IL BIANCO IL NERO e L’AZZURRO Il gioco e la cura in Oncologia Pediatrica IL BIANCO IL NERO E L’AZZURRO Il gioco e la cura in Oncologia Pediatrica Indice 3 Ritrovare il cammino della normalità 4 La forza delle emozioni 6 Il Dipartimento educativo MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna 7 MAMbo con A.G.E.O.P. 8 L’amicizia tra i bambini 11 Sviluppo del concetto di amicizia 12 L’amicizia vista dai bambini 14 Il bambino e l’ospedale 15 Dentro e fuori l’ospedale...aspetti psicologici 19 Il laboratorio di pittura, terzo anno 22 Gemellaggio con le scuole 25 Il Backstage della mostra 60 Ringraziamenti RITROVARE IL CAMMINO DELLA NORMALITÀ Antonella Silletti - Presidente A.G.E.O.P. RICERCA ONLUS A.G.E.O.P. RICERCA ONLUS (Associazione Genitori Ematologia Oncologia Pediatrica – Ricerca sui tumori e leucemie del bambino) è dal 1982 impegnata nella lotta contro i tumori e le leucemie nell’infanzia. L’Associazione ha sede presso l’Unità Operativa Pediatria, Ematologia ed Oncologia Pediatrica “Lalla Seràgnoli”, presso il Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna. A.G.E.O.P. RICERCA ONLUS affianca ed integra la propria attività a quella dell’équipe ospedaliera, garantendo con tempestività il supporto ai bimbi e alle loro famiglie, alla ricerca e a settori d’intervento particolarmente qualificati: il finanziamento del progetto e di parte dei lavori per la costruzione del 5° piano della Pediatria dell’Ospedale Gozzadini e la ristrutturazione del 4° piano, inaugurati nel 2007, è stato l’ultimo grande e ambizioso progetto realizzato. AGEOP CREDE NEI SOGNI: HA CREDUTO NEL SOGNO DI UN REPARTO MODERNO, EFFICIENTE E ALL’AVANGUARDIA; CREDE NEI PROGETTI CHE REALIZZANO I SOGNI DEI NOSTRI BAMBINI; S’IMPEGNA NELLA RICERCA PER SOSTENERE LA SPERANZA DI NUOVE CURE MEDICHE. AGEOP è anche tenacemente convinta che solo attraverso la piena realizzazione di un’autentica alleanza terapeutica si possa combattere la difficile guerra contro la malattia che travolge non solo il bambino, tutto il suo mondo interiore e la sua emotività, ma anche tutta la sua realtà e i suoi affetti. Sostenere il progetto del laboratorio di pittura ha significato impegnarsi nella “cura” globale del bambino malato che comprende anche i suoi bisogni espressivi e relazionali. AGEOP, infatti, ritiene che i piccoli pazienti debbano avere la possibilità di ritrovare un cammino di normalità e serenità durante e dopo il percorso della malattia e per questo continuerà ad impegnarsi. 3 LA FORZA DELLE EMOZIONI Francesca Testoni - Responsabile Assistenza A.G.E.O.P. RICERCA ONLUS « L’arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro. » (Vasilij Kandinskij - Punto, linea, superficie) “Vuoi fare un disegno?” “NO!” risponde perentoriamente il bambino imbronciato e buca ripetutamente il foglio con la punta della matita che impugna come un pugnale. Quel bambino è stato per me un esempio rivelatore, semplice e reale di come “l’espressione artistica” sia sempre strettamente connessa alla capacità di trasmettere le emozioni. Per questo, per noi, tutte le “espressioni artistiche” dei nostri bambini sono preziose e importanti senza necessariamente voler dar loro un’interpretazione, una chiave di lettura tecnica o analitica. Questo è lo spirito con cui da alcuni anni collaboriamo entusiasticamente al progetto del laboratorio di pittura con il maestro Pierantozzi. Il laboratorio offre ai bambini momenti sereni, creativi e ricreativi, opportunità di relazioni e di confronto; crea un collegamento con altri bambini. Nei loro dipinti, raccolti in questo percorso espressivo, si coglie la forza delle loro emozioni, i colori suscitano sensazioni forti che vanno ben di là dalla “qualità artistica” delle opere. QUANDO LI OSSERVO MI VIENE IN MENTE KANDINSKY PER IL QUALE IL COLORE RAGGIUNGE L’ANIMA; IL COLORE HA UN ODORE, UN SAPORE, UN SUONO, RISVEGLIA IN NOI LE EMOZIONI, PER IL SUO “SUONO INTERIORE”. Kandinsky utilizzava una metafora musicale per spiegare quest’effetto: il colore è il tasto, l’occhio è il martelletto, l’anima è un pianoforte con molte corde. Questi dipinti toccano molte corde, a volte semplici e immediate come la voglia di stare insieme con la mamma, il papà e i fratelli, come il profumo della casa, la nostalgia, gli amici, il bisogno del contatto con la natura, altre più profonde e toccanti come la paura e il dolore. Credo che, senza retorica, tutti possano trovare motivi di riflessione in questa piccola mostra che ci ricorda anche quali siano le cose realmente importanti, spesso dimenticate o date per scontate, sia per i bambini che per noi adulti. 4 Ogni giorno in clinica lottiamo per la vita, perché la serenità e la creatività dei nostri bambini non siano sacrificate, perché la loro gioia di vivere possa propagarsi e contagiare tutti noi. Mi commuovo ogni volta che, passando per il corridoio del DayHospital, vedo i bambini intenti a dipingere nella saletta. Il loro entusiasmo, l’impegno con cui mescolano i colori, tracciano pennellate sui fogli mi rende felice. Percepisco come la serenità che questi laboratori di pittura infondono ai bambini, ai genitori, sia che partecipino sia che li osservino, si rifletta nei nostri collaboratori medici ed infermieri, nei volontari, in chiunque si avvicini a noi. Il lavoro raccolto in questo percorso contiene e trasmette le emozioni di questi momenti e la passione delle persone che le condividono.” Prof. Andrea Pession 5 IL DIPARTIMENTO EDUCATIVO MAMbo MUSEO D’ARTE MODERNA DI BOLOGNA Veronica Ceruti - Responsabile Dipartimento educativo MAMbo “L’educazione è pericolosa perché alimenta il senso della possibilità” Jerome Bruner Dal 1997 l’Istituzione Galleria d’Arte Moderna di Bologna ha fondato un Dipartimento educativo stabile che opera in tutte le sue sedi: MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna, Museo Morandi, Casa Morandi, Villa delle Rose e Museo per la Memoria di Ustica, con l’obiettivo di avvicinare il pubblico all’arte contemporanea. Il patrimonio artistico di questi luoghi espositivi è vasto e differenziato. L’attività espositiva del MAMbo, collezione permanente e mostre temporanee, testimonia la vocazione del nuovo museo alla cultura visiva contemporanea e alla sperimentazione, focalizzando l’attenzione sull’arte del Novecento e dei nostri giorni. Il Dipartimento educativo nasce con l’intento di condurre il pubblico a familiarizzare con l’arte contemporanea nella convinzione che l’educazione all’arte sia promotrice di una sensibilità capace di incentivare un nuovo modo di guardare alla propria identità, alla propria storia e alla realtà esterna, ponendosi come mediatore privilegiato fra l’opera e il visitatore. LA PRODUZIONE ARTISTICA CONTEMPORANEA, INFATTI, INVITA A RIVOLGERE UNO SGUARDO RINNOVATO SUL QUOTIDIANO, ATTIVANDO UN PROCESSO CHE È PIACERE ESTETICO, APPRENDIMENTO COGNITIVO E INTERPRETAZIONE DEL REALE. Il museo deve quindi essere uno spazio attivo, di educazione, confronto, riflessione e arricchimento, rivestendo pienamente il ruolo di istituzione culturale e consentendo al visitatore di coltivare la propria memoria e identità in rapporto con il proprio tempo. 6 MAMbo CON AGEOP Silvia Spadoni - Consulente Dipartimento educativo MAMbo Il Dipartimento educativo del MAMbo nell’accogliere e sostenere questa mostra di pitture su carta di bambini e ragazzi assistiti dall’A.G.E.O.P, annuncia l’inizio di una collaborazione che si augura possa essere proficua e duratura. L’INCONTRO CON L’OPERA D’ARTE, NELLA SALUTE COME NELLA MALATTIA, PUÒ COSTITUIRE UNO STRUMENTO POTENTE DI ALLONTANAMENTO DALLA CONTINGENZA PERSONALE E, NELLO STESSO TEMPO, L’ASCOLTO E LA CONDIVISIONE DELLA CULTURA CONTEMPORANEA CONSENTE DI RI-ACCORDARCI CON IL TEMPO PRESENTE. Ed è proprio questa doppia valenza della funzione estetica che caratterizza lo stile educativo che abbiamo scelto; questa la nostra scommessa: dare ai bambini ammalati la possibilità di partecipare e di alimentarsi, anche solo un poco, dell’energia dell’arte, della vitalità degli artisti, ed esperire così anche il piacere che si origina dalla messa in moto dei processi creativi. Attraverso l’autentica passione per il nostro lavoro vorremmo trasmettere anche a questi bambini la carica che deriva dall’esperienza estetica. Seduti tra le opere di Gilberto Zorio, accesi dalle luminescenze stellari delle sue installazioni, rapiti dalle acrobazie di una canoa che ballava sgangherata nella navata centrale del museo, bambini, ragazzi e genitori guardavano incantati; età diverse, culture diverse, tutti loro e noi insieme a loro per un po’ abbiamo dimenticato e siamo stati capaci di sognare, di andare un po’ più in là, come suggeriva Eugenio Montale, perché l’arte, quella vera - diceva lui - porta sempre scritto più avanti, rivolgi lo sguardo ancora più avanti. Partendo dalla premessa che il processo creativo il più delle volte prende origine dalla sofferenza, pensiamo che questi bambini e questi ragazzi siano particolarmente accessibili al beneficio dell’esperienza artistica. È forse una utopia, ma ci vogliamo credere. 7 “L’inclinazione alla collaborazione e al soccorso reciproco [è] innata come I.Eibl-Eibesfeldt, Liebe und Hass, 1970 L’AMICIZIA TRA BAMBINI Dorella Scarponi - Medico psicologo clinico, psicoterapeuta L’amicizia occupa, nella realtà e nella fantasia, una gran parte della giornata dei bambini. Essa è spesso fonte delle più grandi gioie e delle frustrazioni più profonde. La natura delle amicizie infantili può non soltanto influenzare la felicità o l’infelicità del bambino nel corso dello sviluppo, ma può determinare gran parte del suo futuro adattamento sociale alla vita adulta: le opportunità offerte al bambino di costruirsi delle amicizie fin dai primi anni di vita e l’atteggiamento degli adulti nei confronti di tali amicizie sono variabili critiche nel determinare la qualità di vita attuale e futura del bambino. Al di fuori della famiglia, nella scuola, al parco, in strada, il bambino incontra altri ragazzini che hanno la sua stessa sovrabbondanza di energie e le stesse problematiche e con cui ben presto incomincia a giocare e a stabilire legami affettivi. Generalmente le amicizie tra bambini, soprattutto in età scolare, assolvono molte funzioni diverse. Gli amici ci danno sicurezza, ci danno l’esatta misura delle nostre capacità, sono dei compagni nelle attività che non potremmo mai fare da soli, sono delle guide in luoghi sconosciuti e, se sono persone più esperte di noi, ci consentono di essere consapevoli dell’accrescersi della nostra competenza ed esperienza. Un criterio molto importante dell’amicizia, sia tra bambini che tra gli adulti, è il condividere segreti, fatti 8 e sentimenti “privati” che rimangono sconosciuti alle altre persone: giacché gli amici sanno tante cose l’uno dell’altro, e conoscono le paure, le debolezze, così come i punti di forza dell’amico, questo legame può dare al bambino una possibilità, “unica”, di entrare in rapporto con l’altra persona, senza alcuna reticenza. Lo psichiatra Sullivan H. S. ha suggerito inoltre che una funzione chiave dell’amicizia tra bambini è quella di correggere alcune particolari e potenzialmente dannose visioni della vita sociale che i bambini potrebbero aver derivato dai loro primi rapporti con i genitori: solo attraverso il rapporto con i coetanei, sostiene Sullivan, un bambino viziato, un piccolo tiranno o uno privo di personalità, potranno essere salvati dal disadattamento sociale nella vita adulta, poiché “se tutti questi bambini non cambiassero radicalmente in età giovanile, sarebbero, una volta cresciuti, componenti inaccettabili in un qualsiasi gruppo”. La psicologia sociale infatti ci insegna che ogni individuo ha bisogno di confrontarsi con gli altri per almeno due ordini di ragioni: a) orientare le proprie idee e il proprio comportamento in base alla congruenza con le idee e il comportamento degli altri (e specialmente quelli per lui significativi), rinsaldando così la sua stessa identità; b) regolare i propri scambi interpersonali in modo da non risultare sempre perdente. Questo bisogno di equità può contribuire alla preferenza per amici a noi simili: la somiglianza facilità scambi equilibrati. molte delle modalità comportamentali concrete del contatto amichevole”. Solo con gli amici il bambino ha la preziosa occasione di intrecciare rapporti basati sulla cooperazione tra pari: la capacità di cooperare nasce dalla capacità di trovare un accordo con gli altri in una situazione in cui nessuno ha la possibilità di imporsi, per così dire, dall’alto. In tal modo interagire con altri bambini diviene una palestra evolutiva diversa e indipendente da quella offerta dalle relazioni con gli adulti, e da queste non sostituibile, sia sul piano cognitivo individuale, che sul piano degli scambi sociali. Con i coetanei il bambino può vivere dinamiche affettive analoghe a quelle che vive in famiglia e ristrutturare la stessa gerarchia di ruoli, oppure può, come avviene spesso, assumere ruoli differenti da quelli che è solito vivere dentro casa e avere rapporti affettivi fondati su basi diverse da quelle su cui si fondano gli affetti familiari. Per esempio, un bambino che non goda di attenzioni da parte di genitori negligenti o indaffarati, può trovare in un coetaneo quella solidarietà, quella comunanza di interessi e di iniziative che rendono più attraenti le giornate e danno significato al proprio comportamento. Le “abilità sociali” si riferiscono ad un’ampia serie di tecniche per stabilire e condurre rapporti sociali ed amicizie. Queste regole comportano la capacità di comunicare immaginare se stessi nel ruolo dell’interlocutore. I genitori spesso rendono la comunicazione troppo facile per i propri figli. Essi interpretano i desideri del bambino sulla base di espressioni incomplete, e si affrettano a soddisfarne gli impliciti desideri, senza chiedergli di esporre chiaramente I BAMBINI NON POSSEGGONO CAPACITÀ PSICHICHE COSÌ ELABORATE E NON CONCEDONO AI LORO COETANEI IL “LUSSO” DI ESSERE OSCURI. ciò che desidera. I rapporti con i compagni possono pertanto fornire un contributo insostituibile all’apprendimento di molte abilità sociali, come ad esempio le tecniche per coinvolgere gli altri nell’interazione, il tatto e la capacità di affrontare le situazioni di conflittualità. Mentre i bambini possono imparare dal loro rapporto con i genitori come affermarsi in una specie di gerarchia sociale - quale è quella della famiglia - è dai loro rapporti con i coetanei che possono meglio imparare a cavarsela tra i loro simili in un’ampia serie di situazioni sociali. Le abilità necessarie per stabilire e mantenere delle amicizie comprendono la capacità di farsi accettare in attività di gruppo, di essere attento, condiscendente e solidale con i compagni (ossia in grado di essere un “amico”), di sapere cosa fare in caso di lite, di essere sensibile ed agire con tatto. Per conservare delle amicizie, malgrado i disaccordi che nascono inevitabilmente, i bambini devono imparare ad esprimere chiaramente i propri diritti ed i propri sentimenti, rimanendo allo stesso tempo sensibili verso quelli degli altri e capaci di agire in modo da proteggerli. 9 GRU I rapporti con i coetanei creano anche un contesto in cui i bambini possono significativamente confrontarsi con gli altri. Negli incontri tra bambini si odono frequentemente affermazioni, domande e sfide che possono far credere, ad una prima osservazione, che il mondo dei bambini sia molto competitivo. Ad un successivo esame, tuttavia, tali incontri possono essere visti non tanto come un’espressione di rivalità, quanto come il riflesso dell’universale bisogno umano di valutarsi attraverso il confronto con gli altri. GIÀ NELLA PRIMA INFANZIA, I BAMBINI PROVANO UN FORTE BISOGNO DI APPARTENERE AD UN GRUPPO, BISOGNO CHE PUÒ ESSERE SODDISFATTO SOLO ATTRAVERSO L’AMICIZIA CON DEI COETANEI. Gli atti di esclusività sono uno dei modi di manifestare questo bisogno. Tale esclusività, che è estremamente comune nei gruppi di bambini, spesso può essere spiegata come un modo per sottolineare e confermare l’appartenenza al gruppo. Acquisire le abilità che servono nell’amicizia può essere un compito difficile per il bambino che non abbia vissuto molte esperienze precedenti di 10 interazione con altri bambini della sua età, in assenza di un controllo diretto da parte degli adulti. Attraverso prove ed errori, infatti, egli scoprirà quali strategie funzionano e quali no, e in seguito rifletterà coscientemente su quello che ha appreso; i consigli, se dati da compagni che si rispettano, sono spesso più efficaci di interventi simili degli insegnanti e dei genitori. Ci sono anche casi, tuttavia, in cui i bambini hanno bisogno dell’aiuto degli adulti per impadronirsi di particolari abilità che l’amicizia comporta, per esempio quando un bambino desidera fare amicizia ma non sa come fare. L’adulto potrebbe far avvicinare un bambino senza amici ad un altro bambino - anche lui, ad esempio, senza amici - con cui crede che il bambino possa comunicare amichevolmente. Almeno in certi casi, un tale intervento può contribuire a dare a due bambini solitari una prima importante esperienza di accettazione sociale. Il terreno più adatto per lo sviluppo di tali abilità è spesso la scuola, considerato l’elevato numero di ore che il bambino trascorre in tale contesto; l’accesso all’istituzione, anche per il carattere di ufficialità e di promozione che l’avvenimento riveste, resta uno dei fatti più importanti della sua vita sociale. UP SVILUPPO DEL CONCETTO DI AMICIZIA Come mette in evidenza Piaget, “il pensiero, resta sempre indietro rispetto all’azione e bisogna che la cooperazione sia praticata per un tempo molto lungo prima che possa venire portata pienamente alla luce da una riflessione cosciente”. Secondo Selman, da un iniziale egocentrismo (3-7 anni), il bambino passa (tra i 4 e i 9 anni) ad una prima differenziazione tra il proprio punto di vista e quello altrui: a queste fasi corrispondono concezioni dell’amicizia dapprima come compagnia e condivisione occasionale di giochi e poi come preferenza personale, dettata però da motivi sostanzialmente egoistici. Tra i 6 e i 12 anni si fa strada la capacità di mettersi nei panni degli altri, e inizia ad essere colto il bisogno di reciprocità e aggiustamento vicendevole tra amici (ognuno deve adattarsi ai bisogni dell’altro). Il carattere durevole dei rapporti d’amicizia e le loro valenze affettive possono invece essere colti, secondo Selman, solo quando i partecipanti sviluppano strategie per la soluzione dei conflitti e sono in grado di garantirsi mutuo supporto ed intimità; questo avviene tra i 9 e i 15 anni, in concomitanza con la capacità di coordinare simultaneamente il punto di vista del partner e il proprio, assumendo anche una prospettiva esterna alla diade, per così dire “sopra le parti”. Lo sviluppo ulteriore, dai 12 anni all’età adulta, riguarda l’assunzione di una prospettiva societaria e, nell’amicizia, corrisponde alla capacità di coordinare sentimenti di autonomia e di dipendenza. Selman così descrive la progressione stadiale (a “scala”), compiuta dal bambino nella sua consapevolezza dell’amicizia. I bambini si arrampicano sulla scala, fermandosi a riposare un attimo ad ogni gradino, presumibilmente in parte per consolidare il nuovo livello di consapevolezza interpersonale che hanno raggiunto prima di andare avanti. Altri ricercatori, pur concordando in linea di massima con la tesi della progressione, dubitano però che gli stadi siano così distinti come suggerisce lo schema di Selman; piuttosto ritengono che vi sia un cambiamento cumulativo, in cui la caratterizzazione dell’amicizia si arricchisce di nuovi aspetti che si aggiungono a quelli precedenti. LA PROGRESSIONE COMPORTA UN MOVIMENTO COSTANTE LUNGO TRE DIMENSIONI DELLA COMPRENSIONE SOCIALE. In primo luogo, c’è un aumento della capacità del bambino di assumere il punto di vista di un’altra persona, paragonabile all’ampliamento della capacità di decentramento percettivo che avviene nella prima infanzia. All’inizio, infatti, i bambini vedono l’amicizia in modo unilaterale ed egocentrico, unicamente in base a ciò che un amico può fare per loro. Soltanto negli stadi successivi i bambini sono in grado di mettersi da parte, metaforicamente, e di assumere il punto di vista dell’altra persona, e in seguito anche il punto di vista di una terza persona sul loro rapporto, con un apprezzamento dei bisogni e degli interessi condivisi. Così l’accresciuta abilità di assumere il punto di vista di un’altra persona può essere considerata come una marca distintiva della maturazione sia sociale sia cognitiva. In secondo luogo, 11 c’è un cambiamento dal vedere le persone soltanto come entità fisiche al considerarle come entità psicologiche. In terzo luogo il concetto di amicizia del bambino riflette un cambiamento nel modo di vedere i rapporti sociali: da rapporto momentaneo a sistema sociale che dura per un certo periodo di tempo. Nei termini della distinzione formulata da Erwing Goffmann, per i bambini piccoli la relazione con gli altri è semplicemente un incontro, mentre per quelli più grandi diventa un rapporto. Questi stadi di sviluppo hanno in comune un tema di fondo: vi è un cambiamento d’interesse dal concreto all’astratto, da caratteristiche del comportamento delle persone che sono osservabili, a caratteristiche nascoste e implicite. Tali progressi nella comprensione sociale sono resi possibili in parte dai progressi paralleli (dal ragionamento concreto a quello astratto) che si verificano nello sviluppo intellettuale del bambino. Ma non possiamo attribuire al solo sviluppo intellettuale lo specifico contenuto delle concezioni dell’amicizia che hanno i bambini. Una possibile spiegazione è che si tratti principalmente di una questione di apprendimento culturale, a partire dai modelli e dalle formule offerte dagli adulti, dai bambini più grandi e dai mass media. Da questo punto di vista, le successive concezioni dell’amicizia che i bambini manifestano sono una serie di approssimazioni sempre più vicine al concetto di amicizia proprio di una particolare cultura. Tuttavia, la maggior parte degli psicologi dell’età evolutiva ritengono che il principale artefice della comprensione sociale non è la cultura del bambino, ma il bambino stesso. Secondo questo punto di vista “costruttivista” condiviso sia da Piaget che da Sullivan, i bambini arrivano da soli a comprendere in cosa consistano i rapporti sociali essenzialmente sulla base di reali incontri con gli altri. Attraverso i loro rapporti con i coetanei, i bambini scoprono che gli altri bambini sono simili a loro sotto alcuni aspetti e differenti sotto altri. E non appena tentano di cooperare l’uno con l’altro, scoprono che la coordinazione dei comportamenti richiede un apprezzamento delle capacità, desideri e valori dell’altro. L’AMICIZIA VISTA DAI BAMBINI Quando sono i bambini stessi a esporre le proprie idee ed esperienze in un’intervista o in un tema, essere amici vuol dire soprattutto giocare, divertirsi e fare delle cose insieme, tanto all’asilo [Furman e Bierman 1983], quanto nell’età della scuola elementare [Bigelow e LaGaipa 1975; 1980; Selman 1980; Youniss 1980]; i più piccoli si soffermano anche nel descrivere le caratteristiche fisiche dell’amico, mentre i più grandi - dai 9 anni circa in poi - arricchiscono le loro rappresentazioni dell’amicizia di motivi interiori, come l’ammirazione, l’accettazione e la lealtà reciproca. D’altra parte, Furman e Bierman [1983] hanno trovato che già a 4-5 anni i bambini danno importanza alla 12 dimensione affettiva dell’amicizia. I bambini nominano abbastanza spesso anche l’aiuto, le risorse, in una parola i vantaggi che si possono ricevere dall’amico assumendo una prospettiva “utilitaristica” che, secondo alcuni studi, persiste o addirittura si accentua nell’età matura [Wright 1969; Reisman e Shorr 1978]; non da tutte le indagini sopra citate si rileva invece un corrispondente presentarsi del bambino anche nel ruolo di chi dà. Nel considerare questi dati, bisogna tuttavia ricordare che il bambino non parla necessariamente in modo esauriente di tutto ciò che fa e sa, trascurando ciò che gli appare meno saliente, o tacendo di proposito ciò che gli pare inopportuno: da qui la necessità di ricorrere anche ad altre metodologie di raccolta dei dati. Una procedura introdotta di recente negli studi sull’amicizia consiste nella registrazione delle conversazioni tra bambini in contesti naturali. Corsaro [1985], Gottman e Parker [1986], Rizzo [1989], Werebe e Baudonnière [1988] sono alcuni tra gli studiosi che si sono occupati dell’amicizia in questa prospettiva. L’ASSUNTO DI BASE IN QUESTI LAVORI È CHE GLI SCAMBI VERBALI TRA BAMBINI SIANO INDICATORI IMPORTANTI DELLE CARATTERISTICHE DELLA RELAZIONE, e che la loro rilevazione presenti un duplice pregio: da un lato evitano un’interferenza dello studioso (come si verifica nelle interviste, quando il bambino parla sì dell’amicizia, ma “filtrando” il contenuto del suo pensiero); dall’altro non si limitano al comportamento non verbale, come avviene negli studi osservativi sui piccolissimi, e danno quindi accesso, anche se in forma induttiva, al vissuto del bambino circa le relazioni di amicizia e non solo agli atti esteriori. Parker e Gottman [1989], sintetizzando i risultati delle loro ricerche - fra le più ampie del genere indicano tre fasi evolutive dell’amicizia infantile, durante le quali cambiano sia gli argomenti delle conversazioni che i processi relazionali implicati. In una prima fase (3-7 anni circa), temi dominanti sono la ricerca di divertimento e l’espressione della soddisfazione per le attività condivise; dal punto di vista dei processi coinvolti, i bambini devono riuscire a realizzare le loro proposte di gioco, saper concludere o rinunciare ad un’attività in buona armonia con il partner e risolvere le controversie quando sorgono. Tra gli 8 e i 12 anni circa compare la preoccupazione di essere esclusi dal gruppo dei pari e di “perdere la faccia”; le interazioni conversazionali sono costituite spesso da pettegolezzi, nel cui contesto gli amici si scambiano informazioni, parlano si sé, si confrontano, fanno dello spirito. I bambini verso i 12 anni considerano le amicizie più strette come implicanti una “condivisione intima e reciproca”, ossia un rapporto che richiede un certo periodo di tempo per formarsi e che va al di là del singolo incontro; infatti, sebbene riconoscano che le persone possono a volte andare immediatamente d’accordo, questi bambini credono che sia meglio instaurare un rapporto d’amicizia in modo graduale, per poter scoprire il carattere, gli interessi ed i valori dell’altra persona. Intorno ai 13 anni, inizia una terza fase che va fino ai 17-18, in cui balzano in primo piano il bisogno di introspezione e di ridefinizione di sé; il processo sociale saliente diviene ora la gestione di situazioni caratterizzate da intimità e auto-rivelazione, alla comune ricerca di una soluzione per i problemi personali che i ragazzi e le ragazze incontrano in questa età. IN CIASCUNA FASE, L’INTERAZIONE CON GLI AMICI CONSENTE DI RICONOSCERE LE PROPRIE ESPERIENZE EMOTIVE, E LE PROBABILI REAZIONI DEGLI ALTRI: così nell’età prescolare l’amicizia è un’arena in cui si apprende a coordinare le proprie emozioni con quelle altrui, dominandole quanto basta a mantenere un comportamento sociale appropriato; nella fanciullezza s’inizia a comprendere le regole di esibizione delle emozioni, anche se per il momento si tratta principalmente di saper nascondere il proprio stato d’animo; tra gli adolescenti queste regole si fanno più sottili e complesse, e non è più necessario negare i sentimenti: anzi, proprio l’analisi delle implicazioni emotive delle relazioni in cui sono coinvolti forma una parte importante delle conversazioni tra amici a questa età [Gottman e Parker 1986]. 13 IL BAMBINO IN OSPEDALE “C’è una profondità che mette i brividi nei racconti dei bambini malati di tumore: bambini e bambine con una maturità da grandi, che leggono il mondo e vivono il tempo in una dimensione diversa dai loro coetanei sani. Nel gioco della vita a loro è toccata subito la battaglia più difficile, quella senza possibilità di fuga: per vincerla l’unica via possibile è quella di capire chi è il nemico e perché”. FavoleFavole, 2001 Il bambino con tumore si trova in una fase di crescita, fisica, psicologica ed educativa. La malattia determina un rallentamento di tale processo anche quando, nella maggior parte dei casi, esso è seguito da un recupero con piena normalizzazione e con accelerazione di alcuni aspetti (sensibilità, maturazione). La difficoltà del percorso di terapia e il sollievo di averlo portato a termine con successo sono paragonabili all’aver scalato una cima. Il cammino effettuato evidenzia, comunque, anche tra i compagni di viaggio, l’esistenza di aspetti di distanza e di solitudine. Grazie a questa consapevolezza i bambini possono sviluppare capacità superiori ai coetanei nel riflettere sui grandi temi della vita ed essere meno inclini ad atteggiamenti di spensieratezza. I bambini con lunghi e ripetuti ricoveri sono particolarmente “esposti”, dal punto di vista psicologico: devono affrontare non solo terapie dolorose, anche la separazione dagli amici e da tutto ciò che costituisce la normalità. Il paziente, infatti, è penalizzato nei suoi desideri di confronto con i coetanei, per la ridotta frequenza della scuola di appartenenza, degli amici, dei fratelli. In tutto il periodo di malattia sarebbe auspicabile, quindi, per una buona qualità di vita del bambino, mantenere i contatti con gli amici nel 14 modo più praticabile (lettere, telefonate, visite), coltivare ATTRAVERSO LE ATTIVITÀ LUDICHE, RICREATIVE E CREATIVE IL BAMBINO SUPERA PIÙ FACILMENTE INCOMUNICABILITÀ E DIFFICOLTÀ NEI RAPPORTI DI GRUPPO, gli interessi precedenti. ha occasione di socializzare e di divertirsi con gli amici. In questo modo si può limitare la valenza di rottura che la malattia presenta e si favoriscono aspetti di continuità. Frequentemente il disagio maggiormente provato dal piccolo malato, rispetto ai cambiamenti di vita determinati dalla patologia, riguarda la frequenza scolastica. Nella vita normale del bambino la scuola riveste un ruolo fondamentale sul piano dell’apprendimento e delle relazioni sociali sia con gli adulti sia con i coetanei. Nel periodo di trattamento la regolare frequenza scolastica può essere più o meno compromessa. La scuola in ospedale e le attività di continuità con essa consentono la prosecuzione del percorso sociale del bambino durante i periodi di ricovero: mantenendo i contatti con la scuola di appartenenza si mantiene attivo il futuro reinserimento del bambino nella propria classe, diminuendo i sentimenti di perdita e di esclusione. DENTRO E FUORI L’OSPEDALE…ASPETTI PSICOLOGICI Se per il bambino normalmente la scuola rappresenta una fase cruciale per lo sviluppo intellettivo e sociale, ancor più per un bambino che vive l’esperienza di una malattia in grado di mettere in pericolo di vita, la scuola simbolizza la possibilità di un avvenire. Il maggiore ostacolo psicologico, ciò che rende più riluttanti i bambini e gli adolescenti con cancro a ripresentarsi a scuola, risiede nelle modificazioni fisiche subite; soprattutto la perdita dei capelli li preoccupa delle reazioni negative dei compagni: così la maggior parte di essi nasconde la calvizie indossando un cappellino o anche la parrucca. Recenti studi hanno fornito verifiche dei possibili effetti a lungo termine dell’amicizia tra bambini: un gruppo di ricercatori ha scoperto che i rimproveri rivolti a bambini di otto anni dai loro compagni di scuola potevano causare difficoltà a livello psichiatrico dagli undici ai tredici anni. Riguardo all’ambiente e ai compagni di scuola il ragazzo malato deve abituarsi a non vergognarsi della sua malattia: egli dovrà man mano convincersi che le malattie, come il dolore, sono un’evenienza della vita, che con esse bisogna convivere e che ognuno può essere prima o poi colpito da eventi spiacevoli. E’ saggio consigliare un comportamento intermedio tra una eccessiva divulgazione della condizione morbosa, che potrebbe avvilire il paziente ed esporlo alla commiserazione o al sadismo dei compagni, ed il totale silenzio che potrebbe indurlo ad avere relazioni soltanto con persone affette dalla sua stessa infermità o, peggio, a chiudersi completamente in se stesso. Superati questi primi momenti, una volta riaccettato dai compagni, egli va a scuola volentieri, con tutto il desiderio di riprendere i normali rapporti con il suo mondo di scolaro. Come i suoi coetanei, il bambino con neoplasia ha bisogno EGLI VUOLE SENTIRSI “NORMALE” E UGUALE AGLI ALTRI. di affetto, di aiuto e di comprensione. Atteggiamenti di eccessiva condiscendenza o di sfiducia nelle sue capacità o di eccessiva preoccupazione di affaticarlo potrebbero risultare negativi. I bambini costruiscono difese per proteggere se stessi dal dolore e dalla paura, ma vogliono che gli sia detta la verità e si aspettano onestà e lealtà nelle risposte alle domande sulla malattia, sulle reazioni degli amici. Comunicare, discutere con loro il più serenamente possibile della malattia e dei suoi problemi può ridurre inoltre favorire il ritorno a scuola e alla vita nel modo più normale possibile. I COMPAGNI DI CLASSE La malattia cronica pone il paziente-alunno in condizione di diversità rispetto ai suoi coetanei sani. Le relazioni tra coetanei sono una fonte di approvazione per tutti i bambini. Nel contesto della malattia potenzialmente mortale, l’amicizia fornisce al bambino un supporto cruciale e ne rafforza l’autostima, che rappresenta un fattore prezioso e delicato. Di frequente il bambino ha due generi di amici: quelli del mondo “sano”: della scuola e i vicini di casa, quelli della clinica, dell’ospedale. Il bambino spesso è preoccupato dalle possibili reazioni dei coetanei: IN CHE MODO MI CONSIDERERANNO? SARÒ ACCETTATO O SARÒ PRESO IN GIRO, RIFIUTATO? CHI MI RIMARRÀ VICINO NEI MOMENTI DIFFICILI? Il bambino teme che gli “amici di prima” (un’espressione usata frequentemente) lo allontanino perché’ hanno paura o, semplicemente, 15 non sanno come comportarsi. Con gli amici di scuola non tutto si riesce a condividere, le parole non riescono mai, fino in fondo, a descrivere un’esperienza di malattia che resta sempre troppo personale. Forse i piccoli pazienti non riescono a dire quanto per loro gli amici siano significativi; ma non passa nemmeno un giorno, in ospedale, senza che essi vengano richiamati alla loro mente. Gli amici veri sono chiaramente distinti da quelli la cui fedeltà vacilla o svanisce una volta che la malattia si è manifestata. Molti bambini riferiscono di aver avuto amici che sono sempre rimasti loro vicini, nonostante ci siano stati problemi o fraintendimenti. In genere, le difficoltà riguardano la sensazione di essere esclusi dalle attività di gruppo o dalla condivisione di confidenze. I coetanei che si avvicinano al bambino malato per la prime volta durante il periodo che segue la diagnosi, sono spesso visti con diffidenza: egli, infatti, sospetta che il loro interesse sia suscitato dalla pietà o dalla curiosità. SOLO CON IL TEMPO IMPARA A RICONOSCERE QUALI SONO LE MOTIVAZIONI PER CUI GLI ALTRI CERCANO DI DIVENTARGLI AMICI. Alcuni bambini, quasi per reazione controfobica, trasformano quello che potrebbe essere lo stigma della malattia in un emblema di coraggio e fascino, assegnando alla loro diversità non un valore di vittima ma di eroe: molti bambini scelgono di fare una ricerca o una presentazione della loro malattia e del loro trattamento. Spiegando la propria esperienza, il bambino cerca di stabilire con i suoi compagni una relazione basata sulla franchezza. “La situazione di malattia che prevede ricoveri, cure invasive, limitazioni, produce nel bambino una grande difficoltà a rappresentarsi e a porsi nel confronto con gli altri, poiché il percorso di acquisizione di identità personale è ostacolato da un’immagine debole 16 e diversa” [Catastini Paola 1998]. E’ in questo periodo che i bambini iniziano a vivere la loro vita di relazione, sollecitati da stimoli di vario tipo, dall’attività sportiva, alle gite scolastiche, ai compleanni in pizzeria. Purtroppo, il dover rinunciare ai contatti e alle esperienze con i propri coetanei, producono nel bambino con patologie gravi, serie implicazioni a livello psicologico. I genitori, in questo contesto quindi, svolgono un ruolo centrale nel facilitare lo sviluppo e il reinserimento del bambino nelle relazioni con i compagni. Possono collaborare attivamente con il bambino o rimanere sullo sfondo, insieme agli altri genitori, agli insegnanti e agli assistenti sociali della zona. Questo supporto è particolarmente importante per il bambino che è riluttante nell’affrontare il rischio di iniziare un contatto sociale dopo la diagnosi. Quando i rapporti con i compagni diventano difficili o dolorosi, i genitori devono essere preparati a spingere il bambino a trovare una soluzione, nonostante la loro tendenza a proteggerlo o le reazioni di rabbia. Ripresentarsi ai compagni è forse uno dei principali problemi del bambino con cancro dopo l’iniziale ospedalizzazione, sia perché dubita delle sue capacità di lavorare e competere con loro a causa delle assenze fatte sia perché teme che essi possano avere reazioni negative nei suoi confronti, per le modificazioni fisiche provocate dalla malattia e dal trattamento, guardandolo in modo diverso o canzonandolo. D’altra parte, l’atteggiamento degli altri bambini della classe può variare dalla ansietà alla paura quando essi vengono a conoscenza della gravità della malattia che ha colpito il loro compagno, fino a reazioni tendenti a isolarlo o a prenderlo in giro per i suoi difetti fisici, più facilmente quando sono all’oscuro dell’evento che gli è capitato. Tali situazioni potrebbero forse essere attenuate se i compagni di classe conoscessero la realtà attuale di questa malattia, nelle sue possibilità di guarigione e nella transitorietà di una parte delle alterazioni corporee provocate dal trattamento. E’ presumibile che il bambino malato voglia semplicemente riprendere i normali rapporti con i compagni di classe ed è probabile che, quando è assente da scuola, egli desideri essere trattato come accadrebbe in occasione di qualsiasi altra malattia, cioè di sentire affetto e partecipazione, anche attraverso telefonate, lettere o visite a casa o in ospedale (quando possibile). L’AMICIZIA IN OSPEDALE. LA MALATTIA E I COETANEI Per mantenere un senso di continuità con la sua vita normale, il bambino ha bisogno di comunicare con altri bambini: ad esempio il gioco, essendo racconto di sé stessi al mondo, stimola l’incontro e la condivisione di esperienze simili ne bambini ospedalizzati; il gioco mantiene vivi i loro interessi e lavora sulla loro parte sana. I rapporti che si sviluppano in ospedale e in clinica sono di tipo diverso. Queste forti amicizie, in cui la condivisione dell’esperienza della malattia rende “compagni”, nascono in assenza di altri amici e nonostante le differenze che IL BAMBINO SPESSO COMMENTA CHE GLI ALTRI PAZIENTI SONO GLI UNICI A COMPRENDERE VERAMENTE QUELLO CHE HA PROVATO. altrimenti avrebbero separato i bambini. Quando si sviluppa l’amicizia tra pazienti, essa però deve tener conto anche della situazione contingente in cui si viene a creare. La minaccia della perdita resta in disparte ma sempre in agguato e, nella sua ombra, si evidenzia un ampio spettro di modalità di attaccamento diverse: a un estremo ci sono i bambini che, in circostanze precarie, sono riluttanti al contatto con gli altri; all’altro quelli che stabiliscono con gli altri pazienti relazioni intense e vigili. La disponibilità del bambino alle relazioni con gli altri pazienti va sempre rispettata, anche se gli estremi possono essere indice di problemi. La riluttanza a ogni tipo di contatto può nascondere una difficoltà nell’assimilare la malattia all’interno della propria identità. Questa reazione è, però, abbastanza normale in un bambino in cui è stata da poco fatta la diagnosi e che ancora non ha interiorizzato tutto ciò che è successo. D’ALTRA PARTE, UN BAMBINO CHE HA UN ECCESSIVO INVESTIMENTO SUGLI ALTRI BAMBINI MALATI SI TROVA A VIVERE IN UN MONDO IN CUI DOMINANO LA MALATTIA E LA PERDITA. La maggioranza dei bambini, comunque, riesce a trovare un compromesso tra il coinvolgimento con gli altri pazienti e il mantenimento di un rapporto con il mondo esterno dei sani, al quale spera di tornare presto. L’impatto che la malattia ha sulla vita quotidiana e il bambino - famiglia, scuola, gruppo dei pari - è massiccio. All’interno di questi ambiti, il bambino ricerca la via di un’esistenza “ordinaria” - una versione della normalità rivista in base alle circostanze straordinarie che sta sperimentando. Un’esperienza favorevole è data dalla possibilità di incontro e di scambio fra i piccoli ricoverati, tra cui si stabilisce un clima di solidarietà e di amicizia utile a ridimensionare i sentimenti di solitudine e di diversità. (“La solidarietà tra noi piccoli pazienti è stata un seme da cui è nato in tanti casi un sentimento di vera amicizia, il fatto di avere gli stessi problemi ha aiutato la crescita di questo bel sentimento” N., 11 anni). In ospedale ci si sente come sospesi: alcuni pazienti, ad esempio, non vogliono stabilire relazioni o contatti 17 troppo impegnativi coi coetanei malati o col personale perché il tempo dell’ospedale è catalogato come tempo irreale, non è riconosciuto cioè come dotato di senso. Sicuramente parte di questa resistenza si riferisce al rifiuto nei confronti dell’intera esperienza di malattia e di cura, così distante dai progetti personali che ogni bambino coltiva e continua a tenere in mente. I bambini ricoverati sono particolarmente deboli dal punto di vista psicologico visto che devono non solo affrontare terapie dolorose, ma anche la separazione dai coetanei e da tutto ciò che costituisce la normalità. Il piccolo paziente oncologico, infatti, è un bimbo che può essere penalizzato nei suoi desideri di confronto con i coetanei, perché le precauzioni suggerite dall’abbassamento dei valori ematologici in corso di chemioterapia, spesso sconsigliano la frequenza alla scuola di appartenenza ed anche la vicinanza di altri bambini che non siano i fratelli, tra le mura domestiche. Le terapie che modificano l’aspetto fisico (ad esempio come i chemioterapici che fanno perdere i capelli) devono essere discusse con il fanciullo o ragazzo, armandosi di grande pazienza ed adottando un atteggiamento empatico. Può essere infatti difficile convincerlo ad assumere farmaci che possono peggiorare il suo aspetto. La presenza di altri pazienti non sempre 18 mitiga la solitudine, anche perché l’amicizia tra pazienti senza l’intervento del personale che la faciliti può non verificarsi. Compatibilmente alle esigenze del reparto, è preferibile consentire ai bambini che possono muoversi GIOCANDO, INFATTI, I BAMBINI DIMENTICANO LE LORO SOFFERENZE. di stare insieme. Per favorire la socializzazione all’interno dell’ospedale sono molto utili gli spazi ricreativi comuni ove i bambini e i ragazzi – nelle fasi meno acute del male o in attesa di essere operati o ricoverati – possono incontrarsi e giocare. Se si hanno questi accorgimenti l’ospedalizzazione viene accettata più facilmente. Grazie alla possibilità di svolgere attività singole o di gruppo, i piccoli pazienti non soltanto allargano il campo delle conoscenze, ma imparano anche a vivere in gruppo, a controllare i propri impulsi, le proprie tendenze egocentriche e si abituano ad un lavoro mentale più complesso, cioè ad assumere il ruolo dell’altro ed a prendere in considerazione diverse soluzioni. Essi si rendono anche conto delle differenze temperamentali che esistono tra le persone, imparano ad apprezzarle e a tollerarle, sviluppano simpatie e preferenze verso persone o attività. I bambini che giocano in gruppo imparano a reagire alle frustrazioni, a difendersi dalle aggressioni, a stabilire alleanze. IL LABORATORIO DI PITTURA, TERZO ANNO Piergiovanni Pierantozzi, Pittore IL PROGETTO Il bambino quando dipinge vive in un mondo ricco di sensazioni ed è felice di rimanerci se si trova in un ambiente tranquillo, vicino a persone che lo accolgono e lo approvano. Il progetto di pittura è nato in questa prospettiva ed ha portato avanti nella sala giochi del day hospital d’ematologia pediatrica del S.Orsola un “laboratorio di pittura”, dove i bambini potevano dipingere mentre attendevano o ritornavano dalla cura prima di andare a casa, o anche in certi momenti mentre assumevano la cura stessa. La cosa sorprendente era che nonostante il disagio in cui si trovavano e l’estemporaneità dell’iniziativa fatta in quel luogo, con i materiali disposti sul pavimento o a scelta sui tavoli, i bambini si applicavano con impegno e concentrazione. MOLTI HANNO PARTECIPATO FIN DALL’INIZIO ED IL COINVOLGIMENTO CRESCEVA CON L’AFFERMARSI DELLA CONSUETUDINE ALL’EVENTO. Tecnicamente agivano nel modo di cui erano capaci, i volontari dell’AGEOP che li assistevano, fornivano unicamente le indicazioni sull’uso dei materiali con la proposta di provare ad ottenere da soli la gamma dei colori combinando i colori primari. Poteva capitare che con i bambini più grandi si dialogasse sull’immagine prodotta, per esempio sullo spazio della rappresentazione (figura-sfondo-contorno) e che i più piccoli li si aiutasse nella tecnica, per controllare i materiali. Abbiamo sempre cercato di proporci attraverso un rapporto “empatico”, provando a metterci sulla lunghezza d’onda delle intenzioni espressive del bambino e di rimandare i segnali di comprensione, di condivisione, e se necessario facendo anche proposte operative essenziali, date in tempo reale. L’obiettivo erano quello di dare vita ad un momento di gioco creativo ed espressivo che consentisse di ritrovare anche in quell’ambiente un luogo amico, dove fosse possibile poter fare qualcosa d’interessante e subito. Confrontando l’attività di questi tre anni del laboratorio, condotto con frequenza settimanale nei mesi invernali, con le altre opportunità di svago disponibili, anche con oggetti molto evoluti ed accattivanti quali i videogiochi Nintendo ed altri giochi strutturati, abbiamo osservato che i bambini erano attratti spontaneamente dalla pittura. Naturalmente per i più timidi era a volte necessario invogliarli a partecipare. Esiste anche un aspetto educativo dell’attività, da ritenersi importante: 19 il fare pittura per il bambino vuole dire sperimentare, risolvere problemi, trovare soluzioni e mettere in gioco capacità operatorie, manuali e mentali. L’attività non è quindi da considerarsi solo un come un passatempo o una distrazione per riempire i momenti dell’attesa. Di quest’aspetto e della funzione del gioco in generale, si è parlato in modo specifico nel catalogo della mostra “Il gioco e la cura” dove è esposto il significato e l’importanza del gioco e del continuare a giocare, anche durante la malattia (D.Scarponi). Nel laboratorio non è possibile estendere il lavoro all’uso più ampio di materiali e tecniche, i vincoli igienici ed ambientali non lo consentono. Per ora abbiamo sperimentato delle variazioni relative ai supporti e ai tipi di colore e provato a leggere brevi favole: si è visto però che raramente le immagini del racconto entravano nei dipinti realizzati. PER CONTRO SI È VISTO CHE CANTARE QUALCHE CANZONCINA PER L’INFANZIA, CREAVA INTERESSE E PARTECIPAZIONE TRA I PRESENTI, COMPRESO I GENITORI. A questo proposito abbiamo portato nel laboratorio il regalo preparato dai bambini di una scuola gemellata (Venola), erano degli strumenti musicali prodotti da loro stessi con delle scatole e delle bottiglie decorate, e la loro maestra di musica è venuta a mostrarci come usarli. Il gemellaggio con alcune classi elementari è nato in occasione delle due mostre allestite con le opere di pittura prodotte al day hospital a cui hanno partecipato con i loro lavori i bambini di alcune scuole del comprensorio di Marzabotto. Oltre ai lavori messi in esposizione e la visita alle mostre delle classi, una scuola di Panico ha realizzato una grande pittura murale alla stazione di Lama di Reno dedicata ai bambini di AGEOP ed in classe si 20 sono condivisi alcuni momenti di vissuto raccontati da una bimba che anche lei si trova a dover seguire la cura in ematologia pediatrica del S. Orsola. Queste iniziatve con le scuole hanno contribuito ad alimentare i canali di scambio e di comunicazione tra il mondo dentro e fuori l’ospedale (vedi “Il bambino non è solo un paziente”, presentazione alla mostra “Dentro il colore” di S.Cappello). LE OPERE Quantitativamente la produzione di quest’anno e le presenze dei bambini nel laboratorio è paragonabile a quella dell’anno scorso, mentre l’età media dei partecipanti è un po’ più alta: nel grafico sono riportate le presenze nei tre anni, divise per fasce d’età. Le colonne rosse indicano le presenze dell’anno scorso mentre quelle gialle indicano quelle del primo anno. Le blu sono le presenze dell’anno in corso. Questo rilievo può esserci utile per capire come mai nell’insieme dei lavori di quest’anno, seguendo la logica della precedente proposta di catalogazione dei lavori, ci siano un maggior numero di opere assimilabili alla categoria della rappresentazione narrativa: il mondo, il paesaggio, se stessi, la casa, i sentimenti, le cose. L’ipotesi è che essendo venuti bambini più grandi, loro hanno prodotto quello che in genere preferiscono fare a quella età, tra i cinque e i nove anni: produrre immagini con forme riconoscibili, piuttosto che forme “astratte”, e quest’anno siamo di fronte ad un’ampia produzione delle prime. Riguardando le produzioni alla fine del percorso c’è sembrato interessante potere dare qualche indicazione sulla genesi di alcune di queste immagini, andandola a ritrovare, quando sia possibile ritrovarne le tracce nella documentazione fotografica e nei diari di lavoro, e di estendere poi la ricerca anche sulle produzioni delle scuole gemellate. Questa indagine ci è sembra inoltre utile, da un lato per capire meglio i contenuti delle opere che come si è detto, spesso sono frutto di sperimentazioni, di idee più o meno momentanee, di successivi ripensamenti e di conseguenti trasformazioni, e dall’altro per osservare l’influenza delle suggestioni ambientali e o delle persone che gli erano vicine. Come si è detto i conduttori dei laboratori hanno cercato d’avere un atteggiamento neutro, intervenendo con suggerimenti tecnici-operativi e facendo attenzione a non condizionare il lavoro che si cercava spontaneo e “autoespressivo”, anche se poi non privo di indicazioni, necessarie per favorire un modo di operare attivo, come ad esempio la richiesta di combinare i colori da soli. Vedremo poi in che modo le suggestioni esterne entrano nelle immagini prodotte in alcune circostanze dai bambini ed ancora come un’opera si sia trasformata, in modo non facilmente individuabile a posteriori, con l’intervento di un genitore particolarmente in sintonia con il proprio figlio. Cercheremo di fare dei paralleli tra la produzione delle opere a scuola e in ospedale per individuarne la particolarità di ognuna e in che modo cercare di capirle. I lavori provenienti dalle scuole gemellate sono stati prodotti nell’ambito del laboratorio grafico-pittorico “Intensoblù” incentrato sulla creatività, sull’autonomia e sulla capacita di operare in gruppo. 21 GEMELLAGGIO CON LE SCUOLE Dedicato ai bambini in ospedale e a scuola e a chi si dedica a loro. Gli insegnanti Noi insegnanti, della scuola elementare di Panico e di Pian di Venola, siamo entusiaste per l’esperienza di gemellaggio vissuta dai nostri alunni in occasione della mostra di pittura organizzata dal lungo e affusolato Pierre, il nostro pittore Piergiovanni Pierantozzi. Tale mostra è stata realizzata con la collaborazione di A.G.E.O.P. con il reparto di Oncologia ed Ematologia Pediatrica “ Lalla Seragnoli” (Prof. A. Pession). CIÒ CHE PIÙ EMOZIONA IN QUESTO PROGETTO È LO STUPORE DEI BAMBINI DI FRONTE ALLA LORO OPERE. LA SORPRESA CHE MANIFESTANO NEL VEDERE I PROPRI LAVORI IN UNA MOSTRA FA PERCEPIRE LA SEMPLICITÀ CON LA QUALE ESSI SI SONO ADOPERATI NEI DIPINTI. Continueremo a sostenere questo progetto in cui gli unici protagonisti sono i bambini con la certezza che, grazie ai loro capolavori e al loro interagire, potranno colorare il mondo con i colori dell’arcobaleno. Nello specifico, le classi di Pian di Venola hanno condiviso un laboratorio di pittura, attraverso la lettura della favola con i bambini dell’ospedale. Le classi di Panico hanno sperimentato la realizzazione di un murales alla stazione di Lama di Reno in cui i bambini hanno dipinto con le terre, le crete e il carbone la fiaba di Hansel e Gretel. I percorsi, svolti dai nostri alunni delle diverse realtà, convoglieranno in un’ unica mostra presso il “Mambo” a Bologna. In questa occasione si rinnoverà l’incontro fra la realtà scolastica e ospedaliera, rafforzando così quei valori di solidarietà, di comprensione, di condivisione, con cui ci confrontiamo quotidianamente. Esprimiamo molta gratitudine verso coloro che hanno permesso la realizzazione di questi progetti con l’auspicio di poter continuare negli anni a venire. 22 Ho avuto la fortuna, per la seconda volta, di fare "l'aiutante" di Pier, nel laboratorio di pittura, con i bambini del day hospital. Bambini grandi e piccoli, genitori come colori primari che mescolati hanno dato origine a qualcosa di nuovo, di forte, di intenso. Mescolanze attente, pazienti, a volte spensierate a tal punto da dipingere cantando filastrocche o scioglilingua. Che bell'atmosfera! Uscivo dal dh con le mani macchiate di colore e per la strada,da sola cantavo ancora...Un grazie a Pier, a tutti i bambini, ai genitori, ad Ageop. Loredana Scotti Volontaria Day Hospital 23 IL BACKSTAGE DELLA MOSTRA I tre filoni principali d’attività del laboratorio di pittura “Intensoblu”, portato avanti nelle scuole gemellate, sono: la pittura con la combinazione dei colori primari, la creta ispirandoci alla metodologia di B. Munari, le alchimie di gioco e la pittura con i materiali primitivi. Qui vediamo i bambini della prima elementare di Venola, con i pastelli e le tempere. Lavorano in coppie e possono scegliere di iniziare con i pastelli oppure subito con la pittura. Hanno già fatto precedentemente diverse sedute con la creta e hanno familiarizzato con le possibilità di trasformare le immagini grafico-pittoriche manipolando il materiale. In alto vediamo un primo abbozzo dove nel lavoro con i pastelli si vede una striscia di cielo e una di terra, entrambe azzurre, con in mezzo il sole, una pianta, una forma cancellata e una costruzione geometrica posta in alto a destra. Poi nell’intervento successivo di pittura i due decidono di trasformare l’abbozzo in un gioco di colori, realizzato con macchie ben accostate, salvando solo in parte la struttura iniziale del disegno. Più in basso le due bimbe della stessa classe procedono invece per aggiunte di elementi successivi. A mano a mano che il lavoro avanza si arricchisce di particolari, senza introdurre cambiamenti all’impostazione. A lato, nella pagina che segue, vediamo le due pitture finite. 26 27 Dylan-Nicola, Valentina-Eleonora, 6-7 anni, Prima Elementare di Panico 2008/09 Spesso i bambini mentre dipingono guardano anche quello che fanno gli altri compagni presenti intorno a loro. E’ un modo istintivo di sentirsi uniti e di stare insieme. Così ci si stimola a vicenda, comunicando visivamente le idee. A volte si sviluppa anche un dialogo su quello che stanno facendo. A scuola questo aspetto della comunicazione viene incoraggiato, per esempio facendoli lavorare insieme in piccoli e in grandi gruppi, chiedendo loro di mettersi d’accordo, anche se accade che a volte qualcuno dica: “lui mi copia, ed io non voglio!”. Qui nella fotografia vediamo una bimba che sta osservando la compagna che le è accanto, prendendo spunti di lavoro, specialmente nella scelta dei colori e nei gesti, anche se poi usa degli impasti con l’acqua più diluiti e quindi meno materici. All’inizio aveva avuto forti resistenze per incomiciare perchè era arrabbiata, ma vedendo l’altra bimba (4 anni entrambe) lavorare con soddisfazione le è venuta voglia di farlo lei stessa. Il terzo bambino, che vediamo sullo sfondo è un un pò più grande (6 anni), inizia a dipingere delle macchie di colore, forse ispirato anche lui ai lavori delle due bimbe. A lato possiamo osservare i dipinti prodotti dalle bimbe. 28 29 Valentina e Desy - 4 anni- Ageop 2009 Ispirandoci alla favola “I musicanti di Brema” riscritta da Rodari, vediamo all’opera alcuni bambini della prima di Venola. Husem lavora da solo ed inizia con i pastelli a disegnare un tratto di cielo ed in basso due animali da cortile, occupando una vasta area del foglio. Con il pennello ed i colori il lavoro si trasforma e viene diviso in due zone, potremmo dire della notte e del giorno, dove in basso sotto l’arcobaleno si svolge la trama della fiaba. Altri due compagni, fino dalla impostazione iniziale del disegno hanno messo due zone nel foglio. Vediamo via via riempire quella alta con i colori della notte dove però c’e una forte comunicazione tra la fascia bassa del giorno e quella alta, mentre nel dipinto di Husem le due zone sono nettamente distinte. La favola parla della notte e del sonno dei musicanti, e questi bimbi l’hanno descritta, probabilmente influenzandosi a vicenda visto che erano anche vicini di banco. Non hanno fatto così gli altri bambini. Nella pagina a lato vediamo le opere. 30 31 Husem e compagni - Venola Prima elementare 2006/2007 Qui vediamo invece che mostrando le illustrazioni di un libro che accompagnano una breve storiella, dove le immagini sono delle macchie di colore, l’idea delle macchie viene accolta dai bambini ed inserita nella pittura, trasformando il lavoro già iniziato (qui a lato) precedentemente. Nella pagina sucessiva vediamo il risultato finale. 32 Sala giochi Day Hospital Contrariamente a quello che accade a scuola ai loro coetanei, in ospedale la lettura della favola non sembra influenzare il lavoro dei bambini. 33 Qui avviene il contrario: è il bambino che racconta mentre dipinge. Racconta alla volontaria Ageop che lo assiste, la trama di una storia mitologica. Il mare contiene una sirena, lui dice, e la dipinge con il rosso sul blu sottostante ancora fresco che la inghiotte. Insiste sulla figura fin che essa non riesce ad emergere e poi riempie il foglio di altri colori, accostandoli come in un quadro astratto. Chantal lavora in terra, su un suo foglio più piccolo e il babbo le scrive il nome a grandi lettere. Anche lei usa il colore a macchie, facendo larghe sfumature acquerellate . 34 35 Daniel e Chantal - 6 anni- Ageop 2009 Diego ha sette anni, con i tre colori primari ed il bianco crea degli impasti densi o acquerellati, e direttamente senza ripensamenti dipinge paesaggi. Ci stupisce la profondità dello spazio rappresentato e il tema naturalistico scelto. In entrambi i dipinti, eseguiti in due giornate diverse, la trasparenza e l’atmosfera del paesaggio sono palpabili. È raro che un bambino della sua età che dipinga in questo modo. Con la pittura ci descrive il suo paesaggio interiore e ce lo racconta senza l’aggiunta di personaggi e di cose: l’ambiente è vuoto ma non è desolato e triste. 36 37 Diego, 7 anni - Ageop 2009 Destiny che ha quattro anni dipinge da solo su un grande foglio in terra. Sperimenta le tracce e le macchie di colore. Il padre che gli è vicino si inserisce nel lavoro, estendendo la pittura a tutto il foglio e armonizzando il suo intervento con quello del figlio, tanto da sembrare di non esserci. Il risultato è una pittura a quattro mani che descrive, attraverso il pulsare dei segni di colore terroso, lo spazio attorno all’omino posto in basso, di fianco ad una vasta macchia. In alto vediamo il nome del bambino e le lettere di un’altra scrittura, disposte in modo ritmico tra i segni. L’insieme magico e misterioso probabilmente costituisce un messaggio. 38 39 Destiny e babbo, 4 anni - Ageop 2009 La mestra a scuola legge la favola “Un gatto in bottega” (D.Scarponi-G.Manna). La consegna data era quella di ispirarsi alla favola per dipingere oppure di rappresentare quello che si desiderava. I bambini erano attenti alla lettura della storia. Si racconta di un gatto che viene da lontano ed è rimasto solo, è inverno e c’e la neve. Una signora lo vede e lo vuole aiutare ma lui scappa, è debole ed ha paura. La signora alla fine ci riesce mettendogli del cibo in una casa abbandonata. I bambini hanno voluto vedere anche le illustrazioni del libricino. Si sono formati sette gruppi di due bambini ciascuno, i materiali da utilizzare erano i pastelli ed i colori primari a tempera. Due coppie, decidevano di rappresentare cose di propria fantasia, mentre le altre cinque si sono ispirati alla storia raccontata. Qui a lato vediamo la fase preparatoria di due lavori, dove nel primo la coppia Martin e Marian incominciano disegnando un mosaico blu con inserito nella maglia un gatto ed una scatola, rappresentati in modo mimetico. E’ probabile che abbiano fatto caso ad alcune finestre e porte a vetri multipli, illustrate nel libricino. Con la pittura la trasformazione dell’immagine è completa: rimangono il gatto e la scatola con sotto un’ombra nera, infine la finestra. Nel secondo lavoro Lucia e Stefano hanno dichiarato di aver dipinto (dicevano disegnato) il circo che gli era “venuto in mente”, ambientato comunque in un paesaggio invernale. 40 Sotto: Stefano e Lucia, Panico Prima elementare 2006/2007 Sopra: Martin e Marian, Panico Prima elementare 2006/2007 41 A lato sono riportate le immagini di Leonardo-Armando, Samanta-Denisa, Diego-Ilaria, Zoe-Andrea. Sono disposte nella sequenza temporale della favola. Ogni coppia ha dipinto spontaneamente una scena che per ognuna simbolizza la storia del gatto, in un dato momento. Naturalmente ogni coppia ha realizzato un proprio momento, ritenuto significativo: il paesaggio invernale con la neve e il sole, la casa con il cartello sulla porta “vietato entrare” con sullo sfondo le montagne innevate, l’ambiente interno della casa con la scatola dei biscotti e le ragnatele (osservate nell’opuscolo), infine un altro paesaggio con i fiocchi di neve, ma questa volta è quello visto mentre il gatto va via. Non deve sfuggire la ricerca in tutti i lavori di un equibrio estetico, dei rapporti cromatici, delle superfici e delle linee, dove la pittura è piatta ed esclude la profondità. Qui sotto abbiamo invece il lavoro di due bimbi che hanno scartato le immagini della favola ed hanno preferito dipingere, in modo forse più realistico, “dei furgoni e dei trattori che vanno sull’asfalto nero delle strade”, così loro hanno detto. Notiamo che i rumori delle macchine fanno: trattore, tan-tom, ron-rey. Il colore acquerellato dato in trasparenza sullo sfondo crea una profondità atmosferica e un movimento d’aria intorno alle macchine che sembrano muoversi traballando sulla strada. 42 Sopra e sotto: Classe Prima elementare di Panico - 2006/2007 43 Maddalena e Thomas che lavorano in coppia, la storia da dipingere se la inventano da soli. Sono invitati ad accordarsi prima d’incominciare. Imbastiscono il lavoro, lo sviluppano e lo realizzano con interventi successivi, per tentativi, con prove e sovrapposizioni, seguendo il corso di nuove idee e di nuove suggestioni. In questi casi in genere, se il lavoro non viene intenzionalmente distrutto, come a volte può accadere finendo in un pasticcio, si arriva ad un risultato finale risolto con un’immagine significativa sia dal punto di vista estetico che quello espressivo. Per vedere questo aspetto non dobbiamo aspettarci dalla rappresentazione per forza un significato realistico, perchè non è sempre questo l’obiettivo che il bambino si dà. Per capire meglio dovremmo lasciarci prendere dal gioco delle sensazioni prodotte dal contrasto delle macchie di colore, dall’invenzione delle loro forme, dal movimento delle linee e dal ritmo dei segni, così come li possiamo vedere nell’arte astratta di tipo informale. Nella pagina a lato vediamo la conclusionedel lavoro dei due bambini qui sopra e di altri tre dipinti, prodotti dai compagni di classe. 44 Sotto: Classe Prima elementare di Pian di Venola - 2006/2007 45 In altri casi le idee sono chiare fin dall’inizio ed il lavoro viene condotto fino al risultato finale con gli elementi già previsti in partenza. Anche qui i bambini lavorano in coppia e sono invitati ad ispirarsi ad una storia letta dalla maestra. Sono gli stessi bambini delle pagine precedenti ma sono più grandi di due anni. La prima coppia decide di dipingere una scena di calcio, anche se non c’entra con la storia raccontata, mentre la seconda illustra in maniera decisa e forse anche un po’ ironica una scena del racconto. 46 47 Classe Terza elementare di Pian di Venola - 2008/2009 Classe Prima elementare Pian di Venola - 2007/2008 48 Lavorare in gruppo consente di avere a disposizione molte energie per realizzare l’opera, utili per riempire un foglio di grandi dimensioni. Bisogna riuscire però ad accordarsi e magari dividersi i compiti. Qui i bambini si sono ispirati ad “Una sera” di Gianni Rodari. Il racconto è surreale e le parole descrivono immagini legate tra loro solo da associazione d’idee. Nei dipinti dei due gruppi, che vediamo sotto e nella pagina a fianco, vengono rappresentate alcune immagini prese della storia raccontata e mescolate insieme a quelle della propria fantasia. 49 In ospedale i bambini che dipingono in gruppo in genere non riescono ad accordarsi tra loro perchè vanno e vengono per le cure in tempi differenti. Ciò non consente il raggiungimento dell’unità dell’opera, ma non sempre, dipende. Nei due lavori che vediamo, qui nella fase iniziale e poi conclusi come riportati nella pagina accanto, osserviamo un’affinità tra gli elementi rappresentati. Nel primo lavoro si nota un adattamento reciproco dello “stile” delle forme rappresentate e nel riempimento degli spazi, nonostante i bambini siano stati presenti contemporaneamente solo per qualche tempo. Nel secondo le due bambine si accordano tra loro comunicandosi le intenzioni e le idee. Non riescono poi a completare l’opera perché dipingere è bello ma stanca, specie se si vuole riempire con un’alta densità di colore e di sfumature il foglio molto grande. 50 51 Aneto-Caterina-Ester-Igli, 4-8 anni, Veronica-Giorgia, 8-10 anni, Ageop 2009 Per Atnant forse occorre fare un discorso a parte. Fin qui, nelle pagine precedenti, abbiamo visto opere prodotte da molti bambini con un’età compresa tra i tre e i dodici anni, mediamente nelletà dove si frequenta la scuola materna e quella primaria. Dopo questa stagione succede spesso che il ragazzo abbandoni l’attività grafico-pittorica perché purtroppo non ne trova più spontaneamente un interesse e dall’esterno gli stimoli che gli giungono sono insufficienti, inadeguati o limitanti. Nonostante ciò alcuni ragazzi mantengono una forte potenzialità espressiva e quando ne hanno l’occasione l’adoperano. Atnant è uno di questi. Non sappiamo come coltivi questa sua arte, o se lo faccia o no periodicamente a casa sua. Le opere che qui vediamo sono state prodotte nelle volte che lo abbiamo incontrato (poche) al day hospital, in questi tre anni. La sua produzione è una specie di coazione a ripetere l’immagine del mare e della spiaggia. E’ una gioia visionaria del paesaggio. 52 53 Atnant, 18 anni, Ageop 2009 Lahe, una bambina di otto anni e mezzo, è venuta varie volte nel laboratoriosala giochi del day hospital. Anche lei, come Atnan, dipinge insistendo sempre sullo stesso tema. Il suo è quello della primavera e dei fiori. Le figure introdotte sono: i fiori disposti in una fila, il sole, una nuvola, la striscia ampia azzurra del cielo e la base verde della terra. Qui si sono aggiunte una farfalla ed una casa. Tutto è talmente semplice che può sembrare perfino banale, ma guardando i colori puri e l’equilibrio delle forme, dipinte in modo pulito, ci troviamo a riflettere e a farci trascinare incantati nella sua dimensione. 54 Lahe, 9 anni, Ageop 2009 55 La dimensione è mitica: il cielo con nuvole azzurre su cui galleggia un castello e sopra il sole vola un angelo. E’ il mondo, lei scrive, ma lo è nel suo nascere e l’angelo si trasforma in una figura femminile: una bimba con un vestito leggero e le scarpette morbide. Come nel lavoro di Lahe anche questo di Camilla è semplice e cristallino, e ci trascina in una zona lirica. All’inizio Chiara, la sorella piccola, non voleva dipingere, ma la grande con l’esempio la convince. Chiara ha i piedi più in terra: dipinge il giardino della sua casa, con uno stile molto simile. 56 57 Camilla e Chiara. 8-10 anni, Ageop 2009 Quest’anno nella stazione di Panico c’è il murale dipinto dai bambini. Chi parte ed arriva in questa stazione lo potrà vedere. Insieme alle maestre ed ai genitori lo hanno voluto fare in omaggio ad Ageop, per dare rilievo e forza al gemellaggio di questi tre anni insieme. E’ stata un’impresa ottenere i permessi per riuscire a realizzarlo e la grande misura, dieci metri quadri di superfice pittorica, ha impegnato i bambini in una fatica ciclopica, portata avanti con grande determinazione. Non era scontato riuscirci e portarla a buon fine perchè nell’esecuzione dell’opera s’intrecciavano i pennelli nelle mani dei bambini appartenenti a due classi diverse: la seconda e la terza di Panico. Lavorare tutti insieme non è stato semplice, ma il risultato è convincente. 58 La storia da rappresentare l’hanno scelta i bambini: Hansel e Gretel. Avevano visto la favola a teatro qualche tempo prima e poi l’hanno raccontata in classe. Si sono allenati a lavorare contemporaneamente in gruppi sempre più grandi, mettendosi insieme nelle due classi, fino a dipingere su superfici grandi quasi come quella del muro. I materiali usati sono quelli naturali, le terre, la creta ed il carbone: quelli che usavano gli uomini primitivi nelle grotte. Nonostante le prove eseguite prima, il lavoro finale è frutto di un’improvvisazione creata dai bambini nel giorno del murale. Per riuscire così bene non poteva essere altrimenti. 59 A.G.E.O.P. RICERCA RINGRAZIA Il Dipartimento Educativo MAMbo, Museo d’Arte Moderna di Bologna, e in particolare Silvia Spadoni e Veronica Ceruti per la grande disponibilità, sensibilità e generosa partecipazione. Gli amici Annamaria e Paolo Zanchetta per Antonietta Fantuz, Michela, Chiara e Riccardo Mannina, la famiglia Colagiovanni per Giulia. Gli alunni e le maestre delle scuole di Panico e Pian di Venola. La Società Cooperativa CO.TA.BO. Progetto grafico e realizzazione: Argento e China - Stampa: Tipografia Negri A.G.E.O.P. RICERCA ONLUS Via Massarenti 11 - 40138 Bologna - Tel. 051/399621 - Fax 051/309650 - C.F. 91025270371 - [email protected] Azienda Ospedaliero Universitaria - Policlinico S.Orsola Malpighi - Oncologia ed Ematologia Pediatrica “Lalla Seràgnoli” Associazione iscritta nel Registro Regionale di Volontariato della Regione Emilia Romagna con Decreto n° 115 del 20/02/1995 www.ageop.org