L’interpretazione de “L’istruttoria” di Weiss e la ricostruzione di una figura centrale: il criminale comandante Rudolf Höss I nostri ragazzi A Varedo studenti-attori rievocano Auschwitz Per iniziativa del Comune e delle scuole medie È finito con un messaggio di speranza e di pace lo spettacolo rappresentato con successo da noi alunni della scuola media dell’Istituto Comprensivo “G. Agnesi” di Varedo (Milano), in occasione della “Giornata della Memoria”: la luce di una fiamma che non si deve spegnere, le parole di una vittima illustre dell’Olocausto, Anna Frank. I testi che abbiamo letto e recitato sono stati tratti da alcune parti de L’istruttoria di Peter Weiss, un’opera nella quale l’autore ricorda e rielabora in forma poetica il processo di Francoforte dal 1963 al 1965 contro un gruppo di SS e funzionari del lager di Auschwitz, colpevoli di aver torturato e ucciso migliaia di prigionieri. In primo piano, a diretto contatto con il pubblico, abbiamo realizzato la ricostruzione dell’aula del processo con giudici e accusati; sullo sfondo, un velo grigio dietro al quale la moltitudine indistinta dei testimoni, riferiva di esperienze vissute in prima persona, ma parlava allo stesso tempo a nome delle vittime (circa sei milioni) coinvolte nell’Olocausto. L’intensità dell’emozione che noi giovani attori abbiamo cercato di trasmettere al pubblico è la prova che tutti abbiamo capito il senso e l’importanza della “Giornata della Memoria” e questo certamente può costituire un altro motivo di speranza per un futuro migliore. Dario Ramponi 3aA 32 P er il giorno della memoria, presso il Teatro Ideal di Varedo, l’amministrazione comunale e le scuole secondarie di primo grado cittadine, hanno ricordato gli orrori dei nazisti e della Shoah. Gli studenti della classe 3a A dell’Istituto “Aldo Moro” hanno rievocato la figura di Rudolf Höss, comandante assoluto per tre anni e mezzo del campo di sterminio di Auschwitz, nel quale sono state uccise più di un milione di persone. Nella ricostruzione storica realizzata dagli studenti, Höss si trova nel carcere di Varsavia. Un tribunale polacco lo sta giudicando per i crimini commessi e, nella solitudine della cella, scrive la sua autobiografia in cui presenta, dal suo punto di vista, la mentalità e la psicologia dei nazisti, ossessionati dall’ordine e dall’obbedienza agli ordini. L’uomo, e non il mostro, esibisce la lucida freddezza del gerarca nazista che, assolutamente consapevole di ciò che fa, agisce in nome dell’efficienza e se ne compiace. Gli alunni hanno dato voce alle riflessioni di un uomo che freddamente ha incarnato la spietata gerarchia nazista, con lo scopo di suscitare non sentimenti di commozione, ma di stimolare tutti ad un’attenta riflessione sul passato, affinché la storia sia effettivamente maestra di vita e che la consapevolezza e la memoria di queste atrocità commesse dall’uomo possano perdurare e diventare patrimonio delle coscienze dei giovani, per non ripeterle mai più. Gli alunni della 3a A Impressioni sulla visita al Museo Monumento del deportato politico e razziale di Carpi e al campo di concentramento di Fossoli Dai temi sul viaggio d’istruzione della classe 1ªA del liceo classico “Enrico Cairoli” di Varese I nostri ragazzi Nelle pagine che seguono abbiamo voluto raccogliere i nostri pensieri relativi alla visita al Museo Monumento di Carpi e al campo di concentramento di Fossoli, mete che per noi sono state molto significative. Gli alunni della classe 1a A ringraziano inoltre la guida che ci ha accompagnato in questo percorso non facile da “attraversare”, ma che alla fine ha prodotto in noi un germe di sensibilità e di memoria che fiorirà da ora in avanti e che faremo crescere insieme. Grazie ancora per la Sua attenta, accurata e sensibile esposizione di queste importantissime testimonianze da non dimenticare assolutamente. La classe 1a A del liceo classico “Enrico Cairoli” di Varese Non dimenticare per non ripetere I l nostro viaggio di istruzione ci ha portato a contatto diretto – nel corso dell’ultimo giorno – con due testimonianze del passato da non dimenticare e di cui abbiamo ricevuto l’importante compito di “tramandare” a nostra volta, affinché gli errori tragici che hanno portato l’uomo ad annichilire un suo simile non possano essere ripetuti: il Museo Monumento del deportato politico e razziale di Carpi ed il campo di concentramento di Fossoli. La preparazione adeguata ricevuta nel corso delle settimane precedenti il viaggio – avvenuta attraverso schede, articoli, filmati,incontri e testimonianze – ci ha aiutato a rendere questa importante ed unica esperienza un profondo strumento di apprendimento e di conoscenza dell’altro, mediante il quale noi – nel nostro piccolo – potremo costruire sal- Foto del gruppo degli alunni della classe 1ªA, degli insegnanti e accompagnatori: il professor Romolo Vitelli (docente di filosofia del corso A), la dottoressa Christine Annen (collaboratrice Aned), e il signor Enrico Carnevali (collaboratore di segreteria). di ideali e valori di tolleranza, dialogo e reciproca comprensione. La visita al Museo ci ha particolarmente colpiti nel profondo, toccando e stimolando il nostro animo: davanti ai nostri occhi scorrono ancora adesso le immagini dei graffiti e le scritte epistolari dei deportati, tra le quali – probabilmente – ognuno di noi conserverà il ricordo di una in particolare, per lui più significativa. Testimonianza e ricordo, conoscenza e trasmissione: queste sono le sensazioni che ci hanno accompagnato nel corso della visita di Carpi e di Fossoli e che tuttora ci guideranno nel corso della nostra vita, per aiutarci a non ripetere e a conservare il ricordo, per un domani nel rispetto e nel dialogo con l’altro. Matteo Chiese Matteo, con notevole perizia, ha curato la forma espressiva dei testi che è stata un’ottima base per la nostra redazione nel momento di dare esito tipografico a queste pagine. Anche questo lodevole lavoro, portato a termine fino alla presentazione dei resoconti, testimonia la sua partecipazione al dramma narrato. È autore del bozzetto commemorativo dell’Istituto. 33 Le impressioni sulla visita al Museo del deportato politico e razziale di Carpi e al I nostri ragazzi […] L’ultimo giorno abbiamo visitato il Museo del deportato a Carpi e il campo di transito di Fossoli. Questa è stata un’esperienza istruttiva e fondamentale perché, come ha detto Enzo Traverso, una visita ad un lager nazista – nel nostro caso era un campo “minore”, ma comunque un campo – se preparata può rivelarsi uno strumento pedagogico insostituibile. Anche se non abbiamo ancora studiato quel periodo, penso che Traverso abbia ragione perché, leggendo sola- mente i libri, non ci si rende conto totalmente della tragedia che è avvenuta. […] Giacomo Capra […] Abbiamo visitato numerosi luoghi ricchi di interessanti spunti di riflessione, ma secondo me il culmine è stato l’ultimo giorno al Museo di Carpi, in memoria delle vittime del nazismo, e al campo di concentramento di Fossoli. In quel momento la gioia e la spensieratezza, che non mancarono mai durante tutta la gita, svanirono per lasciare il posto ad un’atmosfera nuova, ricca di grande tensione emotiva, attenzione e per qualcuno anche commozione. Il clima che si era creato tra di noi era completamente diverso: eravamo concentrati e sconcertati da quello che vede- vamo, dolore profondo e straziante provocato dall’uomo contro se stesso; e credo che in quel momento ciascuno abbia finalmente compreso l’enorme importanza del non dimenticare, perché – come disse G.Santayama – “coloro che non si ricordano del passato sono condannati a riviverlo”. […] Alice Farè 34 […] Il secondo momento che volevo analizzare del nostro viaggio di istruzione è la visita al campo di concentramento di Fossoli ed al Museo di Carpi ad esso collegato. Dopo una mattinata di viaggio e di divertimento, siamo andati al Museo Monumento del deportato. Fuori il sole, dentro l’angoscia ed il dolore. Ad ogni parete c’era un’iscrizione nel colore del sangue rappreso, le stanze erano fredde, pochi oggetti per ogni sala, però tutti densi della tragedia da cui provengono. Ciò che più mi ha impressionata è stata la parte riguardante il campo di Terezin. C’era una bacheca contenente delle poesie scritte da bambini che erano stati internati proprio in quel campo e parlavano delle farfalle che non si potevano vedere, della loro innocenza spezzata. La guida ci ha spiegato che Terezin era l’unico campo che i nazisti mostravano ai nemici e perciò era a norma con la Convenzione di Ginevra riguardante la condizione dei prigionieri militari.Gli internati a Terezin stavano quindi abbastanza bene e ciò rendeva la loro sorte più terribile: mangiavano a sufficienza e non venivano maltrattati eccessivamente, ma poi venivano uccisi come delle bestie dai loro simili. Mi ha dato molto da pensare una frase della nostra guida: “Se non si moriva a Terezin, si moriva da un’altra parte.” Il destino di quei poveri uomini era segnato. Come ha potuto l’uomo fare questo? Un mostro, ma – come dice il poeta Eugenio EspositoDio non ha creato mostri umani. La visita a questo museo è stata angosciante dalla prima all’ultima sala, dove sulle pareti erano riportati i nomi dei deportati passati da Fossoli ed anche quelli internati in alcuni campi di sterminio, ed anche all’uscita, dove in un cortile c’erano delle lapidi con incisi i nomi dei vari campi, il mio umore era affranto. Ma l’esperienza è stata istruttiva perché era stata preparata. Se non lo fosse stata, sarebbe stata tragica, come dice lo storico Traverso. Quando poi siamo giunti a Fossoli, il sole ed il cielo limpido contrastavano con gli orrori visti in quei luoghi. Il campo non era molto grande e le baracche non molto numerose. Fossoli era un campo di “smistamento”, da cui partivano convogli per quelli di sterminio, molti anche per Auschwitz, ed avevano visto “solo” una settantina di morti. Le baracche erano semidistrutte tranne una che era stata ricostruita. Non so che effetto mi avrebbe fatto visitare quei luoghi senza una adeguata preparazione. […] Marta Micol Bonoldi ampo di concentramento di Fossoli dei ragazzi della 1a A del liceo Cairoli di Varese […] Un momento in cui – secondo me – ci siamo sentiti tutti più uniti è stato durante la visita al Museo degli ex deportati nei campi di concentramento; …che stanze fredde, vuote, prive di ogni cosa bella e piene soltanto di tristezza… Ecco, è stato proprio in quei momenti che ci siamo visti fortunati, dei ragazzi sereni e spensierati in gita scolastica, mentre tante persone a differenza nostra hanno patito le pene dell’inferno in quei campi di sterminio. E a leggere tutte quelle frasi sui muri ci si sentiva svuotati, privi di ogni felicità ed ognuno guardava il com- […] Nel pomeriggio dell’ultimo giorno siamo andati al Museo Monumento al deportato di Carpi, dove ho provato delle emozioni toccanti, soprattutto di grande tristezza. Su tutte le pareti di ogni stanza c’erano delle frasi di deportati prese dalle lettere che mandavano a casa, leggendole ho provato – e provo ancora – una strana sensazione, che non so bene come descrivere, una sorta di desolazione mista a quella sensazione che si ha quando si vede qualcosa che prima si conosceva solo attraverso dei racconti, la stessa sensazione che ho provato vi[…]…l’esperienza della visita di Fossoli, ma ancor più del Museo Monumento al deportato civile e politico di Carpi ci ha fatto crescere e riflettere più di qualunque lettura, conferenza o filmato sull’Olocausto.[…] Pietro Massari pagno di fianco e c’erano soltanto sguardi d’intesa. Anche la visita del campo di concentramento di Fossoli è stata toccante. Ma è stato bello visitare un luogo così terribile e freddo con la propria classe ed i propri compagni.[…] Silvia Cappelletti sitando il campo di Fossoli, solo che qui era mista all’orrore e all’incredulità perché non riesco veramente a capire come delle persone abbiano potuto fare una cosa del genere. […] Maria Grazia Adreani […] L’ultimo giorno abbiamo visitato il campo di smistamento di Fossoli: non c’era molto da vedere se non i grandi “casoni” dove i prigionieri venivano collocati prima di essere inviati nei campi di sterminio, ma la preparazione ricevuta a scuola attraverso fotocopie, libri, filmati e soprattutto testimonianze, il tutto unico al Museo Monumento al deportato di Carpi – visto poco prima di recarci al campo – hanno reso quest’esperienza unica ed indimenticabile. Già la struttura del Museo aiutava a porsi nel contesto che andavamo approfondendo: le pareti erano color grigiocemento con incisi sopra graffiti e frasi molto toccanti di deportati. Nel leggere questi frammenti, brevi ma incisivi, mi sentivo pervadere dai brividi, aggravati ulteriormente dall’assenza del riscaldamento, caratteristica voluta da coloro che hanno progettato il museo. Ogni cosa era curata nei minimi particolari, come per esempio l’ul- tima sala che aveva incisi sulle pareti i nomi dei caduti. In questo modo mi sono resa ancor più conto di quante persone sono state effettivamente uccise perché, già le cifre fanno riflettere, ma trovandomi di fronte a tutti quei nomi ho compreso ancor meglio quale obbrobrio è stato compiuto durante la seconda guerra mondiale. I cittadini residenti attualmente nella zona sono da ammirare perché, al contrario degli abitanti di altre località dove sono accaduti fatti analoghi, senza alcuna vergogna hanno voluto costruire questo museo con lo scopo di “non dimenticare per non ripetere”. […] Elena Crosta […]Vorrei riportare l’animo alle forti emozioni che la visita al Museo del deportato di Carpi mi ha arrecato. Quell’ambiente tetro, privo di luce, quella tristezza e allo stesso tempo sacralità, quelle grigie pareti e quei cimeli del museo, hanno scombussolato il mio animo, la mia mente e anche il mio stomaco, facendomi vergognare di essere un uomo. Questa visita (ultima tra quelle della gita) è stata un epilogo ma anche un punto di partenza per quella lunga preparazione a cui il profes- sore sin dall’inizio ci aveva sottoposto e ha rappresentato per me una delle più toccanti esperienze della mia vita. […] Ludovico Biardi 35 Le impressioni sulla visita al Museo del deportato politico e razziale di Carpi e a I nostri ragazzi […] Parlando di emozioni forti, non posso non parlare del Museo del deportato di Carpi: la sua essenzialità e la semplicità con cui raccontava dei fatti così scioccanti faceva in modo che le sensazioni e le emozioni fossero vere e toccanti, provenissero direttamente dal cuore.[…] Valentina Niada […] Ho ritenuto particolarmente significativo per l’esito del viaggio d’istruzione, ma soprattutto per la mia formazione, la visita nei luoghi della memoria, Carpi e Fossoli. Nel monumento ai deportati nei campi di concentramento erano incise frasi scritte dai prigionieri prima di essere giustiziati: questo ha avuto su di me un fortissimo impatto, con le lacrime agli occhi guardavo quelle fredde incisioni, dalle quali poteva emergere disperazione, odio, rassegnazione. Quante reazioni diverse, quanta tristezza e malinconia mi hanno lasciato dentro quei pensieri, pensieri di uomini che si sacrificarono coraggiosamente per i familiari, gli amici, la patria ed i loro ideali. Questa visita è stata integrata con quella fatta al campo di concentramento di Fossoli: è stata una strana sensazione camminare per le vie desolate di quel 36 luogo, toccare con le mie mani le staccionate, vedere con i miei occhi le baracche dove stavano i deportati. Quel giorno spirava un vento freddo, che fendeva il viso, anzi, lo tagliava, rendeva agghiacciante l’atmosfera, sembrava volesse aiutarci a tornare indietro nel tempo, per sentire davvero le voci di quelle persone. Penso sia stato pienamente accolto l’appello lanciato dal famoso preside che ha scritto la lettera riguardante l’istruzione a tutti i suoi colleghi: “siamo diventati più umani”.[…] Laura Gervasini […] La visita che più mi ha entusiasmato è stata quella al Museo del deportato a Carpi. A dicembre ho visitato con la mia famiglia il campo di Mauthausen, in Austria, e ne ho ricavato grandi insegnamenti, poiché la visita ad un lager può avere un impatto emotivo fortissimo, se preparata può rivelarsi uno strumento pedagogico insostituibile. Credevo quindi di essere pronto ad una cosa del genere, invece l’impressione era quella di stare peggio alla vista di quel museo, caratteristico ed affascinante. Una frase tra tutte che mi ha colpito è la seguente: “Anche ora che sto per morire non mi lasciano in pace… Dimitte illis, nesciunt quid faciunt”. E non aggiungo altro. […] Matteo Vidoni […] La visione del campo di sterminio e del museo ad esso associato è stata molto toccante, siamo stati testimoni attraverso la voce della guida, di una tragedia veramente inspiegabile; anche se la visita era stata preparata adeguatamente e sebbene fossimo tutti già consapevoli di ciò che andavamo a visitare, è stato comunque commovente e di forte impatto emotivo.[…] Lucia Martignoni […] Di tutti i luoghi quello che più mi ha colpito è stato il Museo Monumento al deportato politico e militare di Carpi. Nelle sale manca il riscaldamento e la sensazione di freddo viene accentuata dal grigio delle pareti, dal pavimento e dal cielo grigio di quel giorno; è un freddo che entra nelle ossa e accompagna il visitatore per tutte le stanze. In ogni sala c’è un graffito che descrive gli orrori della deportazione: una folla di persone irriconoscibili, identiche, che pare vo- ler travolgere lo spettatore; sui muri, però, le frasi lanciano un messaggio di speranza per un domani migliore. […] Eloisa Paganoni campo di concentramento di Fossoli dei ragazzi della 1a A del liceo Cairoli di Varese […] Credo che i momenti più significativi di tutto il viaggio sono stati la visita al Museo di Carpi dedicato ai deportati politici e razziali nei lager, e quella al campo di transizione di Fossoli. La visita al museo mi ha colpita profondamente, mi ha reso più consapevole e più vicina alle esperienze terribili vissute da tutte le persone internate per mano dei nazisti, “mi ha trafitto”. Mentre giravamo tra le stanze ho provato un freddo dentro, profondo che mi gelava il cuore e la mente alla vista di oggetti, fotografie e frasi che testimoniavano la barbarie animalesca cui può giungere l’uomo. Andare a Fossoli, infine è stato come “toccare con mano” l’esperienza della prigionia e della persecuzione, l’angoscia, la violenza e la disperazione degli uomini e delle donne che da quel luogo sono partiti verso la morte. È stato senza dubbio per noi indispensabile essere stati accuratamente preparati anche a questa visita tramite la lettura di libri, come La notte di Elie Wiesel, e di un opuscolo realizzato dal professore proprio su Fossoli. […] Rossella Pansini […] Un altro momento, già approfonditamente preparato dal punto di vista teorico, in cui siamo stati messi a contatto con la realtà storica, è stata la visita al Museo Monumento del deportato di Carpi. Sono rimasta angosciata da quelle frasi di deportati riportate sui muri, ma allo stesso tempo stupita per la tenacia, la fierezza e lo sprezzo della violenza che trasparivano da quelle ultime righe. Riporto una frase di Bertold Brecht che mi è rimasta impressa e credo abbia un impatto emotivo fortissimo nella sua funzione di monito: “E voi imparate che occorre vedere e non guardare in aria; occorre agire e non parlare. Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo! I po- poli lo spensero, ma ora non cantiam vittoria troppo presto: il grembo da cui nacque è ancor fecondo”. La visita di questo museo ha segnato sicuramente uno degli obiettivi prefissati e cioè il raggiungimento di una coscienza europea tollerante, multietnica e multirazziale ed ha acceso definitivamente in me la consapevolezza di ciò che è stato e non deve più essere. […] Greta De Francesco Il viaggio d’istruzione dal 9 al 12 marzo 2005 dei ragazzi del liceo Cairoli ha toccato Ravenna, Rimini, San Marino, San Leo, Urbino, Gradara, Carpi dove hanno visitato il Museo della deportazione. In questa fotografia sono in posa davanti al graffito opera di Renato Guttuso che caratterizza (con altre opere) l’atmosfera delle sale. Nelle altre immagini eccoli a Fossoli. 37 VARESE - GLI INTERVENTI PIÙ SIGNIFICATIVI ALLA CELEBRAZIONE DEL Tre studentesse liceali: il dovere della memoria per continuare ad essere liberi I nostri ragazzi Per ricordare il 60° anniversario della Liberazione, il 25 aprile, nel Teatro Impero di Varese, si è svolta una manifestazione degli studenti del liceo scientifico Galileo Ferraris, nel corso della quale sono state lette e commentate alcune delle principali opere letterarie ispirate alla Resistenza. Giusy Lo Tito Italo Calvino e l’impossibile “Parificazione” Ripensando a Il sentiero dei nidi di ragno scritto nel 1946 – È la storia a separare nazifascisti e partigiani Il mio nome è Giusy Lo Tito e frequento la IV Liceo scientifico all’istituto “G. Ferraris” di Varese. Oggi sono qui perché ritengo sia giusto che la memoria di questa giornata così importante venga trasmessa anche alle nuove generazioni. Per fare questo vi leggerò un brano tratto dal saggio La Resistenza e il fascismo di Salò nel dibattito sul revisionismo in Italia di Guido Pisi come riflessione su un brano del libro Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, che leggerò dopo la riflessione. Nel dicembre 1946 Calvino completava il suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno. In questo libro di esordio il giovane autore raccolse le proprie riflessioni “a caldo” sull’esperienza vissuta nelle file della Resistenza. All’inizio del ‘44, infatti, poco più che ventenne, egli era salito in 38 montagna con il fratello di 16 anni e si era unito alle formazioni partigiane della seconda divisione Garibaldi, che operavano sulle Alpi Marittime al confine con la Francia. Fino alla Liberazione era rimasto lassù a combattere contro i tedeschi e contro i fascisti della Repubblica di Salò. […] Il sentiero dei nidi di ragno racconta la vicenda di un ragazzino di nome Pin che, arrestato dai tedeschi dopo aver rubato per scommessa la pistola a un soldato, si trova coinvolto quasi per gioco nella lotta partigiana. La narrazione ci propone una rappresentazione della Resistenza lontana dai toni trionfalistici e celebrativi. Calvino sceglie per la sua storia dei personaggi marginali, individui senza ancoraggio sociale e quasi del tutto privi di una effettiva consa- pevolezza politica o di classe. Il distaccamento partigiano al quale Pin si unisce, rifugiandosi in montagna dopo la fuga dalla prigione, è tutto composto da elementi di questa specie. Lo sguardo dell’autore, dunque, si volge verso la zona estrema al confine del mondo della Resistenza, verso quella regione incerta dove non ci appaiono con chiarezza le ragioni per cui si è scelto di stare di qua o di là, coi partigiani o coi tedeschi e i fascisti. Ciò che muove le decisioni degli uni e degli altri, qui, non è un processo ben definito, razionale, preciso. In entrambi i campi si è spinti da sentimenti molto simili: “la rabbia”, “la furia”. Che cosa distingue, dunque, gli uni dagli altri? Che cosa li fa essere irriducibilmente diversi, malgrado l’affinità di taluni atteggiamenti e l’identica pulsione che li muove? Quale elemento rende impossibile giudicarli nello stesso modo? Il problema è posto chiaramente e ne ragionano insieme, durante una lunga marcia notturna, due personaggi del libro: il comandante della brigata e il commissario politico Kim. È possibile che gli inizi siano stati gli stessi per en- trambi, spiega Kim. Ma a separare nettamente gli uni dagli altri, c’è “la storia”: la storia conferisce un senso giusto alla violenza e al furore degli uni; la stessa storia spinge gli altri nel vortice distruttivo degli “inutili furori”, della violenza senza fondo che riproduce l’oppressione e la schiavitù all’infinito. Da una parte c’è “il giusto”, dall’altra “lo sbagliato”. Dimenticare questa semplice, terribile differenza, significa smarrire il senso della storia. Ciò che Calvino ci ricorda, in sostanza, è che dietro il più idealista combattente delle Brigate nere c’erano le stanze di tortura, le deportazioni, i campi di concentramento, le camere a gas e i crematori; mentre dietro il partigiano più ladro e più ignaro c’era un grande movimento di uomini e donne in lotta per una società pacifica, democratica e, per quanto possibile, giusta. Da Italo Calvino, “Il sentiero dei nidi di ragno”. Kim si soffia nei baffi:questo non è un esercito, non puoi parlar di dovere qui, non puoi parlare di ideali: patria, libertà, comunismo. Non ne vogliono sentir parlare di ideali, gli ideali son buoni tutti ad averli, anche dall’altra parte ne hanno di ideali. […] Qui si combatte e si muore così, senza gri- 60° DELLA LIBERAZIONE Libertà dalla paura, dai fascisti, dall’ignoranza. Le riflessioni sugli orrori della guerra e sui valori della Resistenza. Ecco i loro contributi Le tre liceali di Varese: Giusy Lo Tito, Alice Vanetti, Sonia Ullucci dare evviva.[…] Cosa li spinge a questa vita, cosa li spinge a combattere? Ci sono i contadini, gli abitanti di queste montagne, i tedeschi bruciano i loro paesi, portano vie le loro mucche… è la prima guerra umana la loro, la difesa dalla patria, i contadini hanno una patria, così li vedi con noialtri con i loro fucilacci, noi difendiamo la patria e loro sono con noi. E la patria diventa un ideale serio per loro, li trascende, diventa la stessa cosa della lotta: loro sacrificano anche le case e le mucche pur di continuare a combattere. Poi gli operai, gli operai hanno una loro storia di salari, di scioperi, di lavoro e lotta gomito a gomito… sono una classe gli operai. Sanno che c’è del meglio nella vita e che si deve lottare per questo meglio. Hanno una patria anche loro, una patria da conquistare, e combattono qui per conquistarla […] Ma capisci che questa è tutta una lotta di simboli, che uno per uccidere un tedesco deve pensare non a quel tedesco ma a un altro, con un gioco di trasposizioni da slogare il cervello, in cui ogni cosa o persona diventa un’ombra cinese, un mito? […] Ferriera mugola nella barba: - Quindi, lo spirito dei nostri… e quello della bri- gata nera… la stessa cosa?… - La stessa cosa, intendi cosa voglio dire, la stessa cosa… la stessa cosa ma tutto il contrario. Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato. […] C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro […] tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi, questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Sonia Ullucci Spartaco, quel Nome-Simbolo anche nella Resistenza L’ultima lettera di un combattente alla famiglia: “Muoio quando la vittoria già brilla. Fatevi coraggio” Mi chiamo Sonia Ullucci e frequento il liceo scientifico Galileo Ferraris di Varese. Oggi, 25 aprile, sono qui per ricordare, assieme a voi, un giorno speciale per la storia italiana e non solo: il giorno della Liberazione. La liberazione… sì, è proprio questo il motivo centrale della Resistenza: la libertà. I giovani l’avevano in mente, era la cosa per la quale combattevano. Volevano essere liberi in un Paese libero. Leggendo il libro di Mario Dogliani Spartaco. La ribellione degli schiavi, mi sono chiesta: “Perché durante la Resistenza molti partigiani assunsero Spartaco come nome di battaglia? E a Spartaco erano intitolati giornali e pubblicazioni?” La risposta è semplice: Spartaco è un mito. È l’emblema del riscatto dalla schiavitù, dalla dittatura, dall’oppressione nazifascista che si insediò in Italia dopo l’8 settembre, giorno dell’armistizio. Questa che ora leggerò è la lettera di un giovane partigiano di 22 anni chiamato Spartaco Fontanot, nativo di Monfalcone. “Cara mamma, lo so che di tutti e di tutte sei quella che soffrirà di più ed è a te che rivolgerò il mio ultimo pensiero. Non bisogna prendersela con nessuno per la mia morte, perché io stesso ho scelto il mio destino. Non so cosa scriverti perché anche se la mia mente è lucida, non trovo le parole. Mi ero arruolato nell’esercito della Liberazione e muoio proprio quando la vittoria già brilla […]. Sarò fucilato fra poco insieme ad altri 23 compagni. Dopo la guerra potrai far valere i tuoi diritti alla pensione. Il carcere ti farà avere le mie cose, conservo la maglia di papà perché il fred- 39