Aprile 2011 - Anno 13 (n° 149) Mensile della Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco È vero! Quando la televisione, la radio, i giornali ci rovesciano addosso ogni giorno, il racconto e le immagini di eventi tragici, fatti di sangue, violenze di ogni tipo, dettagli di delitti raccapriccianti, sono in tanti a pensare che Dio sia assente, come se non gli importasse delle nostre pene ed angosce. Noi allora ci chiediamo: “Perché i giusti soffrono? Perché accanto al sorriso dei bimbi ci deve essere anche la loro sofferenza e perfino la morte? Perché accanto alla bellezza dell’amore subentrano le sue molteplici e a volte ostentate profanazioni: la prostituzione, la pornografia, l’infedeltà, il tradimento? Perché accanto al mirabile ordine dell’universo, ci sono i cataclismi, le alluvioni, i terremoti, lo tsunami, la siccità? Qual è il significato dell’esistenza? Perché: nascere, vivere se poi si deve morire? Sono troppe le cose che non quadrano. Sono troppi i perché senza risposta. E’ il problema del male e del dolore del mondo, in tutta la sua drammatica complessità. Le risposte della ragione Si possono cercare alcune ragionevoli risposte, che però non risolvono il problema. 1. La ragione ci dice che molti mali sono imputabili all’uomo stesso, al cattivo uso della libertà. L’uomo è capace di amare, ma anche di odiare e uccidere: di aiutare, ma anche di perseguitare e distruggere. 2. La ragione ci dice che tanti eventi così detti naturali sono legati alle leggi di natura che sfuggono ancora alle nostre conoscenze. 3. La ragione ci dice che alcuni mali non sono che la condizione del bene. Basti pensare ad una madre che genera una nuova creatura, che dona la vita. 4. La ragione ci dice che il progresso materiale e morale farà risparmiare tante sofferenze; che le difficoltà e sofferenze creano una catena di solidarietà e stimolano l’uomo al servizio degli altri. 5. …e così via. Sì! Tutto questo è vero, ma non risolve il problema. Le risposte della fede A livello di fede si possono individuare alcune risposte. 1. La risposta della trascendenza di Dio. Giobbe, l’uomo giusto che ha perso tutto: i figli, i beni, la salute grida il suo dolore: “maledetto il giorno in cui sono nato…io grido a Te e Tu non mi rispondi”. Ma Dio gli risponde con una verità molto semplice: Io sono l’altissimo, tu sei una creatura. Che sai tu dei miei disegni, del mio mistero? Pretendi forse di dirmi che cosa debbo fare? Dove eri tu quando stradale, aveva perso il marito e i suoi due figli: Solo essa era rimasta miracolosamente salva. Dopo la recita del rosario, un’amica, esprimendo le sue condoglianze, ebbe a dire, alquanto incautamente: forse anche tu avresti preferito morire insieme con loro. Quella signora, donna di grande fede, rispose: e chi sarebbe rimasto per offrire tutto questo dolore? Nel mistero del dolore si può entrare solo se si considera quanto è prezioso se unito a Cristo e ci si apre alle speranze che Dio ci dona. gettavo le fondamenta dell’ universo e mi innalzavano lodi gli astri del mattino?. Come Giobbe, anche noi vorremmo insegnare a Dio ciò che deve fare e non fare. Credere in Dio è accettare che le sue vedute oltrepassino infinitamente le nostre, è credere che Egli è così grande da dare un senso alla sofferenza e che è capace di ricavare il bene anche dal male. Risposta dura, ma inattaccabile. E’ San Paolo che ha scritto: Sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio. Dio sa dove ci vuole condurre. In questa certezza di fede Paolo dice: “so in chi ho posto la mia fiducia”. 2. La risposta dell’Incarnazione. Dio non sopprime il male con un colpo di bacchetta magica, ma – senza cessare di essere Dio – prende su di sé, in Gesù Cristo, una umanità completa, si getta nell’immenso mistero del male, della sofferenza, dell’ingiustizia, del peccato che sembra trionfare. Tutta l’angoscia umana si riversa su di Lui, il Figlio di Dio fattosi uomo; soffre egli stesso, in modo inimmaginabile l’abbandono, il silenzio del Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Gesù diventa immagine di ogni uomo che soffre. Il profeta Isaia aveva detto di Lui: “un uomo che soffre, abituato al dolore…egli si è addossato il nostro dolore e la nostra sofferenza”. In Gesù si manifesta la paura dell’uomo abbandonato, solo nel suo dolore: la paura dell’uomo vittima dell’ingiustizia: la paura della morte. Ma se Dio si è lasciato immergere nel male e nella morte è per vincerli dal di dentro. Il Cristo risorto si mette alla testa dell’umanità nuova, dona agli uomini la vita stessa di Dio, annuncia la resurrezione dei loro corpi. Se Dio ha così sofferto in Cristo, sappiamo che ci capisce quando soffriamo e piangiamo e tiene preparata per noi la forza della consolazione. Accettare il dolore è accettare di essere creature, ed è la volontà di vincere il dolore. Accettare non vuol dire subire: ma vivere la realtà. Con Gesù che ha sofferto per salvarci, si soffre diversamente: come chi sa di non soffrire invano, come chi è cosciente di realizzare nel dolore, offerto insieme alla passione di Cristo, la salvezza del mondo. Ricordo di essermi recato a trovare una signora per pregare in suffragio dei suoi familiari defunti in un incidente Le ragioni della Speranza Teniamo presente che la creazione non è ancora terminata. Dio è ancora la lavoro dentro e attraverso la sua creazione. Come uno scultore che non ha ancora terminato il suo capolavoro. San Paolo dice: “io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio”. San Giovanni nell’Apocalisse scrive: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno il suo popolo, ed egli sarà il Dio con loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate. Ecco io faccio nuove tutte le cose. Tutta la Bibbia ci dice che il futuro vedrà un atto decisivo di Dio contro le forze del disordine, alleate con il Maligno per distruggere la creazione di Dio. E dunque alla domanda: perché Dio non fa qualche cosa contro il dolore e la miseria che sono nel mondo? La risposta cristiana è che Egli verrà un giorno a giudicare il mondo e agirà in modo definitivo contro tutto ciò che è male, destituendolo dal suo potere. Forse potremo ancora chiedere: ma perché Dio aspetta tanto, così a lungo prima di condurci in questa nuova era? San Pietro risponde così: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non tarda ad adempiere la sua promessa come certuni credono: ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Dio vuole che quando siamo colpiti dalla sofferenza, ripensiamo alla nostra vita, ci convertiamo aprendoci alla sua misericordia e al suo amore misericordioso che a tutti offre salvezza. Don Giuseppe 2 per giunta, per i suoi sostenitori, non può invocare l’obiezione di coscienza. Ho già ricordato inoltre in altro articolo che, per un certo ambiente scientifico, non tutte le creature umane possono essere definite persone. Non lo sono gli infanti, i ritardati mentali, persone in coma (oggi, fra l’altro, solo apparentemente irreversibile), e anche quelle poco acculturate. Per questo tipo di pensiero, questi individui sfortunati sono solo cose, oggetti da usare liberamente per gli esperimenti e da eliminare senza riguardo. Tutto ciò si evince da dibattiti e congressi medici e da certi manuali e trattati che circolano anche nelle università italiane. Lo spirito di Auschwitz e dei gulag sovietici sembra aleggiare ancora sul nostro pianeta. Ma anche la DAT, non ancora approvata, è a rischio di modifiche. Qualcuno prospetta accordi concilianti, che mascherano forme di eutanasia. Non sappiamo quali sorprese possano portare al cittadino ignaro e distratto, e non addentro nel gioco politico, certe sottigliezze legislative. La Chiesa Cattolica tutta, in sintonia con il Santo Padre, ribadisce a più riprese e con forza l’inviolabilità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. La Costituzione della Repubblica Italiana, la Convenzione di Oviedo, ed altri interventi qualificati sono ancora un argine alla deriva verso l’eutanasia. E fino a quando? Riporto quanto leggo in un giornale importante, diffuso a livello nazionale e mai smentito su ciò che qui sommariamente trascrivo: Eluana, nell’ospedale di Sondrio sorrideva quando sentiva nella stanza una voce cara. Quando la portarono ad Udine, per lasciarla morire come ben sappiamo, nell’ambulanza ebbe invece una grave crisi nervosa. Fu poi trovata morta, in modo imprevisto, come un oggetto abbandonato appunto. Eppure nella cartella clinica dell’ospedale di Sondrio era riportato, fra l’altro, che Essa nella notte aveva anche pronunciato due volte una parola: “mamma”. UNA LEGGE PER IL “FINE VITA” È in discussione al Senato una legge chiamata: “Dichiarazioni anticipate di trattamento” (abbreviato DAT), che, nell’intenzione dei proponenti, ha lo scopo di evitare colpi di mano della Magistratura, come per il caso Eluana. C’è un valore tutelato dalla Costituzione e dal nostro ordinamento che poggia sul principio della “indisponibilità della vita umana”. Si vuole evitare che vengano inserite nel nostro ordinamento giudiziario forme di eutanasia anche solo mascherate, ma nello stesso tempo nemmeno si intende giustificare l’accanimento terapeutico. Si ha l’accanimento terapeutico quando si attuano terapie sproporzionate rispetto ai risultati, soprattutto nei riguardi dei pazienti terminali ed inguaribili. In questi casi è possibile il ricorso a cure palliative contro il dolore, anche se possono accorciare la vita del paziente. E’ invece una forma di eutanasia attiva togliere l’alimentazione e l’idratazione a persone in stato vegetativo. Bere e mangiare sono esigenze naturali di ogni creatura e non terapie. Il termine vegetativo poi è ambiguo e si deve tener conto dei progressi fatti ed in corso anche in campo neurologico. Il cosiddetto “Testamento biologico” cerca di fatto di introdurre l’eutanasia. Il medico William 3 è rispondere a una chiamata, seguire un cammino, lontani dalle scorciatoie facili e ingannevoli che si presentano con maggior attrattiva durante la giovinezza. La veglia (preceduta dalla cena con i giovani delle parrocchie del Garda) ha ribadito il significato di una Vita autentica che punta alla bellezza, all’infinito, alla Verità. La Via da percorrere è riassunta nello slogan della GMG: “Radicati in Cristo, saldi nella fede” (Col 2,7). Una frase da stampare nella memoria e applicare nella vita per non smarrirsi nel relativismo di un Occidente secolarizzato, addirittura scandalizzato della silenziosa presenza del Crocifisso. Ecco perché individuare le nostre radici nei genitori, nella famiglia, nella fede, come relazione personale con Gesù. Ecco come costruire amicizie autentiche e affrontare i problemi, le difficoltà, le grandi domande della vita.”Saldi nella fede”, perché ogni credente è come un anello nella grande catena di credenti. “L’amore cristiano è un vincolo che libera; non una catena che ferisce.” Se un uomo reca in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sopporta più facilmente tutte le molestie della vita”. Anche lavorare e studiare. “L’andare con Cristo è una forza che ci aiuta a portare questo fardello e che si acquisisce coltivando in noi stessi l’amore e lasciandoci animare da quello che viene dall’Alto”. Queste le riflessioni sviluppate durante la veglia e meditate nel silenzio della processione. GMG MADRID 2011 È ormai ufficiale la partecipazione dei giovani di Torri alla GMG di Madrid. Un’esperienza che il Papa non esita a definire decisiva non solo per la vita di quanti “condividono la fede”, ma anche per “quanti esitano, sono dubbiosi o non credono in Lui”. Anzi, proprio a questi ultimi è caldamente raccomandabile l’invito a un incontro di questa portata. Non si tratta di un semplice raduno fine a se stesso: lo dimostra la preparazione in cui si stanno impegnando due milioni di giovani per garantire la qualità dell’appuntamento, contribuendo a fornire slancio, dinamismo e testimoniando ogni giorno la gioia e il senso della vita fondata sulla fede. In questa prospettiva si svolgono gli incontri del gruppo adolescenti ogni venerdì, anche in contatto con altre parrocchie. Abbiamo così partecipato, il 25 febbraio, alla veglia di preghiera, seguita da processione e adorazione, nella chiesa di S. Martino (Peschiera) per accogliere la croce della GMG, in passaggio per la nostra diocesi. Come la croce, anche noi “siamo pellegrini, non vagabondi”. Essere cristiani Giuseppe R. 4 “ecco” eterno di obbedienza e di sacrificio pronunciato da Cristo al Padre e riferitoci dalla Scrittura nel salmo 40 e nella lettera gli Ebrei “non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato…allora io ho detto: ecco io vengo per fare la tua volontà.” La Sindone dà la prova dell’amore immolato, e lo prova con un “veramente”. Veramente Cristo ha patito, veramente Cristo è morto, veramente Cristo è risorto. LA SINDONE “ICONA DEL CROCIFISSO” La tenue impronta impressa sul lenzuolo chiamato Sindone di Torino è stata accertata come immagine “acheropita”, cioè non fatta da mano d’uomo. Anzi per l’imponente insieme di informazioni sul supplizio di quell’ Uomo raffigurato, per la perfetta coincidenza tra le informazioni impresse sul lenzuolo torinese e le narrazioni evangeliche, si può ben affermare che la Sindone è il quinto Vangelo della passione e morte di Gesù. E anche della sua risurrezione, sebbene in modo del tutto speciale. Di quella passione la Sindone ci mostra tanti particolari che la descrizione evangelica ha taciuto, e ce li fa vedere in tutto il loro agghiacciante verismo. Di quella morte ci riferisce la straordinaria serenità. Di quella risurrezione ci presenta indizi di stupefacente congruità. Eccoci, dunque, a contemplare questo Vangelo in immagine. L’enigma nascosto per secoli in quella impronta al negativo attendeva in una lastra fotografica di essere sciolto attraverso una lettura in positivo per il giusto verso. Questo fatto provvidenziale ci deve far riflettere, anche per l’obbligo che ne scaturisce di valorizzare tale strumento di catechesi, di evangelizzazione, di conoscenza di Gesù Cristo. Il messaggio sindonico si estrinseca attraverso due avverbi: “ecco” e “veramente”. Come icona, la Sindone ci mostra, ci presenta il Redentore nella sua totale donazione, mette sul labbro di Gesù questo messaggio eloquentissimo: “ecco vedi quello che ho sofferto per te!”. Questo “ecco” sindonico è una tenuissima eco dell’ I trucchi di Dio Il messaggio che reca impresso questo venerando telo consiste nella straordinaria capacità di rimando, di rinvio alla persona che è raffigurata. Quando parliamo di Sindone in un contesto di fede parliamo di Lui, di Gesù Cristo. La Sindone è un oggetto archeologico che ci interessa soprattutto per questo, perché pone Gesù Cristo al centro dell’attenzione .Nel suo essere un umile promemoria della passione di Gesù, la Sindone ripete con Paolo nella sua prima lettera ai Corinti: “io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso”. Questo documento storico incredibile testimonia un sacrificio totale, raffigura un corpo svuotato di sangue. L’evento di salvezza si è prodotto perché l’uomo in immagine si è consumato fino in fondo. Ci troviamo davanti all’immagine, sappiamo che è avvenuto per noi. Constatiamo che ci amò fino alla fine. Meditiamo, contempliamo, riviviamo l’atto centrale della nostra salvezza. “Vale più questa fotografia che qualsiasi studio” ebbe a dire Pio XI. Per molti di noi la Sindone è stata un incontro inatteso. Da molti di noi sulle prime, essa è stata rifiutata e collocata tra gli oggetti devozionali, nell’ambito di una religiosità popolare non sufficientemente adulta. Questi sono i trucchi di Dio. Sono gli 5 scandali della sua misericordia. Scandali in senso etimologico: noi camminiamo distratti e Dio ci fa inciampare in qualche cosa che ci costringe a riflettere sul sacrificio del suo unico Figlio. La Sindone non pretende altro che invitarci a mettere al centro del nostro cristianesimo quell’Uomo che ha sofferto il soffribile, che è maestoso e sereno nella morte, che è sul punto di risorgere. Il Cristo crocifisso non è soltanto “scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani”, ma anche un “nonsenso” per tanti di noi e dei nostri contemporanei. Abbiamo perso di vista la centralità di Cristo crocifisso. Tanti riducono il cristianesimo a un’idea, a un’astrazione, a un’entità culturale, a un comportamento etico-umanitario. Vi sono troppi gnostici nelle nostre comunità, predomina molto buon senso e molta ragionevolezza. La sapienza di Dio sconvolge questi piani umanamente illuminati. Provvidenziale la Sindone. Nella sua modestia di strumento, ci ricorda l’unica cosa che conta, la fede in Gesù Cristo crocifisso risorto, e ce lo ricorda usando l’esca dell’enigma scientifico. Il telo torinese ci consegna allo sguardo pietoso il corpo staccato dal legno della croce. Ce lo consegna come lo restituirono a sua Madre e al discepolo Giovanni tirato giù dalla croce. Attraverso la contemplazione della Sindone veniamo introdotti ad una più penetrante visione del suo recondito e affascinante mistero. Messaggio del Papa al Presidente Napolitano per 150 anni dell'Unità d'Italia Illustrissimo Signore On. GIORGIO NAPOLITANO Presidente della Repubblica Italiana Il 150° anniversario dell’unificazione politica dell’Italia mi offre la felice occasione per riflettere sulla storia di questo amato Paese, la cui Capitale è Roma, città in cui la divina Provvidenza ha posto la Sede del Successore dell’Apostolo Pietro. Pertanto, nel formulare a Lei e all’intera Nazione i miei più fervidi voti augurali, sono lieto di parteciparLe, in segno dei profondi vincoli di amicizia e di collaborazione che legano l’Italia e la Santa Sede, queste mie considerazioni. Orazio Il processo di unificazione avvenuto in Italia nel corso del XIX secolo e passato alla storia con il nome di Risorgimento, costituì il naturale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tempo prima. In effetti, la nazione italiana, come comunità di persone unite dalla lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima appartenenza, seppure nella pluralità di comunità politiche articolate sulla penisola, comincia a formarsi nell’età medievale. Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, 6 Cristianesimo e la Chiesa hanno dato un contributo fondamentale. Per ragioni storiche, culturali e politiche complesse, il Risorgimento è passato come un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesimo, talora anche alla religione in generale. Senza negare il ruolo di tradizioni di pensiero diverse, alcune marcate da venature giurisdizionaliste o laiciste, non si può sottacere l’apporto di pensiero - e talora di azione - dei cattolici alla formazione dello Stato unitario. Dal punto di vista del pensiero politico basterebbe ricordare tutta la vicenda del neoguelfismo che conobbe in Vincenzo Gioberti un illustre rappresentante; ovvero pensare agli orientamenti cattolico-liberali di Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio, Raffaele Lambruschini. Per il pensiero filosofico, politico ed anche giuridico risalta la grande figura di Antonio Rosmini, la cui influenza si è dispiegata nel tempo, fino ad informare punti significativi della vigente Costituzione italiana. E per quella letteratura che tanto ha contribuito a "fare gli italiani", cioè a dare loro il senso dell’appartenenza alla nuova comunità politica che il processo risorgimentale veniva plasmando, come non ricordare Alessandro Manzoni, fedele interprete della fede e della morale cattolica; o Silvio Pellico, che con la sua opera autobiografica sulle dolorose vicissitudini di un patriota seppe testimoniare la conciliabilità dell’amor di Patria con una fede adamantina. E di nuovo figure di santi, come san Giovanni Bosco, spinto dalla preoccupazione pedagogica a comporre manuali di storia Patria, che modellò l’appartenenza all’istituto da lui fondato su un paradigma coerente con una sana concezione liberale: "cittadini di fronte allo Stato e religiosi di fronte alla Chiesa". La costruzione politico-istituzionale dello Stato unitario coinvolse diverse personalità del mondo politico, diplomatico e militare, tra cui anche esponenti del mondo cattolico. Questo processo, in quanto dovette inevitabilmente misurarsi col problema della sovranità temporale dei Papi (ma anche perché portava ad estendere ai territori via via acquisiti una legislazione in materia ecclesiastica di delle sue istituzioni educative ed assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali; ma anche mediante una ricchissima attività artistica: la letteratura, la pittura, la scultura, l’architettura, la musica. Dante, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi da Palestrina, Caravaggio, Scarlatti, Bernini e Borromini sono solo alcuni nomi di una filiera di grandi artisti che, nei secoli, hanno dato un apporto fondamentale alla formazione dell’identità italiana. Anche le esperienze di santità, che numerose hanno costellato la storia dell’Italia, contribuirono fortemente a costruire tale identità, non solo sotto lo specifico profilo di una peculiare realizzazione del messaggio evangelico, che ha marcato nel tempo l’esperienza religiosa e la spiritualità degli italiani (si pensi alle grandi e molteplici espressioni della pietà popolare), ma pure sotto il profilo culturale e persino politico. San Francesco di Assisi, ad esempio, si segnala anche per il contributo a forgiare la lingua nazionale; santa Caterina da Siena offre, seppure semplice popolana, uno stimolo formidabile alla elaborazione di un pensiero politico e giuridico italiano. L’apporto della Chiesa e dei credenti al processo di formazione e di consolidamento dell’identità nazionale continua nell’età moderna e contemporanea. Anche quando parti della penisola furono assoggettate alla sovranità di potenze straniere, fu proprio grazie a tale identità ormai netta e forte che, nonostante il perdurare nel tempo della frammentazione geopolitica, la nazione italiana poté continuare a sussistere e ad essere consapevole di sé. Perciò, l’unità d’Italia, realizzatasi nella seconda metà dell’Ottocento, ha potuto aver luogo non come artificiosa costruzione politica di identità diverse, ma come naturale sbocco politico di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo. La comunità politica unitaria nascente a conclusione del ciclo risorgimentale ha avuto, in definitiva, come collante che teneva unite le pur sussistenti diversità locali, proprio la preesistente identità nazionale, al cui modellamento il 7 A proposito della fine degli Stati pontifici, nel ricordo del beato Papa Pio IX e dei Successori, riprendo le parole del Cardinale Giovanni Battista Montini, nel suo discorso tenuto in Campidoglio il 10 ottobre 1962: "Il papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione sul mondo, come prima non mai". L’apporto fondamentale dei cattolici italiani alla elaborazione della Costituzione repubblicana del 1947 è ben noto. Se il testo costituzionale fu il positivo frutto di un incontro e di una collaborazione tra diverse tradizioni di pensiero, non c’è alcun dubbio che solo i costituenti cattolici si presentarono allo storico appuntamento con un preciso progetto sulla legge fondamentale del nuovo Stato italiano; un progetto maturato all’interno dell’Azione Cattolica, in particolare della FUCI e del Movimento Laureati, e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ed oggetto di riflessione e di elaborazione nel Codice di Camaldoli del 1945 e nella XIX Settimana Sociale dei Cattolici Italiani dello stesso anno, dedicata al tema "Costituzione e Costituente". Da lì prese l'avvio un impegno molto significativo dei cattolici italiani nella politica, nell’attività sindacale, nelle istituzioni pubbliche, nelle realtà economiche, nelle espressioni della società civile, offrendo così un contributo assai rilevante alla crescita del Paese, con dimostrazione di assoluta fedeltà allo Stato e di dedizione al bene comune e collocando l’Italia in proiezione europea. Negli anni dolorosi ed oscuri del terrorismo, poi, i cattolici hanno dato la loro testimonianza di sangue: come non ricordare, tra le varie figure, quelle dell’On. Aldo Moro e del Prof. Vittorio Bachelet? Dal canto suo la Chiesa, grazie anche alla larga libertà assicuratale dal Concordato lateranense del 1929, ha continuato, con le proprie istituzioni ed attività, a fornire un fattivo contributo al bene comune, intervenendo in particolare a sostegno delle persone più emarginate e sofferenti, e soprattutto proseguendo ad alimentare il corpo sociale di quei valor orientamento fortemente laicista), ebbe effetti dilaceranti nella coscienza individuale e collettiva dei cattolici italiani, divisi tra gli opposti sentimenti di fedeltà nascenti dalla cittadinanza da un lato e dall’appartenenza ecclesiale dall’altro. Ma si deve riconoscere che, se fu il processo di unificazione politicoistituzionale a produrre quel conflitto tra Stato e Chiesa che è passato alla storia col nome di "Questione Romana", suscitando di conseguenza l’aspettativa di una formale "Conciliazione", nessun conflitto si verificò nel corpo sociale, segnato da una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale. L’identità nazionale degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquistata unità politica. In definitiva, la Conciliazione doveva avvenire fra le Istituzioni, non nel corpo sociale, dove fede e cittadinanza non erano in conflitto. Anche negli anni della dilacerazione i cattolici hanno lavorato all’unità del Paese. L’astensione dalla vita politica, seguente il "non expedit", rivolse le realtà del mondo cattolico verso una grande assunzione di responsabilità nel sociale: educazione, istruzione, assistenza, sanità, cooperazione, economia sociale, furono ambiti di impegno che fecero crescere una società solidale e fortemente coesa. La vertenza apertasi tra Stato e Chiesa con la proclamazione di Roma capitale d’Italia e con la fine dello Stato Pontificio, era particolarmente complessa. Si trattava indubbiamente di un caso tutto italiano, nella misura in cui solo l’Italia ha la singolarità di ospitare la sede del Papato. D’altra parte, la questione aveva una indubbia rilevanza anche internazionale. Si deve notare che, finito il potere temporale, la Santa Sede, pur reclamando la più piena libertà e la sovranità che le spetta nell’ordine suo, ha sempre rifiutato la possibilità di una soluzione della "Questione Romana" attraverso imposizioni dall’esterno, confidando nei sentimenti del popolo italiano e nel senso di responsabilità e giustizia dello Stato italiano. La firma dei Patti lateranensi, l’11 febbraio 1929, segnò la definitiva soluzione del problema. 8 morali che sono essenziali per la vita di una società democratica, giusta, ordinata. Il bene del Paese, integralmente inteso, è stato sempre perseguito e particolarmente espresso in momenti di alto significato, come nella "grande preghiera per l’Italia" indetta dal Venerabile Giovanni Paolo II il 10 gennaio 1994. La conclusione dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense, firmato il 18 febbraio 1984, ha segnato il passaggio ad una nuova fase dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia. Tale passaggio fu chiaramente avvertito dal mio Predecessore, il quale, nel discorso pronunciato il 3 giugno 1985, all’atto dello scambio degli strumenti di ratifica dell’Accordo, notava che, come "strumento di concordia e collaborazione, il Concordato si situa ora in una società caratterizzata dalla libera competizione delle idee e dalla pluralistica articolazione delle diverse componenti sociali: esso può e deve costituire un fattore di promozione e di crescita, favorendo la profonda unità di ideali e di sentimenti, per la quale tutti gli italiani si sentono fratelli in una stessa Patria". Ed aggiungeva che nell’esercizio della sua diaconia per l’uomo "la Chiesa intende operare nel pieno rispetto dell’autonomia dell’ordine politico e della sovranità dello Stato. Parimenti, essa è attenta alla salvaguardia della libertà di tutti, condizione indispensabile alla costruzione di un mondo degno dell’uomo, che solo nella libertà può ricercare con pienezza la verità e aderirvi sinceramente, trovandovi motivo ed ispirazione per l’impegno solidale ed unitario al bene comune". L’Accordo, che ha contribuito largamente alla delineazione di quella sana laicità che denota lo Stato italiano ed il suo ordinamento giuridico, ha evidenziato i due principi supremi che sono chiamati a presiedere alle relazioni fra Chiesa e comunità politica: quello della distinzione di ambiti e quello della collaborazione. Una collaborazione motivata dal fatto che, come ha insegnato il Concilio Vaticano Il, entrambe, cioè la Chiesa e la comunità politica, "anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane" (Cost. 9 Gaudium et spes, 76). L’esperienza maturata negli anni di vigenza delle nuove disposizioni pattizie ha visto, ancora una volta, la Chiesa ed i cattolici impegnati in vario modo a favore di quella "promozione dell’uomo e del bene del Paese" che, nel rispetto della reciproca indipendenza e sovranità, costituisce principio ispiratore ed orientante del Concordato in vigore (art. 1). La Chiesa è consapevole non solo del contributo che essa offre alla società civile per il bene comune, ma anche di ciò che riceve dalla società civile, come affrerma il Concilio Vaticano II: "chiunque promuove la comunità umana nel campo della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale, come pure della politica, sia nazionale che internazionale, porta anche un non piccolo aiuto, secondo la volontà di Dio, alla comunità ecclesiale, nelle cose in cui essa dipende da fattori esterni" (Cost. Gaudium et spes, 44). Nel guardare al lungo divenire della storia, bisogna riconoscere che la nazione italiana ha sempre avvertito l’onere ma al tempo stesso il singolare privilegio dato dalla situazione peculiare per la quale è in Italia, a Roma, la sede del successore di Pietro e quindi il centro della cattolicità. E la comunità nazionale ha sempre risposto a questa consapevolezza esprimendo vicinanza affettiva, solidarietà, aiuto alla Sede Apostolica per la sua libertà e per assecondare la realizzazione delle condizioni favorevoli all’esercizio del ministero spirituale nel mondo da parte del successore di Pietro, che è Vescovo di Roma e Primate d’Italia. Passate le turbolenze causate dalla "questione romana", giunti all’auspicata Conciliazione, anche lo Stato Italiano ha offerto e continua ad offrire una collaborazione preziosa, di cui la Santa Sede fruisce e di cui è consapevolmente grata. Nel presentare a Lei, Signor Presidente, queste riflessioni, invoco di cuore sul popolo italiano l’abbondanza dei doni celesti, affinché sia sempre guidato dalla luce della fede, sorgente di speranza e di perseverante impegno per la libertà, la giustizia e la pace. BENEDICTUS PP. XVI Dal Vaticano, 17 marzo 2011 Domenica 6 marzo, una dozzina di coppie della nostra Parrocchia hanno festeggiato l’Anniversario del loro Matrimonio, innanzitutto col partecipare alla S. Messa delle ore 11.15, durante la quale abbiamo rinnovato le promesse battesimali e ringraziato il Signore del dono ricevuto. Alla fine della Messa ci siamo affidati alla protezione della Madonna che, come ci ricorda il miracolo di Cana, veglia su di noi, intercede presso Gesù e ci chiede di fare ciò che lui vorrà. La festa è stata preparata da quattro incontri, nel corso dei quali, alla luce di testi ispirati alla Sacra Scrittura e sotto l’amabile guida di don Giuseppe, abbiamo riflettuto sul significato di questo Sacramento e sul compito che spetta ai vari membri della famiglia. Abbiamo così preso coscienza di essere chiamati a manifestare, nel gioioso servizio reciproco, la presenza del Signore in mezzo a noi. Ma ci siamo anche resi conto di quanto sia dissonante la visione cristiana di matrimonio e famiglia rispetto alla mentalità dominante, in particolare su temi quali: sacralità della vita, unità (= un uomo e una donna) e indissolubilità del matrimonio, verginità, castità, omosessualità ecc. Chiamati a procedere controcorrente, sappiamo di non farcela con le sole nostre forze, perché qui è in piena azione il Diavolo, cioè il bugiardo che, in nome di una falsa libertà, tenta di spaccare le nostre famiglie, con gli esiti ben noti. Su questo abbiamo bisogno dell’aiuto del Signore (e anche della guida del nostro pastore, a cui abbiamo chiesto di continuare a incontrarci con il catechismo per adulti) Lino e Adriana Q. 10 GLI “STATI D’ANIME” Oltre che dalle visite pastorali, preziose informazioni sugli abitanti di Torri ci sono offerte anche dagli “Stati d’anime” – d’ora in poi s.d.a. - redatti dai parroci, che annotavano i nomi di tutti i loro fedeli distribuiti per famiglie di appartenenza, indicando anche se abitavano dentro le mura oppure nelle contrade della campagna. Il più antico s.d.a. della parrocchia di Torri a noi pervenuto risale al 1692 ed è opera di don Giovanni Quintarelli, parroco del paese: in quell’anno gli abitanti erano 500 – distribuiti in 88 famiglie -, di cui 366 dentro le mura (“in castro”) e 134 nelle contrade. L’esigua consistenza demografica risentiva ancora della strage operata dalla peste del 1630, quando i sopravvissuti furono solo 339 dei 730 registrati solo un anno prima. Nello s.d.a. del 1694, sempre di don Quintarelli, i nuclei famigliari sono 80, per un totale di 516 persone: viene segnalato l’arrivo nel centro storico della famiglia del notaio Antonio Maretta, vedovo con cinque figli, di un certo Antonio Genicoli, giovane di 28 anni, e di Carlo Millani, con moglie e figlia. In quello del 1698, incompleto, sempre del Quintarelli, compare un eremita, Alessandro Galetti, che si presume fosse stato al servizio della chiesa di Sant’Antonio, perché annoverato fra gli abitanti di Coi e dintorni. Nello s.d.a. del 1709 - redatto dal parroco don Gregorio Milani - troviamo registrate 619 “anime”. Alla vigilia della ricostruzione della chiesa parrocchiale, come leggiamo nello s.d.a. del 1710, i torresani che avessero superato i 70 anni erano solo 8, su un totale di 621 “anime”: Angelo Pescetta (a.74), Tomio Marai (a.78), Margherita vedova di Bartolomeo Fornari (a. 75), Alessandro Galetti (a.71), Bartolomeo Gozzer (a.74) e la moglie Caterina (a.73), Giobatta Bardolini (a.71), Domenico Vedovel (a.70); troviamo anche Gian Antonio Vedovel, allora sessantatreenne, ma che nel 1731 risulterà avere ben 85 anni, a quei tempi un’età da Guinness, tanto da essere citato da don Sartori nel suo opuscolo che parla dell’inaugurazione della chiesa parrocchiale. Sempre dallo s.d.a del 1710, veniamo a sapere che a Torri erano presenti 55 casati, di cui 40 dentro le mura; due a Crer; tre a Sevino e altrettanti a Loncrino di sopra e di sotto; solo uno alla Pozza dal Molin, alle Prandine, a Valmagra e a Coi (qui, però, con ben otto nuclei familiari). I casati più rappresentati erano quelli dei Marai (con dieci famiglie), dei Novelli e dei Pescetta (con sette famiglie ciascuno), dei Micheletti e degli Zucchetti (con sei), oltre che dei Galetti (con cinque famiglie), tutti abitanti in paese; inoltre avevamo sei famiglie di Consolini, di cui ben cinque a Crer; dodici famiglie di Vedovelli, di cui otto a Coi e tre a Loncrino di sopra; quattro famiglie di Fava, di cui tre in paese; sei di Loncrini, di cui però solo una a Loncrino di sotto. Con quattro famiglie ciascuno avevamo ben rappresentati anche gli Stringa e i Fornari; con tre, i Franzoni, i Bertelli e i Saviani; con due, i Bertera, i Poli, i Bisani, gli Zuliani, i Cagnoni, i Vedova e i Mazzetti, tutti in paese. HA RICEVUTO IL BATTESIMO Parrocchia di Pai LETIZIA 11 I casati rappresentati da una sola famiglia erano i seguenti: Seghetti, Madruzzi, Cristofori, Carteri, Spizochin, Righi, Saletti, Belli, Gianicoli, Schizada, Bellotti, Bellini, Cottini, Dante, Camuzzoni, Tomaselli, Maretta, Lenotti, Gozzer, Bardolini, Campetti, Bonetti, Peretti, Carletti, Martinelli e Peroni. Passsando ad esaminare alcune di queste famiglie, iniziamo con i Marai, giunti a Torri nell’anno 1400: così almeno sostiene la tradizione, perpetuata da uno dei massimi rappresentanti di questa famiglia, il canonico – impropriamente spesso definito come vescovo – Giandomenico Marai, morto a Torri nel 1812 e autore, fra l’altro, di un volumetto sulla vita dei santi Benigno e Caro, di un’ “Illustrazione del Garda”, pubblicata postuma nel 1879, e di un poemetto in versi sulla località di San Vigilio, del 1807. Sempre secondo la tradizione, il primo Marai giunto a Torri, Marco, era un mercante siriano, il quale compare pure nella Transazione del 1452 con cui gli Originari di Garda, Torri e Sirmione acquistarono i diritti di pesca sulla Peschiera di san Vigilio dai conti Becelli di Costermano. Questa famiglia, una delle più influenti del paese in epoca veneta (inizi ‘700) era suddivisa in tre rami: i Marai dal pign; i Marai da l’aj – di cui vediamo lo stemma sulla chiave di volta del portale di una casa in piazza Calderini, con uno spicchio d’aglio sul mare; i Marai da l’olm, con lo stemma dipinto all’interno del bel palazzo Marai-Mari. La parte più antica di questa dimora signorile risale al ’400 e di tale epoca si è conservato il loggiato che guarda il lago, ingentilito da un bell’affresco del 1493 con i santi Zeno, Antonio e Pietro martire da Verona; con l’ampliamento settecentesco ha acquisito le forme attuali. L’importanza di questo casato è testimoniata da alcune tele raffiguranti donne della famiglia Marai e attribuite al pittore veronese Felice Boscaratti (1721-1807), autore fra l’altro della pala con i santi Vincenzo Ferrer e Antonio abate (1769) nella Parrocchiale. Proprietà dei Marai era pure la chiesetta di Sant’Antonio (sec XV-XVII), che da loro, con Bartolomeo e Tommaso, venne ampliata a fatta affrescare fra il 1660 e il 1667: uno degli affreschi raffigura il paese di Torri come doveva apparire nel 1660. Nel 1692, compaiono anche dei Maraglio, una italianizzazione (Mar+aglio) della presunta forma dialettale Mar+ai. A questo proposito ricordiamo che sul lago d’Iseo esiste un paese, Peschiera Maraglio, che ricorda questo casato. Giorgio Vedovelli SONO TORNATI AL PADRE Parrocchia di Torri GIOVANNI EMMA BRUNO Lo stemma dei Marai 12 CORAGGIO, FRATELLO CHE SOFFRI Nel Duomo vecchio di Molfetta c'è un grande crocifisso di terracotta. L'ha donato, qualche anno fa, uno scultore del luogo. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l'ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell'opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo. Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell'abbandono. Non ti disperare, madre dolcissima, che hai partorito un figlio focomelico. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non angosciarti, tu che per un tracollo improvviso vedi i tuoi beni pignorati, i tuoi progetti in frantumi, le tue fatiche distrutte. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non abbatterti, fratello povero, che non sei calcolato da nessuno, che non sei creduto dalla gente e che, invece del pane, sei costretto a ingoiare bocconi di amarezza. Non avvilirti, amico sfortunato, che nella vita hai visto partire tanti bastimenti, e tu sei rimasto sempre a terra. IL CROCIFISSO PARLA A TE Papa Montini aveva detto: il Crocifisso parla a te, uomo che soffri, a te uomo aggravato dalle fatiche , dagli affanni, dalle miserie della tua vita; a te emarginato. Da duemila anni la Croce dà lezione di umanità e il cristianesimo non si può capire senza la croce. Giovanni XXIII invitava a portarla ben scolpita e infissa nel nostro cuore. Paolo VI l’aveva chiamata “forza della Chiesa” e ne sottolineava il “paradosso di sapienza -stoltezza”. Giovanni Paolo II la definiva “suprema cattedra della verità di Dio e dell’uomo”. Il Crocifisso parla a te. E’ stato edito recentemente un libro che riferisce un’ampia antologia di scritti, meditazioni, preghiere su “questo simbolo dell’amore, del dolore”, oltre che dell’arte e della cristianità. L’occasione viene data dai 150 anni del crocifisso custodito nella Chiesa della misericordia di Viareggio che la città toscana aveva fatto realizzare una volta cessato il colera del 1856 come richiamo spirituale che riassumesse contemporaneamente i sentimenti del dolore e della gioia, della riconquistata speranza”. Quella croce è stata issata il 29 giugno 2009 nello stadio per i funerali delle vittime della strage ferroviaria di Viareggio. Il Crocifisso non è un tributo che una divinità violenta esige per essere ripagata del torto fattogli dall’umanità, ma è il segno di una disponibilità e di una donazione totale. Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre "collocazione provvisoria". 13 PARROCCHIA DI TORRI DOMENICA DELLE PALME VENERDÌ SANTO 17 APRILE 22 APRILE Ore Ore 8.30 9.45 Ore Ore 10.00 11.00 Ore Ore Ore 11.15 17.00 18.00 Ore 07.00 LODI – CONFESSIONI e ADORAZIONE EUCARISTICA Ore 15.00 CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE Ore 16.00 – 19.00 CONFESSIONI Ore 20.30 VIA CRUCIS COMUNITARIA PER LE VIE DEL PAESE S. MESSA Benedizione delle Palme presso il Centro Giovanile S. MESSA delle Famiglie Benedizione delle Palme presso oratorio SS. Trinità PROCESSIONE S. MESSA SOLENNE VESPERO S. MESSA SABATO SANTO 23 APRILE Ore 07.00 LUNEDÌ, MARTEDÌ, MERCOLEDÌ 18 – 19 – 20 APRILE Ore Ore Ore Ore Ore Ore Ore Ore Ore Ore 07.00 LODI 10.00 S. MESSA 08.00 - 12.00 CONFESSIONI 15.00 - 18.00 CONFESSIONI 17.00 VESPERO 18.00 S. MESSA LODI VENERAZIONE ALLA CROCE 08.00 - 12.00 CONFESSIONI 15.00 - 19.00 CONFESSIONI 17.00 VESPERO 21.30 VEGLIA PASQUALE DOMENICA DI PASQUA 24 APRILE GIOVEDÌ SANTO 21 APRILE Ore 07.00 S. MESSA 07.00 LODI 15.00 - 19.00 CONFESSIONI 17.00 VESPERO 20.30 MESSA IN “COENA DOMINI” Lavanda dei piedi. Ore 21.30 ADORAZIONE EUCARISTICA COMUNITARIA (fino alle 24.00) Ore 08.30 S. MESSA Ore 10.00 S. MESSA delle Famiglie Ore 11.15 S. MESSA SOLENNE Ore 17.00 VESPERO SOLENNE Ore 18.00 S. MESSA Ore Ore Ore Ore DURANTE LA SETTIMANA SARÀ PRESENTE UN SACERDOTE PER LE CONFESSIONI PARROCCHIA DI PAI Ore DOMENICA DELLE PALME VENERDÌ SANTO 17 APRILE 22 APRILE 9.45 Ore 10.00 BENEDIZIONE DELLE PALME PRESSO IL CAPITELLO, PROCESSIONE E S. MESSA SOLENNE Ore 15.00 CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE Ore 20.30 A TORRI VIA CRUCIS COMUNITARIA PER LE VIE DEL PAESE LUNEDÌ, MARTEDÌ, MERCOLEDÌ SABATO SANTO - 23 APRILE 18 – 19 – 20 APRILE Ore CONFESSIONI A PAI Ore 18.00 - 19.30 / 20.30 – 21.30 Ore 21.30 VEGLIA PASQUALE CONFESSIONI A TORRI 08.00 - 12.00 / 15.00 - 18.00 GIOVEDÌ SANTO - 21 APRILE Ore 20.30 DOMENICA DI PASQUA - 24 APRILE Ore 10.00 MESSA IN “COENA DOMINI” 14 S. MESSA SOLENNE Stazione: Stazione: I Piazza Chiesa VIII Capitello “S. Famiglia”, Incrocio Valmagra II Via per Albisano, S. Giovanni III Rotonda località S. Antonio IX Loncrino – Capitello “Madonna e Santi” IV Via R. Simoni X Prea Scritta, incrocio Via Rossini V Capitello “S. Antonio”, Via Rossini XI Loc. Crosetta VI Incrocio Via Lombroso, Via per Coi XII Via dall’Oca Bianca, Incrocio Bivio XIII Piazza Umberto VII Loc. Coi, Fontanella XIV Piazza Chiesa 15 APPUNTAMENTI SETTIMANALI APRILE 2011 OGNI DOMENICA ore 10.00: S. MESSA DELLE FAMIGLIE ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CANTO DEL VESPERO. OGNI LUNEDÌ ore 9.00-12.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CONFESSIONI. OGNI MARTEDÌ ore 15.00: CATECHESI SCUOLA MEDIA. ore 15.00: CATECHISMO SCUOLA ELEMENTARE. OGNI GIOVEDÌ ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA. OGNI VENERDÌ ore 20.30: INCONTRO GRUPPO ADOLESCENTI. OGNI SABATO ore 15.00 - 18.00: TEMPO PER LE CONFESSIONI CALENDARIO APRILE 2011 OGNI MERCOLEDÌ DI QUARESIMA ore 19.45 STAZIONE QUARESIMALE “LA PENITENZIALE” – SS. Trinità ore 20.00 S. MESSA – Chiesa Parrocchiale OGNI VENERDÌ DI QUARESIMA ore 15.00 VIA CRUCIS MERCOLEDÌ 13 ore 21.00 INCONTRO DI PREGHIERA IN ONORE DI S. ANTONIO DOMENICA 17 DOMENICA DELLE PALME DOMENICA 24 PASQUA DI RISURREZIONE LUNEDÌ 25 LUNEDÌ DELL’ANGELO SANTE MESSE ORE 10.00 – 18.00 PER LE CELEBRAZIONI DELLA SETTIMANA SANTA CONSULTARE IL PIEGHEVOLE DISPONIBILE IN CHIESA DA DOMENICA 17 APRILE PARROCCHIA DI TORRI ORARIO FESTIVO Sabato ore ore 17.00 Vespero 18.00 S. Messa Domenica ore ore ore ore ore 8.30 10.00 11.15 17.00 18.00 S. Messa S. Messa S. Messa Vespero S. Messa PARROCCHIA DI PAI ORARIO FESTIVO Sabato ore 19.30 Domenica ore 10.00 LUNEDÌ 25 APRILE SAN MARCO EVANGELISTA FESTA PATRONALE A PAI ORARIO FERIALE ore ore ore 7.00 Lodi 17.00 Vespero 18.00 S. Messa ore 10.00 S. MESSA SOLENNE, PROCESSIONE E BENEDIZIONE DI AUTO E MOTO. Bollettino di informazione Parrocchiale stampato in proprio La Redazione: Don Giuseppe Cacciatori – Daniela Pippa – Addea Cestari - Anna Menapace - Nuccia Renda – Rosanna Zanolli William Baghini. Collaborazione fotografica: Mario Girardi /Impaginato da: Francesco Greco / Stampato da: Roberto Borghi