moderato avrebbe potuto produrre un medio indurimento, atto alla conservazione de'
cadaveri; e quindi concepì il pensiero, ed al pensiero tenne dietro la speranza, e pur anco una
5 Bullettino Delle Scienze Mediche pubblicato dalla Società Medico-Chirurgica di Bologna. Volume 11° – 1835,
pagg. 361-362363-364.
12
profonda fiducia di potere, coll'arte e mediante la chimica, tanto ottenere. Ritornato perciò in
Europa, e fermato suo soggiorno a Livorno, dopo vari esperimenti, improbe fatiche, e dispendi
gravosi, ai quali suppliva il Segato menando una vita in ogni guisa strettissima, giunse finalmente
anche più oltre lo scopo cui mirava; cioè a ridurre a durezza di pietra i corpi e le membra di
qualunque animale.
Di tale meravigliosa scoperta fece cenno all'Antologia di Firenze nel Vol. 44 N. 132 del
dicembre 1831 alla pag. 74, qualunque in allora non fosse così perfezionata come oggidì lo è.
La consistenza lapidea che col metodo del Segato acquistano le parti del corpo degli animali è tanto
maggiore quanto più esse sono molli, e mucose; per conservare i corpi interi non v'ha bisogno di
estrarre i visceri, perché questi pure, senza rimuoverli, acquistano la medesima solidità che le parti
esterne, e questo mirabile cambiamento succede senza che si cambi il colore la forma e i caratteri
generali delle parti dell'animale, le quali d'altronde rimangono inodore, che anzi se in loro fosse
incominciata, ed anco inoltrata la putrefazione, questa d'un tratta viene stabilmente arrestata.
Di più può anche il Segato, a suo talento, dare alle membra una media consistenza in guisa da
renderle flessibili, e tuttavia inalterabili, e pieghevoli nelle giunture ed articolazioni cosicché
cedono a qualunque movimento venga loro impresso, ed abbandonato in sé ritornano alla primitiva
posizione. Gli scheletri rimangono uniti coi loro medesimi legamenti resi cedevoli, e solidissimi, e
contro corpi in tal guisa preparati nulla può né l'umidità, od altra condizione dell'atmosfera, e
nemmeno una diuturna immersione nell'acqua, né all'esposizione delle tarme, ecc. Il loro volume di
poco decresce, i peli e capelli rimangono pressocché i medesimi ed aderenti più che in stato di vita,
e perfino le macchie delle cute sussistono manifestissime siano naturali o morbose. Non perdono i
volatili e i pesci né piume, né pinne, né scaglie, né colori; ogni sottilissima appendice, estremità,
antenna conserva l'insetto; ed i rettili oltre ogni lor generale carattere ritengono tanta apparenza di
vita che è d'uopo far violenza a sé stesso per crederli spenti.
Tutto ciò si lesse nella relazione del Pellegrini, ed il confermavano amplissimi certificati de' più
conosciuti uomini di Firenze quali sono i chiarissimi Prof. Betti, Torgioni, Gazzeri e Zannetti.
Dippoi passava l'espositore nella sua relazione a descrivere le preparazioni diverse che si ammirano
nel gabinetto del Segato. E quivi parlò di un topo con i visceri protusi, di alcuni volatili, di vari
rettili fra i quali lo sviluppo intero della rana crescente gradatamente nell'ovo sino all'animale
perfetto, e da questo retrogradando la decomposizione anatomica fino allo scheletro, resi tutti a
durezza lapidea. Disse pure di diversi pesci al medesimo stato mirabilmente ridotti, alcuni de' quali
aperti e co' visceri sporgenti; non che di vari molluschi fra cui una lumaca così indurita che per
dividerla sarebbe d'uopo di mordentissima lima, aggiungendo loro ancora diverse specie di insetti.
Venendo poi a parlare di umane membra, oltre a vari pezzi di estremità come braccia, piedi e mani
notabilmente induriti notò ancora una mano la quale ritiene la flessibilità in tutte le articolazioni e
null'ostante è inalterabile.. E passando dippoi ad interi visceri, narrò osservarsi presso Segato
indurite le minugia tutte di un bambino, come naturalmente si trovano nel basso ventre, contenenti
pur anco le materie fecali; un fegato di un individuo morto per abuso di spiritose bevande; un intero
cervello umano di estrema durezza; la pelle del petto e mammelle di donna naturalmente
configurate; una zaccagna di una giovinetta, flessibilissima da cui pende una lunga biondissima
chioma di increspati capelli; e la testa di una bambina che a bella posta si lasciò alquanto putrefare
mirabilmente sospeso.
Alla narrazione di queste cose per sé stesse stupende un'altra si aggiunse non minore meraviglia,
e cioè la descrizione di un tavolino intarsiato con dugento quattordici pezzi regolari di svariatissimi
colori, i quali sembrano all'occhio altrettanto e pietre dure, tanto le rassomigliano per la durezza,
levigatezza e splendore, eppure queste apparenti pietre altro non sono che pezzi di varie membra
umane la più parte patologiche in questo stato convertite col metodo del Segato.
Poneva il Pellegrino termine alla sua narrazione coll'anoverare i vantaggi che dalla scoperta del
segato sarebbero derivati alla anatomia umana e comporale, alla patologia, alla storia naturale ecc.
su di che non ci estenderemo in molte parole potendo chiunque di leggieri comprenderlo, e disse
13
pure che cotal metodo poteva opportunamente servire ancora alla conservazione de' cadaveri interi,
stantecché la spesa per praticarlo non monterebbe che a un ventesimo di quella che si richiede per
un'ordinaria imbalsamazione.
Molto plauso fecero gli astanti alla relazione dell'Avv. Pellegrini, e grandemente furono ammirati
dell'ingegno e costanza del Segato con cui per difficile e lungo cammino avea saputo raggiungere a
tale scoperta, che quasi incredibile sembrerebbe, se proclamata non fosse con tanti dettagli, e con
così autorevoli testimonianze. E tanto più l'ebbero in pregio, e di tanto maggior lode ritennero
degno Segato per ciò che essa congiunge il mirabile all'utile, essendocché moltissimi sono i
vantaggi che le scienze naturali da essa possono ritrarre.6
Geometria dell'ovale del tavolino di G. Segato
Illustrazione 4: Tavolino pietrificato di G. Segato. Geometria di
una piramide (uno dei due triangoli del rombo ABCD), forse una di
quelle di Abu-sir in cui G. Segato stette per sei giorni nelle sue
profondità. Coordinate in pixel.
Sulla scorta del disegno dell'illustr. 4 risulta notevole il proporzionamento, impercettibilmente,
come la nota piramide di Cheope, infatti all'inizio dello studio su Gerolamo Segato mi era sorta
l'ipotesi che si trattasse di questa piramide. Poi per convalidare questa ipotesi, ho pensato che egli,
per quanto potesse essere un ideale ricercatore in fatto di precisione come cartografo in particolare,
oltre alla sua geniale disposizione come naturalista e sperimentatore, non era tanto un buon
falegname e così l'ovale è risultato un tantino imperfetto. Considerato che, per l'assoluta
riservatezza per questo speciale lavoro, non era disposto a ricorrere all'opera di un falegname,
doveva fare tutto lui, anche questo. Perché? Immagino che deve aver concorso in lui molto la sua
disciplina per mantenere il segreto sull'opera, quale poteva essere quella di un sacerdote dell'antico
Egitto, ritenendo che lui vi si attenesse scrupolosamente. Tuttavia, anche se resta incerto ipotizzare
6 Nell'ultimo fascicolo nel dare un cenno alla scoperta del Segato promettemmo che nel presente avremmo inserito il
rapporto della Commissione destinata ad esaminare le preparazioni che il Segato ha quì spedito. Ci duole di non
poter adempiere alla promessa essendoché la Commissione medesima non ha ancora compito il suo esame per
accidentali circostanze.
14
che Segato abbia inteso informare il suo tavolino alla piramide di Cheope, la geometria degli intarsi,
come si vedrà fra poco, riporta in discussione l'ipotesi anzidetta. Intanto vediamo in che misura è la
differenza della geometria “piramidale” in questione con quelle delle tre piramidi di Giza, in cui una
è quella di Cheope:
Angolo CAO = arctang AO/CO = arctang 382 / 296 = 52°13'44''
A confronto:
Per la piramide di Cheope l'angolo analogo è 52°47'77''
'' ''
''
'' Chefren ''
''
'' 53°10'23''
'' ''
''
'' Micerino ''
''
'' 51°13'31''
Come si vede non si ravvisa una vistosa differenza, e costatando che la piramide intravista nel
tavolino di Segato è molto aderente a quella di Micerino (con la differenza di appena 13 secondi sul
relativo angolo alla base), mi balena l'idea che il nome Micerino, per il significato che gli si
attribuisce, cioè “Divino”, voglia suggerirmi meravigliosamente di porre sul moggio la piramide di
G. Segato. È qui che deve essere posta da me, è come se mi dicesse quasi imperiosamente. Ma,
ammetto, non sto proprio ragionando secondo l'accademia della scienza moderna, tuttavia...
Cheope=Khufu appartiene all'orizzonte (Khfu hrkty)
Chefren=Khafra è grande (Khfra ka)
Micerino=Menkaura è divino (Mnkara ntjrw)
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Geometria dell'intarsio del tavolino di G. Segato
e la quadratura del cerchio
Illustrazione 5: Tavolino pietrificato di G. Segato. Geometria degli
intarsi. Il rettangolo formato da 9 x 5 quadrati è inscritto
nell'ellisse ABCD. Coordinate in pixel.
Non poteva avere senso per Gerolamo Segato concepire l'ovale del tavolino all'insegna della
piramide di Cheope, a lui profondamente nota, senza legarlo geometricamente al suo prezioso
contenuto. Naturalmente ipotizzando che questa ipotesi era in animo di G. Segato. Come già detto
nella e-mail al dott. Paternostro, di cui sopra, i 214 reperti umani pietrificati, erano stati deposti da
Segato in altrettanti sarcofaghi, tante quanti sono gli intarsi del tavolino in osservazione. E dove il
degno luogo di sepoltura per lui se non in una peculiare piramide, per quel sacerdote egizio che si
era incarnato in lui?
Ecco che così ho spiegato, con l'illustr. 5, la relazione geometrica dei riquadri degli intarsi con
l'ellisse: ovvero il rettangolo formato da 9 x 5 quadrati è inscritto nell'ellisse ABCD.
Mi sono poi posto la domanda per capire il perché del rettangolo con 35 (7 x 5) quadrati che in
realtà sono 45 (9 x 5)? Forse non c'è stata una ragione specifica da parte del Segato, avendo scelto
per “simpatia” questi numeri, tuttavia non mi piace trascurare il probabile lato “esoterico” di
Gerolamo Segato impregnato della scienza dei sacerdoti dell'antico Egitto.
La piramide di Cheope gli era nota particolarmente per la sua peculiare geometria rivolta alla
realizzazione monumentale, e dunque tombale, della “quadratura del cerchio”. Egli sapeva che
questa piramide rispecchia la condizione geometrica che vede nella base quadrata lo sviluppo
perimetrico uguale alla circonferenza di raggio pari alla sua altezza. E così può essere che sia
ricorso alla geometria interna del tavolino, ossia il riquadro apparente di 7 x 5, e quello nascosto di
9 x 5, per concepire una implicita geometria rivolta al calcolo della quadratura della cerchio, la
stessa con la quale gli antichi egizi la ricavano. Ma questa concezione implicita non me la sento di
attribuirla a G. Segato mentre confezionava il tavolino e gli intarsi per inserirvi i 214 pezzi
anatomici umani. Tuttavia non si può evitare di supporre che Segato prediligesse la suddivisione 5 x
9 al punto di predisporla in stretta relazione con l'ovale ellittico del tavolino, come sopra ravvisato.
16
Perciò mi è sorta l'idea che questa suddivisione, attraverso il “nascosto” 9 in sede del 7 palese e
legato in quattro punti all'ovale, portasse alla concezione della quadratura della cerchio e anche a
quella della circonferenza posta praticata dagli antichi egizi.
Sappiamo che su questo problema i matematici del passato si sono lambiccati il cervello nel
tentativo di trovare una frazione che esprimesse il rapporto costante tra la lunghezza della
circonferenza e il suo diametro, che come noto si indica con la lettera π (pi greco).
Illustrazione 6: Quadratura del cerchio con la regola di Rind.
La storia appena nota su questo tema inizia con lo scriba egizio Ahmes che nel problema n. 50 del
papiro Rhind, risalente al 1650 a. C., indica nel modo seguente come ottenere il valore di π, che è
poi la suddetta procedura:
«Dividi il diametro in 9 parti. Prendi 8 parti e costruisci un quadrato 8 per 8. Tale quadrato ha una
superficie praticamente uguale a quella del cerchio assegnato».
Dai calcoli risulta che l'area del cerchio, ottenuto col metodo di Ahmes, risulta con un errore
inferiore del 2% rispetto al giusto valore applicando la nota regola del quadrato del raggio per pi
greco. Nondimeno si deve riconoscere che si tratta di una approssimazione notevole per quei tempi
e non si sa nemmeno come Ahmes l'abbia trovata.
Dovendo poi ottenere la quadratura della circonferenza lo stesso rapporto 8/9 veniva elevato al
quadrato col risultato di 3,1604... piuttosto maggiore di 3,14159... effettivo.
Nel III secolo a.C. Archimede dimostrò che tale rapporto chiamato π è compreso tra 3+10/70 e
3+10/71, ma è impossibile definirlo esattamente in quanto le due dimensioni sono tra loro
incommensurabili. Ma con meraviglia si riscontra che le proporzioni da cui deriva pi greco della
Grande Piramide corrispondono esattamente a 3+10/70 = 3,1428..., vale a dire ad un valore assai
prossimo a quello attualmente noto, pari a 3,14159...
Oggi si sa con certezza che questo risultato è esatto e allora, se il problema della quadratura del
cerchio risale dal papiro di Rind, a mille anni dopo la costruzione della Piramide, come furono
stabilite le sue proporzioni che aderivano perfettamente alla suddetta regola di Archimede di
3+10/70?
Detto questo per amor di cronaca, ciò che ora conta è intravedere nel riquadro 5 x 9 inscritto
nell'ovale del tavolino di Segato un nesso con la regola di Rind – mettiamo – da poco esposta,
17
l'unico appiglio per dar peso alla mia ipotesi che criptasse la quadratura del cerchio, appunto.
Infatti è così perché, come si vede attraverso l'illustr. 6, è appunto il numero nove che richiama le 9
parti quale misura del diametro del cerchio del papiro di Rind suddetto.
La quadratura della circonferenza
Riconosco che ora sto andando troppo avanti con le supposizioni di possibili intenzioni da parte di
G. Segato di aver impostato il riquadro degli intarsi col preciso scopo di criptare una possibile
geometria per ottenere la quadratura della circonferenza concepibile in modo matematico avanzato
ai suoi tempi. Col metodo suggerito dal papiro di Rind, le due quadrature si ottengono se ci si
accontenta di risultati empirici, ma può bastare per immaginare che potenzialmente la concezione
degli intarsi 5 x 7 o 5 x 9 potrebbero portare – se non altro, attraverso di me –, a far “nascere” idee
da agganciarle – mettiamo – alle concezioni di Archimede di pi greco fra 3+10/70 e 3+10/71? E
così dar lustro all'opera di Gerolamo Segato? Ma da dove si può partire per verificare questa mia
ipotetica idea del germoglio della sua “semina” che ho immaginato? Si parte facendo tesoro di una
concezione che Plutarco, storico greco del I secolo d., così descrive: «Gli egiziani hanno
rappresentato la natura dell'Universo con il triangolo più bello. Questo triangolo ha l'altezza di tre
unità, la base di quattro e l'ipotenusa di cinque. L'altezza può essere paragonata al maschio, la
base alla femmina e l'ipotenusa al figlio da entrambi generato. Allo stesso modo Osiride
s'identifica con l'origine, Iside con l'elemento ricettivo e Horus con il prodotto della loro unione. Il
3 è il primo numero dispari, il 4 è il quadrato del primo numero pari, ed il 5 è in parte simile padre
ed in parte alla madre, essendo formato dal 3 e dal 2».
Gli antichi Egizi per costruire con precisione un angolo retto prendevano una fune e in essa
facevano 13 nodi equidistanti fra loro (ottenendo così 12 tratti di corda ); con dei paletti, poi,
tendevano la corda in modo da formare un triangolo che avesse i lati lunghi rispettivamente 3 volte,
4 volte e 5 volte la distanza fra due nodi successivi. L’angolo formato dai due lati più corti era un
angolo retto.
Dal punto di vista simbolico, il numero 3, riferito al dio Osiride, è
associato alla figura dell’uomo e del padre. Al 4, riferito alla dea
Idide, sorella e sposa di Osiride, è associato il numero 4, numero
divisibile, capace di “partorire” una coppia di numeri uguali;
mentre al loro figlio, Horus, è associato il numero 5, oppure 7,
dato dalla somma di 3 + 4.
Facile ora vedere in azione rotatoria in senso orario il triangolo
sacro, appena descritto, negli appropriati riquadri degli intarsi del
tavolino di G. Segato se si guarda il mio grafico disposto
nell'illustr. 8. Per i sacerdoti dell'antico Egitto è così che si
dispone lo svolgersi delle nove fasi dell'Enneade. Sul finire
nasceva Horus che dava luogo ad una successiva Enneade come è
sinteticamente descritto nell'illustr. 10.
Così si interpreta la più antica civiltà, più che mitica, quella
dell'Enneade egizia. Ra, con altri otto dei, faceva parte della
Illustrazione 7: L'Enneade
Grande Enneade di Eliopoli, personificazione di ogni bellezza,
arcaica degli dei egizi. Il
magia e potere.
decimo, Horus dà luogo alla Con Horus, figlio di Osiride e di Iside inizia la successiva
successiva Enneade. Immagine: Enneade. La seconda Enneade sembrerebbe comprendere, a parte
http://www.tanogabo.it/mitologi Horus, Anhur, Anubi, Khons, l'Horo di Edfu, Ammone, Thot, Shu
a/egizia/pantheon_egiziano.htm e Ammone-Ra. Ma non finisce qui perché a questa Enneade di
semidei, ne succedette una terza composta dai quattro figli di
Horus: Amset, Hapi, Duamutef e Qebesennuf e un nuovo Horus, Khent Khiti ed i suoi quattro figli.
L'Enneade diverrà poi una persona divina le cui membra, una per una, conserveranno un'esistenza
18
distinta formando nove persone in una.
Illustrazione 8: Il triangolo equilatero VMN è la sagoma sulle
apoteme di una piramide simile alla Grande Piramide (di Cheope).
Il quadrato di lato MN è di perimetro uguale in modo approssimato
ad una circonferenza di raggio VL. Coordinate in pixel.
Ed ora si entra nel vivo della geometria che darà
luogo alla giusta determinazione della quadratura
della circonferenza il cui raggio è disposto dalla
rotazione dell'ipotenusa FG che misura 5 riquadri.
Giusto la regola del triangolo rettangolo sacro EFG.
Nel grafico dell'illustr. 8 è in bella mostra la
scacchiera di 10x10 riquadri della quale ne ho
scelto 5+½ per formare il segmento CI in
orizzontale, e 7 per formare il segmento verticale HI
(entrambi color giallo). Il triangolo rettangolo HCI
che vi deriva è la metà sagoma di una piramide
tracciata sulle apoteme ed è conforme alla ricercata
quadratura della circonferenza di π = 3+10/70 =
3,1428...
Nel dettaglio ho ideato un diagramma che si allinea
al suddetto valore 3+10/70 di Archimede. Per
ottenerlo ho posto in pratica il metodo grafico
Illustrazione 9: Soluzione grafica del metodo seguito dagli antichi egizi per risolvere cose di
geometria.
di Archimede per il calcolo di pi greco. Il
punto C, della retta VB relativa ad AB = ¼ π ∙
20, è approssimativamente vicino al punto «[...] gli Egiziani avevano famigliari i reticolati a
maglie quadrate che essi adoperavano con vari
d'incrocio dell'ascissa 14 e l'ordinata 11.
modelli che si trovano, ad esempio nel Museo
Egiziano di Torino, come i pittori fanno ancora oggi, per ingrandire od impicciolire disegni
19
secondo una determinata scala. Essi conoscevano l'uso del compasso [...]» e quindi fare
ragionamenti onde arrivare alla concezione della regola di Rind per le quadrature del cerchio e della
circonferenza, secondo l'ipotesi di uno studioso, il Sig. G. Vacca in una nota pubblicata nel
Bollettino di Bibliografia e Storia delle scienze matematiche. (Citazione tratta dal libro Matematica
dilettevole e curiosa di Italo Ghersi, pag. 360 – Edizione Hoepli).
Il diagramma dell'illustrazione porta alla semplificazione del teorema della quadratura della
circonferenza di Archimede, risolvendolo col metodo grafico. Il risultato si allinea al valore
3+10/70, che è il limite inferiore pi greco di Archimede. Quello superiore è 3+10/71.
La retta OB relativa ad AB = ¼ π ∙ 20, passa approssimativamente nel punto d'incrocio dell'ascissa
14 con l'ordinata 11.
CD = 20 ∙ 11/14 =20 ∙ ¼ (3+10/70).
Semplificando 11/14 = ¼ (3+10/70)= 0,785714285...
Ma si può obiettare che pi greco, in teoria, non lo si può delineare e perciò non potremmo stabilire il
giusto segmento AB, però c'è modo di rimediare. Si ricorre alla sezione aurea in questa versione:
20∙√0,618033988...=20∙0,786151377... che è molto approssimato a 20∙¼π=20∙0,785398163..., però
20∙¼(3+10/70)=20∙0,785714285..., di Archimede, come si vede, ha un'approssimazione migliore.
Avremo così:
CD = 14/20 AB=11,00611929... che è circa 6/1000 > dell'ascissa 11.
E se AB= 20∙¼π,
CD=10,99557429... che è circa 3/1000 < dell'ascissa 11.
D'altro canto, non meraviglia il ricorso alla sezione aurea per porlo in relazione a pi greco,
ricordando il grande Ramanujan con la sua formula in proposito:
dove ϕ è appunto il rapporto aureo (1,618...).
Si spiega così da dove hanno avuto origine 7 e 5+1/2 dei cateti del triangolo rettangolo HCI (in
giallo) dell'illustr. 8.
7 e 5+1/2 sono esattamente la metà di 14 e 11 del diagramma appena presentato.
Restano da completare le operazioni grafiche dell'illustr. 8 per far delineare la sagoma VMN della
piramide sulle apoteme che è simile all'analoga della piramide di Cheope, informata appunto alla
quadratura della circonferenza, ovviamente in modo approssimato. Per disegnarla non si fa altro che
eseguire una parallela a CH partendo da M fino al punto V dell'ordinata 5, che è l'asse di centro del
tavolino di G. Segato. Poi si unisce V con N della base MN e la piramide dorata è fatta.
Quasi certamente quest'immagine non rientrava nel pensiero del suo autore, nell'eseguire l'opera in
questione. Ma è pur vero, come già detto, che per lui, aver collocato meticolosamente i 214 pezzi
anatomici nei diversi intarsi del tavolino, dovette essere come un sacro rituale funebre non tanto
estraneo agli analoghi praticati nell'antico Egitto. Prova ne è aver confezionato l'ovale informandolo
in modo da proporzionarlo alla sagoma di una piramide, forse a lui assai familiare, come da me
arguito in precedenza.
20
I rotolatori del sole
Illustrazione 10: Il tavolino di G. Segato
visto obliquamente appare come un cerchio.
La metafora su Gerolamo Segato
«Potrà sembrare una metafora il senso del titolo di questo saggio, “Gerolamo Segato Rotolatore
del Sole custode dell'immortalità”, giusto in relazione al suo oscuro lavoro di “rotolatore” di resti
mummificati umani raccolti nel deserto della Bassa Nubia d'Africa, lungo il Nilo, a costo della sua
stessa vita». Così ho detto all'inizio del saggio, ma è solo una metafora ?
Io dico di no, perché basta cambiare il comune punto di vista di osservazione “frontale”, ovvero
razionale, il modo di pensare consueto, del tavolino di Segato, fino alla condizione di vederlo
circolare, giusto come l'ho rappresentato con l'illustr. 10 e tutto sembra cambiare come d'incanto.
Così facendo è meraviglioso vedere in pratica veramente la piramide immaginata da G. Segato, non
più “esteriore”, riferendola a quella di Giza, la Grande Piramide, all'interno del tavolino circolare
che così può “rotolare” per essere collocata al giusto sito come l'ho disegnato con l'illustr. 11, come
se ottenesse di essere dinamica ossia “viva”. Capito ora l'immortalità attribuita a Segato quale
custode di rango? L'immortalità risiede nell'evoluzione umana e non che risorge il corpo così come
era al momento della morte. E se era storpio, o altro di infelice sorte, che aspetto avrà il corpo per
riconoscersi dopo?
Infatti il tavolino circolare fa da ruota ad un solo blocco che racchiude 5 x 5 massi secondo il
successivo grafico dell'illustr. 12. E immergendoci nel passato remoto, è come se si assistesse al
coronamento dell'opera della dea Iside intenta a raccogliere i pezzi smembrati del fratello e sposo
Osiride in sé per dar vita al loro figlio Horus informato al numero 5, appunto, poiché l'altezza è di 5
gradini e i massi sono 5 x 5 = 25. E traslando questa concezione, ai 25 massi si possono legare i
214 esemplari anatomici umani variamente disposti che in tal guisa è come se si disponessero ad
una resurrezione dei corpi.
21
Illustrazione 11: La piramide conforme la
geometria dell'illustr. 4.
Illustrazione 12: Blocco 5 x 5 equivalente
alla piramide dell'illustr. 11 accanto.
Ma queste due immagini in versione evoluta, la seconda rispetto la prima, travalicano il lato
potenziale di una ipotetica “sincronicità”, il principio delle “connessioni significative” casuali caro
a Carl Gustav Yung, in seno all'intimo pensiero di G. Segato. Poiché egli dovette disporre in questo
singolare tavolino, secondo me, tutte le sue speranze di successo per l'opera di scienza che stava
svolgendo, ma non fu così...
Secondo la cronaca storica si sa che egli si prefiggeva di offrire il tavolino in omaggio al Granduca
di Toscana, Leopoldo II per ottenere la sua benevolenza con appoggio finanziario alle sue ricerche,
ma che invece si tradusse assai male perché il monarca rimase decisamente disgustato a causa del
macabro dono. E perciò addio a possibili aiuti per sopperire al suo stato economico assai precario. E
così la sua vita fu seriamente compromessa al punto di dover chiedere prestiti alla famiglia e agli
amici più influenti. Prevalse a questo punto la delusione che lo rese estremamente pessimista fino a
decidere di fare testamento e distruggere i suoi preziosi appunti sulla pietrificazione. Nessuno
doveva farne profitto appropriandosene e così dieci giorni dopo vi fu la sua dipartita a causa di un
attacco di polmonite. Era il 3 febbraio 1836, e quel tavolino da questo infausto giorno divenne una
sorta di bottiglia del naufrago.
Si può pensare che da questa data il suo spirito si espanse prendendo due direzioni opposte, una
verso il passato, con la prima illustrazione della piramide stranamente a gradoni, per il quale si
dispose con le affannose ricerche in Egitto, e l'altra verso il futuro con la visione di un masso che
rotola. Di qui la visione di un enorme peso che ha sempre gravato su una parte del genere umano
obbligato a spingerlo e che aspetta l'aiuto della ragione umana giunta ad un presunto elevato grado
di evoluzione.
La piramide di Zoser e la civiltà dell'amnesia
L'immagine del tavolino di G. Segato dell'illustr. 11 appena presentata, trasmutata in una prodigiosa
ruota, riporta alla mente la piramide di Zoser di Saqqara presso Menfi. (illustr. 13)
Nella biografia di G. Segato a cura di Emilio De Tipaldo, riportata all'inizio, viene detto che dopo
l'esperienza del ritrovamento del cadavere mummificato nel deserto della Nubia egli «ritornò verso
il Nilo, ed entrava a somma fatica nella profondissima piramide di Abu-sir. Quivi restava per sei
giorni, donde contrasse quella malattia che per poco nol privò di vita.». Ma da un'altra fonte risulta
22
invece che «Si fece calare anche in un pozzo dentro la grande piramide a gradoni di Saqqara e ne
riuscì dopo tre giorni»7. Ad onor del vero ritengo che sia più attendibile la seconda versione per la
fondata ragione che è proprio la piramide di Saqqara, in particolare quella di Zoser ad avere un
pozzo profondissimo, come si riscontra nell'illustr. 13. Comunque potrebbe anche essere che Segato
abbia fatto entrambe le esperienze appena citate.
La piramide a gradoni di Zoser si trova al
centro del complesso funerario del re
Zoser a Saqqara, eretto durante la III
dinastia (2800-2700 a.c.). Essa fu costruita
dall'architetto Imhotep, che fu più tardi
divinizzato e che probabilmente lasciò vari
libri di tecnica architettonica che però non
ci sono pervenuti. La sua cappella a
Saqqara, dove veniva adorato, fu chiamata
dai Greci Asklepieion e divenne un
santuario verso cui affluivano gli invalidi
di tutto l'Egitto.
Ecco una significativo traccia, il santuario
di Imhotep, verso il quale lo spirito di G.
Illustrazione 13: Saqqara presso Menfi. Piramide a Segato si deve essere espanso per cogliervi
la luce, la sua pace della quale non né ha
gradoni di Zoser.
beneficiato in vita.
Imhotep ci fa riflettere sul lato della memoria umana che oggi si esprime in una civiltà che soffre di
amnesia. Crediamo di conoscere le cose del passato attraverso i reperti archeologici accuratamente
stipati nei musei, ma non l'intima cultura che vi è racchiusa che stenta a trapelare. E per contro
siamo proprio sicuri che valga la pena di conservare nei millenni tutto quanto è stato scritto in
duecent'anni di pensiero materialista? Mi piacerebbe conoscere al riguardo l'opinione del
funzionario egizio Ptahlotep8, che quattro millenni e mezzo or sono, chiedendo a Thoth, patrono
della sapienza, consigli utili da trasmettere al suo faraone, si sentì ispirare queste parole che pensò
bene di preservare mettendole per iscritto (su papiro, con inchiostro di bacche):
«Ti dice la maestà di questo dio: insegna prima di tutto a parlare in modo da esser di modello ai
migliori tra i sudditi: Entri in lui il rispetto di chi gli dispensa il conoscere. Nessuno è nato
sapiente».9
I rotolatori del sole
Ho immaginato, con la seconda illustr. 12 che è posta in risalto l'idea di una pietra ideale, i filosofi
la chiamano “filosofale”, i religiosi del cristianesimo, “pietra d'angolo”, ma per il nostro G. Segato
può benissimo riguardare “pietra della ricerca scientifica” in cammino. Tuttavia è interessante
espandere questa finalità e vederla in ogni ambito della società per un corretto vivere sociale. Tant'è
che a Segato vengono attribuiti altri due o tre tavoli di legno pietrificato e due di questi, di foggia
circolare, sono esposti nella Reggia di Caserta e in quella di Palermo, il palazzo dei Normanni.
(illustr. 14) Questo per evidenziare, attraverso il segno, addirittura regale, gli occulti eredi
testamentari di una ipotetica ideale missione terrena del dr. Segato un degno pioniere
dell'illuminismo scientista del periodo più fecondo nella storia del pensiero umano.
Poc'anzi ho posto in evidenza il consiglio utile del funzionario egizio Ptahlotep che diede al suo
faraone, quasi a renderlo attuale e rivolgerlo ai potenti delle nazioni di questa epoca, attraverso quei
due tavolini regali, come se fosse Gerolamo Segato a parlare a tutti i visitatori delle due reggie
7 http://it.wikipedia.org/wiki/Girolamo_Segato
8 http://en.wikipedia.org/wiki/Ptahhotep
9 Tratto dall'Editoriale della rivista Mystero a firma Sebastiano Fusco. Novembre 2000.
23
diventate musei nazionali.
Ed ora sembra che tocchi a me fare la
parte di Ptahlotep e metterla per iscritto
come sto facendo, considerato che me sto
occupando e non ad altri, i quali non
hanno avuto questa idea. Ma nella mia
limitatezza culturale, non riuscirei mai ad
essere
all'altezza
per
intervenire
compiutamente con “consigli utili”, da
pari a pari, con tutti i grandi della terra di
ogni ambito della vita sociale. Tuttavia
nella mia piccolezza di semplice di buon
“geometra” una cosa posso fare,
dimostrare quanto sia facile far sopportare
alla comune gente carichi che sono
eccessivi, se disposti in modo inadeguato.
Come sembra che sia stato, per esempio, il
trasporto degli enormi massi di pietra,
ognuno di quasi tre tonnellate, per
edificare la Grande Piramide, Cheope. Ed
erano tantissimi, due milioni e mezzo.
Tutto cominciò nell'agosto 2002 nello
scrivere un breve saggio intitolato appunto
“I rotolatori del sole”, che poi trovò
subito spazio in un periodico di cultura e
spiritualità, “Lettere e scritti” del Centro
Italiano di Parapsicologia di Genova. Mi
limito ora a parlarne per sommi capi e
soffermarmi sul lato tecnico che riguarda
la movimentazione dei massi che
Illustrazione 14: Due tavolini di G. Segato. Per gentile servirono per l'edificazione della piramide
concessione del Museo Anatomico di Firenze.
di Cheope.
L'arte di edificare
Esaminando a campione la piramide di Cheope d’Egitto, sopra accennata, escludendo la relativa
tematica sulle ragioni intime che indussero il faraone ad erigerla superbamente, non è chiaro
abbastanza se “l’atto edile” per la costruzione avvenne con il concorso della “violenza”, la qual cosa
comproverebbe, senza scampo, la perpetua condanna dell’Uomo eludendo ogni possibilità di futuro
riscatto. Più chiaramente, sarebbero incerte le modalità costruttive sopra argomentate in relazione
alla gestione degli elementi strutturali giudicati “impossibili” da porre in atto con il corretto umano
uso della forza-uomo, almeno sembra, considerata la scarsa e povera tecnologia disponibile
nell’epoca in discussione. Va da sé che si escludono le fantasticherie, in merito, che
argomenterebbero l’intervento di forze, addirittura extraumane. Insomma, se risultasse, invece,
questa realtà operativa in esame, “amabile”, ovvero, si scoprisse che a quel tempo, potendo far uso
di un buon intelletto esercitato alla corretta “geometria”, si poteva erigere il monumento cheopiano
dei supposti “guai”, se non altro, almeno, col relativo “beneplacito” delle forze-uomo operative
coinvolte, starebbe in piedi l’ipotesi iniziale del riscatto umano con effetto immediato. Io credo che
questo grave dilemma abbia assillato continuamente gli uomini di buona volontà che ora non sono
più, e i loro “scritti”, al limite graffiti d’ogni genere sulla nuda pietra, lo attestano. La stessa
piramide di Cheope racchiude in sé cose del genere, ad opera degli stessi che vi posero le mani, per
24
la controparte della fattispecie umana inscindibile. Partendo da questa considerazione, e trovandomi
coinvolto in un inspiegabile “percorso” coerente alla questione in discussione, non ho potuto che
dispormi ad emulare i suddetti uomini presi dal “dilemma”. Oggi mi ritrovo ad aver prodotto un
breve lavoro, squisitamente tecnico, sulla piramide di Cheope. Il risultato comprova
clamorosamente la tesi iniziale, mettendo in gran risalto la possibilità di poter usufruire, da parte dei
costruttori di Cheope, una tecnologia estremamente semplice e a misura d’uomo che è quanto si
cercava. Ed ecco come fu che mi venne l'idea di indagare sulla cantieristica della piramide di
Cheope.
Da una riflessione su un noto reperto conservato al Museo Egizio di Torino, la rappresentazione
dello scarabeo sacro, mitologico “rotolatore del Sole”, mi è sorta l’idea di come poteva essere
possibile smuovere gli enormi massi con i quali fu costruita la piramide di Cheope d’Egitto, con
l’ausilio di poca energia in rapporto a quella comunemente ipotizzata, di gran lunga più grande.
Prima di entrare nel merito della suddetta idea traccio a grandi linee la situazione della posizione
assunta dagli studiosi che hanno cercato di formulare delle ipotesi a riguardo.
L’assillo degli archeologi, in relazione alla costruzione in questione, è stato sempre il problema del
trasporto e sollevamento dei 2,3 milioni e più di blocchi, ognuno del peso che va da 2,5 a 72
tonnellate di materiale calcareo e granitico, alle quote d’impiego fino alla quota di sommità di 146,6
metri. Sembra che ci sia unanimità, fra gli esperti accreditati, a considerare sostenibile la teoria delle
«rampe», che comporta, ovviamente, il trascinamento dei blocchi, agevolato dall’ausilio di pali di
legno rotolanti sotto la base, nonché una buona pista di transito. Non sono mancate idee molto
geniali, su quest’appassionante tema, con concezioni di svariate “macchine” per il sollevamento dei
massi. Per non parlare di certe vere americanate nel sostenere, con ferma convinzione, che le pietre
cheopiane in discussione vennero sollevate e portate al sito di fabbrica, addirittura, con gli aquiloni.
È l’ingegner Mory Gharib, professore della Caltech University (USA), che nel giugno 2001 è
riuscito a sollevare in posizione verticale un obelisco alto tre metri e pesante tre tonnellate,
utilizzando, appunto, una serie di aquiloni e una semplice carrucola. E’ una notizia che ho rilevato,
pari pari, dal noto periodico «FOCUS» n° 117 di quest’anno. A mio modesto parere occorre avere le
idee chiare, su questo lato tecnologico in discussione che affascina non poco, ma che non devono
permettere sconfinamenti fantasiosi inadatti alla tecnologia disponibile all’epoca in questione. E’ un
periodo in cui si poteva far conto solo su due materiali, di per sé da stimarsi “poveri”, il legno e il
bronzo. Senza contare che il legno scarseggiava in Egitto e perciò occorreva farlo venire da lontano.
Di conseguenza, far leva su simili risorse per dar luogo a ipotetici sistemi esplicanti energie
considerevoli, se rapportate, queste ultime, specificamente alla limitatissima resistenza unitaria del
legno in particolar modo, non può essere giudicato ammissibile sul piano tecnico che si rispetti.
Si pensi solo al caso del trasporto, a ben 50 metri ed oltre, di altezza dalla base di Cheope, dei massi
granitici da 72 tonnellate, necessari per la camera sepolcrale del re, che pur dovettero essere posti al
sito assegnato, in qualche modo, senza pensare sempre a tecnologie misteriose da sogno! In quanto
agli aquiloni, si tratta di rudimentali mezzi soggetti ai capricci del vento che solo oggi, grazie ai
sofisticati mezzi di controllo e comando di potenti macchine aeree, potrebbe essere possibile, ma è
vero anche che c’è stato, di pari passo, un grande progresso dei mezzi terrestri, molto più potenti e
affidabili per precisione e manovrabilità estrema. Detto questo, non resta che convincerci sulla
necessità di ricorrere in modo predominante al trasporto per “trascinamento”, o qualcosa di “simile”
che poi vedremo, su «rampe» che potevano essere ricavate intorno ai quattro pendii di Cheope.
Anche qui si presentano gravi limitazioni non potendo eseguire una pista abbastanza larga tale da
permettere una comoda viabilità cantieristica. In merito alla pista, occorre rilevare che
approssimandosi alla sommità, per necessità imperativa dettata da tragitti rettilinei sempre più brevi,
si va limitando la relativa larghezza. L’ultima cosa riguarda la pendenza da dare alle «rampe»
intorno a Cheope, da calcoli fatti, sembra sia buono il valore del 5%, ossia 5 metri di salita per ogni
100 di percorso. Naturalmente, questo valore, serve solo per impostare un ragionamento su basi
tecniche, non che, sia stato adottato veramente.
25
Ora tirando le somme sulle possibilità potenziali della tecnica di trasporto per «trascinamento» così
starebbero le cose, secondo il mio punto di vista:
1. Per la maggioranza dei blocchi da 2,5 tonnellate cadauno (cubi ben lavorati – si dice – da 1
metro e più di lato) dovrebbero essere impiegati per lo meno 8 “tiratori”.
2. Per il caso limite dei blocchi da 72 tonnellate cadauno, essendo adottata, ovviamente, la
stessa tecnica del caso precedente, vale il rapporto dei pesi 72 / 2,5 per segnalarci quanti
“tiratori” occorrono, ossia 232. Ma sono tanti, perciò, pur organizzando una squadra di
“tiratori” a diverse colonne, queste risultano, comunque, molto lunghe, tali da non poter
essere in grado di adeguarsi al traino allorché si giunge ad ogni svolta della pista intorno alla
piramide. In alternativa si potrebbe pensare di eseguire una pista unica, partendo da lontano
e non girando intorno ai pendii della piramide, ma, con la pendenza del 5%, è necessario che
si delinei lungo un tratto di poco meno di 3 chilometri, che sono tanti. Sarebbe come
affermare che per costruire la grande piramide di Cheope è stata necessaria un’altra
costruzione posticcia, ancora più grande che poi è stata rimossa!
Illustrazione 15: Cantiere per l'edificazione della piramide di Cheope. Ipotesi della tecnica di
trasporto per rotolamento dei massi di calcare e granito.
Tutto questa sintetica trattazione sull’ipotetico trasporto blocchi per “trascinamento”, come si è
visto, è stata indispensabile per capire che non è tanto praticabile questa tecnica e che la soluzione
deve essere, certamente, un’altra.
Come anticipato all’inizio, lo scarabeo «rotolatore» egizio mi ha spinto a ipotizzare la tecnica
analoga dei blocchi di Cheope da portare in quota: tecnica che ho definita, ovviamente, per
«rotolamento». Inoltre ritengo che si debba stimare condizionante, per la costruzione di Cheope, il
lato sacrale che dovette stare alla base di ogni “atto edile”, per significare che gli stessi
innumerevoli blocchi della piramide costituivano una certa “carne” in allestimento, come di un
riunire concreto dei «frammenti» di Osiride dispersi nel Nilo secondo la storia religiosa che
conosciamo. Questo per far delineare che per i costruttori di Cheope la movimentazione degli
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elementi strutturali doveva seguire un certo corso in “approssimata” armonia con la natura. A questo
punto si può passare dalle parole ai fatti visionando l'illustr 15, grazie alla quale si capisce molto
bene l’esplicarsi nei minimi dettagli tecnico-pratici, di facile realizzazione, del metodo di
«rotolamento» che io ho ipotizzato. Si tratta di preparare accuratamente delle centine di legno
opportunamente cerchiate con bronzo forgiato, per opera di buoni falegnami e maniscalchi e il
miracolo è fatto! In sintesi, questi sono i risultati che ne conseguono:
1. Per i blocchi da 2,5 tonnellate, cadauno, occorrono due operatori “spintori” nei limiti loro
consentiti e al riparo da infortuni.
2. Per i blocchi da 72 tonnellate, cadauno, la tecnica del traino è a tiro, perciò occorre una
squadra di 36 “tiratori” disposti in 9 colonne. In più sono indispensabili almeno due
capisquadra “pilota” e due o tre “sorveglianti” in coda, addetti alla sicurezza e
all’attrezzamento dei capicorda per ogni fase “di rotolamento” che ho previsto di 60°. Anche
per questo caso limite tutto si svolgerebbe regolarmente, sia come sforzo richiesto ai
“tiratori”, sia per l’aspetto antinfortunistico.
3. Volendo ottimizzare il metodo di lavoro, gli addetti alla spinta e alla trazione dovrebbero
essere scelti di buona statura. Nel caso della trazione, quelli più bassi dovrebbero essere
disposti in testa alle nove colonne. Va da sé che per quest’ultimo caso, che è relativo ai traini
speciali e limitati quantitativamente, si potrebbero adottare anche “tiratori” prestanti per
limitare la composizione della squadra relativa.
I due addetti alla movimentazione dei blocchi “a spinta”, una volta giunti sul posto d’arrivo, dopo
aver eseguito la consegna, si dispongono al ritorno per un successivo traino portandosi a spalla
l’attrezzo di legno per “il rotolamento”. Questo vale anche per il resto in generale. Per gli altri casi,
quelli speciali della trazione, essendo uno diverso dall’altro, l’attrezzatura relativa è da considerarsi
“a perdere”.
Nel dettaglio presento il computo tecnico delle cose inerenti il primo caso che è quello del
rotolamento a spinta dei massi da 2,5 tonnelate (che per sicurezza ho considerato di 3 tonnellate nel
calcolo). Il secondo caso, quello dei massi di 72 tonnellate trasportati col metodo del rotolamento,
sebbene sia possibile è tuttavia dispendioso e di difficile applicazione, perciò ho pensato che si sia
ricorso ad un'altra tecnica di trasporto e questo spiegherebbe l'esistenza della Grande Galleria
all'interno della Piramide di Cheope. In essa è ricavata una pista inclinata su cui presumo siano stati
spinti (o tirati) tramite macchine a mo' di slitte. Questa è l'idea di molti egittologi su cui sono
d'accordo.
27
Calcolo analitico della forza-uomo
Illustrazione 16: Due spintori sono in grado di far rotolare,
lungo un percorso in lieve salita (5%), un blocco di pietra del
peso di 3 tonnellate.
FORZA-UOMO «F» DI AZIONAMENTO ALLE DIVERSE PENDENZE
TABELLA DEI VALORI ASSUNTI
Rif.to illustr. 16
Denominazione
Unità di misura
Misura
la
Lato
cm
105
h
Altezza
cm
105
Pn
Peso netto
kg
3000
Pa
Peso attrezzatura
kg
200
Pl
Peso lordo
kg
3200
n
Numero degli spintori
N°
2
r
Raggio della ruota
cm
78,6
l
Braccio di leva per l'azionamento di
spinta
(distanza fra i punti di azionamento
e l'appoggio della ruota sulla pista).
cm
136
cm
0,1
μ
Attrito volvente relativo al caso di
cerchione di bronzo su pista
semidura. Si tratta del braccio di
leva specifico ed esprime anche la
resistenza per un carico di 1 kg e per
il raggio di 1 cm.
28
TABELLA DI CALCOLO
Pendenza della pista
Forza-uomo F
Formule di calcolo
%
Gradi
sessag.
F = Pl ∙ (μ ∙ cos α + sin α) / n ∙ l
5,00
2
51
45
47,35
4,50
2
34
36
42,74
4,00
2
17
26
38,1
α = Angolo di pendenza della pista
primi secondi
kg
La lezione offerta dall’indagine “edile” della costruzione della piramide di Cheope ci offre una
meravigliosa occasione quale preziosa metafora di vita. Inizialmente ho voluto evitare di esaminare
la tematica sulle ragioni intime che indussero il re egizio, Cheope, ad erigere la ciclopica struttura
piramidale, passata alla storia comune come prima meraviglia del nostro pianeta. Ora appare chiaro
ogni cosa sotto quest’altro profilo su cui lo storico Erodoto si mostrò molto critico. Il pur faticoso
procedere dei «Rotolatori del Sole» fin su la vetta della piramide di Cheope, anche se agevolato dai
“costruttori”, pone in mostra un preciso modello, a cui conformarsi, per edificare la personale
piramide mentale, con la giusta strada e idoneo pendio da seguire, in modo che possa evolversi al
pari passo del crescere cosmico. Il fatto “tecnico”, sui «Rotolatori del Sole» posto in luce, assicura
che l’edificazione mentale argomentata è possibile; che, poi, al tempo della costruzione di Cheope,
non fu messa in pratica, del tutto o in parte, la buona tecnologia rilevata, è un’altra cosa che non
deve influire più di quel tanto, almeno sul piano degli intenti umani. L’uomo deve convincersi di
avere in sé il potere per fare cose prodigiose, a patto, però, che accetti di esplicare la forza di cui
dispone per il bene comune. Lo scarabeo sacro può essere visto, come il pensiero ben concepito e
incanalato, che deve poter smuovere, “rotolando”, nel modo migliore, il cervello sulla giusta
“salita”: da qui il concetto dell’evoluzione che si può avvalere della moderna cultura sui sistemi
meccanici per una corretta movimentazione con poca dissipazione. Ma l’ammaestramento più
grande, che deriva dai «Rotolatori del Sole», riguarda la memoria, il bene primario insostituibile
dell’uomo proiettato verso il futuro dissolvente. Il ricordo del passato, con la relativa rivalutazione,
per ciò che si rivela chiaramente “buono” deve potersi riagganciare all’uomo del presente perché sia
di ausilio, come prodigiosa certezza incorruttibile, in modo che egli possa dominare gli eventi non
sempre favorevoli. Nella memoria vi è il corredo su cui si può fondare un sano e progredito
intelletto, ma occorre ricercarlo là dove “vivono” le cose semplici e pure, in noi. A ragione di ciò se
occorre intravedere una verità, un chiarimento di fatti e cose inspiegabili che potrebbero condurre
sulla strada dell’errore, come la superstizione o la credenza di un miracolo, per esempio, si deve
sempre pensare che tutte le storie accadute nel passato, le successive a noi prossime, e quelle ancora
da accadere, per avverarsi hanno tutte bisogno dell’intervento della “mano” dell’uomo che ho
definito tecnicamente “forza-uomo”, da non intendersi in senso metaforico. Questa mano è simile a
quella dei «Rotolatori del Sole», anzi è la stessa di quegli uomini, se ci sentiamo affratellati, che al
tempo remoto del faraone Cheope, presumibilmente erano in gran parte contadini senza cultura e
impastati di superstizione, l’unico modo di quel momento storico per essere capaci del sacro, di
Dio. Costoro donando di sé l’unica loro preziosità, la “forza-uomo”, appunto, in chi più e in chi
meno, rendevano manifesto un peculiare e prezioso “amore” di cui doveva essere pregno un
“rotolatore del sole” per eccellenza, Gerolamo Segato. Senza di lui e senza il suo tavolino con le
214 particole umane, simile ad una misteriosa arca in cammino nel tempo fino a noi, io non avrei
avuto l'onore di sviluppare questo saggio.
Intravedo il lungo e faticoso cammino dell'umano pensiero, iniziato da quei due a spingere di
Giza. A rotolar la squadrata pietra...; e poi due cavalieri del tempio, su un sol cavallo...; e
Dante con Virgilio in tacita intesa a colloquio...; ed ancora Dante e Beatrice incantati... È così
attrattivo , non nego, ma sono perplesso nella mia atavica greve solitudine!
29
Mi chiedo: «donde la luce che li accompagna, se non dal corpo terroso, ove il “piccolo” eppur
“grande” Filosofo, “Geometra e Poeta”, soggiace, ma da tutti disprezzato, senza il quale la luce
non è che nulla. I suoi figli determinano le ore, e i giorni, del tempo. La velocità costituisce la
sua costante e virtù, ma anche la rovina di tutto ciò che incontra di impuro, ossia di quei due,
incapaci di generare, perché non correttamente informati alla ferrea armonia della geometria,
e/o non sufficientemente sognatori, che solo attraverso i “Rotolatori del Sole», permette di
introdurla come vita nella materia e farla palpitare.
Fu in questo modo che per la piramide di Cheope, e così anche per la piramide mentale di Gerolamo
Segato si determinò un cielo in una stanza, ma qui si ammira un'altra Geometria.
La stella di Gerolamo Segato
Illustrazione 17: Il pentalfa della piramide simile a quella
ottenuta con il ¼ di pi greco. Il cerchio bianco delimita la
sezione argentea del raggio del cerchio verde; il cerchio
rosso delimita la metà della sezione argentea.
Ma non si è esaurito il mio girovagare fra le geometrie sul tavolino di G. Segato fin qui esibite.
Resta da far apparire la sua stella di luce e per questo concepire la sagoma della piramide di Segato
simile a quella di Cheope, avvalendoci della sezione argentea, l'inverso della sezione aurea. Allora
è anche cosa fatta far delineare il pentagramma simbolo universale che normalmente è disegnato
entro un cerchio, noto anche come pentalfa.
La base della piramide in questione, questa volta determinata avvalendoci della sezione argentea,
nota col numero 0,618..., porta ad una valore molto prossimo a quello teorico ottenuto dal rapporto
pi greco π. La ½ base è così calcolata, in questa versione della sezione argentea:
1/2 lato di base = √ 0,618... = 0,786151377...
Questo risultato si approssima al ¼ di pi greco = 0,785398163... e a quello calcolato con la regola di
Archimede, ottenuto dalla frazione 11/14 = 0,785714285...
30
Nello specifico grafico dell'illustr. 18, il cerchio in tangenza con le apoteme della piramide, è
calcolato con metodo della sezione argentea, 0,618... Il successivo cerchio interno della stessa
figura serve per disegnare la sagoma della stella in questione. Il suo raggio è la metà di 0,618...
Pentalfa e la stella fiammeggiante
Del libro di Mark Hedsel, L’iniziato, (Mondadori, 2000), il capitolo sesto, (p. 251) inizia con
questa citazione del Plutarco, Iside et Osiride10 e poi prosegue:
«Ierofante di alto grado presso il tempio, appunto, di Iside a Delfi […]»; «In una sezione del libro,
in cui Plutarco pare spiegare perché i sacerdoti si radono la barba e indossano soltanto lino, egli
cita un verso appartenente ad una tradizione misterica che era antica già allora: “Il fuoco sbocciò
con cinque rami”. […] Nel mondo antico a ben pochi iniziati sarebbe sfuggito che “i cinque rami”
non indicavano la mano, bensì il corpo eterico dell’uomo, un corpo spirituale invisibile a tutti
tranne che agli iniziati e ad altri veggenti. Nell’antico Egitto l’eterico dai “cinque rami” era
simboleggiato da uno dei geroglifici più importanti, lo sba a forma di stella, così strettamente
associato alla morte da figurare in molte tombe.»
Appena qualche capoverso dopo, ancora una serie di illuminanti riflessioni:
«Nei testi ermetici più tardi, l’uomo eterico a cinque rami è espresso dall’immagine dell’uomopentagramma che tanto ossessionò Paracelso e che Agrippa, conoscendone le origini arcane, tentò
di collegare con i pianeti. […] Ebbene, il frammento di Plutarco appena citato non contiene
soltanto l’idea dei “cinque rami”, ma evoca anche un fiore di fuoco, alludendo così al “fuoco”
attraverso cui doveva passare il neofita ai suoi primi passi. Dall’iniziazione, sostenevano le scuole,
emergeva il corpo eterico, il corpo superiore, pentagrammatico, con le mani alzate in un gesto di
meraviglia di fronte al mondo spirituale appena rivelato. […] Si comprende così come
l’espressione “cinque rami” di Plutarco indichi qualcosa che va al di là del comune essere umano:
dopo essere passato attraverso le fiamme dell’iniziazione, l’uomo diventa uomo purificato, perché
il fuoco ne ha bruciato le scorie. Nella tradizione alchemica, in cui la combustione delle scorie per
rivelare l’oro interiore costituisce uno dei temi principali, l’uomo-pentagramma è chiamato stella
microcosmi.»11
[...], lo sba dell’Egitto Faraonico è sì una stella, ma non una stella qualsiasi, perché è “la” stella a
cinque punte, ovvero il sacro Pentalfa che può essere tracciato unicamente all’interno del pentagono
regolare inscritto nella circonferenza!
Nell’antichissima simbologia egiziana – madre di tutte le simbologie – la stella a cinque punte
raffigurava anche Horus che, ricordiamolo, è figlio di Iside e di Osiride. Il Pentalfa inscritto
contiene al suo interno i segreti della sezione aurea, dell’infinita generazione e del numero cinque.
[…] Il termine significa «cinque alfa», ossia cinque principi. Ai quattro già convalidati da
Empedocle, Pitagora ne aggiunse un quinto che è unitario, ovvero la natura. Il Pentagramma era
dunque il simbolo dei pitagorici, ed era tracciato con una circonlocuzione che significava un triplice
triangolo intrecciato. […]12
Le foglie di acero
La stella pentalfa trova relazione con il tavolino di G. Segato che è di acero. La foglia di questa
pianta ha appunto cinque lobi di forma appuntita. (Illustr. 18)
Le raccolte di aceri di alcuni giardini botanici e i boschi di aceri sono anche mete del turismo
nazionale, in diversi paesi, tra cui gli Stati Uniti e il Giappone, per via delle accattivanti colorazioni
del fogliame autunnale. Il termine giapponese momijigari (che letteralmente vuol dire “caccia alle
foglie di autunno”) indica la tradizione giapponese di recarsi in autunno nelle campagne per
10 Plutarco, Iside et Osiride (introduzione di Dario del Corno), Adelphi, 2002
11 Cfr. Mark Hedsel, L’iniziato, p. 251-253.
12 PENTALFA E LA STELLA FIAMMEGGIANTE a cura Ernesto Saquella.
http://www.fuocosacro.com/pagine/articoli/PENTALFALASTELLAFIAMMEGGIANTE.htm
31
ammirare i colori fiammeggianti degli aceri del Giappone.
La colorazione più o meno vivace è data
dall'escursione termica fra giorno e notte: più è elevata
maggiore sarà la presenza di pigmenti colorati.13
Curiosità :
Un acero sicomoro del Giura può coprire con la sua
chioma fino a 60 metri quadri di terreno. Secondo la
mitologia greca è l'albero di Fobos, dio della paura,
probabilmente perché non era considerato di buon
auspicio il colore rosso sangue assunto dalle sue foglie
in autunno.
Una foglia d'acero riccio appare al centro della
Illustrazione 18: Composizione di foglie di bandiera canadese.
Dall'acero campestre Stradivari, ricavava il ponte per i
acero rosso. http://interpix.com/it/nature/trees_leaves/trees_and_leaves/904 violini. Il legno dell'acero sopratutto quello montano è
6-see.html
molto pregiato e impiegato in liuteria.
Letteratura: (allusione al cavallo di Troia)
“Già sorgeva il cavallo | fatto di travi d'acero: allora più che mai | i nembi risuonavano per tutto il
vasto cielo”. (Enedie, libro II,112, Virgilio).14
Elogio di Girolamo Segato
«[…] Interrogate tutte quelle famiglie nel seno delle quali era ammesso il Segato. Domandate loro
dei suoi modi del suo diportarsi. Parco, severissimo in guisa di parole che né una pure giammai o
riuscì men dolce a un casto orecchio, o fu causa di domestico turbamento e scompiglio. Era il
Genio della pace e dell'armonia che al solo presentarsi rallegrava delle sue gioconde e benefiche
influenze ogni consorzio. Benedizioni a quelli che gli somigliano!
Niuno più di Girolamo la geometrica evidenza della massima che il vero merito è sempre
modesto. Con quella franchezza però che mi è propria, e che spero non ispiacerà in Cielo
all'amico, come non ispiacque in terra, dirò che in lui la virtù della modestia fu eccessiva; e noi
sappiamo che gli estremi si toccano: dimodoché potea forse parere, o dispregio degli uomini, o
stupida noncuranza di sé; dico parere, poiché di fatto né l'uno né l'altro era veramente, e dipendeva
dalla sua massima austerità e dalla taciturnità, in specie con chi non gli era familiare lo faceva
scarsissimo di parole, ed in parte di bassissimo sentire di sue opere, delle quali mai non era
contento.
La franca sincerità fu anzi unica, che rara; e senza circuito di mollienti parole che e' ti sponeva
nudo e preciso il suo sentimento, al tu contrario. A chi bene non conoscesse quell'animo potea
riuscire forse aspro un cotal modo secco e perentorio. Ma io penso di voler contigiata di ornati e
belletti quella che credesi verità, sia un deturparne la verginale bellezza. Non mi avvilisco a
parlare degli adulatori perché questa è maledetta peste sociale, razza di vipere abominazione; ma
assevero che non sembrami a tutto lodevole nemmeno il sistema di lasciare piuttosto vedere e
indovinare per via di andrivieni e circonlocuzioni, invece di manifestarlo con frasi brevi proprie e
dirette. Questo secondo metodo oltre essere più confacente alla dignità dell'uomo, alla saggezza,
partorisce anche il vantaggio di far conoscere l'indole altrui. Il borioso e coperto al vero, o alla
contraddizione aperta, che lo punge si adonterà, e quindi innanzi ti fuggirà, o lo fuggirai; lo
schietto e modesto ti saprà grato, e diverrete amici.
La innata smania di studiare nella natura indusse il Segato a cambiar le dolcezze della pace
familiare colle vicissitudini di una vita errabonda; ma non per questo venne meno in lui l'affettpo
per i genitori, ai fratelli. Dall'Africa ed altre remote bande ci mandava sue novelle, delle loro
13 http://it.wikipedia.org/wiki/Acer_%28botanica%29
14 http://www.ancorainviaggio.it/acerorosso.htm
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inchiedeva; era coll'animo sempre fra essi. Ne faccia fede, fra l'altre la lettera di lui guari
pubblicata, diretta al fratello Vincenzo.
Fortunato colui, il quale può dire: – Non ho mai nociuto al mio simile; ho giovato al mio
prossimo. – I due gran precetti dell'Incarnata Divinità, del non fare altrui quel che non vorrebbesi
partire, e dell'amare il prossimo simile come sé stessi sono i cardini, le pietre angolai dell'eccelsa
legislazione scritta nell'augusto codice di tutte le verità, l'Evangelio. Chi non si fonda in questi
solenni principii non isperi salute. Voi tuttiquanti, che conosceste il nostro sospirato, die se alcuna
offesa ne aveste o sapeste mai. Ohimé! Voi rispondete con singhiozzi di affetto: ne tessete così
l'elogio il più eloquente. [...]».15
Brescia, 20 marzo 2012
15 Elogio di Girolamo Segato da Belluno . Di Giuseppe Pellegrini. Google eBOOK
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girolamo segato il rotolatore del sole custode dell`immortalità