Aprile 2011 - Anno 13 (n° 149)
Mensile della
Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco
È vero! Quando la televisione, la radio, i
giornali ci rovesciano addosso ogni giorno,
il racconto e le immagini di eventi tragici,
fatti di sangue, violenze di ogni tipo,
dettagli di delitti raccapriccianti, sono in
tanti a pensare che Dio sia assente, come
se non gli importasse delle nostre pene ed
angosce. Noi allora ci chiediamo: “Perché i
giusti soffrono? Perché accanto al sorriso
dei bimbi ci deve essere anche la loro
sofferenza e perfino la morte? Perché
accanto
alla
bellezza
dell’amore
subentrano le sue molteplici e a volte
ostentate profanazioni: la
prostituzione,
la
pornografia, l’infedeltà, il
tradimento? Perché accanto
al
mirabile
ordine
dell’universo, ci sono i
cataclismi, le alluvioni, i
terremoti, lo tsunami, la
siccità? Qual è il significato
dell’esistenza?
Perché:
nascere, vivere se poi si
deve morire? Sono troppe
le cose che non quadrano.
Sono troppi i perché senza
risposta. E’ il problema del
male e del dolore del
mondo, in tutta la sua
drammatica complessità.
Le risposte della ragione
Si possono cercare alcune ragionevoli
risposte, che però non risolvono il
problema.
1. La ragione ci dice che molti mali sono
imputabili all’uomo stesso, al cattivo uso
della libertà. L’uomo è capace di amare,
ma anche di odiare e uccidere: di aiutare,
ma anche di perseguitare e distruggere.
2. La ragione ci dice che tanti eventi così
detti naturali sono legati alle leggi di
natura che sfuggono ancora alle nostre
conoscenze.
3. La ragione ci dice che alcuni mali non
sono che la condizione del bene. Basti
pensare ad una madre che genera una
nuova creatura, che dona la vita.
4. La ragione ci dice che il progresso
materiale e morale farà risparmiare tante
sofferenze; che le difficoltà e sofferenze
creano una catena di
solidarietà e stimolano
l’uomo al servizio degli
altri.
5. …e così via.
Sì! Tutto questo è vero,
ma
non
risolve
il
problema.
Le risposte della fede
A livello di fede si
possono
individuare
alcune risposte.
1. La
risposta
della
trascendenza di Dio.
Giobbe, l’uomo giusto
che ha perso tutto: i figli,
i beni, la salute grida il
suo dolore: “maledetto
il giorno in cui sono
nato…io grido a Te e Tu non mi rispondi”.
Ma Dio gli risponde con una verità molto
semplice: Io sono l’altissimo, tu sei una
creatura. Che sai tu dei miei disegni,
del mio mistero? Pretendi forse di dirmi
che cosa debbo fare? Dove eri tu quando
stradale, aveva perso il marito e i suoi due
figli: Solo essa era rimasta miracolosamente
salva. Dopo la recita del rosario, un’amica,
esprimendo le sue condoglianze, ebbe a
dire, alquanto incautamente: forse anche tu
avresti preferito morire insieme con loro.
Quella signora, donna di grande fede,
rispose: e chi sarebbe rimasto per offrire
tutto questo dolore? Nel mistero del dolore
si può entrare solo se si considera quanto è
prezioso se unito a Cristo e ci si apre alle
speranze che Dio ci dona.
gettavo le fondamenta dell’ universo e mi
innalzavano lodi gli astri del mattino?.
Come Giobbe, anche noi vorremmo
insegnare a Dio ciò che deve fare e non
fare. Credere in Dio è accettare che le sue
vedute
oltrepassino
infinitamente
le
nostre, è credere che Egli è così grande da
dare un senso alla sofferenza e che è
capace di ricavare il bene anche dal male.
Risposta dura, ma inattaccabile. E’ San
Paolo che ha scritto: Sappiamo che tutto
concorre al bene di coloro che amano Dio.
Dio sa dove ci vuole condurre. In questa
certezza di fede Paolo dice: “so in chi ho
posto la mia fiducia”.
2. La risposta dell’Incarnazione. Dio non
sopprime il male con un colpo di bacchetta
magica, ma – senza cessare di essere Dio –
prende su di sé, in Gesù Cristo, una
umanità completa, si getta nell’immenso
mistero
del
male,
della
sofferenza,
dell’ingiustizia, del peccato che sembra
trionfare. Tutta l’angoscia umana si riversa
su di Lui, il Figlio di Dio fattosi uomo; soffre
egli stesso, in modo inimmaginabile
l’abbandono, il silenzio del Padre: “Dio mio,
Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Gesù
diventa immagine di ogni uomo che soffre.
Il profeta Isaia aveva detto di Lui: “un uomo
che soffre, abituato al dolore…egli si è
addossato il nostro dolore e la nostra
sofferenza”. In Gesù si manifesta la paura
dell’uomo abbandonato, solo nel suo dolore:
la paura dell’uomo vittima dell’ingiustizia: la
paura della morte. Ma se Dio si è lasciato
immergere nel male e nella morte è per
vincerli dal di dentro. Il Cristo risorto si
mette alla testa dell’umanità nuova, dona
agli uomini la vita stessa di Dio, annuncia la
resurrezione dei loro corpi. Se Dio ha così
sofferto in Cristo, sappiamo che ci capisce
quando soffriamo e piangiamo e tiene
preparata
per
noi
la
forza
della
consolazione. Accettare il dolore è accettare
di essere creature, ed è la volontà di vincere
il dolore. Accettare non vuol dire subire: ma
vivere la realtà. Con Gesù che ha sofferto
per salvarci, si soffre diversamente: come
chi sa di non soffrire invano, come chi è
cosciente di realizzare nel dolore, offerto
insieme alla passione di Cristo, la salvezza
del mondo. Ricordo di essermi recato a
trovare una signora per pregare in suffragio
dei suoi familiari defunti in un incidente
Le ragioni della Speranza
Teniamo presente che la creazione non è
ancora terminata. Dio è ancora la lavoro
dentro e attraverso la sua creazione. Come
uno scultore che non ha ancora terminato il
suo capolavoro. San Paolo dice: “io ritengo
che le sofferenze del momento presente non
sono paragonabili alla gloria futura che dovrà
essere rivelata in noi. La creazione stessa
attende con impazienza la rivelazione dei figli
di Dio”. San Giovanni nell’Apocalisse scrive:
“Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli
dimorerà tra di loro ed essi saranno il suo
popolo, ed egli sarà il Dio con loro. E tergerà
ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la
morte, né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate. Ecco io
faccio nuove tutte le cose. Tutta la Bibbia ci
dice che il futuro vedrà un atto decisivo di
Dio contro le forze del disordine, alleate con
il Maligno per distruggere la creazione di Dio.
E dunque alla domanda: perché Dio non fa
qualche cosa contro il dolore e la miseria che
sono nel mondo? La risposta cristiana è che
Egli verrà un giorno a giudicare il mondo e
agirà in modo definitivo contro tutto ciò che
è male, destituendolo dal suo potere. Forse
potremo ancora chiedere: ma perché Dio
aspetta tanto, così a lungo prima di condurci
in questa nuova era? San Pietro risponde
così: davanti al Signore un giorno è come
mille anni e mille anni come un giorno solo.
Il Signore non tarda ad adempiere la sua
promessa come certuni credono: ma usa
pazienza verso di voi, non volendo che
alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di
pentirsi. Dio vuole che quando siamo colpiti
dalla sofferenza, ripensiamo alla nostra vita,
ci
convertiamo
aprendoci
alla
sua
misericordia e al suo amore misericordioso
che a tutti offre salvezza. Don Giuseppe
2
per giunta, per i suoi sostenitori, non può
invocare l’obiezione di coscienza.
Ho già ricordato inoltre in altro articolo
che, per un certo ambiente scientifico, non
tutte le creature umane possono essere
definite persone. Non lo sono gli infanti, i
ritardati mentali, persone in coma (oggi,
fra
l’altro,
solo
apparentemente
irreversibile),
e
anche
quelle
poco
acculturate. Per questo tipo di pensiero,
questi individui sfortunati sono solo cose,
oggetti da usare liberamente per gli
esperimenti e da eliminare senza riguardo.
Tutto ciò si evince da dibattiti e congressi
medici e da certi manuali e trattati che
circolano anche nelle università italiane.
Lo spirito di Auschwitz e dei gulag sovietici
sembra aleggiare ancora sul nostro
pianeta.
Ma anche la DAT, non ancora approvata, è
a rischio di modifiche. Qualcuno prospetta
accordi concilianti, che mascherano forme
di eutanasia.
Non sappiamo quali sorprese possano
portare al cittadino ignaro e distratto, e
non addentro nel gioco politico, certe
sottigliezze legislative.
La Chiesa Cattolica tutta, in sintonia con il
Santo Padre, ribadisce a più riprese e con
forza l’inviolabilità della vita umana dal
concepimento fino alla morte naturale.
La Costituzione della Repubblica Italiana,
la Convenzione di Oviedo, ed altri
interventi qualificati sono ancora un argine
alla deriva verso l’eutanasia.
E fino a quando?
Riporto quanto leggo in un giornale
importante, diffuso a livello nazionale e
mai
smentito
su
ciò
che
qui
sommariamente trascrivo:
Eluana, nell’ospedale di Sondrio sorrideva
quando sentiva nella stanza una voce
cara. Quando la portarono ad Udine, per
lasciarla morire come ben sappiamo,
nell’ambulanza ebbe invece una grave crisi
nervosa. Fu poi trovata morta, in modo
imprevisto, come un oggetto abbandonato
appunto.
Eppure nella cartella clinica dell’ospedale
di Sondrio era riportato, fra l’altro, che
Essa nella notte aveva anche pronunciato
due volte una parola: “mamma”.
UNA LEGGE PER IL
“FINE VITA”
È in discussione al Senato una legge
chiamata: “Dichiarazioni anticipate di
trattamento” (abbreviato DAT), che,
nell’intenzione dei proponenti, ha lo scopo
di evitare colpi di mano della Magistratura,
come per il caso Eluana.
C’è un valore tutelato dalla Costituzione e
dal nostro ordinamento che poggia sul
principio della “indisponibilità della vita
umana”. Si vuole evitare che vengano
inserite nel nostro ordinamento giudiziario
forme di eutanasia anche solo mascherate,
ma nello stesso tempo nemmeno si
intende
giustificare
l’accanimento
terapeutico.
Si ha l’accanimento terapeutico quando si
attuano terapie sproporzionate rispetto ai
risultati,
soprattutto nei riguardi dei
pazienti terminali ed inguaribili. In questi
casi è possibile il ricorso a cure palliative
contro il dolore, anche se possono
accorciare la vita del paziente.
E’ invece una forma di eutanasia attiva
togliere l’alimentazione e l’idratazione a
persone in stato vegetativo. Bere e
mangiare sono esigenze naturali di ogni
creatura e non terapie. Il termine
vegetativo poi è ambiguo e si deve tener
conto dei progressi fatti ed in corso anche
in campo neurologico.
Il cosiddetto “Testamento biologico” cerca
di fatto di introdurre l’eutanasia. Il medico
William
3
è rispondere a una chiamata, seguire un
cammino, lontani dalle scorciatoie facili e
ingannevoli che si presentano con maggior
attrattiva durante la giovinezza. La veglia
(preceduta dalla cena con i giovani delle
parrocchie del Garda) ha ribadito il
significato di una Vita autentica che punta
alla bellezza, all’infinito, alla Verità. La Via
da percorrere è riassunta nello slogan
della GMG: “Radicati in Cristo, saldi nella
fede” (Col 2,7). Una frase da stampare
nella memoria e applicare nella vita per
non smarrirsi nel relativismo di un
Occidente
secolarizzato,
addirittura
scandalizzato della silenziosa presenza del
Crocifisso. Ecco perché individuare le
nostre radici nei genitori, nella famiglia,
nella fede, come relazione personale con
Gesù. Ecco come costruire amicizie
autentiche e affrontare i problemi, le
difficoltà, le grandi domande della
vita.”Saldi nella fede”, perché ogni
credente è come un anello nella grande
catena di credenti. “L’amore cristiano è un
vincolo che libera; non una catena che
ferisce.” Se un uomo reca in sé un grande
amore, questo amore gli dà quasi ali, e
sopporta più facilmente tutte le molestie
della vita”. Anche lavorare e studiare.
“L’andare con Cristo è una forza che ci
aiuta a portare questo fardello e che si
acquisisce coltivando in noi stessi l’amore
e lasciandoci animare da quello che viene
dall’Alto”. Queste le riflessioni sviluppate
durante la veglia e meditate nel silenzio
della processione.
GMG MADRID 2011
È ormai ufficiale la partecipazione dei
giovani di Torri alla GMG di Madrid.
Un’esperienza che il Papa non esita a
definire decisiva non solo per la vita di
quanti “condividono la fede”, ma anche
per “quanti esitano, sono dubbiosi o non
credono in Lui”. Anzi, proprio a questi
ultimi
è
caldamente
raccomandabile
l’invito a un incontro di questa portata.
Non si tratta di un semplice raduno fine a
se stesso: lo dimostra la preparazione in
cui si stanno impegnando due milioni di
giovani
per
garantire
la
qualità
dell’appuntamento, contribuendo a fornire
slancio, dinamismo e testimoniando ogni
giorno la gioia e il senso della vita fondata
sulla fede. In questa prospettiva si
svolgono
gli
incontri
del
gruppo
adolescenti ogni venerdì, anche in contatto
con altre parrocchie. Abbiamo così
partecipato, il 25 febbraio, alla veglia di
preghiera, seguita da processione e
adorazione, nella chiesa di S. Martino
(Peschiera) per accogliere la croce della
GMG, in passaggio per la nostra diocesi.
Come la croce, anche noi “siamo
pellegrini, non vagabondi”. Essere cristiani
Giuseppe R.
4
“ecco” eterno di obbedienza e di sacrificio
pronunciato da Cristo al Padre e riferitoci
dalla Scrittura nel salmo 40 e nella lettera
gli Ebrei “non hai gradito né olocausti né
sacrifici per il peccato…allora io ho detto:
ecco io vengo per fare la tua volontà.” La
Sindone dà la prova dell’amore immolato,
e lo prova con un “veramente”. Veramente
Cristo ha patito, veramente
Cristo è morto, veramente
Cristo è risorto.
LA SINDONE
“ICONA DEL CROCIFISSO”
La tenue impronta impressa sul lenzuolo
chiamato Sindone di Torino è stata
accertata come immagine “acheropita”,
cioè non fatta da mano
d’uomo. Anzi per l’imponente
insieme di informazioni sul
supplizio
di
quell’
Uomo
raffigurato, per la perfetta
coincidenza tra le informazioni
impresse sul lenzuolo torinese
e le narrazioni evangeliche, si
può ben affermare che la
Sindone è il quinto Vangelo
della passione e morte di
Gesù. E anche della sua
risurrezione, sebbene in modo
del tutto speciale. Di quella
passione la Sindone ci mostra
tanti
particolari
che
la
descrizione
evangelica
ha
taciuto, e ce li fa vedere in
tutto il loro agghiacciante
verismo. Di quella morte ci
riferisce
la
straordinaria
serenità. Di quella risurrezione
ci
presenta
indizi
di
stupefacente congruità. Eccoci,
dunque, a contemplare questo
Vangelo
in
immagine.
L’enigma nascosto per secoli in
quella impronta al negativo
attendeva
in
una
lastra
fotografica di essere sciolto
attraverso
una
lettura
in
positivo per il giusto verso.
Questo fatto provvidenziale ci
deve far riflettere, anche per
l’obbligo che ne scaturisce di
valorizzare tale strumento di
catechesi, di evangelizzazione,
di conoscenza di Gesù Cristo.
Il messaggio sindonico si
estrinseca
attraverso
due
avverbi: “ecco” e “veramente”. Come
icona, la Sindone ci mostra, ci presenta il
Redentore nella sua totale donazione,
mette sul labbro di Gesù questo
messaggio eloquentissimo: “ecco vedi
quello che ho sofferto per te!”. Questo
“ecco” sindonico è una tenuissima eco dell’
I trucchi di Dio
Il
messaggio
che
reca
impresso questo venerando
telo consiste nella straordinaria
capacità di rimando, di rinvio
alla persona che è raffigurata.
Quando parliamo di Sindone in
un contesto di fede parliamo di
Lui, di Gesù Cristo. La Sindone
è un oggetto archeologico che
ci interessa soprattutto per
questo, perché pone Gesù
Cristo al centro dell’attenzione
.Nel suo essere un umile promemoria della passione di
Gesù, la Sindone ripete con
Paolo nella sua prima lettera
ai Corinti: “io ritenni infatti di
non sapere altro in mezzo a
voi se non Gesù Cristo e
questi
crocifisso”.
Questo
documento storico incredibile
testimonia un sacrificio totale,
raffigura un corpo svuotato di
sangue. L’evento di salvezza si
è prodotto perché l’uomo in
immagine si è consumato fino
in fondo. Ci troviamo davanti
all’immagine, sappiamo che è
avvenuto per noi. Constatiamo
che ci amò fino alla fine.
Meditiamo,
contempliamo,
riviviamo l’atto centrale della
nostra salvezza. “Vale più
questa fotografia che qualsiasi
studio” ebbe a dire Pio XI. Per
molti di noi la Sindone è stata un incontro
inatteso. Da molti di noi sulle prime, essa è
stata rifiutata e collocata tra gli oggetti
devozionali, nell’ambito di una religiosità
popolare non sufficientemente adulta.
Questi sono i trucchi di Dio. Sono gli
5
scandali della sua misericordia. Scandali in
senso
etimologico:
noi
camminiamo
distratti e Dio ci fa inciampare in qualche
cosa che ci costringe a riflettere sul
sacrificio del suo unico Figlio. La Sindone
non pretende altro che invitarci a mettere
al
centro
del
nostro
cristianesimo
quell’Uomo che ha sofferto il soffribile, che
è maestoso e sereno nella morte, che è
sul punto di risorgere. Il Cristo crocifisso
non è soltanto “scandalo per i giudei e
stoltezza per i pagani”, ma anche un “nonsenso” per tanti di noi e dei nostri
contemporanei.
Abbiamo perso di vista la centralità di
Cristo
crocifisso.
Tanti
riducono
il
cristianesimo a un’idea, a un’astrazione, a
un’entità culturale, a un comportamento
etico-umanitario. Vi sono troppi gnostici
nelle nostre comunità, predomina molto
buon senso e molta ragionevolezza. La
sapienza di Dio sconvolge questi piani
umanamente illuminati. Provvidenziale la
Sindone. Nella sua modestia di strumento,
ci ricorda l’unica cosa che conta, la fede in
Gesù Cristo crocifisso risorto, e ce lo
ricorda
usando
l’esca
dell’enigma
scientifico. Il telo torinese ci consegna allo
sguardo pietoso il corpo staccato dal legno
della croce.
Ce lo consegna come lo restituirono a sua
Madre e al discepolo Giovanni tirato giù
dalla croce. Attraverso la contemplazione
della Sindone veniamo introdotti ad una
più penetrante visione del suo recondito e
affascinante mistero.
Messaggio del Papa al
Presidente Napolitano per
150 anni dell'Unità d'Italia
Illustrissimo Signore On.
GIORGIO NAPOLITANO
Presidente della
Repubblica Italiana
Il 150° anniversario dell’unificazione
politica dell’Italia mi offre la felice
occasione per riflettere sulla storia di
questo amato Paese, la cui Capitale è
Roma, città in cui la divina Provvidenza ha
posto la Sede del Successore dell’Apostolo
Pietro. Pertanto, nel formulare a Lei e
all’intera Nazione i miei più fervidi voti
augurali, sono lieto di parteciparLe, in
segno dei profondi vincoli di amicizia e di
collaborazione che legano l’Italia e la
Santa Sede, queste mie considerazioni.
Orazio
Il processo di unificazione avvenuto in
Italia nel corso del XIX secolo e passato
alla storia con il nome di Risorgimento,
costituì il naturale sbocco di uno sviluppo
identitario nazionale iniziato molto tempo
prima. In effetti, la nazione italiana, come
comunità di persone unite dalla lingua,
dalla cultura, dai sentimenti di una
medesima appartenenza, seppure nella
pluralità di comunità politiche articolate
sulla penisola, comincia a formarsi nell’età
medievale.
Il Cristianesimo ha contribuito in maniera
fondamentale alla costruzione dell’identità
italiana attraverso l’opera della Chiesa,
6
Cristianesimo e la Chiesa hanno dato un
contributo fondamentale.
Per ragioni storiche, culturali e politiche
complesse, il Risorgimento è passato come
un moto contrario alla Chiesa, al
Cattolicesimo, talora anche alla religione
in generale. Senza negare il ruolo di
tradizioni di pensiero diverse, alcune
marcate da venature giurisdizionaliste o
laiciste, non si può sottacere l’apporto di
pensiero - e talora di azione - dei cattolici
alla formazione dello Stato unitario. Dal
punto di vista del pensiero politico
basterebbe ricordare tutta la vicenda del
neoguelfismo che conobbe in Vincenzo
Gioberti un illustre rappresentante; ovvero
pensare agli orientamenti cattolico-liberali
di Cesare Balbo, Massimo d’Azeglio,
Raffaele Lambruschini. Per il pensiero
filosofico, politico ed anche giuridico risalta
la grande figura di Antonio Rosmini, la cui
influenza si è dispiegata nel tempo, fino ad
informare punti significativi della vigente
Costituzione
italiana.
E
per
quella
letteratura che tanto ha contribuito a "fare
gli italiani", cioè a dare loro il senso
dell’appartenenza alla nuova comunità
politica che il processo risorgimentale
veniva plasmando, come non ricordare
Alessandro Manzoni, fedele interprete
della fede e della morale cattolica; o Silvio
Pellico,
che
con
la
sua
opera
autobiografica sulle dolorose vicissitudini
di un patriota seppe testimoniare la
conciliabilità dell’amor di Patria con una
fede adamantina. E di nuovo figure di
santi, come san Giovanni Bosco, spinto
dalla
preoccupazione
pedagogica
a
comporre manuali di storia Patria, che
modellò l’appartenenza all’istituto da lui
fondato su un paradigma coerente con una
sana concezione liberale: "cittadini di
fronte allo Stato e religiosi di fronte alla
Chiesa".
La costruzione politico-istituzionale dello
Stato
unitario
coinvolse
diverse
personalità del mondo politico, diplomatico
e militare, tra cui anche esponenti del
mondo cattolico. Questo processo, in
quanto dovette inevitabilmente misurarsi
col problema della sovranità temporale dei
Papi (ma anche perché portava ad
estendere ai territori via via acquisiti una
legislazione in materia ecclesiastica di
delle
sue
istituzioni
educative
ed
assistenziali,
fissando
modelli
di
comportamento,
configurazioni
istituzionali, rapporti sociali; ma anche
mediante una ricchissima attività artistica:
la letteratura, la pittura, la scultura,
l’architettura, la musica. Dante, Giotto,
Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi
da
Palestrina,
Caravaggio,
Scarlatti,
Bernini e Borromini sono solo alcuni nomi
di una filiera di grandi artisti che, nei
secoli,
hanno
dato
un
apporto
fondamentale alla formazione dell’identità
italiana. Anche le esperienze di santità,
che numerose hanno costellato la storia
dell’Italia, contribuirono fortemente a
costruire tale identità, non solo sotto lo
specifico
profilo
di
una
peculiare
realizzazione del messaggio evangelico,
che ha marcato nel tempo l’esperienza
religiosa e la spiritualità degli italiani (si
pensi alle grandi e molteplici espressioni
della pietà popolare), ma pure sotto il
profilo culturale e persino politico.
San Francesco di Assisi, ad esempio, si
segnala anche per il contributo a forgiare
la lingua nazionale; santa Caterina da
Siena offre, seppure semplice popolana,
uno stimolo formidabile alla elaborazione
di un pensiero politico e giuridico italiano.
L’apporto della Chiesa e dei credenti al
processo
di
formazione
e
di
consolidamento
dell’identità
nazionale
continua
nell’età
moderna
e
contemporanea. Anche quando parti della
penisola furono assoggettate alla sovranità
di potenze straniere, fu proprio grazie a
tale identità ormai netta e forte che,
nonostante il perdurare nel tempo della
frammentazione geopolitica, la nazione
italiana poté continuare a sussistere e ad
essere consapevole di sé. Perciò, l’unità
d’Italia, realizzatasi nella seconda metà
dell’Ottocento, ha potuto aver luogo non
come artificiosa costruzione politica di
identità diverse, ma come naturale sbocco
politico di una identità nazionale forte e
radicata, sussistente da tempo. La
comunità politica unitaria nascente a
conclusione del ciclo risorgimentale ha
avuto, in definitiva, come collante che
teneva unite le pur sussistenti diversità
locali, proprio la preesistente identità
nazionale,
al
cui
modellamento
il
7
A proposito della fine degli Stati pontifici,
nel ricordo del beato Papa Pio IX e dei
Successori,
riprendo
le
parole
del
Cardinale Giovanni Battista Montini, nel
suo discorso tenuto in Campidoglio il 10
ottobre 1962: "Il papato riprese con
inusitato vigore le sue funzioni di maestro
di vita e di testimonio del Vangelo, così da
salire a tanta altezza nel governo
spirituale della Chiesa e nell’irradiazione
sul mondo, come prima non mai".
L’apporto fondamentale dei cattolici italiani
alla
elaborazione
della
Costituzione
repubblicana del 1947 è ben noto. Se il
testo costituzionale fu il positivo frutto di
un incontro e di una collaborazione tra
diverse tradizioni di pensiero, non c’è
alcun dubbio che solo i costituenti cattolici
si presentarono allo storico appuntamento
con un preciso progetto sulla legge
fondamentale del nuovo Stato italiano; un
progetto maturato all’interno dell’Azione
Cattolica, in particolare della FUCI e del
Movimento Laureati, e dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore, ed oggetto di
riflessione e di elaborazione nel Codice di
Camaldoli del 1945 e nella XIX Settimana
Sociale dei Cattolici Italiani dello stesso
anno, dedicata al tema "Costituzione e
Costituente".
Da lì prese l'avvio un impegno molto
significativo dei cattolici italiani nella
politica,
nell’attività
sindacale,
nelle
istituzioni
pubbliche,
nelle
realtà
economiche, nelle espressioni della società
civile, offrendo così un contributo assai
rilevante alla crescita del Paese, con
dimostrazione di assoluta fedeltà allo
Stato e di dedizione al bene comune e
collocando l’Italia in proiezione europea.
Negli anni dolorosi ed oscuri del
terrorismo, poi, i cattolici hanno dato la
loro testimonianza di sangue: come non
ricordare, tra le varie figure, quelle
dell’On. Aldo Moro e del Prof. Vittorio
Bachelet? Dal canto suo la Chiesa, grazie
anche alla larga libertà assicuratale dal
Concordato lateranense del 1929, ha
continuato, con le proprie istituzioni ed
attività, a fornire un fattivo contributo al
bene comune, intervenendo in particolare
a sostegno delle persone più emarginate e
sofferenti, e soprattutto proseguendo ad
alimentare il corpo sociale di quei valor
orientamento fortemente laicista), ebbe
effetti
dilaceranti
nella
coscienza
individuale e collettiva dei cattolici italiani,
divisi tra gli opposti sentimenti di fedeltà
nascenti dalla cittadinanza da un lato e
dall’appartenenza ecclesiale dall’altro.
Ma si deve riconoscere che, se fu il
processo
di
unificazione
politicoistituzionale a produrre quel conflitto tra
Stato e Chiesa che è passato alla storia col
nome di "Questione Romana", suscitando
di conseguenza l’aspettativa di una
formale "Conciliazione", nessun conflitto si
verificò nel corpo sociale, segnato da una
profonda amicizia tra comunità civile e
comunità ecclesiale. L’identità nazionale
degli italiani, così fortemente radicata
nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità
la base più solida della conquistata unità
politica. In definitiva, la Conciliazione
doveva avvenire fra le Istituzioni, non nel
corpo sociale, dove fede e cittadinanza
non erano in conflitto.
Anche negli anni della dilacerazione i
cattolici hanno lavorato all’unità del Paese.
L’astensione dalla vita politica, seguente il
"non expedit", rivolse le realtà del mondo
cattolico verso una grande assunzione di
responsabilità nel sociale: educazione,
istruzione,
assistenza,
sanità,
cooperazione, economia sociale, furono
ambiti di impegno che fecero crescere una
società solidale e fortemente coesa. La
vertenza apertasi tra Stato e Chiesa con la
proclamazione di Roma capitale d’Italia e
con la fine dello Stato Pontificio, era
particolarmente complessa.
Si trattava indubbiamente di un caso tutto
italiano, nella misura in cui solo l’Italia ha
la singolarità di ospitare la sede del
Papato. D’altra parte, la questione aveva
una
indubbia
rilevanza
anche
internazionale. Si deve notare che, finito il
potere temporale, la Santa Sede, pur
reclamando la più piena libertà e la
sovranità che le spetta nell’ordine suo, ha
sempre rifiutato la possibilità di una
soluzione
della
"Questione
Romana"
attraverso
imposizioni
dall’esterno,
confidando nei sentimenti del popolo
italiano e nel senso di responsabilità e
giustizia dello Stato italiano. La firma dei
Patti lateranensi, l’11 febbraio 1929,
segnò la definitiva soluzione del problema.
8
morali che sono essenziali per la vita di
una società democratica, giusta, ordinata.
Il bene del Paese, integralmente inteso, è
stato sempre perseguito e particolarmente
espresso in momenti di alto significato,
come nella "grande preghiera per l’Italia"
indetta dal Venerabile Giovanni Paolo II il
10 gennaio 1994.
La conclusione dell’Accordo di revisione
del Concordato lateranense, firmato il 18
febbraio 1984, ha segnato il passaggio ad
una nuova fase dei rapporti tra Chiesa e
Stato in Italia. Tale passaggio fu
chiaramente
avvertito
dal
mio
Predecessore, il quale, nel discorso
pronunciato il 3 giugno 1985, all’atto dello
scambio degli strumenti di ratifica
dell’Accordo, notava che, come "strumento
di
concordia
e
collaborazione,
il
Concordato si situa ora in una società
caratterizzata dalla libera competizione
delle idee e dalla pluralistica articolazione
delle diverse componenti sociali: esso può
e deve costituire un fattore di promozione
e di crescita, favorendo la profonda unità
di ideali e di sentimenti, per la quale tutti
gli italiani si sentono fratelli in una stessa
Patria".
Ed aggiungeva che nell’esercizio della sua
diaconia per l’uomo "la Chiesa intende
operare nel pieno rispetto dell’autonomia
dell’ordine politico e della sovranità dello
Stato. Parimenti, essa è attenta alla
salvaguardia
della
libertà
di
tutti,
condizione indispensabile alla costruzione
di un mondo degno dell’uomo, che solo
nella libertà può ricercare con pienezza la
verità e aderirvi sinceramente, trovandovi
motivo ed ispirazione per l’impegno
solidale ed unitario al bene comune".
L’Accordo, che ha contribuito largamente
alla delineazione di quella sana laicità che
denota lo Stato italiano ed il suo
ordinamento giuridico, ha evidenziato i
due principi supremi che sono chiamati a
presiedere alle relazioni fra Chiesa e
comunità politica: quello della distinzione
di ambiti e quello della collaborazione. Una
collaborazione motivata dal fatto che,
come ha insegnato il Concilio Vaticano Il,
entrambe, cioè la Chiesa e la comunità
politica, "anche se a titolo diverso, sono a
servizio della vocazione personale e
sociale delle stesse persone umane" (Cost.
9
Gaudium et spes, 76). L’esperienza
maturata negli anni di vigenza delle nuove
disposizioni pattizie ha visto, ancora una
volta, la Chiesa ed i cattolici impegnati in
vario modo a favore di quella "promozione
dell’uomo e del bene del Paese" che, nel
rispetto della reciproca indipendenza e
sovranità, costituisce principio ispiratore
ed orientante del Concordato in vigore
(art. 1). La Chiesa è consapevole non solo
del contributo che essa offre alla società
civile per il bene comune, ma anche di ciò
che riceve dalla società civile, come
affrerma il Concilio Vaticano II: "chiunque
promuove la comunità umana nel campo
della famiglia, della cultura, della vita
economica e sociale, come pure della
politica, sia nazionale che internazionale,
porta anche un non piccolo aiuto, secondo
la volontà di Dio, alla comunità ecclesiale,
nelle cose in cui essa dipende da fattori
esterni" (Cost. Gaudium et spes, 44).
Nel guardare al lungo divenire della storia,
bisogna riconoscere che la nazione italiana
ha sempre avvertito l’onere ma al tempo
stesso il singolare privilegio dato dalla
situazione peculiare per la quale è in
Italia, a Roma, la sede del successore di
Pietro e quindi il centro della cattolicità. E
la comunità nazionale ha sempre risposto
a questa consapevolezza esprimendo
vicinanza affettiva, solidarietà, aiuto alla
Sede Apostolica per la sua libertà e per
assecondare
la
realizzazione
delle
condizioni
favorevoli
all’esercizio
del
ministero spirituale nel mondo da parte
del successore di Pietro, che è Vescovo di
Roma e Primate d’Italia. Passate le
turbolenze
causate
dalla
"questione
romana", giunti all’auspicata Conciliazione,
anche lo Stato Italiano ha offerto e
continua ad offrire una collaborazione
preziosa, di cui la Santa Sede fruisce e di
cui è consapevolmente grata.
Nel presentare a Lei, Signor Presidente,
queste riflessioni, invoco di cuore sul
popolo italiano l’abbondanza dei doni
celesti, affinché sia sempre guidato dalla
luce della fede, sorgente di speranza e di
perseverante impegno per la libertà, la
giustizia e la pace.
BENEDICTUS PP. XVI
Dal Vaticano, 17 marzo 2011
Domenica 6 marzo, una dozzina di coppie
della nostra Parrocchia hanno festeggiato
l’Anniversario
del
loro
Matrimonio,
innanzitutto col partecipare alla S. Messa
delle ore 11.15, durante la quale abbiamo
rinnovato le promesse battesimali e
ringraziato il Signore del dono ricevuto.
Alla fine della Messa ci siamo affidati alla
protezione della Madonna che, come ci
ricorda il miracolo di Cana, veglia su di
noi, intercede presso Gesù e ci chiede di
fare ciò che lui vorrà.
La festa è stata preparata da quattro
incontri, nel corso dei quali, alla luce di
testi ispirati alla Sacra Scrittura e sotto
l’amabile guida di don Giuseppe, abbiamo
riflettuto
sul
significato
di
questo
Sacramento e sul compito che spetta ai
vari membri della famiglia. Abbiamo così
preso coscienza di essere chiamati a
manifestare, nel gioioso servizio reciproco,
la presenza del Signore in mezzo a noi. Ma
ci siamo anche resi conto di quanto sia
dissonante
la
visione
cristiana
di
matrimonio e famiglia rispetto alla
mentalità dominante, in particolare su
temi quali: sacralità della vita, unità (= un
uomo e una donna) e indissolubilità del
matrimonio,
verginità,
castità,
omosessualità ecc. Chiamati a procedere
controcorrente, sappiamo di non farcela
con le sole nostre forze, perché qui è in
piena azione il Diavolo, cioè il bugiardo
che, in nome di una falsa libertà, tenta di
spaccare le nostre famiglie, con gli esiti
ben noti. Su questo abbiamo bisogno
dell’aiuto del Signore (e anche della guida
del nostro pastore, a cui abbiamo chiesto
di continuare a incontrarci con il
catechismo per adulti)
Lino e Adriana Q.
10
GLI “STATI D’ANIME”
Oltre che dalle visite pastorali, preziose
informazioni sugli abitanti di Torri ci sono
offerte anche dagli “Stati d’anime” – d’ora
in poi s.d.a. - redatti dai parroci, che
annotavano i nomi di tutti i loro fedeli
distribuiti per famiglie di appartenenza,
indicando anche se abitavano dentro le
mura
oppure
nelle
contrade
della
campagna.
Il più antico s.d.a. della parrocchia di Torri
a noi pervenuto risale al 1692 ed è opera
di don Giovanni Quintarelli, parroco del
paese: in quell’anno gli abitanti erano 500
– distribuiti in 88 famiglie -, di cui 366
dentro le mura (“in castro”) e 134 nelle
contrade.
L’esigua
consistenza
demografica risentiva ancora della strage
operata dalla peste del 1630, quando i
sopravvissuti furono solo 339 dei 730
registrati solo un anno prima.
Nello s.d.a. del 1694, sempre di don
Quintarelli, i nuclei famigliari sono 80, per
un totale di 516 persone: viene segnalato
l’arrivo nel centro storico della famiglia del
notaio Antonio Maretta, vedovo con
cinque figli, di un certo Antonio Genicoli,
giovane di 28 anni, e di Carlo Millani, con
moglie e figlia.
In quello del 1698, incompleto, sempre
del Quintarelli, compare un eremita,
Alessandro Galetti, che si presume fosse
stato
al
servizio
della
chiesa
di
Sant’Antonio, perché annoverato fra gli
abitanti di Coi e dintorni. Nello s.d.a. del
1709 - redatto dal parroco don Gregorio
Milani - troviamo registrate 619 “anime”.
Alla vigilia della ricostruzione della chiesa
parrocchiale, come leggiamo nello s.d.a.
del 1710, i torresani che avessero
superato i 70 anni erano solo 8, su un
totale di 621 “anime”: Angelo Pescetta
(a.74), Tomio Marai (a.78), Margherita
vedova di Bartolomeo Fornari (a. 75),
Alessandro Galetti (a.71), Bartolomeo
Gozzer (a.74) e la moglie Caterina (a.73),
Giobatta Bardolini (a.71), Domenico
Vedovel (a.70); troviamo anche Gian
Antonio Vedovel, allora sessantatreenne,
ma che nel 1731 risulterà avere ben 85
anni, a quei tempi un’età da Guinness,
tanto da essere citato da don Sartori nel
suo opuscolo che parla dell’inaugurazione
della chiesa parrocchiale. Sempre dallo
s.d.a del 1710, veniamo a sapere che a
Torri erano presenti 55 casati, di cui 40
dentro le mura; due a Crer; tre a Sevino e
altrettanti a Loncrino di sopra e di sotto;
solo uno alla Pozza dal Molin, alle
Prandine, a Valmagra e a Coi (qui, però,
con ben otto nuclei familiari).
I casati più rappresentati erano quelli dei
Marai (con dieci famiglie), dei Novelli e dei
Pescetta (con sette famiglie ciascuno), dei
Micheletti e degli Zucchetti (con sei), oltre
che dei Galetti (con cinque famiglie), tutti
abitanti in paese; inoltre avevamo sei
famiglie di Consolini, di cui ben cinque a
Crer; dodici famiglie di Vedovelli, di cui
otto a Coi e tre a Loncrino di sopra;
quattro famiglie di Fava, di cui tre in
paese; sei di Loncrini, di cui però solo una
a Loncrino di sotto. Con quattro famiglie
ciascuno avevamo ben rappresentati anche
gli Stringa e i Fornari; con tre, i Franzoni, i
Bertelli e i Saviani; con due, i Bertera, i
Poli, i Bisani, gli Zuliani, i Cagnoni, i
Vedova e i Mazzetti, tutti in paese.
HA RICEVUTO IL BATTESIMO
Parrocchia di Pai
LETIZIA
11
I casati rappresentati da una sola
famiglia erano i seguenti: Seghetti,
Madruzzi,
Cristofori,
Carteri,
Spizochin,
Righi,
Saletti,
Belli,
Gianicoli, Schizada, Bellotti, Bellini,
Cottini, Dante, Camuzzoni, Tomaselli,
Maretta, Lenotti, Gozzer, Bardolini,
Campetti, Bonetti, Peretti, Carletti,
Martinelli e Peroni.
Passsando ad esaminare alcune di
queste famiglie,
iniziamo
con
i
Marai, giunti a
Torri nell’anno 1400: così almeno
sostiene la tradizione, perpetuata da
uno dei massimi rappresentanti di
questa
famiglia,
il
canonico
–
impropriamente spesso definito come
vescovo – Giandomenico Marai, morto
a Torri nel 1812 e autore, fra l’altro,
di un volumetto sulla vita dei santi
Benigno e Caro, di un’ “Illustrazione
del Garda”, pubblicata postuma nel
1879, e di un poemetto in versi sulla
località di San Vigilio, del 1807.
Sempre secondo la tradizione, il
primo Marai giunto a Torri, Marco,
era un mercante siriano, il quale
compare pure nella Transazione del
1452 con cui gli Originari di Garda,
Torri e Sirmione acquistarono i diritti
di pesca sulla Peschiera di san Vigilio
dai conti Becelli di Costermano.
Questa
famiglia,
una
delle
più
influenti del paese in epoca veneta
(inizi ‘700) era suddivisa in tre rami:
i Marai dal pign; i Marai da l’aj – di
cui vediamo lo stemma sulla chiave di
volta del portale di una casa in piazza
Calderini, con uno spicchio d’aglio sul
mare; i Marai da l’olm, con lo stemma
dipinto all’interno del bel palazzo
Marai-Mari. La parte più antica di
questa dimora signorile risale al ’400
e di tale epoca si è conservato il
loggiato che guarda il lago, ingentilito
da un bell’affresco del 1493 con i
santi Zeno, Antonio e Pietro martire
da
Verona;
con
l’ampliamento
settecentesco ha acquisito le forme
attuali. L’importanza di questo casato
è
testimoniata
da
alcune
tele
raffiguranti
donne
della
famiglia
Marai e attribuite al pittore veronese
Felice Boscaratti (1721-1807), autore
fra l’altro della pala con i santi
Vincenzo Ferrer e Antonio abate
(1769) nella Parrocchiale. Proprietà
dei Marai era pure la chiesetta di
Sant’Antonio (sec XV-XVII), che da
loro, con Bartolomeo e Tommaso,
venne ampliata a fatta affrescare fra
il 1660 e il 1667: uno degli affreschi
raffigura il paese di Torri come
doveva apparire nel 1660.
Nel 1692, compaiono anche dei
Maraglio,
una
italianizzazione
(Mar+aglio) della presunta forma
dialettale Mar+ai. A questo proposito
ricordiamo che sul lago d’Iseo esiste
un paese, Peschiera Maraglio, che
ricorda questo casato.
Giorgio Vedovelli
SONO TORNATI AL PADRE
Parrocchia di Torri
GIOVANNI
EMMA
BRUNO
Lo stemma dei Marai
12
CORAGGIO,
FRATELLO CHE SOFFRI
Nel Duomo vecchio di Molfetta c'è un
grande crocifisso di terracotta. L'ha
donato, qualche anno fa, uno scultore
del luogo. Il parroco, in attesa di
sistemarlo
definitivamente,
l'ha
addossato alla parete della sagrestia e vi
ha apposto un cartoncino con la scritta:
collocazione provvisoria. La scritta, che
in un primo momento avevo scambiato
come intitolazione dell'opera, mi è parsa
provvidenzialmente ispirata, al punto
che ho pregato il parroco di non
rimuovere per nessuna ragione il
crocifisso di lì, da quella parete nuda, da
quella posizione precaria, con quel
cartoncino
ingiallito.
Collocazione
provvisoria. Penso che non ci sia formula
migliore per definire la croce. La mia, la
tua croce, non solo quella di Cristo.
Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato
su una carrozzella. Animo, tu che provi i
morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu
che bevi al calice amaro dell'abbandono.
Non ti disperare, madre dolcissima, che
hai partorito un figlio focomelico. Non
imprecare,
sorella,
che
ti
vedi
distruggere giorno dopo giorno da un
male che non perdona. Asciugati le
lacrime, fratello, che sei stato pugnalato
alle spalle da coloro che ritenevi tuoi
amici. Non angosciarti, tu che per un
tracollo improvviso vedi i tuoi beni
pignorati, i tuoi progetti in frantumi, le
tue fatiche distrutte. Non tirare i remi in
barca, tu che sei stanco di lottare e hai
accumulato delusioni a non finire. Non
abbatterti, fratello povero, che non sei
calcolato da nessuno, che non sei
creduto dalla gente e che, invece del
pane, sei costretto a ingoiare bocconi di
amarezza.
Non
avvilirti,
amico
sfortunato, che nella vita hai visto
partire tanti bastimenti, e tu sei rimasto
sempre a terra.
IL CROCIFISSO PARLA A TE
Papa Montini aveva detto: il Crocifisso
parla a te, uomo che soffri, a te uomo
aggravato dalle fatiche , dagli affanni,
dalle miserie della tua vita; a te
emarginato. Da duemila anni la Croce dà
lezione di umanità e il cristianesimo non
si può capire senza la croce. Giovanni
XXIII invitava a portarla ben scolpita e
infissa nel nostro cuore. Paolo VI
l’aveva chiamata “forza della Chiesa” e
ne sottolineava il
“paradosso di
sapienza -stoltezza”. Giovanni Paolo II la
definiva “suprema cattedra della verità
di Dio e dell’uomo”. Il Crocifisso parla a
te. E’ stato edito recentemente un libro
che riferisce un’ampia antologia di scritti,
meditazioni,
preghiere
su
“questo
simbolo dell’amore, del dolore”, oltre che
dell’arte e della cristianità. L’occasione
viene data dai 150 anni del crocifisso
custodito nella Chiesa della misericordia
di Viareggio che la città toscana aveva
fatto realizzare una volta cessato il
colera del 1856 come richiamo spirituale
che riassumesse contemporaneamente i
sentimenti del dolore e della gioia, della
riconquistata speranza”. Quella croce è
stata issata il 29 giugno 2009 nello
stadio per i funerali delle vittime della
strage ferroviaria di Viareggio. Il
Crocifisso non è un
tributo che una
divinità violenta esige per essere
ripagata del torto fattogli dall’umanità,
ma è il segno di una disponibilità e di
una donazione totale.
Coraggio. La tua croce, anche se
durasse tutta la vita, è sempre
"collocazione provvisoria".
13
PARROCCHIA DI TORRI
DOMENICA DELLE PALME
VENERDÌ SANTO
17 APRILE
22 APRILE
Ore
Ore
8.30
9.45
Ore
Ore
10.00
11.00
Ore
Ore
Ore
11.15
17.00
18.00
Ore 07.00
LODI – CONFESSIONI e
ADORAZIONE EUCARISTICA
Ore 15.00 CELEBRAZIONE DELLA
PASSIONE DEL SIGNORE
Ore 16.00 – 19.00 CONFESSIONI
Ore 20.30 VIA CRUCIS COMUNITARIA
PER LE VIE DEL PAESE
S. MESSA
Benedizione delle Palme
presso il Centro Giovanile
S. MESSA delle Famiglie
Benedizione delle Palme
presso oratorio SS. Trinità
PROCESSIONE
S. MESSA SOLENNE
VESPERO
S. MESSA
SABATO SANTO
23 APRILE
Ore 07.00
LUNEDÌ, MARTEDÌ, MERCOLEDÌ
18 – 19 – 20 APRILE
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
07.00 LODI
10.00 S. MESSA
08.00 - 12.00 CONFESSIONI
15.00 - 18.00 CONFESSIONI
17.00 VESPERO
18.00 S. MESSA
LODI
VENERAZIONE ALLA CROCE
08.00 - 12.00 CONFESSIONI
15.00 - 19.00 CONFESSIONI
17.00 VESPERO
21.30 VEGLIA PASQUALE
DOMENICA DI PASQUA
24 APRILE
GIOVEDÌ SANTO
21 APRILE
Ore 07.00
S. MESSA
07.00 LODI
15.00 - 19.00 CONFESSIONI
17.00 VESPERO
20.30 MESSA IN “COENA DOMINI”
Lavanda dei piedi.
Ore 21.30 ADORAZIONE EUCARISTICA
COMUNITARIA (fino alle 24.00)
Ore 08.30
S. MESSA
Ore 10.00
S. MESSA delle Famiglie
Ore 11.15
S. MESSA SOLENNE
Ore 17.00
VESPERO SOLENNE
Ore 18.00
S. MESSA
Ore
Ore
Ore
Ore
DURANTE LA SETTIMANA SARÀ PRESENTE UN SACERDOTE PER LE CONFESSIONI
PARROCCHIA DI PAI
Ore
DOMENICA DELLE PALME
VENERDÌ SANTO
17 APRILE
22 APRILE
9.45
Ore 10.00
BENEDIZIONE DELLE PALME
PRESSO IL CAPITELLO,
PROCESSIONE E
S. MESSA SOLENNE
Ore 15.00
CELEBRAZIONE DELLA
PASSIONE DEL SIGNORE
Ore 20.30 A TORRI VIA CRUCIS
COMUNITARIA PER LE VIE DEL PAESE
LUNEDÌ, MARTEDÌ, MERCOLEDÌ
SABATO SANTO - 23 APRILE
18 – 19 – 20 APRILE
Ore
CONFESSIONI A PAI
Ore
18.00 - 19.30 / 20.30 – 21.30
Ore 21.30 VEGLIA PASQUALE
CONFESSIONI A TORRI
08.00 - 12.00 / 15.00 - 18.00
GIOVEDÌ SANTO - 21 APRILE
Ore 20.30
DOMENICA DI PASQUA - 24 APRILE
Ore 10.00
MESSA IN “COENA DOMINI”
14
S. MESSA SOLENNE
Stazione:
Stazione:
I
Piazza Chiesa
VIII
Capitello “S. Famiglia”,
Incrocio Valmagra
II
Via per Albisano, S. Giovanni
III
Rotonda località S. Antonio
IX
Loncrino – Capitello
“Madonna e Santi”
IV
Via R. Simoni
X
Prea Scritta, incrocio Via Rossini
V
Capitello “S. Antonio”,
Via Rossini
XI
Loc. Crosetta
VI
Incrocio Via Lombroso,
Via per Coi
XII
Via dall’Oca Bianca, Incrocio Bivio
XIII
Piazza Umberto
VII
Loc. Coi, Fontanella
XIV
Piazza Chiesa
15
APPUNTAMENTI SETTIMANALI APRILE 2011
OGNI DOMENICA
ore 10.00: S. MESSA DELLE FAMIGLIE
ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CANTO DEL VESPERO.
OGNI LUNEDÌ
ore 9.00-12.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CONFESSIONI.
OGNI MARTEDÌ
ore 15.00: CATECHESI SCUOLA MEDIA.
ore 15.00: CATECHISMO SCUOLA ELEMENTARE.
OGNI GIOVEDÌ
ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA.
OGNI VENERDÌ
ore 20.30: INCONTRO GRUPPO ADOLESCENTI.
OGNI SABATO
ore 15.00 - 18.00: TEMPO PER LE CONFESSIONI
CALENDARIO APRILE 2011
OGNI MERCOLEDÌ DI
QUARESIMA
ore 19.45 STAZIONE QUARESIMALE “LA PENITENZIALE” – SS. Trinità
ore 20.00 S. MESSA – Chiesa Parrocchiale
OGNI VENERDÌ DI
QUARESIMA
ore 15.00 VIA CRUCIS
MERCOLEDÌ
13
ore 21.00 INCONTRO DI PREGHIERA IN ONORE DI S. ANTONIO
DOMENICA
17
DOMENICA DELLE PALME
DOMENICA
24
PASQUA DI RISURREZIONE
LUNEDÌ
25
LUNEDÌ DELL’ANGELO
SANTE MESSE ORE 10.00 – 18.00
PER LE CELEBRAZIONI DELLA SETTIMANA SANTA CONSULTARE IL PIEGHEVOLE
DISPONIBILE IN CHIESA DA DOMENICA 17 APRILE
PARROCCHIA DI TORRI
ORARIO FESTIVO
Sabato
ore
ore
17.00 Vespero
18.00 S. Messa
Domenica
ore
ore
ore
ore
ore
8.30
10.00
11.15
17.00
18.00
S. Messa
S. Messa
S. Messa
Vespero
S. Messa
PARROCCHIA DI PAI
ORARIO FESTIVO
Sabato
ore 19.30
Domenica ore 10.00
LUNEDÌ 25 APRILE
SAN MARCO EVANGELISTA
FESTA PATRONALE A PAI
ORARIO FERIALE
ore
ore
ore
7.00 Lodi
17.00 Vespero
18.00 S. Messa
ore 10.00 S. MESSA SOLENNE,
PROCESSIONE E BENEDIZIONE
DI AUTO E MOTO.
Bollettino di informazione Parrocchiale stampato in proprio
La Redazione: Don Giuseppe Cacciatori – Daniela Pippa – Addea Cestari - Anna Menapace - Nuccia Renda – Rosanna Zanolli William Baghini. Collaborazione fotografica: Mario Girardi /Impaginato da: Francesco Greco / Stampato da: Roberto Borghi
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Aprile 2011 - parrocchia di torri del benaco