Un argomento al mese su cui riflettere: Aprile 2008
Il Padre nostro nei Padri della Chiesa e nei Concili
da “La vita in Cristo e nella Chiesa” – Anno LVII, n°4.
Una delle prime testimonianze sull'uso del Padre nostro come preghiera quotidiana, da
parte dei primi cristiani, ci è giunta nella documentazione della Didaché o Dottrina
Duodecim Apostolorum, composta tra il 70 e il 90 d.C. Quest'opera è considerata la più
vicina ai tempi degli apostoli e in essa viene richiesta ai fedeli la triplice recita quotidiana
del Padre nostro, usanza che le valse il titolo di «preghiera quotidiana». Abbiamo in
seguito la testimonianza dei Padri della Chiesa, tra cui Ambrogio, Agostino e Giovanni
Crisostomo, che esortano i fedeli a recitare frequentemente la preghiera. Sant'Ambrogio,
nel suo trattato De Virginibus, prescrive alle vergini consacrate di ripetere il Padre nostro
dopo il canto di ciascun salmo. Dopo il De oratione, composto da Tertulliano tra il 200 e il
206, e quello di Origene, scritto dopo il 231, seguì, nel 252, Intorno all'orazione del
Signore, di san Cipriano, vescovo e martire di Cartagine, nel quale egli invita i cristiani
«che sono in Cristo, cioè nella luce, di non desistere dalla preghiera neppure di notte».
San Cipriano infatti considera il Padre nostro la più grande preghiera dei cristiani, perché
«le parole che suo Figlio ci ha insegnato portano all'ascensione verso il Padre celeste».
San Gregorio Nisseno (335-395) ci ha lasciato ben cinque omelie a commento della
preghiera del Signore che egli considera «la dottrina della preghiera», «la scienza
dell'orazione» e «l'esposizione del modo col quale ottenere per mezzo delle parole
l'ascolto divino».
San Giovanni Crisostomo, soprannominato per la sua capacità oratoria «bocca d'oro», ha
scritto due trattati sul Padre nostro che sono uno studio completo della preghiera, tanto
che si disse che qualsiasi altro commento sarebbe stato superfluo. Sant'Agostino ci ha
lasciato ben sette studi sulla preghiera e, nel trattato - Il sermone Domini in monte -, egli
afferma che essa è «la preghiera fra tutte perfettissima e quella che esprime tutti i possibili
desideri che il cristiano possa rivolgere al Signore». Nel secolo V anche sant'lsidoro,
fondatore del monastero di Pelusium, e san Grillo, patriarca di Alessandria dal 412 al 444,
furono autori di studi approfonditi sulla preghiera. Nella Ravenna bizantina un altro dottore
della Chiesa, san Pietro, detto Crisologo per la sua raffinata eloquenza, scrisse sei omelie
sul Padre nostro, di cui fu un appassionato sostenitore. Egli, infatti, nei sermoni 67 e 72
dice: «Cristo ci ha insegnato a pregare brevemente perché egli vuole rapidamente
concedere quanto gli si chiede. Come può Iddio indugiare a rispondere se ha prevenuto le
nostre supplici voci col dettarci egli stesso le preghiere?». San Bonaventura da
Bagnoregio, nella sua fervida - Esposizione della preghiera del Signore -, esalta il Padre
nostro come «la preghiera privilegiata per tre aspetti speciali: per la sua dignità perché l'ha
composta il Cristo; per quella sua brevità per la quale presto s'apprende e facilmente si
ritiene e più di frequente la si può ripetere e infine per la sua fecondità, che essa contiene
tutte le richieste e abbraccia quanto occorre per la nostra vita spirituale e terrena».
Di san Tommaso, il doctor angelicus, possiamo ricordare l'opuscolo Esposizione
dell'orazione del Signore, in cui egli definisce il Padre nostro la preghiera di «tutta
perfezione», in quanto «essa è la prima fra tutte le altre preghiere, come quella che
assomma in sé le cinque doti di una preghiera perfetta la quale deve essere certa,
rettilinea, ordinata, devota e umile». Nell'Alto Medioevo sia la letteratura ecclesiastica sia
le testimonianze del monachesimo occidentale ci hanno lasciato molti commenti sul Padre
nostro, tra cui quelli del venerabile Beda, di san Bruno, vescovo di Wurzburg, del
venerabile Mauro Rabano e di san Bernardo di Chiaravalle. Anche nel monachesimo
orientale l'Alto Medioevo fu fecondo di studi e di commenti sul Padre nostro che
contribuirono a diffonderlo nel mondo greco-orientale. Tra i numerosi autori possiamo
ricordare Pietro di Laodicea, san Germano di Costantinopoli e san Teodoro, abate del
famoso monastero Studion di Costantinopoli. Sulla diffusione e l'importanza del Padre
nostro nel mondo greco-orientale è rimasta una straordinaria testimonianza: un antico
coccio ritrovato a Megara Ellenica tra altri cocci, o òstrakà, con incisi i versetti del Vangelo,
su cui appare per intero la trascrizione del Padre nostro in greco. Si tratta di un primordiale
libro di preghiere per i fedeli poveri che non potevano acquistare i costosi papiri contenenti
la preghiera.
NelI'VIII secolo il Padre nostro divenne l'argomento principale, insieme al Credo, nella
catechesi dei fanciulli con la Disputatio puerorum basata su una lunga serie di domande e
risposte. Va ricordato, inoltre, che nell'anno 802, in una ordinanza dell'Assemblea degli
Stati dell'Impero di Carlo Magno, si stabiliva che ogni laico doveva apprendere a memoria
il Padre nostro. Dopo il periodo dei Padri della Chiesa anche i Concili mantennero vivo
l'uso del Padre nostro nella devozione dei fedeli: il Concilio di Gerona in Spagna nel
canone X e il IV Concilio di Toledo, presieduto nel 633 da sant'lsidoro vescovo di Siviglia
nel canone IX, hanno prescritto ai fedeli la recita mattutina e serale del Padre nostro.
Durante il Medioevo, molto prima che i domenicani diffondessero la pratica del rosario,
chiamato Salterio di Maria, era in uso tra i fedeli ripetere un certo numero di Pater. Per
tenerne il conto si usavano già le corone che venivano vendute sia sotto i portici di San
Pietro, sia lungo la strada che collegava la basilica Vaticana a quella Lateranense. I
rivenditori venivano chiamati paternostrari o venditores veronicarum. Nell'Inghilterra
cattolica esisteva una strada chiamata Paternoster Rom, in cui i venditori ambulanti
vendevano articoli religiosi, tra cui la corona del rosario, e nel Riccardo III troviamo alcuni
versi di Shakespeare, in cui il grande drammaturgo inglese descrive la «dolce e
appassionata devozione dei pii cristiani del Rinascimento che recitavano i loro
"paternoster quotidiani", pratica dalla quale sarebbe stato difficile distoglierli».
Il Padre nostro preghiera dell’umanità
Una storica rivelazione sull'importanza dell'orazione quotidiana si ebbe nel 1892 quando,
in occasione delle feste colombiane, si riunì a Chicago il Parlamento mondiale delle
religioni, presieduto da James Gibbons, il primo cardinale cattolico americano. In un simile
congresso, tra rappresentanti di tutte le religioni con tendenze assai diverse e discordanti,
il cardinale riuscì ad ottenere un'atmosfera di ispirata concordia per mezzo della recita in
comune del Padre nostro che venne ripetuta ogni giorno, all'inizio e alla fine dei lavori.
Il cardinale Gibbons, arcivescovo di Baltimora, guardando con gli occhi e lo spirito di Gesù
quell'assemblea composta da membri così diversi e restii nell'accettare e comprendere le
credenze e le opinioni degli altri, aveva fatto ad un mondo diviso, il dono prezioso di una
preghiera unificatrice che «nulla chiede in una forma che sia esclusivamente caratteristica
della religione cristiana, in modo da non poter convenire se non ai figli della Chiesa di
Cristo. Nostro Signore ha voluto che essa fosse per eccellenza la preghiera dell'umanità».
Questo fu il commento di John H. Barrows, il cronista di quell'importante congresso delle
religioni, che citò in quell'occasione i versi del poeta inglese Tennyson, applicandoli al
Padre nostro: «Delle catene d'oro collegano l'intera umanità attorno ai piedi di Dio»,
facendo della preghiera di Gesù il perno della finale unità religiosa del mondo.
a cura di Sandro Imparato
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