L'organo di Gaetano Callido della Chiesa del Ss. Sacramento (San Clemente) in Gradara Indice Pag. Prefazione della Banca di Credito Cooperativo di Gradara 3 Prefazione dell'Arcivescovo di Pesaro 5 Storia dell'organo - di Luciano Peroni 6 Scheda tecnica dello strumento 21 L’attività di Gaetano Callido nel territorio pesarese - di Mauro Ferrante 23 Il restauro - di Luciano Peroni 30 2 Abbiamo accettato con piacere la proposta di finanziare il progetto di restauro dell’organo nella Chiesa del S.S. Sacramento di Gradara, convinti della bontà dell’iniziativa, e della necessità di restituire alla comunità di Gradara, l’antico organo “Callido” in buone condizioni di efficienza fonica e funzionale, dopo il degrado subito ad opera degli agenti naturali, per il lungo periodo di inattività. Il recupero si proponeva di migliorarne la fruibilità per l’uso liturgico, ma soprattutto di favorire la concertistica, che consentirebbe di ampliare l’offerta culturale della città di Gradara, valorizzando a tale uso gli ambienti recentemente restaurati, all’interno del centro storico. Con tale iniziativa, i locali dell’ex chiesa del S.S. di Gradara potrebbero assumere una valenza turistica di qualità, una nuova destinazione, anche stabile, che alimenterebbe un’attività concertistica importante per l’ulteriore crescita e sviluppo della città, utilizzando un’ambientazione medioevale in grado di creare sensazioni particolari ed uniche. Il lavoro eseguito dall’organaro pesarese Luciano Peroni è stato scrupolosamente documentato con materiale fotografico inedito, e relazioni dettagliate degli interventi, completi di immagini, procedendo anche ad una attenta catalogazione degli elementi costitutivi, più significativi ed importanti dell’organo. Un’opera attenta e qualificata che intendiamo riproporre all’attenzione degli appassionati, dei cultori, per documentare nei particolari, le condizioni dello strumento, prima, durante e dopo l’intervento. La BCC di Gradara sensibile ed attenta alla riscoperta delle antiche tradizioni, e di tutto quanto possa riferirsi alla cultura, ed alla valorizzazione del proprio territorio, propone all’attenzione della comunità Gradarese questo opuscolo quale preziosa testimonianza di un lavoro inedito quanto importante e qualificato, per il recupero di un antico organo storico documentato dal suo celebre autore come opera n. 194, ultimato nell’estate del 1783. Una catalogazione precisa e puntuale, ricca di riferimenti storici e 3 particolarità costruttive che l’autore di questa pubblicazione ha voluto regalarci, anche come testimonianza di operazioni specialistiche di alta professionalità; lavori di grande contenuto tecnico professionale sempre più rari nella fretta produttiva dei nostri tempi, che si vuole in qualche modo recuperare a vantaggio della comunità. Questa è un’ulteriore dimostrazione della capacità della nostra banca di abbinare all’attività imprenditoriale, che deve comunque produrre profitti, un’attività sociale e culturale a vantaggio della comunità. Un’iniziativa che consenta a chi viene dopo di noi, di poter disporre e beneficiare di precedenti esperienze, di poter valorizzare opere preziose che andrebbero altrimenti perdute, di rileggere parte della nostra storia o di conoscere il nostro passato. Tutto questo in un’ottica ben precisa che possa costituire occasione per la crescita e l’ulteriore sviluppo del nostro territorio. Fausto Caldari (Presidente Bcc di Gradara) 4 Arcidiocesi di Pesaro Come Arcivescovo di questa nostra diocesi di Pesaro plaudo alla iniziativa del restauro di uno dei più preziosi cimeli che la cittadina di Gradara possiede. Le note liturgiche del passato riecheggiano oggi nel nostro presente come collegamento di fratellanza al di là del tempo e dello spazio e nella convergenza di perenni valori che la Confraternita del SS. Sacramento ha profuso e testimoniato. La mia gratitudine va a tutti coloro che hanno collaborato al progetto: la Direzione dei Beni Culturali della CEI, la Banca di Credito Cooperativo di Gradara, la Soprintendenza per i Beni artistici e Culturali delle Marche, l’Amministratore delle Confraternite, il restauratore, noto per la sua precisione e competenza, e tanti altri. Benedico e auguro che le note di codesto “Callido” sollevino nell’ascolto il nostro spirito, aiutandoci a realizzare quella pace che tutti desideriamo. Mons. Piero Coccia Arcivescovo 5 Storia dell'organo - di Luciano Peroni La relazione stilata nel 1777 dal Vescovo di Pesaro Gennaro Antonio De Simone, a conclusione della sua visita pastorale in Gradara, bene descrive la situazione nella quale maturarono le decisioni e le vicende che portarono all'installazione dell'organo oggi esistente nella chiesa del Santissimo Sacramento, più conosciuta come chiesa di San Clemente martire. “La Compagnia del Santissimo Sacramento ebbe il suo principio nell'antica Chiesa della Pieve di S. Sofia di questa Terra, dove aveva il suo Altare, come si rileva dalla Bolla d'Indulgenze concessegli dal Sommo Pontefice Gregorio XIII sotto il dì 19 marzo 1577, ottenuta dalla Serenissima Vittoria Farnese Duchessa d'Urbino, Signora e Padrona in quel tempo di Gradara.” “L'andar del tempo poi ridusse la detta Chiesa in pessimo stato. Sicché la Compagnia fatta più numerosa, e di maggior potere, ottenute le debite licenze, distrusse la vecchia, e fondò a proprie spese nel sito ove si trovava, la nuova Chiesa che, terminata, fu aperta col benedirla il dì 28 ottobre 1751.” Vittoria Farnese Monsignor De Simone descrive poi dettagliatamente la chiesa ed infine afferma: “L'orchestra 1 è al fine della Chiesa, quale è di legno verniciato ad uso di marmo, dove vi è l'organo di quattro registri, che suonasi ogni terza domenica del mese.” Dunque, prima dell'organo attuale, la chiesa di San Clemente disponeva di uno strumento più antico, di piccole dimensioni tanto da far pensare forse ad un organo che poteva essere trasportato a braccia e suonato in processione, in occasione delle feste dedicate al martire, la terza domenica di settembre. 1 La cantoria, ovvero la balconata sopra la bussola d'ingresso destinata ai cantori e all'organo 6 Che si trattasse di un organo piccolissimo, si deduce anche da un'altra frase nella relazione del Vescovo Gennaro: “Vi sono a detta Chiesa sette finestre, la maggiore delle quali sta sopra la porta e l'altre sono proporzionatamente sparse per la Chiesa: tutte vetrate colle sue tendine al di dentro, e ramate al di fuori.” L'organo antico era dunque di una dimensione tale da non coprire la finestra in facciata, che allora era ancora aperta.2 Ma quel vecchio strumento, probabilmente, stava cominciando a mostrare i suoi limiti, sia nella potenza sonora che nelle possibilità timbriche, in quella nuova sede più ampia ed affollata, nonostante l'ottima resa acustica della La chiesa del Santissimo Sacramento con la finestra murata volta; e così, qualche anno dopo quella visita pastorale, la Confraternita si risolse alla ricerca di un nuovo organo, più consono alle dimensioni ed al prestigio della nuova chiesa. Le vicende legate a quell'acquisizione sono, purtroppo, avvolte nel mistero, dato che malauguratamente, molti documenti della Confraternita sono andati perduti e con essi, sicuramente, il contratto di acquisto dello strumento. La storia dell'organo che racconterò qui, perciò, pur basandosi sugli elementi certi e documentati che è stato possibile raccogliere, riporta una mia personale ipotesi, che ritengo doveroso, in ogni caso, consegnare con questa pubblicazione alla conoscenza generale, dal momento che si avvale di osservazioni esclusive e difficilmente ripetibili, come quelle che provengono dal lavoro di restauro. Come ogni ipotesi, essa potrà essere smentita o confermata da quelli che, mi auguro, possano essere futuri ritrovamenti documentali in grado di chiarire ciò che effettivamente accadde in quella seconda metà del settecento alla quale sicuramente risale l'installazione dell'organo. 2 La finestra sulla facciata della chiesa sarà murata di lì a pochi anni per ottenere il fondo della cassa del nuovo organo, notevolmente più grande tanto da sfiorare la volta con la sommità del suo timpano. 7 Iniziamo dunque dall'esame degli elementi scientificamente provati, per poi sviluppare l'ipotesi circa lo svolgimento dei fatti. La prima cosa indiscutibile e, di certo, la più importante è che la paternità dell'organo deve essere attribuita a Gaetano Callido, il più celebre organaro veneto e considerato uno dei più grandi di tutti i tempi.3 La fabbricazione callidiana è attestata in modo esplicito dalla presenza della sigla G†C impressa a fuoco su diverse parti interne: mantici, carrucole, condotti dell'aria e sotto le canne di legno. Accertata la paternità callidiana, il passo successivo è di identificare il Il marchio a fuoco di Callido accanto al numero d'opera e l'anno di toponimo 'P°' (Pesaro) costruzione, elementi che sarebbe stato facilissimo ricavare dalla lettura del contratto stipulato fra la Confraternita ed il Callido oppure di iscrizioni riportanti tali dati, apposte su qualche parte dell'organo. L'uno e le altre, però, sono totalmente assenti, mentre è presente il toponimo “Gradara”, scritto a pennino e china con la tipica grafia dell'epoca, sul telaio della tastiera: cosa che confermerebbe come l'organo sia stato costruito fin dall'origine per essere destinato a questa località. 4 3 Per le notizie riguardanti l'autore dell'organo si veda il capitolo seguente - Mauro Ferrante, L’attività di Gaetano Callido nel territorio pesarese 4 Oltre al suddetto toponimo, sono presenti nelle parti interne dell'organo numerosi altri riferimenti, apposti in fabbrica per distinguere tra loro i diversi organi simultaneamente in costruzione ed agevolare le operazioni di scarico a destinazione. Si tratta della sigla “P°”, scritta a china e pennello sui mantici, su una delle due carrucole di azionamento dei mantici stessi, sui condotti dell'aria e sotto le canne di legno. Tale toponimo era usualmente utilizzato dal Callido per indicare “Pesaro”. La sigla “P” scritta a matita è poi presente sulle canne di legno (chiusura del piede) e sulla tavola della meccanica della pedaliera esiste la scritta esplicita “Per Pesaro” tracciata a matita. Sulla struttura del crivello e sulla tavola della meccanica dei registri sono presenti le sigle “B”. Le numerazioni a china nera 8 Per delimitare il campo d'indagine, possiamo anzitutto dedurre, dalla lettura della sopra citata relazione del Vescovo di Pesaro, come l'installazione dell'organo sia successiva al 1777, dal momento che in quell'anno esisteva ancora il vecchio organo. La presenza dei marchi di fabbrica restringe ancora il periodo, perché gli stessi furono apposti da Callido soltanto sugli organi costruiti fra la metà del 1779 (opera n. 149) ed il 1798 5. Dunque, il nostro strumento non può essere anteriore al 1779. La data massima di installazione può essere invece definita considerando una frase contenuta nel contratto originale sottoscritto da Gaetano Callido per l'organo di Fanano (datato dicembre 1790), nel quale egli afferma che il nuovo strumento 'sarà simile a quelo di Gradara'. Essendo i due organi del tutto identici in dimensione e struttura fonica, si ha ragione di ritenere che l'organo di Gradara fosse, per Callido, proprio quello allora già esistente nella chiesa del Ss. Sacramento, escludendo altresì che alla data vi potessero essere altri suoi strumenti in chiese gradaresi ed implicitamente affermando che l'installazione del nostro organo non possa essere posteriore alla fine del 1790. Purtroppo, vi è una lacuna nel catalogo callidiano 6, proprio corrispondente agli anni 1789 e 1790, che rende l'identificazione più incerta: tuttavia è possibile stabilire che lo strumento sia certamente compreso fra il n. 149 ed approssimativamente il n. 285, quest'ultimo ottenuto prudenzialmente proiettando sui due anni illeggibili del suo catalogo i ritmi di produzione annuali medi di quel periodo. Una rosa di 137 strumenti, 108 dei quali risultano leggibili, ed altri 3 (del 1790) sono stati successivamente identificati in Venezia. I rimanenti 26 sono sconosciuti e non si può escludere che fra questi possa essere presente anche il nostro strumento di Gradara. Il passo pare tuttavia più agevole, dal momento che fra quelli elencati esiste un organo riferito a Gradara: si tratta del numero 194 del 1783, denominato dal suo autore “Pesaro Monache Cambio in Gradara”. La datazione appare perfettamente coerente con tutti gli elementi fin qui presi in considerazione. Ciò che, invece, suscita perplessità è la denominazione adottata da Callido riportanti i riferimenti di tasto sono presenti sul crivello, sulle tavole delle catenacciature, sulle leve dei tasti e sui pedali, così come è presente una numerazione delle stecche e delle false stecche dei registri. I ventilabri sono invece numerati a sanguigna rossa. 5 Vedi capitolo seguente, pag. 23, nota n. 11 6 Vedi capitolo seguente, pag. 23 9 per questo organo, per certi aspetti unica fra tutte quelle del suo catalogo in quanto contenente il riferimento non ad una, ma a due località diverse. Questa ambiguità trova pieno riscontro nei toponimi presenti sulle varie parti interne dell'organo, laddove si rilevano molti riferimenti espliciti a Pesaro ed uno a Gradara. Circostanza del tutto inusuale per Callido, che però, proprio per questo, parrebbe rafforzare l'ipotesi dell'abbinamento fra il nostro organo e l'opera 194. A questo primo gruppo di osservazioni, è doveroso ora che aggiunga gli elementi emersi nel corso del lavoro di restauro e che ho voluto ampiamente documentare con immagini, a dimostrazione della loro inequivocabilità e ad ulteriore contributo alla conoscenza della storia organaria italiana da parte degli studiosi e degli appassionati. La prima osservazione, apparsami in tutta evidenza nelle fasi di apertura e trattamento del somiere maestro, riguarda il ritrovamento di una modifica per ampliamento, apportata in tempi successivi alla prima costruzione dello strumento, mirata all'aggiunta del registro dei Tromboncini. La straordinaria qualità degli interventi di modifica e la perfetta conformità dei materiali e delle metodologie utilizzate mi resero subito certo dell'origine callidiana delle stesse modifiche, così come mi apparve inconfutabile il fatto che fra la costruzione e l'ampliamento fossero trascorsi diversi anni, durante i quali l'organo era stato regolarmente utilizzato nella versione ridotta, privo cioé dei Tromboncini. Queste mie ferme convinzioni fondano le loro ragioni, oltre che nell'esame visivo delle parti aggiunte, nei seguenti elementi: Queste parti - la secreta è stata approfondita sono state di 7 cm. mediante aggiunte Questa l'allungamento dei due fianchi, seconda fila di fori denuncia l'allargamento della tavola su un uso precedente cui sono scavati i canali dei ventilabri e lo scorrimento in avanti del fondo inferiore, integrato sul retro da una nuova tavola fissa. Testimoniano tale allargamento (come pure Le giunzioni sono l'esistenza di un periodo impermeabilizzate abbastanza lungo di utilizzo con pergamena dello strumento nella sua prima versione) le giunzioni visibili, 10 impermeabilizzate con pergamena all'interno dei canali, l'esistenza di una vecchia fila di fori lasciati dalle guide di ottone dei ventilabri sotto la nuova contropelle e tracce evidenti di una contropelle precedente; - per procedere all'apertura del fondo del somiere ed al distacco dei trasporti delle canne dei primi 8 bassi, l'organaro dovette procedere all'estrazione dei grossi chiodi di fissaggio, le cui teste erano completamente affogate nella tavola di abete. I “crateri” così scavati dovettero essere riparati mediante l'intarsio di nuovi tasselli di abete; - nel corso della stessa modifica, per aprire le coperte ed accedere al piano delle stecche, due delle viti di tenuta, particolarmente ossidate, si spezzarono all'interno dei loro fori, rendendo necessaria la sostituzione cun due coppie di viti nuove, affiancate alle vecchie sedi ormai inutilizzabili. Le viti più recenti, pur essendo lievemente più piccole, appaiono del tutto identiche alle originali nel materiale e nella fattura; - la numerazione delle stecche dei registri e delle false stecche inizia dal quarto elemento e non dal primo, escludendo perciò la nuova falsa stecca esterna e le due stecche dei tromboncini. Termina perciò con il numero 23 anziché 26; - i catenacci relativi al comando di registro dei Tromboncini sono fissati in un travetto 11 proprio, non facente parte della tavola dei registri originale; La seconda osservazione riguarda l'apparente incoerenza fra alcuni dettagli costruttivi dell'organo ed il periodo nel quale lo strumento sarebbe stato installato in Gradara (1783 o, comunque, dopo il 1777). In particolare la foggia della tastiera con i suoi intarsi, la forma dei modiglioni laterali e l'uso della sanguigna rossa anziché della china nera per la numerazione dei ventilabri denotano un Callido prima maniera, più vicino cioé agli organi da lui costruiti nei primi anni della sua produzione. L'ultimo appunto riguarda l'adattamento trovato nell'organo, evidentemente dettato da una disposizione non esattamente identica alla precedente, costituito dal taglio di un angolo del telaio della tastiera per dare agio al condotto portavento del somiere. Quelli fin qui esposti sono gli elementi tecnici e documentali con caratteristiche di inequivocabilità, dai quali si ricava un quadro certamente interessante, ma ingarbugliato ai fini dell'identificazione dello strumento, ben al di là dell'apparente semplicità della soluzione a prima vista più pacifica: che cioé si tratti dell'opera 194, denominata 'Pesaro Monache Cambio in Gradara' e costruita da Callido nel 1783 appositamente per Gradara. D'altra parte, le probabilità che l'organo possa essere un altro, costruito nel biennio 1789-1790 appaiono contradditorie con l'affermazione riportata nel contratto dell'organo di Fanano: il termine 'quelo di Gradara', a mio avviso, esclude che il catalogo callidiano a quella data potesse includere due strumenti in Gradara, l'uno del 1783 e l'altro più recente! Ma anche se così fosse stato, Callido avrebbe probabilmente specificato quale dei due organi gradaresi doveva servire da modello. Un ulteriore elemento, da me rinvenuto in corso di restauro, sembrerebbe confermare la data del 1783 come quella in cui l'organo, effettivamente, fu installato in Gradara. Si tratta di tre cifre tracciate a matita sulla canna in legno del Si 8 del principale, incolonnate come per una operazione aritmetica: 12 1834 1783 51 Ora, il 1834 è l'anno in cui l'organo fu ripulito da Innocenzo Serafini, organaro di Montescudo il quale, probabilmente, così volle calcolare l'età dell'organo a quella data (51 anni). Oggi noi non possediamo più il contratto originale, ma allora questo era sicuramente conservato negli archivi della Confraternita e, probabilmente, Serafini nell'occasione potè prenderne visione diretta. A questo punto mi sento di affermare con sufficiente sicurezza che il nostro organo di Gradara è proprio quell'opera 194 indicata in catalogo con il nome 'Pesaro Monache Cambio in Gradara'. Se questa convinzione può in qualche modo soddisfare l'esigenza dell'identificazione, altri interrogativi restano ad agitare le acque. La stessa denominazione, oltre alla singolarità di contenere due località, porta con sé altri motivi di perplessità: infatti non si sono trovati documenti né memorie che attestino la presenza in Gradara di ordini monastici femminili negli anni considerati, tanto meno riconducibili in qualche modo al termine “Cambio”, qualora lo si volesse abbinare alla precedente parola “Monache”. Per quale motivo, poi, Callido non avrebbe denominato l'opera, ad esempio, “Gradara S. Clemente”, come era suo consolidato costume? La spiegazione più plausibile sta nella rilettura della frase sotto una diversa luce, suggerita anche dai ritrovamenti in corso di restauro: cioé che la denominazione dovesse significare che l'organo fosse stato costruito in origine per un convento di Monache in Pesaro (“Pesaro Monache”) e successivamente modificato e/o trasferito (“cambio”) nella località in cui oggi si trova (“in Gradara”). Questa versione potrebbe spiegare molte cose: la vetustà di alcuni elementi costruttivi; la preesistenza di un organo più piccolo, ampliato per l'occasione; la presenza dei marchi dovuta al trasporto in fabbrica dello strumento per le modifiche (in alcuni casi appare chiaramente che il marchio è stato apposto successivamente al toponimo, sovrastandolo!); la nutrita presenza del toponimo “Pesaro”; gli adattamenti di alcune parti interne. Da tutto questo emerge un caso davvero interessante, un organo, per così dire, dalla doppia vita: un primo periodo pesarese con una dimensione più adatta ad una piccola chiesa, una cappella monastica od un oratorio, ed un secondo periodo gradarese nella versione più ricca giunta fino a noi. 13 Se è vero che l'appetito vien mangiando, a questo punto l'ipotesi poteva essere arricchita mediante la risposta a due domande stimolanti: - quale organo, fra quelli costruiti da Callido per un monastero femminile di Pesaro, poteva essere stato ceduto alla confraternita di Gradara ed essere divenuto l'opera 194? - per quale motivo le monache si sarebbero disfatte di quel prestigioso strumento dopo un periodo relativamente breve ? Per rispondere alla prima domanda, ho cercato prima di tutto di circoscrivere il campo d'indagine selezionando, dal catalogo delle opere di Callido, gli organi costruiti prima del 1783 ed installati in Pesaro. Fortunatamente agevolato dalla perfetta integrità del documento negli anni considerati, ho individuato i seguenti quattro: - il numero 20, del 1765, fornito alle Monache Domenicane della chiesa di Santa Caterina; - il numero 26, costruito nel 1766 per le Monache Benedettine della chiesa di S. Maria Maddalena; - il numero 118, del 1776, per i Padri Agostiniani; - il numero 129, del 1777, per i Monaci Carmelitani. Vanno subito escluse dalla nostra indagine l'opera 118, in quanto tuttora presente e funzionante presso la chiesa di Sant'Agostino e l'opera 129 in quanto destinata ad un ordine monastico maschile. L'indagine resta dunque circoscritta ai primi due organi, in quanto entrambi non più presenti nelle sedi originali e costruiti circa un ventennio prima della collocazione in Gradara, periodo senz'altro compatibile con le caratteristiche e le modifiche rinvenute sullo strumento. Tuttavia, anche l'organo opera 26, costruito per le Monache Benedettine della chiesa di S. Maria Maddalena deve essere escluso, perché vi sono memorie di cittadini che testimoniano di avere visto di persona smontare l'organo da quella chiesa, soltanto pochi decenni or sono. A questo punto, l'unica possibilità di verificare la mia ipotesi era affidata alle ricerche sull'organo opera 20 del 1765, costruito per le Monache Domenicane ed installato nella loro chiesa cittadina di S. Caterina. Le domenicane occupavano fin dal 1525 l'area affiancata all'attuale Conservatorio musicale Rossini, dove oggi sorge l'edificio detto Palazzo 14 Ricci, utilizzato dall'Azienda Sanitaria Locale, con ingresso sulla Via Sabbatini. La chiesa annessa al convento, dedicata a Santa Caterina, non era di grandissime dimensioni, come appare dal disegno del cartografo Blaeu, e possedeva un piccolo campanile emergente dal chiostro. Con le soppressioni napoleoniche del 1810 il monastero fu definitivamente chiuso, e l'edificio venne ristrutturato su disegno dell'architetto Bicciaglia per adibirlo dapprima ad abitazioni private e successivamente ad opere assistenziali. All'interno del palazzo fu conservata una parte della vecchia chiesa, per utilizzarla come cappella, con dedica a Maria Santissima Auxilium Christianorum. La parte della chiesa che si affacciava sulla via Sabbatini, con la porta di ingresso e la cantoria, fu invece sacrificata alla nuova scalinata. La “cappella” interna di Palazzo Ricci E' evidente, a questo punto, che l'organo callidiano non si trova più nella sede originaria. Ma quando ne fu rimosso? All'atto della soppressione del monastero, magari confiscato come avvenne per molte opere d'arte? In occasione della ristrutturazione dell'edificio? Oppure ancora prima? Qui è venuto in aiuto un documento del 1810 7 che riporta il “Prospetto delle campane e degli organi” esistenti nelle chiese e nei conventi chiusi in seguito al decreto napoleonico del 25 aprile di quell'anno. Tale prospetto, infatti, attesta inequivocabilmente che, alla data della soppressione del monastero, nella chiesa di Santa Caterina vi erano sì due campane, ma non l'organo. 7 Cfr. SILVIO LINFI, La Chiesa di Pesaro sotto il Regno d'Italia napoleonico, in “Frammenti”, n. 11 (2007), pag. 368. 15 Dunque, le Monache si erano disfatte dell'organo prima di allora, e questo avvalorava l'ipotesi che la prima vita del nostro organo di Gradara fosse trascorsa proprio in questo convento, con il numero d'opera 20 del 1765. A questo punto delle indagini, potevo considerarmi soddisfatto, non perché fossi riuscito a ricostruire l'esatto svolgimento dei fatti, ma almeno per avere tracciato un'ipotesi plausibile e (almeno così credevo) difficilmente contrastabile. Invece la sorte era pronta a ridimensionare bruscamente i miei facili entusiasmi preparandomi una sconcertante sorpresa. Nel desiderio di completare la ricerca rispondendo alla domanda su che fine potesse avere fatto il piccolo organo preesistente in Gradara, ho concentrato l'attenzione sulla vicina frazione di Granarola dove, presso la chiesa parrocchiale di S. Cassiano, esiste appunto un piccolo organo di pochi registri (magari quattro, sognavo nella segreta speranza di poterlo identificare con quello cercato). Invece il piccolo organo esiste, sì, ma di cinque registri e non quattro: ed è firmato Callido. Meglio, mi dicevo prima di aprirlo, vuol dire che Callido stesso lo ha rimaneggiato e magari ampliato, in contemporanea con il lavoro di Gradara. Riconobbi subito la mano callidiana sui materiali, ma anche una struttura costruttiva e fonica del tutto inedita per Callido, come la disposizione ad ala delle canne interne, l'uso di una facciata di canne mute in stagno assai sottile, la distribuzione dei registri degradante dal retro della cassa verso la facciata, il numero limitatissimo di registri. Inoltre l'organo non risulta fra quelli che Callido elencò nel catalogo delle sue opere, a meno che non si trovi in una delle zone “grigie”. Accedendo all'interno della piccola cassa, ho rilevato la presenza dei marchi di Callido e dei toponimi “S.C.” sui due mantici e sul condotto portavento che, di primo acchito, presi senza esitare per le iniziali di “San Cassiano” al quale la chiesa di Granarola è dedicata. Ma ciò che mi sconcertò fu poi la presenza della scritta “Pesaro S. Caterina” sul listello del telaio della tastiera. Da qui 16 ad immaginare che le iniziali sui mantici si riferiscano anch'essi a Santa Caterina, il passo era davvero breve. A questo punto, la tesi che l'organo n. 20 fosse stato trasferito a Gradara sembrava vacillare, sopraffatta da quella che pareva la realtà più ovvia: cioé che lo strumento di S. Caterina fosse stato invece ceduto a Granarola. Ma gli elementi di contraddizione e gli interrogativi di questa nuova versione dei fatti sono assai superiori a quelli della tesi precedente. Ad esempio, il prezzo pagato in origine dalle Monache domenicane per l'organo di Santa Caterina (400 ducati), sicuramente troppo elevato per un organo così piccolo; il fatto che, forse, Callido avrebbe scritto “Pesaro Monache cambio in Granarola” e non “in Gradara”, mentre per lui “l'organo di Gradara” era senza ombra di dubbio quello del Ss. Sacramento 8; ma soprattutto l'assoluta anomalia della costruzione, non presente in nessun altro degli organi callidiani conosciuti. Certo è che, se l'organo 194 fosse quello presente in Granarola, quello di Gradara potrebbe veramente essere stato costruito vicino al 1790, ma allora non si spiegherebbe il lavoro di modifica né l'arcaicità di alcune delle sue parti, né tantomeno i toponimi “Pesaro” apposti prima dei marchi a fuoco! Tutto il mistero potrebbe invece essere spiegato dalla seguente ricostruzione cronologica degli avvenimenti, della quale mi assumo pienamente la paternità e che mi sento in dovere di riportare, dandola non come certa, ma come quella in grado di rispondere al maggior numero degli interrogativi sollevati da questa complessa situazione: 1765 - Callido costruisce ed installa in Pesaro l'opera 20, Santa Caterina, senza l'applicazione dei marchi a fuoco ma con i toponimi riferiti a Pesaro; 1782 - Callido rimuove da Santa Caterina in Pesaro l'organo 20 (in seguito chiamato: organo grande) e da Gradara l'organo preesistente (in seguito: 8 Vedi il già citato riferimento al contratto per l'organo di Fanano. 17 organo piccolo) trasportando alla sua fabbrica in Venezia entrambi gli strumenti. Qui modifica radicalmente l'organo piccolo mediante la sostituzione del parco canne, del somiere, l'aggiunta di un registro (forse il Principale per trasformarlo da 4 ad 8 piedi, forse la Vigesima Seconda) ed il riutilizzo della vecchia facciata muta. Sostituisce i mantici preesistenti con quelli dell'organo di S. Caterina, in quanto li ritiene inadeguati a sostenere la nuova composizione dell'organo grande (i Tromboncini richiedono molta aria) ma più che sufficienti per il piccolo. Applica all'organo piccolo la tastiera dell'organo di Santa Caterina, in quanto anch'essa più adatta ad un piccolo organo. Costruisce poi due nuovi mantici per l'organo grande. Allarga il somiere per l'aggiunta del registro dei Tromboncini. Costruisce o recupera una tastiera per l'organo grande (di qui l'unico toponimo “Gradara” presente nell'organo). Costruisce i Tromboncini e sostituisce la facciata con una nuova (di qui le bocche a mitria). 1783 - Callido applica su tutti i materiali dei due organi i marchi necessari per l'esenzione dai dazi di trasporto (di qui la sovrapposizione ai preesistenti toponimi). Sui nuovi mantici dell'organo grande appone il toponimo “P°” per uniformità con il restante materiale e per essere sicuro che gli uomini eseguano correttamente lo scarico, avvenuto probabilmente al porto di Pesaro. Callido registra in catalogo l'organo grande, anche se derivato dalla modifica di un suo strumento preesistente, non al fine di accrescere artificiosamente il numero degli organi costruiti, ma per ovvie ragioni di inventariazione e conoscenza delle ubicazioni in essere, oltre che per motivi legati alla sua amministrazione (ad esempio, l'incasso delle rate successive di pagamento). Non registra invece l'organo piccolo in quanto considerato un lavoro di restauro di uno strumento altrui. Trasporta i due organi a destinazione e li installa. Le ricerche effettuate non mi hanno tuttavia consentito di rispondere alla seconda domanda: perché le Monache di Pesaro si sarebbero private di uno strumento prestigioso dopo soltanto 17-18 anni dalla sua costruzione? Ho ricercato negli archivi cittadini di Pesaro un documento in proposito, iniziando dall'esame dei manoscritti conventuali delle domenicane, 18 conservati presso la Biblioteca Oliveriana. Da tale esame non è emerso, purtroppo, alcun documento relativo alla cessione dell'organo, riguardando tutti la donazione di terreni o l'entrata di qualche novizia con relativa “dote”. I manoscritti esaminati sono datati fino al 1804, anno in cui la raccolta termina con una serie di pagine bianche. Neppure l'esame del repertorio dell'archivio di San Domenico in Pesaro, contenente anche riferimenti al monastero femminile, ha consentito di risalire all'atto di cessione dell'organo. Restano dunque ancora irrisolti alcuni misteri, che spero ulteriori indagini possano un giorno chiarire. Tornando alla nostra storia dell'organo, fu così che, probabilmente, la terza domenica di settembre del 1783, in occasione delle celebrazioni per San Clemente, Gradara inaugurò il suo splendido strumento, che, da allora, avrebbe continuato ad accompagnare le liturgie e le feste religiose fino ad una sessantina di anni or sono. Nel corso di tutto il diciannovesimo secolo l'organo continuò ad accompagnare le liturgie gradaresi con il suo stile inconfondibile ed assoluta regolarità di funzionamento, così come era nella tradizione del suo grande costruttore. Non si ha notizia di interventi che andassero oltre la manutenzione ordinaria: sono rimaste tracce di un intervento di “ripulitura” del 1834, eseguito, come già detto, dall'organaro Innocenzo Serafini, oltre a due accordature eseguite da Giuseppe Cioccolani, di Cingoli, nel 1868 e nel 1872. Successivamente, l'organo fu utilizzato fino quasi agli anni 50 del secolo scorso, come ricordano personalmente diversi cittadini, ai quali da ragazzi - non raramente veniva assegnato il delicato compito di azionare i mantici mentre l'organista accompagnava le messe domenicali. Poi, seguì un periodo di inutilizzo, che accomunò l'organo alla chiesa che lo ospitava, durante il quale lo strumento si trovò, sì, in uno stato di relativo abbandono, ma anche in una situazione meno sfortunata rispetto a quelle di tanti suoi confratelli. Da alcuni decenni si stava attraversando, infatti, un 19 periodo nel quale, sotto la spinta di una pur necessaria riforma della musica liturgica e la diffusione di nuovi grandi organi dalle immense possibilità concertistiche ed interpretative, ad alcuni era sembrato legittimo ed opportuno operare anche interventi di “riammodernamento” degli strumenti antichi. Purtroppo, però, tali interventi non erano privi di conseguenze nefaste, per i nostri poveri strumenti: così andarono perduti veri capolavori d'arte costituiti da intere file di magnifiche canne, e molte di quelle che restarono furono squarciate, violentate, accorciate o scambiate di posto fra loro. Antiche tastiere e pedaliere in preziosi legni intarsiati furono gettate nella spazzatura per essere sostituite con materiali dozzinali, soltanto perché più simili a quelli utilizzati nei nuovi organi. Storici mantici a cuneo, benché ancora del tutto efficienti, vennero sostituiti da moderni mantici a lanterna ritenuti più costanti e fluidi nella resa, snaturando così una delle caratteristiche salienti dell'organo antico. Vi fu perfino chi modificò radicalmente il sistema di trasmissione del movimento dai tasti alle valvole, sostituendolo con relais elettrici ed appiattendo così completamente l'espressività del tocco dell'organista... Fortunatamente, però, questo uragano devastante passò accanto al nostro organo di Gradara senza sfiorarlo. Nessun intervento scellerato fu fatto su di lui, e forse gran parte del merito, in questo, va riconosciuto proprio allo stato di relativo oblio nel quale, suo malgrado, ebbe a rimanere in quegli irresponsabili decenni. Salvatosi dunque dal nemico numero uno che è l'uomo, lo strumento è rimasto esposto alle sole ingiurie della polvere, del tempo, degli insetti e dei topi. E tutti costoro, nel silenzio, ben presto raggiunsero la bella cassa e le parti interne dell'organo, iniziando un lento lavorìo di degrado. In particolare, sono i topi a rappresentare sempre il massimo pericolo per gli organi, perché quando giungono a scoprire quella vera ghiottoneria che è per loro il cosiddetto “zucchero di piombo”, in brevissimo tempo possono rosicchiare la maggior parte delle canne metalliche. Anche sul Callido di Gradara, per la verità, i topi arrivarono: ma forse quest'organo ha beneficiato di un angelo custode, oppure fu lo stesso San Clemente che fece buona guardia, perché, per un vero miracolo, dei loro morsi micidiali si sono trovati solo casi isolati e di limitata estensione. 20 Scheda tecnica dell'organo Autore: Gaetano Callido Anno di costruzione: (1765) 17839 (?) Numero d'opera: (20) 194 (?) Ubicazione: in cantoria lignea sorretta da bussola, sopra la porta di ingresso. Iscrizioni: all'interno dello strumento sono presenti i marchi a fuoco del Callido sotto le canne di legno, sui mantici, sui condotti del vento e sulle carrucole di azionamento dei mantici. Sono inoltre presenti le scritte “P°” sui mantici, sui supporti del somierino del tamburo e sotto le canne di legno e “Per Pesaro”, a matita, sulla tavola che regge la catenacciatura del pedale. La scritta “Gradara”, a china, è presente sul listello di tenuta delle code dei tasti. Sull'anta di chiusura del somiere maestro è presente la scritta a matita “Settembre 1834 fu ripulito da I. Serafini l'organo e putelo(?)”. Sulla canna Si8 del Principale si leggono, in colonna, le cifre: 1834, 1783, 51. Sulla parete di fondo è leggibile la scritta: “Accordato Giuseppe Cioccolani 1868 - accor 1872”. Cassa: in legno di abete, addossata alla parete, con prospetto fiancheggiato da paraste e sormontato da timpano. Facciata: costituita da 27 canne di stagno, disposte in unica campata a cuspide con ali laterali. Appartengono al registro del Principale a partire dal Do 2 (canna centrale) ed hanno il labbro superiore sagomato a mitria sormontata da un puntino a sbalzo. Le bocche sono allineate ed il profilo della facciata è piatto. Davanti alle canne del Principale sono posti i 45 Tromboncini, con tube di stagno, di tipica foggia veneta. Tastiera: a finestra, con leve in abete ricoperte in bosso (tasti diatonici) ed ebano con listello longitudinale centrale intarsiato in bosso (tasti cromatici). I frontalini dei tasti diatonici sono intagliati a chiocciola. Si compone di 45 tasti (Do1 - Do5) con la prima ottava corta. Pedaliera: a leggio di 10 tasti in noce (Do1 - Do2 + Tamburo), con la prima ottava corta. E' costantemente unita alla tastiera. Registri: azionati da tiranti con pomelli in legno, posti su unica colonna entro propria tavola a destra della tastiera. I cartellini, scritti a china su carta, sono originali e riportano, nell'ordine dall'alto in basso, le seguenti diciture: Principale bassi Principale soprani Ottava Quinta decima 9 Sulla doppia numerazione e datazione vedi il capitolo 'Storia dell'organo' 21 Decima nona Vigesima seconda Vigesima sesta Vigesima nona Voce Umana Flauto in XII Cornetta Tromboncini Bassi Tromboncini Soprani La divisione fra bassi e soprani è posizionata fra il Do#3 ed il Re3. Il Tiratutti del ripieno è a manovella, posto sopra il quadro dei registri. Nella catenacciatura dei registri, i due catenacci relativi ai Tromboncini risultano aggiunti. Trasmissione: a meccanica sospesa mediante due catenacciature: la principale unisce la tastiera al somiere maestro, la seconda unisce la pedaliera alla tastiera. I catenacci sono in ferro, disposti su tavole di abete e tenuti in posizione da strangoli in ottone a giro singolo. Accessori: Tamburo acustico costituito da tre canne in legno (La, Sib e Si) risuonanti tutte insieme al comando dell'ultimo tasto della pedaliera, poste in un apposto somierino in legno di abete situato in corrispondenza della parete di fondo della cassa. Manticeria: due mantici a cuneo a cinque pieghe, posti entro il basamento della cassa, azionati da corde e carrucole. Somiere: di noce, a tiro, con 13 stecche che azionano i seguenti registri (nell'ordine, a partire dalla facciata): Tromboncini bassi, Tromboncini soprani, Principale bassi, Principale soprani, Voce Umana, Ottava, Flauto in XII, Cornetta, XV, XIX, XXII, XXVI, XXIX. Le prime otto canne del Principale, in legno di abete con bocche riquadrate in noce, sono poste su appositi trasporti a sinistra e sul fondo destro del somiere ed alimentate (senza comando di registro) da controventilabri posti sul pavimento della secreta, quattro a sinistra e quattro a destra. Il crivello è in legno di abete, originariamente rivestito in carta vergata. Canne: l'organo dispone di 454 canne, 11 delle quali in legno di abete con bocche riquadrate in noce. Delle rimanenti, 72 sono in stagno in facciata (27 principali e 45 tromboncini) e le altre tutte in piombo con stagno al 15%. Le prime 8 canne del Flauto in XII sono tappate a tampone, le rimanenti aperte, a cuspide. La Cornetta è a cuspide. Cilindriche tutte le rimanenti canne. Le bocche delle canne sono posizionate sopra il crivello, ad eccezione della Voce Umana. 22 L’attività di Gaetano Callido nel territorio pesarese - di Mauro Ferrante Dalle indicazioni contenute nel catalogo autografo compilato da Gaetano Callido tra il 1763 ed il 1806,10 completate dalla Nota degli organi realizzati fra il 1763 ed il 1778, redatta dal maestro veneziano per ottenere l’esenzione dal pagamento del dazio doganale presso il governo della Serenissima,11 abbiamo notizia delle complessive 430 opere prodotte dalla sua bottega, di cui 86 risultano destinate al territorio della Marca d’Ancona. Le diverse lacune, dovute al precario stato di conservazione, che il principale documento presenta, in particolare riguardo ai periodi 1789-91 e 1794-98, devono essere tuttavia integrate da ulteriori 20 strumenti, molti dei quali ancora conservati nelle loro sedi d’origine, alcuni emigrati in altre chiese marchigiane o nella vicina Romagna, altri purtroppo dispersi ma comunque attestati dalla documentazione d’archivio,12 per cui la produzione relativa alle Marche ammonta finalmente a 106 opere complessive, circa un quarto quindi dell’intera prodigiosa attività del veneziano. Nel territorio pesarese, in particolare, essa appare piuttosto importante, soprattutto grazie a un rapporto pressoché costante lungo l’intero arco dei 43 anni di lavoro dell’organaro, se - come risulta dal citato documento - dal primo strumento eretto a Pesaro nel 1765, corrispondente all’op. 20 del catalogo, esso proseguì fino all’op. 428 del 1806. Inoltre, il numero degli strumenti pesaresi viene notevolmente ad incrementarsi se si considerano le diverse opere che, pur interessate dalle lacune del catalogo e magari trasferite in altra località, sono inequivocabilmente attestate dal marchio a fuoco G+C recante le iniziali dell’autore e dalle iscrizioni toponimiche a china Pesaro – anche nella forma storpiata Pesero o contratta P.0 - presenti all’interno degli strumenti Di seguito, sulla base dello stato attuale della ricerca, si crede utile offrire un elenco delle opere callidiane in territorio pesarese documentate dal catalogo e dalla Nota, con considerazioni e commenti sulle loro vicissitudini storiche. 10 Il documento consiste di tre tavole in tela rigida scritte a penna conservate presso la Biblioteca ‘Renato Lunelli’ di Trento. Soltanto la giovanile op. 1, destinata alla chiesa parrocchiale di Casale nel Veneto, è segnata eccezionalmente sotto l’anno 1748. 11 Privilegio che gli verrà riconosciuto nel 1779 e rimarrà in vigore sino al 1798, con l’obbligo di siglare gli strumenti con il marchio a fuoco G+C. 12 Un caso emblematico è rappresentato dai due organi costruiti dal Callido nel 1796 per la Basilica lauretana, di cui - come anche per il terzo strumento op. 394 del 1802 – non resta che la scrittura autografa. 23 1765 op. 20 Pesaro Monache Dominicane Organo per S:ta Caterina di Pesaro Ducati 400 Il demolito convento delle monache domenicane sorgeva dove attualmente è ubicato Palazzo Ricci (oggi sede dell’ASL), accanto al Conservatorio ‘G. Rossini’. L’organo, almeno in parte, potrebbe essere stato incorporato nell’opera callidiana oggi conservata a Granarola di Gradara nella chiesa parrocchiale di San Cassiano. Si tratta di un piccolo strumento di soli 5 registri - con una singolare facciata di canne mute e l’inedita disposizione crescente dei registri sul somiere - che reca l’iscrizione a penna Pesaro S. Caterina sulla tavoletta in coda alle leve dei tasti e, dipinta su diverse parti lignee, la scritta S. C. oltre alla presenza della sigla a fuoco G+C. 1766 op. 26 Pesaro S. Maria Maddalena Organo per S:ta M.a Madalena di Pesaro Ducati 400 Si tratta della chiesa delle monache benedettine progettata da Luigi Vanvitelli, ubicata in via Zacconi nell’antico quartiere di San Jacopo, prossima anch’essa al Conservatorio ‘G. Rossini’. Intorno al 1861, a seguito delle soppressioni degli ordini religiosi successive all’unità d’Italia, il convento divenne sede di diverse istituzioni per poi essere demolito.13 La chiesa fu sconsacrata, tuttavia lo strumento, oggi disperso, era ancora presente in cantoria, secondo alcune testimonianze, fino a circa una ventina d’anni orsono. 1776 op. 118 Pesaro Padri Agostiniani Organo per li Padri Agostiniani di Pesaro Ducati 650 Lo strumento, sottoposto a restauro storico nel 1988, è conservato in perfetta efficienza nella sua originaria sede. Pesaro, chiesa di Sant’Agostino, prospetto dell’organo 13 Al suo posto si trova oggi una scuola media. 24 1777 op. 129 Pesaro Carmilitani Organo per li Padri Carmelitani di Pesaro Ducati 500 Nel 1810 l’antico monastero dei carmelitani venne soppresso. All'epoca l'organo risultava ancora presente in sede, definito 'grande, molto buono e dicesi di ottimo autore'.14 In data 1 febbraio 1813 il monastero, con l'orto e la chiesa, fu acquistato per 340 scudi da certo Venanzio Guidomei, che lo cedette in affitto. Nel 1824 il complesso conventuale fu demolito per costruire il nuovo Ospizio di S. Benedetto, successivamente divenuto ospedale psichiatrico. Dell’organo callidiano non si hanno ulteriori notizie. Esso è probabilmente compreso tra le opere cui Callido si riferisce nella lettera a Padre Martini del 21 giugno 1777, quando scrive ‘tra quindissi giorni parto per la marca anconitana con cinque organi’. 1783 op. 194 Pesaro Monache Cambio in Gradara L’ambiguità della definizione contenuta nel catalogo callidiano non consente una lettura chiara della destinazione dello strumento. Se in un primo momento può apparire palese la corrispondenza con quello conservato nella chiesa del Ss. Sacramento di Gradara, una riflessione più attenta evidenzia la mancata concordanza di tale ipotesi con gli altri elementi dell’indicazione: il toponimo Pesaro Monache,15 che alluderebbe a una chiesa monastica femminile pesarese, e la parola cambio, indicante un non meglio precisato trasferimento di materiali a Gradara. 1784 op. 205 Pesaro S. Cassiano Par:a Lo strumento, che notizie d’archivio definiscono ‘asportato’, fu successivamente sostituito dall’op. 428 del 1806 dello stesso autore. Sembra verosimile l’ipotesi identificativa di quest’opera 205 con l’organo conservato a Misano Monte (RN), nella chiesa parrocchiale dei Santi Biagio ed Erasmo, che presenta le scritte toponimiche Pesaro, Per Pesaro e P.0 e numerosi marchi a Misano Monte, chiesa dei Santi Biagio ed fuoco con la sigla G+C all’interno. Erasmo (particolare del toponimo Pesaro) L’iscrizione incisa a secco sulla prima canna della Decimaquinta ne documenta il trasporto da Pesaro, effettuato dall’organaro Domenico Ricci di Verucchio il 25 agosto 1833. 14 SILVIO LINFI, La chiesa di Pesaro sotto il regno d'Italia napoleonico, in ‘Frammenti’, n. 11 (2007), p. 368. 15 Si veda quanto affermato per la precedente op. 20. 25 1785 op. 217 Pesaro S. Filippo L’antica e demolita chiesa dei Filippini sorgeva dove attualmente si trova il cinema Duse. Nel 1799 l’organo era emigrato nella parrocchiale di Gabicce, per poi, l’anno seguente, essere restituito. Verosimilmente a seguito delle soppressioni operate dal governo sabaudo, esso subì un ulteriore trasferimento ed è oggi identificabile con l’organo conservato ad Auditore, presso la chiesa parrocchiale di S. Spirito, che presenta all’interno iscrizioni toponimiche Pesaro e Per Pesaro e diversi marchi a fuoco G+C. Pesaro, chiesa di San Filippo, copia della scrittura autografa di Gaetano Callido del 1784 Le caratteristiche tecniche dello strumento sembrano coincidere esattamente con quelle descritte nel contratto autografo firmato con i Padri Filippini, conservato presso l’Archivio capitolare del duomo di Pesaro16, in cui l’elemento determinante ai fini dell’identificazione è costituito dalla canna maggiore di facciata, corrispondente singolarmente al primo Sib della tastiera (particolarità costruttiva piuttosto rara nell’intera produzione callidiana). 16 Si ringrazia Davide Marsano per averci trasmesso a suo tempo il documento. 26 1788 op. 253 Castel di Mezzo Parocchia Ancora nel 1858 l’arciprete Giuseppe Pizzagalli nella Relazione per la Sacra Visita I di Mons. Clemente Fares Vescovo di Pesaro affermava: ‘V’è l’organo lavorato dal celebre Calido, e si trova in buono stato’.17 Lo strumento è stato distrutto durante l’ultimo conflitto mondiale dai militari tedeschi che avevano trasformato l’edificio sacro nel loro quartier generale. 1792 op. 296 Fanano di Gradara, chiesa di San Michele arcangelo Nonostante lo strumento non sia indicato nel catalogo, a causa delle lacune citate, datazione e numero d’opera sono attestati dal Metodo per Registrare l'Organo Fatto dal Sig. Gaetano Callido Veneziano terminato li 28. GEN° 1792 N° 296, applicato sulla tavola di fronte la catenacciatura della tastiera e dal contratto autografo, conservato nell’Archivio parrocchiale, risalente al 26 dicembre 1790, con le relative quietanze di pagamento.18 Fanano di Gradara, Archivio della chiesa parrocchiale, copia della scrittura del 1790 autografa di Gaetano Callido 17 Il documento è conservato presso l’Archivio parrocchiale di Colombarone. 18 Documenti datati 27 gennaio 1792, 28 gennaio 1793 e 24 febbraio 1794. Dalla seconda quietanza apprendiamo che con Gaetano lavoravano il figlio Agostino e l'operaio Piero Ronchi. 27 1806 op. 427 Pesaro S. Spirito Soppressa la chiesa l’edificio è stato adibito ad altro uso. L’organo è stato trasferito verosimilmente presso la chiesa di San Fortunato di Rimini, dove a inchiostro sotto il piede di alcune canne di legno e incisa a secco sul blocco di alcune canne dei Tromboncini si legge l’indicazione toponimica Pesaro (ovviamente, dato l’anno, è assente la sigla). 1806 op. 428 Pesaro S. Cassiano Lo strumento è conservato nella sede originaria. Nell’Archivio parrocchiale è conservato il contratto del 20 febbraio 1803 autografo di Antonio Callido Pesaro, Archivio della chiesa di San Cassiano, contratto dell’organo autografo di Antonio Callido (1803) 28 Rimini, chiesa di San Fortunato (particolare del toponimo Pesaro) Come accennato, esistono altre opere callidiane superstiti nel territorio pesarese non documentate nel catalogo, tutte recanti il marchio a fuoco con la sigla G+C che presume la loro datazione tra il 1779 e il 1798, nelle sedi seguenti: Pesaro, nella chiesa dedicata alla Purificazione di Maria Vergine (già delle monache Serve di Maria) e nella chiesa parrocchiale di Villa San Martino, proveniente dalla demolita chiesa di San Rocco, come documentato dalle iscrizioni a penna Pesaro S. Rocco e S. R. all’interno dello strumento. Ginestreto, nella chiesa parrocchiale di San Pietro in rosis. L’organo presenta il toponimo Ginistreto sulla mensola sinistra che sorregge la rastrelliera delle canne di facciata. Gradara, nella chiesa del Ss. Sacramento. Lo strumento presenta sul listello in coda alle leve dei tasti il toponimo a penna Gradara, ma anche iscrizioni a inchiostro Per Pesaro sulla tavola di riduzione della pedaliera e P.0 sui mantici. Il contratto autografo dell’organo di Fanano, datato 1790, reca un esplicito riferimento a quest’opera, quando afferma che l’organo sarà simile a quello di Gradara, così fornendo un prezioso indizio per la sua datazione, certamente anteriore al 1790. Un’ultima opera che presenta l’indicazione toponimica Pesaro e P.0 sotto il piede di alcune canne di legno e sulle ruote della manticeria e il marchio a fuoco con la sigla G+C, è infine conservata a Cattolica (RN) nella chiesa di San Pio V (forse emigrato, intorno al 1866-7, dalla demolita chiesa pesarese di San Domenico). 29 Il lavoro di restauro - di Luciano Peroni Quando, il 9 febbraio 2006, raggiunsi per la prima volta la chiesa del Santissimo Sacramento in Gradara per prendere visione dell'organo e valutare il suo stato di conservazione al fine di impostare il progetto di restauro, questa fu l'immagine che si presentò ai miei occhi: uno strumento magnifico che, nonostante il malinconico penzolare del suo telone per la trinciatura della corda di sostegno sotto decenni di peso morto, lasciava ancora trasparire tutta la nobiltà della sua origine illustre. Salito sulla cantoria osservai per un attimo gli inconfondibili manufatti callidiani: tastiera, pedaliera, comandi dei registri, canne di facciata e prima di tutto volli provare ad azionare i mantici per rendermi conto di quanta vitalità potesse essere rimasta in quello strumento dopo il lungo silenzio. L'organo rispose. Con voce incerta, opaca e polverosa, sì, ma con una gran voglia di tornare al suo umile quanto prezioso lavoro. Fu questa voce che mi fece decidere a riprendere un'attività che avevo lasciato da molti anni, risuscitando in me il sacro fuoco della passione per la musica e l'organaria, insieme ad un misto di tenerezza per questa creatura che per due secoli e mezzo aveva fatto vibrare tanti cuori di gradaresi e che, dopo il lungo periodo di inattività che ne era seguito, la sensibilità e l'amore di persone intelligenti avevano finalmente deciso di far tornare all'antico splendore. A conclusione del restauro, è ora per me doveroso rilasciare una 30 documentazione sul lavoro eseguito, a testimonianza e memoria storica anche di questa tappa nella vita dell'organo. Non per una vana autocelebrazione, ma come certificazione e garanzia di intenti, i principi ai quali ho cercato di fare costante riferimento durante il lavoro sono stati quelli di salvaguardare pienamente l'originalità dell'opera, evitando qualsiasi intervento di modifica o sostituzione, tenendo sempre presenti le caratteristiche callidiane in ogni particolare e spesso riferendomi alla grandissima competenza del Prof. Ferrante, al quale ho richiesto una collaborazione informativa forse oltre il dovuto e devo un sincero ringraziamento per la pazienza, la passione e la concretezza con cui svolge il suo prezioso compito di Ispettore onorario agli organi delle Marche. A tale scopo, nel seguito riporto la descrizione dello stato di ogni sezione dell'organo al momento della rilevazione e dei lavori eseguiti per il restauro, svoltosi dall'ottobre 2006 al luglio 2007, insieme ad alcune considerazioni di carattere divulgativo sulle caratteristiche tecniche e musicali, sperando di contribuire un poco alla conoscenza di questi nostri magnifici strumenti, patrimonio culturale tipicamente italiano, ed anche testimonianza ancora viva di quella fede popolare, semplice ed intensa, che vissero i nostri nonni nelle devote liturgie del tempo passato, delle quali - immancabilmente - la voce dell'organo faceva parte. La tastiera 31 Particolari della tastiera prima del restauro La tastiera era molto impolverata, e il suo funzionamento condizionato dall'allentamento dovuto all'uso. Presentava anche il telaio spaccato, alcune coperture a rischio di distacco imminente ed un discreto attacco del tarlo. Ma possedeva ancora tutte le sue parti funzionali e le coperture dei tasti in preziosi legni lavorati ed intarsiati. Su di essa ho compiuto tutte le operazioni di bonifica e recupero funzionale ed estetico. Le ferramenta consunte dall'uso, o trovate già rotte e riparate con mezzi di fortuna, sono state da me sostituite rispettando materiali e forme originali. A conclusione del lavoro ho potuto constatare la bellezza, nobilitata dal tempo, di questa tastiera che denota un Callido “prima maniera”. La tastiera a restauro ultimato La sua estensione è di sole quattro ottave, secondo l'uso dell'organo italiano che perdurò fino agli inizi del novecento: un'estensione che non permette di eseguire gran parte della musica organistica estera e, tantomeno, le musiche del novecento, scritte per i grandi organi a più tastiere. La prima ottava, inoltre, è priva di quattro diesis, e viene detta “corta” o “scavezza”. Questa impostazione non fu certo suggerita da motivi di risparmio economico, ma 32 dalla precisa scelta di rinunciare ad alcune tonalità poco usate della scala musicale per rendere più belle le tonalità cosiddette “naturali”, accrescendo l'intonazione e le suggestioni mistiche prodotte dall'organo e rendendo più agevole il canto dei fedeli e della “schola cantorum” che accompagnava le liturgie dei nostri nonni. Essa doveva necessariamente abbinarsi ad un particolare tipo di accordatura, spesso variabile da autore ad autore e, addirittura, da organo ad organo, suggerita dalla composizione fonica dello strumento e, forse, anche dalla risposta acustica della chiesa. I risultati che ne uscivano rendevano certo giustizia a tutto quello studio e a quell'impegno, producendo un amalgama sonoro di straordinaria bellezza, pienezza e solidità, simile alla perfezione di un coro polifonico bene intonato. Per risolvere il problema di fare “dialogare” fra loro suoni di diverso timbro, in alcuni registri l'estensione della tastiera viene separata fra “bassi” e “soprani”, in modo che sia possibile produrre sonorità diverse fra le due mani, come avviene sui grandi organi moderni, dove l'organista a volte tiene le mani su due tastiere diverse. Questa soluzione consentiva di supplire alla limitazione della tastiera unica, rendendo possibili molte combinazioni coloristiche diverse, pure con un piccolo numero di registri. La pedaliera Anche la pedaliera presentava gli stessi problemi di conservazione della tastiera, ed è stata da me assoggettata allo stesso lavoro di salvaguardia e recupero, con particolare attenzione a restituirle la sua piena funzionalità. Come in quasi tutti gli organi antichi, la pedaliera ha un'estensione molto limitata, ed è collocata in posizione favorevole ad essere azionata con la La pedaliera prima del restauro sola punta del piede sinistro. La sua funzione è sostanzialmente quella di suonare la nota di base dell'accordo nella regione più bassa, sostenendo l'insieme e le armonie eseguite sulla tastiera. 33 La pedaliera a restauro ultimato Come la tastiera, è priva dei quattro diesis, ed i nove pedali azionano le sette note naturali della scala diatonica, più il Si bemolle, mentre l'ultimo pedale aziona il secondo Do. A destra, vi è inoltre un ulteriore pedale per l'azionamento dell'accessorio detto Tamburo, consistente in una serie di tre canne di legno che suonano insieme imitando, con i loro forti battimenti per la dissonanza, il rullo di un tamburo che dura per tutto il tempo che il pedale viene premuto. La pedaliera è collegata alla tastiera per mezzo di una meccanica a tiranti, disposta in modo tale che la pressione di un pedale fa scendere anche il corrispondente tasto, senza che l'organista debba necessariamente premerlo con le dita. I registri A destra della tastiera, nel riquadro di un'apposita tavola lavorata, si trovano i comandi dei registri, costituiti da 13 pomelli in legno che l'organista può tirare in fuori per attivare le relative file di canne o spingere verso l'interno per disattivarle. 34 In alto, poco sopra la tavola, si trova la manovella del comando detto del “Tiratutti”, un dispositivo meccanico che consente di aprire o chiudere in un sol colpo tutte le file che compongono il “Ripieno”. Ogni comando è accompagnato da un cartellino col nome del registro, scritto a china su carta pergamena, certamente originale, ed è collegato, mediante tiranterie e leve in ferro, alla “stecca” che chiude o apre la sua fila di canne. Tutto questo complesso si presentava, al sopralluogo, ancora interamente funzionante, anche se irregolare, ossidato, rumoroso e indurito nel movimento. Risultava mancante la manopola in legno del Tiratutti ed i cartellini erano sporchi e mancanti di alcuni frammenti di carta. Gli interventi di restauro sono stati improntati alla disossidazione generale, alla pulizia e al trattamento conservativo delle parti in ferro con riparazione di alcune parti rotte o a rischio, alla pulizia ed al restauro della tavola e dei cartellini, alla riparazione e bonifica dei pomelli in legno ed al ripristino della manopola mancante. La trasmissione La trasmissione del movimento dalla tastiera e dalla pedaliera verso le valvole che azionano le canne utilizza il metodo chiamato “a meccanica sospesa”, avvalendosi di tiranti in filo di ottone e catenacci in ferro che trasportano il movimento dei tasti lungo una linea orizzontale, unendo le due perpendicolari del tasto e della valvola corrispondente. Questo tipo di meccanica accomuna quasi tutti gli organi antichi, e consente di disporre le canne con La catenacciatura prima del restauro 35 un disegno diverso da quello denominato “ad ala”, nel quale le canne sono allineate in ordine decrescente di nota e di dimensione, da sinistra a destra in coerenza con l'andamento della tastiera. E' grazie alla catenacciatura che sono possibili le classiche disposizioni “a cuspide” o “a cuspide con ali laterali” o ancora “a tripla campata” delle canne di facciata. Tutta la catenacciatura è fissata su una tavola di abete posta fra la tastiera ed il somiere. I catenacci in ferro sono trattenuti da anelli di ottone detti “strangoli”, all'interno dei quali possono ruotare liberamente sul proprio asse orizzontale. Le catenacciature dell'organo di Gradara sono due: la principale, composta di 45 catenacci, che collega la Particolare della meccanica restaurata tastiera al somiere con le valvole che azionano le canne, e quella del pedale, limitata a soli 9 catenacci, che collega la pedaliera alla tastiera. Un'ulteriore, semplice trasmiaaione a più rimandi collega l'ultimo pedale di destra con il somierino del Tamburo facendo risuonare le tre canne del dispositivo tutte insieme. Tutta la meccanica si presentava molto sporca ed ossidata, allentata nel movimento e rumorosa. Ho proceduto alla sua disossidazione riportando all'originaria bellezza il ferro di primissima qualità utilizzato dal Callido. Ho poi verificato e regolato tutti i punti di rotazione per ridurre al minimo la rumorosità del meccanismo, anche se, tutto sommato, un minimo di rumorosità non fa che caratterizzare gli organi meccanici antichi. La conservazione dei tiranti di ottone costituisce quasi sempre un problema, perché l'ossido formatosi sulle strette piegature dei punti di giunzione compromette la resistenza dell'ottone crudo, in molti casi non permettendo di riaprire tali piegature senza rischio di rottura. E per molti altri che non si spezzano in fase di apertura, la rottura spesso avviene con la successiva richiusura in fase di montaggio a restauro ultimato. Così ho cercato di salvare quanti più tiranti possibile, anche mediante un'operazione di scorrimento degli stessi, cioè riutilizzando quelli rotti al 36 posto dei tiranti più corti, e così via. Questo accorgimento ha permesso di contenere al minimo indispensabile le sostituzioni, pur garantendo la stessa durata nel tempo. Il somiere Il somiere è la grande cassa a tenuta stagna che consente la distribuzione dell'aria alle canne. Al momento della rilevazione si presentava in condizioni generalmente discrete, in rapporto a tutto il tempo trascorso dopo l'ultimo lavoro di ripulitura, fatto oltre un secolo e mezzo fa. Tuttavia ogni organaro restauratore sa che, per quanto riguarda il somiere, è bene diffidare del colpo d'occhio iniziale, anche se l'organo, alla prova effettuata durante la rilevazione, pare funzionare regolarmente. La cassa di distribuzione è, infatti, un meccanismo complesso, dal quale dipende tutto il buon funzionamento dello strumento, e che spesso riserva spiacevoli sorprese una volta aperto. Troppi sono gli elementi in gioco perché il lavoro possa essere valutato esaurientemente nel corso del breve sopralluogo: stato dei pellami, grado di imbarcatura delle tavole di legno, presenza o meno di tarli all'interno della struttura, spessori e curvature delle stecche dei registri, stato dei borsini e delle ferramenta, tenuta generale dell'aria.... In Callido, generalmente, i somieri sono costruiti con grande maestria, e la scelta dei materiali, soprattutto dei legni, è talmente accurata che molti dei suoi organi continuano a svolgere il loro servizio ancora oggi, alcuni senza altri interventi che una ordinaria manutenzione. Il nostro somiere, una volta smontato ed aperto, ha mostrato, oltre ad alcune scoperte, poi tornate utili riguardo all'identificazione dello strumento e delle quali ho parlato al capitolo “Storia dell'organo”, una condizione un po' più critica di quanto ci si potesse attendere. Infatti, una volta rimossa la pelle di battuta dei ventilabri Un particolare del somiere, aperto, prima del restauro 37 e cominciato a controllare la planarità della grossa tavola di noce in cui sono scavati i canalini, è emersa l'esistenza di una imbarcatura diffusa, che presentava un massimo dislivello pari a circa 1,2 millimetri, Questo soprattutto accentuato nella zona annerimento denuncia un destra. Evidentemente tale difetto passaggio d'aria aveva già iniziato a manifestarsi da indesiderato molti anni, a giudicare dall'ineguale distribuzione dell'annerimento da polvere sulle pelli dei ventilabri, segno inequivocabile di una irregolarità nella chiusura. Le pelli, applicate sui ventilabri in triplice strato, sono risultate ancora sufficientemente morbide per evitarne la sostituzione integrale: ci si poteva limitare a sostituire il solo strato esterno, ormai troppo compromesso I borsini di dalla nera polvere intrisa di fumo di tenuta al momento della candele e da piccoli mancamenti rilevazione dovuti a residui rimastivi imprigionati per il lungo tempo in cui l'organo è rimasto inattivo. Le parti in ottone si presentavano molto annerite per l'ossidazione e, soprattutto, i borsini di guarnizione ai tiranti provenienti dai tasti erano molto danneggiati, con le pelli sottili lacerate in corrispondenza di molte delle perline di tenuta ed altri giunti ormai vicino al rischio di rottura. Perciò ho provveduto a rimuovere tutti i borsini coi loro meccanismi ed a ricostruirli in sottilissima pelle pregiata di agnellino, rispettando le misure originali e gli stessi metodi di incollaggio e bloccaggio praticati dall'autore. L'interno del somiere restaurato 38 Quanto alle tavole, la presenza del tarlo, che sotto la polvere al primo esame in loco era apparsa relativamente contenuta, si presentava invece piuttosto nutrita, soprattutto sulle magnifiche tavole di noce sottostanti le canne. Dunque è stato necessario procedere ad una approfondita bonifica ed alla chiusura di tutti i fori di sfarfallamento con cera a caldo. Il risultato è stato appagante, evidenziando un manufatto di eccezionale qualità, come anche un occhio non esperto può vedere da questa foto. L'azione del tarlo sulle tavole del somiere Le viti in ferro erano molto arrugginite, e costituivano un rischio concreto qualora, in sede di rimozione, si fossero spezzate lasciando il gambo all'interno delle tavole: un rischio che corse lo stesso Callido quando smontò il somiere Le tavole restaurate per la sua modifica, e dovette rimpiazzarne due con altre viti affiancate al vecchio foro. La fattura, il materiale e la forma di queste nuove viti - pure nella dimensione leggermente ridotta - attestano inequivocabilmente la loro provenienza dalla fabbrica del grande organaro. Perciò, dato che erano passati altri 224 anni dal precedente smontaggio, ho proceduto con estrema cautela, e alla fine la calma e la prudenza sono state premiate, consentendo di recuperare tutte le viti ad eccezione di due che - così come era accaduto nel precedente smontaggio - non ho potuto fare a meno di rimpiazzare. Dal momento che si tratta di viti fatte a mano e, perciò, una diversa dall'altra, tutte le viti sono state da me numerate 39 per essere sicuro di ricollocarle nello stesso foro dal quale erano state estratte, non senza averle accuratamente liberate da ogni residuo di ruggine e avere ripristinato la massima affidabilità nel taglio della testa, per garantire che un eventuale futuro restauratore possa estrarle di nuovo senza troppi problemi. Sotto il somiere sono fissate, ai due lati, i cosiddetti “trasporti”, che servono ad alimentare le prime otto canne più grandi. Questi si presentavano in condizioni molto precarie, con spaccature che con la fuoruscita di aria compromettevano la corretta emissione del suono delle canne sovrastanti, rendendolo debole e soffiante, ma anche sottraendo potenza sonora alle canne degli altri registri. Questo inconveniente finiva per affievolire significativamente i toni bassi facendo perdere rotondità e smalto a tutto l'insieme. Ho quindi provveduto a riparare i legni ricostituendone stabilmente l'integrità e la tenuta, provvedendo nel contempo alla bonifica dal tarlo ed alla perfetta impermeabilizzazione dei canali dell'aria. Una volta aperto lo strato superiore di tavole (la cosiddetta “coperta”), ho potuto accedere al piano formato dalle stecche dei registri con le loro false stecche e con il sottostante Le stecche e le false stecche sistema di sfogo dell'aria eccedente, utilizzato dai maestri organari per evitare la formazione di suoni indesiderati, detti “trasuoni”, dovuti al passaggio di aria fra gli interstizi ed i giochi delle stecche. Tutto l'insieme, fortunatamente, appariva alla vista in buone condizioni, fatta eccezione per l'immancabile polvere e per qualche, raro, foro di tarlo. Le stecche, tuttavia, presentavano lievi assottigliamenti dovuti alla stagionatura del legname (“il legno è sempre vivo” recita un vecchio detto dei falegnami), tanto che in qualche punto generavano trasuoni. Perciò ho effettuato preliminarmente un'accurata pulizia, bonifica e seppiatura superficiale perché fossero ridotti al minimo gli attriti; poi ho 40 calibrato le false stecche e, rimontate le coperte, ho fatto un severo collaudo generale per verificare l'assenza di fughe d'aria e di potenziali trasuoni. Infine ho provveduto a ricostruire le 45 molle di tenuta delle valvole, utilizzando materiale, forma e dimensione originali, per sostituire quelle esistenti che si erano ormai dimostrate troppo allentate e non più regolabili. I mantici L'organo è dotato di due magnifici mantici a forma di cuneo, originali e marchiati a fuoco col simbolo del Callido. Il loro meccanismo di azionamento è costituito da corde e carrucole ed i pesi sono in pietra, con molta probabilità originali. Questo è molto importante per determinare il livello originario di pressione dell'aria e, La zavorra in pietra sul mantice pertanto, ricostruire più fedelmente possibile il diapason corista ed il modello di accordatura adottato al momento della prima installazione dallo stesso Callido. I due mantici, protetti per tutto il tempo di inattività dell'organo dalla loro stessa struttura, che racchiude le pieghe guarnite di pelle in una specie di scatola ermetica, non presentavano grandi problemi di usura, ed i loro pellami si dimostravano ancora sufficientemente morbidi ed impermeabili. Anche le aggressioni dei tarli erano limitate, forse perché questi Le corde del tiramantici animaletti hanno preferito all'abete dei mantici il più saporito legno di noce, presente nell'organo in grandi quantità. Perciò ho proceduto ad una profonda pulizia, alla bonifica di tutti i legnami ed alla riverniciatura delle parti già dipinte in rosso, nonché ad alcune sostituzioni di pellami laddove si presentava la necessità od un rischio imminente di rottura. I manufatti sono poi stati da me sottoposti ad un severo collaudo di tenuta. 41 Lo stesso trattamento di pulizia e bonifica l'ho effettuato sulle carrucole, sui relativi sostegni e sui condotti interni in legno, verificandone la tenuta e procedendo ad alcuni interventi di impermeabilizzazione. Infine, l'intero meccanismo di azionamento manuale è stato da me ripristinato riposizionando i pesi sui mantici. Infine ho dotato lo strumento di un elettroventilatore, che assicura un'alimentazione continua, fluida e silenziosa di entrambi i mantici. Grazie alle speciali controvalvole di cui ho dotato i nuovi condotti di alimentazione, questa installazione non compromette minimamente la possibilità di utilizzare, all'occorrenza, le vecchie corde per far funzionare lo strumento. Le canne L'organo conta 451 canne distribuite in 11 registri, oltre a 3 canne che, suonate tutte insieme, imitano l'effetto di un tamburo rullante. 72 canne sono costruite in stagno puro e sono quelle visibili nella facciata: 27 grandi canne del registro del “Principale” e l'intero registro dei Tromboncini. Altre 11 sono costruite in legno di abete, a sezione quadrata, con le bocche riportate in legno di noce. Le rimanenti 371 sono in lega di piombo e stagno, con quest'ultimo componente presente al 15%. Degli 11 registri, sette compongono il cosiddetto Le canne interne come si presentavano al sopralluogo “ripieno”, quel suono forte e suggestivo caratteristico dell'organo, invenzione geniale con la quale l'organaro crea artificialmente un suono composito sovrapponendo alla base 42 bassa della nota, a criterio e piacimento dell'organista che interpreta, suoni armonici diversi che arricchiscono e potenziano l'effetto sonoro. Altri tre registri sono detti “da concerto”, per le loro caratteristiche sonore che tendono ad imitare strumenti dell'orchestra, dei quali prendono a prestito il nome: Flauto, Cornetta, Tromboncini. L'ultimo registro, limitato alla regione alta della tastiera, è la cosiddetta “voce umana”. Si tratta di un registro di particolare effetto e di grande suggestione, dovuta all'oscillazione controllata del suono similmente alla voce dei cantanti lirici. Il suo principio di funzionamento è semplice e geniale: due file di canne di dimensione uguale, la seconda delle quali viene un po' “scordata” rispetto alla prima, generando così dei “battimenti” con la frequenza voluta. Al sopralluogo sono risultate mancanti nove delle canne interne, mentre altre due erano state inspiegabilmente accorciate di circa la metà della loro lunghezza originale. Fatto strano, dal momento che non risulta che sull'organo siano state fatte accordature particolarmente “pesanti”, e gli organari che lasciarono memoria dei loro interventi in tal senso sono da considerarsi di prim'ordine, Una delle canne interne prima e dopo la riparazione come Giuseppe Cioccolani di Cingoli. La conferma della sostanziale integrità delle canne è venuta dai lavori di restauro, che hanno messo in luce un generale stato di buona conservazione delle bocche e delle anime rispetto alla loro costruzione originale. Diverso è il discorso relativo ai corpi ed ai piedi, dove si sono invece rilevati gli effetti di diversi interventi di accordatura non sempre impeccabile, e qua e là, come già detto, di morso del topo. Ricostruite le canne mancanti, nel rispetto delle caratteristiche fisiche originali, ho provveduto ad un'approfondita pulizia e lavaggio con prodotti neutri. Poi, canna per canna, ho recuperato tutte le Il “lavoro” del topo geometrie originali, riportando a tondo le sommità, eliminando le ammaccature e le dissaldature e reintegrando le poche parti 43 perdute con nuova lastra compatibile. Le canne tappate del registro di flauto sono state da me revisionate completamente, ripristinando la robustezza e la perfetta tenuta dei tappi originali, senza operare alcuna sostituzione. Le canne di facciata sono state trattate per recuperare quanto possibile rispetto all'attacco della cosiddetta “peste dello stagno”, che per fortuna si è rivelato soltanto iniziale e sporadico. I Tromboncini costituiscono l'unico registro ad ancia presente nell'organo, un registro cioé nel quale il suono è prodotto dalle vibrazioni di una lamella di ottone che batte su un canalino al passaggio dell'aria. La forma di questi tromboncini è tipica degli organari della scuola veneta settecentesca, della quale Callido è il più insigne rappresentante. I Tromboncini di Callido prima del restauro Pur essendo magnificamente costruito, il registro presenta una certa criticità, sia per la relativa instabilità del sistema di bloccaggio e accordatura delle ance che per la complessità degli elementi che concorrono a formarne il timbro ed il volume sonoro. Si scorda molto facilmente e spesso costituisce un grattacapo per l'accordatore o per l'organista che si accinge ad un concerto, quando è costretto a regolare da solo l'accordatura. Questa si fa facendo scorrere impercettibilmente la gruccia, che a sua volta regola la posizione di un piccolo pattino in corno sulla lamella di ottone, di fatto modificando la lunghezza della parte vibrante. Il pattino di accordatura 44 I tromboncini del nostro organo si presentavano molto attaccati dalla peste dello stagno nella parte superiore, dove più facilmente si ferma la polvere, e, soprattutto, danneggiati nelle parti funzionali. Erano mancanti alcune ance, e alcune grucce di accordatura risultavano sostituite da dozzinali accordatori costruiti alla bell'e meglio in filo di ottone piegato. Vi erano poi parecchi pattini in osso tarlati ed inservibili. L'intervento eseguito ha ricostituito le caratteristiche originali di ogni tromboncino, rimpiazzando le parti perdute con materiali identici e sostituendo i pattini inservibili con nuovi in osso, lavorati a mano con lo stesso disegno degli originali. Particolare attenzione ha richiesto l'allineamento dei gambi in ottone, in modo da assicurare la massima semplicità e sicurezza fin dove consentito dai limiti fisici della loro costruzione nell'accordatura e nella sua tenuta. Tutte le canne sono state da me La peste dello stagno Particolare dei tromboncini con i pattini ricostruiti Una delle canne interne a restauro completato 45 inventariate e descritte, rilevando con estrema cura tutte le misure, allo scopo di documentare tutto lo strumento ai fini della conoscenza del patrimonio organario italiano e per consentire studi e analisi da parte degli esperti. Dalla misurazione sono poi stati eseguiti, mediante il calcolo matematico statistico su computer, tutti i passi necessari ad individuare il modello di accordatura originale callidiano ed il diapason di riferimento da lui utilizzato. E' su questa base, puntualmente verificata sul campo mediante riscontri ad orecchio ed elettronici, che ho costruito l'accordatura ineguale antica, con una metodologia particolare fondata sulla duplice base dei rapporti fra le note e delle relazioni timbriche e dinamiche, sia fra i diversi registri che fra le note di uno stesso registro. A conclusione del lavoro, ritengo doveroso ricordare e ringraziare alcune persone che in Gradara mi hanno spontaneamente e gratuitamente offerto la loro preziosa collaborazione in alcune fasi del lavoro di restauro: l'impresa di restauri edili Gerboni con i suoi dipendenti, il falegname Francesco Giusini, ma anche i signori Maurizio Rossetti e Mario Baldassari, ai quali va tutta la mia simpatia e gratitudine per la loro partecipazione, grande o piccola che sia, nell'assolata estate gradarese. 46 Finito di stampare nel Luglio 2007 da Arti Grafiche Pesaresi S.r.l. PESARO 47