sped. abb. post. art. 2 comma 20/c Legge 662/96 — Filiale di Bergamo FOGLI DI COLLE 1 9 5 GAMENTO ottobre D E G L I 2 0 0 4 OBIETTORI 3 4 6 8 catastrofe Darfur: cosa c’è dietro viaggio nel cuore dell’inferno By Simona at 5:12 pm, 9/29/04 il diritto di difendere la Patria senz’armi liberatele! (ci siamo cascati?) naja addio! 2 FOGLI 195 AAA Babau disoccupato cerca armadio DI COLLE 1 9 5 GAMENTO ottobre D E G L I 2 0 0 4 OBIETTORI Simona Gauri Autorizzazione del Tribunale di Bergamo n. 2 del 21 agosto 1984 Chiuso in tipografia il 21.08.2004 Redazione e amministrazione Via Scuri, 1/c • 24128 Bergamo Tel. 035/260073 • Fax 035/403220 [email protected] [email protected] Direttore responsabile Roberto Cremaschi Coordinatore di redazione Simona Gauri Opinionista Claudio Di Blasi Esperto legale Alessandro Pedone Hanno collaborato a questo numero Chiara Madaro Sara Polattini Flavio Terzi Grafica Franco M. Sonzogni Fotolito A.Effe snc, Caravaggio Stampa Coop. CLAS, Bergamo Sottoscrizione annuale: (12,91 (L. 25.000) da versare sul c/cp n. 13015243 intestato a “Fogli di collegamento degli obiettori” via Scuri, 1/c – 24128 Bergamo Le immagini sono tratte da: Internet, Linus Stampato su carta riciclata FOGLI di collegamento degli obiettori Per stampare questo periodico non è stato abbattuto nessun albero è associato a VOCI DELL’ITALIETTA periodico associato USPI – Unione Italiana Stampa Periodica Mi trovavo a Barcellona quando a Beslan è scoppiato l’inferno. Appresi la notizia per caso, mentre armeggiavo con una cartina turistica sul letto dell’hotel, e la cronista di Telecinco dava in modo concitato la notizia nel suo spagnolo ultrarapido. Quello che captavo io era un continuo rimandare ai “terroristos armados” e ai “niños”. Ed è stato qui, dopo aver afferrato che in qualche modo c’entravano dei bambini, che alzai la testa per guardare le immagini. Le immagini hanno un potere altissimo nel catturare la nostra attenzione. In un certo modo, capendo “a mozzichi” lo spagnolo, la vista di quelle immagini mi ha subito prodotto un gran turbinare di pensieri, per cercare di ricostruire che cosa fosse mai successo. Perché i soldati nella scuola, perché proprio quella scuola, chi uccideva e chi era stato ucciso… e che cosa ci facevano tutti quei ragazzini nudi che scappavano per strada? Devo ammettere che riuscii a mettere insieme delle teorie piuttosto convincenti, dentro di me, pur continuando a non capire i perché e percome. Dovetti aspettare il giorno dopo per capirci qualcosa di più e constatare che non ci avevo preso una virgola: “La Vanguardia”, splendido esempio di quotidiano catalano, dedicava sette pagine alla tragedia del Caucaso. “La Russia piange un massacro inspiegabile”, titolava il giornale. Nei giorni successivi, grazie alle magie del satellite, riuscii a guardare il Tg1 casereccio, con un certo rammarico alla vista dei soliti servizi superficiali tipici del Belpaese in cui sembra di guardare una telenovela a puntate che finisce con la suspence, mentre il Tg di Telecinco forniva approfondimenti su approfondimenti dei fatti, raccoglieva testimonianze, proponeva interviste. Tornata in Italia, raccolsi in pieno l’ondata mediatica del proliferare dello psicologo al tiggì, che spiega ai genitori che sarebbe meglio “abituare i bambini” al fatto di essere sotto assedio terroristico, e che queste cose succedono ovunque nel mondo, e anche a noi potrebbero succedere da un momento all’altro: stanno per diventare “normali”. Se spiegare la violenza ai bambini come un fatto normale e inevitabile, che prima o poi capita a tutti, possa essere una terapia o una panacea non mi è dato dire… Se queste persone pensano che mandare in pensione il babau per aprire gli armadi al terrorista musulmano cattivo, mi chiedo come possano i bambini comprendere davvero quello che accade nel mondo, e, guarda caso, proprio in quei Paesi, in quelle scuole, in quelle aree del mondo geopoliticamente interessanti dal punto di vista economico, ricchi di petrolio, di fonti energetiche e materie prime, che malauguratamente sono finite proprio lì e non dove il grande leader della grande nazione vorrebbe che fosse. Non sarebbe forse meglio spiegare ai bambini che le cose non sono come sembrano? Che ciò che vediamo non è quasi mai quel che sembra? Perché gli psicologi che predicano in tv non ci danno l’unico, saggio consiglio di abituare i nostri figli a pensare, a ragionare, a parlare e a mettersi in discussione, anziché bersi così com’è tutto quello che passa attraverso la finestrella catodica di casa? Perché, davanti a quelle immagini terribili, non tentiamo di spiegare ai nostri figli che cos’è la pace? FOGLI 195 3 guerra CATASTROFE DARFUR: CHE COSA C’È DIETRO? Chiara Madaro Le cose sono sempre più complicate di quello che sembrano e i fatti che si segnalano negli ultimi tempi nel Darfur, regione del Sudan, sono la perfetta dimostrazione di questa massima. Da dove incominciare? Dai soliti intrighi internazionali dal sapore economico–politico? O dai personaggi che “giocano” sullo scacchiere di Sudan e dintorni? C’è chi fa risalire i motivi di questi massacri a ragioni storiche che affondano le radici nei tempi dell’Impero Ottomano, e chi, invece, trova il movente nella progressiva desertificazione di quest’area dell’Africa iniziata negli anni Settanta e la successiva migrazione dei pastori verso terre ancora fertili con il risultato di una rivalità tra tribù nomadi e sedentarie. Tanto per citare una fonte, Lucio Caracciolo — direttore della rivista di geopolitica “Limes” — sostiene che “la logica in tutto questo è la guerra attraverso cui si verificano una serie di scambi che altrimenti non esisterebbero”. Al momento sul Darfur circolano notizie agghiaccianti che parlano di quantità enormi di profughi e di pulizia etnica. L’UNICEF riporta la notizia di bande di bambini tra i 10 e i 14 anni, tutti orfani sfuggiti a massacri, che girano armati per la regione saccheggiando e massacrando a loro volta. Agirebbero per fame e disperazione e non secondo direttive politiche e razziali. Sono il probabile risultato dei “diavoli a cavallo”, i Janjaweed, miliziani filogovernativi arabi che terrorizzano il Darfur. È questo un nodo che difficilmente il Sudan riuscirà a sciogliere: arrestare e processare i capi di queste bande è pressoché impossibile perché sono tutti inseriti nell’esercito regolare con spillette d’alto rango. In una recente ed eccezionale intervista, Mohammed al Fodl, accusato di essere il leader ispiratore dei Janjaweed — ma ufficialmente presidente di una florida società commerciale — ha dichiarato che che “i diavoli a cavallo non esistono, sono un’invenzione della campagna antisudanese; i veri massacratori sono i tora–bora, i ribelli dello SLA (Sudan Liberation Army) e del JEM (Justice and Equality Movement) che si nascondono sulle montagne. E, comunque, la soluzione la possiamo trovare solo noi”. La regione è occupata a nord da 22 milioni di abitanti di origine araba e grandi centri urbani contro un sud paludoso dove vivono 6 milioni di abitanti, tutti cristiano–animisti. Qui lo schema sociale è di tipo rurale e tribale, con una forte frammentazione etnica e linguistica che rende difficile un’amalgama. Ma una grossa responsabilità della crisi che da 19 anni vive il Sudan viene anche da oltreconfine. I primi segnali della crisi arrivarono nell’85 quando un sedicente gruppo di “alleanza araba” dichiarò di voler unificare le 27 tribù arabe contro i “neri”. Da qui nacquero nuove tensioni tra Arabi e Cristiani. Le ripicche continuarono in questo modo fino al 2000, anno della pubblicazione del Black Book, un libro in cui si tenta di dimostrare che i neri nel Darfur non sono politicamente e socialmente rappresentati e si sostiene la necessità prendere le armi per sottrarsi a questo stato d’emarginazione. Finché nel 2001 un ex membro del partito islamista lasciò Khartoum. Tornò in Darfur due anni dopo, alla testa dell’Armata di Liberazione del Sudan. Roland Marchal, ricercatore del CERI (Centro Studi e Ricerche Internazionali), afferma che il Darfur in passato è servito come base ai ribelli del Ciad, che negli anni Ottanta erano riforniti dalla Libia da enormi quantità d’armi per sostenere i “gruppi amici”. Oggi Gheddafi collabora e fa accordi con l’Unione Europea per l’apertura di un corridoio umanitario con il Ciad, ma è proprio da questi rifornimenti che negli stessi anni il Ciad inviava armi e munizioni ai Fur che danno il nome alla regione, che all’epoca combattevano contro gli Zagawa e che insieme a questi ultimi ed ai Masalit sono i tre gruppi africani del Darfur. A complicare tutto questo si aggiungono anche gli interessi della Cina, che esterna sempre più interessi globali ed è anche il maggior importatore del petrolio sudanese, spalleggiata da Russia e Pakistan nelle obiezioni alle risoluzioni ONU che mirano proprio alle sanzioni sul petrolio. Di contro gli USA affermano la necessità dell’uso della fermezza e insieme alla Francia insistono per una veloce soluzione del problema. C’è da chiedersi se con le premesse che sono alla base del “caso Darfur”, la fretta di concludere non possa invece creare un ulteriore e maggiore incrudimento del conflitto. Una cosa è certa: il Darfur non è la regione dimenticata che ci hanno venduto sinora i media, ma è una regione “bollente”, al centro degli interessi di molte, forse troppe, potenze internazionali. 4 FOGLI 195 rubrica VIAGGIO NEL CUORE DELL’INFERNO Chiara Madaro La testimonianza di un volontario di Medici Senza Frontiere nel Darfur Per capire meglio che cosa sta succedendo nel Darfur, siamo entrati in contatto con Andrea, volontario di Medici Senza Frontiere attualmente nella regione, che ci ha fornito una testimonianza diretta della situazione. Andrea è stato, da marzo a giugno, il coordinatore del progetto MSF a Murnei, che è solo uno dei tanti progetti di MSF in Darfur e nel vicino Ciad. Pur nella parzialità dell’esperienza del volontario, Murnei è il villaggio del West Darfur in cui si sono rifugiati il numero maggiore di profughi e per molti aspetti è una realtà esemplificativa di quel che sta succedendo laggiù attualmente. Andrea, cosa sta succedendo in Darfur? Chi scappa? E da chi? Quando ha avuto inizio il conflitto? In Darfur si combatte ormai da febbraio 2003. Fu allora che cominciò la guerriglia del gruppo ribelle Sudan Liberation Army, che rivendicava migliori condizioni per le popolazioni del Darfur ed una più equa ridistribuzione della ricchezza all’interno del Paese. Il governo di Khartoum rispose duramente agli attacchi dei ribelli utilizzando mezzi pesanti, bombardamenti aerei ed appoggiando con armi e denaro le tribù arabe, i Janjaweid, tradizionalmente ostili alle popolazioni sedentarie della regione. Dal mese di novembre un secondo movimento ribelle ostile al regime di Khartoum, il Justice and Equality Movement, è intervenuto nel conflitto. L’azione combinata di esercito regolare e milizie arabe ha costretto la popolazione civile a lasciare i villaggi, completamente rasi al suolo e bruciati, e a rifugiarsi nelle maggiori città per fuggire alla violenza ed alla morte. Da quanto tempo MSF è presente sul territorio? Quanti siete? MSF è presente in Darfur dalla metà del dicembre 2003. Il progetto di Murnei ha avuto inizio nel febbraio 2004, nonostante le condizioni di sicurezza ancora critiche. In Ciad invece l’intervento di MSF per i rifugiati sudanesi ha avuto inizio nel mese di settembre dell´anno scorso. All’inizio a Murnei eravamo soltanto tre: io (medico), un’infermiera francese ed un logista tunisino. Questo essenzialmente per l’estrema difficoltà ad ottenere dal governo di Khartoum i visti ed i permessi per recarsi in Darfur. Fortunatamente potevamo contare sul lavoro di oltre 160 Sudanesi tra cui infermieri, assistenti nutrizionali, cuochi, guardiani, logisti… più un numero imprecisato di lavoratori giornalieri. Attualmente l’équipe di Murnei è composta da 7–8 espatriati e, in tutto il Darfur, ci sono ora oltre 100 volontari internazionali e 2.000 Sudanesi che lavorano in diversi progetti di assistenza per circa 400.000 persone. In quelle zone l’inizio dell’autunno corrisponde al periodo delle piogge: com’è la vita nei campi profughi? Quante sono le persone ospitate? A Murnei vivono circa 80.000 profughi, provenienti da oltre 100 villaggi, che oggi non esistono più. Tutti coloro che si sono rifugiati a Murnei hanno lasciato una casa in fiamme e tutti i loro beni. La maggior parte ha perso qualcuno della famiglia, ucciso durante gli attacchi al villaggio. La gente vive in condizioni miserevoli: ammassati in capanne, gli uni sugli altri. Senza cibo, latrine e un riparo per la pioggia. Gli uomini non si allontanano mai dal villaggio, per paura di essere uccisi; già molti maschi adulti mancano all’appello. Le donne partono all’alba per cercare legna, acqua e cibo, correndo il rischio di incontrare i Janjaweid e di essere picchiate, rapite e stuprate. Gli stupri sono frequenti e Murnei è una prigione a cielo aperto. Con l’arrivo delle piogge, poi, aumenta il rischio di epidemie legato alla scarsa igiene e si moltiplicano i casi di malaria, col risultato di aggravare la già precaria situazione sanitaria. Un ulteriore problema arrecato dalle piogge è la mancanza di riparo: spesso le baracche che ospitano famiglie anche numerose sono costituite da rami intrecciati e non hanno copertura. Per una popolazione che da mesi vive in condizioni già al limite della sopravvivenza, questo rappresenta un altro grave flagello. Oltretutto, l’accesso a Murnei e ad altre zone è più difficile a causa di alcune strade assolutamente impraticabili: questo rende ancora più difficile il nostro lavoro e quello delle altre rare organizzazioni umanitarie. Quale è il lavoro di voi medici e volontari e quali sono i problemi più gravi da fronteggiare? Dall’inizio di febbraio ci occupiamo delle cure mediche, delle urgenze, dei bimbi malnutriti. Ogni giorno forniamo consultazioni e cure gratuite ai più bisognosi e ricoveriamo i casi più gravi nell’ospedale che abbiamo costruito. Abbiamo vaccinato contro il morbillo più di 14.000 bimbi e facciamo periodicamente distribuzioni di cibo, perché la General Food Distribution del PAM spesso è in ritardo e insufficiente. Ogni giorno distribuiamo alla popolazione acqua potabile in gran quantità. Nonostante ciò la situazione è critica, la mortalità ancora elevata e a Murnei si continua a morire per mancanza d’assistenza appropriata. Un rapporto dell’UNICEF parla di piccoli orfani armati che saccheggiano, uccidono per fame, seminano il terrore: quali notizie avete su questi fatti così agghiaccianti? Esiste un progetto di recupero per questi bambini? Non conosco il rapporto dell’UNICEF in questione e non ho mai sentito parlare di fatti del genere. Sicuramente niente di tutto ciò si è verificato durante la mia permanenza a Murnei. Puoi confermare che ci sono delle aree che per ragioni di sicurezza non possono essere raggiunte? Chi occupa quelle zone? Nonostante il cessate il fuoco e il permesso per gli operatori umanitari di muoversi liberamente in tutta la regione, ci è ancora negato l’accesso ad alcune zone. Abbiamo notizie di villaggi che ospitano FOGLI 195 migliaia di rifugiati senza alcuna assistenza e per i quali non possiamo fare nulla. La motivazione principale fornita dai rappresentanti del governo è la mancanza di sicurezza, anche se le zone dove è più difficile portare aiuto sono quelle controllate dai ribelli e laddove una presenza straniera (che porti aiuto, ma anche che sia testimone) può risultare scomoda. Con la stagione delle piogge, comunque, grandi difficoltà logistiche limitano ogni movimento nella regione. In tutto questo quale è l’atteggiamento del governo? Cosa sta facendo l’Unione Africana? C’è collaborazione con voi volontari? Secondo il governo la guerra è finita e i rifugiati possono rientrare nei villaggi… che non esistono più. Esiste quindi un progetto del governo che mira a riportare i profughi nei propri villaggi, anche con la forza, senza che siano però garantite le necessarie condizioni di sicurezza ed assistenza. A Murnei e altrove abbiamo assistito a tentativi di intimidazione in questo senso. Su questa questione MSF ha una posizione assolutamente critica e vigilante, date le condizioni già precarie della popolazione, la totale dipendenza dei profughi dall’aiuto umanitario e l’impossibilità di fornire questo stesso aiuto nei villaggi d’origine. Senza contare la violenza e l’insicurezza che tuttora esistono nella regione. Oggi il governo non blocca più l’arrivo di aiuti umanitari e la procedura per ottene- re il visto e recarsi in Darfur è di gran lunga meno complessa. È già qualcosa… Puoi raccontarci un aneddoto personale, un fatto che ti è rimasto particolarmente impresso nella tua missione a Murnei? Una notte, nel pieno della notte, fummo svegliati per un’urgenza: due donne ferite da arma da fuoco. Come al solito ci demmo subito da fare con le prime cure. Una aveva numerose ferite ad una gamba ed un ginocchio distrutto, ma la nostra attenzione fu subito attratta dalla più giovane, di una quindicina d’anni, che si trovava in condizioni ben più preoccupanti in quanto una pallottola le era passata attraverso il busto, da parte a parte, ledendole la colonna e forse qualche organo vitale. Decidemmo di trasferirla per una chirurgia d’urgenza nell’ospedale più vicino e partì alle prime luci dell’alba perché durante la notte nessun movimento era possibile, per ragioni di sicurezza. Soprattutto nei mesi di febbraio e marzo, molti arrivarono nel nostro centro con ferite da arma da fuoco. Ma questa volta la differenza (e ciò che rende una guerra ancora più assurda), fu che le due erano state ferite dal padre della ragazza più giovane, un militare dell’esercito governativo a Murnei, perché non avevano risposto al suo “Altolà” durante il turno di guardia. La sventurata arrivò all’ospedale di Nyala in tempo per essere operata d’urgenza. Morì poco dopo, uccisa da suo padre”. Andrea e un altro “medico senza frontiere” assistono una donna sudanese ed il suo piccolo 5 6 FOGLI 195 il caso giuridico IL DIRITTO DI DIFENDERE LA PATRIA SENZ’ARMI Simona Gauri Il servizio civile? È affar di Stato. Per chi avesse qualche dubbio al riguardo, ci ha pensato la Corte Costituzionale a ribadirlo, con la sentenza n. 228/2004 che ha bocciato i due ricorsi della Provincia autonoma di Trento contro alcuni commi del decreto legislativo n. 77 del 5 aprile 2002. La querelle, inizialmente questione di impiego del pubblico denaro, si è aperta nel 2001, quando la Provincia autonoma di Trento ha impugnato gli articoli 7, 8 e 10 della legge del 6 marzo del 2001 (quella che istituiva il Servizio Civile Nazionale) sostenendo che gli stessi violassero lo statuto speciale di autonomia della Regione e quindi le norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, la potestà statale di indirizzo e coordinamento, oltre all’autonomia finanziaria della Provincia, garantita quest’ultima dalle norme per il coordinamento della finanza della Regione Trentino Alto Adige e delle Province autonome di Trento e di Bolzano con la riforma tributaria. Ma, al di là dei dettagli tecnici, durante il dibattimento della causa è scaturita una profonda analisi del concetto di servizio civile volontario, che ha sviscerato il senso di che cosa significa, per un cittadino italiano, avere il diritto di difendere la Patria senz’armi. La materia del contendere Di fronte al problema posto dalla Provincia autonoma di Trento, la Corte Costituzionale non ha potuto ignorare che, in effetti, la disciplina della legge n. 64 del 2001 “interseca” molte delle materie affidate alle competenze legislative e amministrative della Provincia di Trento, in particolare quelle in tema di ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto, di tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare, di manifestazioni e attività artistiche, culturali, educative e sociali, di urbanistica, di tutela del paesaggio, di opere di prevenzione e pronto soccorso per calamità pubbliche, di apicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna, di lavori pubblici, di turismo, di agricoltura e foreste, di lavoro, di assistenza e beneficenza pubblica, di addestramento e formazione professionale, di istruzione elementare e secondaria nonché di igiene e sanità. Tutte le materie, in poche parole, oggetto di progetti di servizio civile e delle finalità stesse del servizio. fondo dei ricorsi, incentrati sulla distinzione tra la disciplina giuridica generale del servizio civile (spettante allo Stato) e la regolarizzazione delle attività nelle quali il servizio consiste (spettante alla Provincia in rapporto agli ambiti materiali interessati). Tutto questo, inoltre, con il presupposto che allo Stato spetti solamente la disciplina giuridica generale del servizio civile nella misura in cui lo svolgimento dello stesso determini l’assolvimento degli obblighi di leva, mentre alla Provincia autonoma dovrebbe spettare la disciplina delle attività concrete nelle quali si realizza il servizio civile, proprio perché queste rientrano in ambiti materiali di competenza provinciale. Secondo la tesi dell’Avvocatura statale, infatti, il servizio civile non sarebbe finalizzato al raggiungimento degli obiettivi propri delle materie che la Provincia rivendica, ma sarebbe svolto in funzione dei diversi e molteplici obiettivi che la legge istitutiva definisce. Alla stregua di questo connotato di base del servizio “che involge interessi unitari e nazionali”, le singole disposizioni statali contestate non potrebbero dunque dirsi invasive delle competenze provinciali. La legge n. 64 del 2001, invece, attribuisce all’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile il compito di curare l’organizzazione, l’attuazione e lo svolgimento del servizio, stabilendo che esso approva i progetti di impiego predisposti dalle amministrazioni di Regioni e Province autonome, coordinando i progetti con la programmazione nazionale. La legge prevede inoltre che la costituzione in ambito regionale e provinciale di strutture burocratiche statali e attribuisce allo Stato il potere di determinare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri “crediti formativi” per i cittadini che prestano il servizio civile, rilevanti ai fini dell’istruzione o della formazione professionale. Inoltre, sempre con regolamento statale vengono determinati caratteristiche e standard di utilità sociale dei progetti di impiego, i criteri per il riparto dei finanziamenti, i modi di verifica e controllo sui progetti. Tutto ciò, quindi, va ad incidere sulle materie attribuite dallo statuto speciale alle competenze legislative e amministrative della Provincia, ponendosi dunque in contrasto con lo statuto stesso. Chi svolge servizio difende la Patria Di fronte a questa quantità di argomentazioni, il Presidente del Consiglio dei Ministri — tramite l’Avvocatura generale dello Stato — ha contestato l’argomento di Ma Trento non ci sta Di fronte a questa posizione, la Provincia autonoma di Trento ha depositato una memoria, nella quale contesta l’impostazione della difesa erariale in quanto essa non dimostra la ragione della necessaria “unitarietà” ed affermando che lo Stato non potrebbe, attraverso la mera qualificazione del servizio civile come “nazionale”, autofondare la competenza e prevedere così una gestione del tutto accentrata delle attività in questione. Colpi e contraccolpi A questo punto inizia il vero dibattito sulla natura del servizio civile: l’Avvocatura generale dello Stato ha ribattuto — in una propria memoria — che il servizio civile partecipa alla medesima natura del servizio di leva, quale prestazione equivalente a quest’ultimo e riconducibile stessa idea di difesa della Patria. Per tale sua natura, esso attenderebbe a materia di spettanza dello Stato (difesa e forze armate), indipendentemente dalle “interferenze” che possono determinarsi con alcune competenze provinciali. La Provincia autonoma di Trento ha però ribadito la non riconducibilità del servizio civile al concetto di difesa per la Patria, sottolineando come anche sia data la pos- FOGLI 195 sibilità di svolgerlo anche a soggetti non tenuti agli adempimenti di leva, come donne e cittadini inabili al servizio militare. Inoltre, sempre secondo la Provincia di Trento, la base volontaria del servizio civile, lo distingue dal servizio prestato dagli obiettori in alternativa al servizio militare obbligatorio. Tant’è che questo è stato abolito a partire dal 1o gennaio del 2005, salva la reviviscenza in ipotesi eccezionali ed estreme come situazioni di guerra e di gravissima crisi internazionale. Per questi motivi il servizio civile volontario è radicalmente diverso da quello obbligatorio, trattandosi di un servizio volontario che non ha più alcun collegamento con la prestazione militare. Il nomen di servizio civile è dunque comunque, ma la sostanza della disciplina è radicalmente diversa. La sentenza Il diritto di difendere la Patria senz’armi Della sentenza si è dichiarato pienamente soddisfatto il ministro Carlo Giovanardi, che ha espresso “viva soddisfazione per la sentenza della Corte costituzionale”. Secondo il ministro, infatti “tale pronuncia ha, per tutti gli operatori del settore, fondamentale importanza in quanto chiarisce in modo netto i diversi ruoli che ogni livello di Governo è chiamato a svolgere nella materia”. Ma non solo: “La suprema Corte, nel sostenere che molti sono i principi costituzionali sui quali si fonda il servizio civile nazionale, testualmente afferma: Accanto alla difesa militare può ben dunque collocarsi un’altra forma di difesa, per così dire, civile, che si traduce nella prestazione di comportamenti di impegno sociale non armato”. L’Avvocatura generale dello Stato, a questo punto, ha dovuto analizzare a fondo il concetto di difesa della Patria: il servizio civile è e resta un servizio alternativo alla prestazione militare e “concorre, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari”. Questa connotazione non viene meno per il solo fatto che il servizio militare perde il proprio carattere di obbligatorietà: una simile conclusione — spiega l’Avvocatura — è sostenuta dalla Provincia sul presupposto che solo il servizio militare obbligatorio sia strumentale alla “difesa della Patria”, intesa restrittivamente come contrasto di una estrema aggressione esterna, e che pertanto ogni altra attività non militare sarebbe come tale estranea alla competenza statale in materia di “difesa”. Ma tale lettura secondo l’Avvocatura è inesatta: il servizio civile, prestato anche su base esclusivamente volontaria, persegue finalità corrispondenti alla prestazione militare e mantiene intatto il parallelismo con quest’ultima che caratterizza il servizio civile alternativo dettato da obiezione di coscienza. Proprio per questo, il servizio civile rientra nell’ambito della “difesa e forze armate”, che è materia di competenza esclusiva dello Stato. Accogliendo le teorie dell’Avvocatura, la Corte Costituzionale ha così dichiarato non fondate le questioni di illegittimità costituzionale degli articoli impugnati dalla Provincia autonoma di Trento. “Il dovere di difendere la Patria deve essere letto alla luce del principio di solidarietà espresso nell’art. 2 della Costituzione — si legge nella sentenza — le cui virtualità trascendono l’area degli obblighi normativamente imposti chiamando la persona ad agire non solo per imposizione di una autorità ma anche per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa. In questo contesto, il servizio civile tende a proporsi come forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria”. Mandaci il tuo parere sulla sentenza: scrivi a [email protected] 7 8 FOGLI 195 terrorismo LIBERATELE! (CI SIAMO CASCATI?) SImona Gauri Sono i primi di settembre e il terrorismo è sulle prime pagine di tutti i giornali: mentre la strage di Beslan sconvolge l’opinione pubblica con un’invasione mediatica monopolizzante, da un’altra parte del mondo, in quell’Iraq dove la guerra non c’è ma si fa, le notizie di due ragazze italiane si fanno attendere. Sarà un’attesa destinata a durare, quella per i familiari di Simona Pari e Simona Torretta, le due pacifiste impegnate in Iraq, ben presto ribattezzate dai media “le due Simone”. Passano i giorni e dall’Iraq arriva la sconvolgente notizia dell’uccisione del giornalista Enzo Baldoni, corrispondente di “Diario” e volontario della Croce Rossa Italiana. motivazioni che vi hanno spinto a questo gesto, lasciate andare Simona Pari e Simona Torretta subito e senza condizioni, non lasciate che altra angoscia si assommi all’angoscia. Ciò che sconvolge non sono gli omicidi, non sono i rapimenti… ma le nuove vittime del terrorismo e, più in generale, di questa guerra senza frontiere che falcidia senza remore bambini innocenti, volontari di pace, ragazze che cercano di aiutare chi è in difficoltà e che si schierano da sempre contro la guerra e le ingiustizie. Questi fatti, in una successione di tempo così breve che è quasi difficile comprendere il filo sottile che li lega, hanno scatenato una reazione globale che si è ripercossa in ogni dove, in tutta Italia. Perché a fare notizia non sono i militari morti e feriti, non sono i grandi capi politici o carismatici. A fare notizia sono le persone comuni. Noi tutti… obbligati a essere parte di un gioco che non ci appartiene. E che, nel gioco (dei terroristi?), ci siamo caduti. La nostra comunità islamica in Italia non potrà accettare da voi altra soluzione che la rapida liberazione di Simona Pari e Simona Torretta e dei loro collaboratori iracheni, in nome del Dio di misericordia e di pace, se in voi c’è un briciolo di fede, in nome della solidarietà che loro hanno portato e che chi più ne aveva bisogno, in nome della giustizia tra le creature che religione e cultura impongono a tutti quanti”. Il gioco ha avuto un effetto domino, scatenando reazioni a catena che hanno finito per polarizzare l’interesse dei media: la prima a reagire è stata l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia, che ha diffuso il suo sdegno per l’accaduto con queste parole: “Nel nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso L’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia, appena messa al corrente del rapimento di Simona Pari e Simona Torretta ha lanciato questo appello ai sequestratori: Liberatele! Chiunque voi siate e qualunque siano le Liberatele! Testimoniate coscienza di un debito di riconoscenza nei confronti di coloro che hanno condiviso la sofferenza del popolo iracheno negli anni dell’embargo, che sono rimasti nel Paese quando dal cielo piovevano le bombe, che non l’hanno abbandonato neanche in questi mesi orribili di confusione e violenza. Liberateli! A questo appello ne è seguito un altro, quello del Comitato Fermiamo la Guerra e Un Ponte Per la liberazione: “Noi, movimento italiano per la pace, fratelli e sorelle di Simona Pari e Simona Torretta, operatrici di pace in Iraq, chiediamo alle persone che le detengono insieme ai due operatori iracheni, Ra’ ad Alì Abdul–Aziz e Mahnaz Bassam, di liberarli subito. Vi chiediamo di considerare quanto danno state provocando alla causa della pace e a quella del popolo iracheno. Come ha scritto l’Unione delle comunità islamiche in Italia, “testimoniate coscienza di un debito di riconoscenza nei confronti di coloro che hanno condiviso la sofferenza del popolo iracheno negli anni dell’embargo, che sono rimasti nel Paese quando dal cielo piovevano le bombe, che non l’hanno abbandonato neanche in questi mesi orribili di confusione e violenza”. Vi chiediamo di non spezzare quel filo di solidarietà che, nonostante e contro l’embargo prima e la guerra poi, nonostante e contro le scelte del nostro governo, persone come le nostre sorelle hanno mantenuto tenace- mente e coraggiosamente, ad esempio rifornendo di acqua la popolazione assediata di Falluja e Najaf. “Un ponte per”, la loro ONG, insieme a centinaia di organizzazioni sociali e politiche del nostro Paese, ha organizzato gigantesche manifestazioni a favore della pace e per il ritiro delle truppe straniere dall’Iraq, e ha cercato di non abbandonare gli Iracheni all’arbitrio dell’occupazione militare. In nome di questa lotta e della verità, vi scongiuriamo: liberateli subito. Al popolo iracheno e a tutti gli amanti della pace nel mondo, e in Italia, chiediamo di aiutarci nel tentativo di salvare la vita di Simona Pari, di Simona Torretta, di Ra’ ad Alì Abdul–Aziz, di Mahnaz Bassam. Erano a Baghdad a nome di tutti noi. Nella loro prigione siamo tutti noi, oggi. La loro liberazione sarebbe uno spiraglio di luce nel buio della violenza. Ancora in queste ore, in molte città irachene, la guerra miete vittime innocenti. Perciò continuiamo a chiedere con fermezza che tacciano le armi, che termini l’occupazione. Ogni forma di mobilitazione, di pressione, gli appelli e le fiaccolate, i messaggi ai rispettivi governi sono i mezzi di cui disponiamo, noi popolo della pace. Usiamoli tutti, adesso. Al movimento italiano chiediamo di scendere in piazza, in ogni città, da subito, con i colori dell’arcobaleno e nel nome delle nostre sorelle e dei nostri fratelli sequestrati in Iraq”. Appelli che non sono caduti nel silenzio: a mobilitarsi per la liberazione delle due ragazze non sono stati solo le centinaia di pacifisti italiani, ma anche l’accorato appello del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e lo straziante intervento del Papa nell’Angelus. Con il passare dei giorni però i toni mutano e iniziano a manifestarsi posizioni più forti e nette, come quella del CIPSI (Coordinamento Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale), che rappresenta 34 associazioni di solidarietà internazionale: “Simona Torretta e Simona Pari — ha dichiarato il presidente del CIPSI, Guido Barbera — pagano con la loro testimonianza e la loro scelta di stare da parte delle persone, dei più deboli, dei bambini in particolare, gli errori ed i fallimenti della politica internazionale degli ultimi anni. La forza e le armi non FOGLI 195 potranno mai sostituire il dialogo ed il confronto, strumenti che dovrebbero caratterizzare invece la politica”. Il CIPSI, infatti, manifesta la propria posizione di intransigenza nei confronti del terrorismo: nessuna giustificazione per le barbarie, nessuna comprensione per coloro che agiscono seminando ed alimentando terrori, violenza e rapimenti. “L’unità nazionale invocata dal nostro Governo — continua infatti Barbera — è indispensabile ed urgente, se finalizzata veramente a ridare un volto umano alla politica nazionale ed internazionale, ripartendo dall’attenzione alla persona, dal dialogo, dal rispetto, dalla pace”. “Iraq, Cecenia, Darfur, Uganda, Grandi Laghi… una catena di errori ed orrori, sempre più lunga! Forse varrebbe la pena che tutti noi ci mettessimo innanzitutto in ascolto della gente — conclude il Presidente del CIPSI, — dei veri leader di questi popoli, che spesso abitano fuori dai palazzi del potere. Ci accorgeremmo che esiste un’altra faccia della verità rispetto a quella che viene venduta. Una faccia fatta di gente che chiede soltanto di veder rispettato il suo diritto alla vita, di poter avere i mezzi minimi per auto organizzarsi. Che ha la capacità di gestire il proprio presente e il proprio futuro. Solo partendo da questa realtà sarà possibile per noi dare una mano alla soluzione di queste tragedie. Anche la cooperazione in questo contesto non dovrà continuare a fare semplici progetti, ma instaurare dei veri e propri rapporti politici, relazioni umane. Un nuovo volto della politica, ben più importante. Simona Torretta e Simona Pari questa scelta l’hanno fatta e testimoniata, nel silenzio e fuori dalle ribalte, insieme a tanti altri amici. Per questo non possono e non devono pagare per gli errori degli altri”. L’intervento del CIPSI fa riflettere, sia per la sua ferma posizione di condanna al terrorismo, che per le proposte — di tipo anche politico — sullo scacchiere internazionale e sul mondo del volontariato. E allora si rifà più acuto il senso di essere incappati in qualcosa che ci sfugge, di essere finiti dentro a un circolo vizioso che rischia di legittimare il muso duro contro chi ci ostacola nei nostri intenti. Abbiamo trovato conferma di queste sensazioni in una discussione informale in una mailing list di “musici e pacifisti”, della quale riportiamo un intervento che ci ha fatto riflettere ulteriormente e discutere: speriamo, con questo, di far sorgere dubbi a tutti coloro che, su questa questione, hanno troppe certezze. E perché la fobia del terrorista non diventi la caccia alle streghe del XXI secolo. “Forse con questo episodio si scende ancora più in basso, ma anche stavolta, specialmente in uno spazio veramente libero e costruttivo come è questa mailing list, vorrei dire la mia, senza offendere nessuno. Molti, saranno rimasti sorpresi dal seque- 9 stro delle due cooperanti, e soprattutto dalla cattura di persone che, come anche del resto il giornalista Baldoni, si sono distinti per le loro posizioni pacifiste e antimilitariste. Le ragazze erano andate là come volontarie per aiutare la gente di quel martoriato Paese che è l’Iraq, così come Baldoni era andato là per raccontarci quello che succedeva davvero, magari non la Verità, ma la sua verità, che era comunque una di quelle lontane dal coro di chi tutti i giorni parla di campagna trionfale e successi in Iraq, senza accorgersi che quella campagna continua ad essere intrisa di sangue innocente. non simpatizza per loro, quantomeno li giustifica e li comprende. Queste azioni non solo non portano un uomo in più alla causa pacifista di chi vorrebbe il ritiro dei contingenti armati dall’Iraq (ammesso sempre che sia quello l’obiettivo), ma paradossalmente rischiano di trascinare tutti quegli incerti e confusi che sono nel mezzo — e sono tanti! — dalla parte di chi invece sostiene che i soldati devono rimanere là perché con i terroristi ci vuole la linea dura. Io non sono affatto sorpreso, e vi spiego anche il perché: Tale suicidio politico, a mio modo di vedere, può essere dato da due fattori: o l’idiozia o la malafede. Insomma, o questi “terroristi” sono così idioti (magari perché ridotti alla disperazione perché sono braccati) da non capire che queste azioni non fanno altro che incrementare il consenso dell’ala interventista, trascinando dalla sua parte quei pacifisti incerti che, una volta che si vedono colpiti frontalmente, incominciano a ritenere anche loro la necessità della linea dura e dell’occupazione armata, oppure sono solo dei mercenari prezzolati che agiscono proprio allo scopo di cui sopra, e cioè colpire l’ala pacifista affinché la massa di indecisi che è nel mezzo reagisca spostandosi a favore dei militaristi. 1) perché tutti i possibili “bersagli” significativi di un fronte filoamericano sono straprotetti e vigilati, e quindi un tentativo di attacco in quella direzione porrebbe ai sedicenti terroristi un alto rischio di insuccesso, vista l’estrema sproporzionalità dei mezzi e delle tecnologie in campo; 2) perché, ammesso che il loro obbiettivo sia quello di far sollevare masse popolari all’interno dei paesi della coalizione contro il loro intervento militare in Iraq, il sequestro di militanti di quella fazione, o comunque di persone che lavoravano più o meno per la coalizione (vedi Quattrocchi, Agliana, Cupertino e Stefio), non ha sortito l’effetto sperato ma ha anzi compattato di più il fronte militarista e interventista, che si è reso ancor più convinto nell’indispensabilità della linea dura nei confronti del terrorismo (quella adottata da Putin con la Cecenia per intenderci: che però stranamente quando devono liberare persone della loro parrocchia, il blitz si risolve positivamente — vedi liberazione ostaggi italiani, guarda caso anche una settimana prima delle elezioni europee e amministrative — mentre se di mezzo ci vanno innocenti, persone neutrali o addirittura pacifisti, come nel caso di Baldoni, finisce sempre con una strage); 3) Andreotti diceva che a pensar male si fa peccato, ma si indovina. E se lo diceva lui… Sarebbe il caso di vedere se questi che hanno sequestrato le ragazze, come i sequestratori di Baldoni prima e dei giornalisti francesi poi, sono davvero dei “terroristi” che dicono di far resistenza alle forze di occupazione della coalizione, oppure sono dei (mica tanto) bischeri che con la scusa del terrorismo finiscono per fare proprio il loro gioco! Cercherò di spiegarmi: se i terroristi avessero veramente l’obbiettivo politico — più o meno dichiarato — di far sloggiare le forze della coalizione dall’Iraq, non metterebbero in campo delle azioni che colpiscono quella parte dell’opinione pubblica che in un certo modo, se certamente Insomma, si tratterebbe di un clamoroso suicidio, dal punto di vista del consenso politico. Molti riterrebbero questi discorsi deliranti e da fantapolitica, ma prima di esprimere giudizi e conclusioni affrettate vi invito a riflettere su quanto segue: ci stiamo avvicinando sempre di più alle elezioni alla Casa Bianca, che di fatto oggigiorno eleggono l’uomo più potente della Terra, o perlomeno quello in grado di condizionare con più efficacia la politica internazionale, compresa quella della lotta al terrorismo. Da queste elezioni la maggior parte degli uomini di buona volontà si aspetta un’inversione di tendenza rispetto ad una politica che finora rischia di portare il genere umano al genocidio totale. Altrimenti la conferma degli uomini e delle politiche che ci sono oggi significherebbe perpetuare questo genocidio almeno per i prossimi 4 anni. Fino a pochi giorni fa l’opinione pubblica mondiale, compresa quella degli USA, era sempre di più contro la guerra in Iraq e, alla luce della mattanza che si consuma ogni giorno in quei territori, sempre più convinta che la politica di Bush e della Destra americana ultraconservatrice non solo fosse sbagliata, ma persino deleteria e suicida per il futuro dell’umanità. Il fronte interventista e militarista perdeva consensi a vista d’occhio perché era chiaro a tutti che a più di un anno dalla fine delle ostilità in Iraq si continua a morire e, soprattutto, ogni giorno i notiziari riportano il contributo di vittime di soldati americani o della coalizione uccisi per tenere in piedi quel baraccone che si chiama Iraq, con la scusa di esportarvi la Democrazia. Perfino i più accesi interven- 10 FOGLI 195 tisti, e finanche lo stesso Bush, di fronte all’evidenza dei numeri e delle bare che rientrano in Patria, si stanno rendendo conto che quella politica non solo non paga, ma incomincia ad imporre prezzi troppo alti. È fin troppo evidente che, di fronte ad una perdita di consenso così vistosa, bisognava fare qualcosa per fermare l’emorragia e invertire la direzione dell’opinione pubblica, e quel qualcosa è stato fatto. Chi, nelle file dei pacifisti, sosteneva che la contrarietà alla guerra li poneva al riparo dalla minaccia terrorista e dall’odio delle popolazioni occupate, si è trovato improvvisamente “scippato” del suo argomento principale. La nuova strategia terroristica punta a farci sentire tutti sotto minaccia — interventisti e non — e pertanto posizioni morbide o tolleranti non pagano, e quindi bisogna perseguire o appoggiare chi sostiene la linea dura. Non è forse l’inversione di tendenza che auspicavano gli interventisti? Ecco, quando una azione sortisce esattamente l’opposto delle intenzioni politiche che si dice di voler raggiungere, risulta difficile — almeno per me — (salvo casi di palese infermità mentale) non credere che ci sia quantomeno della malafede, e che quelle forze che dicono di operare per un certo scopo politico, di fatto con le loro gesta finiscono per volere esattamente l’effetto opposto. Si potrà dire che non si può essere così cinici… ma io vi rispondo: stiamo parlando di gente che per rimanere attaccata al potere e al denaro non si è fatta scrupoli di bombardare dall’alto villaggi, scuole, mercati, luoghi di culto (tutti obiettivi “militari”!!!), causando MIGLIAIA di morti, feriti e invalidi permanenti. Per non parlare di tutto il resto (ho visto il documentario di Michael Moore, e se fosse vera anche solo la metà di quello che ha riportato ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli!!!). Pensate forse che si fermino davanti alla vita di due ragazze? Anzi, secondo me, ora che nel mirino ci siamo finiti anche noi, provano anche un certo sottile piacere”. E tu che ne pensi? Scrivi la tua a: [email protected] FOGLI 195 11 in biblioteca FINESTRE SUL MONDO A MANI NUDE Missione di pace a Ramallah Alberto Zoratti Edizioni Fratelli Frilli 56 pagine Euro 3,00 Questo libro racconta la storia della missione di “Action for Peace” in Palestina, vista con gli occhi di uno dei partecipanti che ha praticato la nonviolenza nella settimana cruciale dell’invasione di Ramallah da parte delle truppe israeliane. Per i volontari scendere a Ramallah è stato un atto dovuto: in una situazione di allarme umanitario, di sospensione di ogni diritto umano e civile, il ruolo di una rete come “Action for Peace”, soprattutto se in Palestina, diventa determinante. Come persone comuni, senza incarichi, senza un potere da amministrare, hanno deciso di superare i check point clandestinamente, entrando a Ramallah benché ci fosse il coprifuoco. Non erano politici affermati, non erano capitani d’industria né emeriti accademici… ma nonostante questo sono riusciti con la loro presenza a presidiare ospedali, a scortare ambulanze, ad assistere famiglie… CENACOLI DI RESISTENZA Quando i contemplativi delle diverse religioni del mondo pregano per la pace Raffaele Luise Edizioni Cittadella 140 pagine Euro 12,00 L’opera ruota intorno allo sconvolgente e inedito grido di pace che si è levato dall’anima delle claustrali e dei contemplativi di tutte le religioni del mondo, disposti ad andare fino a Baghdad per interporsi — come diversità oranti — nel cuore stesso del conflitto in Iraq. Il libro, che contiene dialoghi con Innocenzo Gargano, Carlo Molinari, Arturo Paoli ed Alex Zanotelli, registra questo grido profondamente condiviso da tutte le fedi contro la guerra. Grido che si pone come punta di diamante di quel nuovo e globale movimento per la pace che il 15 febbraio del 2003 portò sulle piazze del mondo 110 milioni di persone contro la guerra imperiale e che al tempo stesso si conferma come momento fondativo della nuova spiritualità che si profila all’orizzonte del nostro tempo drammatico. Un evento che registra la saldatura della contemplazione e dell’azione, nel reciproco aprirsi dei chiostri all’agorà del mondo, e del mondo alla spiritualità. EDUCARE A UNA CITTADINANZA RESPONSABILE Introduzione di Paolo Tarchi AA.VV. Edizioni CEI 230 pagine Euro 12,00 Le trasformazioni in atto nella nostra società, se da un lato fanno intravedere che un giorno l’umanità sarà una “città globale”, dall’altro aprono nel presente e nel prossimo futuro nuovi preoccupanti scenari di conflittualità. I processi economici, finanziari, culturali, scientifici e l’inarrestabile mobilità delle persone chiedono nuove regole e invocano una nuova governance internazionale. Oggi il concetto di cittadinanza va precisato e arricchito di nuovi significati e appare essenziale che ogni cittadino attivi tutte le sue potenzialità e costruisca con gli altri una migliore casa comune. È giunto il tempo di considerare seriamente accanto alla carta dei diritti, la carta dei doveri, e dovere fondamentale è aprirsi ai problemi dell’intera comunità umana; anzi, non solo vi sono doveri verso coloro che vivono con noi, ma anche verso coloro che verranno dopo di noi. 12 FOGLI 195 IL SENTIERO DELLA LIBERTÀ Un tratto di strada con Carlo Azeglio Ciampi Liceo Scientifico “E. Fermi” di Sulmona Edizioni Qualevita 159 pagine “Nel silenzio di queste montagne riconquistammo la serenità nei nostri animi a mano a mano che acquisimmo la consapevolezza intima dei valori alla base della vita di una collettività: in primo luogo la libertà, interpretata e applicata nel quadro del vivere in comune, il rispetto cioè della libertà e dei diritti degli altri come condizione per rivendicare la libertà e i diritti propri”. Così Carlo Azeglio Ciampi esprime la propria idea di libertà e giustizia, riassumibile nella giusta libertà degli altri. Ciò può suonare strano a chiunque sia abituato a sentire la libertà come un’aspirazione immediatamente personale, come una sorta d’impaziente impulso ad affrancarsi da impedimenti che ostacolino l’espansione del proprio volere. Questo libro ripercorre alcuni momenti della vita del presidente Ciampi, sotto forma di diario e di discorsi, sempre volti a dimostrare che l’educazione alla libertà, in quanto forma integrale della vita etica, si conquista disciplinando e limitando la libertà personale. PER L'UCCISIONE DI RE UMBERTO Leone Tolstoi Edizioni Centro Studi Libertari Camillo Di Sciullo 74 pagine 8,00? Questo opuscoletto venne pubblicato dalla Casa Editrice Abruzzese (Rocca San Giovanni) di Ettore Croce nel 1913. In poche pagine Tolstoi mette a fuoco problemi che sono di strettissima attualità. “Comprendano gli uomini le cose come sono e le chiamino col loro vero nome: sappiano che l’esercito altro non è attualmente che l’istrumento dell’omicidio di massa chiamato guerra, che l’arruolamento e la direzione degli eserciti di cui si occupano sì fieramente i re, gli imperatori e i presidenti di repubbliche non altro sono che i preparativi dell’assassinio. Si persuada ogni re, imperatore o presidente che il suo ufficio di organizzatore di eserciti non è né onesto né importante come loro dicono gli adulatori, ma bensì è un’opera vergognosa e malvagia come ogni premeditazione delittuosa; basterebbe che ogni galantuomo capisse che pagar le imposte destinate a mantenere e ad armare dei soldati e, a più forte ragione, il prestar servizio militare, non sono atti indifferenti, ma bensì atti vergognosi e tristi, perché chi vi partecipa, non solo permette ma commette lui stesso un assassinio". PSICOPATOLOGIA DELLA LIBERTÀ Capitalismo e nevrosi ossessiva Luigi Corvaglia Edizioni Centro Studi Libertari Camillo Di Sciullo 200 pagine 10,00¤ La grande madre del secolo dei lumi produsse tre figli: socialismo, liberalismo ed anarchismo, frutto della assidua frequentazione e con gli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza. Dei tre ideali, differentemente valorizzati dalle tre pratiche politiche, quello di libertà, è da intendere come centrale. Parola abusata, concetto multiforme e malleabile. Promessa, mito, grido di barricata che preannunciava ghigliottine e liberazioni fittizie. Alibi per pochi per affermare i molti. Libertà dallo sfruttamento e dal bisogno, libertà di pensare e fare, aspirazione al pieno dispiegamento della natura umana. Quanti volti ha la libertà? L’offensiva liberista, mai virulenta come oggi, caratterizzata dallo smantellamento dei diritti sociali ed individuali dei singoli, si presenta proprio sotto la bandiera della libertà, ma di quale libertà si parla? Questa parola è la radice di definizioni oggi di gran moda come liberalismo, liberismo, libertarismo. Cosa significano, come e perché si sovrappongono, come si distinguono? La libertà liberale è diversa da quella libertaria? FOGLI 195 TRA FEDE E STORIA La presenza delle comunità religiose a Venezia Città di Venezia Edizioni Centro Pace 108 pagine Primo libro di una collana dedicata alla promozione e alla diffusione di una cultura di pace e solidarietà, con questo titolo il Centro Pace presenta alcuni testi che si dimostrano strumenti di studio e di riflessione di fondamentale importanza per conoscere. Conoscere per allontanare i luoghi comuni che proliferano quotidianamente intorno a noi, per arricchire il nostro patrimonio umano e culturale, per riuscire ad accogliere con entusiasmo abitudini, civiltà, religioni dei tanti concittadini che da secoli o da pochi anni vivono a fianco a noi nelle nostre città. L’opuscolo si propone di tracciare una breve storia delle varie comunità religiose e dei vari organismi di dialogo ecumenico e interreligioso presenti nella città di Venezia, illustrandone sia gli aspetti legati al passato che la situazione presente, da un punto di vista diverso. UN VESTITO DI CENERE A colloquio con Adriano Sofri nel carcere di Pisa Renzo Salvi Edizioni Cittadella 124 pagine Euro 11,00 Un Adriano Sofri inedito: non soltanto testimone della realtà carceraria e delle relazioni tra detenuti anche di diversa generazione, ma ri–lettore e interprete delle attese, delle speranze, delle disperazioni che abitano il carcere, inteso come luogo del dolore, delle angosce di ogni sera e di ciascun mattino, ed anche come nicchia per modi diversi dell’esistere e del resistere. Il colloquio, registrato presso il carcere di Pisa, attraversa e interpreta, con toni lievi nonostante tutto, le situazioni di ordinaria detenzione toccando soltanto di striscio il lungo calvario di accuse e di processi che riguardano, invece, il “detenuto Sofri”. A questo sfondo di considerazioni, frutto di una “militanza carceraria” certamente non cercata, e di ricostruzione dei fatti, si legano i ricordi di un tempo remoto della politica, la percezione di un mondo da salvaguardare non ripetendo comportamenti distruttivi del pianeta. 13 UNA GUERRA EMPIA La CIA e l’estremismo islamico John K. Cooley Edizioni Elèuthera 399 pagine Euro 18,10 Per opporsi all’invasione sovietica dell’Afghanistan, nel 1979, gli Stati Uniti strinsero in funzione anticomunista una sorprendente alleanza con gli estremisti islamici. Cooley racconta i retroscena di questa alleanza e del modo in cui la CIA pianificò la "guerra santa" in Afghanistan. Racconta anche di come, con l’aiuto dell’Arabia Saudita, dei servizi segreti militari pakistani e persino con il coinvolgimento della Cina, vennero armati, addestrati e finanziati duecentocinquantamila mercenari islamici in ogni parte del mondo. Inoltre, con un’impressionante mole di prove, Cooley traccia le dirompenti conseguenze di quell’operazione: il trionfo dei talebani, la diffusione mondiale del terrorismo islamico, la destabilizzazione dell’Algeria e della Cecenia, gli attentati al World Trade Center… e in tutto ciò spicca curiosamente il ruolo di Usama bin Laden, già “protetto” della CIA ed ora “nemico pubblico numero uno”. 14 FOGLI 195 pianeta terra UNA CASA DI NOME TERRA Simona Gauri Oggi lo sappiamo, ma nell’antichità la Terra e la genesi degli elementi naturali si prestavano alle teorie più fantasiose di filosofi e pensatori. La Terra, che fornisce agli uomini tutto ciò di cui vivere, in passato non era pensata come a un enorme serbatoio di risorse, ma come l’ambiente naturale dell’uomo, uno spazio misterioso ancora in gran parte da scoprire e le cui leggi erano per lo più ignote. Gli eventi naturali erano intrisi di magia e leggenda. Questa concezione, seppur profondamente mutata negli ultimi secoli, si conserva ancora presso certe popolazioni “fossili” dell’Australia, dell’Africa e del Sud America, che dicono in profonda osmosi con la natura, rispettano l’ambiente che li accoglie e conservano i culti dei luoghi sacri, da cui l’uomo è bandito. Tuttavia, negli anni più recenti, la filosofia sta nuovamente cambiando, riavvicinandosi non tanto alle culture primitive quanto alla consapevolezza sempre più diffusa che la Terra può esaurire le sue risorse e che il nostro pianeta rappresenta la casa degli uomini e di tutte le altre specie animali e vegetali, e, quindi, in quanto tale va protetta. Perché “Terra”? Il termine “terra” racchiude in sé molti significati. Oggi è usato per indicare la parte solida su cui l’uomo vive, sino ad includere il mondo intero. Eppure, il nome del nostro pianeta appare assai poco adatto a rappresentarlo, visto che le acque occupano ben il 71% (360.650.000 km2) della superficie totale del globo (pari a 510.100.000 km2) e solo il 29% (149.450.000 km2) è formato dalle terre emerse. In effetti questo vocabolo, giunto a noi dal latino terra(m), deriva dal più antico *tersa, di origine indeuropea, che stava ad indicare la “parte secca”, contrapposta alla parte acquea dell’ambiente umano. Da sempre fonte inesauribile di sostentamento per l’uomo, la litosfera (così si chiama oggi quella parte del pianeta formato dalle terre emerse), ha sempre fornito i materiali indispensabili all’evoluzione umana, non solo dal punto di vista tecnologico, ma consentendone anche la tran- sizione dal nomadismo alla stanzialità, fino alla grande rivoluzione industriale e alla nascita dell’era neotecnica. Merito di tutto questo è degli elementi, ovvero quelle sostanze presenti nel suolo che non possono essere ulteriormente suddivise. Di che cosa è fatta la Terra? Nell’antichità la Terra era uno dei quattro elementi dell’Universo (insieme ad Aria, Acqua e Fuoco), ma oggi scopriamo che è proprio essa ad essere formata da circa un centinaio di elementi. Tuttavia, sono meno di dieci quelli che costituiscono la quasi totalità della crosta terrestre: circa la metà della sua percentuale in peso è composta dall’ossigeno, che si trova prevalentemente combinato con il silicio, andando a formare i minerali detti silicati (che insieme rappresentano oltre il 70% della crosta). Molti degli altri elementi metallici largamente impiegati nell’industria moderna sono invece diffusi in percentuali esigue, mentre i metalli preziosi addirittura in percentuali infinitesimali (l’oro, ad esempio, rappresenta lo 0,000004%). Le grandi bufale del passato Se oggi, grazie alle moderne tecnologie scientifiche ed alle analisi di laboratorio, possiamo stabilire con certezza la composizione della crosta terrestre e la sua genesi, non riesce difficile capire perché, sin dall’antichità, la composizione Terra sia stata velata dal mistero: secondo le teorie di Aristotele, l’origine dei minerali venne attribuita, per tutto il Medioevo, a una sorta di generazione spontanea all’interno della Terra, provocata dalla radiazione dei corpi celesti. Infatti, fino all’inizio dell’Ottocento resistette la convinzione che l’oro fosse più abbondante nelle regioni tropicali proprio in quanto maggiormente riscaldate dall’energia solare. Per secoli la conoscenza dei metalli restò divisa tra le conoscenze pratiche di minatori e cavatori e le fantasie dei nobili che li possedevano, tratte spesso dalla letteratura classica mal interpretata. Uno degli autori che meglio si prestò a tale scopo fu Plinio il Vecchio, con la sua Naturalis Historia. Da qui arriva ad esempio la convinzione che i cristalli di quarzo, utilizzati non solo a scopo ornamentale ma anche per ricavarne dei recipienti, fossero costituiti da acqua congelata (kryos in greco significa “gelo”) a temperature talmente basse da non potere più essere disciolta. Allo stesso modo, si credeva che i minerali fossero forme embrionali ed imperfette di vita, che potessero accrescersi e riprodursi, tanto che si distinguevano addirittura i minerali maschi dai minerali femmine sulla base di colorazioni lievemente diverse della stessa sostanza. Si dovette attendere l’Ottocento, con i primi progressi della chimica, per una classificazione dei minerali fondata sulla composizione chimica. Oggi sappiamo che esistono circa 3000 minerali, ma meno di dieci formano il 90% di tutte le rocce. La scienza è un’opinione? Del resto, anche la comprensione della vera origine delle rocce è una conquista recente da parte della scienza. Nell’epoca classica greco–romana, nella civiltà araba e per tutto il Medioevo, non era chiara la distinzione tra minerali e rocce, anche per il motivo che l’interesse verso questi materiali era essenzialmente pratico. Si usavano rocce da levigare (come i marmi) per le costruzioni e i calcari per l’arte, le argille per i laterizi e le sabbie per il vetro. Ma il problema della loro origine restava oscuro. Secondo Strabone, ad esempio, i materiali estratti dalle cave, come il calcare, sarebbero poi ricresciuti sul posto. Nei secoli successivi non andò molto meglio: si ricorse anzi all’interpretazione letteraria delle sacre scritture. Era così negata l’origine organica delle conchiglie e degli altri fossili rinvenuti nelle rocce sedimentarie poiché nella Bibbia si afferma che la separazione fra le acque e le terre venne effettuata nel terzo giorno della Creazione e che gli animali furono creati solo nel quinto giorno. Il mare, quindi, non poteva avere ricoperto le terre e lasciato resti di animali. I fossili erano quindi considerati spesso oggetti caduti dal cielo. Solo alcuni spiriti liberi e isolati, come Leonardo da FOGLI 195 Vinci e Nicola Stenone, intuirono che la loro vera origine era quella di resti di antichi esseri viventi. Nella metà dell’Ottocento, l’origine dei minerali fu al centro di furiose polemiche tra le due correnti opposte dei Nettunisti e dei Plutonisti. I primi sostenevano che tutte le rocce si fossero formate in un ipotetico oceano universale che ricopriva tutte le terre; i secondi ritenevano che fossero il risultato della solidificazione di una massa liquida. Homo poco sapiens Oggi, grazie al microscopio e ai numerosi studi di laboratorio, distinguiamo le rocce dalla loro origine: rocce magmatiche, rocce sedimentarie e rocce metamorfiche. In realtà, ciascuna di questi tipi di rocce rappresenta uno stadio di un ciclo continuo che coinvolge litosfera, atmosfera e idrosfera, che trasforma gli elementi da uno stato all’altro. Eppure, di fronte a costruzioni come i nuraghi della Sardegna, le mura megalitiche dei popoli precolombiani, i dolmen e i menhir dell’Inghilterra, o, ancora, osservando i due milioni e trecentomila blocchi di granito di Assuan che costituiscono la piramide di Cheope, risulta difficile non lasciarsi trasportare dalla magia ingenua ma totalmente affascinante dell’antichità, un mondo in cui i materiali si caricavano di alti significati simbolici e poetici, dal suo profondo connubio con i materiali della Terra… 15 16 FOGLI 195 rubrica MOSAICO VIAGGIA IN PRIMA Simona Gauri Associazione Mosaico, una delle realtà più vivaci nel settore del servizio civile in Lombardia, è stata promossa: la “associazione di associazioni” bergamasca, infatti, è stata uno tra i primi enti non profit italiani ad essere stato accreditato dall’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile come ente per la gestione del servizio civile di prima classe. Il riconoscimento, uno dei più ambiti nel settore, è giunto dopo che Mosaico ha raggiunto la ragguardevole cifra di 187 sedi di attuazione di progetti di servizio civile, dimostrandosi un organismo attivo, dinamico e più che mai pronto a raccogliere le sfide di un settore che ha più che mai bisogno di linee–guida… Che cos’è Mosaico? Associazione Mosaico è un ente non a fini di lucro che ha come fine lo sviluppo e la gestione del servizio civile, volontario e obbligatorio, nelle sedi dei suoi associati. In altre parole, Mosaico è un’associazione di associazioni, sia pubbliche che private. A Mosaico aderiscono Comuni, Comunità montane, Province, fondazioni culturali, cooperative sociali, associazioni del privato sociale e università. La sede dell’associazione è a Bergamo, in via Enrico Scuri n. 1, e al suo timone c’è Claudio di Blasi, presidente nonché uno dei fondatori di Mosaico: una persona che ha creduto e scommesso sulle opportunità e sulla validità del servizio civile, sia come scelta di vita che come valore sociale. E che oggi, dopo 4 anni di lavoro, può dire di aver vinto la sua scommessa. Un inizio in sordina Associazione Mosaico è una realtà relativamente giovane: nata nel marzo del 2000, è stata fondata da alcuni enti pubblici e privati giunti alla conclusione che, per una miglior gestione del servizio civile obbligatorio, era necessario unire le forze, gestendo in modo comune, tramite un ente creato ad hoc, il reclutamento, l’amministrazione e la formazione degli obiettori di coscienza in servizio civile. Nei mesi immediatamente successivi a quello della sua fondazione, Mosaico apre una convenzione di 300 posti per la gestione degli obiettori di coscienza, ponendosi come primo esempio di “ente gestore di servizio civile”. Sempre in questi anni entra nel vivo il dibattito sulla sospensione della leva obbligatoria, e di conseguenza del servizio civile derivante dall’obiezione di coscienza al servizio militare. Associazione Mosaico decide allora di riconvertire la sua struttura, dedicandosi in modo sempre maggiore al servizio civile volontario. Mosaico oggi Grazie a queste scelte, Mosaico è oggi una delle principali realtà lombarde nel settore della gestione e dello sviluppo del servizio civile volontario, attiva nel campo della promozione del servizio civile nazionale tra i giovani, nonché nel campo innovativo della formazione degli operatori del servizio civile. Basti pensare che, solo al 30 giugno 2004, l’associazione raccoglieva 82 enti associati, presenti nelle province di Bergamo (53), Milano (4), Como (18), Sondrio (1), Cremona (4), Lodi (1) e Lecco (1). Tra di essi vi sono alcune delle realtà più rappresentative del volontariato sociale della Lombardia e dell’Italia, nonché i Comuni tra i più popolosi della provincia di Bergamo. In tutti questi enti, stanno attualmente finendo di partecipare a progetti di servizio civile volontario 113 ragazze. Ma questa è solo la punta dell’iceberg: con il nuovo bando di settembre e le novità introdotte per l’anno 2004–2005 da Mosaico, le ragazze in servizio civile e le rispettive sedi di servizio subiranno un incremento sostanziale. Tanti servizi in più per il domani Il futuro di Mosaico è l’incremento dei servizi specialistici offerti a tutti gli attori che operano e interagiscono nell’ambito del servizio civile: non solo intermediazione tra le volontarie e gli enti, non solo formazione e tutoraggio dei volontari, ma anche la formazione degli OLP (Operatori Locali di Progetto). Infatti, grazie alla partecipazione dei formatori di Associazione Mosaico ad uno specifico corso organizzato dall’UNSC (Ufficio Nazionale per il Servizio Civile), l’associazione è stata abilitata a fornire la formazione agli operatori locali di progetto non in possesso di esperienze di gestione nel campo del servizio civile. Mosaico potrà fornire questo servizio sia agli associati che agli enti terzi interessati. In più, grazie ad un finanziamento della Regione Lombardia, questo tipo di formazione sarà fornita in modo gratuito agli enti accreditati delle province di Bergamo, Brescia, Lecco, Lodi, Mantova, Milano e Varese. Ecco perché Mosaico attira di giorno in giorno sempre più volontarie e sempre più enti che presentano progetti di servizio civile, raccogliendo tra i suoi associati nomi prestigiosi come l’Università degli Studi di Bergamo che, peraltro, grazie a un accordo siglato lo scorso anno, riconosce i 12 mesi di servizio civile come tirocinio, con i corrispondenti CFU (crediti formativi) indicati nel programma dei corsi di laurea che lo prevedono. Quest’anno, tra i nuovi associati di Mosaico è entrata un’altra prestigiosa istituzione nel campo dell’istruzione: il Liceo Classico Statale Paolo Sarpi di Bergamo, che recentemente ha celebrato il centenario della sua fondazione. Per informazioni: www.mosaico.org Sei un’associazione come Mosaico? Scrivici per farci conoscere la tua realtà! Contattaci all’indirizzo e–mail [email protected]: pubblicheremo anche la tua biografia!