A
proposito
di
Gaia
di Vanessa Piccoli
Il preferito di Gaia era senza dubbio Gabriel. Era infatti da lui che andava in
cerca di ispirazione ogni qualvolta si sentiva triste o insicura. Anche Isabel le
era amica e la rassicurava, nonostante le loro visioni del mondo fossero piuttosto divergenti. Luis e Julio poi la attraevano al punto che a volte, in loro
compagnia, finiva per dimenticarsi di quello che stava facendo, fino a quando
lo sguardo insistente di qualche cliente la riportava alla realtà.
Erano circa tre mesi che Gaia lavorava lì e, nonostante a volte fosse un po’ distratta, il capo era soddisfatto di lei e, di quando in quando, le regalava anche
un libro da portarsi a casa. Probabilmente le si era affezionato perché Gaia
era così giovane, aveva all’incirca l’età di suo figlio, o forse perché quando
l’aveva conosciuta aveva quello sguardo profondamente triste, anche quando
si sforzava di sorridere. Non era certo in un momento felice, Gaia, quando
era entrata nella libreria con il suo curriculum in mano. Il suo cuoricino di
diciottenne piena di sogni aveva appena subito una di quelle ferite difficili da
rimarginare: il suo grande amore, Alessandro, l’aveva tradita, e quando Gaia lo
aveva scoperto aveva sentito il baratro aprirsi sotto i suoi piedi. Due settimane
dopo aveva comunicato ai genitori che non si sarebbe iscritta all’università e
sua madre aveva reagito pressappoco come se le avesse detto che partiva per
l’Afghanistan. Neanche i suoi amici l’avevano capita, semplicemente pensavano che il troppo dolore le avesse offuscato il cervello. A detta di tutti era uno
spreco che una studentessa brillante come lei, e di una famiglia benestante
per giunta, anziché proseguire gli studi si andasse a seppellire in una libreria di
quartiere per novecento euro al mese. Ma a Gaia, a quel tempo, tutte queste
considerazioni interessavano poco. L’unica cosa che le importava era starsene
con i suoi libri, in santa pace.
I primi giorni alla libreria trascorreva quasi tutti i suoi momenti liberi insieme
ai filosofi: passava ore con Jean-Paul, nascosto con lei dietro il bancone, e si
sentiva sollevata dallo scoprire che non era stata la prima a provare nausea
verso il mondo. Era stato un periodo un po’ cupo, in cui spesso indugiava
nel pensiero di Alessandro e si diceva che non avrebbe mai più potuto fidarsi
di un altro essere umano. Dopo qualche settimana, però, si era distaccata dai
filosofi e aveva iniziato a bazzicare il reparto degli orientali: Banana, Haruki
e tutti gli altri l’avevano accompagnata nella difficile fase dell’accettazione. In
quel periodo Gaia era molto silenziosa e si interrogava sui grandi temi della
vita. Alle domande preoccupate dei suoi amici rispondeva che stava meditando in fondo al pozzo, risposta che, dal punto di vista degli amici, rendeva più
consistente l’ipotesi che Gaia fosse impazzita. Dopo aver raggiunto un certo
livello di serenità grazie agli orientali, Gaia si era concessa il gusto di sentirsi
cattiva: in quella fase si era avvicinata dapprima ai francesi maledetti e aveva
flirtato con Charles per qualche giorno, ma poi avevano avuto delle divergenze, a causa della fissazione di Charles che le donne fossero creature maligne.
Così Gaia si era lasciata tentare dalle femministe: aveva iniziato a frequentare
Simone, che a sua volta le aveva presentato Sylvia e da lì aveva iniziato a farsela con Erica. Erano state delle splendide settimane quelle: Gaia si sentiva di
nuovo piena di energie, consapevole di se stessa e delle proprie potenzialità.
Frequentando lo scaffale degli americani, aveva finito per fare amicizia anche
con alcuni uomini degni di nota: c’erano William, John, Ernest, Chuck, Raymond...Con loro aveva passato settimane piene di emozioni e si era innamo-
rata di ognuno di loro. Poi un giorno aveva conosciuto Irvine e lui aveva dato
una scossa alla sua vita: le sue parole le avevano aperto le porte di un mondo
nuovo, pericoloso e affascinante, e per molte notti Gaia aveva fatto sogni inquieti, in cui Alessandro si riaffacciava a volte sotto le spoglie di un marabù.
Era stato dopo Irvine che Gaia aveva iniziato a frequentare i sudamericani.
Erano i primi di novembre e da qualche settimana pioveva incessantemente, ma per Gaia era un periodo positivo: i suoi genitori avevano smesso di
tenerle il muso, anche se, di quando in quando, sua madre le lasciava in giro
per la stanza qualche opuscolo dell’università. Anche la sua vita sociale stava
migliorando: dopo mesi di chiusura quasi monastica, Gaia aveva riniziato a
uscire volentieri con i suoi amici e si era iscritta a un cineforum, dove aveva
conosciuto ragazzi nuovi, più grandi e interessanti. Fra questi c’era anche un
certo Mattia, studente di scienze politiche, che arrivava sempre in ritardo alle
proiezioni e inciampava in tutte le sedie. Mattia aveva gli occhi molto grandi
e quando la guardava Gaia pensava che forse i ragazzi non erano poi tutti dei
miserabili traditori.
Fu insomma in questo strano novembre di rinascita che un bel giorno Alessandro – o meglio il Marabù, come ormai lo chiamava Gaia nei propri pensieri- varcò la soglia della libreria. Era primo pomeriggio e il negozio era semivuoto, per cui Gaia si stava dilettando nel reparto poesia, in compagnia del
suo amico Dino. Era tanto presa dalla lettura che si accorse della presenza di
Alessandro quando lui le stava già di fronte. “Ciao” le disse, sorridendo colpevole. Gaia rimase con il libro a mezz’aria e lo guardò con lo stesso stupore che
avrebbe manifestato se E.T. fosse entrato a chiederle una guida della Toscana.
“Vuoi un libro?” gli chiese infine. Lui scosse la testa, imbarazzato. “No, volevo solo vederti, sapere come stavi...” rispose “Sai, in questo periodo ho pensato molto a quello che è successo fra noi...” Gaia, immobile, osservava la bocca
del Marabù aprirsi e chiudersi e percepiva vagamente il fiume delle parole che
ne usciva fuori. Le parve di riconoscere parole come “pentito”, “ricominciare”, “seconda chance” e si diceva che tutto quello doveva essere un sogno,
che non era possibile che stesse succedendo davvero. Alessandro continuava
a parlare e Gaia cominciò a guardarsi intorno, a cercare con gli occhi tutti gli
amici degli ultimi mesi. Allora successe una cosa strana. Le sembrò infatti di
sentire le loro voci: “tu sei più forte di lui!” le urlavano in coro le femministe, “guarda nel pozzo!” le suggeriva Haruki, “è lui il tuo inferno!” le sibilava
Jean-Paul, “colpiscilo con una mazza da golf!” le gridava Irvine esaltato. Gaia
ascoltava tutti e si sentiva confusa, desiderava ardentemente che Alessandro
se ne andasse e non tornasse mai più. “Insomma, che ne dici?” le chiese lui,
prendendole la mano. Gaia la ritirò di scatto e fece un passo indietro, andando a sbattere contro lo scaffale della poesia, che iniziò a tremare. Anche Gaia
tremava, per la rabbia, e ci mise qualche istante a realizzare che tutta la libreria
stava tremando. I libri iniziarono a cadere intorno a lei, poi caddero gli scaffali
e Gaia vide Alessandro accasciarsi al suolo, ma non si mosse. “Oddio, il terremoto!” sentì gridare qualcuno, poi sentì Alessandro che si lamentava e infine
la voce del suo capo, che le andava incontro preoccupato. “Meno male che tu
stai bene. Aiutami a liberare questo ragazzo, credo che si sia rotto una gamba.” Allora Gaia guardò in basso e vide il Marabù contorcersi con la gamba
sepolta sotto un mucchio di libri. “Coraggio, ragazzo, sta arrivando l’ambulanza.” gli disse il capo. Gaia, ancora un po’ stordita, si chinò e raccolse il libro
che stava in cima al mucchio. Allora sorrise. Era “Il conte di Montecristo”.
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