L'organo di Gaetano Callido
della Chiesa del Ss. Sacramento (San Clemente)
in Gradara
Indice
Pag.
Prefazione della Banca di Credito Cooperativo di Gradara
3
Prefazione dell'Arcivescovo di Pesaro
5
Storia dell'organo - di Luciano Peroni
6
Scheda tecnica dello strumento
21
L’attività di Gaetano Callido nel territorio pesarese - di Mauro
Ferrante
23
Il restauro - di Luciano Peroni
30
2
Abbiamo accettato con piacere la proposta di finanziare il progetto di
restauro dell’organo nella Chiesa del S.S. Sacramento di Gradara, convinti
della bontà dell’iniziativa, e della necessità di restituire alla comunità di
Gradara, l’antico organo “Callido” in buone condizioni di efficienza fonica e
funzionale, dopo il degrado subito ad opera degli agenti naturali, per il lungo
periodo di inattività.
Il recupero si proponeva di migliorarne la fruibilità per l’uso liturgico, ma
soprattutto di favorire la concertistica, che consentirebbe di ampliare
l’offerta culturale della città di Gradara, valorizzando a tale uso gli ambienti
recentemente restaurati, all’interno del centro storico.
Con tale iniziativa, i locali dell’ex chiesa del S.S. di Gradara potrebbero
assumere una valenza turistica di qualità, una nuova destinazione, anche
stabile, che alimenterebbe un’attività concertistica importante per l’ulteriore
crescita e sviluppo della città, utilizzando un’ambientazione medioevale in
grado di creare sensazioni particolari ed uniche.
Il lavoro eseguito dall’organaro pesarese Luciano Peroni è stato
scrupolosamente documentato con materiale fotografico inedito, e relazioni
dettagliate degli interventi, completi di immagini, procedendo anche ad una
attenta catalogazione degli elementi costitutivi, più significativi ed
importanti dell’organo.
Un’opera attenta e qualificata che intendiamo riproporre all’attenzione degli
appassionati, dei cultori, per documentare nei particolari, le condizioni dello
strumento, prima, durante e dopo l’intervento.
La BCC di Gradara sensibile ed attenta alla riscoperta delle antiche
tradizioni, e di tutto quanto possa riferirsi alla cultura, ed alla valorizzazione
del proprio territorio, propone all’attenzione della comunità Gradarese
questo opuscolo quale preziosa testimonianza di un lavoro inedito quanto
importante e qualificato, per il recupero di un antico organo storico
documentato dal suo celebre autore come opera n. 194, ultimato nell’estate
del 1783.
Una catalogazione precisa e puntuale, ricca di riferimenti storici e
3
particolarità costruttive che l’autore di questa pubblicazione ha voluto
regalarci, anche come testimonianza di operazioni specialistiche di alta
professionalità; lavori di grande contenuto tecnico professionale sempre più
rari nella fretta produttiva dei nostri tempi, che si vuole in qualche modo
recuperare a vantaggio della comunità.
Questa è un’ulteriore dimostrazione della capacità della nostra banca di
abbinare all’attività imprenditoriale, che deve comunque produrre profitti,
un’attività sociale e culturale a vantaggio della comunità.
Un’iniziativa che consenta a chi viene dopo di noi, di poter disporre e
beneficiare di precedenti esperienze, di poter valorizzare opere preziose che
andrebbero altrimenti perdute, di rileggere parte della nostra storia o di
conoscere il nostro passato.
Tutto questo in un’ottica ben precisa che possa costituire occasione per la
crescita e l’ulteriore sviluppo del nostro territorio.
Fausto Caldari
(Presidente Bcc di Gradara)
4
Arcidiocesi di Pesaro
Come Arcivescovo di questa nostra diocesi di Pesaro plaudo alla iniziativa
del restauro di uno dei più preziosi cimeli che la cittadina di Gradara
possiede. Le note liturgiche del passato riecheggiano oggi nel nostro
presente come collegamento di fratellanza al di là del tempo e dello spazio e
nella convergenza di perenni valori che la Confraternita del SS. Sacramento
ha profuso e testimoniato.
La mia gratitudine va a tutti coloro che hanno collaborato al progetto: la
Direzione dei Beni Culturali della CEI, la Banca di Credito Cooperativo di
Gradara, la Soprintendenza per i Beni artistici e Culturali delle Marche,
l’Amministratore delle Confraternite, il restauratore, noto per la sua
precisione e competenza, e tanti altri.
Benedico e auguro che le note di codesto “Callido” sollevino nell’ascolto il
nostro spirito, aiutandoci a realizzare quella pace che tutti desideriamo.
Mons. Piero Coccia Arcivescovo
5
Storia dell'organo - di Luciano Peroni
La relazione stilata nel 1777 dal Vescovo di Pesaro Gennaro Antonio De
Simone, a conclusione della sua visita pastorale in Gradara, bene descrive la
situazione nella quale maturarono le decisioni e le vicende che portarono
all'installazione dell'organo oggi esistente nella chiesa del Santissimo
Sacramento, più conosciuta come chiesa di San Clemente martire.
“La Compagnia del Santissimo Sacramento ebbe il suo principio nell'antica
Chiesa della Pieve di S. Sofia di
questa Terra, dove aveva il suo
Altare, come si rileva dalla Bolla
d'Indulgenze concessegli dal Sommo
Pontefice Gregorio XIII sotto il dì 19
marzo
1577,
ottenuta
dalla
Serenissima
Vittoria
Farnese
Duchessa d'Urbino, Signora e
Padrona in quel tempo di Gradara.”
“L'andar del tempo poi ridusse la
detta Chiesa in pessimo stato. Sicché
la Compagnia fatta più numerosa, e
di maggior potere, ottenute le debite
licenze, distrusse la vecchia, e fondò
a proprie spese nel sito ove si
trovava, la nuova Chiesa che,
terminata, fu aperta col benedirla il
dì 28 ottobre 1751.”
Vittoria Farnese
Monsignor De Simone descrive poi dettagliatamente la chiesa ed infine
afferma:
“L'orchestra 1 è al fine della Chiesa, quale è di legno verniciato ad uso di
marmo, dove vi è l'organo di quattro registri, che suonasi ogni terza
domenica del mese.”
Dunque, prima dell'organo attuale, la chiesa di San Clemente disponeva di
uno strumento più antico, di piccole dimensioni tanto da far pensare forse ad
un organo che poteva essere trasportato a braccia e suonato in processione,
in occasione delle feste dedicate al martire, la terza domenica di settembre.
1 La cantoria, ovvero la balconata sopra la bussola d'ingresso destinata ai cantori e
all'organo
6
Che si trattasse di un organo piccolissimo,
si deduce anche da un'altra frase nella
relazione del Vescovo Gennaro:
“Vi sono a detta Chiesa sette finestre, la
maggiore delle quali sta sopra la porta e
l'altre sono proporzionatamente sparse
per la Chiesa: tutte vetrate colle sue
tendine al di dentro, e ramate al di fuori.”
L'organo antico era dunque di una
dimensione tale da non coprire la finestra
in facciata, che allora era ancora aperta.2
Ma
quel
vecchio
strumento,
probabilmente, stava cominciando a
mostrare i suoi limiti, sia nella potenza
sonora che nelle possibilità timbriche, in
quella nuova sede più ampia ed affollata,
nonostante l'ottima resa acustica della La chiesa del Santissimo Sacramento con la
finestra murata
volta; e così, qualche anno dopo quella
visita pastorale, la Confraternita si risolse alla ricerca di un nuovo organo,
più consono alle dimensioni ed al prestigio della nuova chiesa.
Le vicende legate a quell'acquisizione sono, purtroppo, avvolte nel mistero,
dato che malauguratamente, molti documenti della Confraternita sono andati
perduti e con essi, sicuramente, il contratto di acquisto dello strumento. La
storia dell'organo che racconterò qui, perciò, pur basandosi sugli elementi
certi e documentati che è stato possibile raccogliere, riporta una mia
personale ipotesi, che ritengo doveroso, in ogni caso, consegnare con questa
pubblicazione alla conoscenza generale, dal momento che si avvale di
osservazioni esclusive e difficilmente ripetibili, come quelle che provengono
dal lavoro di restauro.
Come ogni ipotesi, essa potrà essere smentita o confermata da quelli che, mi
auguro, possano essere futuri ritrovamenti documentali in grado di chiarire
ciò che effettivamente accadde in quella seconda metà del settecento alla
quale sicuramente risale l'installazione dell'organo.
2 La finestra sulla facciata della chiesa sarà murata di lì a pochi anni per ottenere il fondo
della cassa del nuovo organo, notevolmente più grande tanto da sfiorare la volta con la
sommità del suo timpano.
7
Iniziamo dunque dall'esame degli elementi scientificamente provati, per poi
sviluppare l'ipotesi circa lo svolgimento dei fatti.
La prima cosa indiscutibile e, di certo, la più importante è che la paternità
dell'organo deve essere attribuita a Gaetano Callido, il più celebre organaro
veneto e considerato uno dei più
grandi di
tutti i tempi.3 La
fabbricazione callidiana è attestata
in modo esplicito dalla presenza
della sigla G†C impressa a fuoco su
diverse parti interne: mantici,
carrucole, condotti dell'aria e sotto
le canne di legno.
Accertata la paternità callidiana, il
passo successivo è di identificare il
Il marchio a fuoco di Callido accanto al
numero d'opera e l'anno di
toponimo 'P°' (Pesaro)
costruzione, elementi che sarebbe
stato facilissimo ricavare dalla lettura del contratto stipulato fra la
Confraternita ed il Callido
oppure di iscrizioni riportanti tali
dati, apposte su qualche parte
dell'organo. L'uno e le altre, però,
sono totalmente assenti, mentre è
presente il toponimo “Gradara”,
scritto a pennino e china con la
tipica grafia dell'epoca, sul telaio
della
tastiera:
cosa
che
confermerebbe come l'organo sia stato costruito fin dall'origine per essere
destinato a questa località. 4
3 Per le notizie riguardanti l'autore dell'organo si veda il capitolo seguente - Mauro Ferrante,
L’attività di Gaetano Callido nel territorio pesarese
4 Oltre al suddetto toponimo, sono presenti nelle parti interne dell'organo numerosi altri
riferimenti, apposti in fabbrica per distinguere tra loro i diversi organi simultaneamente in
costruzione ed agevolare le operazioni di scarico a destinazione. Si tratta della sigla “P°”,
scritta a china e pennello sui mantici, su una delle due carrucole di azionamento dei mantici
stessi, sui condotti dell'aria e sotto le canne di legno. Tale toponimo era usualmente
utilizzato dal Callido per indicare “Pesaro”. La sigla “P” scritta a matita è poi presente sulle
canne di legno (chiusura del piede) e sulla tavola della meccanica della pedaliera esiste la
scritta esplicita “Per Pesaro” tracciata a matita. Sulla struttura del crivello e sulla tavola
della meccanica dei registri sono presenti le sigle “B”. Le numerazioni a china nera
8
Per delimitare il campo d'indagine, possiamo anzitutto dedurre, dalla lettura
della sopra citata relazione del Vescovo di Pesaro, come l'installazione
dell'organo sia successiva al 1777, dal momento che in quell'anno esisteva
ancora il vecchio organo.
La presenza dei marchi di fabbrica restringe ancora il periodo, perché gli
stessi furono apposti da Callido soltanto sugli organi costruiti fra la metà del
1779 (opera n. 149) ed il 1798 5. Dunque, il nostro strumento non può essere
anteriore al 1779. La data massima di installazione può essere invece
definita considerando una frase contenuta nel contratto originale sottoscritto
da Gaetano Callido per l'organo di Fanano (datato dicembre 1790), nel quale
egli afferma che il nuovo strumento 'sarà simile a quelo di Gradara'.
Essendo i due organi del tutto identici in dimensione e struttura fonica, si ha
ragione di ritenere che l'organo di Gradara fosse, per Callido, proprio quello
allora già esistente nella chiesa del Ss. Sacramento, escludendo altresì che
alla data vi potessero essere altri suoi strumenti in chiese gradaresi ed
implicitamente affermando che l'installazione del nostro organo non possa
essere posteriore alla fine del 1790.
Purtroppo, vi è una lacuna nel catalogo callidiano 6, proprio corrispondente
agli anni 1789 e 1790, che rende l'identificazione più incerta: tuttavia è
possibile stabilire che lo strumento sia certamente compreso fra il n. 149 ed
approssimativamente il n. 285, quest'ultimo ottenuto prudenzialmente
proiettando sui due anni illeggibili del suo catalogo i ritmi di produzione
annuali medi di quel periodo. Una rosa di 137 strumenti, 108 dei quali
risultano leggibili, ed altri 3 (del 1790) sono stati successivamente
identificati in Venezia. I rimanenti 26 sono sconosciuti e non si può
escludere che fra questi possa essere presente anche il nostro strumento di
Gradara.
Il passo pare tuttavia più agevole, dal momento che fra quelli elencati esiste
un organo riferito a Gradara: si tratta del numero 194 del 1783, denominato
dal suo autore “Pesaro Monache Cambio in Gradara”. La datazione appare
perfettamente coerente con tutti gli elementi fin qui presi in considerazione.
Ciò che, invece, suscita perplessità è la denominazione adottata da Callido
riportanti i riferimenti di tasto sono presenti sul crivello, sulle tavole delle catenacciature,
sulle leve dei tasti e sui pedali, così come è presente una numerazione delle stecche e delle
false stecche dei registri. I ventilabri sono invece numerati a sanguigna rossa.
5 Vedi capitolo seguente, pag. 23, nota n. 11
6 Vedi capitolo seguente, pag. 23
9
per questo organo, per certi aspetti unica fra tutte quelle del suo catalogo in
quanto contenente il riferimento non ad una, ma a due località diverse.
Questa ambiguità trova pieno riscontro nei toponimi presenti sulle varie
parti interne dell'organo, laddove si rilevano molti riferimenti espliciti a
Pesaro ed uno a Gradara. Circostanza del tutto inusuale per Callido, che
però, proprio per questo, parrebbe rafforzare l'ipotesi dell'abbinamento fra il
nostro organo e l'opera 194.
A questo primo gruppo di osservazioni, è doveroso ora che aggiunga gli
elementi emersi nel corso del lavoro di restauro e che ho voluto ampiamente
documentare con immagini, a dimostrazione della loro inequivocabilità e ad
ulteriore contributo alla conoscenza della storia organaria italiana da parte
degli studiosi e degli appassionati.
La prima osservazione, apparsami in tutta evidenza nelle fasi di apertura e
trattamento del somiere maestro, riguarda il ritrovamento di una modifica
per ampliamento, apportata in tempi successivi alla prima costruzione dello
strumento, mirata all'aggiunta del registro dei Tromboncini. La straordinaria
qualità degli interventi di modifica e la perfetta conformità dei materiali e
delle metodologie utilizzate mi resero subito certo dell'origine callidiana
delle stesse modifiche, così come mi apparve inconfutabile il fatto che fra la
costruzione e l'ampliamento fossero trascorsi diversi anni, durante i quali
l'organo era stato regolarmente utilizzato nella versione ridotta, privo cioé
dei Tromboncini.
Queste mie ferme convinzioni fondano le loro ragioni, oltre che nell'esame
visivo delle parti aggiunte, nei seguenti elementi:
Queste parti
- la secreta è stata approfondita
sono state
di
7
cm.
mediante
aggiunte
Questa
l'allungamento dei due fianchi,
seconda fila di
fori denuncia
l'allargamento della tavola su
un uso
precedente
cui sono scavati i canali dei
ventilabri e lo scorrimento in
avanti del fondo inferiore,
integrato sul retro da una nuova
tavola fissa. Testimoniano tale
allargamento
(come
pure
Le giunzioni sono
l'esistenza di un periodo
impermeabilizzate
abbastanza lungo di utilizzo
con pergamena
dello strumento nella sua prima versione) le giunzioni visibili,
10
impermeabilizzate con pergamena all'interno dei canali, l'esistenza di una
vecchia fila di fori lasciati dalle guide di ottone dei ventilabri sotto la
nuova contropelle e tracce evidenti di una contropelle precedente;
- per procedere all'apertura del fondo
del somiere ed al distacco dei
trasporti delle canne dei primi 8
bassi, l'organaro dovette procedere
all'estrazione dei grossi chiodi di
fissaggio, le cui teste erano
completamente
affogate
nella
tavola di abete. I “crateri” così
scavati dovettero essere riparati
mediante l'intarsio di nuovi tasselli
di abete;
- nel corso della stessa modifica, per
aprire le coperte ed accedere al
piano delle stecche, due delle viti di
tenuta, particolarmente ossidate, si
spezzarono all'interno dei loro fori,
rendendo necessaria la sostituzione
cun due coppie di viti nuove,
affiancate alle vecchie sedi ormai
inutilizzabili. Le viti più recenti, pur
essendo lievemente più piccole, appaiono
del tutto identiche alle originali nel
materiale e nella fattura;
- la numerazione delle stecche dei registri e
delle false stecche inizia dal quarto
elemento e non dal primo, escludendo
perciò la nuova falsa stecca esterna e le
due stecche dei tromboncini. Termina
perciò con il numero 23 anziché 26;
- i catenacci relativi al comando di registro
dei Tromboncini sono fissati in un travetto
11
proprio, non facente parte della tavola dei registri originale;
La seconda osservazione riguarda l'apparente incoerenza fra alcuni dettagli
costruttivi dell'organo ed il periodo nel quale lo strumento sarebbe stato
installato in Gradara (1783 o, comunque, dopo il 1777). In particolare la
foggia della tastiera con i suoi
intarsi,
la
forma
dei
modiglioni laterali e l'uso
della sanguigna rossa anziché
della china nera per la
numerazione dei ventilabri
denotano un Callido prima
maniera, più vicino cioé agli
organi da lui costruiti nei
primi
anni
della
sua
produzione.
L'ultimo appunto riguarda
l'adattamento trovato nell'organo, evidentemente dettato da una disposizione
non esattamente identica alla precedente, costituito dal taglio di un angolo
del telaio della tastiera per dare agio al condotto portavento del somiere.
Quelli fin qui esposti sono gli elementi tecnici e documentali con
caratteristiche di inequivocabilità, dai quali si ricava un quadro certamente
interessante, ma ingarbugliato ai fini dell'identificazione dello strumento,
ben al di là dell'apparente semplicità della soluzione a prima vista più
pacifica: che cioé si tratti dell'opera 194, denominata 'Pesaro Monache
Cambio in Gradara' e costruita da Callido nel 1783 appositamente per
Gradara.
D'altra parte, le probabilità che l'organo possa essere un altro, costruito nel
biennio 1789-1790 appaiono contradditorie con l'affermazione riportata nel
contratto dell'organo di Fanano: il termine 'quelo di Gradara', a mio avviso,
esclude che il catalogo callidiano a quella data potesse includere due
strumenti in Gradara, l'uno del 1783 e l'altro più recente! Ma anche se così
fosse stato, Callido avrebbe probabilmente specificato quale dei due organi
gradaresi doveva servire da modello. Un ulteriore elemento, da me rinvenuto
in corso di restauro, sembrerebbe confermare la data del 1783 come quella
in cui l'organo, effettivamente, fu installato in Gradara. Si tratta di tre cifre
tracciate a matita sulla canna in legno del Si 8 del principale, incolonnate
come per una operazione aritmetica:
12
1834
1783
51
Ora, il 1834 è l'anno in cui l'organo fu ripulito da Innocenzo Serafini,
organaro di Montescudo il quale, probabilmente, così volle calcolare l'età
dell'organo a quella data (51 anni). Oggi noi non possediamo più il contratto
originale, ma allora questo era sicuramente conservato negli archivi della
Confraternita e, probabilmente, Serafini nell'occasione potè prenderne
visione diretta.
A questo punto mi sento di affermare con sufficiente sicurezza che il nostro
organo di Gradara è proprio quell'opera 194 indicata in catalogo con il nome
'Pesaro Monache Cambio in Gradara'.
Se questa convinzione può in qualche modo soddisfare l'esigenza
dell'identificazione, altri interrogativi restano ad agitare le acque. La stessa
denominazione, oltre alla singolarità di contenere due località, porta con sé
altri motivi di perplessità: infatti non si sono trovati documenti né memorie
che attestino la presenza in Gradara di ordini monastici femminili negli anni
considerati, tanto meno riconducibili in qualche modo al termine “Cambio”,
qualora lo si volesse abbinare alla precedente parola “Monache”. Per quale
motivo, poi, Callido non avrebbe denominato l'opera, ad esempio, “Gradara
S. Clemente”, come era suo consolidato costume?
La spiegazione più plausibile sta nella rilettura della frase sotto una diversa
luce, suggerita anche dai ritrovamenti in corso di restauro: cioé che la
denominazione dovesse significare che l'organo fosse stato costruito in
origine per un convento di Monache in Pesaro (“Pesaro Monache”) e
successivamente modificato e/o trasferito (“cambio”) nella località in
cui oggi si trova (“in Gradara”).
Questa versione potrebbe spiegare molte cose: la vetustà di alcuni elementi
costruttivi; la preesistenza di un organo più piccolo, ampliato per
l'occasione; la presenza dei marchi dovuta al trasporto in fabbrica dello
strumento per le modifiche (in alcuni casi appare chiaramente che il marchio
è stato apposto successivamente al toponimo, sovrastandolo!); la nutrita
presenza del toponimo “Pesaro”; gli adattamenti di alcune parti interne.
Da tutto questo emerge un caso davvero interessante, un organo, per così
dire, dalla doppia vita: un primo periodo pesarese con una dimensione più
adatta ad una piccola chiesa, una cappella monastica od un oratorio, ed un
secondo periodo gradarese nella versione più ricca giunta fino a noi.
13
Se è vero che l'appetito vien mangiando, a questo punto l'ipotesi poteva
essere arricchita mediante la risposta a due domande stimolanti:
- quale organo, fra quelli costruiti da Callido per un monastero femminile
di Pesaro, poteva essere stato ceduto alla confraternita di Gradara ed
essere divenuto l'opera 194?
- per quale motivo le monache si sarebbero disfatte di quel prestigioso
strumento dopo un periodo relativamente breve ?
Per rispondere alla prima domanda, ho cercato prima di tutto di circoscrivere
il campo d'indagine selezionando, dal catalogo delle opere di Callido, gli
organi costruiti prima del 1783 ed installati in Pesaro. Fortunatamente
agevolato dalla perfetta integrità del documento negli anni considerati, ho
individuato i seguenti quattro:
- il numero 20, del 1765, fornito alle Monache Domenicane della chiesa di
Santa Caterina;
- il numero 26, costruito nel 1766 per le Monache Benedettine della chiesa
di S. Maria Maddalena;
- il numero 118, del 1776, per i Padri Agostiniani;
- il numero 129, del 1777, per i Monaci Carmelitani.
Vanno subito escluse dalla nostra indagine l'opera 118, in quanto tuttora
presente e funzionante presso la chiesa di Sant'Agostino e l'opera 129 in
quanto destinata ad un ordine monastico maschile.
L'indagine resta dunque circoscritta ai primi due organi, in quanto entrambi
non più presenti nelle sedi originali e costruiti circa un ventennio prima
della collocazione in Gradara, periodo senz'altro compatibile con le
caratteristiche e le modifiche rinvenute sullo strumento. Tuttavia, anche
l'organo opera 26, costruito per le Monache Benedettine della chiesa di S.
Maria Maddalena deve essere escluso, perché vi sono memorie di cittadini
che testimoniano di avere visto di persona smontare l'organo da quella
chiesa, soltanto pochi decenni or sono.
A questo punto, l'unica possibilità di verificare la mia ipotesi era affidata alle
ricerche sull'organo opera 20 del 1765, costruito per le Monache
Domenicane ed installato nella loro chiesa cittadina di S. Caterina.
Le domenicane occupavano fin dal 1525 l'area affiancata all'attuale
Conservatorio musicale Rossini, dove oggi sorge l'edificio detto Palazzo
14
Ricci, utilizzato dall'Azienda
Sanitaria Locale, con ingresso
sulla Via Sabbatini. La chiesa
annessa al convento, dedicata a
Santa Caterina, non era di
grandissime dimensioni, come
appare
dal
disegno
del
cartografo Blaeu, e possedeva un
piccolo campanile emergente dal
chiostro.
Con
le
soppressioni
napoleoniche del 1810 il
monastero fu definitivamente chiuso, e
l'edificio venne ristrutturato su disegno
dell'architetto Bicciaglia per adibirlo
dapprima ad abitazioni private e
successivamente ad opere assistenziali.
All'interno del palazzo fu conservata una
parte della vecchia chiesa, per utilizzarla
come cappella, con dedica a Maria
Santissima Auxilium Christianorum. La
parte della chiesa che si affacciava sulla
via Sabbatini, con la porta di ingresso e la
cantoria, fu invece sacrificata alla nuova
scalinata.
La “cappella” interna di Palazzo Ricci
E' evidente, a questo punto, che l'organo callidiano non si trova più nella
sede originaria. Ma quando ne fu rimosso? All'atto della soppressione del
monastero, magari confiscato come avvenne per molte opere d'arte? In
occasione della ristrutturazione dell'edificio? Oppure ancora prima?
Qui è venuto in aiuto un documento del 1810 7 che riporta il “Prospetto delle
campane e degli organi” esistenti nelle chiese e nei conventi chiusi in
seguito al decreto napoleonico del 25 aprile di quell'anno. Tale prospetto,
infatti, attesta inequivocabilmente che, alla data della soppressione del
monastero, nella chiesa di Santa Caterina vi erano sì due campane, ma non
l'organo.
7 Cfr. SILVIO LINFI, La Chiesa di Pesaro sotto il Regno d'Italia napoleonico, in
“Frammenti”, n. 11 (2007), pag. 368.
15
Dunque, le Monache si erano disfatte dell'organo prima di allora, e questo
avvalorava l'ipotesi che la prima vita del nostro organo di Gradara fosse
trascorsa proprio in questo convento, con il numero d'opera 20 del 1765.
A questo punto delle indagini, potevo considerarmi soddisfatto, non perché
fossi riuscito a ricostruire l'esatto svolgimento dei fatti, ma almeno per avere
tracciato un'ipotesi plausibile e (almeno così credevo) difficilmente
contrastabile. Invece la sorte era pronta a ridimensionare bruscamente i miei
facili entusiasmi preparandomi una sconcertante sorpresa.
Nel desiderio di completare la ricerca rispondendo alla domanda su che fine
potesse avere fatto il piccolo organo preesistente in Gradara, ho concentrato
l'attenzione sulla vicina frazione di Granarola dove, presso la chiesa
parrocchiale di S. Cassiano, esiste appunto un piccolo organo di pochi
registri (magari quattro, sognavo nella segreta speranza di poterlo
identificare con quello cercato). Invece il piccolo organo esiste, sì, ma di
cinque registri e non quattro: ed è firmato Callido. Meglio, mi dicevo prima
di aprirlo, vuol dire che Callido stesso lo ha rimaneggiato e magari ampliato,
in contemporanea con il lavoro di Gradara.
Riconobbi subito la mano callidiana sui materiali, ma anche una struttura
costruttiva e fonica del tutto inedita per Callido, come la disposizione ad ala
delle canne interne, l'uso di una facciata di canne mute in stagno assai
sottile, la distribuzione dei registri degradante dal retro della cassa verso la
facciata, il numero limitatissimo di registri. Inoltre l'organo non risulta fra
quelli che Callido elencò nel catalogo delle sue opere, a meno che non si
trovi in una delle zone
“grigie”.
Accedendo all'interno della
piccola cassa, ho rilevato la
presenza dei marchi di Callido
e dei toponimi “S.C.” sui due
mantici e sul condotto
portavento che, di primo
acchito, presi senza esitare per
le iniziali di “San Cassiano”
al quale la chiesa di Granarola
è dedicata. Ma ciò che mi
sconcertò fu poi la presenza
della scritta “Pesaro S. Caterina” sul listello del telaio della tastiera. Da qui
16
ad immaginare che le
iniziali sui mantici si
riferiscano anch'essi a
Santa Caterina, il passo
era davvero breve.
A questo punto, la tesi che
l'organo n. 20 fosse stato
trasferito
a
Gradara
sembrava
vacillare,
sopraffatta da quella che
pareva la realtà più ovvia:
cioé che lo strumento di S. Caterina fosse stato invece ceduto a Granarola.
Ma gli elementi di contraddizione e gli interrogativi di questa nuova
versione dei fatti sono assai superiori a quelli della tesi precedente. Ad
esempio, il prezzo pagato in origine dalle Monache domenicane per l'organo
di Santa Caterina (400 ducati), sicuramente troppo elevato per un organo
così piccolo; il fatto che, forse, Callido avrebbe scritto “Pesaro Monache
cambio in Granarola” e non “in Gradara”, mentre per lui “l'organo di
Gradara” era senza ombra di dubbio quello del Ss. Sacramento 8; ma
soprattutto l'assoluta anomalia della costruzione, non presente in nessun
altro degli organi callidiani conosciuti.
Certo è che, se l'organo 194 fosse quello presente in Granarola, quello di
Gradara potrebbe veramente essere stato costruito vicino al 1790, ma allora
non si spiegherebbe il lavoro di modifica né l'arcaicità di alcune delle sue
parti, né tantomeno i toponimi “Pesaro” apposti prima dei marchi a fuoco!
Tutto il mistero potrebbe invece essere spiegato dalla seguente ricostruzione
cronologica degli avvenimenti, della quale mi assumo pienamente la
paternità e che mi sento in dovere di riportare, dandola non come certa, ma
come quella in grado di rispondere al maggior numero degli interrogativi
sollevati da questa complessa situazione:
1765 - Callido costruisce ed installa in Pesaro l'opera 20, Santa Caterina,
senza l'applicazione dei marchi a fuoco ma con i toponimi riferiti a Pesaro;
1782 - Callido rimuove da Santa Caterina in Pesaro l'organo 20 (in seguito
chiamato: organo grande) e da Gradara l'organo preesistente (in seguito:
8 Vedi il già citato riferimento al contratto per l'organo di Fanano.
17
organo piccolo) trasportando alla sua fabbrica in Venezia entrambi gli
strumenti.
Qui modifica radicalmente l'organo piccolo mediante la sostituzione del
parco canne, del somiere, l'aggiunta di un registro (forse il Principale per
trasformarlo da 4 ad 8 piedi, forse la Vigesima Seconda) ed il riutilizzo
della vecchia facciata muta. Sostituisce i mantici preesistenti con quelli
dell'organo di S. Caterina, in quanto li ritiene inadeguati a sostenere la
nuova composizione dell'organo grande (i Tromboncini richiedono molta
aria) ma più che sufficienti per il piccolo. Applica all'organo piccolo la
tastiera dell'organo di Santa Caterina, in quanto anch'essa più adatta ad un
piccolo organo.
Costruisce poi due nuovi mantici per l'organo grande. Allarga il somiere
per l'aggiunta del registro dei Tromboncini. Costruisce o recupera una
tastiera per l'organo grande (di qui l'unico toponimo “Gradara” presente
nell'organo). Costruisce i Tromboncini e sostituisce la facciata con una
nuova (di qui le bocche a mitria).
1783 - Callido applica su tutti i materiali dei due organi i marchi necessari
per l'esenzione dai dazi di trasporto (di qui la sovrapposizione ai
preesistenti toponimi). Sui nuovi mantici dell'organo grande appone il
toponimo “P°” per uniformità con il restante materiale e per essere sicuro
che gli uomini eseguano correttamente lo scarico, avvenuto probabilmente
al porto di Pesaro.
Callido registra in catalogo l'organo grande, anche se derivato dalla
modifica di un suo strumento preesistente, non al fine di accrescere
artificiosamente il numero degli organi costruiti, ma per ovvie ragioni di
inventariazione e conoscenza delle ubicazioni in essere, oltre che per
motivi legati alla sua amministrazione (ad esempio, l'incasso delle rate
successive di pagamento). Non registra invece l'organo piccolo in quanto
considerato un lavoro di restauro di uno strumento altrui.
Trasporta i due organi a destinazione e li installa.
Le ricerche effettuate non mi hanno tuttavia consentito di rispondere alla
seconda domanda: perché le Monache di Pesaro si sarebbero private di uno
strumento prestigioso dopo soltanto 17-18 anni dalla sua costruzione?
Ho ricercato negli archivi cittadini di Pesaro un documento in proposito,
iniziando dall'esame dei manoscritti conventuali delle domenicane,
18
conservati presso la Biblioteca Oliveriana. Da tale esame non è emerso,
purtroppo, alcun documento relativo alla cessione dell'organo, riguardando
tutti la donazione di terreni o l'entrata di qualche novizia con relativa “dote”.
I manoscritti esaminati sono datati fino al 1804, anno in cui la raccolta
termina con una serie di pagine bianche. Neppure l'esame del repertorio
dell'archivio di San Domenico in Pesaro, contenente anche riferimenti al
monastero femminile, ha consentito di risalire all'atto di cessione
dell'organo.
Restano dunque ancora irrisolti alcuni misteri, che spero ulteriori indagini
possano un giorno chiarire.
Tornando alla nostra storia dell'organo, fu così che, probabilmente, la terza
domenica di settembre del 1783, in occasione delle celebrazioni per San
Clemente, Gradara inaugurò il suo splendido strumento, che, da allora,
avrebbe continuato ad accompagnare le liturgie e le feste religiose fino ad
una sessantina di anni or sono.
Nel corso di tutto il diciannovesimo secolo l'organo continuò ad
accompagnare le liturgie gradaresi con il suo stile inconfondibile ed assoluta
regolarità di funzionamento, così come era nella tradizione del suo grande
costruttore. Non si ha notizia di
interventi che andassero oltre la
manutenzione ordinaria:
sono
rimaste tracce di un intervento di
“ripulitura” del 1834, eseguito,
come già detto, dall'organaro
Innocenzo Serafini, oltre a due
accordature eseguite da Giuseppe
Cioccolani, di Cingoli, nel 1868 e
nel 1872.
Successivamente,
l'organo
fu
utilizzato fino quasi agli anni 50
del secolo scorso, come ricordano personalmente diversi cittadini, ai quali da ragazzi - non raramente veniva assegnato il delicato compito di azionare i
mantici mentre l'organista accompagnava le messe domenicali.
Poi, seguì un periodo di inutilizzo, che accomunò l'organo alla chiesa che lo
ospitava, durante il quale lo strumento si trovò, sì, in uno stato di relativo
abbandono, ma anche in una situazione meno sfortunata rispetto a quelle di
tanti suoi confratelli. Da alcuni decenni si stava attraversando, infatti, un
19
periodo nel quale, sotto la spinta di una pur necessaria riforma della musica
liturgica e la diffusione di nuovi grandi organi dalle immense possibilità
concertistiche ed interpretative, ad alcuni era sembrato legittimo ed
opportuno operare anche interventi di “riammodernamento” degli strumenti
antichi.
Purtroppo, però, tali interventi non erano privi di conseguenze nefaste, per i
nostri poveri strumenti: così andarono perduti veri capolavori d'arte
costituiti da intere file di magnifiche canne, e molte di quelle che restarono
furono squarciate, violentate, accorciate o scambiate di posto fra loro.
Antiche tastiere e pedaliere in preziosi legni intarsiati furono gettate nella
spazzatura per essere sostituite con materiali dozzinali, soltanto perché più
simili a quelli utilizzati nei nuovi organi. Storici mantici a cuneo, benché
ancora del tutto efficienti, vennero sostituiti da moderni mantici a lanterna
ritenuti più costanti e fluidi nella resa, snaturando così una delle
caratteristiche salienti dell'organo antico. Vi fu perfino chi modificò
radicalmente il sistema di trasmissione del movimento dai tasti alle valvole,
sostituendolo con relais elettrici ed appiattendo così completamente
l'espressività del tocco dell'organista...
Fortunatamente, però, questo uragano devastante passò accanto al nostro
organo di Gradara senza sfiorarlo. Nessun intervento scellerato fu fatto su di
lui, e forse gran parte del merito, in questo, va riconosciuto proprio allo stato
di relativo oblio nel quale, suo malgrado, ebbe a rimanere in quegli
irresponsabili decenni.
Salvatosi dunque dal nemico numero uno che è l'uomo, lo strumento è
rimasto esposto alle sole ingiurie della polvere, del tempo, degli insetti e dei
topi. E tutti costoro, nel silenzio, ben presto raggiunsero la bella cassa e le
parti interne dell'organo, iniziando un lento lavorìo di degrado.
In particolare, sono i topi a rappresentare sempre il massimo pericolo per gli
organi, perché quando giungono a scoprire quella vera ghiottoneria che è per
loro il cosiddetto “zucchero di piombo”, in brevissimo tempo possono
rosicchiare la maggior parte delle canne metalliche.
Anche sul Callido di Gradara, per la verità, i topi arrivarono: ma forse
quest'organo ha beneficiato di un angelo custode, oppure fu lo stesso San
Clemente che fece buona guardia, perché, per un vero miracolo, dei loro
morsi micidiali si sono trovati solo casi isolati e di limitata estensione.
20
Scheda tecnica dell'organo
Autore: Gaetano Callido
Anno di costruzione: (1765) 17839 (?)
Numero d'opera: (20) 194 (?)
Ubicazione: in cantoria lignea sorretta da bussola, sopra la porta di ingresso.
Iscrizioni: all'interno dello strumento sono presenti i marchi a fuoco del Callido
sotto le canne di legno, sui mantici, sui condotti del vento e sulle carrucole di
azionamento dei mantici. Sono inoltre presenti le scritte “P°” sui mantici, sui
supporti del somierino del tamburo e sotto le canne di legno e “Per Pesaro”, a
matita, sulla tavola che regge la catenacciatura del pedale. La scritta “Gradara”, a
china, è presente sul listello di tenuta delle code dei tasti. Sull'anta di chiusura del
somiere maestro è presente la scritta a matita “Settembre 1834 fu ripulito da I.
Serafini l'organo e putelo(?)”. Sulla canna Si8 del Principale si leggono, in
colonna, le cifre: 1834, 1783, 51. Sulla parete di fondo è leggibile la scritta:
“Accordato Giuseppe Cioccolani 1868 - accor 1872”.
Cassa: in legno di abete, addossata alla parete, con prospetto fiancheggiato da
paraste e sormontato da timpano.
Facciata: costituita da 27 canne di stagno, disposte in unica campata a cuspide con
ali laterali. Appartengono al registro del Principale a partire dal Do 2 (canna
centrale) ed hanno il labbro superiore sagomato a mitria sormontata da un puntino
a sbalzo. Le bocche sono allineate ed il profilo della facciata è piatto. Davanti alle
canne del Principale sono posti i 45 Tromboncini, con tube di stagno, di tipica
foggia veneta.
Tastiera: a finestra, con leve in abete ricoperte in bosso (tasti diatonici) ed ebano
con listello longitudinale centrale intarsiato in bosso (tasti cromatici). I frontalini
dei tasti diatonici sono intagliati a chiocciola. Si compone di 45 tasti (Do1 - Do5)
con la prima ottava corta.
Pedaliera: a leggio di 10 tasti in noce (Do1 - Do2 + Tamburo), con la prima ottava
corta. E' costantemente unita alla tastiera.
Registri: azionati da tiranti con pomelli in legno, posti su unica colonna entro
propria tavola a destra della tastiera. I cartellini, scritti a china su carta, sono
originali e riportano, nell'ordine dall'alto in basso, le seguenti diciture:
Principale bassi
Principale soprani
Ottava
Quinta decima
9 Sulla doppia numerazione e datazione vedi il capitolo 'Storia dell'organo'
21
Decima nona
Vigesima seconda
Vigesima sesta
Vigesima nona
Voce Umana
Flauto in XII
Cornetta
Tromboncini Bassi
Tromboncini Soprani
La divisione fra bassi e soprani è posizionata fra il Do#3 ed il Re3.
Il Tiratutti del ripieno è a manovella, posto sopra il quadro dei registri.
Nella catenacciatura dei registri, i due catenacci relativi ai Tromboncini risultano
aggiunti.
Trasmissione: a meccanica sospesa mediante due catenacciature: la principale
unisce la tastiera al somiere maestro, la seconda unisce la pedaliera alla tastiera. I
catenacci sono in ferro, disposti su tavole di abete e tenuti in posizione da strangoli
in ottone a giro singolo.
Accessori: Tamburo acustico costituito da tre canne in legno (La, Sib e Si)
risuonanti tutte insieme al comando dell'ultimo tasto della pedaliera, poste in un
apposto somierino in legno di abete situato in corrispondenza della parete di fondo
della cassa.
Manticeria: due mantici a cuneo a cinque pieghe, posti entro il basamento della
cassa, azionati da corde e carrucole.
Somiere: di noce, a tiro, con 13 stecche che azionano i seguenti registri
(nell'ordine, a partire dalla facciata): Tromboncini bassi, Tromboncini soprani,
Principale bassi, Principale soprani, Voce Umana, Ottava, Flauto in XII, Cornetta,
XV, XIX, XXII, XXVI, XXIX. Le prime otto canne del Principale, in legno di
abete con bocche riquadrate in noce, sono poste su appositi trasporti a sinistra e sul
fondo destro del somiere ed alimentate (senza comando di registro) da
controventilabri posti sul pavimento della secreta, quattro a sinistra e quattro a
destra. Il crivello è in legno di abete, originariamente rivestito in carta vergata.
Canne: l'organo dispone di 454 canne, 11 delle quali in legno di abete con bocche
riquadrate in noce. Delle rimanenti, 72 sono in stagno in facciata (27 principali e
45 tromboncini) e le altre tutte in piombo con stagno al 15%. Le prime 8 canne del
Flauto in XII sono tappate a tampone, le rimanenti aperte, a cuspide. La Cornetta è
a cuspide. Cilindriche tutte le rimanenti canne. Le bocche delle canne sono
posizionate sopra il crivello, ad eccezione della Voce Umana.
22
L’attività di Gaetano Callido nel territorio pesarese - di Mauro Ferrante
Dalle indicazioni contenute nel catalogo autografo compilato da Gaetano
Callido tra il 1763 ed il 1806,10 completate dalla Nota degli organi realizzati
fra il 1763 ed il 1778, redatta dal maestro veneziano per ottenere l’esenzione
dal pagamento del dazio doganale presso il governo della Serenissima,11
abbiamo notizia delle complessive 430 opere prodotte dalla sua bottega, di
cui 86 risultano destinate al territorio della Marca d’Ancona.
Le diverse lacune, dovute al precario stato di conservazione, che il
principale documento presenta, in particolare riguardo ai periodi 1789-91 e
1794-98, devono essere tuttavia integrate da ulteriori 20 strumenti, molti dei
quali ancora conservati nelle loro sedi d’origine, alcuni emigrati in altre
chiese marchigiane o nella vicina Romagna, altri purtroppo dispersi ma
comunque attestati dalla documentazione d’archivio,12 per cui la produzione
relativa alle Marche ammonta finalmente a 106 opere complessive, circa un
quarto quindi dell’intera prodigiosa attività del veneziano.
Nel territorio pesarese, in particolare, essa appare piuttosto importante,
soprattutto grazie a un rapporto pressoché costante lungo l’intero arco dei 43
anni di lavoro dell’organaro, se - come risulta dal citato documento - dal
primo strumento eretto a Pesaro nel 1765, corrispondente all’op. 20 del
catalogo, esso proseguì fino all’op. 428 del 1806. Inoltre, il numero degli
strumenti pesaresi viene notevolmente ad incrementarsi se si considerano le
diverse opere che, pur interessate dalle lacune del catalogo e magari
trasferite in altra località, sono inequivocabilmente attestate dal marchio a
fuoco G+C recante le iniziali dell’autore e dalle iscrizioni toponimiche a
china Pesaro – anche nella forma storpiata Pesero o contratta P.0 - presenti
all’interno degli strumenti
Di seguito, sulla base dello stato attuale della ricerca, si crede utile offrire un
elenco delle opere callidiane in territorio pesarese documentate dal catalogo
e dalla Nota, con considerazioni e commenti sulle loro vicissitudini storiche.
10 Il documento consiste di tre tavole in tela rigida scritte a penna conservate presso la Biblioteca
‘Renato Lunelli’ di Trento. Soltanto la giovanile op. 1, destinata alla chiesa parrocchiale di Casale
nel Veneto, è segnata eccezionalmente sotto l’anno 1748.
11 Privilegio che gli verrà riconosciuto nel 1779 e rimarrà in vigore sino al 1798, con l’obbligo di
siglare gli strumenti con il marchio a fuoco G+C.
12 Un caso emblematico è rappresentato dai due organi costruiti dal Callido nel 1796 per la Basilica
lauretana, di cui - come anche per il terzo strumento op. 394 del 1802 – non resta che la scrittura
autografa.
23
1765 op. 20 Pesaro Monache Dominicane
Organo per S:ta Caterina di Pesaro
Ducati 400
Il demolito convento delle monache domenicane sorgeva dove attualmente è
ubicato Palazzo Ricci (oggi sede dell’ASL), accanto al Conservatorio ‘G. Rossini’.
L’organo, almeno in parte, potrebbe essere stato incorporato nell’opera callidiana
oggi conservata a Granarola di Gradara nella chiesa parrocchiale di San Cassiano.
Si tratta di un piccolo strumento di soli 5 registri - con una singolare facciata di
canne mute e l’inedita disposizione crescente dei registri sul somiere - che reca
l’iscrizione a penna Pesaro S. Caterina sulla tavoletta in coda alle leve dei tasti e,
dipinta su diverse parti lignee, la scritta S. C. oltre alla presenza della sigla a fuoco
G+C.
1766 op. 26 Pesaro S. Maria Maddalena
Organo per S:ta M.a Madalena di Pesaro Ducati 400
Si tratta della chiesa delle monache benedettine progettata da Luigi Vanvitelli,
ubicata in via Zacconi nell’antico quartiere di San Jacopo, prossima anch’essa al
Conservatorio ‘G. Rossini’. Intorno al 1861, a seguito delle soppressioni degli
ordini religiosi successive all’unità d’Italia, il convento divenne sede di diverse
istituzioni per poi essere demolito.13 La chiesa fu sconsacrata, tuttavia lo
strumento, oggi disperso, era ancora presente in cantoria, secondo alcune
testimonianze, fino a circa una ventina d’anni orsono.
1776 op. 118 Pesaro Padri Agostiniani
Organo per li Padri Agostiniani di Pesaro Ducati 650
Lo strumento, sottoposto a restauro storico nel 1988, è conservato in perfetta
efficienza nella sua originaria sede.
Pesaro, chiesa di Sant’Agostino, prospetto dell’organo
13 Al suo posto si trova oggi una scuola media.
24
1777
op. 129 Pesaro Carmilitani
Organo per li Padri Carmelitani di Pesaro Ducati 500
Nel 1810 l’antico monastero dei carmelitani venne soppresso. All'epoca l'organo
risultava ancora presente in sede, definito 'grande, molto buono e dicesi di ottimo
autore'.14 In data 1 febbraio 1813 il monastero, con l'orto e la chiesa, fu acquistato
per 340 scudi da certo Venanzio Guidomei, che lo cedette in affitto. Nel 1824 il
complesso conventuale fu demolito per costruire il nuovo Ospizio di S. Benedetto,
successivamente divenuto ospedale psichiatrico. Dell’organo callidiano non si
hanno ulteriori notizie. Esso è probabilmente compreso tra le opere cui Callido si
riferisce nella lettera a Padre Martini del 21 giugno 1777, quando scrive ‘tra
quindissi giorni parto per la marca anconitana con cinque organi’.
1783 op. 194 Pesaro Monache Cambio in Gradara
L’ambiguità della definizione contenuta nel catalogo callidiano non consente una
lettura chiara della destinazione dello strumento. Se in un primo momento può
apparire palese la corrispondenza con quello conservato nella chiesa del Ss.
Sacramento di Gradara, una riflessione più attenta evidenzia la mancata
concordanza di tale ipotesi con gli altri elementi dell’indicazione: il toponimo
Pesaro Monache,15 che alluderebbe a una chiesa monastica femminile pesarese, e
la parola cambio, indicante un non meglio precisato trasferimento di materiali a
Gradara.
1784 op. 205 Pesaro S. Cassiano Par:a
Lo strumento, che notizie d’archivio
definiscono ‘asportato’, fu successivamente
sostituito dall’op. 428 del 1806 dello stesso
autore.
Sembra
verosimile
l’ipotesi
identificativa di quest’opera 205 con l’organo
conservato a Misano Monte (RN), nella
chiesa parrocchiale dei Santi Biagio ed
Erasmo, che presenta le scritte toponimiche
Pesaro, Per Pesaro e P.0 e numerosi marchi a Misano Monte, chiesa dei Santi Biagio ed
fuoco
con la sigla G+C all’interno. Erasmo (particolare del toponimo Pesaro)
L’iscrizione incisa a secco sulla prima canna della Decimaquinta ne documenta il
trasporto da Pesaro, effettuato dall’organaro Domenico Ricci di Verucchio il 25
agosto 1833.
14 SILVIO LINFI, La chiesa di Pesaro sotto il regno d'Italia napoleonico, in ‘Frammenti’, n. 11
(2007), p. 368.
15 Si veda quanto affermato per la precedente op. 20.
25
1785 op. 217
Pesaro S. Filippo
L’antica e demolita chiesa dei Filippini sorgeva dove attualmente si trova il
cinema Duse. Nel 1799 l’organo era emigrato nella parrocchiale di Gabicce, per
poi, l’anno seguente, essere restituito. Verosimilmente a seguito delle soppressioni
operate dal governo sabaudo, esso subì un ulteriore trasferimento ed è oggi
identificabile con l’organo conservato ad Auditore, presso la chiesa parrocchiale
di S. Spirito, che presenta all’interno iscrizioni toponimiche Pesaro e Per Pesaro e
diversi marchi a fuoco G+C.
Pesaro, chiesa di San Filippo, copia della scrittura autografa di Gaetano Callido del 1784
Le caratteristiche tecniche dello strumento sembrano coincidere esattamente con
quelle descritte nel contratto autografo firmato con i Padri Filippini, conservato
presso l’Archivio capitolare del duomo di Pesaro16, in cui l’elemento determinante
ai fini dell’identificazione è costituito dalla canna maggiore di facciata,
corrispondente singolarmente al primo Sib della tastiera (particolarità costruttiva
piuttosto rara nell’intera produzione callidiana).
16 Si ringrazia Davide Marsano per averci trasmesso a suo tempo il documento.
26
1788 op. 253
Castel di Mezzo Parocchia
Ancora nel 1858 l’arciprete Giuseppe Pizzagalli nella Relazione per la Sacra
Visita I di Mons. Clemente Fares Vescovo di Pesaro affermava: ‘V’è l’organo
lavorato dal celebre Calido, e si trova in buono stato’.17 Lo strumento è stato
distrutto durante l’ultimo conflitto mondiale dai militari tedeschi che avevano
trasformato l’edificio sacro nel loro quartier generale.
1792 op. 296
Fanano di Gradara, chiesa di San Michele arcangelo
Nonostante lo strumento non
sia indicato nel catalogo, a
causa delle lacune citate,
datazione e numero d’opera
sono attestati dal Metodo per
Registrare l'Organo Fatto dal
Sig.
Gaetano
Callido
Veneziano terminato li 28.
GEN° 1792 N° 296, applicato
sulla tavola di fronte la
catenacciatura della tastiera e
dal
contratto
autografo,
conservato
nell’Archivio
parrocchiale, risalente al 26
dicembre 1790, con le relative
quietanze di pagamento.18
Fanano di Gradara, Archivio della chiesa parrocchiale,
copia della scrittura del 1790 autografa di Gaetano
Callido
17 Il documento è conservato presso l’Archivio parrocchiale di Colombarone.
18 Documenti datati 27 gennaio 1792, 28 gennaio 1793 e 24 febbraio 1794. Dalla seconda
quietanza apprendiamo che con Gaetano lavoravano il figlio Agostino e l'operaio Piero Ronchi.
27
1806 op. 427
Pesaro S. Spirito
Soppressa la chiesa l’edificio è stato adibito ad altro
uso. L’organo è stato trasferito verosimilmente
presso la chiesa di San Fortunato di Rimini, dove a
inchiostro sotto il piede di alcune canne di legno e
incisa a secco sul blocco di alcune canne dei
Tromboncini si legge l’indicazione toponimica
Pesaro (ovviamente, dato l’anno, è assente la sigla).
1806 op. 428
Pesaro S. Cassiano
Lo strumento è conservato
nella
sede
originaria.
Nell’Archivio parrocchiale è
conservato il contratto del 20
febbraio 1803 autografo di
Antonio Callido
Pesaro, Archivio
della chiesa di San
Cassiano, contratto
dell’organo
autografo di Antonio
Callido (1803)
28
Rimini, chiesa di San Fortunato
(particolare del toponimo
Pesaro)
Come accennato, esistono altre opere callidiane superstiti nel territorio
pesarese non documentate nel catalogo, tutte recanti il marchio a fuoco con
la sigla G+C che presume la loro datazione tra il 1779 e il 1798, nelle sedi
seguenti:
Pesaro, nella chiesa dedicata alla Purificazione di Maria Vergine (già delle
monache Serve di Maria) e nella chiesa parrocchiale di Villa San Martino,
proveniente dalla demolita chiesa di San Rocco, come documentato dalle
iscrizioni a penna Pesaro S. Rocco e S. R. all’interno dello strumento.
Ginestreto, nella chiesa parrocchiale di San Pietro in rosis. L’organo
presenta il toponimo Ginistreto sulla mensola sinistra che sorregge la
rastrelliera delle canne di facciata.
Gradara, nella chiesa del Ss. Sacramento. Lo strumento presenta sul listello
in coda alle leve dei tasti il toponimo a penna Gradara, ma anche iscrizioni
a inchiostro Per Pesaro sulla tavola di riduzione della pedaliera e P.0 sui
mantici. Il contratto autografo dell’organo di Fanano, datato 1790, reca un
esplicito riferimento a quest’opera, quando afferma che l’organo sarà
simile a quello di Gradara, così fornendo un prezioso indizio per la sua
datazione, certamente anteriore al 1790.
Un’ultima opera che presenta l’indicazione toponimica Pesaro e P.0 sotto il
piede di alcune canne di legno e sulle ruote della manticeria e il marchio a
fuoco con la sigla G+C, è infine conservata a Cattolica (RN) nella chiesa di
San Pio V (forse emigrato, intorno al 1866-7, dalla demolita chiesa pesarese
di San Domenico).
29
Il lavoro di restauro - di Luciano Peroni
Quando, il 9 febbraio 2006,
raggiunsi per la prima volta la chiesa
del Santissimo Sacramento in
Gradara per prendere visione
dell'organo e valutare il suo stato di
conservazione al fine di impostare il
progetto di restauro, questa fu
l'immagine che si presentò ai miei
occhi: uno strumento magnifico che,
nonostante il malinconico penzolare
del suo telone per la trinciatura della
corda di sostegno sotto decenni di
peso morto,
lasciava ancora
trasparire tutta la nobiltà della sua
origine illustre.
Salito sulla cantoria osservai per un
attimo gli inconfondibili manufatti
callidiani:
tastiera,
pedaliera,
comandi dei registri, canne di
facciata e prima di tutto volli
provare ad azionare i mantici per
rendermi conto di quanta vitalità
potesse essere rimasta in quello
strumento dopo il lungo silenzio.
L'organo rispose.
Con voce incerta, opaca e polverosa, sì, ma con una gran voglia di tornare al
suo umile quanto prezioso lavoro.
Fu questa voce che mi fece decidere a riprendere un'attività che avevo
lasciato da molti anni, risuscitando in me il sacro fuoco della passione per la
musica e l'organaria, insieme ad un misto di tenerezza per questa creatura
che per due secoli e mezzo aveva fatto vibrare tanti cuori di gradaresi e che,
dopo il lungo periodo di inattività che ne era seguito, la sensibilità e l'amore
di persone intelligenti avevano finalmente deciso di far tornare all'antico
splendore.
A conclusione del restauro, è ora per me doveroso rilasciare una
30
documentazione sul lavoro eseguito, a testimonianza e memoria storica
anche di questa tappa nella vita dell'organo. Non per una vana
autocelebrazione, ma come certificazione e garanzia di intenti, i principi ai
quali ho cercato di fare costante riferimento durante il lavoro sono stati
quelli di salvaguardare pienamente l'originalità dell'opera, evitando qualsiasi
intervento di modifica o sostituzione, tenendo sempre presenti le
caratteristiche callidiane in ogni particolare e spesso riferendomi alla
grandissima competenza del Prof. Ferrante, al quale ho richiesto una
collaborazione informativa forse oltre il dovuto e devo un sincero
ringraziamento per la pazienza, la passione e la concretezza con cui svolge il
suo prezioso compito di Ispettore onorario agli organi delle Marche.
A tale scopo, nel seguito riporto la descrizione dello stato di ogni sezione
dell'organo al momento della rilevazione e dei lavori eseguiti per il restauro,
svoltosi dall'ottobre 2006 al luglio 2007, insieme ad alcune considerazioni di
carattere divulgativo sulle caratteristiche tecniche e musicali, sperando di
contribuire un poco alla conoscenza di questi nostri magnifici strumenti,
patrimonio culturale tipicamente italiano, ed anche testimonianza ancora
viva di quella fede popolare, semplice ed intensa, che vissero i nostri nonni
nelle devote liturgie del tempo passato, delle quali - immancabilmente - la
voce dell'organo faceva parte.
La tastiera
31
Particolari della tastiera prima del restauro
La tastiera era molto impolverata, e il suo funzionamento condizionato
dall'allentamento dovuto all'uso. Presentava anche il telaio spaccato, alcune
coperture a rischio di distacco imminente ed un discreto attacco del tarlo.
Ma possedeva ancora tutte le sue parti funzionali e le coperture dei tasti in
preziosi legni lavorati ed intarsiati. Su di essa ho compiuto tutte le
operazioni di bonifica e recupero funzionale ed estetico. Le ferramenta
consunte dall'uso, o trovate già rotte e riparate con mezzi di fortuna, sono
state da me sostituite rispettando materiali e forme originali. A conclusione
del lavoro ho potuto constatare la bellezza, nobilitata dal tempo, di questa
tastiera che denota un Callido “prima maniera”.
La tastiera a restauro ultimato
La sua estensione è di sole quattro ottave, secondo l'uso dell'organo italiano
che perdurò fino agli inizi del novecento: un'estensione che non permette di
eseguire gran parte della musica organistica estera e, tantomeno, le musiche
del novecento, scritte per i grandi organi a più tastiere. La prima ottava,
inoltre, è priva di quattro diesis, e viene detta “corta” o “scavezza”. Questa
impostazione non fu certo suggerita da motivi di risparmio economico, ma
32
dalla precisa scelta di rinunciare ad alcune tonalità poco usate della scala
musicale per rendere più belle le tonalità cosiddette “naturali”, accrescendo
l'intonazione e le suggestioni mistiche prodotte dall'organo e rendendo più
agevole il canto dei fedeli e della “schola cantorum” che accompagnava le
liturgie dei nostri nonni. Essa doveva necessariamente abbinarsi ad un
particolare tipo di accordatura, spesso variabile da autore ad autore e,
addirittura, da organo ad organo, suggerita dalla composizione fonica dello
strumento e, forse, anche dalla risposta acustica della chiesa.
I risultati che ne uscivano rendevano certo giustizia a tutto quello studio e a
quell'impegno, producendo un amalgama sonoro di straordinaria bellezza,
pienezza e solidità, simile alla perfezione di un coro polifonico bene
intonato.
Per risolvere il problema di fare “dialogare” fra loro suoni di diverso timbro,
in alcuni registri l'estensione della tastiera viene separata fra “bassi” e
“soprani”, in modo che sia possibile produrre sonorità diverse fra le due
mani, come avviene sui grandi organi moderni, dove l'organista a volte tiene
le mani su due tastiere diverse. Questa soluzione consentiva di supplire alla
limitazione della tastiera unica, rendendo possibili molte combinazioni
coloristiche diverse, pure con un piccolo numero di registri.
La pedaliera
Anche la pedaliera presentava gli
stessi problemi di conservazione
della tastiera, ed è stata da me
assoggettata allo stesso lavoro di
salvaguardia e recupero, con
particolare attenzione a restituirle la
sua piena funzionalità.
Come in quasi tutti gli organi antichi,
la pedaliera ha un'estensione molto
limitata, ed è collocata in posizione
favorevole ad essere azionata con la
La pedaliera prima del restauro
sola punta del piede sinistro. La sua
funzione è sostanzialmente quella di suonare la nota di base dell'accordo
nella regione più bassa, sostenendo l'insieme e le armonie eseguite sulla
tastiera.
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La pedaliera a restauro ultimato
Come la tastiera, è priva dei quattro diesis, ed i nove pedali azionano le sette
note naturali della scala diatonica, più il Si bemolle, mentre l'ultimo pedale
aziona il secondo Do.
A destra, vi è inoltre un ulteriore pedale per l'azionamento dell'accessorio
detto Tamburo, consistente in una serie di tre canne di legno che suonano
insieme imitando, con i loro forti battimenti per la dissonanza, il rullo di un
tamburo che dura per tutto il tempo che il pedale viene premuto.
La pedaliera è collegata alla tastiera per mezzo di una meccanica a tiranti,
disposta in modo tale che la pressione di un pedale fa scendere anche il
corrispondente tasto, senza che l'organista debba necessariamente premerlo
con le dita.
I registri
A destra della tastiera, nel riquadro di un'apposita tavola lavorata, si trovano
i comandi dei registri, costituiti da 13 pomelli in legno che l'organista può
tirare in fuori per attivare le relative file di canne o spingere verso l'interno
per disattivarle.
34
In alto, poco sopra la tavola, si trova la manovella del
comando detto del “Tiratutti”, un dispositivo meccanico
che consente di aprire o chiudere in un sol colpo tutte le
file che compongono il “Ripieno”.
Ogni comando è accompagnato da un cartellino col
nome del registro, scritto a china su carta pergamena,
certamente originale, ed è collegato, mediante tiranterie
e leve in ferro, alla “stecca” che chiude o apre la sua fila
di canne.
Tutto questo complesso si presentava, al sopralluogo,
ancora interamente funzionante, anche se irregolare,
ossidato, rumoroso e indurito nel movimento. Risultava
mancante la manopola in legno del Tiratutti ed i
cartellini erano sporchi e mancanti di alcuni frammenti
di carta. Gli interventi di restauro sono stati improntati
alla disossidazione generale, alla pulizia e al trattamento
conservativo delle parti in ferro con riparazione di
alcune parti rotte o a rischio, alla pulizia ed al restauro
della tavola e dei cartellini, alla riparazione e bonifica
dei pomelli in legno ed al ripristino della manopola
mancante.
La trasmissione
La trasmissione del movimento
dalla tastiera e dalla pedaliera verso
le valvole che azionano le canne
utilizza il metodo chiamato “a
meccanica sospesa”, avvalendosi di
tiranti in filo di ottone e catenacci
in ferro che trasportano il
movimento dei tasti lungo una linea
orizzontale,
unendo
le
due
perpendicolari del tasto e della
valvola corrispondente.
Questo
tipo
di
meccanica
accomuna quasi tutti gli organi antichi, e consente di disporre le canne con
La catenacciatura prima del restauro
35
un disegno diverso da quello denominato “ad ala”, nel quale le canne sono
allineate in ordine decrescente di nota e di dimensione, da sinistra a destra in
coerenza con l'andamento della tastiera. E' grazie alla catenacciatura che
sono possibili le classiche disposizioni “a cuspide” o “a cuspide con ali
laterali” o ancora “a tripla campata” delle canne di facciata.
Tutta la catenacciatura è fissata su una tavola di abete posta fra la tastiera ed
il somiere. I catenacci in ferro
sono trattenuti da anelli di
ottone
detti
“strangoli”,
all'interno dei quali possono
ruotare liberamente sul proprio
asse orizzontale.
Le catenacciature dell'organo
di Gradara sono due: la
principale, composta di 45
catenacci, che collega la
Particolare della meccanica restaurata
tastiera al somiere con le
valvole che azionano le canne, e quella del pedale, limitata a soli 9
catenacci, che collega la pedaliera alla tastiera.
Un'ulteriore, semplice trasmiaaione a più rimandi collega l'ultimo pedale di
destra con il somierino del Tamburo facendo risuonare le tre canne del
dispositivo tutte insieme.
Tutta la meccanica si presentava molto sporca ed ossidata, allentata nel
movimento e rumorosa. Ho proceduto alla sua disossidazione riportando
all'originaria bellezza il ferro di primissima qualità utilizzato dal Callido. Ho
poi verificato e regolato tutti i punti di rotazione per ridurre al minimo la
rumorosità del meccanismo, anche se, tutto sommato, un minimo di
rumorosità non fa che caratterizzare gli organi meccanici antichi.
La conservazione dei tiranti di ottone costituisce quasi sempre un problema,
perché l'ossido formatosi sulle strette piegature dei punti di giunzione
compromette la resistenza dell'ottone crudo, in molti casi non permettendo
di riaprire tali piegature senza rischio di rottura. E per molti altri che non si
spezzano in fase di apertura, la rottura spesso avviene con la successiva
richiusura in fase di montaggio a restauro ultimato.
Così ho cercato di salvare quanti più tiranti possibile, anche mediante
un'operazione di scorrimento degli stessi, cioè riutilizzando quelli rotti al
36
posto dei tiranti più corti, e così via. Questo accorgimento ha permesso di
contenere al minimo indispensabile le sostituzioni, pur garantendo la stessa
durata nel tempo.
Il somiere
Il somiere è la grande cassa a tenuta stagna che consente la distribuzione
dell'aria alle canne. Al momento della rilevazione si presentava in
condizioni generalmente discrete, in rapporto a tutto il tempo trascorso dopo
l'ultimo lavoro di ripulitura, fatto oltre un secolo e mezzo fa.
Tuttavia ogni organaro restauratore sa che, per quanto riguarda il somiere, è
bene diffidare del colpo d'occhio iniziale, anche se l'organo, alla prova
effettuata durante la rilevazione, pare funzionare regolarmente. La cassa di
distribuzione è, infatti, un meccanismo complesso, dal quale dipende tutto il
buon funzionamento dello strumento, e che spesso riserva spiacevoli
sorprese una volta aperto. Troppi sono gli elementi in gioco perché il lavoro
possa essere valutato esaurientemente nel corso del breve sopralluogo: stato
dei pellami, grado di imbarcatura delle tavole di legno, presenza o meno di
tarli all'interno della struttura, spessori e curvature delle stecche dei registri,
stato dei borsini e delle ferramenta, tenuta generale dell'aria....
In Callido, generalmente, i somieri sono costruiti con grande maestria, e la
scelta dei materiali, soprattutto dei legni, è talmente accurata che molti dei
suoi organi continuano a svolgere il loro servizio ancora oggi, alcuni senza
altri interventi che una ordinaria manutenzione.
Il nostro somiere, una volta
smontato ed aperto, ha
mostrato, oltre ad alcune
scoperte, poi tornate utili
riguardo all'identificazione
dello strumento e delle quali
ho parlato al
capitolo
“Storia dell'organo”, una
condizione un po' più critica
di quanto ci si potesse
attendere.
Infatti, una volta rimossa la
pelle di battuta dei ventilabri
Un particolare del somiere, aperto, prima del restauro
37
e cominciato a controllare la
planarità della grossa tavola di noce
in cui sono scavati i canalini, è
emersa l'esistenza di una imbarcatura
diffusa, che presentava un massimo
dislivello pari a circa 1,2 millimetri,
Questo
soprattutto accentuato nella zona annerimento
denuncia un
destra. Evidentemente tale difetto
passaggio
d'aria
aveva già iniziato a manifestarsi da
indesiderato
molti anni, a giudicare dall'ineguale
distribuzione dell'annerimento da
polvere sulle pelli dei ventilabri, segno inequivocabile di una irregolarità
nella chiusura.
Le pelli, applicate sui ventilabri in triplice strato, sono risultate ancora
sufficientemente morbide per evitarne la sostituzione integrale: ci si poteva
limitare a sostituire il solo strato
esterno, ormai troppo compromesso
I borsini di
dalla nera polvere intrisa di fumo di
tenuta al
momento della
candele e da piccoli mancamenti
rilevazione
dovuti
a
residui
rimastivi
imprigionati per il lungo tempo in
cui l'organo è rimasto inattivo.
Le parti in ottone si presentavano
molto annerite per l'ossidazione e,
soprattutto, i borsini di guarnizione
ai tiranti provenienti dai tasti erano
molto danneggiati, con le pelli sottili
lacerate in corrispondenza di molte
delle perline di tenuta ed altri giunti
ormai vicino al rischio di rottura.
Perciò ho provveduto a rimuovere
tutti i borsini coi loro meccanismi ed
a ricostruirli in sottilissima pelle
pregiata di agnellino, rispettando le
misure originali e gli stessi metodi
di incollaggio e bloccaggio praticati
dall'autore.
L'interno del somiere restaurato
38
Quanto alle tavole, la presenza del tarlo,
che sotto la polvere al primo esame in
loco era apparsa relativamente contenuta,
si presentava invece piuttosto nutrita,
soprattutto sulle magnifiche tavole di noce
sottostanti le canne. Dunque è stato
necessario procedere ad una approfondita
bonifica ed alla chiusura di tutti i fori di
sfarfallamento con cera a caldo. Il risultato
è stato appagante, evidenziando un
manufatto di eccezionale qualità,
come anche un occhio non esperto
può vedere da questa foto.
L'azione del tarlo sulle tavole del somiere
Le viti in ferro erano molto
arrugginite, e costituivano un rischio
concreto qualora, in sede di
rimozione, si fossero spezzate
lasciando il gambo all'interno delle
tavole: un rischio che corse lo stesso
Callido quando smontò il somiere
Le tavole restaurate
per la sua modifica, e dovette
rimpiazzarne due con altre viti affiancate al vecchio
foro. La fattura, il materiale e la forma di queste
nuove viti - pure nella dimensione leggermente
ridotta - attestano inequivocabilmente la loro
provenienza dalla fabbrica del grande organaro.
Perciò, dato che erano passati altri 224 anni dal
precedente smontaggio, ho proceduto con estrema
cautela, e alla fine la calma e la prudenza sono state
premiate,
consentendo di
recuperare tutte le viti ad eccezione di
due che - così come era accaduto nel
precedente smontaggio - non ho potuto
fare a meno di rimpiazzare.
Dal momento che si tratta di viti fatte a
mano e, perciò, una diversa dall'altra,
tutte le viti sono state da me numerate
39
per essere sicuro di ricollocarle nello stesso foro dal quale erano state
estratte, non senza averle accuratamente liberate da ogni residuo di ruggine e
avere ripristinato la massima affidabilità nel taglio della testa, per garantire
che un eventuale futuro restauratore possa estrarle di nuovo senza troppi
problemi.
Sotto il somiere sono fissate, ai due lati, i cosiddetti “trasporti”, che servono
ad alimentare le prime otto canne più grandi. Questi si presentavano in
condizioni molto precarie, con spaccature che con la fuoruscita di aria
compromettevano la corretta emissione del suono delle canne sovrastanti,
rendendolo debole e soffiante, ma anche sottraendo potenza sonora alle
canne degli altri registri. Questo inconveniente finiva per affievolire
significativamente i toni bassi facendo perdere rotondità e smalto a tutto
l'insieme.
Ho quindi provveduto a riparare i legni ricostituendone stabilmente
l'integrità
e
la
tenuta,
provvedendo nel contempo
alla bonifica dal tarlo ed alla
perfetta impermeabilizzazione
dei canali dell'aria.
Una volta aperto lo strato
superiore di tavole (la
cosiddetta “coperta”), ho
potuto accedere al piano
formato dalle stecche dei
registri con le loro false
stecche e con il sottostante
Le stecche e le false stecche
sistema di sfogo dell'aria
eccedente, utilizzato dai maestri organari per evitare la formazione di suoni
indesiderati, detti “trasuoni”, dovuti al passaggio di aria fra gli interstizi ed i
giochi delle stecche.
Tutto l'insieme, fortunatamente, appariva alla vista in buone condizioni,
fatta eccezione per l'immancabile polvere e per qualche, raro, foro di tarlo.
Le stecche, tuttavia, presentavano lievi assottigliamenti dovuti alla
stagionatura del legname (“il legno è sempre vivo” recita un vecchio detto
dei falegnami), tanto che in qualche punto generavano trasuoni.
Perciò ho effettuato preliminarmente un'accurata pulizia, bonifica e
seppiatura superficiale perché fossero ridotti al minimo gli attriti; poi ho
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calibrato le false stecche e, rimontate le coperte, ho fatto un severo collaudo
generale per verificare l'assenza di fughe d'aria e di potenziali trasuoni.
Infine ho provveduto a ricostruire le 45 molle di tenuta delle valvole,
utilizzando materiale, forma e dimensione originali, per sostituire quelle
esistenti che si erano ormai dimostrate troppo allentate e non più regolabili.
I mantici
L'organo è dotato di due magnifici
mantici a forma di cuneo, originali e
marchiati a fuoco col simbolo del
Callido. Il loro meccanismo di
azionamento è costituito da corde e
carrucole ed i pesi sono in pietra, con
molta probabilità originali. Questo è
molto importante per determinare il
livello originario di pressione dell'aria e,
La zavorra in pietra sul mantice
pertanto, ricostruire più fedelmente
possibile il diapason corista ed il
modello di accordatura adottato al momento della prima installazione dallo
stesso Callido.
I due mantici, protetti per tutto il
tempo di inattività dell'organo dalla
loro stessa struttura, che racchiude le
pieghe guarnite di pelle in una specie
di scatola ermetica, non presentavano
grandi problemi di usura, ed i loro
pellami si dimostravano ancora
sufficientemente
morbidi
ed
impermeabili. Anche le aggressioni dei
tarli erano limitate, forse perché questi
Le corde del tiramantici
animaletti hanno preferito all'abete dei
mantici il più saporito legno di noce, presente nell'organo in grandi quantità.
Perciò ho proceduto ad una profonda pulizia, alla bonifica di tutti i legnami
ed alla riverniciatura delle parti già dipinte in rosso, nonché ad alcune
sostituzioni di pellami laddove si presentava la necessità od un rischio
imminente di rottura. I manufatti sono poi stati da me sottoposti ad un
severo collaudo di tenuta.
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Lo stesso trattamento di pulizia
e bonifica l'ho effettuato sulle
carrucole, sui relativi sostegni e
sui condotti interni in legno,
verificandone la tenuta e
procedendo ad alcuni interventi
di impermeabilizzazione. Infine,
l'intero
meccanismo
di
azionamento manuale è stato da
me ripristinato riposizionando i
pesi sui mantici.
Infine ho dotato lo strumento di un elettroventilatore, che assicura
un'alimentazione continua, fluida e silenziosa di entrambi i mantici. Grazie
alle speciali controvalvole di cui ho dotato i nuovi condotti di
alimentazione, questa installazione non compromette minimamente la
possibilità di utilizzare, all'occorrenza, le vecchie corde per far funzionare lo
strumento.
Le canne
L'organo conta 451 canne distribuite in 11 registri, oltre a 3 canne che,
suonate tutte insieme, imitano l'effetto di un tamburo rullante. 72 canne sono
costruite in stagno puro e sono quelle visibili nella facciata: 27 grandi canne
del registro del “Principale”
e l'intero registro dei
Tromboncini. Altre 11 sono
costruite in legno di abete, a
sezione quadrata, con le
bocche riportate in legno di
noce. Le rimanenti 371 sono
in lega di piombo e stagno,
con
quest'ultimo
componente presente al
15%.
Degli 11 registri, sette
compongono il cosiddetto
Le canne interne come si presentavano al sopralluogo
“ripieno”, quel suono forte e
suggestivo caratteristico dell'organo, invenzione geniale con la quale
l'organaro crea artificialmente un suono composito sovrapponendo alla base
42
bassa della nota, a criterio e piacimento dell'organista che interpreta, suoni
armonici diversi che arricchiscono e potenziano l'effetto sonoro.
Altri tre registri sono detti “da concerto”, per le loro caratteristiche sonore
che tendono ad imitare strumenti dell'orchestra, dei quali prendono a prestito
il nome: Flauto, Cornetta, Tromboncini. L'ultimo registro, limitato alla
regione alta della tastiera, è la cosiddetta “voce umana”. Si tratta di un
registro di particolare effetto e di grande suggestione, dovuta all'oscillazione
controllata del suono similmente alla voce dei cantanti lirici. Il suo principio
di funzionamento è semplice e geniale: due file di canne di dimensione
uguale, la seconda delle quali viene un po' “scordata” rispetto alla prima,
generando così dei “battimenti” con la frequenza voluta.
Al sopralluogo sono risultate mancanti nove delle canne interne, mentre
altre due erano state inspiegabilmente accorciate di circa la metà della loro
lunghezza originale. Fatto
strano, dal momento che
non risulta che sull'organo
siano state fatte accordature
particolarmente “pesanti”, e
gli organari che lasciarono
memoria dei loro interventi
in tal senso sono da
considerarsi di prim'ordine,
Una delle canne interne prima e dopo la riparazione
come Giuseppe Cioccolani
di Cingoli. La conferma della sostanziale integrità
delle canne è venuta dai lavori di restauro, che hanno
messo in luce un generale stato di buona
conservazione delle bocche e delle anime rispetto
alla loro costruzione originale. Diverso è il discorso
relativo ai corpi ed ai piedi, dove si sono invece
rilevati gli effetti di diversi interventi di accordatura
non sempre impeccabile, e qua e là, come già detto,
di morso del topo.
Ricostruite le canne mancanti, nel rispetto delle
caratteristiche fisiche originali, ho provveduto ad
un'approfondita pulizia e lavaggio con prodotti
neutri. Poi, canna per canna, ho recuperato tutte le
Il “lavoro” del topo
geometrie originali, riportando a tondo le sommità,
eliminando le ammaccature e le dissaldature e reintegrando le poche parti
43
perdute con nuova lastra compatibile.
Le canne tappate del registro di flauto sono state da me revisionate
completamente, ripristinando la robustezza e la perfetta tenuta dei tappi
originali, senza operare alcuna sostituzione.
Le canne di facciata sono state trattate per recuperare quanto possibile
rispetto all'attacco della cosiddetta “peste dello stagno”, che per fortuna si è
rivelato soltanto iniziale e sporadico.
I Tromboncini costituiscono
l'unico registro ad ancia presente
nell'organo, un registro cioé nel
quale il suono è prodotto dalle
vibrazioni di una lamella di
ottone che batte su un canalino al
passaggio dell'aria. La forma di
questi tromboncini è tipica degli
organari della scuola veneta
settecentesca, della quale Callido
è il più insigne rappresentante.
I Tromboncini di Callido prima del restauro
Pur essendo magnificamente costruito, il registro presenta una certa criticità,
sia per la relativa instabilità del sistema di bloccaggio e accordatura delle
ance che per la complessità degli elementi che concorrono a formarne il
timbro ed il volume sonoro. Si scorda molto facilmente e spesso costituisce
un grattacapo per l'accordatore o per l'organista che si accinge ad un
concerto, quando è costretto a regolare da
solo l'accordatura.
Questa
si
fa
facendo
scorrere
impercettibilmente la gruccia, che a sua
volta regola la posizione di un piccolo
pattino in corno sulla lamella di ottone, di
fatto modificando la lunghezza della parte
vibrante.
Il pattino di accordatura
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I tromboncini del nostro organo si presentavano
molto attaccati dalla peste dello stagno nella parte
superiore, dove più facilmente si ferma la
polvere, e, soprattutto, danneggiati nelle parti
funzionali. Erano mancanti alcune ance, e alcune
grucce di accordatura risultavano sostituite da
dozzinali accordatori costruiti alla bell'e meglio
in filo di ottone piegato. Vi erano poi parecchi
pattini in osso tarlati ed inservibili.
L'intervento eseguito ha ricostituito le
caratteristiche originali di ogni tromboncino,
rimpiazzando le parti perdute con materiali
identici e sostituendo i pattini
inservibili con nuovi in osso,
lavorati a mano con lo stesso
disegno degli originali. Particolare
attenzione
ha
richiesto
l'allineamento dei gambi in
ottone, in modo da assicurare la
massima semplicità e sicurezza fin dove consentito dai limiti
fisici della loro costruzione nell'accordatura e nella sua tenuta.
Tutte le canne sono state da me
La peste dello stagno
Particolare dei tromboncini con i pattini ricostruiti
Una delle canne interne a restauro completato
45
inventariate e descritte,
rilevando con estrema cura
tutte le misure, allo scopo
di documentare tutto lo
strumento ai fini della
conoscenza del patrimonio
organario italiano e per
consentire studi e analisi
da parte degli esperti.
Dalla misurazione sono
poi stati eseguiti, mediante
il calcolo matematico
statistico su computer, tutti
i passi necessari ad individuare il modello di accordatura originale
callidiano ed il diapason di riferimento da lui utilizzato.
E' su questa base, puntualmente verificata sul campo mediante riscontri ad
orecchio ed elettronici, che ho costruito l'accordatura ineguale antica, con
una metodologia particolare fondata sulla duplice base dei rapporti fra le
note e delle relazioni timbriche e dinamiche, sia fra i diversi registri che fra
le note di uno stesso registro.
A conclusione del lavoro, ritengo doveroso ricordare e ringraziare alcune
persone che in Gradara mi hanno spontaneamente e gratuitamente offerto la
loro preziosa collaborazione in alcune fasi del lavoro di restauro: l'impresa
di restauri edili Gerboni con i suoi dipendenti, il falegname Francesco
Giusini, ma anche i signori Maurizio Rossetti e Mario Baldassari, ai quali va
tutta la mia simpatia e gratitudine per la loro partecipazione, grande o
piccola che sia, nell'assolata estate gradarese.
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Finito di stampare nel Luglio 2007
da Arti Grafiche Pesaresi S.r.l.
PESARO
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San Clemente - BCC Gradara