IL BIANCO IL NERO e L’AZZURRO
Il gioco e la cura in Oncologia Pediatrica
IL BIANCO IL NERO E L’AZZURRO
Il gioco e la cura in Oncologia Pediatrica
Indice
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Ritrovare il cammino della normalità
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La forza delle emozioni
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Il Dipartimento educativo MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna
7
MAMbo con A.G.E.O.P.
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L’amicizia tra i bambini
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Sviluppo del concetto di amicizia
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L’amicizia vista dai bambini
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Il bambino e l’ospedale
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Dentro e fuori l’ospedale...aspetti psicologici
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Il laboratorio di pittura, terzo anno
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Gemellaggio con le scuole
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Il Backstage della mostra
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Ringraziamenti
RITROVARE IL CAMMINO DELLA NORMALITÀ
Antonella Silletti - Presidente A.G.E.O.P. RICERCA ONLUS
A.G.E.O.P. RICERCA ONLUS (Associazione Genitori Ematologia Oncologia Pediatrica – Ricerca sui tumori
e leucemie del bambino) è dal 1982 impegnata nella lotta contro i tumori e le leucemie nell’infanzia.
L’Associazione ha sede presso l’Unità Operativa Pediatria, Ematologia ed Oncologia Pediatrica “Lalla Seràgnoli”, presso
il Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna.
A.G.E.O.P. RICERCA ONLUS affianca ed integra la propria attività a quella dell’équipe ospedaliera, garantendo con
tempestività il supporto ai bimbi e alle loro famiglie, alla ricerca e a settori d’intervento particolarmente qualificati:
il finanziamento del progetto e di parte dei lavori per la costruzione del 5° piano della Pediatria dell’Ospedale Gozzadini
e la ristrutturazione del 4° piano, inaugurati nel 2007, è stato l’ultimo grande e ambizioso progetto realizzato.
AGEOP CREDE NEI SOGNI: HA CREDUTO NEL SOGNO DI UN REPARTO MODERNO, EFFICIENTE
E ALL’AVANGUARDIA; CREDE NEI PROGETTI CHE REALIZZANO I SOGNI DEI NOSTRI BAMBINI;
S’IMPEGNA NELLA RICERCA PER SOSTENERE LA SPERANZA DI NUOVE CURE MEDICHE.
AGEOP è anche tenacemente convinta che solo attraverso la piena realizzazione di un’autentica alleanza terapeutica
si possa combattere la difficile guerra contro la malattia che travolge non solo il bambino, tutto il suo mondo interiore
e la sua emotività, ma anche tutta la sua realtà e i suoi affetti.
Sostenere il progetto del laboratorio di pittura ha significato impegnarsi nella “cura” globale del bambino malato che
comprende anche i suoi bisogni espressivi e relazionali. AGEOP, infatti, ritiene che i piccoli pazienti debbano avere
la possibilità di ritrovare un cammino di normalità e serenità durante e dopo il percorso della malattia e per questo
continuerà ad impegnarsi.
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LA FORZA DELLE EMOZIONI
Francesca Testoni - Responsabile Assistenza A.G.E.O.P. RICERCA ONLUS
« L’arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro. »
(Vasilij Kandinskij - Punto, linea, superficie)
“Vuoi fare un disegno?” “NO!” risponde perentoriamente il bambino imbronciato e buca ripetutamente il foglio con la
punta della matita che impugna come un pugnale. Quel bambino è stato per me un esempio rivelatore, semplice e reale
di come “l’espressione artistica” sia sempre strettamente connessa alla capacità di trasmettere le emozioni.
Per questo, per noi, tutte le “espressioni artistiche” dei nostri bambini sono preziose e importanti senza necessariamente
voler dar loro un’interpretazione, una chiave di lettura tecnica o analitica. Questo è lo spirito con cui da alcuni anni
collaboriamo entusiasticamente al progetto del laboratorio di pittura con il maestro Pierantozzi. Il laboratorio offre
ai bambini momenti sereni, creativi e ricreativi, opportunità di relazioni e di confronto; crea un collegamento con altri
bambini. Nei loro dipinti, raccolti in questo percorso espressivo, si coglie la forza delle loro emozioni, i colori suscitano
sensazioni forti che vanno ben di là dalla “qualità artistica” delle opere.
QUANDO LI OSSERVO MI VIENE IN MENTE KANDINSKY PER IL QUALE IL COLORE RAGGIUNGE
L’ANIMA; IL COLORE HA UN ODORE, UN SAPORE, UN SUONO, RISVEGLIA IN NOI LE EMOZIONI,
PER IL SUO “SUONO INTERIORE”. Kandinsky utilizzava una metafora musicale per spiegare quest’effetto:
il colore è il tasto, l’occhio è il martelletto, l’anima è un pianoforte con molte corde. Questi dipinti toccano molte corde,
a volte semplici e immediate come la voglia di stare insieme con la mamma, il papà e i fratelli, come il profumo della
casa, la nostalgia, gli amici, il bisogno del contatto con la natura, altre più profonde e toccanti come la paura e il dolore.
Credo che, senza retorica, tutti possano trovare motivi di riflessione in questa piccola mostra che ci ricorda anche quali
siano le cose realmente importanti, spesso dimenticate o date per scontate, sia per i bambini che per noi adulti. 4
Ogni giorno in clinica lottiamo per la vita, perché la serenità e la creatività dei nostri bambini non siano sacrificate,
perché la loro gioia di vivere possa propagarsi e contagiare tutti noi. Mi commuovo ogni volta che, passando per il
corridoio del DayHospital, vedo i bambini intenti a dipingere nella saletta.
Il loro entusiasmo, l’impegno con cui mescolano i colori, tracciano pennellate sui fogli mi rende felice.
Percepisco come la serenità che questi laboratori di pittura infondono ai bambini, ai
genitori, sia che partecipino sia che li osservino, si rifletta nei nostri collaboratori medici
ed infermieri, nei volontari, in chiunque si avvicini a noi. Il lavoro raccolto in questo percorso
contiene e trasmette le emozioni di questi momenti e la passione delle persone che le condividono.”
Prof. Andrea Pession
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IL DIPARTIMENTO EDUCATIVO MAMbo
MUSEO D’ARTE MODERNA DI BOLOGNA
Veronica Ceruti - Responsabile Dipartimento educativo MAMbo
“L’educazione è pericolosa perché alimenta il senso della possibilità”
Jerome Bruner
Dal 1997 l’Istituzione Galleria d’Arte Moderna di Bologna ha fondato un
Dipartimento educativo stabile che opera in tutte le sue sedi: MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna, Museo Morandi, Casa Morandi, Villa
delle Rose e Museo per la Memoria di Ustica, con l’obiettivo di avvicinare
il pubblico all’arte contemporanea.
Il patrimonio artistico di questi luoghi espositivi è vasto e differenziato.
L’attività espositiva del MAMbo, collezione permanente e mostre
temporanee, testimonia la vocazione del nuovo museo alla cultura visiva
contemporanea e alla sperimentazione, focalizzando l’attenzione sull’arte
del Novecento e dei nostri giorni.
Il Dipartimento educativo nasce con l’intento di condurre il pubblico
a familiarizzare con l’arte contemporanea nella convinzione che l’educazione
all’arte sia promotrice di una sensibilità capace di incentivare un nuovo
modo di guardare alla propria identità, alla propria storia e alla realtà esterna,
ponendosi come mediatore privilegiato fra l’opera e il visitatore.
LA PRODUZIONE ARTISTICA CONTEMPORANEA, INFATTI, INVITA A RIVOLGERE UNO SGUARDO
RINNOVATO SUL QUOTIDIANO, ATTIVANDO UN PROCESSO CHE È PIACERE ESTETICO,
APPRENDIMENTO COGNITIVO E INTERPRETAZIONE DEL REALE.
Il museo deve quindi essere uno spazio attivo, di educazione, confronto, riflessione e arricchimento, rivestendo
pienamente il ruolo di istituzione culturale e consentendo al visitatore di coltivare la propria memoria e identità
in rapporto con il proprio tempo.
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MAMbo CON AGEOP
Silvia Spadoni - Consulente Dipartimento educativo MAMbo
Il Dipartimento educativo del MAMbo nell’accogliere e sostenere questa mostra di pitture su carta di bambini e ragazzi
assistiti dall’A.G.E.O.P, annuncia l’inizio di una collaborazione che si augura possa essere proficua e duratura.
L’INCONTRO CON L’OPERA D’ARTE, NELLA SALUTE COME NELLA MALATTIA, PUÒ COSTITUIRE
UNO STRUMENTO POTENTE DI ALLONTANAMENTO DALLA CONTINGENZA PERSONALE E, NELLO
STESSO TEMPO, L’ASCOLTO E LA CONDIVISIONE DELLA CULTURA CONTEMPORANEA CONSENTE
DI RI-ACCORDARCI CON IL TEMPO PRESENTE. Ed è proprio questa doppia valenza della funzione estetica che
caratterizza lo stile educativo che abbiamo scelto; questa la nostra scommessa: dare ai bambini ammalati la possibilità di
partecipare e di alimentarsi, anche solo un poco, dell’energia dell’arte, della vitalità degli artisti, ed esperire così anche
il piacere che si origina dalla messa in moto dei processi creativi. Attraverso l’autentica passione per il nostro lavoro
vorremmo trasmettere anche a questi bambini la carica che deriva dall’esperienza estetica.
Seduti tra le opere di Gilberto Zorio, accesi dalle luminescenze stellari delle sue installazioni, rapiti dalle acrobazie di
una canoa che ballava sgangherata nella navata centrale del museo, bambini, ragazzi e genitori guardavano incantati;
età diverse, culture diverse, tutti loro e noi insieme a loro per un po’
abbiamo dimenticato e siamo stati capaci di sognare, di andare un
po’ più in là, come suggeriva Eugenio Montale, perché l’arte, quella
vera - diceva lui - porta sempre scritto più avanti, rivolgi lo sguardo
ancora più avanti.
Partendo dalla premessa che il processo creativo il più delle volte
prende origine dalla sofferenza, pensiamo che questi bambini e questi
ragazzi siano particolarmente accessibili al beneficio dell’esperienza
artistica. È forse una utopia, ma ci vogliamo credere.
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“L’inclinazione alla collaborazione e al soccorso reciproco [è] innata come
I.Eibl-Eibesfeldt, Liebe und Hass, 1970
L’AMICIZIA TRA BAMBINI
Dorella Scarponi - Medico psicologo clinico, psicoterapeuta
L’amicizia occupa, nella realtà e nella fantasia, una gran
parte della giornata dei bambini. Essa è spesso fonte
delle più grandi gioie e delle frustrazioni più profonde.
La natura delle amicizie infantili può non soltanto
influenzare la felicità o l’infelicità del bambino nel corso
dello sviluppo, ma può determinare gran parte del suo
futuro adattamento sociale alla vita adulta: le opportunità
offerte al bambino di costruirsi delle amicizie fin dai primi
anni di vita e l’atteggiamento degli adulti nei confronti
di tali amicizie sono variabili critiche nel determinare la
qualità di vita attuale e futura del bambino.
Al di fuori della famiglia, nella scuola, al parco, in strada,
il bambino incontra altri ragazzini che hanno la sua stessa
sovrabbondanza di energie e le stesse problematiche e con
cui ben presto incomincia a giocare e a stabilire legami
affettivi.
Generalmente le amicizie tra bambini, soprattutto in
età scolare, assolvono molte funzioni diverse. Gli amici
ci danno sicurezza, ci danno l’esatta misura delle nostre
capacità, sono dei compagni nelle attività che non
potremmo mai fare da soli, sono delle guide in luoghi
sconosciuti e, se sono persone più esperte di noi, ci
consentono di essere consapevoli dell’accrescersi della
nostra competenza ed esperienza.
Un criterio molto importante dell’amicizia, sia tra
bambini che tra gli adulti, è il condividere segreti, fatti
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e sentimenti “privati” che rimangono sconosciuti alle
altre persone: giacché gli amici sanno tante cose l’uno
dell’altro, e conoscono le paure, le debolezze, così come
i punti di forza dell’amico, questo legame può dare al
bambino una possibilità, “unica”, di entrare in rapporto
con l’altra persona, senza alcuna reticenza. Lo psichiatra
Sullivan H. S. ha suggerito inoltre che una funzione
chiave dell’amicizia tra bambini è quella di correggere
alcune particolari e potenzialmente dannose visioni della
vita sociale che i bambini potrebbero aver derivato dai loro
primi rapporti con i genitori: solo attraverso il rapporto
con i coetanei, sostiene Sullivan, un bambino viziato, un
piccolo tiranno o uno privo di personalità, potranno essere
salvati dal disadattamento sociale nella vita adulta, poiché
“se tutti questi bambini non cambiassero radicalmente in
età giovanile, sarebbero, una volta cresciuti, componenti
inaccettabili in un qualsiasi gruppo”. La psicologia sociale
infatti ci insegna che ogni individuo ha bisogno di
confrontarsi con gli altri per almeno due ordini di ragioni:
a) orientare le proprie idee e il proprio comportamento
in base alla congruenza con le idee e il comportamento
degli altri (e specialmente quelli per lui significativi),
rinsaldando così la sua stessa identità; b) regolare i propri
scambi interpersonali in modo da non risultare sempre
perdente. Questo bisogno di equità può contribuire alla
preferenza per amici a noi simili: la somiglianza facilità
scambi equilibrati.
molte delle modalità comportamentali concrete del contatto amichevole”.
Solo con gli amici il bambino ha la preziosa occasione
di intrecciare rapporti basati sulla cooperazione tra pari:
la capacità di cooperare nasce dalla capacità di trovare un
accordo con gli altri in una situazione in cui nessuno ha la
possibilità di imporsi, per così dire, dall’alto. In tal modo
interagire con altri bambini diviene una palestra evolutiva
diversa e indipendente da quella offerta dalle relazioni
con gli adulti, e da queste non sostituibile, sia sul piano
cognitivo individuale, che sul piano degli scambi sociali.
Con i coetanei il bambino può vivere dinamiche affettive
analoghe a quelle che vive in famiglia e ristrutturare la
stessa gerarchia di ruoli, oppure può, come avviene spesso,
assumere ruoli differenti da quelli che è solito vivere dentro
casa e avere rapporti affettivi fondati su basi diverse da
quelle su cui si fondano gli affetti familiari.
Per esempio, un bambino che non goda di attenzioni da
parte di genitori negligenti o indaffarati, può trovare in un
coetaneo quella solidarietà, quella comunanza di interessi
e di iniziative che rendono più attraenti le giornate
e danno significato al proprio comportamento.
Le “abilità sociali” si riferiscono ad un’ampia serie di
tecniche per stabilire e condurre rapporti sociali ed amicizie.
Queste regole comportano la capacità di comunicare
immaginare se stessi nel ruolo dell’interlocutore. I genitori
spesso rendono la comunicazione troppo facile per i propri
figli. Essi interpretano i desideri del bambino sulla base
di espressioni incomplete, e si affrettano a soddisfarne gli
impliciti desideri, senza chiedergli di esporre chiaramente
I BAMBINI NON POSSEGGONO
CAPACITÀ PSICHICHE COSÌ ELABORATE E NON
CONCEDONO AI LORO COETANEI IL “LUSSO” DI
ESSERE OSCURI.
ciò che desidera.
I rapporti con i compagni possono pertanto fornire un
contributo insostituibile all’apprendimento di molte
abilità sociali, come ad esempio le tecniche per coinvolgere
gli altri nell’interazione, il tatto e la capacità di affrontare
le situazioni di conflittualità.
Mentre i bambini possono imparare dal loro rapporto
con i genitori come affermarsi in una specie di gerarchia
sociale - quale è quella della famiglia - è dai loro rapporti
con i coetanei che possono meglio imparare a cavarsela tra
i loro simili in un’ampia serie di situazioni sociali.
Le abilità necessarie per stabilire e mantenere delle amicizie
comprendono la capacità di farsi accettare in attività di
gruppo, di essere attento, condiscendente e solidale con i
compagni (ossia in grado di essere un “amico”), di sapere
cosa fare in caso di lite, di essere sensibile ed agire con
tatto. Per conservare delle amicizie, malgrado i disaccordi
che nascono inevitabilmente, i bambini devono imparare
ad esprimere chiaramente i propri diritti ed i propri
sentimenti, rimanendo allo stesso tempo sensibili verso
quelli degli altri e capaci di agire in modo da proteggerli.
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GRU
I rapporti con i coetanei creano anche un contesto in cui
i bambini possono significativamente confrontarsi con gli
altri. Negli incontri tra bambini si odono frequentemente
affermazioni, domande e sfide che possono far credere,
ad una prima osservazione, che il mondo dei bambini
sia molto competitivo. Ad un successivo esame,
tuttavia, tali incontri possono essere visti non tanto
come un’espressione di rivalità, quanto come il riflesso
dell’universale bisogno umano di valutarsi attraverso il
confronto con gli altri. GIÀ NELLA PRIMA INFANZIA,
I BAMBINI PROVANO UN FORTE BISOGNO
DI APPARTENERE AD UN GRUPPO, BISOGNO
CHE PUÒ ESSERE SODDISFATTO SOLO
ATTRAVERSO L’AMICIZIA CON DEI COETANEI.
Gli atti di esclusività sono uno dei modi di manifestare
questo bisogno. Tale esclusività, che è estremamente
comune nei gruppi di bambini, spesso può essere
spiegata come un modo per sottolineare e confermare
l’appartenenza al gruppo. Acquisire le abilità che servono
nell’amicizia può essere un compito difficile per il bambino
che non abbia vissuto molte esperienze precedenti di
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interazione con altri bambini della sua età, in assenza di
un controllo diretto da parte degli adulti. Attraverso prove
ed errori, infatti, egli scoprirà quali strategie funzionano
e quali no, e in seguito rifletterà coscientemente
su quello che ha appreso; i consigli, se dati da compagni
che si rispettano, sono spesso più efficaci di interventi
simili degli insegnanti e dei genitori. Ci sono anche casi,
tuttavia, in cui i bambini hanno bisogno dell’aiuto degli
adulti per impadronirsi di particolari abilità che l’amicizia
comporta, per esempio quando un bambino desidera
fare amicizia ma non sa come fare. L’adulto potrebbe far
avvicinare un bambino senza amici ad un altro bambino
- anche lui, ad esempio, senza amici - con cui crede che il
bambino possa comunicare amichevolmente.
Almeno in certi casi, un tale intervento può contribuire
a dare a due bambini solitari una prima importante
esperienza di accettazione sociale. Il terreno più adatto per
lo sviluppo di tali abilità è spesso la scuola, considerato
l’elevato numero di ore che il bambino trascorre in tale
contesto; l’accesso all’istituzione, anche per il carattere di
ufficialità e di promozione che l’avvenimento riveste, resta
uno dei fatti più importanti della sua vita sociale.
UP
SVILUPPO DEL CONCETTO DI AMICIZIA
Come mette in evidenza Piaget, “il pensiero, resta
sempre indietro rispetto all’azione e bisogna che
la cooperazione sia praticata per un tempo molto
lungo prima che possa venire portata pienamente
alla luce da una riflessione cosciente”.
Secondo Selman, da un iniziale egocentrismo (3-7
anni), il bambino passa (tra i 4 e i 9 anni) ad una prima
differenziazione tra il proprio punto di vista e quello
altrui: a queste fasi corrispondono concezioni dell’amicizia
dapprima come compagnia e condivisione occasionale di
giochi e poi come preferenza personale, dettata però da
motivi sostanzialmente egoistici. Tra i 6 e i 12 anni si fa
strada la capacità di mettersi nei panni degli altri, e inizia
ad essere colto il bisogno di reciprocità e aggiustamento
vicendevole tra amici (ognuno deve adattarsi ai bisogni
dell’altro). Il carattere durevole dei rapporti d’amicizia e le
loro valenze affettive possono invece essere colti, secondo
Selman, solo quando i partecipanti sviluppano strategie
per la soluzione dei conflitti e sono in grado di garantirsi
mutuo supporto ed intimità; questo avviene tra i 9
e i 15 anni, in concomitanza con la capacità di coordinare
simultaneamente il punto di vista del partner e il proprio,
assumendo anche una prospettiva esterna alla diade,
per così dire “sopra le parti”.
Lo sviluppo ulteriore, dai 12 anni all’età adulta, riguarda
l’assunzione di una prospettiva societaria e, nell’amicizia,
corrisponde alla capacità di coordinare sentimenti di
autonomia e di dipendenza. Selman così descrive la
progressione stadiale (a “scala”), compiuta dal bambino
nella sua consapevolezza dell’amicizia. I bambini si
arrampicano sulla scala, fermandosi a riposare un attimo
ad ogni gradino, presumibilmente in parte per consolidare
il nuovo livello di consapevolezza interpersonale che
hanno raggiunto prima di andare avanti. Altri ricercatori,
pur concordando in linea di massima con la tesi della
progressione, dubitano però che gli stadi siano così
distinti come suggerisce lo schema di Selman; piuttosto
ritengono che vi sia un cambiamento cumulativo, in cui
la caratterizzazione dell’amicizia si arricchisce di nuovi
aspetti che si aggiungono a quelli precedenti.
LA PROGRESSIONE COMPORTA UN MOVIMENTO
COSTANTE LUNGO TRE DIMENSIONI DELLA
COMPRENSIONE SOCIALE.
In primo luogo, c’è un aumento della capacità del
bambino di assumere il punto di vista di un’altra
persona, paragonabile all’ampliamento della capacità
di decentramento percettivo che avviene nella prima
infanzia. All’inizio, infatti, i bambini vedono l’amicizia
in modo unilaterale ed egocentrico, unicamente in base
a ciò che un amico può fare per loro. Soltanto negli stadi
successivi i bambini sono in grado di mettersi da parte,
metaforicamente, e di assumere il punto di vista dell’altra
persona, e in seguito anche il punto di vista di una
terza persona sul loro rapporto, con un apprezzamento
dei bisogni e degli interessi condivisi. Così l’accresciuta
abilità di assumere il punto di vista di un’altra persona
può essere considerata come una marca distintiva della
maturazione sia sociale sia cognitiva. In secondo luogo,
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c’è un cambiamento dal vedere le persone soltanto come
entità fisiche al considerarle come entità psicologiche.
In terzo luogo il concetto di amicizia del bambino riflette
un cambiamento nel modo di vedere i rapporti sociali:
da rapporto momentaneo a sistema sociale che dura per
un certo periodo di tempo. Nei termini della distinzione
formulata da Erwing Goffmann, per i bambini piccoli
la relazione con gli altri è semplicemente un incontro,
mentre per quelli più grandi diventa un rapporto.
Questi stadi di sviluppo hanno in comune un tema di
fondo: vi è un cambiamento d’interesse dal concreto
all’astratto, da caratteristiche del comportamento delle
persone che sono osservabili, a caratteristiche nascoste
e implicite. Tali progressi nella comprensione sociale
sono resi possibili in parte dai progressi paralleli (dal
ragionamento concreto a quello astratto) che si verificano
nello sviluppo intellettuale del bambino.
Ma non possiamo attribuire al solo sviluppo intellettuale
lo specifico contenuto delle concezioni dell’amicizia
che hanno i bambini. Una possibile spiegazione è che si
tratti principalmente di una questione di apprendimento
culturale, a partire dai modelli e dalle formule offerte dagli
adulti, dai bambini più grandi e dai mass media. Da questo
punto di vista, le successive concezioni dell’amicizia che
i bambini manifestano sono una serie di approssimazioni
sempre più vicine al concetto di amicizia proprio di
una particolare cultura. Tuttavia, la maggior parte degli
psicologi dell’età evolutiva ritengono che il principale
artefice della comprensione sociale non è la cultura del
bambino, ma il bambino stesso. Secondo questo punto
di vista “costruttivista” condiviso sia da Piaget che da
Sullivan, i bambini arrivano da soli a comprendere in
cosa consistano i rapporti sociali essenzialmente sulla base
di reali incontri con gli altri. Attraverso i loro rapporti
con i coetanei, i bambini scoprono che gli altri bambini
sono simili a loro sotto alcuni aspetti e differenti sotto
altri. E non appena tentano di cooperare l’uno con
l’altro, scoprono che la coordinazione dei comportamenti
richiede un apprezzamento delle capacità, desideri e valori
dell’altro.
L’AMICIZIA VISTA DAI BAMBINI
Quando sono i bambini stessi a esporre le proprie idee ed
esperienze in un’intervista o in un tema, essere amici vuol
dire soprattutto giocare, divertirsi e fare delle cose insieme,
tanto all’asilo [Furman e Bierman 1983], quanto nell’età
della scuola elementare [Bigelow e LaGaipa 1975; 1980;
Selman 1980; Youniss 1980]; i più piccoli si soffermano
anche nel descrivere le caratteristiche fisiche dell’amico,
mentre i più grandi - dai 9 anni circa in poi - arricchiscono
le loro rappresentazioni dell’amicizia di motivi interiori,
come l’ammirazione, l’accettazione e la lealtà reciproca.
D’altra parte, Furman e Bierman [1983] hanno trovato
che già a 4-5 anni i bambini danno importanza alla
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dimensione affettiva dell’amicizia. I bambini nominano
abbastanza spesso anche l’aiuto, le risorse, in una parola
i vantaggi che si possono ricevere dall’amico assumendo
una prospettiva “utilitaristica” che, secondo alcuni studi,
persiste o addirittura si accentua nell’età matura [Wright
1969; Reisman e Shorr 1978]; non da tutte le indagini
sopra citate si rileva invece un corrispondente presentarsi
del bambino anche nel ruolo di chi dà. Nel considerare
questi dati, bisogna tuttavia ricordare che il bambino non
parla necessariamente in modo esauriente di tutto ciò
che fa e sa, trascurando ciò che gli appare meno saliente,
o tacendo di proposito ciò che gli pare inopportuno:
da qui la necessità di ricorrere anche ad altre metodologie
di raccolta dei dati. Una procedura introdotta di recente
negli studi sull’amicizia consiste nella registrazione delle
conversazioni tra bambini in contesti naturali. Corsaro
[1985], Gottman e Parker [1986], Rizzo [1989], Werebe
e Baudonnière [1988] sono alcuni tra gli studiosi che si
sono occupati dell’amicizia in questa prospettiva.
L’ASSUNTO DI BASE IN QUESTI LAVORI È
CHE GLI SCAMBI VERBALI TRA BAMBINI
SIANO INDICATORI IMPORTANTI DELLE
CARATTERISTICHE DELLA RELAZIONE, e che la
loro rilevazione presenti un duplice pregio: da un lato
evitano un’interferenza dello studioso (come si verifica
nelle interviste, quando il bambino parla sì dell’amicizia,
ma “filtrando” il contenuto del suo pensiero); dall’altro
non si limitano al comportamento non verbale, come
avviene negli studi osservativi sui piccolissimi, e danno
quindi accesso, anche se in forma induttiva, al vissuto
del bambino circa le relazioni di amicizia e non solo agli
atti esteriori. Parker e Gottman [1989], sintetizzando
i risultati delle loro ricerche - fra le più ampie del genere indicano tre fasi evolutive dell’amicizia infantile, durante
le quali cambiano sia gli argomenti delle conversazioni
che i processi relazionali implicati.
In una prima fase (3-7 anni circa), temi dominanti sono la
ricerca di divertimento e l’espressione della soddisfazione
per le attività condivise; dal punto di vista dei processi
coinvolti, i bambini devono riuscire a realizzare le loro
proposte di gioco, saper concludere o rinunciare ad
un’attività in buona armonia con il partner e risolvere le
controversie quando sorgono. Tra gli 8 e i 12 anni circa
compare la preoccupazione di essere esclusi dal gruppo dei
pari e di “perdere la faccia”; le interazioni conversazionali
sono costituite spesso da pettegolezzi, nel cui contesto
gli amici si scambiano informazioni, parlano si sé, si
confrontano, fanno dello spirito. I bambini verso i 12 anni
considerano le amicizie più strette come implicanti una
“condivisione intima e reciproca”, ossia un rapporto che
richiede un certo periodo di tempo per formarsi e che va
al di là del singolo incontro; infatti, sebbene riconoscano
che le persone possono a volte andare immediatamente
d’accordo, questi bambini credono che sia meglio
instaurare un rapporto d’amicizia in modo graduale, per
poter scoprire il carattere, gli interessi ed i valori dell’altra
persona. Intorno ai 13 anni, inizia una terza fase che va
fino ai 17-18, in cui balzano in primo piano il bisogno di
introspezione e di ridefinizione di sé; il processo sociale
saliente diviene ora la gestione di situazioni caratterizzate
da intimità e auto-rivelazione, alla comune ricerca di una
soluzione per i problemi personali che i ragazzi e le ragazze
incontrano in questa età.
IN CIASCUNA FASE, L’INTERAZIONE CON
GLI AMICI CONSENTE DI RICONOSCERE
LE PROPRIE ESPERIENZE EMOTIVE, E LE
PROBABILI REAZIONI DEGLI ALTRI: così
nell’età prescolare l’amicizia è un’arena in cui si
apprende a coordinare le proprie emozioni con quelle
altrui, dominandole quanto basta a mantenere un
comportamento sociale appropriato; nella fanciullezza
s’inizia a comprendere le regole di esibizione delle emozioni,
anche se per il momento si tratta principalmente di saper
nascondere il proprio stato d’animo; tra gli adolescenti
queste regole si fanno più sottili e complesse, e non è più
necessario negare i sentimenti: anzi, proprio l’analisi delle
implicazioni emotive delle relazioni in cui sono coinvolti
forma una parte importante delle conversazioni tra amici
a questa età [Gottman e Parker 1986].
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IL BAMBINO IN OSPEDALE
“C’è una profondità che mette i brividi nei racconti dei bambini malati di tumore: bambini e bambine con una maturità
da grandi, che leggono il mondo e vivono il tempo in una dimensione diversa dai loro coetanei sani. Nel gioco della vita a
loro è toccata subito la battaglia più difficile, quella senza possibilità di fuga: per vincerla l’unica via possibile è quella di
capire chi è il nemico e perché”.
FavoleFavole, 2001
Il bambino con tumore si trova in una fase di crescita,
fisica, psicologica ed educativa. La malattia determina
un rallentamento di tale processo anche quando, nella
maggior parte dei casi, esso è seguito da un recupero
con piena normalizzazione e con accelerazione di alcuni
aspetti (sensibilità, maturazione). La difficoltà del
percorso di terapia e il sollievo di averlo portato a termine
con successo sono paragonabili all’aver scalato una cima.
Il cammino effettuato evidenzia, comunque, anche tra i
compagni di viaggio, l’esistenza di aspetti di distanza e
di solitudine. Grazie a questa consapevolezza i bambini
possono sviluppare capacità superiori ai coetanei nel
riflettere sui grandi temi della vita ed essere meno inclini
ad atteggiamenti di spensieratezza. I bambini con lunghi
e ripetuti ricoveri sono particolarmente “esposti”, dal
punto di vista psicologico: devono affrontare non solo
terapie dolorose, anche la separazione dagli amici e da
tutto ciò che costituisce la normalità. Il paziente, infatti,
è penalizzato nei suoi desideri di confronto con i coetanei,
per la ridotta frequenza della scuola di appartenenza,
degli amici, dei fratelli. In tutto il periodo di malattia
sarebbe auspicabile, quindi, per una buona qualità di
vita del bambino, mantenere i contatti con gli amici nel
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modo più praticabile (lettere, telefonate, visite), coltivare
ATTRAVERSO LE ATTIVITÀ
LUDICHE, RICREATIVE E CREATIVE IL BAMBINO
SUPERA PIÙ FACILMENTE INCOMUNICABILITÀ
E DIFFICOLTÀ NEI RAPPORTI DI GRUPPO,
gli interessi precedenti.
ha occasione di socializzare e di divertirsi con gli amici.
In questo modo si può limitare la valenza di rottura che
la malattia presenta e si favoriscono aspetti di continuità.
Frequentemente il disagio maggiormente provato dal
piccolo malato, rispetto ai cambiamenti di vita determinati
dalla patologia, riguarda la frequenza scolastica.
Nella vita normale del bambino la scuola riveste un
ruolo fondamentale sul piano dell’apprendimento e delle
relazioni sociali sia con gli adulti sia con i coetanei.
Nel periodo di trattamento la regolare frequenza scolastica
può essere più o meno compromessa. La scuola in
ospedale e le attività di continuità con essa consentono
la prosecuzione del percorso sociale del bambino durante
i periodi di ricovero: mantenendo i contatti con la scuola
di appartenenza si mantiene attivo il futuro reinserimento
del bambino nella propria classe, diminuendo i sentimenti
di perdita e di esclusione.
DENTRO E FUORI L’OSPEDALE…ASPETTI PSICOLOGICI
Se per il bambino normalmente la scuola rappresenta
una fase cruciale per lo sviluppo intellettivo e sociale,
ancor più per un bambino che vive l’esperienza di una
malattia in grado di mettere in pericolo di vita, la scuola
simbolizza la possibilità di un avvenire. Il maggiore
ostacolo psicologico, ciò che rende più riluttanti i bambini
e gli adolescenti con cancro a ripresentarsi a scuola,
risiede nelle modificazioni fisiche subite; soprattutto la
perdita dei capelli li preoccupa delle reazioni negative
dei compagni: così la maggior parte di essi nasconde la
calvizie indossando un cappellino o anche la parrucca.
Recenti studi hanno fornito verifiche dei possibili effetti
a lungo termine dell’amicizia tra bambini: un gruppo di
ricercatori ha scoperto che i rimproveri rivolti a bambini
di otto anni dai loro compagni di scuola potevano causare
difficoltà a livello psichiatrico dagli undici ai tredici anni.
Riguardo all’ambiente e ai compagni di scuola il ragazzo
malato deve abituarsi a non vergognarsi della sua malattia:
egli dovrà man mano convincersi che le malattie, come il
dolore, sono un’evenienza della vita, che con esse bisogna
convivere e che ognuno può essere prima o poi colpito da
eventi spiacevoli. E’ saggio consigliare un comportamento
intermedio tra una eccessiva divulgazione della condizione
morbosa, che potrebbe avvilire il paziente ed esporlo alla
commiserazione o al sadismo dei compagni, ed il totale
silenzio che potrebbe indurlo ad avere relazioni soltanto
con persone affette dalla sua stessa infermità o, peggio,
a chiudersi completamente in se stesso. Superati questi
primi momenti, una volta riaccettato dai compagni, egli
va a scuola volentieri, con tutto il desiderio di riprendere
i normali rapporti con il suo mondo di scolaro. Come
i suoi coetanei, il bambino con neoplasia ha bisogno
EGLI VUOLE
SENTIRSI “NORMALE” E UGUALE AGLI ALTRI.
di affetto, di aiuto e di comprensione.
Atteggiamenti di eccessiva condiscendenza o di sfiducia
nelle sue capacità o di eccessiva preoccupazione di
affaticarlo potrebbero risultare negativi. I bambini
costruiscono difese per proteggere se stessi dal dolore
e dalla paura, ma vogliono che gli sia detta la verità e si
aspettano onestà e lealtà nelle risposte alle domande sulla
malattia, sulle reazioni degli amici. Comunicare, discutere
con loro il più serenamente possibile della malattia e
dei suoi problemi può ridurre inoltre favorire il ritorno
a scuola e alla vita nel modo più normale possibile.
I COMPAGNI DI CLASSE
La malattia cronica pone il paziente-alunno in condizione
di diversità rispetto ai suoi coetanei sani. Le relazioni
tra coetanei sono una fonte di approvazione per tutti
i bambini. Nel contesto della malattia potenzialmente
mortale, l’amicizia fornisce al bambino un supporto
cruciale e ne rafforza l’autostima, che rappresenta un
fattore prezioso e delicato. Di frequente il bambino ha
due generi di amici: quelli del mondo “sano”: della scuola
e i vicini di casa, quelli della clinica, dell’ospedale.
Il bambino spesso è preoccupato dalle possibili reazioni dei
coetanei: IN
CHE MODO MI CONSIDERERANNO?
SARÒ ACCETTATO O SARÒ PRESO IN GIRO,
RIFIUTATO? CHI MI RIMARRÀ VICINO NEI
MOMENTI DIFFICILI? Il bambino teme che gli
“amici di prima” (un’espressione usata frequentemente)
lo allontanino perché’ hanno paura o, semplicemente,
15
non sanno come comportarsi. Con gli amici di scuola
non tutto si riesce a condividere, le parole non riescono
mai, fino in fondo, a descrivere un’esperienza di malattia
che resta sempre troppo personale. Forse i piccoli
pazienti non riescono a dire quanto per loro gli amici
siano significativi; ma non passa nemmeno un giorno,
in ospedale, senza che essi vengano richiamati alla loro
mente. Gli amici veri sono chiaramente distinti da quelli
la cui fedeltà vacilla o svanisce una volta che la malattia si è
manifestata. Molti bambini riferiscono di aver avuto amici
che sono sempre rimasti loro vicini, nonostante ci siano
stati problemi o fraintendimenti. In genere, le difficoltà
riguardano la sensazione di essere esclusi dalle attività
di gruppo o dalla condivisione di confidenze. I coetanei
che si avvicinano al bambino malato per la prime volta
durante il periodo che segue la diagnosi, sono spesso visti
con diffidenza: egli, infatti, sospetta che il loro interesse
sia suscitato dalla pietà o dalla curiosità. SOLO
CON IL
TEMPO IMPARA A RICONOSCERE QUALI SONO
LE MOTIVAZIONI PER CUI GLI ALTRI CERCANO
DI DIVENTARGLI AMICI. Alcuni bambini, quasi per
reazione controfobica, trasformano quello che potrebbe
essere lo stigma della malattia in un emblema di coraggio
e fascino, assegnando alla loro diversità non un valore di
vittima ma di eroe: molti bambini scelgono di fare una
ricerca o una presentazione della loro malattia e del loro
trattamento. Spiegando la propria esperienza, il bambino
cerca di stabilire con i suoi compagni una relazione basata
sulla franchezza.
“La situazione di malattia che prevede ricoveri, cure
invasive, limitazioni, produce nel bambino una grande
difficoltà a rappresentarsi e a porsi nel confronto
con gli altri, poiché il percorso di acquisizione di
identità personale è ostacolato da un’immagine debole
16
e diversa” [Catastini Paola 1998]. E’ in questo periodo
che i bambini iniziano a vivere la loro vita di relazione,
sollecitati da stimoli di vario tipo, dall’attività sportiva,
alle gite scolastiche, ai compleanni in pizzeria. Purtroppo,
il dover rinunciare ai contatti e alle esperienze con i
propri coetanei, producono nel bambino con patologie
gravi, serie implicazioni a livello psicologico.
I genitori, in questo contesto quindi, svolgono un ruolo
centrale nel facilitare lo sviluppo e il reinserimento
del bambino nelle relazioni con i compagni. Possono
collaborare attivamente con il bambino o rimanere
sullo sfondo, insieme agli altri genitori, agli insegnanti
e agli assistenti sociali della zona. Questo supporto
è particolarmente importante per il bambino che
è riluttante nell’affrontare il rischio di iniziare un
contatto sociale dopo la diagnosi. Quando i rapporti
con i compagni diventano difficili o dolorosi, i genitori
devono essere preparati a spingere il bambino a trovare
una soluzione, nonostante la loro tendenza a proteggerlo
o le reazioni di rabbia. Ripresentarsi ai compagni è forse
uno dei principali problemi del bambino con cancro
dopo l’iniziale ospedalizzazione, sia perché dubita delle
sue capacità di lavorare e competere con loro a causa
delle assenze fatte sia perché teme che essi possano avere
reazioni negative nei suoi confronti, per le modificazioni
fisiche provocate dalla malattia e dal trattamento,
guardandolo in modo diverso o canzonandolo. D’altra
parte, l’atteggiamento degli altri bambini della classe
può variare dalla ansietà alla paura quando essi vengono
a conoscenza della gravità della malattia che ha colpito
il loro compagno, fino a reazioni tendenti a isolarlo o a
prenderlo in giro per i suoi difetti fisici, più facilmente
quando sono all’oscuro dell’evento che gli è capitato.
Tali situazioni potrebbero forse essere attenuate se
i compagni di classe conoscessero la realtà attuale di
questa malattia, nelle sue possibilità di guarigione
e nella transitorietà di una parte delle alterazioni corporee
provocate dal trattamento.
E’ presumibile che il bambino malato voglia
semplicemente riprendere i normali rapporti con
i compagni di classe ed è probabile che, quando è assente
da scuola, egli desideri essere trattato come accadrebbe in
occasione di qualsiasi altra malattia, cioè di sentire affetto
e partecipazione, anche attraverso telefonate, lettere
o visite a casa o in ospedale (quando possibile).
L’AMICIZIA IN OSPEDALE.
LA MALATTIA E I COETANEI
Per mantenere un senso di continuità con la sua vita
normale, il bambino ha bisogno di comunicare con
altri bambini: ad esempio il gioco, essendo racconto di
sé stessi al mondo, stimola l’incontro e la condivisione
di esperienze simili ne bambini ospedalizzati; il gioco
mantiene vivi i loro interessi e lavora sulla loro parte sana.
I rapporti che si sviluppano in ospedale e in clinica sono di
tipo diverso. Queste forti amicizie, in cui la condivisione
dell’esperienza della malattia rende “compagni”, nascono
in assenza di altri amici e nonostante le differenze che
IL BAMBINO
SPESSO COMMENTA CHE GLI ALTRI
PAZIENTI SONO GLI UNICI A COMPRENDERE
VERAMENTE QUELLO CHE HA PROVATO.
altrimenti avrebbero separato i bambini.
Quando si sviluppa l’amicizia tra pazienti, essa però deve
tener conto anche della situazione contingente in cui si
viene a creare. La minaccia della perdita resta in disparte
ma sempre in agguato e, nella sua ombra, si evidenzia un
ampio spettro di modalità di attaccamento diverse: a un
estremo ci sono i bambini che, in circostanze precarie,
sono riluttanti al contatto con gli altri; all’altro quelli che
stabiliscono con gli altri pazienti relazioni intense e vigili.
La disponibilità del bambino alle relazioni con gli altri
pazienti va sempre rispettata, anche se gli estremi possono
essere indice di problemi. La riluttanza a ogni tipo di
contatto può nascondere una difficoltà nell’assimilare la
malattia all’interno della propria identità.
Questa reazione è, però, abbastanza normale in un
bambino in cui è stata da poco fatta la diagnosi e che
ancora non ha interiorizzato tutto ciò che è successo.
D’ALTRA PARTE, UN BAMBINO CHE HA UN
ECCESSIVO INVESTIMENTO SUGLI ALTRI
BAMBINI MALATI SI TROVA A VIVERE IN UN
MONDO IN CUI DOMINANO LA MALATTIA E LA
PERDITA. La maggioranza dei bambini, comunque,
riesce a trovare un compromesso tra il coinvolgimento
con gli altri pazienti e il mantenimento di un rapporto
con il mondo esterno dei sani, al quale spera di tornare
presto. L’impatto che la malattia ha sulla vita quotidiana
e il bambino - famiglia, scuola, gruppo dei pari - è
massiccio. All’interno di questi ambiti, il bambino ricerca
la via di un’esistenza “ordinaria” - una versione della
normalità rivista in base alle circostanze straordinarie
che sta sperimentando. Un’esperienza favorevole è data
dalla possibilità di incontro e di scambio fra i piccoli
ricoverati, tra cui si stabilisce un clima di solidarietà e di
amicizia utile a ridimensionare i sentimenti di solitudine
e di diversità. (“La solidarietà tra noi piccoli pazienti è
stata un seme da cui è nato in tanti casi un sentimento
di vera amicizia, il fatto di avere gli stessi problemi ha
aiutato la crescita di questo bel sentimento” N., 11 anni).
In ospedale ci si sente come sospesi: alcuni pazienti, ad
esempio, non vogliono stabilire relazioni o contatti
17
troppo impegnativi coi coetanei malati o col personale
perché il tempo dell’ospedale è catalogato come tempo
irreale, non è riconosciuto cioè come dotato di senso.
Sicuramente parte di questa resistenza si riferisce al rifiuto
nei confronti dell’intera esperienza di malattia e di cura,
così distante dai progetti personali che ogni bambino
coltiva e continua a tenere in mente. I bambini
ricoverati sono particolarmente deboli
dal punto di vista psicologico visto
che devono non solo affrontare
terapie dolorose, ma anche la
separazione dai coetanei e
da tutto ciò che costituisce
la normalità.
Il
piccolo
paziente
oncologico,
infatti,
è un bimbo che può
essere
penalizzato
nei suoi desideri di
confronto con i coetanei,
perché
le
precauzioni
suggerite
dall’abbassamento
dei valori ematologici in corso di
chemioterapia, spesso sconsigliano la
frequenza alla scuola di appartenenza ed anche
la vicinanza di altri bambini che non siano i fratelli, tra
le mura domestiche. Le terapie che modificano l’aspetto
fisico (ad esempio come i chemioterapici che fanno
perdere i capelli) devono essere discusse con il fanciullo
o ragazzo, armandosi di grande pazienza ed adottando
un atteggiamento empatico. Può essere infatti difficile
convincerlo ad assumere farmaci che possono peggiorare
il suo aspetto. La presenza di altri pazienti non sempre
18
mitiga la solitudine, anche perché l’amicizia tra pazienti
senza l’intervento del personale che la faciliti può non
verificarsi. Compatibilmente alle esigenze del reparto,
è preferibile consentire ai bambini che possono muoversi
GIOCANDO, INFATTI, I BAMBINI
DIMENTICANO LE LORO SOFFERENZE.
di stare insieme.
Per favorire la socializzazione all’interno
dell’ospedale sono molto utili gli
spazi ricreativi comuni ove i
bambini e i ragazzi – nelle
fasi meno acute del male o
in attesa di essere operati
o ricoverati – possono
incontrarsi e giocare. Se si
hanno questi accorgimenti
l’ospedalizzazione
viene
accettata più facilmente.
Grazie alla possibilità di
svolgere attività singole o di
gruppo, i piccoli pazienti non
soltanto allargano il campo delle
conoscenze, ma imparano anche
a vivere in gruppo, a controllare i propri
impulsi, le proprie tendenze egocentriche
e si abituano ad un lavoro mentale più complesso,
cioè ad assumere il ruolo dell’altro ed a prendere in
considerazione diverse soluzioni. Essi si rendono anche
conto delle differenze temperamentali che esistono tra le
persone, imparano ad apprezzarle e a tollerarle, sviluppano
simpatie e preferenze verso persone o attività.
I bambini che giocano in gruppo imparano a reagire
alle frustrazioni, a difendersi dalle aggressioni, a stabilire
alleanze.
IL LABORATORIO DI PITTURA, TERZO ANNO
Piergiovanni Pierantozzi, Pittore
IL PROGETTO
Il bambino quando dipinge vive in un mondo ricco
di sensazioni ed è felice di rimanerci se si trova in un
ambiente tranquillo, vicino a persone che lo accolgono
e lo approvano. Il progetto di pittura è nato in questa
prospettiva ed ha portato avanti nella sala giochi del
day hospital d’ematologia pediatrica del S.Orsola un
“laboratorio di pittura”, dove i bambini potevano
dipingere mentre attendevano o ritornavano dalla
cura prima di andare a casa, o anche in certi momenti
mentre assumevano la cura stessa. La cosa sorprendente
era che nonostante il disagio in cui si trovavano
e l’estemporaneità dell’iniziativa fatta in quel luogo, con
i materiali disposti sul pavimento o a scelta sui tavoli,
i bambini si applicavano con impegno e concentrazione.
MOLTI HANNO PARTECIPATO FIN DALL’INIZIO
ED IL COINVOLGIMENTO CRESCEVA CON
L’AFFERMARSI
DELLA
CONSUETUDINE
ALL’EVENTO. Tecnicamente agivano nel modo di cui
erano capaci, i volontari dell’AGEOP che li assistevano,
fornivano unicamente le indicazioni sull’uso dei materiali
con la proposta di provare ad ottenere da soli la gamma
dei colori combinando i colori primari. Poteva capitare
che con i bambini più grandi si dialogasse sull’immagine
prodotta, per esempio sullo spazio della rappresentazione
(figura-sfondo-contorno) e che i più piccoli li si aiutasse
nella tecnica, per controllare i materiali. Abbiamo sempre
cercato di proporci attraverso un rapporto “empatico”,
provando a metterci sulla lunghezza d’onda delle
intenzioni espressive del bambino e di rimandare i segnali
di comprensione, di condivisione, e se necessario facendo
anche proposte operative essenziali, date in tempo reale.
L’obiettivo erano quello di dare vita ad un momento di
gioco creativo ed espressivo che consentisse di ritrovare
anche in quell’ambiente un luogo amico, dove fosse
possibile poter fare qualcosa d’interessante e subito.
Confrontando l’attività di questi tre anni del laboratorio,
condotto con frequenza settimanale nei mesi invernali,
con le altre opportunità di svago disponibili, anche con
oggetti molto evoluti ed accattivanti quali i videogiochi
Nintendo ed altri giochi strutturati, abbiamo osservato
che i bambini erano attratti spontaneamente dalla
pittura. Naturalmente per i più timidi era a volte
necessario invogliarli a partecipare. Esiste anche un
aspetto educativo dell’attività, da ritenersi importante:
19
il fare pittura per il bambino vuole dire sperimentare,
risolvere problemi, trovare soluzioni e mettere in gioco
capacità operatorie, manuali e mentali. L’attività non
è quindi da considerarsi solo un come un passatempo
o una distrazione per riempire i momenti dell’attesa.
Di quest’aspetto e della funzione del gioco in generale,
si è parlato in modo specifico nel catalogo della mostra
“Il gioco e la cura” dove è esposto il significato
e l’importanza del gioco e del continuare a giocare, anche
durante la malattia (D.Scarponi).
Nel laboratorio non è possibile estendere il lavoro all’uso
più ampio di materiali e tecniche, i vincoli igienici
ed ambientali non lo consentono. Per ora abbiamo
sperimentato delle variazioni relative ai supporti e ai tipi
di colore e provato a leggere brevi favole: si è visto però
che raramente le immagini del racconto entravano nei
dipinti realizzati.
PER CONTRO SI È VISTO CHE CANTARE
QUALCHE CANZONCINA PER L’INFANZIA,
CREAVA INTERESSE E PARTECIPAZIONE TRA
I PRESENTI, COMPRESO I GENITORI.
A questo proposito abbiamo portato nel laboratorio il
regalo preparato dai bambini di una scuola gemellata
(Venola), erano degli strumenti musicali prodotti da loro
stessi con delle scatole e delle bottiglie decorate, e la loro
maestra di musica è venuta a mostrarci come usarli.
Il gemellaggio con alcune classi elementari è nato in
occasione delle due mostre allestite con le opere di pittura
prodotte al day hospital a cui hanno partecipato con
i loro lavori i bambini di alcune scuole del comprensorio
di Marzabotto. Oltre ai lavori messi in esposizione e la
visita alle mostre delle classi, una scuola di Panico ha
realizzato una grande pittura murale alla stazione di Lama
di Reno dedicata ai bambini di AGEOP ed in classe si
20
sono condivisi alcuni momenti di vissuto raccontati da
una bimba che anche lei si trova a dover seguire la cura in
ematologia pediatrica del S. Orsola.
Queste iniziatve con le scuole hanno contribuito
ad alimentare i canali di scambio e di comunicazione tra
il mondo dentro e fuori l’ospedale (vedi “Il bambino non
è solo un paziente”, presentazione alla mostra “Dentro il
colore” di S.Cappello).
LE OPERE
Quantitativamente la produzione di quest’anno e le
presenze dei bambini nel laboratorio è paragonabile
a quella dell’anno scorso, mentre l’età media dei
partecipanti è un po’ più alta: nel grafico sono riportate
le presenze nei tre anni, divise per fasce d’età.
Le colonne rosse indicano le presenze dell’anno scorso
mentre quelle gialle indicano quelle del primo anno.
Le blu sono le presenze dell’anno in corso.
Questo rilievo può esserci utile per capire come mai
nell’insieme dei lavori di quest’anno, seguendo la logica
della precedente proposta di catalogazione dei lavori,
ci siano un maggior numero di opere assimilabili alla
categoria della rappresentazione narrativa: il mondo,
il paesaggio, se stessi, la casa, i sentimenti, le cose.
L’ipotesi è che essendo venuti bambini più grandi, loro hanno
prodotto quello che in genere preferiscono fare a quella età,
tra i cinque e i nove anni: produrre immagini con forme
riconoscibili, piuttosto che forme “astratte”, e quest’anno
siamo di fronte ad un’ampia produzione delle prime.
Riguardando le produzioni alla fine del percorso c’è
sembrato interessante potere dare qualche indicazione
sulla genesi di alcune di queste immagini, andandola
a ritrovare, quando sia possibile ritrovarne le tracce
nella documentazione fotografica e nei diari di lavoro,
e di estendere poi la ricerca anche sulle produzioni delle
scuole gemellate.
Questa indagine ci è sembra inoltre utile, da un lato per
capire meglio i contenuti delle opere che come si è detto,
spesso sono frutto di sperimentazioni, di idee più o meno
momentanee, di successivi ripensamenti e di conseguenti
trasformazioni, e dall’altro per osservare l’influenza delle
suggestioni ambientali e o delle persone che gli erano
vicine.
Come si è detto i conduttori dei laboratori hanno
cercato d’avere un atteggiamento neutro, intervenendo
con suggerimenti tecnici-operativi e facendo attenzione
a non condizionare il lavoro che si cercava spontaneo
e “autoespressivo”, anche se poi non privo di indicazioni,
necessarie per favorire un modo di operare attivo, come
ad esempio la richiesta di combinare i colori da soli.
Vedremo poi in che modo le suggestioni esterne entrano
nelle immagini prodotte in alcune circostanze dai
bambini ed ancora come un’opera si sia trasformata,
in modo non facilmente individuabile a posteriori, con
l’intervento di un genitore particolarmente in sintonia
con il proprio figlio.
Cercheremo di fare dei paralleli tra la produzione
delle opere a scuola e in ospedale per individuarne la
particolarità di ognuna e in che modo cercare di capirle.
I lavori provenienti dalle scuole gemellate sono stati
prodotti nell’ambito del laboratorio grafico-pittorico
“Intensoblù” incentrato sulla creatività, sull’autonomia
e sulla capacita di operare in gruppo.
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GEMELLAGGIO CON LE SCUOLE
Dedicato ai bambini in ospedale e a scuola e a chi si dedica a loro.
Gli insegnanti
Noi insegnanti, della scuola elementare di Panico e di Pian di Venola, siamo entusiaste per l’esperienza di gemellaggio
vissuta dai nostri alunni in occasione della mostra di pittura organizzata dal lungo e affusolato Pierre, il nostro pittore
Piergiovanni Pierantozzi. Tale mostra è stata realizzata con la collaborazione di A.G.E.O.P. con il reparto di Oncologia
ed Ematologia Pediatrica “ Lalla Seragnoli” (Prof. A. Pession).
CIÒ CHE PIÙ EMOZIONA IN QUESTO PROGETTO È LO STUPORE DEI BAMBINI DI FRONTE ALLA
LORO OPERE. LA SORPRESA CHE MANIFESTANO NEL VEDERE I PROPRI LAVORI IN UNA MOSTRA
FA PERCEPIRE LA SEMPLICITÀ CON LA QUALE ESSI SI SONO ADOPERATI NEI DIPINTI.
Continueremo a sostenere questo progetto in cui gli unici protagonisti sono i bambini con la certezza che, grazie ai loro
capolavori e al loro interagire, potranno colorare il mondo con i colori dell’arcobaleno.
Nello specifico, le classi di Pian di Venola hanno condiviso un laboratorio di pittura, attraverso la lettura della favola
con i bambini dell’ospedale. Le classi di Panico hanno sperimentato la realizzazione di un murales alla stazione di Lama
di Reno in cui i bambini hanno dipinto con le terre, le crete e il carbone la fiaba di Hansel e Gretel.
I percorsi, svolti dai nostri alunni delle diverse realtà, convoglieranno in un’ unica mostra presso il “Mambo” a Bologna.
In questa occasione si rinnoverà l’incontro fra la realtà scolastica e ospedaliera, rafforzando così quei valori di solidarietà,
di comprensione, di condivisione, con cui ci confrontiamo quotidianamente.
Esprimiamo molta gratitudine verso coloro che hanno permesso la realizzazione di questi progetti con l’auspicio di
poter continuare negli anni a venire.
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Ho avuto la fortuna, per la seconda volta, di fare "l'aiutante" di Pier, nel laboratorio di pittura, con i bambini del day
hospital. Bambini grandi e piccoli, genitori come colori primari che mescolati hanno dato origine a qualcosa di nuovo, di forte,
di intenso. Mescolanze attente, pazienti, a volte spensierate a tal punto da dipingere cantando filastrocche o scioglilingua.
Che bell'atmosfera! Uscivo dal dh con le mani macchiate di colore e per la strada,da sola cantavo ancora...Un grazie a Pier,
a tutti i bambini, ai genitori, ad Ageop.
Loredana Scotti
Volontaria Day Hospital
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IL BACKSTAGE DELLA MOSTRA
I tre filoni principali d’attività del laboratorio di pittura “Intensoblu”, portato avanti nelle scuole gemellate, sono:
la pittura con la combinazione dei colori primari, la creta ispirandoci alla metodologia di B. Munari, le alchimie di
gioco e la pittura con i materiali primitivi. Qui vediamo i bambini della prima elementare di Venola, con i pastelli e
le tempere. Lavorano in coppie e possono scegliere di iniziare con i pastelli oppure subito con la pittura. Hanno
già fatto precedentemente diverse sedute con la creta e hanno familiarizzato con le possibilità di trasformare le
immagini grafico-pittoriche manipolando il materiale. In alto vediamo un primo abbozzo dove nel lavoro con i
pastelli si vede una striscia di cielo e una di terra, entrambe azzurre, con in mezzo il sole, una pianta, una forma
cancellata e una costruzione geometrica posta in alto a destra. Poi nell’intervento successivo di pittura i due
decidono di trasformare l’abbozzo in un gioco di colori, realizzato con macchie ben accostate, salvando solo
in parte la struttura iniziale del disegno. Più in basso le due bimbe della stessa classe procedono invece per
aggiunte di elementi successivi. A mano a mano che il lavoro avanza si arricchisce di particolari, senza introdurre
cambiamenti all’impostazione. A lato, nella pagina che segue, vediamo le due pitture finite.
26
27
Dylan-Nicola, Valentina-Eleonora, 6-7 anni, Prima Elementare di Panico 2008/09
Spesso i bambini mentre dipingono guardano anche quello che fanno gli altri compagni presenti intorno a loro.
E’ un modo istintivo di sentirsi uniti e di stare insieme. Così ci si stimola a vicenda, comunicando visivamente le
idee. A volte si sviluppa anche un dialogo su quello che stanno facendo.
A scuola questo aspetto della comunicazione viene incoraggiato, per esempio facendoli lavorare insieme in piccoli
e in grandi gruppi, chiedendo loro di mettersi d’accordo, anche se accade che a volte qualcuno dica: “lui mi copia,
ed io non voglio!”. Qui nella fotografia vediamo una bimba che sta osservando la compagna che le è accanto,
prendendo spunti di lavoro, specialmente nella scelta dei colori e nei gesti, anche se poi usa degli impasti con
l’acqua più diluiti e quindi meno materici. All’inizio aveva avuto forti resistenze per incomiciare perchè era arrabbiata,
ma vedendo l’altra bimba (4 anni entrambe) lavorare con soddisfazione le è venuta voglia di farlo lei stessa. Il terzo
bambino, che vediamo sullo sfondo è un un pò più grande (6 anni), inizia a dipingere delle macchie di colore, forse
ispirato anche lui ai lavori delle due bimbe. A lato possiamo osservare i dipinti prodotti dalle bimbe.
28
29
Valentina e Desy - 4 anni- Ageop 2009
Ispirandoci alla favola “I musicanti di Brema” riscritta
da Rodari, vediamo all’opera alcuni bambini della
prima di Venola.
Husem lavora da solo ed inizia con i pastelli a
disegnare un tratto di cielo ed in basso due animali
da cortile, occupando una vasta area del foglio.
Con il pennello ed i colori il lavoro si trasforma e
viene diviso in due zone, potremmo dire della notte
e del giorno, dove in basso sotto l’arcobaleno si
svolge la trama della fiaba.
Altri due compagni, fino dalla impostazione iniziale
del disegno hanno messo due zone nel foglio.
Vediamo via via riempire quella alta con i colori
della notte dove però c’e una forte comunicazione
tra la fascia bassa del giorno e quella alta, mentre
nel dipinto di Husem le due zone sono nettamente
distinte. La favola parla della notte e del sonno
dei musicanti, e questi bimbi l’hanno descritta,
probabilmente influenzandosi a vicenda visto che
erano anche vicini di banco. Non hanno fatto così
gli altri bambini.
Nella pagina a lato vediamo le opere.
30
31
Husem e compagni - Venola Prima elementare 2006/2007
Qui vediamo invece
che
mostrando
le
illustrazioni di un libro
che accompagnano una
breve storiella, dove
le immagini sono delle
macchie di colore, l’idea
delle macchie viene
accolta dai bambini ed
inserita nella pittura,
trasformando il lavoro
già iniziato (qui a lato)
precedentemente.
Nella pagina sucessiva
vediamo
il
risultato
finale.
32
Sala giochi Day Hospital
Contrariamente a quello
che accade a scuola ai
loro coetanei, in ospedale
la lettura della favola non
sembra influenzare il
lavoro dei bambini.
33
Qui avviene il contrario: è il bambino che racconta mentre dipinge.
Racconta alla volontaria Ageop che lo assiste, la trama di una storia
mitologica. Il mare contiene una sirena, lui dice, e la dipinge con il
rosso sul blu sottostante ancora fresco che la inghiotte. Insiste sulla
figura fin che essa non riesce ad emergere e poi riempie il foglio di
altri colori, accostandoli come in un quadro astratto.
Chantal lavora in terra, su un suo foglio più piccolo e il babbo le
scrive il nome a grandi lettere. Anche lei usa il colore a macchie,
facendo larghe sfumature acquerellate .
34
35
Daniel e Chantal - 6 anni- Ageop 2009
Diego ha sette anni, con i tre colori primari ed il bianco crea degli
impasti densi o acquerellati, e direttamente senza ripensamenti
dipinge paesaggi. Ci stupisce la profondità dello spazio rappresentato
e il tema naturalistico scelto. In entrambi i dipinti, eseguiti in due
giornate diverse, la trasparenza e l’atmosfera del paesaggio sono
palpabili. È raro che un bambino della sua età che dipinga in questo
modo. Con la pittura ci descrive il suo paesaggio interiore e ce lo
racconta senza l’aggiunta di personaggi e di cose: l’ambiente è
vuoto ma non è desolato e triste.
36
37
Diego, 7 anni - Ageop 2009
Destiny che ha quattro anni
dipinge da solo su un grande
foglio in terra. Sperimenta
le tracce e le macchie di
colore. Il padre che gli è
vicino si inserisce nel lavoro,
estendendo la pittura a tutto
il foglio e armonizzando il
suo intervento con quello del
figlio, tanto da sembrare di
non esserci.
Il risultato è una pittura a
quattro mani che descrive,
attraverso il pulsare dei segni
di colore terroso, lo spazio
attorno all’omino posto in
basso, di fianco ad una vasta
macchia. In alto vediamo il
nome del bambino e le lettere
di un’altra scrittura, disposte
in modo ritmico tra i segni.
L’insieme magico e misterioso
probabilmente costituisce un
messaggio.
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39
Destiny e babbo, 4 anni - Ageop 2009
La mestra a scuola legge la favola “Un gatto in bottega” (D.Scarponi-G.Manna).
La consegna data era quella di ispirarsi alla favola per dipingere oppure di rappresentare quello che si desiderava.
I bambini erano attenti alla lettura della storia. Si racconta di un gatto che viene da lontano ed è rimasto solo, è
inverno e c’e la neve. Una signora lo vede e lo vuole aiutare ma lui scappa, è debole ed ha paura. La signora alla
fine ci riesce mettendogli del cibo in una casa abbandonata. I bambini hanno voluto vedere anche le illustrazioni
del libricino. Si sono formati sette gruppi di due bambini ciascuno, i materiali da utilizzare erano i pastelli ed i colori
primari a tempera. Due coppie, decidevano di rappresentare cose di propria fantasia, mentre le altre cinque si sono
ispirati alla storia raccontata.
Qui a lato vediamo la fase preparatoria di due lavori, dove nel primo la coppia Martin e Marian incominciano
disegnando un mosaico blu con inserito nella maglia un gatto ed una scatola, rappresentati in modo mimetico.
E’ probabile che abbiano fatto caso ad alcune finestre e porte a vetri multipli, illustrate nel libricino. Con la pittura
la trasformazione dell’immagine è completa: rimangono il gatto e la scatola con sotto un’ombra nera, infine la
finestra. Nel secondo lavoro Lucia e Stefano hanno dichiarato di aver dipinto (dicevano disegnato) il circo che gli
era “venuto in mente”, ambientato comunque in un paesaggio invernale.
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Sotto: Stefano e Lucia, Panico Prima elementare 2006/2007
Sopra: Martin e Marian, Panico Prima elementare 2006/2007
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A lato sono riportate le immagini di Leonardo-Armando, Samanta-Denisa, Diego-Ilaria, Zoe-Andrea.
Sono disposte nella sequenza temporale della favola. Ogni coppia ha dipinto spontaneamente
una scena che per ognuna simbolizza la storia del gatto, in un dato momento. Naturalmente ogni
coppia ha realizzato un proprio momento, ritenuto significativo: il paesaggio invernale con la neve
e il sole, la casa con il cartello sulla porta “vietato entrare” con sullo sfondo le montagne innevate,
l’ambiente interno della casa con la scatola dei biscotti e le ragnatele (osservate nell’opuscolo),
infine un altro paesaggio con i fiocchi di neve, ma questa volta è quello visto mentre il gatto va
via. Non deve sfuggire la ricerca in tutti i lavori di un equibrio estetico, dei rapporti cromatici, delle
superfici e delle linee, dove la pittura è piatta ed esclude la profondità.
Qui sotto abbiamo invece il lavoro di due bimbi che hanno scartato le immagini della favola ed hanno
preferito dipingere, in modo forse più realistico, “dei furgoni e dei trattori che vanno sull’asfalto nero
delle strade”, così loro hanno detto. Notiamo che i rumori delle macchine fanno: trattore, tan-tom,
ron-rey. Il colore acquerellato dato in trasparenza sullo sfondo crea una profondità atmosferica e
un movimento d’aria intorno alle macchine che sembrano muoversi traballando sulla strada.
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Sopra e sotto: Classe Prima elementare di Panico - 2006/2007
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Maddalena e Thomas che lavorano in coppia, la storia da dipingere se la inventano da soli. Sono invitati ad
accordarsi prima d’incominciare. Imbastiscono il lavoro, lo sviluppano e lo realizzano con interventi successivi, per
tentativi, con prove e sovrapposizioni, seguendo il corso di nuove idee e di nuove suggestioni.
In questi casi in genere, se il lavoro non viene intenzionalmente distrutto, come a volte può accadere finendo in
un pasticcio, si arriva ad un risultato finale risolto con un’immagine significativa sia dal punto di vista estetico
che quello espressivo. Per vedere questo aspetto non dobbiamo aspettarci dalla rappresentazione per forza un
significato realistico, perchè non è sempre questo l’obiettivo che il bambino si dà.
Per capire meglio dovremmo lasciarci prendere dal gioco delle sensazioni prodotte dal contrasto delle macchie
di colore, dall’invenzione delle loro forme, dal movimento delle linee e dal ritmo dei segni, così come li possiamo
vedere nell’arte astratta di tipo informale.
Nella pagina a lato vediamo la conclusionedel lavoro dei due bambini qui sopra e di altri tre dipinti, prodotti dai
compagni di classe.
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Sotto: Classe Prima elementare di Pian di Venola - 2006/2007
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In altri casi le idee sono chiare fin dall’inizio ed il lavoro viene condotto fino al risultato finale con gli elementi già
previsti in partenza. Anche qui i bambini lavorano in coppia e sono invitati ad ispirarsi ad una storia letta dalla
maestra. Sono gli stessi bambini delle pagine precedenti ma sono più grandi di due anni. La prima coppia decide
di dipingere una scena di calcio, anche se non c’entra con la storia raccontata, mentre la seconda illustra in
maniera decisa e forse anche un po’ ironica una scena del racconto.
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Classe Terza elementare di Pian di Venola - 2008/2009
Classe Prima elementare
Pian di Venola - 2007/2008
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Lavorare in gruppo consente di avere a disposizione molte energie per realizzare l’opera, utili per riempire un
foglio di grandi dimensioni. Bisogna riuscire però ad accordarsi e magari dividersi i compiti. Qui i bambini si sono
ispirati ad “Una sera” di Gianni Rodari. Il racconto è surreale e le parole descrivono immagini legate tra loro solo
da associazione d’idee.
Nei dipinti dei due gruppi, che vediamo sotto e nella pagina a fianco, vengono rappresentate alcune immagini
prese della storia raccontata e mescolate insieme a quelle della propria fantasia.
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In ospedale i bambini che
dipingono in gruppo in genere
non riescono ad accordarsi tra
loro perchè vanno e vengono
per le cure in tempi differenti. Ciò
non consente il raggiungimento
dell’unità dell’opera, ma non
sempre, dipende.
Nei due lavori che vediamo, qui
nella fase iniziale e poi conclusi
come riportati nella pagina
accanto, osserviamo un’affinità
tra gli elementi rappresentati.
Nel primo lavoro si nota un
adattamento reciproco dello
“stile” delle forme rappresentate
e nel riempimento degli spazi,
nonostante i bambini siano stati
presenti contemporaneamente
solo per qualche tempo.
Nel secondo le due bambine si
accordano tra loro comunicandosi
le intenzioni e le idee.
Non riescono poi a completare
l’opera perché dipingere è bello
ma stanca, specie se si vuole
riempire con un’alta densità di
colore e di sfumature il foglio
molto grande.
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Aneto-Caterina-Ester-Igli, 4-8 anni, Veronica-Giorgia, 8-10 anni, Ageop 2009
Per Atnant forse occorre fare un
discorso a parte. Fin qui, nelle
pagine precedenti, abbiamo visto
opere prodotte da molti bambini
con un’età compresa tra i tre e i
dodici anni, mediamente nelletà
dove si frequenta la scuola
materna e quella primaria.
Dopo questa stagione succede
spesso che il ragazzo abbandoni
l’attività grafico-pittorica perché
purtroppo non ne trova più
spontaneamente un interesse
e dall’esterno gli stimoli che
gli giungono sono insufficienti,
inadeguati o limitanti. Nonostante
ciò alcuni ragazzi mantengono
una forte potenzialità espressiva
e quando ne hanno l’occasione
l’adoperano.
Atnant è uno di questi.
Non sappiamo come coltivi
questa sua arte, o se lo faccia o
no periodicamente a casa sua.
Le opere che qui vediamo sono
state prodotte nelle volte che lo
abbiamo incontrato (poche) al
day hospital, in questi tre anni.
La sua produzione è una specie
di coazione a ripetere l’immagine
del mare e della spiaggia.
E’ una gioia visionaria del
paesaggio.
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Atnant, 18 anni, Ageop 2009
Lahe, una bambina di otto anni e mezzo, è venuta varie volte nel laboratoriosala giochi del day hospital. Anche lei, come Atnan, dipinge insistendo
sempre sullo stesso tema. Il suo è quello della primavera e dei fiori.
Le figure introdotte sono: i fiori disposti in una fila, il sole, una nuvola, la
striscia ampia azzurra del cielo e la base verde della terra.
Qui si sono aggiunte una farfalla ed una casa.
Tutto è talmente semplice che può sembrare perfino banale, ma guardando
i colori puri e l’equilibrio delle forme, dipinte in modo pulito, ci troviamo a
riflettere e a farci trascinare incantati nella sua dimensione.
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Lahe, 9 anni, Ageop 2009
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La dimensione è mitica: il cielo con nuvole azzurre su cui galleggia un
castello e sopra il sole vola un angelo. E’ il mondo, lei scrive, ma lo è nel
suo nascere e l’angelo si trasforma in una figura femminile: una bimba con
un vestito leggero e le scarpette morbide.
Come nel lavoro di Lahe anche questo di Camilla è semplice e cristallino, e
ci trascina in una zona lirica. All’inizio Chiara, la sorella piccola, non voleva
dipingere, ma la grande con l’esempio la convince. Chiara ha i piedi più in
terra: dipinge il giardino della sua casa, con uno stile molto simile.
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Camilla e Chiara. 8-10 anni, Ageop 2009
Quest’anno nella stazione di Panico
c’è il murale dipinto dai bambini.
Chi parte ed arriva in questa
stazione lo potrà vedere.
Insieme alle maestre ed ai genitori
lo hanno voluto fare in omaggio
ad Ageop, per dare rilievo e forza
al gemellaggio di questi tre anni
insieme.
E’
stata
un’impresa
ottenere i permessi per riuscire a
realizzarlo e la grande misura, dieci
metri quadri di superfice pittorica,
ha impegnato i bambini in una
fatica ciclopica, portata avanti con
grande determinazione.
Non era scontato riuscirci e portarla
a buon fine perchè nell’esecuzione
dell’opera s’intrecciavano i pennelli
nelle mani dei bambini appartenenti
a due classi diverse: la seconda e
la terza di Panico.
Lavorare
tutti
insieme
non
è
stato semplice, ma il risultato è
convincente.
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La storia da rappresentare l’hanno scelta i bambini: Hansel e Gretel. Avevano visto la favola a teatro qualche
tempo prima e poi l’hanno raccontata in classe. Si sono allenati a lavorare contemporaneamente in gruppi sempre
più grandi, mettendosi insieme nelle due classi, fino a dipingere su superfici grandi quasi come quella del muro.
I materiali usati sono quelli naturali, le terre, la creta ed il carbone: quelli che usavano gli uomini primitivi nelle
grotte. Nonostante le prove eseguite prima, il lavoro finale è frutto di un’improvvisazione creata dai bambini nel
giorno del murale. Per riuscire così bene non poteva essere altrimenti.
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A.G.E.O.P. RICERCA RINGRAZIA
Il Dipartimento Educativo MAMbo, Museo d’Arte Moderna di Bologna, e in particolare
Silvia Spadoni e Veronica Ceruti per la grande disponibilità, sensibilità e generosa
partecipazione.
Gli amici Annamaria e Paolo Zanchetta per Antonietta Fantuz, Michela, Chiara e
Riccardo Mannina, la famiglia Colagiovanni per Giulia.
Gli alunni e le maestre delle scuole di Panico e Pian di Venola.
La Società Cooperativa CO.TA.BO.
Progetto grafico e realizzazione: Argento e China - Stampa: Tipografia Negri
A.G.E.O.P. RICERCA ONLUS
Via Massarenti 11 - 40138 Bologna - Tel. 051/399621 - Fax 051/309650 - C.F. 91025270371 - [email protected]
Azienda Ospedaliero Universitaria - Policlinico S.Orsola Malpighi - Oncologia ed Ematologia Pediatrica “Lalla Seràgnoli”
Associazione iscritta nel Registro Regionale di Volontariato della Regione Emilia Romagna con Decreto n° 115 del 20/02/1995
www.ageop.org
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