PALLOTTINE MISSIONARY FORMATION – 12 - 20 May 2009
LA MISSIONARIETÀ
IN S. VINCENZO PALLOTTI1
Nella fondazione Pallottiana dell’Unione dell’Apostolato Cattolico, e tra le sue comunità di fondazione - la Società dell’Apostolato Cattolico, le Suore dell’Apostolato Cattolico e le Suore Missionarie dell’Apostolato Cattolico - la missionarietà quale significato e ruolo occupa?
1. IL RETROTERRA MISSIONARIO DI S. VINCENZO
Il Pallotti è figlio di un’epoca, l’Ottocento, che nonostante le correnti illuministiche rivoluzionarie e massoniche, anticlericali ed antipapali, ha operato anche un vero risveglio missionario dei cattolici. Esso, sin dall’inizio del secolo, è dovuto ad avvenimenti importanti; innanzi tutto la ripresa nel 1801 dell’attività della Congregazione di
Propaganda Fide, soppressa da Napoleone tre anni prima. Negli anni successivi
questo Dicastero papale ebbe la fortuna di avere come prefetti e segretari persone
carismatiche e di vasti orizzonti, tra cui il card. camaldolese Mauro Cappellari, divenuto poi Papa con il nome di Gregorio XVI. Il loro merito è quello di aver elaborato
piani per la riorganizzazione delle missioni che prevedevano, tra l’altro, le nomine di
vescovi e la costituzione di gerarchie locali, la fondazione di seminari e di collegi
missionari e la raccolta dei fondi da distribuire alle missioni.
Un forte risveglio lo diede naturalmente papa Gregorio XVI perché nessun altro conosceva meglio il mondo missionario, i suoi problemi e i suoi bisogni. Non c’è dunque da meravigliarsi che, sotto la sua ispirazione, le missioni abbiano conosciuto una
rinascita. Egli stesso incoraggiò e inviò missionari verso le terre che avevano più bisogno di «operai della messe» sia in paesi vicini a Roma, come Albania, Grecia,
Turchia ed Egitto, sia in quelli più lontani, come Indie, Madagascar, Giamaica, Argentina, Uruguay e Australia.
L’interesse del Papa verso le missioni rinvigorì anche la coscienza missionaria della
vecchia Europa, in cui furono fondate numerose Congregazioni religiose maschili e
femminili, alcune con scopo esplicitamente, ed anche esclusivamente, missionario,
come i Missionari del Sacro Cuore, gli Oblati di Maria Immacolata, i Padri Maristi, i
Padri Bianchi. Nel periodo dal 1831 al 1846 furono istituite ben 114 congregazioni
religiose, di cui 18 maschili e 96 femminili2, tra cui anche nel 1835 la Pia Unione
dell’Apostolato Cattolico. Nei paesi senza libertà religiosa il programma missionario
di Gregorio XVI si concretò con la fondazione di istituzioni culturali e caritative, in cui
si distinsero per primi i Lazzaristi e i Gesuiti.
In quel periodo scesero in campo missionario in maniera più consistente anche le
Congregazioni religiose femminili; tra queste soprattutto nel 1806 quella di San Giuseppe di Cluny.
Lo spirito missionario fu inoltre nutrito da una letteratura missionaria sempre più abbondante e dalle notizie dei grandi missionari-esploratori di Africa, come François
Liberman (1802-1852), Guglielmo Massaia (1809-1889), Charles Lavigerie (18251892), S. Daniele Comboni (1831-1881) ed altri, che hanno aperto la strada a nuove
terre da evangelizzare.
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Su questo tema cfr. P. T. Wojda SAC: ‘Il progetto di Dio sulla missione della Chiesa secondo S. Vincenzo Pallotti’ in «Apostolato Universale», rivista dell’Istituto S. Vincenzo Pallotti, Roma, anno IV, n.7, 135‐152. Domenico Federici, Gregorio XVI, tra favola e realtà, Istituto Pagano di Arti grafiche: Rovigo 1948, p. 214‐217; cfr. anche Francesco Moccia SAC, San Vincenzo Pallotti e le Missioni estere, appunti sul tema, in Acta SAC X (1980‐1983), p. 157. -1-
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L’Ottocento è il tempo anche dei laici, che si mettono in moto per sostenere in vari
modi l’opera missionaria. Tra le tante iniziative ricordiamo l’Opera della Propagazione della Fede, che nasce nel 1822 a Lione in Francia, e le Missionsvereine dei paesi
di lingua e cultura tedesca. Ad esse si ispirerà anche il Pallotti, quando negli anni
Trenta fonda la Società dell’Apostolato Cattolico.
Due componenti formative missionarie, a cui lo Spirito di Dio sottopose don Vincenzo, sono state l’amicizia con Tommaso Alkusci, professore di lingue orientali nel Collegio Urbano di Propaganda Fide, e l’ambiente intensamente missionario dello stesso Collegio.
L’Alkusci scriveva libri e opuscoli da diffondere e insegnava lingue ai futuri missionari, e la sua figura rimase così scolpita nella mente di don Vincenzo da divenire il prototipo dell’apostolo laico. Alla prima sezione, o classe, dell’Unione dell’Apostolato
Cattolico, quella degli Operai, appartenevano, secondo gli statuti compilati dal Pallotti, i sacerdoti occupati nel ministero sacro, ma anche «...quei cristiani secolari, zelanti, capaci di concorrere all’azione spirituale ed allo scopo della Pia Associazione colla
compilazione di stampe utili alla religione e alla pietà e coll’insegnamento delle lingue
straniere a coloro che si formano e si istruiscono per le missioni lontane»3, esattamente quanto faceva l’amico Tommaso Alkusci. E forse a questa sua presenza si
deve la menzione del Pallotti degli eretici e degli scismatici tra i primi destinatari
dell’attività dell’Apostolato Cattolico.
Al tempo di don Vincenzo non solo le missioni presso i non cristiani ma anche le
comunità cattoliche esistenti in paesi a maggioranza ortodossa e protestante, come
per esempio il Regno Unito e gli Stati Uniti d’America, dipendevano dalla Congregazione di Propaganda Fide. Nel Collegio di Propaganda Fide il Pallotti, di cui fu direttore spirituale ufficialmente dal settembre 1835 fino al 18404 con un ritorno ancora nel
1848 dopo l’espulsione dei Gesuiti da Roma5, entrò in contatto con il mondo missionario: un insieme di diverse razze, colori e lingue. L’apprezzò e respirò l’aria di unità
e di universalità della Chiesa. Qui venne a conoscenza delle sconfinate terre missionarie e dei loro grandi bisogni, di fronte ai quali non rimase indifferente, ma subito
intraprese azioni di aiuto. Il Pallotti ebbe quindi continue occasioni di compenetrarsi
gradualmente con la mentalità, la spiritualità e le difficoltà delle piccole comunità cattoliche, sparse nelle varie regioni del mondo, consolidò ulteriormente lo spirito missionario e poté allargare gli orizzonti del suo zelo apostolico sino a volerlo universale.
2. I FRUTTI MISSIONARI DI DON VINCENZO
Grande è stato in don Vincenzo il desiderio di adoperarsi per propagare la fede e
riaccendere la carità dentro e al di fuori dello Stato Pontificio. I veri motivi di questo
suo impegno sono, però, ben più profondi. Li possiamo dividere in due gruppi: esterni
e interni.
Uno dei primi frutti missionari di don Vincenzo, profetico perché avvenuto all’inizio di
una nuova presenza cattolica in Medio Oriente, fu l’Appello ai Buoni Cattolici, sottoscritto il 4 dicembre 1833, festività di S. Francesco Saverio, uno dei grandi modelli
missionari per gli allievi del seminario di Propaganda Fide. Egli lo rivolse a tutti i cattolici in favore di una sparuta comunità cattolica caldea di Salmas nell’Azerbaigian,
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OOCC IV, 145‐146. Cfr. OCL III, p. 283. È opportuno sottolineare che, lasciando la direzione spirituale ai Padri Gesuiti, ai quali nel 1840 ne era stata affidata la direzione, il Pallotti scrisse: « (...) non avendo ritirato giammai i dodici scudi mensili nel corso di tutti gli anni che fui nell’ufficio di confessore indegnissimo nel Ven. Collegio Urbano, dico, dichiaro di averli lasciati a profitto delle SS. Missioni della V.[enerabile] Congregazione di Propaganda Fide». Cfr. Martina G., Pio IX (1846‐1850), Università Gregoriana Editrice, Roma 1974, Miscellanea Historiae Pontificiae, vol. 38, 221 ss. -2-
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oggi alla frontiera iraniana con la Turchia, che voleva essere aiutata nella costruzione
di una chiesa e di una scuola. La Congregazione di Propaganda Fide si era dichiarata impossibilitata a finanziarne i progetti6.
3. ALL’ORIGINE DELL’UNIONE DELL’APOSTOLATO CATTOLICO
UN’ASSOCIAZIONE MISSIONARIA
Don Vincenzo ha lasciato due storie diverse sull’origine dell’Unione. La prima la si
può chiamare esterna, ufficiale e, in un certo senso giuridica, ossia si limita alla successione degli eventi; la seconda potremmo chiamarla spirituale o carismatica. Ambedue hanno elementi comuni ma tra loro cambiano il rapporto e il tempo.
3.1. La prima storia
La prima storia è quella seguita da quasi tutti i biografi:
- 9 gennaio 1835: dopo la celebrazione della Messa durante l’Ottava dell’Epifania,
don Vincenzo riceve l’ispirazione dell’Unione dell’Apostolato Cattolico ma la tiene
segreta;
- alcuni suoi collaboratori nel gennaio del 1835 decidono la stampa delle Massime
Eterne in arabo da inviare in Oriente e consultano la tipografia di Propaganda Fide
sul costo;
- Giacomo Salvati raccoglie inaspettatamente una somma rilevante (400 scudi), e
tutto questo sarebbe avvenuto prima della fine del marzo 1835;
- i collaboratori suggeriscono di creare un gruppo responsabile della gestione delle
elemosine raccolte;
- don Vincenzo allora istituisce l’Unione dell’Apostolato Cattolico sulle linee
dell’ispirazione del 9 gennaio 1835;
- seguono le approvazioni, prima quelle Diocesane del 4 aprile 1835 e del 29 maggio
1835 e poi quella Pontificia dell’11 luglio 18357.
In questa storia tutto, o quasi, sarebbe quindi accaduto dopo la celebre illuminazione
Pallottiana del 9 gennaio 1935.
3.2. La seconda storia
La seconda storia, quella più spirituale o carismatica, è in un testo del settembre
1840, Nella mia morte...8, posteriore di quasi sei anni ai fatti ma sconosciuto per molto tempo. In esso don Vincenzo dichiara ai suoi confratelli che l’inizio dell’Unione
dell’Apostolato Cattolico risalirebbe all’anno 1834: «Il N. S. G. Cristo... si è degnato di
farmi appartenere dal suo principio alla pia Società dell’Apostolato Cattolico...Nell’anno 1834 privatamente, al principio fra pochi: quindi nel 1835 fu approvata
con Rescritto prima dell’Eminentissimo Sig. Cardinale Vicario».
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Cfr. OCL I, 413‐ 415. In questo Appello conviene sottolineare due aspetti. Il primo è che lo indirizzò a «…quanti sono nel mondo i buoni cattolici», ossia a tutti membri della Chiesa senza distinzioni, e che richiamò loro la devozione all’Immacolata Madre di Dio, poiché si trattava di sostenere quanti avevano abbandonato l’eresia Nestoriana: «Si spe‐
ra che specialmente i divoti dell’Immacolata Madre di Dio s’impegneranno con zelo instancabile a procurare sollecita‐
mente copiosissimi mezzi». Per la prima volta don Vincenzo si rivolgeva a tutti i cattolici per chiedere loro di contribui‐
re alla propagazione della loro fede e mise questa sua prima iniziativa a carattere universale sotto la protezione della Madonna. L’episodio si può ritenere il primo seme dell’Unione dell’Apostolato Cattolico. Cfr. OOCC III, 1‐2. Don Vincenzo attribuisce ad alcune persone comunitariamente ‐ i suoi collaboratori ‐ la decisione di fondare una Pia Unione dell’Apostolato Cattolico. Qualcuno ritiene che l’idea di fondare una Pia Unione per la raccolta e la gestione di elemosine per le missioni sarebbe opera solo di don Vincenzo e che egli l’attribuisca invece per umiltà ad un gruppo; per altri il gruppo sarebbe una realtà storica. OOCC III, 23‐24; OCL VII, 225‐232. -3-
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L’Unione, che in questo testo successivo all’approvazione e alla soppressione da
parte del Papa, egli chiama pia Società dell’Apostolato Cattolico, sarebbe esistita
quindi come gruppo privato nel 1834 e approvata solo nel 1835. Se fosse certo, la
questua del Salvati e le conversazioni sulla convenienza di creare un gruppo responsabile della raccolta e della gestione dei fondi per l’aiuto alle missioni avrebbero avuto luogo nel 1834. Il 9 gennaio 1835 poi sarebbe venuta l’ispirazione divina per illuminare e muovere don Vincenzo a fondare un’associazione di Apostolato Cattolico,
ossia universale. Egli lo fece, estendendo gli scopi dell’ispirazione, a poco a poco in
successivi testi, all’associazione missionaria creata da poco, che li accettò.
Nella seconda storia, la successione degli eventi sarebbe quindi stata la seguente:
- collaboratori di don Vincenzo che nel 1834 si propongono di aiutare le missioni con
la stampa delle Massime Eterne in arabo da inviare in Oriente, consultano la tipografia di Propaganda Fide sul costo e il Salvati effettua la questua;
- convenienza di creare ufficialmente un gruppo responsabile delle offerte raccolte
per le missioni;
- 9 gennaio 1835: ispirazione divina a don Vincenzo di fondare un’associazione di
Apostolato Cattolico od universale;
- comunicazione ed accettazione da parte del gruppo;
- approvazioni, prima quelle Diocesane del 4 aprile 1835 e del 29 maggio 1835 e poi
quella Pontificia dell’11 luglio 1835.
Le differenze fondamentali tra la prima e la seconda storia sono i tempi e il ruolo
dell’ispirazione. Nella prima storia l’ispirazione precede ed è la radice dell’intera fondazione; nella seconda ne è la qualifica, la «forma» spirituale ed ecclesiale su una
realtà umana preesistente. Oggi si è propensi a ritenere più probabile la seconda
cronologia, non solo perché l’ha data don Vincenzo stesso ma anche perché lascia
maggiore tempo e spazio alle idee, alle proposte e alla loro attuazione, mentre nella
prima gli eventi sembrano succedersi troppo rapidamente.
La nuova associazione, probabilmente all’inizio senza nome, si era prefissa di raccogliere elemosine non solo per le missioni ma anche per la formazione dei futuri missionari tra i non cristiani, gli eretici e gli scismatici9, coincidendo probabilmente nel
suo primo sbocciare con le varie iniziative missionarie di allora in Europa, quali la
Propagazione della Fede di Lione e di Parigi e i Missionsvereine dei paesi di lingua
tedesca. È anche possibile che l’idea nascesse dalle conversazioni di un gruppo e
che a suggerirla fosse l’Alkusci o l’Alkusci e il Melia insieme. In definitiva non si faceva che estendere alle missioni in generale l’Appello ai Buoni Cattolici del Pallotti in
favore della Chiesa caldea. Così sarebbe nato il progetto di stampare le Massime
Eterne in arabo e di spedirle in Medio Oriente. Si consultò la tipografia di Propaganda sul costo, il Salvati raccolse inaspettatamente i 400 scudi e, per evitare sospetti, il
gruppo non ne lasciò la gestione ad una persona sola ma si costituì ufficialmente.
Intanto don Vincenzo il 9 gennaio 1835 aveva ricevuto l’ispirazione ma la teneva
probabilmente segreta, attendendo un segno di Dio per rivelarla e metterla in esecuzione. La riferì verso la fine di marzo 1835 e il gruppo si convertì dal raccogliere elemosine per le missioni e i seminari missionari in Unione dell’Apostolato Cattolico. In
questa seconda ipotesi, l’idea di don Vincenzo di attribuirla non a sé ma ad un gruppo sarebbe ispirata non dall’umiltà ma sarebbe verità storica.
Questa origine esclusivamente missionaria dell’Unione ne influenzò lo sviluppo ini-
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OOCC IV, 314‐315: «In principio fu ideata la Pia Società per procurare la moltiplicazione dei mezzi Spirituali, e Temporali necessari, e opportuni alla propagazione della S. Fede». -4-
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ziale10, poi il Pallotti, lentamente, ne estese il campo d’azione a tutta la Chiesa11.
In ambedue le cronologie è chiaro che l’inizio dell’Unione dell’Apostolato Cattolico è
stata la missionarietà: propagare la fede cattolica e consacrarsi anche a ravvivarla e
a riaccendere la carità tra i cattolici.
4. LE CARATTERISTICHE DELLA MISSIONARIETÀ NELLA FONDAZIONE PALLOTTINA12
4.1. Premesse
All’epoca del Pallotti non esisteva ancora una teologia sistematica o missiologia e
neppure lui l’ha elaborata. Dai suoi molteplici scritti13 emergono numerose indicazioni, con le quali si potrebbe svilupparne una con caratteristiche di quella cattolica contemporanea, nata all’Università tedesca di Münster quasi un secolo dopo.
Inoltre le idee di don Vincenzo prendono forma sempre più concreta con il passare
degli anni e in relazione con lo sviluppo della sua opera principale, l’Unione
dell’Apostolato Cattolico14. I frutti, poi, sono numerosi e vanno dagli ampissimi contatti e dai molteplici aiuti concreti ai missionari e alle missioni alla fondazione in Roma
nel 1836 del Collegio per le Missioni Estere.
Alcune idee valide del Pallotti sono rimaste purtroppo incompiute, non perché gli
mancasse la volontà ma per aver incontrato sul suo cammino molte difficoltà esterne,
tra cui una visione inadeguata di Chiesa e echi anticlericali, laicisti e rivoluzionari
presenti anche nello Stato Pontificio, originati dall’illuminismo e alimentati dalla massoneria. S.Vincenzo però ha continuato a portare avanti le sue opere fino all’anno
1849, quando anch’egli è stato costretto ad uscire, per qualche tempo, dalla scena
romana e a nascondersi nel Collegio Irlandese perché la sua vita era in pericolo.
4.2. Le motivazioni interiori della sua missionarietà e l’ispirazione
del 9 gennaio 183515
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Nella notizia informativa sull’Apostolato Cattolico, scritta poco dopo l’approvazione di Gregorio XVI, si dice che «la Pia Unione ha per istituto [=scopo] primario la propagazione delle fede», per cui quello suo principalissimo è la promozione dei collegi per la formazione dei futuri missionari, cfr. OOCC IV, 198‐199. 11
Nell’Appello a chiunque ha zelo, maggio 1835, già si parla non solo di elemosine ma del contributo del ministero eccle‐
siastico e delle attività personali, cfr. OOCC IV, 124 n. 7; Negli Statuti, composti qualche mese dopo sempre nel 1835, coloro che contribuivano con il ministero e con l’opera personale passarono a formare la prima e principale sezione dell’Unione dell’Apostolato Cattolico, cfr. OOCC IV, 145; più tardi, nella Notizia del 1836, don Vincenzo sottolineò che la sua Unione, distinguendola dalle iniziative francesi e tedesche, si prefiggeva anche di risvegliare e conservare la fede e di sostenere le opere pie nella Chiesa con la maggiore ampiezza possibile di mezzi, includendo «…tutte le opere della carità cristiana»; OOCC IV, 259‐260: «…fu veduto che per ottenere più compitamente la moltiplicazione dei mezzi pe’ la propagazione della S. Fede, era necessario ravvivarla fra i cattolici e riaccendere fra essi la carità». Si erano così asso‐
ciati nella Pia Unione lo scopo dell’Opera della Propagazione della Fede e dei Missionsvereine con quello dei seminari per le missioni estere di Propaganda Fide a Roma, a Lione e Parigi. 11
Cfr. per questo paragrafo: P. T. Wojda SAC: ‘Il progetto di Dio sulla missione della Chiesa secondo S. Vincenzo Pallotti’, cit. 13
Cfr. San Vincenzo Pallotti, Opere complete, a cura di Francesco Moccia SAC, voll. I‐XIII, Curia Generalizia della Società dell’Apostolato Cattolico: Roma 1964‐1997 (= OOCC) e cfr. San Vincenzo Pallotti, Lettere, a cura di Bruno Bayer SAC, voll. I‐VII, Curia Generalizia della Società dell’Apostolato Cattolico: Roma 1995‐2007 (= OCL). L’ultimo volume delle Let‐
tere, l’VIII, è in fase di pubblicazione. 14
Cfr. OOCC I, 4, nota n. 2. 15 Cfr. OOCC X, 196‐201. Lo scritto dell’ispirazione, secondo l’abitudine di don Vincenzo, comincia col ricordo del proprio peccato, seguito dal desiderio di essere umiliato e vilipeso come, secondo lui, avrebbe meritato. L’introduzione termi‐
na con un’offerta di se stesso:«...che a forza di patimenti... senza fine vi degniate di darmi tutto per distruggere ogni -5-
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Sin dalla più tenera età, il Pallotti dimostrò di essere proteso con tutto se stesso verso la perfezione infinita di Dio e ciò diventò il suo desiderio più profondo16, che rimarrà per sempre nella sua anima, indirizzandolo verso tutte le realtà che lo circondavano, ma anche verso quegli obiettivi che si raggiungono solo con la vera carità, la cui
fonte è Dio stesso.
Il suo desiderio di perfezione si è tramutato successivamente nell’aspirazione a cambiare la realtà, riformando il mondo secondo la fede di Cristo e vivificandolo nel Suo
amore, per portarlo, insieme tutta l’umanità, ad essere, dirà poi «…un solo gregge
sotto un unico Pastore». Questo desiderio/programma diventò l’oggetto delle sue
meditazioni e delle contemplazioni sempre più profonde, su cui il 9 gennaio 1835
scese l’ispirazione di Dio, dalla quale egli trasse indicazioni concrete per la sua vita
spirituale, la sua attività apostolica e la sua missionarietà.
Il tratto che colpisce di più e trabocca nel contenuto dell’esperienza del 9 gennaio è
proprio l’universalità degli orizzonti, ossia universalità del contesto, degli agenti apostolici e dei mezzi, che potremmo sintetizzare così: per la gloria di Dio e la salvezza
delle anime tutti, con tutti uniti nella carità, con tutti i mezzi, sempre e dappertutto.
* Universalità del contesto: il campo di lavoro è il mondo intero, in cui la missionarietà
«ad gentes» precede per importanza e finalità l’apostolato occulto tra i cattolici, ma
non ne è separata. Nell’organizzazione concreta - le Procure e la Congregazione
della Società dell’Apostolato Cattolico - l’ordine è invertito; l’apostolato tra i cattolici è
lo strumento per la realizzazione delle missioni «ad gentes».
* Universalità degli agenti apostolici: ossia «tolto qualsiasi muro» tra clero secolare e
religioso; clero, religiosi e laici, uomini e donne, ricchi e poveri, intellettuali ed artigiani tutti insieme, impegnati a moltiplicare e coordinare le iniziative apostoliche. Il Pallotti non voleva che alcuno restasse fuori. L’Apostolato Cattolico, ideato dal Pallotti, si
propose e si propone di coinvolgere tutti i cristiani, perché apostolato per lui è ogni
attività che scaturisce dalla fede e dall’amore17. In parole odierne, tutti erano invitati a
comporre «una Chiesa di comunione nella carità», vivendo secondo il proprio carisma e conservando ognuno il suo ministero.
* Universalità dei mezzi: promuovere tutte le opere di carità, materiale e spirituale.
Quanto poi ai mezzi per la propagazione della santa fede e per procurare la salvezza
delle anime, la quantità e la qualità dipendono dall’ardore di amore che l’apostolo ha
nel suo cuore18.
peccato ed ogni altro male esistente o che sarebbe per esistere, e promuovere ogni bene possibile in tutto il Mondo adesso e sempre». Già in questa espressione finale don Vincenzo si muove già entro un orizzonte universale. Poi il te‐
sto continua così: «Dio mio, misericordia mia, voi nella vostra infinita misericordia mi concedete in modo particolare di promuovere, stabilire, propagare, perfezionare, perpetuare almeno col più vivo desiderio nel vostro Santissimo Cuore: 1. Una pia istituzione di un apostolato universale in tutti i cattolici per propagare la fede e la religione di Gesù Cristo presso tutti gli infedeli, non cattolici, 2. altro apostolato occulto per ravvivare, conservare e accrescere la fede tra i cat‐
tolici, 3. una istituzione di carità universale nell’esercizio di tutte le opere di misericordia spirituale e corporale, affin‐
ché nel modo possibile Voi siate conosciuto nell’uomo, giacché voi siete carità infinita». Il racconto continua e termina con una seconda dichiarazione di colpevolezza: il tutto non era accaduto prima perché Vincenzo aveva frapposto l’impedimento dei suoi peccati. Adesso invece Dio aveva deciso di trionfare sulla mancanza di disposizioni del suo ser‐
vo.
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Come esempio, OOCC X, 202: «Dio mio, intendo ad ogni momento infinitesimo e immagino e per quanto è possibile da tutta la Eternità, infinitamente moltiplicata infinite volte di essere sempre pronto ad ascoltare la vostra voce e le vostre ispirazioni e le vostre chiamate». 17
Secondo il Pallotti l’apostolato «…deve ispirare in ognuno di qualunque stato, grado, condizione un’ardente brama, di fare quanto è in suo potere per promuovere tutto ciò che concorre a promuovere la maggiore gloria di Dio nella sal‐
vezza delle Anime, giacché questo è il vero Apostolato Cattolico (...). [Il nome di Apostolo] non conviene se non a colo‐
ro che in grado eroico hanno eseguito il precetto della carità in promuovere in ogni modo possibile la maggior gloria di Dio e la salute delle anime», OOCC III, 135‐136. 18
Numerosi sono quelli che il Pallotti enumera: «…Nobiltà, Talenti, Scienza, Studi, Arte, Danari, anche un Rosario, un Abitino, una Immagine di Gesù Crocifisso, di Maria SS., o dei Santi, un Piccolo Libro, etc., e specialmente la buona vo‐
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4.3. Il linguaggio missionario del Pallotti
La terminologia missionaria degli scritti del Pallotti si deve considerare nel contesto
del tempo, tenendo anche conto della notevole differenza tra i suoi primi anni di sacerdozio e quelli da fondatore e promotore dell’Apostolato Cattolico.
Il termine «missione» o «missioni» viene precisato da lui stesso.
Quando parla semplicemente della o delle «missioni», delle «missioni cattoliche» o
delle «missioni nelle parti cattoliche», si riferisce semplicemente alle missioni_popolari, cioè a quelle svolte nelle parrocchie o nelle comunità cattoliche con lo
scopo di ravvivare la fede e la vita cristiana. Queste furono fra le sue attività più importanti.
Quando, invece, parla di missioni vere e proprie, di quelle «ad gentes», usa le espressioni: «missioni estere», «missioni fra gli Infedeli», «missioni nelle parti degli
Infedeli» o «missioni tra gli Eretici». Per il Pallotti le terre missionarie erano ovunque;
non solo là dove non c’erano cattolici, ma anche dove erano pochi19. Pertanto terre
missionarie non erano solo le zone dell’Africa, dell’Asia e dell’Oriente ma anche
dell’Europa, come, ad esempio, l’Inghilterra, dove bisognava sostenere i cattolici perché non perdessero la loro fede a contatto con gli anglicani.
Le espressioni come «infedeli» o «eretici» oggi suonano piuttosto strane e potrebbero ritenersi dispregiative nei confronti delle persone o dei popoli che ancora non credono in Dio e in Gesù Cristo. Si tenga però presente che nell’Ottocento
l’ecumenismo era ancora del tutto sconosciuto. In Pallotti queste espressioni sono
tutt’altro che negative perché comuni nel linguaggio dell’epoca, tanto che, quando
egli usa «infedele», «eretico», «scismatici» o «peccatori» per distinguere cattolici e
non cattolici, le scrive addirittura in maiuscolo. Insomma il Pallotti è ben lontano dal
disprezzare i non credenti, perché è cosciente che ogni uomo è una creatura divina
per cui Gesù Cristo ha sofferto sulla croce e ha effuso per lui il suo sangue per dare
a tutti la possibilità di salvarsi20.
Il vocabolario missionario Pallottino contiene molte altre espressioni di ricco contenuto evangelico e spirituale. Egli parla spesso di propagazione o diffusione della fede in
tutto il mondo e dell’invio di Gesù Cristo come Apostolo del Padre, da cui si origina
anche il nostro invio. Le missioni hanno per lui anche il significato di salvezza delle
anime, impegno apostolico comune per un solo ovile e un solo Pastore, apostolato
cattolico o universale, e quindi sono da promuovere in tutto il mondo, cioè tra quelli
che ancora non credono e tra i cattolici.
Da sottolineare ancora che nel Pallotti la missione è strettamente legata
all’apostolato. A volte si ha l’impressione che queste due realtà si sovrappongano:
«Ogni Missione della vera Chiesa di Gesù Cristo è cattolica (...) come ogni vero Cristiano dicesi ed è cattolico a preferenza di ogni falso cristiano che non è cattolico,
perciò ogni Missione della vera Chiesa di Gesù Cristo dicesi Apostolato Cattolico»21.
In questo testo il Pallotti chiaramente afferma che apostolato significa missione.
4.4. La missionarietà Pallottina radicata in Gesù Cristo, Apostolo del Padre
lontà, che quando si trova senza i mezzi temporali si apprende agli interni del cuore, che umile e affettuoso lo rivolge all’Onnipotente, Cui è possibile ciò che è impossibile all’Uomo», cfr. OOCC IV, 183 ed anche OOCC III, 147‐148. 19
Cfr. OOCC V, 128. 20 Credo giusta in proposito l’osservazione del cardinale Pellegrinetti, il quale afferma che negli scritti del Pallotti «…si parla in genere d’increduli, di peccatori, di eretici e di pagani ma senza mai additare un individuo» perché «…nell’errante d’oggi egli vedeva già il fratello di domani»6. 21
OOCC III, 183. -7-
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È l’amore per tutti gli uomini che spinge il Padre celeste ad inviare il figlio Gesù Cristo a redimere l’umanità. Gesù dunque non è venuto sulla terra per realizzare un suo
progetto, ma, come egli stesso più volte ha affermato, per fare la volontà del Padre
suo, che il Pallotti non esita a chiamare Apostolato e quindi Gesù Apostolo.
4.5. L’Apostolato di Gesù Cristo
L’apostolato di Gesù, secondo il Pallotti, consiste:
- nella riparazione della gloria oltraggiata del nome di Dio;
- nella redenzione di tutta l’umanità che si trova in una condizione di peccato e, quindi, di perdizione;
- nella costituzione di «un solo ovile sotto un solo Pastore»22, che è la pienezza.
Questi fini si intrecciano e ritornano molte volte nelle pagine dei suoi scritti
4.6. L’apostolato di Gesù prosegue con gli apostoli
Per continuare la sua missione Gesù ha scelto i discepoli, chiamandoli Apostoli, cioè
«inviati», perché anch’essi si adoperassero per rendere maggiore la gloria di Dio e
per la salute eterna delle anime, secondo il Suo comandamento. S. Vincenzo chiama
anche questa loro attività apostolato23.
4.7. Il titolo di «apostolo» non è solo per i sacerdoti ma anche per i fedeli
cristiani
Per giustificare che il titolo di apostolo compete anche ai fedeli, egli riferendosi a due
testi biblici - At 1,24-25 e Lc 6, 13 - distingue l’apostolato, la giurisdizione ecclesiastica e il sacro ministero24. «Apostolo» lo ritiene un nome dato da Gesù ai discepoli in
vista delle opere evangeliche che avrebbero dovuto compiere in nome Suo. Il ministero con le facoltà e la giurisdizione, invece, Gesù li conferirà loro successivamente,
alcune addirittura dopo la Sua risurrezione.
4.8. Maria, Regina degli Apostoli
Questo titolo a Maria Le non è tanto di onore ma perché Ella, senza ministero, potestà e giurisdizione ecclesiastica, ha contribuito, per quanto poteva nella sua condizione, alla propagazione della santa fede ed alla dilatazione del Regno di Gesù Cristo25.
4.9. Ogni battezzato un apostolo
Per il Pallotti, perciò, ognuno che si adopera quanto può per la propagazione della
santa fede, può meritare il nome di apostolo e quello che egli fa per tal fine è il suo
apostolato26, e dove non è possibile l’impegno attivo, lo è sempre la preghiera.
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23
Ivi, 139. Cfr. ivi, 139‐140. Cfr. ivi, 141. Cfr. OOCC III, p.141. Ivi, 145: «Dunque si consoli ogni Cattolico che vive nella Chiesa di Gesù Cristo; poiché o sia Sacerdote o sia Laico, se coi suoi talenti, potenze, relazioni, professione, parole, sostanze e beni terreni, e se non altro almeno colle sue Orazioni farà quanto può perché la Fede di Gesù Cristo sia propagata in tutto il Mondo, acquisterà il merito dell’Apostolato, e tanto maggiore quanto più si impiegherà per tal fine. -8-
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4.10. Le motivazioni per l’impegno apostolico:
L’impegno apostolico è richiesto:
- innanzitutto dalla gratitudine27, ossia rispondere al dono gratuito della salvezza
con l’amore verso il suo Autore e amandoLo nel prossimo;
- dall’imitazione dell’amore di Gesù Cristo verso l’umanità, ossia cooperare con Lui
in tutto e sempre alla maggior gloria di Dio e alla salvezza delle anime; la sua
«sete» sul Calvario (Gv 19,28) era soprattutto sete di salvezza delle anime28;
- dal PRECETTO DELLA CARITÀ
L’essere umano è immagine della Carità per essenza, afferma il Pallotti, ossia Dio ha
ritenuto opportuno dargli la Sua somiglianza, rendendolo la creatura più perfetta mai
uscita dalla sua mano; ha voluto avere una creatura a cui comunicare tutto il suo
amore. Dio l’ha chiamato a partecipare alla Sua carità. Per essere poi la vera immagine bisogna anzitutto stare in Dio e nel suo amore, come dice l’apostolo Giovanni29.
«Se, dunque, l’uomo vuole stare in Dio - riflette il Pallotti - e brama che Iddio stia in
lui, deve stare nella carità, ossia deve vivere nell’esercizio della carità»30. L’essere
umano si realizza perciò solo nell’amore a misura di Dio, non solo conservando e
ordinando alla Sua maggior gloria se stesso ma salvando anche il suo prossimo secondo le sue possibilità, condizione, stato, talenti, dottrina, beni terreni ed ogni dono
di natura e di grazia, da Lui ricevuti 31. Amare equivale assicurare o procurare la salvezza a se stessi e agli altri, afferma il Pallotti: «…poiché niuno amerebbe veramente
se stesso se non procurasse la sua propria eterna salvezza, così niuno amerebbe il
suo prossimo come se stesso se ciascuno non procurasse siccome di se così del
prossimo suo l’eterna salvezza»32.
4.11. Il prossimo Pallottino
Il concetto Pallottino di prossimo è universale, perché universale è l’amore con cui
Dio abbraccia tutti gli uomini, senza eccezioni, con particolare attenzione ai più bisognosi che, per il Pallotti, sono gli Eretici e gli Infedeli33; per cui, se viene meno il precetto della carità, ne vengono a soffrire i più bisognosi, cioè quelli che non conoscono Cristo e non credono, e di questo il Signore ne chiede conto.
27
OOCC V, 126: Ciò che «…dee spingere il Cristiano a procurare la salvezza delle anime, è il secondare gli ardenti impulsi del cuore amorosissimo di Gesù Cristo, che non altro brama e desidera se non vedersi da altri secondato in ciò ch’Egli ha fatto perché gli uomini conoscessero, amassero e servissero il divin suo Padre, e in ciò trovassero la loro salvezza». 28
OOCC III, 190: «…1. Ora ricordate che il Vostro Sposo Gesù, innamoratissimo delle Anime, vi espresse la sua ardentis‐
sima Sete con quella misteriosa parola Sitio (Gv 19, 28), Ho sete; dunque se volete piacere a Gesù pregatelo incessan‐
temente, perché vi comunichi sì preziosa Sete, 2. Riflettete, che per dissetarvi potete sempre pregare per la salute e‐
terna di tutti: oh quante Anime sono giunte alla gloria per le ferventi, e continuate preghiere». 29
1Gv, 4‐16: «Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui». 30
OOCC III, 190. 31
Cfr. OOCC IV, 310: « Iddio ti ha donato la libertà di agire, e insieme ti ha dato il precetto della carità, né da tale precet‐
to potevi andare esente, poiché ti donò la libertà, affinché liberamente osservando il precetto della carità ti rendessi tanto più simile a Dio, quanto più perfettamente l’avresti osservato»; OOCC XI, 257: «… pel cooperare alla salute delle Anime puoi giungere al più perfetto esercizio della carità, e in tale esercizio allora arrivi al più sublime, quando giungi a cooperare alla salvezza delle Anime le più abbandonate; poi che in tal modo ti eserciti nell’opera la più grande fra tutte le opere di misericordia. Ora dimmi Anima mia e non ti piace di arrivare ad essere sempre più simile a Dio? ». 32
Ibidem. 33
OOCC III, 311: «…la Carità, è ordinata, e perciò più energicamente si deve portare ad esercitare i Suoi atti in ogni modo possibile verso i più bisognosi; e siccome in ordine alla Fede, non v’è porzione del nostro Prossimo più indigente degli Eretici, e degli Infedeli, per ciò in forza dell’ordine della Carità, siamo obbligati a procurare in ogni modo possibile la lo‐
ro conversione, non dimenticando la salvezza dell’Anima nostra, dei Congiunti, Domestici, e di altri, cui siamo obbligati per ufficio». -9-
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4.12. L’imitazione di Gesù Cristo
Secondo il Pallotti, il cristiano non ha altra via da percorrere se non quella
dell’imitazione di Gesù Cristo, e ciò perché Egli è il divino Maestro e il Modello
dell’intero genere umano, la regola pratica di tutta la nostra vita interna ed esterna.
ImitarLo, per il Pallotti, è un adempimento indispensabile per raggiungere la santificazione della propria vita e di quella del prossimo. E il Pallotti ne presenta anche la
ragione. Un’anima, che crede e con umiltà e fiducia si sforza di imitare Gesù Cristo,
ottiene che Gesù Cristo distrugge in lei tutte le deformità e le mancanze, entra in
quell’anima per operarvi e vivervi, e per renderla partecipe delle Sue opere santissime, e, addirittura, per farne ancora di maggiori34.
4.13. Il ruolo centrale dei cristiani Romani
In base a quanto sopra, il Pallotti afferma che i fedeli della città di Roma, essendo al
centro della cristianità, dovrebbero essere i primi a dare il buon esempio della perfetta osservanza di tale obbligo. E da qui che devono diffondersi la fede e l’amore di
Gesù Cristo in tutto il mondo.
4.14. Il perno centrale pratico dell’organizzazione della missionarietà Pallottina
Nella situazione di allora - siamo nel 1835 - il Pallotti ritiene che fra i cattolici la fede
si è intiepidita e che la carità si è raffreddata. Perciò ritiene che innumerevoli anime
rimangono senza speranza di eterna salvezza e senza carità. Pensa che la situazione sia ancora più drammatica per coloro che, privi di fede e morti alla carità, vivono
nelle tenebre dell’eterna perdizione. Ogni cristiano deve cercare di soccorrerli con
tutti i mezzi possibili più dei bisogni del proprio corpo35, per salvarli da questa morte
eterna36. Ciò il Pallotti lo raccomanda, lo predica, ne parla in pubblico e nelle lettere,
nei suoi vari appunti, riflessioni e testi spirituali.
Un passo evangelico sembra non dare pace al Pallotti: «La messe è molta, ma gli
operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella
sua messe!»37. Il Pallotti si sentì fortemente interpellato da queste parole di Gesù e
intorno ad esse organizzò via via, in modo sempre più concreto, il suo apostolato,
sino a costituire nel 1835 anche una forma istituzionale, che chiamò «Apostolato Cattolico», precisandone l’obiettivo fondamentale38. Di fronte alla messe così sconfinata,
il Pallotti chiarì che l’Apostolato Cattolico, «…oltre allo scopo di concorrere alla propagazione della vera Fede nei paesi Infedeli, si propone anche quello di risvegliarla
e mantenerla nei paesi cristiani»39. E ne precisò ancora la differenza con altre istituzioni 40.
34
Cfr. ivi, 36‐38. OOCC III, 161. 36
Cfr. ivi, 152‐154. 37
Mt 9,37. 38
Cfr. OOCC IV, 257‐258: «…l’idea e lo scopo dell’Opera (...) è di riunire l’azione evangelica, la cooperazione personale, le preghiere, e le offerte volontarie di coloro che ne fanno parte, per uno scopo comune, che è quello di venire in aiuto delle opere di pietà, e di cattolico zelo». 39
Ivi, 259‐260. 40
Ivi, 258‐259: «…non bisogna perciò confondere l’Apostolato Cattolico con altre pie Istituzioni, che lo zelo per la propa‐
gazione della Fede Cattolica ha in questi ultimi tempi ispirate, e si trovano stabilite principalmente in Francia, e in Al‐
lemagna (...)» che hanno per scopo di «…soccorrere le Missioni straniere per mezzo di una tenue contribuzione volon‐
taria degli Individui che le compongono, e che, atteso il gran numero degli ascritti si arriva alla fine dell’anno ad una somma cospicua, che scrupolosamente si eroga a vantaggio delle Missioni più povere, e più bisognose». 35
- 10 -
PALLOTTINE MISSIONARY FORMATION – 12 - 20 May 2009
4.15. La Pia Unione dell’Apostolato Cattolico
La pia Unione dell’Apostolato Cattolico, per volontà del suo Fondatore, ha sin
dall’inizio una forte dimensione missionaria. È stata «…istituita per moltiplicare i
mezzi spirituali e temporali necessari e opportuni per ravvivare la S. Fede e riaccendere la Carità nei Cattolici, e propagarla negli Infedeli»41. Questo suo carattere missionario emerge nei suoi numerosi elementi sia strutturali che apostolici. I più evidenti sono:
- il nome «Apostolato Cattolico», con il suo orientamento spiccatamente orientato
verso le missioni;
- la sua divisione, secondo il Pallotti, in tre classi, di cui la classe degli «operai si adopererà a formare il cuore e lo spirito di coloro che si dedicano alle missioni. Tra di
loro alcuni verranno anche scelti per la direzione spirituale e accademica del Collegio per le Missioni estere in Roma;
- le 12 Procure in cui è diviso il mondo, ognuna sotto la protezione di uno dei dodici
Apostoli e con una finalità specifica. Tutte, poi, sono affidate alla protezione del 13°
Procuratore, S. Paolo, il primo missionario fra gli apostoli42.
La terza Procura, sotto la protezione dell’apostolo Giacomo il Maggiore, che ha il
compito di occuparsi delle missioni estere43, è stata istituita per eccitare lo zelo del
clero, secolare e regolare, e del popolo a favore delle sante missioni estere. Il Procuratore della medesima è obbligato a impegnare tutti i mezzi per promuovere la stampa e gli aiuti; per coinvolgere le monache a pregare per i missionari, per scegliere i
migliori sacerdoti da inviare nelle missioni estere. Un altro suo compito è suscitare la
carità dei benefattori e assicurare ai missionari in partenza i mezzi necessari44;
- i Ritiri che alimentano anche lo spirito missionario. Il Fondatore quando ne parla,
raccomanda ai membri della pia Unione di disporsi alle missioni per le parti degli infedeli45 oppure per la maggior gloria di Dio e la maggiore santificazione delle anime
nostre e dei nostri prossimi46;
- anche stemma, medaglia e sigillo evidenziano il carattere missionario della pia Unione dell’Apostolato Cattolico47.
4. 16. La Congregazione dei sacerdoti e dei fratelli dell’Apostolato Cattolico
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46
47
45
OOCC III, 95‐96. Cfr. OOCC I, 67, 77, 87, 204. Cfr. ivi, 204‐221. La III Procura (per le missioni estere) ha fornito un elenco ‐ importantissimo ‐ di ospiti del Collegio per le Missioni Estere, istituito presso la chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani, insieme a due documenti sulla chiesa di Ormi in Persia ed un altro sulla chiesa di san Pietro in Londra, alla vigilia della restaurazione della gerarchia ecclesiasti‐
ca in Inghilterra. Cfr. ivi, 204‐208; cfr. anche OOCC III, 10. Cfr. OOCC I, 14‐15. Ivi, 20. Nello stemma della Società tutto il mondo viene rappresentato da quattro figure. L’apostolato è dunque rivolto a tutte le quattro le parti del mondo ossia a tutta l’umanità in qualunque parte del mondo si trovi. Anche le parole «Charitas Christi urget nos», che sono l’anima di tutta la pia Società sono espressione del suo più profondo desiderio di raggiun‐
gere ogni anima, cfr. OOCC I, 7‐8 ed anche OOCC III, 109. La medaglia della Società nella sua parte bassa riporta le spighe, simbolo della messe mistica indicata dal Redentore per le molte anime che sono da salvare. Intorno, nel bordo, invece, v’è impresso il testo evangelico, in latino, di Lc (10, 2): «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate il padrone della messe perché mandi operai per la sua mes‐
se». Sul rovescio della medaglia invece è scolpita l’effige di Gesù Crocifisso, che dalle sue santissime piaghe versa il suo preziosissimo sangue sulle quattro parti del mondo per la salute delle anime, cfr. OOCC I, 9‐10 ed anche OOCC III, 110‐
111. Il sigillo della Società contiene le parole «Charitas Christi urget nos» per ricordare a tutti l’amore di Gesù per la salvezza degli uomini, per poterlo imitare nel procurare la salvezza al nostro prossimo, cfr. OOCC I, 10‐11 ed anche OOCC III, 112. - 11 -
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Essa viene istituita nel 1846 «come anima e parte motrice» di tutta la pia Unione,
come strumento privilegiato «…per tenere sempre vive tutte le sue imprese evangeliche di carità e di zelo»48. Essa, inoltre, è un «punto di mezzo tra i due cleri e comunità di vita perfetta», perché senza voti non è una Congregazione religiosa, ma per la
vita comune perfetta i componenti non sono sacerdoti secolari. Ciò dovrebbe facilitare il superamento della divisione, allora esistente, tra clero secolare e religioso e animarli ambedue con il vincolo di emulatrice carità e zelo alle opere del ministero evangelico49. La Congregazione, oggi Pia Società, è chiamata quindi da S. Vincenzo
ad operare direttamente per la missionarietà tra i cattolici e indirettamente per quella
«ad gentes».
4.17. L’Istituto delle Monache e Sorelle coadiutrici della Congregazione
dell’Apostolato Cattolico sotto la speciale protezione di Maria SS. Regina
degli Apostoli50.
Le Monache e le Sorelle sono promosse dalla Congregazione maschile ma non si
accenna, secondo l’usanza del tempo, ad una dipendenza da essa. Le Regole e i riti
della vestizione e della consacrazione sono gli stessi di quelli della Congregazione
dei preti e dei fratelli, salvo le varianti necessarie per la loro condizione. Oltre le preghiere a Dio per le vocazioni e per la conversione del mondo, vivono anch’esse in
comunità nella pratica della vita comune perfetta, non si prevedono per il momento
voti ma «un contratto con cui si obbligano verso l’Istituto a vivere in perpetuo in povertà, castità obbedienza, pratica della vita comune perfetta ed esercizio di qualunque opera di carità e di zelo gratuitamente»51. Tra le loro attività apostoliche al primo
posto «l’educazione cristiana e civile, e l’istruzione dei lavori più necessari nelle donne», preferendo le fanciulle e le ragazze della classe povera52. C’è anche un riferimento di carattere missionario. Nei paesi non cattolici l’Istituto deve accogliere ed
educare con «le massime cattoliche» anche le figlie di acattolici che lo richiedessero53.
L’Istituto delle Monache è copia della Congregazione dei Preti e dei Fratelli.
Come questa «...è istituita per animare il Clero secolare e Regolare alle opere del S.
Ministero evangelico nel sagro vincolo di emulatrice carità...e tutti di qualunque stato,
sesso, grado e condizione alle opere di carità e di zelo..., così la Congregazione delle Monache è istituita per vieppiù animare la carità e lo zelo delle persone del loro
sesso religiose e secolari;... le Monache debbono essere pronte a qualunque opera
di carità e di zelo, e specialmente di cristiana e civile educazione delle ragazze povere»54.
5.
L’OBIETTIVO PRIVILEGIATO DELLA MISSIONARIETÀ PALLOTTINA: IL
COLLEGIO DELLE MISSIONI ESTERE
Alle immense folle senza sacerdoti, alla scarsità delle vocazioni55, alla mancanza dei
48 Cfr. OOCC VII, 3. Ibidem. 50
Cfr. OOCC II, 555‐559. Il due testi sono ritenuti contemporanei al manuale della Regola del 1847. 51
OOCC II, 558. 52
Ivi, 556. 53
Ibidem. 54
OOCC II, 559. 55
OOCC IV, 197: «Ma se fra Cattolici sempre è vero che la Messe è molta e gli Operaj sono pochi, chi potrà concepire a qual grado lo sia nelle Parti degli Eretici, ed Infedeli? Per quanto si dica non si dice giammai abbastanza. Oh la lagrime‐
49
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centri formativi e alla debole formazione dei sacerdoti missionari il Pallotti ritenne di
rimediare con l’istituzione di Collegi in varie nazioni e in diverse parti del mondo, a
cui fossero preposti sacerdoti responsabili con vera vocazione e con autentico spirito
missionario, disposti a recarsi nei paesi di missione, onde dedicarsi alla formazione
dei candidati al sacerdozio, per costituire un clero locale ben preparato al ministero
della Parola di Dio e a quello sacramentale56.
Il Pallotti non riteneva completamente adatto allo scopo il Pontificio Collegio Urbano
di Propaganda Fide, nonostante che egli ne fosse il direttore spirituale57, per cui si
propose di istituire un Collegio centrale per le Missioni Estere58, in cui i soggetti migliori del clero cattolico avrebbero dovuto essere formati in Roma, perché considerava Roma maestra non solo nella dottrina, ma anche nella disciplina ecclesiastica e
nella pratica apostolica59.
A questo Collegio avrebbero dovuto far capo tutti gli altri Collegi missionari, sia già
esistenti in varie parti del mondo, che quelli ancora da erigere. Il Collegio centrale in
Roma avrebbe dovuto fornire dei buoni e convinti missionari, ben formati nella sicura
dottrina e idonei a guidare i Collegi locali con lo spirito e con la dottrina della Chiesa
romana. In questa grandiosa impresa, sarebbe stata impegnata in prima linea la pia
Unione dell’Apostolato Cattolico60.
La richiesta della sua erezione venne presentata al Cardinale Vicario di Roma, Carlo
Odescalchi, che, con rescritto del 2 ottobre 1837, diede la sua approvazione61. Nello
stesso tempo furono distribuiti un invito per la fondazione e un appello alla generosità
dei fedeli62. Purtroppo, anche questo Collegio, dopo pochi anni di funzionamento, nel
1844 chiuse i battenti. Il conflitto e le incomprensioni con l’Opera di Lione e le difficoltà intorno al titolo «Apostolato Cattolico» fecero venir meno le basi e i sussidi neces-
56
57
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59
60
61
62 vole scarsezza degli Operaj evangelici ossia per coltivare nella Religione i pochi cattolici, ossia per intraprendere l’opera evangelica della conversione degli Eretici, o degli Infedeli! (...). Paesi vastissimi appena dopo il giro di più anni arrive‐
ranno a vedere un Prete, e la maggiore parte degli Infedeli se ne restano sepolti nelle tenebre degli errori, senza che giunga loro un Banditore evangelico, e guai se alcuno ne andasse senza essere ripieno dello spirito di Gesù Cristo, che è quello spirito che cerca puramente la gloria di Dio, e la salute delle Anime». Cfr. OOCC III, 367‐370. Il Pallotti aveva notato che alcuni alunni, dopo aver vissuto diversi anni nel Collegio e aver goduto di agi e di comodità, trovavano difficoltà a tornare e adattarsi allo stile di vita del proprio paese. Egli accenna anche che alcuni ex‐studenti, tornati in Oriente, insegnavano dottrine offensive e scandalose ai loro connazionali e contrarie alla Chiesa, cfr. OOCC V, 98‐99. Per il Pallotti sembra del tutto necessaria l’erezione di un ben ordinato Collegio, sotto la vigilanza del Papa, in cui venga provata la vocazione e lo spirito di chi vuole dedicarsi alle missioni. Tra le motivazioni della costituzione del Collegio a Roma una è la seguente: «A tutte le riferite ragioni in prova della necessità della istituzione del Collegio per le Missioni Straniere in Roma, potrebbe anche aggiungersi essere una tal quale vergogna per Roma andar priva di tale Collegio, mentre trovasi presso altra Nazione; essere ben duro e sensibile per un Italiano chiamato da Dio alle Missioni, non tro‐
vare un Collegio in cui raccogliersi per prepararvicisi; essere grande ostacolo alla propagazione della fede vedere Roma e l’Italia priva di quella Località, il cui solo nome già avrebbe bastante eloquenza per chiamare alle Missioni chi ora non si vede chiamato; essere di sorpresa e di biasimo per i Vescovi, ed altri Stranieri Ecclesiastici, non trovare, venendo in Roma, un luogo in cui rifugiarsi, rinnovarsi nello spirito, ed eccitarsi a nuove più grandi imprese; essere (per tacere tan‐
te altre ragioni) di gran confusione vedere i Protestanti più impegnati dei Cattolici nel propagare le loro sette: quindi per torre dalla Capitale del Mondo Cattolico su ciò qualunque taccia di colpa, è necessario turare le bocche ai maligni con una sì bella, e santa, istituzione», OOCC V, 102‐103. Cfr. OOCC V, 88 ss. Essa «…attenderà alla perfezione di se stessa negli individui della parte centrale per procurare la coltura di quella gioventù che aspira all’opera delle SS. Missioni, e se la provvidenza la fornirà dei mezzi sufficienti promuoverà la Istitu‐
zione dei collegi per educare e formare buoni ed esperti Missionari per inviarli accompagnati dalla pastorale Benedi‐
zione del Sommo Pontefice nelle parti degli Infedeli», OOCC III, 171‐172. OOCC IV, 14‐16. La generosità è così motivata: «E se Gesù non ha dubitato versare tutto il sangue per riscattare le anime, non sarà certo troppo per voi versare il danaro, quel danaro, da Dio datovi perché ne usaste liberalmente con poveri, quel dana‐
ro che può liberarvi dalla morte eterna, quel danaro che può aprirvi il paradiso, e rendervi eternamente beati: ‘Beati misericordes, quoniam ipsi misericordiam consequentur’ (Mt, 5,7), OOCC V, 127. - 13 -
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sari non solo al suo sviluppo ma addirittura alla sua esistenza63.
Il Signore a volte fa passare le opere buone attraverso la purificazione del tempo;
così anche nel caso di san Vincenzo. Le sue idee incompiute vennero successivamente riprese e attuate. Così, ad esempio, è stato per il Collegio per le Missioni estere che, poco dopo la morte del Pallotti, trovò la sua realizzazione nella fondazione
dei PP Missionari di Mill Hill64 in Inghilterra e nel Pontificio Istituto delle Missioni Estere di Milano65. Così è stato anche con l’«Apostolato Cattolico», che dal Concilio Vaticano II viene riconosciuto impegno primario di tutti i cristiani e lo stesso san Vincenzo
ne fu proclamato precursore. Un’ulteriore conferma del valore del suo eccezionale
impegno missionario è venuto anche dalla proclamazione di lui, ad opera del beato
Giovanni XXIII, a Patrono della Pontificia Unione Missionaria del Clero e dei Religiosi.
6. CONCLUSIONE
Lo spirito missionario del Pallotti è stato insieme straordinario e grandioso. Egli ha
saputo cogliere le sfide epocali e farne il programma della sua vita, in cui ha intrecciato la missionarietà - «ravvivare e propagare la fede e riaccendere la carità» - alla
ricerca personale della perfezione, ossia alla preghiera, alla meditazione, alla contemplazione e all’imitazione di Gesù, esplicitandola in una quantità di impegni, servizi
e opere. Tutto ciò per la maggior gloria a Dio, per procurare la salvezza eterna di tutti
e formare così «un solo ovile sotto l’unico Pastore» Gesù Cristo, salvatore del mondo. È stato un progetto completo ma estremamente impegnativo. La sua realizzazione richiedeva il coinvolgimento di tutti i credenti, e il Pallotti desiderava impegnare il
maggior numero possibile di operai nella messe del Signore. Ringraziamolo per
quanto ha compiuto e chiediamogli che la ricchezza della sua vita interiore e il suo
spirito evangelico e missionario rimangano sempre vivi specialmente in noi, suoi figli
e figlie spirituali.
La «plantatio Ecclesiae» di Gregorio XVI dei tempi del Pallotti, dopo il Decreto «Ad
gentes» del Concilio Vaticano II, l’«Evangelii nuntiandi» di Paolo VI e la «Redemptor
hominis» di Giovanni Paolo II, ha acquisito maggiori lineamenti. La missionarietà
oggi, oltre ad includere ancora al primo posto l’annuncio del Vangelo, quale comando
e servizio irrinunciabile all’evento salvifico di Gesù Cristo, e alla costituzione di una
chiesa per quanto più possibile indigena, deve accompagnarsi alla testimonianza di
63
Quanto alla formazione in questo Collegio romano per le missioni estere troviamo sufficienti e precise indicazioni per averne un’idea assai completa. Anzitutto è un Collegio per ecclesiastici italiani secolari in un tempo in cui i missionari era‐
no solo i religiosi, e che nel caso di mancanza di vocazioni potrebbe essere aperto anche agli stranieri. I requisiti richiesti agli alunni per esservi ammessi erano i seguenti: la vocazione per le missioni estere, la bontà di vita, le prove di aver com‐
pletato il corso di filosofia per i chierici e l’età non oltre i 35 anni per i sacerdoti, e non superiore ai 25 anni per i chierici. L’età era importante perché si volevano avere persone già sufficientemente mature per evitare che, dopo più anni tra‐
scorsi nel Collegio, qualcuno potesse non essere più disposto a partire per le missioni. Per prevenire tali difficoltà, il primo anno doveva essere di prova dello spirito dei candidati, dopo di che, coloro che si dicevano disposti a tale missione, face‐
vano il giuramento di andare nelle missioni, di perpetua dipendenza, di non aspirare alle dignità ecclesiastiche e di accet‐
tarle solamente per ubbidienza al Sommo Pontefice. Tale giuramento, che si doveva fare in una delle feste del Signore, o di Maria o degli Apostoli, previi gli esercizi spirituali, era ritenuto dal Pallotti necessario, e una conferma dell’idoneità del candidato ad essere un buon missionario, cfr. OOCC V, 269‐273. 64
Don Giuseppe Ranocchini SAC, Postulatore della Beatificazione e della Canonizzazione del Pallotti, ha scritto: «La Socie‐
tà di Mill Hill, per testimonianza del Card. Wiseman, affonda le sue radici nello zelo missionario di S. Vincenzo Pallotti il quale, proprio in considerazione dei vasti territori che l’Impero Britannico possedeva oltremare, scongiurò il Wiseman di aprire in Inghilterra un Seminario per le Missioni; l’opera, dietro spinta dello stesso Wiseman, fu realizzata dal Card. Vaughan», Id., San Vincenzo Pallotti, in «La Lucerna», rivista mensile religiosa culturale, anno VII, gennaio 1950, n. 71, 91 e 92. 65
Il Fondatore del Pontificio Istituto delle Missioni Estere di Milano, Giuseppe Marinoni, che era stato fra i primi membri del Collegio del Collegio centrale delle Missioni Estere del Pallotti e che aveva compreso il pensiero e lo spirito, ne por‐
tò con sé l’idea e l’ardore missionario, cfr. Ranocchini G. SAC, San Vincenzo Pallotti, op. cit., p. 92. - 14 -
PALLOTTINE MISSIONARY FORMATION – 12 - 20 May 2009
vita e alla formazione di comunità cristiane. Le novità odierne della missionarietà sono la scelta del dialogo come modalità dell’annuncio, l’inculturazione della fede, ossia
l’incontro del Vangelo con la vita, la storia e la cultura della gente del luogo per
comportamenti in sintonia con esso e una testimonianza di carità secondo i bisogni
locali, con l’obiettivo di strutture di una società libera da ogni schiavitù morale e reale,
quale frutto della vera libertà cristiana66.
La missionarietà Pallottina conserva ancora una sua attualità?
Credo ancora attuali la dimensione evangelizzatrice universale, ossia che l’umanità
intera trovi Cristo, lo riconosca ed entri nella sua novità di vita; la strettissima interdipendenza tra missionarietà e spiritualità personale, per cui la qualità della prima è in
rapporto diretto con la qualità della seconda; il modello della «chiesa di comunione»,
in cui tutti - pastori, religiosi, religiose e laici - riscoperta e approfondita la propria vocazione, si fanno apostoli, cooperando e collaborando a motivo della carità. Questi
aspetti del nostro carisma resta da incarnarli e viverli ciascuno nei contesti culturali
odierni nazionali e internazionali.
66
Cfr. Colzani G., Teologia della missione, Edizioni Messaggero Padova, 1996. - 15 -
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la missionarietà in s. vincenzo pallotti1