CONSIGLIO PASTORALE NAZIONALE - 2009 LECTIO DIVINA e Commento Spirituale – Primo Giorno Padre Jos Janssens S.J. Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana Introduzione Gesù dava molta importanza alla recezione della Sua Parola. Ciò risulta, ad esempio, dalla parabola delle due case (Mt 7, 24-27) e dalla parabola della semente (Mt 13, 3-9). Con quest'ultima parabola, così il Wilken, Gesù voleva raggiungere due scopi. Prima di tutto aveva l'intenzione di assicurare ai suoi discepoli scoraggiati che, nonostante gli ostacoli e le delusioni iniziali sperimentate nella loro missione (e pure in quella di Gesù), il Vangelo alla fine darà tanti frutti. In secondo luogo, il Signore sottolinea la responsabilità umana nell'ottenere frutti. Gesù, infatti, descrive non meno di quattro tipi di terreno sottolineando così che conta quel terreno umano, in cui cade la semente della sua predicazione1. Gesù, parlando del ristabilimento finale dei disegni di Dio nel regno della giustizia e della pace, dice che in questo regno i giusti sono destinati a banchettare insieme con Abramo, Isacco e Giacobbe (Mt 8, 12; Lc 13, 28s). Ciò mi ha suggerito a presentarVi una meditazione sulla lotta fra Giacobbe e Dio, di cui il libro della Genesi (32, 23-33). La lotta di Giacobbe: il testo biblico2 Alla lotta precede una storia personale di Giacobbe, di cui do un riassunto. Isacco, il padre di Giacobbe, all'età di quarant'anni prese per moglie Rebecca, che l'aveva fatto aspettare non meno di 20 anni (Gen 25,19). Giacobbe acquista la primogenitura – e come! – a scapito del suo fratello maggiore Esau. In seguito, ruba con inganno pure al fratello la benedizione dal padre Isacco (Gen 27): una sua prima vittoria. Alla fine Giacobbe, di fronte all'ira di suo fratello, fugge in Mesopotamia. Lì da nipote inganna con un tranello lo zio Labán (Gen 30). Una sua seconda vittoria. Dopo un soggiorno di 20 anni in Mesopotamia, Jahveh ad un certo punto gli comanda: "Torna alla tua patria e alla tua parentela. Io ti farò del bene" (Gen 31, 3). Il racconto della lotta s'inserisce in questo contesto: Giacobbe sta per rientrare nella sua patria, cioè in Canaan; benché rassicurato da Jahveh, gli resta tuttavia da affrontare l'incognita del fratello offeso. Questi, infatti, con quattrocento uomini marcia contro di lui all'altro lato del fiume Iabbok. Giacobbe, essendo stato informato delle manovre di suo fratello, decide prima di tutto di inviargli i migliori capi del suo gregge per ringraziarselo. Poi, decide di andargli incontro lui stesso con la propria famiglia, ben conscio dei pericoli per l'incolumità dei suoi. Impaurito si volge a Jahweh: "Liberami dalle mani del mio fratello Esaù, perché io temo che venga e mi uccida madre e figli insieme" (Gen 32, 10-14). Giacobbe, abbandonato l'accampamento, nel cuore della notte, fa attraversare il fiume Iabbok alle due moglie, le serve, i figli e il bestiame3. Ciò avviene la notte prima dell'incontro con Esaù, che si trova al lato nord del fiume. Giacobbe rimane solo in quella terra straniera. Allora, gli appare una figura misteriosa, un uomo con il quale è costretto a ingaggiare una lotta fino allo spuntare dell'aurora. Si tratta di una lotta aspra. "L'Altro, vedendo che non riusciva a vincere Giacobbe, lo colpì nell'articolazione del femore e questa si slogò, mentre egli continuava a 1 Si legga: Robert Luis WILKEN, The Spirit of Early Christian Thought. Seeking the Face of God, New Haven – London: Yale University Press, 2003. Trad. it.: Alla ricerca del volto di Dio. La nascita del pensiero cristiano, Milano: Vita e Pensiero, 2006, 208. 2 Si veda: William David REYBURN – Euan McG FRY, A Handbook on Genesis, United Bible Societies, New York – Stuttgart, 1997, 760-769. 3 Altri: Giacobbe accompagna i suoi all’altra riva e poi ritorna da solo. 1 CONSIGLIO PASTORALE NAZIONALE - 2009 lottare". La figura misteriosa, non potendo mettere Giacobbe con le spalle a terra, lo colpisce all'articolazione del femore, slogandogliela e rendendolo ferito, zoppo, menomato. Quell'uomo, infatti, non vuole essere visto e perciò vuole scappare prima che si fa luce. L'Altro, dopo aver ferito Giacobbe, chiede di essere lasciato andare. Giacobbe, avendo capito che non si tratta di un semplice uomo ma di una figura potente, risponde, tenendo l'altro stretto di fianco, che lo farà solo quando avrà ricevuto la benedizione. Giacobbe, sapendo benissimo che all'altro lato gli aspetta Esaù, desidera che l'incontro temuto avrà un esito positivo, favorevole per lui. Poi, l'Altro dice: "Dimmi il tuo nome". E Giacobbe: "Mi chiamo Giacobbe". A questo punto la figura misteriosa gli dice: "Non più Giacobbe sarà il tuo nome ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto". In fondo, la benedizione sta nel dare a Giacobbe un altro nome: Israele. Giacobbe ha combattuto con Esaù e con Laban, ed in entrambe occasioni ha vinto; ora, di nuovo, combattendo con quella figura misteriosa, ha vinto. Poi, Giacobbe vuole sapere il nome di quella figura misteriosa, ma questo personaggio non si rivela, cioè non si fa conoscere. Conoscere il nome di qualcuno significa, almeno fino ad un certo punto, di avere un certo controllo su di lui. E, quindi, la risposta è "Tu non dovresti chiedere il mio nome". E sta scritto: "E qui lo benedisse", ossia qui l'Altro si congedò da Giacobbe (la vera benedizione avvenne già nel cambiamento di nome). La figura misteriosa sparisce e Giacobbe esclama: "Ho visto Dio faccia a faccia". Ed è questo la spiegazione etimologica del nome di quel luogo, cioè di Penuel. Voler conoscere la verità di un luogo! "Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuel. Egli zoppicava a causa dell'anca". Poi, "alzati gli occhi, vide che Esaù avanzava con quattrocento uomini […] Esaù però gli corse incontro, l'abbracciò, gli si gettò al collo, lo baciò, e pianse". La Lotta di Giacobbe: commento spirituale La Tradizione trasmette che Giacobbe lottò con Dio. Anche nelle immagini dell'arte cristiana più antica Giacobbe lotta direttamente con Dio, poi questi viene sostituito da un Angelo a simbolizzare la lotta tra l'umano e il divino. Il messaggio biblico ci raggiunge per via di racconti e si trasmette anche per via di immagini. L'immagine di Giacobbe in lotta con Dio è forte e perfino sconvolgente. Questo brano biblico è da intendere come un insegnamento ovvero esso esige una decisione? Secondo il libro della Sapienza, ad esempio, il sapiente raggiunge "l'amicizia con Dio". E chi è questo sapiente? Il sapiente, uomo o donna, è quella persona che vive in stretto rapporto con Dio. E nessuno fu più sapiente di Giacobbe, il quale appunto lottò con Dio, perché sta scritto che Giacobbe vide "Dio faccia a faccia". Anche Mosé voleva vedere la gloria di Dio, ma Dio gli disse: "Non puoi vedere il mio volto, perché l'uomo non può vedermi e vivere" (Es 33,20). Giobbe, come si ricorda, desidera che la sua sventura vada considerata alla stregua di un processo in corso fra lui e Dio, e lamenta di non poter incontrare Dio faccia a faccia e di accordarsi con Lui al di fuori del tribunale (Giobbe 23, 3-6)4. Papa Gregorio Magno, nell'anno 600, s'impegna nel classificare i passi biblici sulla "visione di Dio" e nel rendere compatibile l'affermazione di S. Paolo che il Signore "abita una luce inaccessibile, che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere" (1 Tm 6, 16), con il nostro passo della Genesi, dove appunto si dice che Giacobbe vide Dio "faccia a faccia". Nell'Apocalisse il Signore Dio dice: "Io sono l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il Principio e la Fine" (Apo 22, 13). Il cristiano è in attesa di quell'unico evento: venire "faccia a faccia" con il Suo Salvatore, che è l'Inizio e la Fine5. Gli studiosi discutono se la storia della lotta abbia dato origine al nome di luogo, cioè Penuel, ovvero se questo nome abbia dato origine alla storia. La verità di un luogo, ad esempio 4 Robert Luis WILKEN, Alla ricerca del volto di Dio. La nascita del pensiero cristiano, Milano: Vita e Pensiero, 2006, 231-232. Anche S. AMBROGIO, I doveri 1, 120. 5 R. L. WILKEN, 260. Anche GREGORIO MAGNO, Commento Morale a Giobbe 18, 88-92. 2 CONSIGLIO PASTORALE NAZIONALE - 2009 di un carcere. Chi la conosce o chi vuole conoscerla? Dal punto di vista culturale gli edifici di per sé dovrebbero essere luoghi di incontro fra gli uomini. Che cosa serve veramente a una prigione per poter diventare anche un luogo di incontro? La mitologia è piena di dèi ed eroi afflitti da menomazioni fisiche. Il Re Pescatore, ad esempio, protagonista della storia del Graal (dell'anno 1181, è un re magagnato che soffre per una ferita all'inguine che non guarisce mai. La ferita del Re è pregna di significati simbolici: essa è inguaribile, ma non uccide. La corrente tradizionale interpreta tale ferita come il risultato di un avvicinamento eccessivo dell'uomo alla divinità, il prezzo da pagare per l'acquisizione di facoltà o di poteri superiori, un costo che rimane impresso nella carne dell'interessato. Tale ferita attraverso la sofferenza rende il Re Pescatore superiore agli altri uomini. Dietro sta l'antica credenza secondo cui il corpo e le capacità dell'uomo fossero migliorabili attraverso una ferita simbolica. La ferita è collegabile a una "elezione" da parte della divinità: il prescelto reca nella carne il segno del privilegio attribuitogli. La debolezza corporea, che la ferita chiaramente lascia intendere, è l'arcano segnale dell'eterno, del divino. Questo segno di elezione simboleggia la limitatezza dell'uomo proteso verso l'eterno e visibilizza la misteriosa connessione tra l'immanenza e la trascendenza. Il Re Pescatore, visibilmente fragile e magagnato come è, è pure custode della sacralità non transeunte del Graal, è una creatura vicina al sacro6. Secondo l'antropologia biblica esiste uno stretto collegamento tra corpo e spirito: non esiste, infatti, l'anima separata dal corpo. Chi esce dal contatto con Dio, come Giacobbe, non è indenne, anzi è colpito. In altre parole, tale uomo non può rimanere un individuo grigio e insignificante come prima. L'uomo che viene colpito nel femore, cioè nel segno del cammino, viene colpito nella vita in quanto vi è identità tra cammino e vita. Allo stesso tempo, la figura misteriosa che appare a Giacobbe e cerca di vincerlo, simboleggia il mistero divino, dal cui incontro egli esce zoppicante e trasformato. L'etimologia ossia lo studio della derivazione delle parole riguarda anche la spiegazione etimologica di nomi di persone e di luoghi. Giacobbe, dopo la lotta, viene denominato Israele ossia "Colui che contende con Dio" e il luogo della lotta è detto Penuel ossia. Sempre nel libro della Genesi si dice che Neftali fu chiamato così perché Rachele lottò (nafal) con Lia e vinse (Gen 30,8). Nella Chiesa Antica s'apprezzava tanto il cristiano, che sapeva lottare. Scrive S. Ireneo: "Il buon lottatore ci esorta alla lotta dell'incorruttibilità, affinché veniamo incoronati e stimiamo preziosa la corona, poiché l'abbiamo conquistata con la lotta e non ottenuta senza nostro impegno; e quanto più ci è venuta dalla lotta, tanto più è preziosa; e quanto più è preziosa, tanto più sempre lo ameremo. E non vengono amate allo stesso modo le cose che ci vengono senza costarci e quelle che ci pervengono con grande fatica. Perciò, poiché giovava a noi amare di più Dio, il Signore ha insegnato e l'apostolo ha trasmesso che questo maggiore amore ci viene con la lotta. E altrimenti appare chiaro che il nostro bene non potrebbe permearci, se non venisse esercitato. Allo stesso modo per noi il vedere non sarebbe tanto desiderabile se non conoscessimo quanto sia male il non vedere, e lo stare bene appare più desiderabile a chi ha l'esperienza dello star male, e il confronto della luce con le tenebre, e della vita con la morte. Così il Regno celeste è più degno di onore per quelli che hanno conosciuto quello terreno; e quanto più è onorabile, tanto più lo amiamo; e quanto più lo avremo amato, tanto più saremo luminosi presso Dio"7. Il cammino cristiano non è facile. Jahweh aveva promesso a Giacobbe di fargli del bene, una volta ritornato in patria. La promessa di Dio si rivelata autentica, si è realizzata nell'incontro con suo fratello. Giacobbe ha creduto alla promessa fattagli da Dio. S. Cipriano, vescovo di Cartagine, nel suo opuscolo La condizione mortale dell'uomo (inizio cap. 6), scritto nella metà del II secolo quando una terribile pestilenza sconvolgeva l'Africa mediterranea ed anche la sua chiesa, esclama: "Se un uomo autorevole e degno di stima ti promettesse qualcosa, avresti fiducia nelle sue promesse e non crederesti di essere imbrogliato o ingannato da uno che tu conosci come fermo nelle sue parole 6 Si veda: Domenico SEBASTIANI, Quella ferita che mai guarisce. La leggenda del Re Pescatore, in Medioevo n. 10 (153) Ottobre 2009, 79-99, in particolare p. 87. 7 S. IRENEO, Adv. Haer. IV, 37, 7. 3 CONSIGLIO PASTORALE NAZIONALE - 2009 e nei suoi fatti. Dio ti parla e tu, privo di fede, esiti nella tua mente incredula? Dio promette l'immortalità e l'eternità a che lascia questo mondo e tu hai dubbi?"8. Quando l'autore della Lettera agli Ebrei dice di Gesù che "imparò l'obbedienza alla scuola della sofferenza" (5,8), non sta comunicando che Gesù apprese come obbedire o che cosa è l'obbedienza, ma rivela che Gesù apprese che cosa l'obbedienza comporta: obbedire comporta soffrire. I cristiani della chiesa di Cartagine – già esasperati dalla persecuzione dinanzi alle terribili conseguenze della pestilenza si ribellavano, consci come furono di non aver offeso Dio e di essersi comportati bene. E allora perché questo castigo? Il loro vescovo, Cipriano, è molto chiaro nel rispondere alle loro perplessità: "Se accettiamo i beni dalla mano del Signore – scrive, citando Giobbe – perché non dovremmo sopportare anche i mali?". Ed ancora: "Se un cristiano riconosce e sa bene in base a quale condizione, a quale legge ha accettato di credere, saprà che deve soffrire più degli altri nel mondo. La Scrittura insegna ed ammonisce: resta saldi nel dolore e sii resistente nella tua umiliazione perché nel fuoco si prova l'oro e l'argento". Il cristiano apprende, come Giacobbe, che cosa comporta d'aver accettato la fede; d'aver accolto la legge unica, misteriosa, inappellabile di Dio: incontrare Dio comporta anche soffrire. I cristiani, ed in particolare i sacerdoti, devono imparare a resistere al male, ad evitare di lamentarsi nelle avversità, ad essere pronti a misurarsi con le prove della vita, a controllare se stessi. Ciò comporta la loro "elezione". I credenti sanno tener duro nell'affrontare il male misurandosi nella lotta per vincere quel male. Ciò si desume dal significato originale del termine neotestamentario greco "hypomenè", a cui gli esegeti attribuiscono il significato di "resistenza, il tener duro"; suddetto vocabolo greco è stato tradotto infelicemente nel latino con "pazienza", che ha introdotto un senso di passività. La più adeguata traduzione, probabilmente, è "costanza" strettamente collegata nel pensiero paolino alla nozione di speranza. L'accettazione del dolore, proveniente dalla lotta, diventa espressione di costanza che – nella speranza – si apre alla manifestazione di Dio nella propria storia. Il cristiano assume il dolore, ne accetta il mistero e la lotta9. La posizione del cristiano dinanzi alla vita è combattiva, tutt'altro che rassegnata o rinunciataria. La lotta di Giacobbe con Dio è un evento del tutto personale, privato: nessun altro vi ha assistito. Gli autori biblici credono in una duplice causalità: a un primo livello gli eventi si possono spiegare come effetto di cause terrene; mentre a un secondo sono considerati atti di Dio. L'uomo moderno, e soprattutto lo storico, ritiene di non aver svolto il proprio compito finché non riesca a scoprire la successione di causa ed effetto nelle vicende umane che studia. Un credente, come fece Giacobbe, è invitato ad accorgersi della presenza della mano di Dio nelle vicende – anche del tutto personali – della propria vita. Nella visione biblica l'uomo non è solo, né nella gioia né nel dolore. Jahweh si rivela al suo popolo come una presenza. E perciò, "L'esistenza stessa del popolo di Israele dipende dalla presenza di Jahweh al proprio fianco (Am 4, 13; 5, 8 e 14)". Sorge il sole quando Israele, con la lotta ormai dietro di lui, rientra dopo tanti anni nella sua terra, egli torna finalmente a casa. La bellezza dell'aurora, conduttrice di luce. L'aurora appare sempre senza alcun macchio del passato: essa è semplicemente promettente. La lotta, impostata di fatica e di dolore, è stata superata. Giacobbe lascia il luogo, in cui ha lottato e sofferto. Ora s'apre all'orizzonte un nuovo giorno, luminoso e chiaro, pieno di grazia e di forza. La luce viene prima di tutto, essa viene dall'alto ed è per tutti, l'immaterialità della luce. Fra poco la luce si tingerà di tanti colori: col mutare delle ore, infatti, passerà da tonalità fresche a tonalità calde e poi a quelle miti della sera. Ci sono vari tipi di luce nella vita di ogni uomo, accogliamola nelle sue infinite variazioni. 8 9 S. CIPRIANO, La condizione mortale dell’uomo (= Opere VI), Roma: Città Nuova, 376. Si veda: Salvino LEONE, La lotta alla sofferenza, in Esperienze Sociali, 26(1985), n. 1, 58-76. 4 CONSIGLIO PASTORALE NAZIONALE - 2009 LECTIO DIVINA e Commento Spirituale – Secondo Giorno Padre Jos Janssens S.J. Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana Il profeta Aggeo I suoi discorsi: testo biblico10 L'attività del profeta Aggeo durò pochi mesi (precisamente fra il 29 agosto e il 18 dicembre) e si svolse nell'anno 520 a.C. durante il secondo anno di Dario d'Istaspe, che fu re di Persia dal 521 fino al 485 a.C. Gli interventi del profeta (quattro diversi discorsi) avvenivano in un periodo duro per il popolo d'Israele, quello successivo all'esilio babilonese. Incoraggiati e sorretti dal re persiano Ciro, il quale conquistò Babilonia nel 539 a.C., (editto nel 538 a.C. – si veda Esd 2,2), i primi rimpatriati sotto la guida di Zorobabele (nipote del re Jojakin portato in esilio nel 597 a.C.), nel 537 a.C., hanno dato inizio a Gerusalemme alla ricostruzione del Tempio. In seguito, però, sia per la scarsità dei mezzi, sia per l'opposizione dei Samaritani, hanno interrotto i lavori, dopo aver posto solo qualche pietra di fondamenta ed eretto l'altare degli olocausti (Esd 3). Nel 522 a.C., salito al trono persiano Dario, il regno di Persia è funestato da conflitti interni, con tristi ripercussioni su Gerusalemme: la vita è difficile, i lavori per la ricostruzione del Tempio sono da anni fermi. Il popolo nell'angustia dell'ora si lamenta e mormora: vuole addirittura abbandonare l'impresa di ricostruire il Tempio, dichiarando che "non è ancora venuto il tempo di ricostruire la casa del Signore" (Agg 1,2), cioè è troppo presto, questo non è il momento adatto. A questo punto – siamo nel 520 a.C. ossia 18 anni dopo l'inizio della ricostruzione del Tempio – interviene il profeta Aggeo, un anziano che visse gran parte della sua vita in Babilonia, ispirato come fu dall'alto: "La parola del Signore è venuta per mezzo del profeta Aggeo" (Agg 1,3). Aggeo non fa altro che trasmettere un messaggio di Jahweh al popolo. Aggeo pronuncia il suo primo discorso nel sesto mese dell'anno religioso (agosto-settembre) nel primo giorno di detto mese. Egli, conoscendo la gravità e i turbamenti della situazione presente, ne interpreta il significato illuminando la coscienza del popolo circa la causa e il rimedio dell'attuale miseria. Con tagliente chiarezza mette il dito sulla piaga: pone una domanda che è quasi un compendio del successivo discorso: "Per voi è giunto il tempo di abitare in case confortevoli, mentre questa casa (cioè quella di Dio) è in rovina?" (Agg 1,4). Segue poi un'accurata requisitoria, in cui il Signore stesso, parlando in prima persona per bocca del profeta, chiede al popolo di prendere in esame il loro modo di vivere e ricorda la gente che tutti i loro sforzi per una ripresa economica e sociale sono andati a male. Risuona nel discorso l'interrogativo sottinteso: "Perché?". La risposta è una dolorosa constatazione: "Perché la mia casa è ancora in rovina, mentre tutti avete gran fretta di sistemare l'abitazione vostra" (Agg 1,9). Si può riassumere nelle brevi parole: Ciascuno ha pensato più alle proprie cose che alla ricostruzione del Tempio. In altre parole, le cose di Dio (il Tempio) non occupano il primo posto nella loro vita quotidiana. Grazie all'intervento di Aggeo si riprendono i lavori della ricostruzione del Tempio, dando fiducia alla promessa di Dio: "Io sono con voi" (1, 13). Venti giorni dopo il suddetto discorso, infatti, tutti gli abili al lavoro vengono a Gerusalemme e mettono mano ai lavori preparativi. Ma tra i presenti alcuni si ricordano d'aver visto ancora il Tempio di Salomone, distrutto 70 anni fa. Si ricorda che il Tempio di Salomone fu distrutta nel 586 a.C. dai Babolinesi. In confronto con il Tempio salomonico, questo nuovo appare proprio un nulla. "Ma ora in quali condizioni voi 10 Si veda: David J. CLARK – Howard A. HALTON, A Handbook on Haggai, Zechariah und Malachi, United Bible Societies, New York – Stuttgart, 2002, 11-64. 5 CONSIGLIO PASTORALE NAZIONALE - 2009 vedete (la casa del Signore)? In confronto a quella (di prima) non è forse ridotta a un nulla ai vostri occhi?" (Agg 2,3). Ovviamente un tale discorso non può non scoreggiare e avvilire i costruttori del nuovo Tempio: ormai, ciò che fanno non vale la pena di essere fatto. Sorprendente è allora l'atteggiamento del profeta Aggeo, mandato da Dio per incoraggiare in modo positivo il popolo: "Ora, coraggio, Zorobabele – oracolo del Signore – coraggio, Giosuè, sommo sacerdote; coraggio, popolo tutto del paese, dice il Signore, e al lavoro! Perché Io sono con voi – oracolo del Signore degli eserciti – secondo l'alleanza che ho stipulata con voi quando sieti usciti dall'Egitto: il mio spirito sarà con voi, non temete" (Agg. 2,45). Il Signore Dio comanda il popolo a continuare il lavoro della ricostruzione del Tempio, ed Egli sprona il popolo a far il loro lavoro con fiducia. "Non abbiate paura!" ovvero: "Non preoccupatevi! Sarete in grado di portar a compimento la ricostruzione del Tempio". In più, il profeta guarda verso il futuro e dice: "La gloria futura di questo Tempio sarà più grande di quella del primo: in questo luogo io darò prosperità e pace, assicura il Signore degli eserciti" (Agg 2,9). La gloria del Tempio, ora in costruzione, supererà un giorno quella di oggi. Il Signore, inoltre, promette al suo popolo benedizioni materiali e spirituali per il futuro. La stessa promessa ritorna nel terzo discorso profetico. Il popolo di Israele ha preso di nuovo a cuore la ricostruzione del Tempio, e aprendo così la strada a nuove benedizioni da parte di Dio. Dice, infatti, il Signore Dio: "Da questo giorno in poi rifletti con cura. Avete avuto delle messi misere nel passato, ma da ora in poi le cose miglioreranno" (2, 15-19). Commento spirituale Se guardiamo intorno a noi, constatiamo assai presto che le difficioltà e i problemi non mancano, né nel Mondo in generale, né nella Chiesa, né nella nostra vita personale. Non di rado si sente dire: "La società non è più come quella di una volta!" ed ancora: "Ormai, la Chiesa non è più quella di una volta!", esclamazioni dove si sottintende che la situazione nel passato era migliore e dove insieme si esprime una specie di impotenza davanti alla condizione attuale, che sembra precipitarsi verso la sfacimento. Sarebbe stoltezza considerare queste osservazioni soltanto come frutto di pessimismo, di mentalità arretrata, di velata ostilità contro tutto ciò che si chiama aggiornamento o cambiamento. A tali persone, del resto, soprattutto quando sono intelligenti, non manca la consapevolezza delle reali esigenze di un adattamento: il mondo va avanti, e coloro che si ritirano in disparte, sia per disprezzo sia per pusillanimità o stanchezza, sanno in fondo di isolarsi e ripiegarsi su se stessi a loro danno. Rimane il fatto, ad esempio, della diminuzione delle vocazioni per il sacerdozio o la vita religiosa. Le preoccupazioni pastorali per il futuro sono più che giustificate. Ma non basta essere preoccupati. Che cosa fare? Piangersi addosso, lamentarsi amaramente, rimpiangere ciò che è stato, tutto ciò serve a poco o a nulla. Qualcuno, tuttavia, potrebbe essere tentato di lasciar cadere le braccia, di arrendersi alla realtà. Ovviamente, non ci sono soluzioni prefabbricate – come le case -; bisogna mettersi seriamente al lavoro, darsi fiduciosamente la mano e faticare insieme. In questo, appunto, ci aiuta il profeta Aggeo, il quale porta un messaggio messianico di speranza. Come il profeta, anche noi possiamo esortare chi è sfiduciato: "Coraggio! Reagisci! Resisti! Combatti! Mettiti al lavoro!". Il messaggio biblico non è triste ma lieto, non è cattivo ma buono! La nostra responsabilità è rimanere fiduciosi, saper consolare e riconciliare. Il profeta Aggeo conosce la situazione della sua gente, egli parte dai fatti concreti loro concernenti e ne indica il senso. Sappiamo che il voler comprendere i dati concreti della nostra gente richiede attenzione, studio, riflessione, fatica, condivisione e preghiera. Ecco alcuni dei mezzi a nostra disposizione per farci una cultura appropriata. Il profeta annunzia un benessere materiale e spirituale, cioè un benessere che riguarda l'uomo intero. Guai a credere, quindi, che basti all'uomo solo il benessere materiale o solo quello spirituale. Il profeta Aggeo è un uomo, che è rimasto sempre con il suo popolo vivendo in mezzo a loro; le parole schiette di questo anziano rivelano la sua fedeltà personale alla sua gente. Questa sua fedeltà si dimostra, appunto, nel suo amore critico per il suo popolo. Nessuno di noi è perfetto, nessuno di noi sa tutto, nessuno di noi può fare tutto: perciò abbiamo bisogno di 6 CONSIGLIO PASTORALE NAZIONALE - 2009 rapporti critici, di amicizia critica per poter crescere personalmente e di far crescere i nostri in conoscenza di verità e di giustizia. In Luca (9, 61-62) il Signore avverte: "Chiunque mette mano all'aratro e si volta indietro, non è adatto per il Regno di Dio". Non si tratta di due momenti distinti, poiché quando si prende l'aratro nella mano, bisogna darsi totalmente. Cristo parla qui con vigore: "Se vuoi seguirmi, vieni, e dà tutto te stesso". Si deve seguire Cristo sul cammino di Cristo per stabilire il regno di Dio. Ciò significa entrare nel mistero di Cristo quale egli è, e Gesù sconvolge. In Matteo (11, 6) leggiamo: "Ed è beato colui che non troverà in me occasione di scandalo". Non dobbiamo falsificare la Parola di Dio ma predicarla come è: "Infatti, afferma Paolo (2 Cor, 2,17), noi non falsiamo, come tanti, la Parola di Dio, ma la predichiamo com'è nella sua purezza, come viene da Dio, davanti a Dio, in Cristo". Ed ancora: "Ma ripudiamo i camuffamenti vergognosi, non procedendo con astuzia, né falsificando la Parola di Dio; manifestando invece chiaramente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di Dio" (2 Cor, 4, 2). Si potrebbe dire che gli Israeliti del tempo di Aggeo non si comportavano come il Signore Gesù insegnerà più tardi ai suoi discepoli: "Vi dico di non angustiarvi a pensare al cibo e al bere per mantenervi in vita, e ai vestiti per coprire il corpo. Certo la vita vale più del cibo, il corpo più dei vestiti" (Mt 6, 25). Ed ancora: "Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta" (Mt 6, 33). San Paolo esorta i cristiani di Roma ad essere vigilanti (Rom 13, 11-14). L'Apostolo "non chiede ai cristiani romani di svegliarsi o di spogliarsi dalle opere delle tenebre per la prima volta, ma rammenta loro che vigilanza e resistenza alle seduzioni del paganesimo sono una necessità costante per coloro che si sono arruolati come soldati della luce"11. Si nota la grande passione di Aggeo per il Tempio, convinto come è che la ricostruzione del Tempio è la premessa indispensabile per una sicura restaurazione della nazione e del popolo. Tale passione gli rende audace e coraggioso, fermo e deciso nel trasmettere il messaggio di Dio; capace di sostenere il popolo esausto, di risvegliare le loro forze morali, di infondere nelle loro anime slancio umano e spirituale, di comunicare un senso di speranza e di futuro. Uno dei nostri compiti più ardui è proprio quello di assicurare all'uomo in difficoltà un po' di futuro. Saper aprire all'uomo provato una porta su un mondo migliore, realmente diverso da quello in cui vive attualmente. C'è un tempo per riflettere sul passato, c'è un tempo per rendersi conto dello stato del presente, e c'è un tempo per guardare in avanti. C'è un tempo per la nostalgia del passato e c'è un tempo per la nostalgia del futuro. Il male ci rinchiude nel passato, il bene ci indirzza verso il futuro. L'immagine della Chiesa come il Popolo di Dio in cammino è proprio bella. Il Popolo di Dio, pur fra difficoltà di ogni tipo, è un popolo in cammino verso un futuro. Jahweh esorta il popolo a mettersi al lavoro, cioè a darsi da fare per ricostruire il Tempio. Nel Vangelo Gesù rivela che saremo giudicati sulla carità. E la carità s'esprime in parole di consolazione e in azioni concrete: "Avevo fame, avevo sete, ero nudo" (Mt 25, 35-36). Bisogna farsi prossimo con parole di conforto e con atti di soccorso (1 Gv 3, 18). Le difficoltà e le prove possono migliorare l'uomo, ma esse possono anche peggiorarlo e perfino distruggerlo. L'aiuto reale comincia con una domanda: che cosa posso fare io concretamente? Ed ancora: che cosa possiamo, anzi che cosa dobbiamo fare per un uomo in difficoltà? Di risposte ce ne sono tante, ma quella mia personale dipende grandemente dalla luce o dalla'oscurità presenti nella mia anima. Ed ancora: il cambiamento, il miglioramento che tutti noi desideriamo si realizza attraverso un passo concreto per volta. Diceva il Signore Dio al popolo rincuorato: "Da questo giorno in poi rifletti con cura". La vita quotidiana si regge sulla riflessione, sulla preghiera, sulla meditazione. In Israele vigeva la credenza che Dio avesse promesso a Davide una dinastia senza fine (2 Sam 7, 13; Sal 89,5). Quando leggiamo i Libri dei Re ci rendiamo conto – come fecero pure gli Israeliti di quel tempo – che quanti sedevano realmente sul trono di Davide non erano all'altezza della loro funzione. In realtà, l'estinzione della stirpe di Davide ebbe inizio con la deposizione di Jojakin (2 Re 24, 12) e culminò nella scomparsa di suo nipote Zorobabele, nel 11 R. L. WILKEN, p. 326. 7 CONSIGLIO PASTORALE NAZIONALE - 2009 quale era stata riposta una speranza momentanea di restaurazione (Agg 2, 20-23; Zacc. 3, 4). Questo processo storico ha fatto sì che la figura di un re ideale fu proiettata nel futuro e così nacque il messianismo con la sua speranza di un futuro migliore. Nelle parole di Aggeo possiamo, quindi, cogliere una profezia messianica. Dal punto di vista cristiano, tale profezia si è verificata nella figura di Gesù Cristo, che ha frequentato il Tempio, ricostruito appunto nel tempo di Aggeo e rifatto da Erode il Grande a partire dal 20 a.C. 8