Una tragedia negata SAGGISTICA 3 4 Una tragedia negata Una tragedia negata Giancarlo Porcu Régula castigliana Poesia sarda e metrica spagnola dal ’500 al ’700 Grafica e impaginazione Nino Mele Imago Multimedia © 2008, Edizioni Il Maestrale Redazione: via Monsignor Melas 15 - 08100 Nuoro Telefono e Fax 0784.31830 E-mail: [email protected] Internet: www.edizionimaestrale.com ISBN 978-88-89801-52-9 Il Maestrale 5 6 Una tragedia negata INDICE 9 Introduzione 24 Principali convenzioni per la descrizione metrica 25 Guida alla lettura dei repertori PARTE PRIMA Forme fisse d’hispanidad 31 I. 31 35 36 59 62 77 La sesta torrada 1. Cantone torrada 2. Cantone torrada e forme fisse 3. Sesta torrada, gosos, villancico 3.1. Presunta italianità delle cantones torradas 3.2. Gosos, goccius, goigs 3.3. Gosos e sestas profane. Canonizzazioni, innovazioni 89 II. L’ottava torrada 97 III. La battorina (una mini cantone torrada) 105 IV. La cantada 113 V. La glosa 113 118 122 140 1. 2. 3. 4. Statuto formale della glosa sarda La glosa come traduzione amplificatoria Storia, forme e funzioni della glosa lirica sarda Sopravvivenza ottocentesca della glosa PARTE SECONDA Forme libere 145 VI. Eredità incerte, false, certe 153 VII. 153 153 156 167 172 179 179 180 184 191 195 Altre eredità spagnole Introduzione 1. Le strofe di cinque versi (chintillia e chimbina) 1.1. Quintillas araolliane: presenza di assenze 1.2. Drammi ‘resistenziali’ 2. La chimbina: lira garcilasiana in Sardegna 3. La sesta e altre forme aliradas VIII. Fra hispanidad e italianità 1. Le strofe di quattro versi 1.1. La quartetta 1.2. La quartetta caudata 1.3. Quartetta caudata e pie quebrado 1.4. Un genere italiano 209 Bibliografia 235 Indice dei termini metrici 239 Indice dei nomi e dei luoghi § 1. Nell’ambito della metrica queste pagine prescelgono il settore della strofica, nonostante la generale indicazione disciplinare esposta in frontespizio, più immediata ed elegante. Definendo ulteriormente, si potrebbe parlare di strofica comparata, poiché lo studio delle strofe è qui condotto in relazione a più tradizioni poetiche: sarda, spagnola, italiana, catalana. Esiste una metrica comparata – disciplina infatti non più giovane – la quale ha però avuto come oggetto principale il verso e ha quindi rivolto l’analisi soprattutto agli aspetti ritmici e prosodici. Oltre ad essere il frutto di fatiche personali, la Storia del verso europeo di Michail Gasparov [1989] – il lavoro di sintesi più completo in materia – eredita una ‘scienza del verso’ russa (stichovedenie), poi passata al vaglio del pensiero formalista. La comparazione su base prosodica può infatti vantare, fra altri, i contributi fonologici di Jakobson, Trubeckoj, Zirmunskij, a loro volta eredi della linguistica comparata ottocentesca che dietro all’usta dell’indoeuropeo fu comprensibilmente tentata di dare la caccia anche all’Ur-verso indoeuropeo, cosa che fece con il Meillet de Les origines indo-européennes des mètres grecs (del 1923). Forse meno seducente, certo portatrice di più deboli implicazioni fonologiche, una strofica comparata non poggia su tradizioni così sistematiche e sedimentate, sebbene si possa osservare, parafrasando Gianfranco Contini [1967, p. 135], che come Monsieur Jourdain componeva prosa senza saperlo, e come i linguisti buoni hanno sempre fatto linguistica strutturale senza saperlo, così i metricologi hanno sempre fatto strofica comparata senza saperlo. Vi è però che pensare un’operazione analoga a quella di Gasparov da condurre in ambito strofico non risulterebbe agevole e i (pochi) paragrafi che la Storia del verso europeo spende in tal senso per l’area romanza 10 Régula castigliana §2 [GASPAROV 1989, pp. 183-195] – per dire di quella che più ci riguarda ma l’osservazione vale anche rispetto ad altre tradizioni – non possono andare oltre un primo compendio d’estrazione manualistica, di contro a raffinate auscultazioni prosodiche. Lo studio comparato della strofa non conosce lavori complessivi e metodologici, conosce escursioni sopra la poesia romanza delle origini (come le ricche pagine di LE GENTIL 1952) e poche esplorazioni monografiche su singole forme, con il fortunato sonetto, favorito dall’essere a sua volta protagonista di una fortuna mondiale senza confronti. Parrebbe insomma giustificato il lamento di Maria Luisa Meneghetti [1993, p. 135] per la perdita, in ambito romanistico, di «buone occasioni per affrontare globalmente problemi che invitavano per loro stessa natura ad un approccio di tipo comparatistico», come il complesso degli schemi metrici à refrain nella lirica romanza medievale di cui si occupa la studiosa nel contributo che ospita questo suo monito. Con tutto che, spinta dall’ideale delle origini e adusa all’abito genetista, la romanistica si è comunque data da fare in questa direzione, come dimostra, ad esempio, l’ampio dibattito spagnolo sull’origine degli schemi con vuelta, diviso fra fautori della tesi arabica e fautori di quella romanico-liturgica (una recente sintesi della questione in BELTRÁN PEPIÓ 1984). Ma per periodi successivi non si è così fortunati. § 2. Fra le varie declinazioni di metrica comparata discusse in un denso articolo di Rowena Fowler, Comparative Metrics And Comparative Literature1, si mostra interessante quella che considera il contatto di una cultura poetica indigena con una cultura colonizzatrice [FOWLER 1977, p. 294]. Le analisi più complesse su questo fronte hanno riguardato l’adattamento di sistemi metrici esogeni nei sistemi linguistico-prosodici ‘colonizzati’. È questa una prospettiva che non ci riguarda nello specifico. Si diceva che l’ambito strofico mostra più deboli implicazioni linguistiche e occorre aggiungere che quella sarda ha incontrato, nel periodo qui preso in esame, lingue prosodicamente affini, l’italiana e la spagnola. Basti pensare alla comune parossitonia, da cui infatti deri1 2001. Per un’altra aggiornata rassegna sulla disciplina segnalo DOMÍNGUEZ CAPARRÓS §3 Introduzione 11 va l’uso pure comune (di contro a quelli francese e catalano) di misurare il verso comprendendo nel computo la sillaba successiva all’ultima accentata2. Rispetto alla prospettiva indicata, è però possibile impegnarsi nella verifica delle modalità per le quali l’intervento di patrimoni metrico-strofici di culture poetiche ‘colonizzatrici’ vede nella cultura poetica ‘colonizzata’ il manifestarsi di annessioni incondizionate, adattamenti, timide adesioni e rifiuti. A ciò si presta la tradizione poetica in sardo osservabile dal Cinquecento al Settecento, un periodo che vede l’azione delle tradizioni spagnola e, in misura minore, italiana. Pacifico è infatti che non si dia reciprocità nel rapporto fra cultura sarda e culture ‘altre’ (egemoniche), in ragione della indubitabile posizione subalterna occupata dalla prima rispetto alle seconde, ragion per cui la direzione d’influenza non può che essere cultura spagnola>cultura sarda o cultura italiana>cultura sarda. La questione non si esaurisce in bilanci quantitativi e nella mera registrazione di merci in entrata, mentre l’esame delle formule rimiche e sillabiche delle strofe sarde è in grado di restituire interessanti tracciati delle dinamiche estetico-culturali che hanno agito nel rapporto con quelle culture ‘nazionali’. § 3. Dire dal ’500, come precisa il sottotitolo del presente volume, è come dire a un dipresso dalle origini della versificazione in lingua sarda. Le testimonianze poetiche isolane, anche quelle prodotte in lingue allogene, non risalgono oltre la seconda metà del Cinquecento, fatta eccezione per il poemetto agiografico attribuito all’arcivescovo sassarese Antonio Cano (†1476/1478): Sa Vitta et sa Morte, et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu3. Riguardo alla metri2 L’ottonario italiano è al pari dell’octosílabo spagnolo un verso il cui ultimo accento si colloca sulla settima sillaba, sia essa seguita da una, da due sillabe oppure occupi la posizione finale assoluta. La metricologia sarda popolare si esprime in numerali puri: l’endecasillabo, ad esempio, è detto ùndichi, contrazione della dizione versu de ùndichi, ‘verso di undici (sillabe)’. Isolatamente, Giovanni Spano [1840, II, p. 6] riferisce di un modo sardo di misurare i versi a pees (‘per piedi’; unità metriche di due sillabe). 3 Il testo ci è noto attraverso l’esemplare unico stampato nel 1557, privo di ulteriori note tipografiche: l’attribuzione ad Antonio Cano è aggiunta a penna sul frontespizio [CANO 1557; 2002]. In PORCU 2005 ho offerto la ricostruzione dell’ordine nei primi 300 versi su ipotesi codicologica, tale ordine risulta alterato dalla princeps e nelle riproduzioni moderne. Un tentativo di studio sulla metrica del poemetto è SOLE 2005. 12 Régula castigliana §3 ca, quest’opera in logudorese meriterebbe un’attenzione a parte, per i suoi distici a rima baciata oscillanti fra le nove e le quindici sillabe, con tendenza prevalente al doppio senario ma anche ricorsi di veri e propri endecasillabi (dove forse non saranno da escludere relazioni col verso spagnolo d’arte mayor). Per il resto, in quanto a monumenti poetici, è il vuoto, a dispetto di un’importante produzione strumentale in volgare sardo che data dall’XI secolo con i condaghes (atti di donazione e lascito a favore di chiese o monasteri) e trova espressione compiuta nel codice legislativo della Carta de Logu (XIV-XV secc.). Anche un discorso che affronti le forme metriche sarde in relazione a tradizioni poetiche ‘altre’ venute in contatto con la cultura isolana in fasi pre-cinquecentesche, deve muoversi in terreni malagevoli; oppure l’analisi morfologica smentisce rapporti che in quella direzione si davano per acquisiti. Nel corso del primo capitolo (§§ 14-15) vedremo, ad esempio, quanto una stretta parentela fra lo schema rimico dei gosos e quello dei goigs catalani sia insostenibile. Vaghe risultano le relazioni strutturali osservabili fra la viadera catalana di Cerverí de Girona (produttivo fra il 1259 e il 1285) e il mutu sardo [MANINCHEDDA 1996]4: una questione che non può rientrare nelle intenzioni del presente discorso, per la vastità delle forme e dei problemi che pone da solo il genere popolare dei mutos e dei mutettus5. A ritroso si nota come pure il periodo pisano-genovese (XIII sec.) non offra zone di raccordo. Ancora indietro, appare suggestiva l’ipotesi formulata da Giulio Paulis [1983, pp. 171-176], secondo il quale i termini taya, tazha, tasa e tasgia – ‘nenia’, ‘lamento funebre’, ma anche denominazione del canto a quattro voci della regione gallurese e, ancora, sinonimo di ‘strofa’, senza però potersi identificare con un preciso tipo metrico [CIRESE 1960; 1988, pp. 365-368] – deriverebbero dal bizantino taksin. L’attestazione più antica del termine sardo potrebbe infatti essere il tasi citato da Sal4 Infatti Maninchedda [1996, p. 226] precisa che nel suo lavoro «non si intende minimamente affermare che il modello dei mutos è la viadeyra». Per uno studio complessivo sulla viadera catalana rinvio a ROMEU I FIGUERAS 1950. 5 Rimando al fondamentale CIRESE 1964 (poi confluito con aggiornamenti e aggiunte in CIRESE 1988, pp. 185-349), dove non mancano indicazioni comparative con componimenti ispanici [pp. 292-294]. §4 Introduzione 13 vatore Vidal nella prefazione al suo poema in sardo-logudorese Urania Sulcitana (1638) [BULLEGAS 2004, p. 112], dove menziona «el cantar de los Sardos, que llaman Tasi», rifacendosi ad una fonte non più identificabile («unos fragmentos de Marangone en un Archivio de Pisa»). Paulis, postulando che tasi e tasa siano la stessa parola, fa riferimento all’uso bizantino di accompagnare col canto l’Ufficio divino, ripartito in ore. Tale prassi dei monaci bizantini veniva pertanto indicata con la locuzione ‘cantare le ore’: psàllein tàs hóras; ma è anche attestata la locuzione psàllein tàksin, che per lo studioso costituirebbe la base del sardo tasi/tasa. Eppure, anche in questo contesto, non è al momento possibile andare oltre suggestive analogie lessicali e tantomeno avanzare questioni morfologiche. § 4. Dalla fine del XVI secolo fino al XVIII (l’estremo alto della nostra indagine), la tradizione poetica in sardo, finalmente attiva sebbene non in maniera doviziosa, mostra di essere in buona parte una provincia soggetta a giurisdizione metrica spagnola. D’altro canto, si scorgono, soprattutto all’inizio e al termine di questo lungo periodo, interferenze con la tradizione italiana. All’inizio, in virtù della fase italianizzante che la lirica europea, e segnatamente quella spagnola, conobbe in pieno Cinquecento. Al termine, per il lento e faticoso ingresso della Sardegna nell’orbita politica piemontese e poi italiana, in un clima culturale che però seguitò ad essere contrassegnato da hispanidad almeno fino alla fine del Settecento. Le parole che Pietro Delitala premette alle Rime diverse rendono un quadro verosimile dell’attrezzatura linguistica allora disponibile per chi in Sardegna intendesse scalare l’Elicona: «più obligato era scrivere in lingua Sarda come materna, o Spagnola come più usata, e ricevuta in questa nostra Isola, che in Toscana, lengua veramente molto aliena da noi» [DELITALA 1596, p. 5]. Le Rime diverse costituiscono infatti un unicum in quanto opera sarda integralmente versata nel toscano. Nella prassi poetica isolana cinquecentesca la confidenza con l’italiano si restringe al solo Delitala e alla porzione toscana nel trilinguismo sardo-italiano-spagnolo offerto da Gerolamo Araolla nelle Rimas diversas spirituales (1597). Pur tuttavia, interessa osservare come l’intera opera di Araolla si consumi metricamente nell’esperienza italiana, fra ottava, sonetto e 14 Régula castigliana §4 terza rima e comunque sempre nell’endecasillabo, con una sola, veloce discesa nell’arte menor6 castigliana (§ 36). Le sue due fatiche, il poema sui martiri Gavino, Proto e Gianuario [ARAOLLA 1582] e le Rimas diversas spirituales [ARAOLLA 1597] dicono di altrettante direzioni intraprese. Il poemetto martirologico tenta l’epos cristiano di tema sardo, sulla scia del già citato Antonio Cano (XV sec.), superando per mezzo dell’ottava rima i distici irregolari del predecessore. Le Rimas rappresentano un cimento inscrivibile nel petrarchismo cinquecentesco e d’una particolare specie di petrarchismo, cosiddetto spirituale, cui la raccolta si accorda fin dal titolo7. Entrambe le direzioni seguite da Araolla, quella epica e quella lirica, hanno evidentemente lo sguardo rivolto alla scuola italiana ma senza sensi di colpa nei confronti di quella spagnola, ché la colta poesia castigliana già da tempo andava allevando un orientamento esplicitamente italianeggiante, a danno della tradizionale poesia cancioneril (approfondimenti al § 36). È un processo evidente nei fatti metrici e che si fa ufficialmente datare (ma non mancano eloquenti esperienze precedenti, e su tutte quella dei 42 sonetos fechos a lo itálico modo di Íñigo López de Mendoza, marchese di Santillana) dalla lettera indirizzata a Beatriz de Figueroa che Juan Boscán Almogáver (1487/92-1542) premetteva al secondo libro dell’edizione (postuma, 1543) delle sue poesie pubblicate insieme alle opere di Garcilaso de la Vega (1503-1536)8: Este segundo libro terná otras cosas hechas al modo italiano, las cuales serán sonetos y canciones, que las trobas desta arte así llamadas siempre. La manera déstas es más grave y de más artificio y (si yo no me engaño) mucho mejor que la de otras. Mas todavía, non embragante esto, cuando quise provar a hazellas ni dexé de entender que tuviera en esto reprehensores. Porque la cosa era nueva en nuestra España. 6 Con arte menor s’intendono nella cultura metrica spagnola le misure brevi e in modo speciale l’ottonario. 7 Questo filone trova già compiutezza nelle Rime spirituali di Vittoria Colonna (1546), ancora nelle Rime spirituali di Gabriel Fiamma (1570), con un incunabolo ne Il Petrarca spirituale di Girolamo Malipiero (1536). Sul «petrarchismo spirituale» si veda ora un’efficace sintesi in Lirici europei Cinquecento [2004, pp. 609-643], con parte critica e antologica curata da Franco Tomasi in collaborazione con Paolo Zaja. 8 Si cita da Volti del petrarchismo spagnolo di Andrea Zinato [Lirici europei Cinquecento 2004, p. 1017]. §4 Introduzione 15 Il Seicento poetico in Sardegna può considerarsi essenzialmente spagnolo e sarà spesso protagonista di queste pagine9. Quest’epoca, è vero, produce l’esperienza di Carlo Buragna (1632-1679), ma si fa fatica a concepire come un Seicento sardo quello del letterato di natali isolani, dalla giovinezza fino alla morte vissuto fra Catanzaro, Cosenza, Lecce e soprattutto Napoli, dove poté dedicarsi alla poesia [BURAGNA 1683] sotto la protezione dei Carafa. S’interpreterebbero quali tracce sarde d’una secentesca partita doppia italo-spagnola, quelle provenienti da settori letterariamente meno vigilati come le feste religiose di pieno barocco narrate da Serafino Esquirro («pusierõse muchos emblemas, hieroglificos, sonetos, y otros versos latinos, y vulgares, en lengua Castellana, y Italiana» [ESQUIRRO 1624, p. 583]; si riferisce alla traslazione dei corpi santi nella cattedrale di Cagliari nel novembre 1618), se non si osservasse che da una simile pratica plurilinguistica non andarono esenti le stesse justas poéticas (‘certami poetici’) che in quel torno di tempo si svolgevano nella penisola iberica. Un altro caso di partita doppia, più consistente, riguarda lo scolopio cagliaritano Fra’ Sebastiano di San Giuseppe, al secolo Sebastian Suñer o Sebastiano Sugner (1643-1675?), di cui si conserva un manoscritto datato 1662 (Miscellanea variarum Rerum, Biblioteca Comunale di Sassari)10. Lo zibaldone, con sermoni del Suñer e opere poetiche di altri autori (fra i quali Lope de Vega), raccoglie versi in latino, spagnolo e italiano. In merito a questi ultimi va notata la confezione di madrigali di tipo cinquecentesco, una pratica alquanto rara nei poeti sardi11 e forse contingente nel giovane auto9 Per una sintesi della produzione letteraria in Sardegna nel XVII secolo rimando a PIRODDA 1993. Informazioni dettagliate in ARCE 1960 (ediz. italiana 1982: Un capitolo sconosciuto della letteratura ispanica in Sardegna, pp. 165-231). Diamo qui un puro elenco dei principali autori sardi di questo periodo che poetarono in spagnolo: Antioco del Arca (ca. 1595-1632); José Delitala y Castelví (1627-1689); Jacinto Arnal de Bolea (metà XVII sec.); José Zatrilla y Vico (1648-1720); Vicente Bacallar (1669-1726). A questi se ne possono aggiungere altri, minori (come Antonio Sortes) o la cui opera si conserva ancora manoscritta (come Juan Francisco Carmona). 10 La letteratura su Sebastian Suñer è ferma a TOLA 1837-38 (ad vocem Sugner, Sebastiano). Ciò è anche dovuto alla irreperibilità del suo manoscritto durante il Novecento; ma nel 1996 Tonina Paba ne ha segnalato la presenza nella Comunale di Sassari [CANZIS, pp. 15-16], dove lo abbiamo consultato. 11 In precedenza, troviamo madrigali in italiano nel solo Delitala [1595]: Diedi il mio 16 Régula castigliana §4 re, acquisita durante il periodo romano (ca. 1660-1670), in coincidenza alla temporanea subordinazione delle Scuole Pie (ridimensionate dalle autorità ecclesiastiche) alla Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, e quindi in un ambiente alquanto propizio per la poesia musicale e segnatamente per il madrigale. Andando al limite cronologico alto indicato nel sottotitolo di questo libro, si dirà che gli annali registrano la immissione dell’Isola nell’orbita italiana con il passaggio ai Savoia nel 1720, ma è ingresso ovviamente lento e nei fatti timido, quando non avversato. In una lettera del ministro Bogino al Vicerè Costa della Trinità, del 12 febbraio 1766, si legge: Il partito dei gesuiti ozieresi [di Ozieri], che sono i più peripatetici, è oggidì dominante nella provincia. Il padre Piras, coi padri Santos e Cano, lettori di Teologia, non cessano di tenere i giovani in conferenze e processi contro le maniere e gli usi italiani […] Sua Maestà è scandalizzata; vuole la introduzione della lingua italiana. [in COSTA 1909-37, p. 217] Nel 1760 Scolopi e Gesuiti continuavano a trasfondere i loro biliosi contrasti in rime castigliane. Un manoscritto della Comunale di Alghero citato da Toda y Güell [1890, p. 239], contiene un Dialogo familiar entre un Religioso poeta de los pobres de la Madre de Dios de la Escuela Pia, y el Barbero cubicular del Convento, con ocasion de unos Versos satiricos que los RR. PP. de San Joseph echaron contra los de Santa Cruz en el Agosto deste año 1760; dialogo in redondillas improntato a vigore verbale («Yo para mí ya os dexo estar, | Gente de vil condicion, | Porque se pierde el xabon | Xabonando un muladar»). Più in là nel tempo, spigolando dagli opuscoli di Applausi poetici in onore della nomina in Sardegna di arcivescovi provenienti dalla penisola italiana, si può incontrare il contributo di Ignazio Satta (di Mamoiada ma ignoriamo data di nascita e di morte) autore, nel 1784, di sonetti e di una sesta lira tutti in spagnolo12. D’altronvago Aprile a fier tiranno (XXXIII); Apollo - o Euterpe, o Talia (XXXIX; segnato da pesante imperizia prosodica). In spagnolo segnaliamo i tre madrigali di José Delitala y Castelví [1672; ora 1997]: Jilguerillo si dejas (pp. 137-138); Lisida tus ojuelos (p. 138); Dices que amor es niño, y yo lo creo (pp. 138-139). 12 «Perdido ja el pastor | anda la triste obeja descarriada, | y del lobo al furor | està §4 Introduzione 17 de, anche il gesuita Antonio Purqueddu (1743-1810), versato nel comporre in italiano e in sardo, lo si sorprende a prodursi in una décima di circostanza in castigliano13. Mi piace segnalare, non solo per curiosità, il brano di una satira composta per i festeggiamenti natalizi del 1840 da Ciriaco Antonio Tola (1785-1868) in cui s’inscena la supplica, parzialmente «en castellan idioma», di alcuni «Monaquillos» al notaio Gavino Cao di Alghero perché si torni agli usi di mescita spagnoli, lamentando la decadenza della «regula castigliana» [TOLA 1913, p. 293]. De Madrid con el diploma nos otros le saludamos despues le preguntamos en castellan idioma: como vamos de redoma en esta noche fria? Nois chin sinceru coro adoremus su Messia. Malapat d’Italianu malapat chie nd’ischit solu ah! torrèret s’ispagnolu o s’antigu catalanu e vostè ch’est anzianu sos usos d’Ispagna ischiat. Nois chin sinceru coro adoremus su Messia Fit regula castigliana chi sende in unu cumbidu si su conzu fit buìdu subitu lu pienana ma sa moda italiana est moda d’economia. Nois chin sinceru coro adoremus su Messia. expuesta la pobre desdichada: | mas lograda su guia | verà el temor trocado en alegria.» (All’illustrissimo 1784, n. XV; consta di sette strofe; i sonetti stanno ai nn. XXXVI, La larga expera de un bien deseado, e XXXVII, Partanse de Arborea los dolores). 13 All’illustrissimo 1778, p. 31 (Viendo Oristan, que vezino); l’opuscolo riporta la dicitura «Decima española»; trascrivo il testo al § 34. 18 Régula castigliana §4 [(traduciamo il sardo) Maledetto l’italiano | maledetto chi ne ha solo nozione | ah! tornasse lo spagnolo | o l’antico catalano | e Lei che è anziano | gli usi spagnoli ha pur conosciuto. | Noi con cuore sincero | adoriamo il Messia. || Era regola castigliana | che, nel corso di una bevuta, | se il bicchiere si vuotava, | subito te lo riempivano | ma la moda italiana | è moda d’economia. | Noi con…] Prendendo in prestito la locuzione contenuta in questa satira – ispirata a reali frange filoispaniche del clero – si può dire che a una régula castigliana s’informa la poesia sarda ben oltre la fase estrema della dominazione spagnola. E si potrà notare come il DNA della strofica sarda del Settecento sia in buona parte spagnolo, esprimendo per tutto il secolo forme torradas (debitrici del villancico; § 10), aliradas (§§ 40-44) e una notevole produzione di glosas (§ 25), per citare solo i casi più evidenti. Questo repertorio è affiancato dalla continuazione del sonetto (limitatamente alla versificazione colta) ma soprattutto dell’ottava, strutture d’originaria fattura italiana ma anticamente e largamente adottate dagli autori spagnoli e ormai costitutive del loro patrimonio strofico, come di quello dei sardi (si veda per l’ottava il § 32). Di contro, l’apporto sincronico dell’arcadica italiana sulla poesia in lingua sarda è metricamente avaro. L’unico segno d’una certa evidenza è l’adozione dell’ode-canzonetta di schema a8a4b8c8c4b8 in Gian Pietro Cubeddu (1749-1829)14, diffuso nella tradizione melica del Settecento italiano, già introdotto da Chiabrera che a sua volta lo mutuava da Ronsard15. Custu fiore delicadu mi l’hat dadu sa matessi Citerea; l’hat regoltu a su manzanu dae sa manu pro lu dare a sa mia dea. [Questo fiore delicato | me l’ha dato | la stessa Citerea; | l’ha raccolto al mattino | con le sue mani | per darlo alla mia dea.] 14 Il metro ricorre nei componimenti: Custu fiore, Clori bella (la più celebre), Unu bentu infuriadu, già presenti nelle sillogi ottocentesche confezionate dallo Spano, ora leggibili in CUBEDDU 1995, pp. 86-87, 93-96 e 124-127. 15 A titolo di curiosità segnalo un riferimento sardo ad un altro poeta francese della §4 Introduzione 19 Altrimenti, solo sporadicamente s’incontrano martelliani16 in logudorese, nella sacra rappresentazione Sa Passione di Raimondo Congiu (1762-1813) [CONGIU 1994], o altri isolati esempi di canzonetta: un pezzo in quartine savioliane di Antonio Purqueddu e i quinari di una anacreontica spirituale di Efisio Pintor Sirigu [PISCHEDDA 1854, p. 244], ambedue in campidanese. Si veda il testo di quest’ultimo, O Deus amabili (per quello di Purqueddu rinviamo al § 46). O Deus amabili, comenti mai, comenti s’homini non t’hat ad amai?... Si tui ses s’unicu su solu oggettu dignu, dignissimu de totu affectu?... [O Dio amabile, | come mai, | com’è che l’uomo | non ti amerà?... || Se tu sei l’unico | il solo oggetto | degno, degnissimo | di totale affetto?...] Di un solo altro interessante caso italiano avremo modo di occuparci diffusamente: quello della quartetta caudata incatenata (a7b7b7c5:c7d7d7e7:e7f7f7g5:…), popolare nel canto devozionale sardo, e anche in propaggini profane, per il quale si può risalire alla prima fase piemontese, con riferimento alla lauda spirituale in forma di zingaresca (§ 49). L’applicazione più nota è nell’Ave Maria cantata, che citiamo dalla prima attestazione scritta nel Rosarium Beatae Mariae Virginis, manoscritto del 1731 [BULLEGAS 1996, p. 266]: Pléiade, Clément Marot. Negli Autografi Spano (Biblioteca Universitaria di Cagliari; Pacco n. 48/3288) è conservato un testo logudorese in dodecasillabi «in stile marotico», definizione di cui dà conto una nota: «Questo è il metodo, e stile, e modo di rimare usato dal celebre poeta Francese Clemente Marot nella Corte di Anna Regina della Gran Bretagna, maxime quando cantava in bernesco; constano i versi di dodici sillabe, canto poco usato dai sardi poeti». 16 Il verso martelliano è un doppio settenario, imitazione dell’alessandrino francese attuata in Italia da Pier Iacopo Martello (1665-1727) per le sue tragedie. 20 Régula castigliana §5 Deus ti salvet Maria Qui ses de gracias piena De gracias es sa vena Et sa currente. Su Deus omnipotente Cun tegus est istadu, Pro qui ti at preservadu Immaculada. Benedita, & laudada Subra totus gloriosa, Mama, Figia, & Isposa De su Señore. [Dio ti salvi Maria | che sei di grazia piena | di grazia sei la fonte | e la sorgente. || Il Dio Onnipotente | con te è stato, | perché t’ha preservata | immacolata. || Benedetta e lodata | sopra tutti gloriosa | madre, figlia e sposa | del Signore.] In questo senso, anche il Settecento sardo ospita piccole ma significative tensioni fra hispanidad e italianità. § 5. È evidente, per quanto detto fin’ora, che alla presente indagine interessa soprattutto il corredo metrico servito agli usi poetici della lingua sarda. La qualifica sarda che nel sottotitolo del presente volume si attribuisce a poesia va appunto intesa nel senso di in lingua sarda, anche se meglio si direbbe in lingue sarde, poiché il corpus corre dal logudorese (prevalente in virtù della sua più florida realtà testimoniale) al campidanese con puntate nel sassarese e nel gallurese. Interessa meno, qui, la poesia italo-sarda, dove il discorso metrico-strofico non andrebbe, per le origini, oltre l’accertamento di una esilissima appendice isolana del petrarchismo europeo e, per il Settecento, dovrebbe limitarsi al catalogo di occasionali esercitazioni accademiche. Nemmeno la produzione ispano-sarda17, sebbene più abbondante e attraente, sarà oggetto di indagine sistematica, mentre servirà a valutare scarti e connessioni rispetto al corpus esaminaCon italo-sarda e ispano-sarda intendiamo rispettivamente la poesia in italiano e in castigliano operata da autori sardi. 17 §5 Introduzione 21 to, gravitante intorno a settori mediani di produzione, canterini e drammatici. I risultati più importanti si leggeranno quindi in verticale, entro un regime di diglossia che, come avremo modo di vedere, risulta marcato anche metricamente, con pertinenza di forme al livello alto in lingue egemoniche o al livello basso in sardo. I fenomeni di acculturazione metrica andranno compresi in un sistema tutt’altro che binario, per la presenza, da una parte, in seno alle culture egemoniche, del diasistema colto/popolare e, dall’altra, riguardo alla cultura letteraria sarda, di almeno tre livelli di produzione e di espressione: A) livello ispano-sardo e italo-sardo; B) livello della produzione in lingua sarda; C) livello della poesia popolare (ovviamente in lingua sarda). Incrociando questi livelli in una serie di rapporti basati sui rispettivi corredi strofici la Sardegna può offrire interessanti diagrammi di poetica storica. Si può osservare il diasistema che, fra XVI e XVII secolo, vede sulla fascia alta la produzione di Araolla e Delitala interamente votata all’endecasillabo, al sonetto, all’ottava, alla terza rima… ma elusiva dell’arte menor in ottonari e delle sue diverse applicazioni strofiche, la quale va invece al contempo insediandosi a livello della media produzione isolana, testimoniata dai gosos, discendenti metrici della poesia cancioneril, e prodottasi nel vasto campo delle cantones torradas (‘canzoni con ritornello’). Fra le forme risalenti alla tradizione cancioneril, la canción medieval parrebbe però sostare solo a livello ispano-sardo (§ 15), lasciando agli schemi di villancico il compito di informare le strutture della canzone insulare. I ritornelli di quest’ultima, usati in autonomia, potrebbero poi aver generato il canto monostrofico della battorina (§ 21) d’uso popolare, fornendo un esempio di discesa dal livello B al livello C. Alla poesia popolare e a quella estemporanea della Sardegna è ignoto il genere della seguidilla, modalità compositiva invece comunissima nella poesia popolare spagnola, fin dal XVI secolo, e d’uso comune nella produzione repentista [CAMPO TEJEDOR 2004, pp. 149-150]. Questo è in accordo – e ne costituisce una conferma – con il tenore dei rapporti fra la cultura isolana e «cultura nazionale» (egemonica) quale è stato delineato da Alberto Mario Cirese 22 Régula castigliana §5 [1959-60, p. 8], osservando come «la stessa relazione dei contadini e dei pastori sardi con le classi popolari non isolane sembra essere, per vari rispetti, meno diretta e intensa che non il loro rapporto con le élites locali». In virtù di questo carattere vediamo la poesia popolare e semicolta sarda assumere generi della poesia colta spagnola in modo indiretto, per un moto verticale che viene dalla mediazione di autori o, più semplicemente, di operatori culturali con frequentazioni alte (quali possono essere gli uomini del clero secolare e regolare). Accanto a questo tipo di assenze dovute alla diversa intensità dei rapporti fra i livelli della cultura isolana e i livelli delle culture egemoniche, vi sono però anche assenze strutturali. Nonostante la vasta popolarità acquisita in Spagna dal romance – tipo ‘nazionale’ si direbbe – consistente in estese serie ottonarie con numero variabile di versi e assonanza fissa nei versi pari, il genere non pare aver lasciato traccia nella poesia in sardo. E qui si toccherebbero questioni più squisitamente comparativistiche, poiché la ragione di tale elusione potrebbe essere ‘di sistema’, individuabile nella totale dedizione del poeta sardo alla rima, senza concessioni (se non per lassismo) all’assonanza. E tuttavia non mancano romances nel settore ispano-sardo. Questi ed altri esempi incroceremo nelle pagine che seguono, con la convinzione che il patrimonio formale di una tradizione poetica offra segni culturali specializzati: oggetti culturali propriamente mensurabili. Confesso il piacere ludico che per molti tratti ha affiancato e prodotto la lettura delle testure strofiche, un piacere talvolta coronato dalla agnizione interculturale delle stesse. Tali soddisfazioni artigianali hanno costituito uno stimolo ad attraversare una produzione altrimenti letteratamente dimessa, però generosa dal punto di vista culturologico. La convinzione di fondo è che la strofica possa costituire una via positiva all’acclaramento dello statuto estetico di una piccola e appartata tradizione poetica non inscrivibile in uno schema storiografico solo italiano. Delle degenerazioni prodotte da tale schema va citata proprio §5 Introduzione 23 l’elusione – più o meno intenzionale – della componente spagnola nella storia della cultura poetica sarda18. Parte di questo lavoro deriva dalla mia tesi di dottorato in Letterature Comparate discussa nel febbraio 2007 presso il Dipartimento di Filologie e Letterature Moderne della Facoltà di Lettere e Filosofia di Cagliari: Forme strofiche sarde fra hispanidad e italianità (dal XVI al XVIII secolo); relatori: Giovanni Pirodda e Maurizio Virdis. G. P. 18 Per altre culture regionali ‘italiane’ si legga la denuncia di Remo Ceserani: «mentre Croce fu conoscitore attentissimo della cultura spagnola e cronista della sua presenza nella tradizione italiana, l’insieme della cultura italiana ha continuato ad avere, nei riguardi della cultura spagnola, un atteggiamento misto di nazionalismo, provincialismo e snobismo: […] nessuna seria conoscenza di quanto sia rilevante, nel bene come nel male, la componente spagnola nella nostra lingua e cultura e in particolare in molte nostre culture regionali (quella napoletana, quella milanese, quella siciliana, ecc.), a seguito di secolari intensissimi rapporti» [CESERANI 1990, p. 313]. Per la Sardegna, non a caso si citano contributi di personalità iberiche: ARCE 1960, pur viziato dall’esaltazione dei tratti ispanici della cultura isolana; ELÍAS DE TEJADA 1960, che all’esaltazione aggiunge enfasi nazionalista, un tratto già visibile in TODA Y GÜELL 1890; tutti atteggiamenti in parte giustificabili di fronte alla tendenza anti-spagnola della passata storiografia letteraria italo-sarda. Principali convenzioni per la descrizione metrica § 6. Per la descrizione degli schemi metrici si adottano le convenzioni in uso nella metricologia italiana, con aggiustamenti personali necessari alla descrizione di alcune forme sarde. Negli schemi, ad ogni lettera corrisponde un verso e lettere identiche significano identità di rima; ad esempio: lo schema abba indica una strofa di quattro versi con identità di rima al primo e quarto verso e al secondo e terzo verso. Con lettere minuscole si indicano versi di misura inferiore al decasillabo, con le maiuscole versi di misura superiore al novenario: la misura dei versi è sempre chiarita contestualmente. Laddove non vi siano indicazioni contestuali, la misura dei versi corti – chiarita a contesto solo quella dei versi lunghi – è indicata con un numero al pedice: a7Ba7B (i due versi in rima a sono settenari); quest’uso ricorre anche per quei metri che associano diverse misure corte: s’indica contestualmente la più lunga delle misure e si segnala al pedice la misura dei versi corti; ad es. lo schema abbc5 rappresenta una strofa di quattro versi composta da tre settenari (misura indicata contestualmente) più un quinario. Solo di rado si avrà la necessità di segnalare versi sdruccioli, nel qual caso si ricorrerà a una s posta al pedice: asbcsb indica una quartina (di settenari, indicati a contesto) con i versi dispari sdruccioli non rimanti e i versi pari piani fra loro rimanti. Riguardo alle canzoni torradas (con ritornello), con strofa introduttiva, detta pesada (al modo dell’estribillo spagnolo e della ripresa italiana), ripetuta interamente o parzialmente al termine di ogni strofa in cui si articola il componimento (tale ripetizione si nomina con torrada), si usano le ultime lettere dell’alfabeto: x y w z (una comoda convenzione nata in seno alla metricologia italiana e che non trova applicazione in quella spagnola). L’identità di verso, oltre che di rima, viene segnalata con un numero in apice: x1, y1. Ad es. lo schema: xyy1x1:abbaay:y1x1 si riferisce a un testo con una pesada di quattro versi a rima incrociata (xyy1x1) i cui ultimi due versi sono ripetuti al termine delle strofe; schema della pesada, della strofa e della torrada sono separati dai due punti [:]. La ripresa di parole-rima viene invece indicata con un numero in apice preceduto da segno meno: x-1. Guida alla lettura dei repertori § 7. Piuttosto che fornire un repertorio generale delle forme esaminate, si è preferito di volta in volta confezionare tavole relative a corpora circoscritti (singole raccolte o singole trafile manoscritte). Ogni repertorio riporta gli schemi del corpus esaminato in ordine crescente in quanto al numero di versi che compongono le strofe. Un altro criterio di ordinamento progressivo riguarda la successione alfabetica interna agli schemi rimici, ad es. la formula aba sarà seguita dalla formula abb ma preceduta da aab. Il modello strofico, sotto il quale possono andare più componimenti, è segnato dal numero in grassetto posto all’estrema sinistra del repertorio, sopra lo schema rimico espresso alfabeticamente. Si consideri il seguente esempio: 1 a ba bbx x y y1 x1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Palma in Cades fiorida Bull. 272 10; t. La prima riga, nella prima colonna, sotto l’indicazione del numero contrassegnante il modello [1], riporta la formula rimica delle strofe (ababbx). La prima riga, nella seconda colonna, riporta la formula rimica della strofa introduttiva (pesada: xyy1x1), ovviamente per quei componimenti che ne siano provvisti. La seconda riga, nella prima e nella seconda colonna, indica la misura dei versi (8 = ottonario). I casi di anisosillabismo si segnalano con barra obliqua che separa i due estremi dell’oscillazione sillabica: 8/9 indica un’oscillazione fra ottonario e novenario (se l’oscillazione non è compresa fra due soli valori, si segnala nella prima e seconda colonna il fenomeno più frequente e nella quarta colonna si dà conto di altri valori). La seconda riga, nella terza colonna, attribuisce un numero ad ogni componimento che ne individua la posizione entro il tipo cui appartiene. Segue nella quarta colonna l’incipit del componimento. La terza riga, sotto l’incipit, segnala la fonte o le fonti da cui è tratto il 26 §7 Régula castigliana testo (nell’esempio con l’abbreviazione dell’edizione moderna [Bull.] – esplicitata in testa al repertorio – seguita dal numero di pagina che riporta il componimento). La quarta riga dell’ultima colonna fornisce il numero delle strofe [11], escludendo dal computo la pesada descritta nella seconda colonna. La quarta colonna riporta: l’abbreviazione [t. = torrada] che indica, da sola, l’eventuale ripetizione dell’intera pesada a fine componimento, mentre è seguita dallo schema in caso di ripetizione parziale; altre indicazioni supplementari e, in particolare, la segnalazione di eventuali divergenze e/o irregolarità rispetto allo schema principale esposto sulla prima colonna, individuando con cifre romane la strofa contenente l’anomalia (vedi l’esempio prodotto sotto). L’identità di schema in differenti componimenti entro il medesimo tipo si indica con trattini. Es: 1 a ba bbx x y y1 x1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Palma in Cades fiorida Bull. 272 10; t. - - - - - - - - - - 2 Platanu virde holorosu Bull. 285 9; t.; abbaaxax1 (IX) Lo schema del testo n. 2 del tipo 1 (che presenta anomalia alla strofa IX) è identico a quello del testo n. 1. Quando i testi mostrano differenze che non alterano la struttura del modello principale, si preferisce, conservando i trattini, segnalare solo le varianti, marcando a sinistra con asterisco il componimento che le contiene. Es: 1 a ba bbx x y y1 x1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Palma in Cades fiorida Bull. 272 10; t. - - - - - - - - - - 2 Platanu virde holorosu Bull. 285 9; t.; abbaaxax1 (IX) §7 * Guida alla lettura dei repertori - - - - - y - - x1y1 3 En el cielo coronada Bull. 270 6; t. xyx1y1 [sp] - - - - - - - - - - 4 Noli plusquam lacrymare Bull. 282 8; abbaay (I) [lat+sd] 27 Il componimento n. 3 del tipo 1 riprende la rima y della pesada, a differenza del n. 1 che riprende la rima x. Varia anche lo schema della pesada che dalle rime incrociate passa a quelle alternate. S’intende che l’identità colonnare tiene conto di tali variazioni per i componimenti succesivi al n. 3, il n. 4 è pertanto di schema identico a quest’ultimo. Altri segni particolari usati nei repertori: † indica la presenza di lacune (una crux corrisponde a un verso) o l’assenza di elementi solitamente presenti nella struttura descritta. ø indica un verso irrelato. PARTE PRIMA Forme fisse d’hispanidad Capitolo primo La sesta torrada 1. Cantone torrada § 8. Con il termine torrada (‘ritornello’) si identificano nella tradizione sardo-logudorese le cantones (‘canzoni’) che, come dice il nome stesso, presentano un ritornello al termine di ogni strofa. Tre sono gli elementi essenziali che le contrassegnano strutturalmente: a) la strofa introduttiva, breve e più spesso tetrastica, chiamata pesada (o istérrida/istérria, oppure tema); b) lo sviluppo in strofe di varia misura e varia combinazione rimica, nelle quali l’ultimo verso (camba torrada, ‘verso di ritorno’) riprende una rima della pesada; c) la torrada, a seguire la camba torrada, cioè la ripresa della pesada o di uno o più versi di questa. I vari tipi di cantone torrada prendono il nome dal numero di versi che, escludendo dal computo la pesada e la torrada, compongono le strofe in cui si articola il componimento (dette anche mutos ma che non chiameremo in tal modo per non ingenerare confusione con l’omonima forma popolare rispondente a strutture proprie). Principalmente si hanno sestas (di sei versi) e ottavas (di otto versi), ma non mancano esempi di noinas o novenas o nonas (di nove versi, in uso soprattutto nella poesia gallurese con qualche ricorso in quella logudorese) e di deghinas torradas (di dieci versi, genere tardo-settecentesco poco attestato). La misura prevalente è l’ottonario, seguita in ordine di frequenza dall’endecasillabo (nella sola noina ricorre in prevalenza l’uso del settenario). Vediamo subito un esempio di sesta torrada [MADAU 1997 (1787), p. 202], nel tipo maggioritario con pesada e prima parte delle strofe a rima incrociata abbaay; rappresentiamo la struttura per la pesada e la prima strofa (per le abbreviazioni si consideri: ps. = pesada; str. = strofa; c.tr. = camba torrada; tr. = torrada). 32 §8 Régula castigliana ps. str. I c.tr. tr. II 1. 2. 3. 4. 5. 6. Lassami, amore, in sussegu, chi ses picinnu traitore: non bi jogo pius, amore, ca mi das colpos de cegu. x y y1 x1 Sun bellas sas artes tuas! Faghes de su bellu in cara, e mi trapassas insara su coro, e pusti ti cuas: mi l’has factu una olta, e duas; bene cognosco s’errore. Non bi jogo pius, amore, ca mi das colpos de cegu. a b b a a y y1 x1 §8 Si cheres chi eo ti crea chi tenzas de me ferizza; jetta a terra s’arcu, e frizza e cussa benda ti lea; ma si su jogu est pelea tenzo de jogare orrore. Non bi jogo pius, amore, ca mi das colpos de cegu. IV Creia s’amare jogu, e vido ch’est jogu seriu ch’esercitas tale imperiu chi passas totu a arma, e fogu, custu si narat disaogu? Ite at a esser su furore! Non bi jogo pius, amore, ca mi das colpos de cegu. VI Bellu est s’idolu chi adoro, amore, cando m’ispassas, cun risu in cara mi passas Picinnu amore inchietu, non ti chirco, vae, e joga cun chie cheres, e isfoga cantu ideas in secretu, lassami stare chietu, faghemi custu favore. Non bi jogo pius, amore, ca mi das colpos de cegu. [Lasciami stare, amore, tranquillo, | ché sei bambino traditore: | non voglio più giocare, amore, | ché mi dài colpi alla cieca. || Son proprio belle le tue astuzie! | Ti mostri con viso grazioso, | e mi trafiggi subito | il cuore, e poi ti nascondi: | l’hai fatto una volta, e una seconda; | ben conosco questa sventura. || Non voglio più giocare… || Prima avevo piacere | d’ubbidire al tuo cenno, | credendo che fossi un ragazzino | innocente e amorevole, | ma vedo che malizioso | m’hai trattato con severità. | Non voglio più giocare… || Se vuoi che io creda | che tu hai pietà di me, | getta a terra arco e frecce | e levati quella benda, | ma se il gioco è combattere, | ho paura di giocare. | Non voglio più giocare… || Credevo l’amore un gioco, | e vedo che è un gioco serio, | che eserciti un tale dominio | da passare tutto a ferro e fuoco, | questo lo chiami svago? | Cosa sarà il furore! | Non voglio più giocare… || Bello è l’idolo che adoro, | amore, quando mi fai felice, | ti mostri sorridente | e col pugnale mi trapassi il cuore, | va’ e cercati un Moro | che sia disposto a giocare. | Non voglio più giocare… || Amore bambino inquieto, | non ti cerco, vai, e gioca | con chi vuoi, e sfoga | quanto ordisci in segreto, | lasciami stare in pace, | fammi questo favore. | Non voglio più giocare…] L’altro tipo di sesta torrada, più raro e forma più antica, è quello con pesada e prima parte della strofa a rima alterna (la matura cantone torrada persegue infatti un principio simmetrico fra lo schema della pesada e quello dei primi quattro versi delle strofe, anche se avremo modo di notare casi asimmetrici). Si veda il seguente esempio anonimo di cui si riportano pesada e prima strofa [SPANO 1863a, p. 223]: ps. V 33 e cun pugnale su coro: anda, e chircati unu Moro chi appat de jogare umore. Non bi jogo pius, amore, ca mi das colpos de cegu. Innantis fia gustosu de t’obbidire a su cinnu, pensende chi fis picinnu innocent’e amorosu, ma ido chi maliziosu m’as trattadu cun rigore. Non bi jogo pius, amore, ca mi das colpos de cegu. III 1. La sesta torrada Passadas sas dies mias de mi poder allegrare, bazi in bon’ora allegrias, gustos lassademi istare. x y x1 y1 34 §8 Régula castigliana str. I c.tr. tr. 1. 2. 3. 4. 5. 6. Gustos, bazi e divertide sos ch’istiman sos cuntentos, cant’est de me ja idides chi mi nutrin sos turmentos, chircade divertimentos a chie bos poden gosare. Bazi in bon’ora allegrias, gustos lassademi istare. a b a b b y x1 y1 [Finiti i miei giorni | in cui allegro vivevo, | andate in pace allegrezze, | piaceri lasciatemi stare. || Piaceri, andate a sollazzare | coloro che amano le gioie, | cosa ne è di me lo vedete, | mi nutrono i tormenti, | chiedete divertimenti | a chi vi può godere. || Andate in pace…] Il termine pesada, al pari di molti altri termini metricologici sardi, si trova attestato per la prima volta nell’Ortographia sarda di Giovanni Spano [1840], laddove discorre della struttura della canzone isolana, la quale «consta di tre parti. PESADA ossia tema o esordio; MESU ossia narrazione, e FINIS ossia recapitolazione che mettesi nell’ultima stanza del componimento» [SPANO 1840, II, p. 19]. Nel precedente trattato di Madau [1787] la pesada è sempre definita perifrasticamente la «strofa che fa da capo» (al componimento). Il gesuita ozierese esprime una predilezione particolare per le canzoni torradas, portandole come esempio dell’armonia strutturale perseguita nel comporre dei sardi, dove la pesada è l’elemento centripeto dello sviluppo strofico: nelle Sarde poesie i primi versi fanno sempre da capo, perciocché contengono il tema, e l’argomento di tutto il poetico componimento, e gli altri, che seguono, uniti in distinte, e proporzionate strofe, sono come le membra, da esso capo dipendenti, e con esso si collegano con discorde accordo, or nella rima delle voci, ed ora nel senso delle parole, perciocché sono la chiosa del medesimo [MADAU 1997 (1787), p. 59] Il rapporto è non solo armonico ma anche proporzionato e misurato: Ora i versi, che nelle Sarde poesie fanno da capo [la pesada] soglion essere pochi di numero, ond’essi hanno una piccola stanza; epperò l’usanza de’ Sardi nel cantarle richiede, che i detti versi capitali sul fine di ciascuna delle stanze si ripiglino, non già solamente perché l’ultimo verso di quelle ri- §9 1. La sesta torrada 35 ma con questi; ma inoltre perciocché il senso del dett’ultimo verso d’ogni strofa dee accomodarsi al senso di quei del capo, i quali, se fossero molti, e di numero sproporzionato, nel ripetersi tante volte in una canzona, recherebbero noia in vece di diletto. [ID., pp. 59-60] Questi caratteri trovano riscontro nella grande fortuna dei metri torrados entro la tradizione poetica sarda, in seno alla quale si è sviluppata una sensibilità particolare per la circumlatio e per le figure ‘di ritorno’ che ha rispondenza nell’adagio Dogni cantone bona, torrat a sa pesada (‘Ogni buona canzone ritorna alla pesada’) [FERRARO 1891, p. 344] e nella variante che estende il principio alla generalità del fare poesia: ogni bonu poete torrat a sa pesada [MULAS 1902, p. 101]; la bontà del poeta si misura sulla capacità di torrare alla pesada. Leggere: il valore del poeta si misura sul saper comporre in metri torrados. 2. Cantone torrada e forme fisse § 9. La parentela della cantone torrada con la grande famiglia dei componimenti a ripresa o à refrain (con ritornello), affermatisi nella seconda metà del XIII secolo in tutta l’area romanza, è evidente. Siamo in un territorio che si estende dallo zadjal arabo-andaluso (in spagnolo zéjel) alla dansa provenzale e al virelai francese, dalla ballata italiana fino alla Spagna della canción medieval (cantiga) e del più tardo villancico. Qui non si potrà dare conto della intricata questione sopra l’origine di queste antiche forme che si comprendono convenzionalmente nella definizione di ‘forme fisse’ (basti ricordare che la tradizione critica si divide fra ‘tesi arabica’ e ‘tesi romanica’, la prima muovendo dallo zadjal e la seconda dalle sequenze liturgiche). Né crediamo se ne debba nel nostro caso dar conto: i dati metrici che avremo modo di esaminare nel presente capitolo depongono a favore di tempi e modi a noi più vicini, dove si potrà ragionare di rapporti con alcune delle forme fisse sopra indicate piuttosto che di relazioni sincroniche fra queste e le cantones torradas. 36 § 10 Régula castigliana 3. popolo Valorosu Capitanu de sa fide defensore, sias nostr’intercessore martyre Sebastianu. x y y1 x1 Sul significato originario dei termini goigs/gozos torneremo nel paragrafo 3.2 di questo capitolo. 1 1. La sesta torrada coro Sesta torrada, gosos e villancico § 10. Si è detto che la forma più diffusa di cantone torrada è la sesta nei due tipi esemplificati all’inizio del capitolo. Si adopera, scrive Giovanni Spano, «anche negli argomenti sacri che in sardo chiamano gosos (lodi), i quali sono il panigirico di un Santo o della Nostra Donna, esponendo in rima la vita ed i miracoli» [SPANO 1840, II, p. 24]. La maggior parte dei gosos conservatici sono infatti composti in sesta torrada, e rappresentano le più antiche testimonianze del metro, l’origine del quale ci pare dunque connessa all’uso di tali canti. I gosos sono canti religiosi composti prevalentemente in lode della Vergine, di Cristo (ciclo di Natale, Passione e Resurrezione), dei Santi, e pertinenti anche ad altri motivi devozionali. Gosos è denominazione vigente nella Sardegna centro-settentrionale, figlia del castigliano gozos. Nel meridione dell’Isola vige il termine goccius, che rimonta al catalano goigs1 e, più precisamente, è prossimo alle varianti di alcune parlate, come quelle di Valls e Igualada o il minorchino (ALCOVER-MOLL 2006, alla voce Goig). Più raramente e in alcuni centri della Sardegna centrale, questi canti ricevono il nome di crobbes o grobbes, probabili forme metatetiche e rotacizzate del catalano cobles, plurale di cobla, ‘strofa’. Per comodità faremo riferimento a questo genere di composizioni usando il solo gosos; riduzione nient’affatto problematica, giacché formalmente non sussistono differenze fra gosos e goccius (mentre crobbes/grobbes è usato anche per altri generi metrici). L’esecuzione classica dei gosos prevedeva l’alternanza di cantori (organizzati a due, tre o quattro voci) e del popolo dei fedeli, secondo la modalità seguente [SPANO 1840, II, p. 24]: coro § 10 popolo A su Re Celestiale ses tantu caru e amadu ca pro te hamus logradu su remediu ad ogni male e ti veneran pro tale Narbon’, insigne Milanu. Sias nostr’intercessore martyre Sebastianu. 37 a b b a a x y1 x1 [Valoroso Capitano | difensore della fede, | che tu sia nostro intercessore | martire Sebastiano. || Al Re Celestiale | sei tanto caro e amato | perché grazie a te abbiamo ottenuto | il rimedio ad ogni male | e così ti venerano | Narbona e l’insigne Milano. || Che tu sia…] Risale al 1606 la più antica notizia sull’esecuzione di canti denominati gosos/gozos, nell’ambiente dei minori conventuali di Oristano con riferimento ai «goços de la Conceptión» [MELE 1989, p. 26]. Ai primi del Seicento è databile anche la parte del cosiddetto Codice di Nuoro, manoscritto in uso presso la locale confraternita di Santa Rughe (‘Santa Croce’; regola principiata nel 1579), che contiene il testo intitolato «Gosos qui si naran in su officiu dessos mortos» (‘Gosos da dirsi nell’ufficio dei defunti’). Tale confraternita, detta anche de sos Battudos, si deve considerare appendice isolana, sebbene non in linea diretta [VIRDIS 1986, p. 45], dei Battuti italiani (Disciplinati bianchi), con una prima sede forse già quattrocentesca a Sassari (il codice più vetusto recante la regola dei Battudos, in italiano, quello di Borutta databile al 1592, si dichiara copia di un perduto codice sassarese). Del testo nuorese trascriviamo la pesada, la prima strofa e la torrada finale che riprende per intero la quartina d’esordio (le strofe sono in tutto 14; integriamo la torrada che doveva eseguirsi al termine di ogni sesta, consistente dei vv. 3-4 della pesada, non trascritta dal manoscritto nuorese2): 2 Seguiamo per il testo TURTAS-ZICHI 2001, pp. 224-225; edizione diplomatica in VIRDIS 1986, pp. 250-253. Il Codice di Nuoro è conservato nella biblioteca di Raimondo Turtas, esperto in storia della Chiesa sarda. È un manoscritto miscellaneo con parti cinquecentesche e secentesche (descrizione in VIRDIS 1986, pp. 80-82). I Gosos qui si naran in su officiu dessos mortos occupano le cc. 63v-65v. 38 § 10 Régula castigliana ps. Trista die qui ispetamus sos qui in su mundu vivimus, cada die nos morimus et niente bi pensamus! x1 y1 y2 x2 str. I Considera christianu, custu mundu falçu e leve chi si passat tantu yn breve pius chi non su sonnu ynvanu chi beninde assu mangianu su ventu nos agatamus. [cada die nos morimus et niente bi pensamus!] a b b a a x y2 x2 Trista die qui ispetamus sos qui in su mundu vivimus, cada die nos morimus et niente bi pensamus! x1 y1 y2 x2 tr. tr. finale [Triste giorno che attendiamo | noi che nel mondo viviamo; | ogni giorno noi moriamo | e per nulla ci pensiamo! || Tieni a mente, cristiano, | questo mondo falso e lieve | che svanisce in tempo breve | non del sonno meno invano, | che svegliandoci al mattino | ci troviamo in mezzo al vento. || Ogni giorno…] Il testo espone limpidamente la struttura della sesta torrada, con pesada a rima incrociata (abba = xyyx), uno sviluppo in strofe di schema abbaax, cioè formate da una prima quartina a rima incrociata (abba, in simmetria con lo schema della pesada), un verso di chiave con rima a (abba-a) seguito da un verso con rima x (fissa in tutte le strofe) prelevata dalla quartina introduttiva (abba-a-x) che introduce la ripetizione della torrada, i versi terzo e quarto della pesada (abba-a-x-y1x1). Le confraternite, diffuse in tutto il territorio isolano, in particolare quelle dedite al culto della Santa Croce (Sardegna centro-settentrionale) e quelle del Rosario (Sardegna meridionale) [TURTAS 2001, p. 19], furono un importante veicolo della tradizione gosistica. Il segno profondo lasciato dalla loro attività può già essere misurato sulla recente sopravvivenza, in gran parte dell’Isola e in contesti extra-confraternali, dei Gosos de sa morte3, testualmente 3 Si segnala la versione registrata ad Orgosolo nei primi anni Settanta del secolo § 10 1. La sesta torrada 39 rispettosi delle strofe riportate dal Codice di Nuoro (messe in conto varianti ed omissioni dovute alla trasmissione orale-cantata, le quali peraltro costituiscono di per se stesse attestati di fortuna popolare). Quella delle cofrarias fu operosità non solo capillare ma anche coinvolgente a livello popolare, stando a quanto già il vescovo Ludovico Cottes relazionava nel 1547 al Consiglio dell’Inquisizione spagnola: Nella maggior parte dei paesi [sardi] c’è una confraternita intitolata alla Croce e che qui chiamano dei Battuti […] Ogni domenica nelle loro chiese particolari recitano gli uffici e tutta la gente dei villaggi va ad ascoltarli, non frequentando così la messa principale delle chiese (parrocchiali) [in LOI 1998, p. 73] Secondo la ricostruzione di Antonio Virdis [1986, pp. 49-51] la regola o officium dei Battuti sardi, traslata in logudorese e riportata in diversi codici, si sarebbe dapprima imposta nel nord dell’Isola, costituendo una tradizione sassarese-bisarcese (dal nome delle diocesi), diffondendosi poi a meridione con la formazione di una tradizione algherese-bisarcese-ottanese. Il repertorio gosistico, di cui progressivamente andò dotandosi la trafila manoscritta contenente il testo della regola, avrebbe quindi costituito un corpus poetico basilare nell’acculturazione poetica in Sardegna, processo ‘allargato’ in virtù della natura laicale delle associazioni. Intorno alla metà del Cinquecento e poi in periodo controriformistico, l’attività delle confraternite sarde, trovò ampio sostegno nei gesuiti giunti dalla Spagna. I missionari della Compagnia erano infatti soliti «non lasciare i villaggi dove avevano svolto la predicazione senza avervi prima fondato almeno una confraternita o, quantomeno, di aver dato nuovo vigore a quelle già esistenti» [TURTAS 2001, p. 18]. Il sorgere, nel 1579, della confraternita nuorese di Santa Croce si deve infatti al gesuita sassarese Giovanni Vargiu (ca. 1546-1605). Si tratta di un ampio fenomeno, legato alle direttive del Concilio di Trento, ben noto agli studiosi di storia culturale spagnola: «Si por un lado el Concilio encarga a los párrocos que se ocupen de la catequesis de scorso, riprodotta in: Coro del Supramonte di Orgosolo [Giuliano Corrias, Giovanni Lovicu, Pasquale Marotto, Giuseppe Munari, Nazario Patteri], Pascoli serrati da muri, a c. di Dario Toccaceli, Fonit/Cetra, LPP 244, 1974. 40 § 10 Régula castigliana sus feligreses, por otro se van a regular las cofradías, con el fomento de las devocionales frente a las meramente gremiales» [VICENTE 2007, p. 21]. Nelle missioni popolari della Compagnia i gosos costituirono uno dei principali strumenti di catechesi. Una limpida traccia che ribadisce la relazione fra l’uso delle cantones torradas e la diffusione di contenuti dottrinari da parte dei gesuiti è rappresentata da un testo conservato nel Canzoniere ispano-sardo (Canzis) della Braidense (1683; il ms. denuncia legami saldi con l’ambiente della Compagnia e consonanze con l’opera coeva di José Delitala y Castelví4), di cui trascriviamo la pesada e la prima strofa5: ps. str. I c.tr. tr. Cristos est lughe divina caminu de veridade, accudide a sa dottrina mannos minores de edade. x y x1 y1 Iscamos sos cristianos, de chi semus obligados a sos precettos sagrados, obbedire meda ufanos imparende a sos paganos e gentiles cristianidade. Accudide [a sa dottrina mannos minores de edade] a b b a a y x1 y1 [Cristo è luce divina, | cammino di verità, | accorrete alla dottrina | grandi e piccoli d’età. || Che si sappia noi cristiani | – dacché siamo obbligati | ai sacri precetti – | obbedire molto lieti | insegnando a pagani | e gentili l’esser cristiani. || Accorrete…] 4 José Delitala y Castelví (Cagliari 1627-1689) autore della raccolta poetica Cima del Monte Parnaso Español (1672), sedicente continuazione dell’opera quevediana; ora DELITALA Y CASTELVÍ 1997 (riproduce i testi poetici con immotivata esclusione di tutto il peritesto dell’edizione originale). Per i raffronti fra la Cima e il Canzis il rimando va a ACUTIS-BERTINI 1970, p. 372 e, con particolare riguardo, alle pagine di Tonina Paba in CANZIS 1996, pp. 16-26. 5 CANZIS 1996, pp. 321-322; confrontiamo sul ms. e ammoderniamo graficamente. Il testo è preceduto dalla dicitura «COPLAS SARDAS», consta di 14 strofe (integriamo la torrada su indicazione del ms. attraverso il solo «Accudide &c.»). § 10 1. La sesta torrada 41 È ancora una sesta torrada in ottonari, che presenta la variante con pesada a rime alterne (xyx1y1), uno sviluppo in strofe di schema abbaay, chiuse dalla torrada (x1y1). Il testo s’attaglia perfettamente a quanto Francisco Antonio (portoghese) racconta della comunità gesuita di Sassari nel 1560: si incominciò a insegnare ai fanciulli la dottrina cristiana in castigliano dopo averli chiamati lungo le strade della città con un campanello […] facendo loro la solita esortazione sulla dottrina cristiana, secondo il costume della Compagnia; allo stesso tempo, il p. Spiga [cagliaritano] insegnava la stessa dottrina in lingua sarda agli adulti, uomini e donne insieme in una parrocchia vicina. [TURTAS 2001, p. 13; fonte MONUMENTA HISTORICA SOCIETATE IESU, Lainii monumenta, I-VIII, Madrid 19121917, IV, pp. 105-110] Intorno a questo modo di procedere abbondano le testimonianze coeve relative alla Spagna. A Segovia, nel 1559, i gesuiti: Cada fiesta van dos o tres de casa por las calles juntando con una campanilla los niños, y cantándoles públicamente la doctrina cristiana. Y por ser en este pueblo cosa tan inusitada, o por mejor decir nuna vista, que personas religiosas se abajen a esto, edíficase mucho la gente y consuélase parándose a las ventanas, y dando gracias al Señor por lo que ven.6 Tutto il Cinquecento spagnolo vede una vasta attività di catechesi popolare affidarsi allo strumento di canti in cui si enunciano basilari contenuti di dottrina cristiana. È del 1546 la Suma de toda la doctrina cristiana en coplas di Andrés Flórez, con canti provvisti di notazione musicale che si rivelano contrafacta di melodie preesistenti, una delle quali servita al villancico (devozionale) No la debemos dormir del Cancionero de Uppsala [VICENTE 2007, p. 6]. Alla Suma, espressamente composta «porque con suavidad y sabor los niños canten esto: y olviden muchos malos cantares», come si legge nel frontespizio, fece seguito la Doctrina que se canta di San Juan De Ávila (1554): «texto popularísimo en su época» [ID., p. 9]. 6 Riportato in VICENTE 2007, p. 18 (che rinvia a ASTRÁIN 1905, p. 523); contributo che raduna altri riferimenti consimili d’ambito iberico, relativi alla fine del Cinquecento e ai primi anni del Seicento. 42 § 10 Régula castigliana Da qui alle azioni d’ambito gesuita che abbiamo visto per la Sardegna il passo è breve. Gesuiti furono, ad esempio, due allievi dell’Ávila, Diego de Guzmán e Gaspar Loarte, che si distinsero in un’opera di catechesi popolare basata sull’apprendimento di «coplitas devotas» da cantarsi «por las calles». E si conosce una stampa valenzana (1574) della Doctrina christiana que se canta Oydnos vos por amor de Dios. Añadida agora de nuevo, y mejorada de un villancico espiritual «que es prácticamente idéntica a la cartilla de Ávila» [ID.: p. 15]. Il Canzoniere ispano-sardo conserva un altro pezzo di carattere e contenuto dottrinari, Custu est su caminu divinu [CANZIS 1996, pp. 325-327], identico nello schema al già citato Cristos est lughe divina (ne riportiamo la pesada e la prima delle otto strofe in cui si svolge)7: ps. Custu est su caminu divinu caminu de salvacione. x1 y1 str. I O mortales inganados, istadenos como atentos: sos gustos, sos vanos ventos sos tesoros sun sumados o gosos imaginados pienos de tribulacione. Custu [est su caminu divinu caminu de salvacione] a b b a a y x1 y1 c.tr. tr. Ebbene, va segnalato che la sua pesada distica è traduzione letterale (e a ciò si deve l’inedita misura novenaria) dell’estribillo intercalato a un romance rimato8 che si legge in Romancero y cancionero sagrados 1855, p. 250. Riportiamo per completezza d’informazione i primi tre mandamientos del testo in castigliano (vv. 1-2 e 15-26)9: Per il trattamento testuale si veda la precedente nota 5. Si tratta di una modalità diffusasi nella poesia spagnola a partire dal Cinquecento [NAVARRO TOMÁS 1956, p. 239]. 9 Non ci è riuscito di rintracciare la fonte primaria citata dal curatore della raccolta del 1855 («Devocionario espiritual de Ambéres, sin portada, en 8.°»). 7 8 § 10 1. La sesta torrada 43 Este es el camino divino, camino de la salvacion. En las cumbres de Sinai, que en medio de Arabia son, venido de las alturas, ha sonado un gran pregon. Este es el camino divino, camino de la salvacion. Pregónase desde el aire con voces de admiracion; al tenor de lo que dice pido tengais atencion. Este es el camino divino, camino de la salvacion Yo soy Dios, que te ha sacado del poder de Faraon: a dioses, fuera de mí, no harás adoracion. Este es el camino divino, camino de la salvacion. Honrarás mi nombre santo con grande veneracion. Santificarás las fiestas Con el cuerpo i corazon. Este es el camino divino, camino de la salvacion. I riferimenti testuali e storico-culturali fin qui forniti possono già essere ritenuti importanti nello spiegare le ragioni che avrebbero portato alla fortuna isolana del genere gosistico e alla, riteniamo, conseguente popolarità delle forme torradas nella prassi poetica sarda. Risulta dai gosos «una religiosità tipica di quella situazione che viene chiamata “stato di cristianità”» [RUZZU 1977, p. 95; rifacendosi a Laloux, Introduzione alla sociologia religiosa, 1969] situazione in cui «il cristianesimo diventa coestensivo alla società occidentale» e «la pratica religiosa diventa quasi unanime» ed «essendo la massa dei cristiani incolta e vivente in condizioni misere, il clero adatta la presentazione delle credenze e la disposizione delle pratiche religiose ad un livello popolare» [ID., p. 96]. La Sardegna posttridentina contempla benissimo una siffatta dinamica, dove la pervasività della Chiesa – fra iniziative gesuitiche di matrice castigliana 44 § 10 Régula castigliana e appendici confraternali – avrebbe consentito anche il diffondersi di modelli poetico-espressivi a livello popolare. Non si spiegherebbe, se non con un’effettiva assenza di canti riconducibili, da un udito iberico, a modelli noti – se non altro strutturalmente – l’osservazione che il già citato Francisco Antonio affidava alla sua relazione dal Collegio di Sassari (1563): in quest’isola è molto usato un certo tipo di canzone rozza, grossolana e senza senso (canción rústica y grosera y de ningún sentido), ma ora, sia di giorno che di notte, per le strade non si sente altro se non la dottrina cristiana e alcune strofe (coplas) [in TURTAS 2001, p. 13; fonte primaria: ARCHIVIUM ROMANUM SOCIETATIS IESU, Sardinia, 13, 229r] Fatti pure i conti con la propensione nel gesuita a mettere in risalto i risultati positivi della propria missione, s’impone comunque in tutta la sua evidenza un dato morfologico che depone a favore di una infiltrazione cinquecentesca delle strutture torradas attraverso composizioni castigliane: la sovrapponibilità dei gosos, quindi della sesta torrada, alle forme del villancico spagnolo. Il repertorio allestito da Ana Maria Gómez Bravo [1998] (Repertorio métrico de la poesía cancioneril del siglo XV), che purtroppo non ha emuli e precedenti in relazione a periodi successivi al XV secolo, per noi più interessanti, conta già 497 esempi di strofa in ottonari abbaax:x1 (n. 718). Si veda un «villancico» di Antonio de Lo Frasso [1573, p. 256], che nella struttura rivela subito, a colpo d’occhio, perfetta identità con la sesta torrada a schema incrociato: cabeza Tanto te miran mis ojos Amor, que quando me miras, en tal fuego me retiras que muero en dosmil enojos. x y y1 x1 estrofa Muero quando yo te veo Que no hay pensar en mi Por questoy tanto en ti Que me consume el desseo, y pues por ti lo posseo no me des tantos abrojos en tal fuego me retiras que muero en dosmil enojos. a b b a a x y1 x1 represa § 10 1. La sesta torrada 45 Notata l’identità di schema, non sorprende che in Sardegna, in relazione alla cantone torrada, e in particolare alla sesta, non sia stato usato il termine villancico. Quest’ultimo ha infatti un ampio raggio d’azione e, senza contare le applicazioni d’ambito musicale, spesso è riferito al solo estribillo delle canzoni (la pesada sarda)10. Difatti, l’intenzione originaria, quattrocentesca, del villancico è di ambienti colti, prendendo spunto autori letterati da brevi strofe popolari (origine cui si deve il termine stesso) – il più delle volte di tre o quattro ottonari, con strutture: abb, abba, abab – e sviluppandone l’assunto in composizioni di varie forme, fra le quali si annovera il tipo corrispondente alla sarda sesta torrada (abbaax/y). Il termine non ha quindi, storicamente, univoca valenza tecnico-formale. Ne Los diez Libros de Fortuna d’Amor di Lo Frasso [1573], coeva alla probabile fortuna nell’Isola dello schema del villancico, il termine compare appena quattro volte11 a designare una struttura ripetutamente usata nel romanzo ma altrimenti nominata «redondilla» e più frequentemente «cancion», secondo un uso spagnolo comune e dal momento che si tratta sempre di poesia per il canto, com’è per le forme sarde (difatti: cantones). Nell’esempio poetico sopra prodotto, è evidente che il termine villancico sia servito, in opposizione a canción e redondilla, a qualificare la (palese) fattura popolare del tetrastico iniziale, riusato come cabeza del componimento. Nel contemporaneo (1583) manoscritto madrileno Cancionero de Poesías varias canzoni di struttura xyy1x1:abbaay:y1x1 ricevono il nome di letra (altro sinonimo per cabeza) oppure vanno semplicemente sotto la denominazione di coplas12. Pertanto, ritengo necessario avvertire che qui con villancico intendo l’istituto formale già illustrato – articolato in cabeza, estrofa e represa – così come occorre nella più accreditata metricologia spagnola [NAVARRO TOMÁS 1956; BAEHR 1962; QUILIS 1968; DOMÍNGUEZ CAPARRÓS 1999 e 2000] 10 Quest’uso è vivo anche nella letteratura scientifica sull’argomento: la monografia sul villancico SÁNCHEZ ROMERALO 1969 riguarda l’esame del solo estribillo. 11 Componimenti: Di Bras que te tiene muerto, pp. 242v-243r; Tanto te miran mis ojos, p. 256; Ojuelos graciosos, p. 315r; Soys tan cruel omicida, p. 339. 12 Cancionero varias (ediz. 1986), nn. 42/43 (l’edizione attribuisce un numero alla cabeza e un numero allo sviluppo in strofe); 29/30; 135/136. 46 Régula castigliana § 11 Di argomento soprattutto amoroso e di fattura inizialmente popolareggiante, non popolare, il villancico servì già in madrepatria nel trattamento di argomenti sacri, convertendosi a lo divino («villancicos litúrgicos»: BAEHR 1962, pp. 321 e 325), e sotto questa forma sopravvisse al generale decadimento del villancico profano, rifugiandosi in espressioni devozionali paraliturgiche chiamate gozos13. Sotto questa denominazione furono appunto acquisiti in Sardegna i canti religiosi formati in sesta torrada. Per questa via, l’istituzionalizzarsi del metro nella poesia sarda fra i secoli XVII e XIX, unitamente al suo affrancarsi da usi e contesti paraliturgici con riappropriazione d’altre tematiche, specie amorose, inquadrano la tradizione sarda nella fase ulteriore di una plurisecolare circolazione fra popolare e colto nonché fra sacro e profano. Da moduli dapprima decaduti nella produzione colta ispanica – nella penisola iberica sopravvissuti in settori mediani e discesi a livello folklorico – la poesia sarda avvia un’elaborazione formale propria, destinata ad arrestarsi solo sulla crisi novecentesca della versificazione rimata. § 11. Si è detto che l’origine delle confraternite sarde dedite al culto de sa Santa Rughe (‘della Santa Croce’) s’individua sul fronte italiano, sebbene non si possa risalire alle prime fasi del movimento dei Battuti. Alcuni libri contenenti la regola dei Battudos sardi tramandano anche un gruppo di laude in italiano. Il codice di Nule (NL, 1616) ne riporta 7, testimoniate solo in questo libro. Ma già il codice di Borutta (BR, 1592) reca 3 testi in italiano di tipo laudistico, poi ripresi in altri libri confraternali14. Ne forniamo appresso il repertorio (per i testi seguiamo l’edizione diplomatica VIRDIS 1986). «Los villancicos religiosos, especialmente los de Navidad favorecidos por la música, quedaron en uso hasta entrado el siglo XVIII» [BAEHR 1962, p. 325]. Ma per la poesia popolare moderna NAVARRO TOMÁS [1956, p. 540]: «Alguna vez el villancico se canta en su plena forma antigua, con estribillo, mudanzas, enlace y vuelta, abba : cddc : ca [tradotto con il nostro sistema simbolico: xyyx:abbaax; la sesta torrada] como se ve en Milagros de San Antonio, entre las canciones castellanas colleccionadas por Shindler, Folk music, pág. 95» (purtroppo non si è potuta consultare la fonte). 14 O vera croce nostro Salvatore è contenuto anche nei codici di Bonnanaro (BN, 1619) e di Torralba (TR, 1763); Noi ti pregamo Jesu Christo I (contrassegnata con numero romano per distinguerla dalla composizione con medesimo incipit presente in NL, 13 § 11 1. La sesta torrada 47 LAUDE ITALIANE - SANTA RUGHE REP. A BN: cod. di Bonnanaro (1619) BR: cod. di Borutta (1592) NL: cod. di Nule (1616) TR: cod. di Torralba (1763) Virdis: VIRDIS 1986 1 A A A X X X 11 11 11 11 11 11 O vera croce nostro Salvatore BR; BN; TR (Virdis 159) 10; AABX (I; II; V; VII; X) 2 a bby x x y x 7/8 8 8 8 8 8 8 8 Laudatto cristo sia III NL (Virdis 191) 9; aaay (III); abcy (IV-V) 3 a bby 8/9 9 9 9 x y z w 9 9 9 9 Noi ti preghiamo Jesu Christo II NL (Virdis 201) 8; abab (I-III; V); abbb (II); abaa (VII); abcy (VIII) 4 a ba ba bby x y z y 7/8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 a bc bbddy x y x y 8/9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 9 Laudatto Christo sia I BR; BN (Virdis 170) 5; abacaccy (II); abababbc (III) 5 Noi ti pregamo Jesu Christo I BR; BN (Virdis 172) 6; ababbccy (V-VI); 8/9 valori più frequenti, ma da 7 (con sospetti senari) fino a 11 lo stesso si dica per la seguente) sta anche in BN; Laudatto Christo sia I sta anche in BN; stesso incipit, ma strutture diverse, hanno due testi di NL (contrassegnati con II e III). 48 § 11 Régula castigliana 6 a1 b b y c y z1 y1 x y x y 7/8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 Dio ti salue sancta croçe NL (Virdis 193) 13; a1bby1+z1y1 (I); a1bcy+z1y1 (II); a1ybycydy+z1y1 (IV); a1bby+z1y1 (V-VI); a1bbcydy+z1y1 (VII); a1bbycycy+z1y1 (VIII); a1bbccy+z1y1 (XIII) 7 a bbc bbby x y x y 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 a ba bbc c y x1 y x y 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 Venitte tuti a la croce NL (Virdis 196) 3; xabcdccy (I); abcdefgy (II) 8 Quando te vidi ferire NL (Virdis 197) 6; x1axbacdy (I); ababbcdd (II); abcbbccy (IV); ababcddy (V); ababbcx1y (VI) 9 a bby c y x y z y 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 A qui demo laudare NL (Virdis 199) 12; abcbdy (I-II); abby (III); abcbby (IV); abbcde (V); abbybc (VII); abbbbyby (X); abby (XI); abbccy (XII) § 11 1. La sesta torrada tipo strofico fino alla codificazione guittoniana-iacoponica che darà alla lauda le forme della ballata [BELTRAMI 1991, pp. 86-87]. I testi si rifanno a schemi sempre differenti, laddove si avverta che è già un azzardo discorrere di ‘schemi’. Emerge piuttosto un amorfismo strutturale che ha determinato l’affollarsi di eccezioni nell’ultima colonna a destra del repertorio. E anche parlare di eccezioni non è del tutto appropriato, quando tali possono definirsi solo rispetto a soluzioni strofiche lievemente maggioritarie nel componimento (indicate nella prima colonna) e quand’anche non si dànno in vari casi nemmeno schemi maggioritari all’interno del singolo testo ma si è dovuta operare una scelta in base allo schema che rispetto a quello di altre strofe mostrava un maggior grado di modellizzazione. Ne risulta, insomma, un corpus segnato morfologicamente da grave imperizia. Per metà delle sue dieci strofe, esclusa la ripresa XX, il testo O vera croce nostro Salvatore (Rep. A: 1) testimonia sicuramente il tipo zagialesco (AAAX), smentito però dall’altra metà delle strofe (AABX), come si può già vedere nelle prime quattro15: ripresa O vera Croce nostro Salvatore per voi si salva dogni pecatore X X str. I Voi che portasti li grandi presenti Christo signor dio omnipotenti stesi li brazi tuti insanguinati Sustene morte per li pecatori A A B X II Honorata croce de lo bello colore de lo precioso sangue de nostro Senore grande dolore nabi la sua matre hella avocata de li pecatore A A B X III Ave Maria virgine pura grande dolore sentisti in qella ora Quando vidisti quella lanza iscura Dentro de lo latto di nostro Señore A A A X 10 a bbc c x x1 x2 y x ø y y x 7/8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 Laudatto christo sia II NL (Virdis 188) 11; x1x2wxwxøx (I); abcbdx (II); xyxyyx (III); abbcccx1 (V); abbxbx1 (VI); abbccx1 (V-VIII); abbxc† (IX) L’esame del corpus pare rispecchiare la varietà metrica propria della produzione laudistica delle origini: non riferibile ad un preciso 49 15 Seguiamo il più antico BR (1592), ricostruito attraverso le varianti riportate in VIRDIS 1986, p. 161. 50 § 11 Régula castigliana IV Nulla persona lu porria contare li miey dolori e li miei grande male Quando lo vidi nudo et rispolliare Pieno de piague e de grande dolore A A A X Riguardo agli altri componimenti si osserva una condizione magmatica, uno scarso livello di formalizzazione che non può non trovare spiegazione nella poca familiarità che i confratelli dovettero avere con questa qualità di testi, lontani residuati delle origini italiane della congregazione se non, nel caso della tarda e isolata attestazione del codice di Nule, tentativi seriori di riconnettersi alla linea italiana attraverso le associazioni romane del Gonfalone. L’assenza di una tradizione formale che rimonti a questi modelli è d’altronde prontamente verificabile, dal momento che non si rintracciano, fra quelli repertoriati, schemi che abbiano influito nella prassi poetica isolana, sacra come profana. La distanza degli schemi italiani dal sistema dei gosos e quindi della sesta torrada è notevole. Un solo testo (il tipo 4 nel Rep. A) manifesta un più alto grado di omogeneità nello schema strofico, e infatti se ne ha una versione sarda in un canto confraternale di San Vero Milis [CARIA 1981, pp. 159-160] (la fonte non precisa di quale confraternita), con pesada xyyx e quattro strofe (il testo sardo ignora la strofa II di quello italiano), però la struttura, tentando lo schema del modello italiano nella strofa I, subito s’acconcia nelle altre strofe allo schema dell’ottava torrada (ababbccx), il quale dovrebbe rinviare, come per la sesta torrada, a modelli castigliani (§ 19)16. BORUTTA SAN VERO MILIS Laudatto sia christo Ela virgine maria e tuti li soi santi con la dolce conpagnia O devota cunfraria nara cun coro umiliadu Cristus siat laudadu e sa Virgine Maria. Il testo segue il libro della confraternita di Santa Croce di Borutta (BR 1592), lacunoso e qui integrato, fra parentesi quadre, con la versione del libro di Bonnanaro (BN 1619), copia di quello di Ossi (OS) non conservato. 16 § 11 1. La sesta torrada Sempre sia laudatto Jesu Xto Salvatore lo qual fu crucifissato per salvare li pecatori Dassemo ogni pecato per lo suo dolce amore [E siamo suoi servitori laudandolo tutta via] Semper siat laudadu Gesu Cristu Redentore qui fuit crucificadu pro salvare su peccadore; lassemus dogni peccadu servamus a su Signore cum bona contrizione laudemus in dogni dia. O sempre sia laudata La madre vergine maria chi ha nra Advocata davanti di dio padre ogni pecatore ayuta [che a se si vuole tornare] hor que li piaza pregare per questa compagnia Laudemo li santi Angeli qui servano lo senore e li benedeti Arcangeli Gli yspiriti pien damore chi cantano li dolci canti laudando lo creatore or li piacia di pregare per tutti li pecatori Laudemus sos santos anghelos qui servint a su Signore Serafinos et Arcangelos, Spiritos pienos de amore qui laudant su creadore cun dulques et soaves cantos sempre nande: santos, santos, versos dignos d’allegria. Laudemo humilmente Li patriarqui gloriosi che a dio fiorno hobediente con gran fede e piatosi or pregate per noi devotamente li padri virtuosi che li cori siano disposti a seguire la dritta via Laudemus umilmente soso padres santos dottores: de Deus onnipotente no alcanzene favores; martires et cunfessores profetas et patriarcas, devotos santos e santas soade nos amparu e ghia. Laudemo con riverentia Li proffeti dal cielo mandati chi havevano gra sapientia dalisiritu santo illuminati da quella forte sententia per lor siamo scampati e in cielo siamo accompagnati in la loro conpagnia. Laudemus cun riverentia a sos santos cun amore qui istant in sa presentia de su supremi Signore: alcanzade nos favores de cussa lughente sorte et in s’ora de sa morte nos fetades cumpagnia. 51 52 § 12 Régula castigliana § 12. Contrariamente a quanto è dato osservare circa la forma delle laude italiane contenute nei codici delle confraternite di Santa Croce, questa stessa tradizione manoscritta rivela una sicurezza pressoché assoluta nel maneggiare la struttura del villancico (sesta torrada) nei testi redatti in sardo. Tale dato appariva già evidente nei nuoresi Gosos qui si naran in su officiu dessos mortos di cui sopra si è dato un esempio (§ 10), ma è osservabile nel complesso della produzione gosistica dei Battudos, come si può subito notare nel seguente REP. B. § 12 * - - - - - - x1 y1 y2 x2 6 Trista die qui ispetamus NR (Virdis 250) 14; t. x1y1y2x2 * - - - - - y - - y1 x1 7 Altissimu Redentore BT (Virdis 232) 11 - - - - - - - - - - 8 Beniñu dulque Señore BT (Virdis 235) 6 - - - - - - - - - - 9 Fonte de immensa piedade BT (Virdis 237) 10 - - - - - - - - - - 10 O sole qui das albergu NL (Virdis 185) 9; ab†bbx (III) - - - - - - - - - - 11 O tormentu insuportadu NL (Virdis 213) 7 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 12 Et prite inclavadu BT (Virdis 240) 20; axaxxy (I); xyxyyy1x1 (II); abab†y (V) a ba bbx bx x y y x 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Lignu santu veneradu I BR (Virdis 166) 12; ababbxcx (III); ababbxax (IV); ababaccx (V-VI); abcxxddx (VII); abcbbddx (VIII-IX); abcbbccx (X); abcbbxbx (XI); abbaaccx (XII) - - - - - - - - x1 - - - 2 O suave sacramentu NL (Virdis 203) 9 GOSOS SARDI - SANTA RUGHE REP. B BN: cod. di Bonnanaro (1619) BR: cod. di Borutta (1592) BT: cod. di Bottida (1714) NL: cod. di Nule (1616) TR: cod. di Torralba (1763) Virdis: VIRDIS 1986 1 * * a ba bbx x y y x 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Cun tristura, et agonia TR (Virdis 162) 11; aa1a1bbx (II) - - - - - - x1 y1 - - 2 Contempla coro induradu NL (Virdis 223) 20 - - - - - - † † † † 3 Cun dolore e linba canta NL (Virdis 208) [8]; ms. lacunoso, testo dalla str. V - - - - - - † † † † 4 [Destruide dogni guerra] NL (Virdis 214) [8]; ab†bby (I); acefalo, nel ms. di seguito a O tormentu insuportadu - - - - - - - - y1 x1 5 Apartadi de peccare BT (Virdis 229) 10; abbaax (I, IV); abbbbccx1 (VII: v. 5 anticipato al v. 3); ababbxbx1 (VIII) 1. La sesta torrada * 2 * 53 54 * § 12 Régula castigliana - - - - - - - x1 - - - x1 3 Narade prite señore NL (Virdis 220) 10; abbaaccx (I; III); ababbxax (VII) - - - - - - - - - - - - 4 O anima dolorosa BR (Virdis 178) [8]; ms. lacunoso dopo la str. IV; abab†xbx1 (II); aba††††† (IV); †††††xbx1 ([V]) - - - - - - - - - - - - 5 Quale pius mama penosa NL (Virdis 210) 10; ababbxx1 (II); abbxbyx1 (V); ababbxbx (X) - - - - - - - - - - - - 6 Quanta afflitta & congogosa NL (Virdis 217) 10 a bba a x a x x y y x 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Cale es su coro induradu BT (Virdis 245) 15 x a a x x b b x1 x y y x1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 3 2 Virgine santa obumbrada BN (Virdis 175) 8; xaaxxaax1 (I); xaaxxyyx (III-IV) § 12 x y y x 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 O’ superbu inpertinente qui sensa isquire te rues, regorda qui ses de piuer et quisina de niente. x y y1 x1 str. I Regordadi qui istetisti de limu et terra formadu et sos donos qui recisti de cuddu qui t’at criadu, lassa lassa su pecadu et su biver malamente et pensa qui se’ piuer et quisina de niente. a b a b b x y1 x1 str. II Lassa sa pompa mundana et cuddos torpes regalos pro qui a s’anima si dana milli dispiagheres malos como qui has tempus reparalos in bivir honestamente, c d c d d x Lignu Sanctu Veneradu II NL (Virdis 206) 5; ababbccx (II); ababbxbx (III); ababaxax (IV); abbaaccx (V) Il corpus dei 21 gosos sardi di Santa Rughe – una tradizione che occupa più di un secolo e mezzo – presenta un elevato rigore strofico17 Non ci si deve curare di guasti materiali (1:3,4 [manca la pesada]; 2:4) e ovviamente delle (poche) mende per omeoteleuto che variano erroneamente la struttura (1:5). 17 55 e un’adesione nettamente maggioritaria all’uso dello schema in sesta torrada, con rime alterne nelle strofe e incrociate nella pesada: che è da considerarsi il tipo più arcaico. Un caso d’indecisione, lasciata la malconcia e vetusta Lignu santu veneradu del codice di Borutta (BR; 2:1), si ha nelle «Cobles sardas de Sancta Rughe» di NL (Lignu Sanctu Veneradu, 3:1), riconducibili al tipo 2 (vedi appresso) ma con ricorsi di quella che poi sarà l’ottava torrada (str. II: ababbccx; str. V: abbaaccx; cfr. § 19), secondo un polimorfismo visibile anche in Narade prite señore (2:3). Lo stesso codice di Nule (NL), recante le sette sconquassate laude italiane, si mostra fra i più attenti e competenti nel maneggiare lo schema del villancico, una variante del quale è testimoniata nei componimenti di tipo 2 (cui si riconducono quelli di tipo 3) con strofe ababbxax, secondo una forma, poi decaduta, che vede la ripetizione dello schema dei due versi che chiudono la sesta, ottenendo una strofa di otto versi. Un bell’esempio di questa struttura si trova nel Canzoniere ispano-sardo (1683), il quale mostra molto bene la confidenza fra i tipi 1 e 2, iniziando col primo (strofa I) e scolorando nel secondo (strr. II-VI) [CANZIS 1996, pp. 328-329]: 4 a ba ba x bx 1. La sesta torrada 56 § 12 Régula castigliana sos peccados cunfessalos contritu et humilemente. Regorda qui ses de piuer et quisina de niente. § 12 1. La sesta torrada d x y1 x1 str. XIV [Oh superbo impertinente | che incosciente cadi nel peccato | ricorda che sei di polvere | e di inutile cenere. || Ricordati che fosti | formato da terrra e fango | e che i doni ricevesti | da colui che t’ha creato, | abbandona il peccato | e il viver malamente | e pensa che sei… || Abbandona la vanità mondana | e quei turpi regali | per i quali all’anima si danno | mille cattivi dispiaceri | finché sei in tempo risarciscili | col vivere onestamente, | confessa i peccati | contrito e umilmente. || Ricorda…] I testi di Santa Rughe offrono poi un’ulteriore elemento di connessione fra la struttura della sesta torrada e il villancico. Mi riferisco alle strofe di Et prite inclavadu, contenute nel codice di Bottida del 1714 (REP. B, 1:12), dove si ha una sesta in senari. I versi hanno una struttura dialogica: il popolo interroga Cristo in croce che risponde (riportiamo la pesada, la prima e la quattordicesima strofa)18. str. I Et prite Inclavadu segis Redentore. Pro te pecadore so cruçificadu. x y y1 x1 Et prite in sa Rughe segis inclavadu manquende sa lughe in testa inclinadu prite insa[n]bentadu a b (x) a b (x) b (x) 18 Si riporta il testo secondo il manoscritto con lievi aggiustamenti e poche integrazioni. La torrada è ricostruita sulla base delle indicazioni originali al termine di ogni strofa: «Pro» o «Pro te» indicano una torrada da eseguirsi nell’ordine normale (terzo e quarto verso della pesada); «So» o «so cru» significano che la torrada principia col quarto verso cui segue il terzo. È un esempio di quello che chiamerei componimento con torrada bortada (‘rivoltata’), non del tutto isolato poiché se ne trova un’applicazione più rigorosa fra i gosos dell’Index libri vitae (1736) di Giovanni Delogu Ibba (Pro Christos à fita fita, DELOGU IBBA 2003, n. XXXIV). Tale procedimento, che implica – anche se in maniera incostante in Et prite inclavadu – un’alternanza di rima x e y al sesto verso della strofa, consente di rendere più mossa la sesta torrada nei suoi elementi strutturali ricorrenti. Una moderna esecuzione di Et prite inclavadu si può ascoltare nel CD del TENORE E CUNCORDU DI OROSEI, Voches de Sardinna (910 023-2), Winter & Winter, München 1998. segis Redentore. So [cruçificadu pro te peccadore] y y1 x1 Postu insa Coluna se migia et ses quentas sensa culpa alguna cun falsos intentos pro esseren contentos azotas mi han dadu. Pro te [peccadore So cruçificadu] a (x) b a (x) b b x x1 y1 57 [(Popolo) E perché inchiodato | v’hanno Redentore. | (Cristo) Per te peccatore | sono sulla Croce. || (Popolo) E perché sulla Croce | v’hanno inchiodato | mentre svanisce la luce | e la testa reclinate | perché insanguinato | siete Redentore. | (Cristo) Sono sulla Croce | per te peccatore. || (Cristo) Messo alla colonna | seimilaseicento, | senza alcuna colpa | con falsi giudizi | perché fossero soddisfatti, | frustate m’han dato. | Per te peccatore | sono sulla Croce.] Il senario è una misura rara nella poesia d’espressione sarda (la cui presenza può considerarsi aumentata solo dalla frequenza del doppio senario nella poesia in campidanese), che compare in componimenti di tema religioso. Questa presenza si deve infatti all’altra possibilità mensurale, accanto all’ottonario, di formare il villancico spagnolo [BAEHR 1962, p. 322] e in particolare quello devoto legato ai cicli della Natività e della Passione. Non si finirebbe di riportare esempi castigliani di villancicos in senari, ma ci piace fornirne uno raffinato di Santa Teresa de Jesús (1515-1582) [riportato in BALBÍN 1962, p. 317]: Véante mis ojos, dulce Jesús bueno, véante mis ojos, muérame yo luego. Vea quien quisiere rosas y jazmines, que si yo te viere veré mil jardines; flor de serafines, 58 Régula castigliana § 12 Jesús Nazareno, véante mis ojos, muérame yo luego. Villancicos in senari sono attestati nel Canzoniere ispano-sardo (Corre, Gil, verás; Niño delicado; Soy gran pecador [CANZIS 1996, pp. 36; 39; 245]. Il primo di questi, rubricato «Los pastores del Nacimiento», ha avuto sicura diffusione in Sardegna, come evidenziano i dati riuniti da Tonina Paba [ID., pp. 38-39], che segnala versioni di Alghero e, in gallurese, di Aggius. Un suo influsso è poi avvertibile in popolari sestas torradas logudoresi in senari, come la Zeleste tesoro che Giovanni Spano riporta in una tarda e contaminata versione del sacerdote Giuseppe Pani vissuto nell’Ottocento [1863b, p. 30]: Zeleste tesoro d’etern’allegria, dormi, vida e coro, reposa, anninnia. str. II Dormi fizu amadu, dormi cun dulzura, non tenzas paura d’esser perturbadu, o Verbu incarnadu in sinu ’e Maria. [dormi, vida e coro, reposa, anninnia.] [Celeste tesoro | d’eterna allegria | dormi, mia vita mio cuore, | riposa, ninnananna. || Dormi, amato figlio, | dormi dolcemente, | non aver paura | d’essere disturbato, | oh Verbo incarnato | nel seno di Maria. | Dormi…] Altri esempi di attestazione settecentesca provengono da una delle più ricche raccolte manoscritte di gosos: il libro della confraternita dello Spirito Santo di San Vero Milis (1726-1727) di cui parleremo in questo capitolo al § 16. Sono i componimenti Hay dulque Figiu e Et prite Señore, i quali esibiscono strutture di ottavas torradas in senari (REP. E, 5: 3-4). § 13 1. La sesta torrada 59 3.1. Presunta italianità delle cantones torradas § 13. Le cantones torradas rappresentano forse il settore della metrica sarda che più ha sofferto, pur nell’esiguità dei relativi studi, di un paradigma interpretativo che può definirsi italianizzante. È questa la manifestazione di un atteggiamento mentale e culturale che vede la tendenza a proiettare la condizione storicamente ultima di italianità vissuta dalla Sardegna – prima con il regno sardo-piemontese (1718-1861), poi col Regno d’Italia fino alla nostra Repubblica – ad epoche precedenti, con una mossa antistorica che poteva trovare conforto nelle presenze pisana e genovese del XIII secolo. Ne è conseguita talvolta l’osservazione dei prodotti culturali sardi da un punto di vista unitario e, appunto, italianizzante che non ha però tenuto conto di una stratificazione culturale dovuta a una vicenda storica più articolata. Riguardo alla storia letteraria si deve individuare nell’ultimo quarto del Novecento, l’affacciarsi di uno sguardo nuovo, che si direbbe plurale e policentrico e che ci pare trovi espressione compiuta in queste parole di Pirodda: La Sardegna, sia per il suo maggiore isolamento, sia soprattutto perché ha gravitato alternativamente, e ogni volta con ripercussioni profonde, nell’ambito di differenti culture egemoni (pisana e genovese prima, poi catalana e spagnola, e infine piemontese e italiana) assai più difficilmente può essere integrata in un disegno articolato e differenziato sì, ma tendenzialmente unitario (com’è quello proposto da Dionisotti) della storia culturale della penisola. [PIRODDA 1989, p. 919]19 Aldiquà di questa prospettiva, a fare le spese del paradigma italianizzante è stata in particolare la letteratura ispano-sarda, trascurata di conserva allo scarso approfondimento e alla bassa stima rivolta all’eredità culturale iberica, fatta eccezione per la linguistica e per isolati contributi anche letterari. 19 Di recente, Marina Romero Frías [2006, p. 1] ha infatti posto queste parole di Pirodda in epigrafe ad un suo scritto intorno ai gosos/goccius: «He querido empezar con esta larga cita de Giovanni Pirodda porque evidencia la marcada especificidad y pluralidad de la literatura sarda, a pesar de que la tendencia generalizada es la de italianizarla por encima de todo». 60 Régula castigliana § 13 Il giovane Raffa Garzia, cagliaritano ma fresco di studi filologici veneziani, dava per scontata, nel suo primo lavoro Leggendo le giustiniane (1897) – raffronto fra la produzione di Leonardo Giustinian (1388-1446) e la poesia isolana – l’italianità della tradizione poetica sarda. Su questo sfondo, le forme metriche sarde che non gli riusciva di ricondurre a canonici schemi italiani venivano trattate alla stregua di bizzarre deroghe al modello nazionale. Per il Garzia di Leggendo le giustiniane la cantone torrada è la ballata italiana, e quando i conti non tornano, per via di componimenti sardi «dalla costituzione metrica speciale», la chiosa è eloquente rispetto all’idolum con cui lo studente s’appressava a questi studi: «Della ballata è quasi scomparsa la traccia; e non so a quale forma italiana si possano riferire» [GARZIA 1897, p. 104]. E sebbene il filologo in erba non sostenga una tesi su rapporti diretti fra forme sarde e italiane (anzi, allontana l’ipotesi di filiazioni dirette dalle canzoni di Giustinian [ID., p. 94]), si legge in queste pagine il problema di un orizzonte mentale dove per la Sardegna non si dànno referenti culturali extra-italiani e dove l’elusione del suo passato spagnolo suona quasi clamorosa. Qualche anno dopo (1901) sarà Giovanni Mari, metricologo per altro informatissimo [MARI 1899; 1901a; 1901b], a postulare l’italianità della metrica sarda e segnatamente dei sistemi torrados, in un articolo comunque denso e per diversi aspetti interessante [MARI 1901c]. L’equivoco è parzialmente scusabile per il fatto che Mari frequentò soprattutto la poesia gallurese (Sardegna nord-orientale), a mezzo fra cultura logudorese e ascendenze corse, quindi indirettamente toscane (la noina torrada in uso in Gallura si allontana dagli schemi del villancico), anche se si spinge ad allargare le proprie osservazioni all’intera realtà isolana. Ad ogni modo, l’atteggiamento dello studioso si condensa in un’asserzione che non prevede sfumature: «La canzone [torrada] quale è usata in Sardegna è un derivato genuino dall’antica canzone a ballo toscana» [ID., p. 203]. È chiaro che una voce così competente fondasse affermazioni tanto decise sopra l’analogia che corre fra la canzone a ballo (genere quattrocentesco che prende lo schema della ballata grande altresì detto barzelletta) e lo schema della cantone torrada, evidente nella celebre prova di Lorenzo de’ Medici (ed evidente nei pezzi del Giustinian che infatti avevano indotto Garzia a comparazioni sardo-veneziane): § 13 1. La sesta torrada Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol essere lieto, sia: di doman non c’è certezza. x y y1 x1 Quest’è Bacco e Arianna, belli, e l’un dell’altro ardenti: perché ’l tempo fugge e inganna, sempre insieme stan contenti. Queste ninfe ed altre genti Sono allegre tuttavia. Chi vuol essere lieto, sia: di doman non c’è certezza. a b a b b y y1 x1 61 È d’altra parte assodato che trattasi di «filone di gusto popolaresco, assunto espressionisticamente da letterati coltissimi» [GORNI 1993, p. 90], senza ripercussioni rilevanti sulla successiva scuola metrica italiana, attestata sopra un canone petrarchesco ‘ridotto’, giocato nella dialettica canzone/sonetto – con rare incursioni nella sestina e nel madrigale – da cui quindi è esclusa la ballata (in numero di sette nel Canzoniere: XI, XIV, LV, LXIII, CXLIX, CCCXXIV), ma solo per dire del ricorso ad una struttura a ripresa, ché le ballate petrarchesche sono parenti lontanissime della canzone a ballo. Un altro fatto è che la tradizione popolare italiana discendente dalla ballata in ottonari (verso bandito dal settore alto) non può intrattenere rapporti storici con la cantone sarda per gli scarsi contatti avvenuti fra gli strati sociali bassi delle due culture dal Quattrocento al Settecento, mentre i poeti italianeggianti del Cinquecento isolano, Gerolamo Araolla e Pietro Delitala, si attestano appunto sul canone petrarchesco ‘ristretto’, con immissione di ottave in entrambi, di terza rima solo nel primo, di canzoni, sestine e madrigali (in forme distanti da quelli petrarcheschi) solo nel secondo20. Vale a dire che nei rapporti fra ballata/barzelletta e cantone torrada non poterono contare né le relazioni con la linea alta né quelle con la produzione popolare o popolareggiante. Ma è chiaro che le analogie istituibili fra l’una e DELITALA 1595: sestina «Ai dolci rai d’un elevato sole» (XXIV); per i due madrigali si veda la nota 11 dell’Introduzione (pp. 15-16). 20 62 Régula castigliana § 14 l’altra ben poterono assecondare l’interpretazione italianizzante di questa vasta porzione della cultura metrica sarda. Il compito di revisionare tale lettura spetta alla palinodia di Garzia. Nel passare in rassegna i rari studi di metricologia sarda effettuati fino al momento in cui scrive (1916), egli accomuna il suo Leggendo le giustiniane e il contributo di Mari sotto la preliminare critica che «l’uno e l’altro si spinsero a induzioni che studij più severi mi han dimostrato fallaci» [GARZIA 1916, p. 198]. E dopo aver citato l’ipotesi del collega sulla identità di ballata e «canzone sarda» prorompe in un «No; è il villancico spagnolo» [ID., p. 218], calando l’esclamazione in un ragionamento storico: Ad ascoltare la maggior parte di quelli che discorsero della barzelletta [in relazione alle canzoni sarde] sarebbe prova di soverchia ingenuità darsene pensiero per il nostro argomento, dato il termine ad quem che lo chiude, il 1328, anno in cui dalle torri del Castrum Kalaris fu abbassato il vessillo pisano, ed Aragona divenne padrona della Sardegna. [ID., p. 214] Un ragionamento – anche se troppo fiducioso in ‘termini’ cronologici netti – che si fa subito morfologico, infine libero da ipoteche italianizzanti e riferito alla produzione cancioneril spagnola [ID., pp. 219-220]. Nei particolari si potrà anche notare la sbrigatività argomentativa di Garzia, ma è importante segnalare l’affrancamento da una prospettiva improduttiva sul piano comparativo che pretendeva di non fare i conti con la forte ispanizzazione che interessò la cultura sarda fra XVI e XVIII secolo. È pur vero che quelle indicazioni rimasero inascoltate in coloro che successivamente si sono occupati di poesia sarda. 3.2. Gosos, goccius, goigs § 14. L’evidente rapporto formale che corre fra cantones torradas (nel paradigma della sesta, dunque dei gosos) e villancicos è stato di rado riconosciuto21, mentre la derivazione del meridionale goccius § 14 1. La sesta torrada dal catalano «goigs» (canti prossimi a quelli sardi per tema agiografico e in quanto a struttura generale), associata al periodo sardo di acculturazione catalana (secoli XIV-XV), hanno portato a sottintendere una continuità e un’identità fra goigs e gosos22. Tali questioni avrebbero meritato d’essere trattate in testa al nostro ragionamento, se non fosse che l’apporto formale dei goigs catalani sui gosos, per come ci sono attestati dalla fine del Cinquecento ad oggi, risulta, come vedremo, perlomeno discutibile. Il termine goigs deriva dall’originario uso medievale di comporre versi sopra le gioie terrene di Maria madre di Cristo (septem gaudia: Annunciazione, Natività, Adorazione dei Re magi, Resurrezione, Ascensione, venuta dello Spirito Santo, Assunzione), da cui procede il canonico sviluppo in sette strofe (escludendo il respost iniziale). Il più antico esempio noto di questo primo tipo di produzione è Los set gotxs recomptarem, ossia la Ballada dels goytxs de nostre dona en vulgar cathallan a ball redon contenuta nel cosiddetto Llibre Vermell (ms. 1 della Biblioteca de Montserrat, XIV-XV sec., c. 23v), dotata di notazione musicale23. Il secondo genere di elaborazione dei goigs riguarda invece gli attributi della Vergine dopo la sua assunzione in cielo. Serra i Baldó ebbe già a segnalare il manoscritto della biblioteca di Sant Onofre di Valencia24, dove a seguito di una composizione sopra i goigs terrenals di Maria (accompagnati dalla dicitura: «Segueixen-se los goigs de la Verge Maria Neneyta Mare de Déu sacratissima; e són los terrenals») se ne trova un’altra, la variamente attestata En lo mon si fos dotada, introdotta dalla dicitura: «Acabats los goigs terrenals, segueixen-se los celestials, que posheix la beneyta Verge Maria Mare de Déu en la gloria de Paradís» [SERRA I BALDÓ 1936, p. 378]. Una fase ulteriore nella produzione dei goigs vede l’estensione alla devozione del Cristo e dei santi e in prevalenza con questo ufficio giunge in Catalogna fino alle attuali produzioni. Eloquente fin dal titolo BOVER I FONT 1984: I goigs sardi. Edizioni moderne in SPAGGIARI 1977, p. 276 e ROMEU I FIGUERAS 2000, p. 74-76. 24 Pubblicato da Justo Pastor Fuster in Biblioteca Valenciana, I, Valencia, 1827, pp. 284-293. 22 23 Allude solo a un’analogia, entro i sistemi della canzoni con ritornello, CIRESE 1988, p. 208. Si è appena visto che lo comprese GARZIA 1916. 21 63 64 § 14 Régula castigliana Avvicinandoci alle questioni formali, riproduciamo un esempio di goig, dandone il respost (la quartina iniziale) e la prima cobla, segnalando i versi di retronxa25: respost En lo món, pus fos dotade de set goygs Mare de Déu, d’altros ·VII· sou aretade en los cels, com meraxeu. x y x y1 cobla Lo primer: verge e pura en lo grau que possahiu. Més que tota creatura tal glòria sostaniu. Aprés Déu, la plus honrrade del restant sou e sereu, pus dels set goygs sou dotade en los cels, com meraxeu. a b a b x y x y1 retronxa Descrivendo: nel goig si hanno un respost (o entrada) tetrastico a rime alterne, una cobla formata da una quartina a rime alterne, seguita da un’altra quartina giocata sullo schema e sulle rime del respost e chiusa dalla ripresa integrale del quarto verso del respost. È lo schema della dansa provenzale e, in generale, della canzone a ballo tripartita medievale, e a ragione Amédée Pagés [1936, p. 21] ha potuto discorrere per i goigs di «cléricalisation de la dansa». Le simmetrie del testo rispondono infatti alla coreutica del girotondo: un giro completo si svolgeva sopra l’esecuzione del respost (xyxy1); sul primo piede (ab) si tornava indietro di mezzo cerchio; un altro mezzo giro in direzione contraria si eseguiva sul secondo piede (ab); infine si compieva nuovamente un giro completo sulla parte finale simmetrica e rimicamente sovrapponibile al respost [GASPAROV 1989, p. 186]. Non vi è dubbio che in Catalogna sia esistito un legame fra il ballo e i goigs originari. Lo attesta con sicurezza la nota in latino che accompagna la già citata Ballada dels goytxs nel Llibre Vermell («Quia interdum peregrini quando vigilant in ecclesia beate Marie de monte serrato volunt cantare et trepudiare et etiam in platea de die. Et È il già citato En lo mon si fos dotada, ma proveniente da altra fonte (ms. 1494, Biblioteca de Catalunya; XVI sec.) ora edito in ROMEU I FIGUERAS 2000, pp. 140-142. 25 § 14 1. La sesta torrada 65 ibi non debeant nisi honestas ac devotas cantilenas cantare. Idcirco superius et inferius aliquae sunt scriptae»26); lo si evince, fra altri dati, da titoli quali: Dançia Virginis gloriose del ms. 129 Ripoll (Archivio della Corona d’Aragona, Barcellona; sec. XIV)27. È altamente probabile che una forma di ‘danza sacra’ vi sia stata anche in Sardegna, dove il tipo di ballo più praticato tradizionalmente è il ballu tundu. Giampaolo Mele ha riportato l’attenzione sul noto fregio della chiesa medievale di San Pietro di Zuri (Sardegna centrale) raffigurante un gruppo di danzatori disposti a forma di cerchio, il quale testimonierebbe la pratica in Sardegna di «un ballo ‘tondo’ di tipo devozionale» [MELE 1986, p. 261]28. A ciò potrebbe riferirsi anche un celebre passaggio della Sardiniae brevis historia et descriptio di Sigismondo Arquer (1588): «Cum rustici diem festum alicuius sancti celebrant, audita missa, in ipsius sancti templo tota reliquia die at nocte saltant in templo, prophana cantant, choreas viri cum foeminis ducunt, porcos, arietes, et armenta mactant, magnaque letitia in honorem sancti vescuntur carmibus illis». Non è da escludere che sopra questi dati possano in futuro studiarsi rapporti fra il ballu tundu sardo e il ball redon del Llibre Vermell, e il trepudium rotundum cui allude la succitata dicitura latina. D’altra parte occorre sottolineare che, come ha notato ancora Mele – tornato in un più recente contributo sulla Ballada del Llibre Vermell e sulla notazione musicale che l’accompagna – «la melodia dei set goyts non ha riscontri nella melodia dei goccius/gosos sardi» [MELE 2002, p. 421]. Una più recente, anche se molto rapida, indagine musicologica fa emergere per la melodia dei gosos «la sostanziale differenza con gli omologhi iberici: alla gran varietà di testi poetici non corrisponde qui [nei gosos] un’altrettanta varietà di melodie, a differenza della Catalogna dove, in pratica, ogni goig ha la sua musica» [SPANU 2005, p. 148]. Tali difformità, che ci portano però fuori dal nostro 26 Si cita dalla edizione dei goytxs prodotta in SPAGGIARI 1977, p. 276. Cfr. ROMEU I FIGUERAS 2000, pp. 74-76. 27 Edizz. in SPAGGIARI 1977, p. 290 e ROMEU I FIGUERAS 2000, p. 63. Lo schema è differente da quello illustrato per i goigs, è in heptasíl·labs di schema xyy:ababxyy. 28 In precedenza si veda ALZIATOR 1976, p. 18 che ricorda anche il bassorilievo del pilastro esterno della chiesa di San Lussorio a Fordongianus, ugualmente collegabile alla danza. 66 § 14 Régula castigliana campo, potrebbero anche essere in sintonia con la diversità rilevabile fra gosos e goigs, simili in quanto a macrostruttura ma differenti nella formula rimica, dove i secondi mostrano una fisionomia chiaramente bipartita delle strofe. Il goig, difatti, si svela poco o nulla influente negli schemi della metrica isolana. Fra i testi finora rinvenuti in Sardegna, lo schema del goig è rigorosamente applicato in tre sole composizioni redatte in catalano. Il testimone più antico, del 1604, è offerto dal mercedario cagliaritano Antioco Brondo con i «Goigs de N.S. de la Merce» stampati in chiusura delle Recopilaciones de las Indulgencias, gracias, perdones, estaciones, remisiones de pecados y thesoros celestiales (concesse ai confratelli della confraternita di N.S. de la Merced) [BRONDO 1604]. Ne riportiamo il respost, la prima strofa e la tornada29: Cantarem ab viva fe vostres goigs immaculada mare nostra y advocada Reyna gran de la merce. x y x1 y1 Gran merce del immens pare obtinguerem tots per vos quant fos feta sola mare del clar sol Christ poderos. acceptant l’alta embaxada que del alt Cel vos vingue mare nostra y advocada Reyna gran [de la merce.] a b a b x y x1 y1 Al devot servent que us te en los seus mals invocada socorreu Verge sagrada. reyna gran de la merce. x y x y1 Il componimento occupa quattro facciate delle carte non numerate che seguono il testo di 144 pagine numerate (cc. [2v-4r]). Consta del respost, di sette strofe, della tornada e dell’oremus finale. Integriamo l’ultimo verso di retronxa seguendo l’indicazione della stampa «&c.». Ci limitiamo a regolarizzare l’uso di u/v. 29 § 14 1. La sesta torrada 67 Forse di fattura precedente è il goig («una loa, o, gozos del bienaventurado san Baldirio, en lengua catelana») riportato da Serafino Esquirro nel Santuario de Cáller, il quale dice di averlo tratto da «una pagina de medio pliego de papel, impresso, segun el carater mas de 200 años» [ESQUIRRO 1624, p. 390]. Trascriviamo respost, prima cobla e tornada finale30: Dau remei al que·l demana al devot cridant a vós, socorreu al qui us reclama, sant Baldiri gloriós. x y x1 y1 Màrtyr sou de gran valia y d’est món vitoriós, seguint la molt dreta via de l’alt rei Déu poderós. Qui adjutori os demana, y sou tant prest piadós: socorreu al qui us reclama, sant Baldiri gloriós. a b a b x y x1 y1 Donchs màrtyr sant, si manau, dau remei a les dolors, dau socors al qui·l demana, sant Baldiri gloriós. x y x y1 Il terzo esempio di goig, sempre in catalano, è di attestazione più tarda dei precedenti, conservato in un manoscritto dell’archivio del Monastero di Santa Chiara in Oristano31, databile fra il 1712 e il 30 ESQUIRRO 1624, pp. 392-394; ma si segue l’edizione prodotta in BOVER I FONT 1993, pp. 99-101. Anche questo testo, come il precedente, consta classicamente di sette strofe; un altro esemplare del goig sta in JUAN FRANCISCO CARMONA, Alabanças de los santos de Serdeña 1631 (ms. Biblioteca Universitaria di Cagliari). 31 Segnalazione ed esplorazione del ms. si devono a MELE 1987. Il codice, lacunoso, contiene un trattatello di canto gregoriano, in castigliano e latino, ad opera di tale Giorgio Obino (probabile cappellano che assisteva alla preparazione delle funzioni religiose da parte della confraternita oristanese del Rosario, cfr. ID., p. 96), corredato da esempi d’intonazione di inni, cui seguono (cc. 76r-77v) i «Gozos de la Virgen del Rosario». Alle cc. 86v-108v il ms. riporta una «Passion de Nuestro Señor Iesu Christo» logudorese in cuartetas. 68 § 14 Régula castigliana 1729, reca il titolo in castigliano: «Gozos de la Virgen del Rosario». Riportiamo il respost, la prima cobla e la tornada (la retronxa e la tornada non riprendono i versi interi del respost ma soltanto le parole-rima)32: Puix de vostra carn sagrada s’i és vestit Déu verdader, dignament entitulada sou la Verge del Roser. x y x1 y1 Novel títol, Verge pura, vostre Fil os ha donat, perquè tota creatura senta vostra puritat. Puix que sou immaculada rosa blanca del verger, el vos ha intitulada Verge santa del Roser. a b a b x y x-1 y-1 Suplico-os, agraciada, que vullau merced haver, puix que sou intitulada degna Verge del Roser. x y x-1 y-1 § 14 1. La sesta torrada 69 Anche il testo del manoscritto di Santa Chiara è poco meno che un cimelio: al limite, segno solitario delle antiche origini catalane delle confraternite intitolate al Rosario34, come quella oristanese cui è riferibile l’uso di Puix de vostra carn sagrada, ma piuttosto traccia di un occasionale contatto seriore con omologhe associazioni della Catalogna o, ancora meglio, di Alghero, laddove si osservi che il testo non porta i segni del locale riuso che ci si aspetterebbero da un testo appreso ab antiquo, mentre risulta fedele ai correnti goigs peninsulari della Verge del Roser, mostrando oltretutto caratteri linguistici algheresi, come ha messo in evidenza Manunta [1988-91, II, p. 85] rieditando il testo. Una conferma di tale occasionalità consiste nell’assenza di Puix de vostra carn sagrada in due coeve raccolte manoscritte di gosos, in sardo e castigliano, in uso presso la confraternita del Rosario di San Vero Milis, pochi chilometri a nord di Oristano: 1) 2) Ofrecimientos del Sanctissimo Rosario de la Virgen Sanctissima del 1718 (SVR1; tre componimenti sui Misteri del Rosario); Rosarium Beatae Mariae Virginis del 1731 (SVR2; 13 componimenti, compresi quelli già ospitati in SVR1)35. Il contesto e le condizioni in cui si sono tramandati questi tre goigs appaiono sintomatici di un modello che non ha avuto un ruolo determinante nell’informare lo specifico schema dei gosos. In particolare, il pliego suelto di san Baldirio è maneggiato da Serafino Esquirro alla stregua di una reliquia tipografica, come prova dell’antico culto di San Baldirio cagliaritano, nella lotta fra le arcidiocesi di Cagliari e Sassari per il primato della Chiesa sarda che in quel torno di tempo, fra il 1614 e il 1616, si ingaggiava a furia di invenciones di corpi santi (una partita in cui era in gioco una forte posta politica33). Manca nei due manoscritti milesi, a dispetto dell’appartenenza alla medesima confraternita e delle strettissime connessioni geografico-temporali, una traduzione dei goigs di Santa Chiara. Nemmeno si scova nei codici milesi un solo componimento che rispecchi lo schema dei goigs, come si può vedere nel repertorio appresso allestito; nell’ultima riga dell’ultima colonna a destra indichiamo con [sp] i gosos in spagnolo e con [lat+sd] i gosos in sardo che glossano, con farciture latine, il Regina coeli (n. 1:6). Edizione ammodernata di BOVER I FONT 1993, pp. 105-107. Consta di 6 strofe, il ritornello non è sempre interamente conforme al respost, resta fisso all’ottavo verso il solo «Roser» e prevale, al settimo verso, «intitulada». 33 Vedi Francesco Manconi nell’Introduzione a VICO 2004, pp. XVI-XXVI. 34 Si fa risalire la creazione della confraternita del Rosario all’iniziativa dei domenicani catalani, intorno al 1221, e riguardo ai secoli XIV e XV «la devoció del Rosari es va difondre constantment arreu dels Països Catalans» [BOVER I FONT 1993, p. 103]. 35 Per la descrizione e l’edizione dei mss. si veda BULLEGAS 1996. 32 70 § 14 Régula castigliana REP. C § 15 1. La sesta torrada - - - - - - - - - - - - 3 Virgen Diuino sagrario II «Llorad alma enternecida» SVR1; Bull. 244, 263 5; t. xaax-1 [sp] - - - - - - - - - - - - 4 Virgen Diuino sagrario III «El alegre son despierte» SVR1; Bull. 246, 264 5; t. xaax-1 [sp] * a b b a x y y1 x1 x y y1 x1 5 Cantaremos vuestros llores Bull. 287 7; t. yxx1y1 [sp] * - - - - - - - - x1 y1 x y 6 Entre espinas sois la Rosa Bull. 289 7; t.; [sp] GOSOS SAN VERO MILIS – ROSARIO (1731) Bull. : BULLEGAS 1996 Si segnala ai nn. 3:2-4 la presenza dei componimenti in SVR1 1 * a ba bbx x y y1 x1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Palma in Cades fiorida Bull. 272 10; t. - - - - - - - - - - 2 Platanu virde holorosu Bull. 285 9; t.; abbaaxax1 (IX) - - - - - - - - - - 3 Serenissima aurora Bull. 267 10; t. - - - - - - - - - - 4 Su quelu cun resplandore Bull. 277 10; t. xyy1x1 - - - - - y - - x1 y1 5 En el cielo coronada Bull. 270 6; t. xyx1y1 [sp] - - - - - - - - - - 6 Noli plusquam lacrymare Bull. 282 8; abbaay (I) [lat+sd] a bba a x x y y1 x1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 a b b a x y y x1 x y y x1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Todo el mundo en general Bull. 274 8; t. xyyx1 [sp] - - - - - - - x-1 - - - x-1 2 Virgen Diuino sagrario I «Hermosa Reyna del cielo» SVR1; Bull. 243, 261 5; t.; [sp] 2 1 In custa die sagrada Bull. 280 6; t. cddc 3 * 71 § 15. Nella visione dell’apparato appena prodotto non deve trarre in inganno, in direzione gogistica, il tipo 3 con strofe simmetriche bipartite. Si è infatti al cospetto di una forma della canción medieval castigliana [BAEHR 1962, pp. 326-329]36, strutturalmente sovrapponibile al goig ma da questo distinguibile, nella forma che andiamo ad illustrare, per il ricorso allo schema rimico incrociato, mentre nelle strofe i goigs applicano quello a rime alterne. Si vedano la cabeza e la prima copla del componimento sobre los Mysterios Gozosos (REP. C, 3:2), secondo la lezione degli Ofrecimientos del 1718 (ms. SVR1). Virgen Diuino sagrario Vuestros gozos cantaremos, Y en ellos contemplaremos Los Mysterios del Rosario. x y y x-1 Hermosa Reyna del Cielo Alegramonos con vos, Pues vuestro si traxo à Dios Desde su grandeza al suelo, a b b a 36 Usiamo la definizione preferita da Baehr. In realtà, allo schema di cui si sta trattando sono attribuite, lungo la tradizione spagnola, varie e più generiche definizioni, come canción e ancor prima cantiga [NAVARRO TOMÁS 1956, pp. 140-143, 222, 269-270]. 72 § 15 Régula castigliana Alli fuystes sacro erario Del thesoro que tenemos. primer Rosa en que ha zemos el principio del Rosario. x y y x -1 La canción medieval fu in Spagna concorrente del villancico anche nel trattamento di temi religiosi e con questo ufficio agirà nella poesia musicale del Barocco. Attraverso il repertorio in castigliano della confraternita del Rosario sono in grado di segnalare almeno due rispondenze importanti rispetto a testi cantati composti in Spagna nei primi anni del Seicento. I tre componimenti sui Misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi di Maria, la cui cabeza principia con «Virgen Diuino sagrario», sono attribuiti a Lope de Vega (1562-1635) nelle Adiciones (pp. 263-268) al raro Processionarium secundum morem almi Ordinis Predicatorum (1609) di Dámaso Artufel, domenicano francese ma eccelso cantore in terra spagnola [SANHUESA FONSECA 1999, p. 260]. Il testo è provvisto di notazione musicale quadrata (identica per i Misteri gaudiosi e gloriosi, diversa per quelli dolorosi), da sottoporre all’intelligenza dei musicologi per capire se vi siano rapporti col canto polifonico sardo (una parziale riproduzione digitale degli originali si può consultare in VICENTE 2007, pp. 2425). L’altro testo individuabile è Todo el mundo en general (REP. C, 3:1), composto dal sivigliano Miguel Cid (†1612), musicato da Bernardo del Toro (Siviglia 1570-1643), già stampato in vari pliegos a partire dal 1615 con partitura (Coplas a la Inmaculada), diffuso negli ambienti immacolisti non solo spagnoli37, poi riprodotto dal figlio del poeta sivigliano nelle Iustas sagradas del 1647 [CID 1647]. Questi testi – quello lopiano ovviamente prezioso per i motivi devozionali della confraternita sarda del Rosario – arrivarono dunque in Sardegna nel Seicento, affiancando una produzione di gosos in sardo già collaudata. L’uso della canción medieval va infatti relazionato con un dato più generale che s’impone nell’osservazione del REP. C: il nesso fra lingua utilizzata nel componimento e strutture. I testi sardi seguono tutti lo schema della sesta torrada (villanci37 La Biblioteca Nacional di Madrid conserva una stampa delle Coplas de Miguel Cid: traducción italiana. «Tutto il mondo universale» (1660). § 15 1. La sesta torrada 73 co) nella variante a rime alterne per le strofe ma con pesada a rime incrociate (1:1-4) e nella variante tutta a rime incrociate (tipo 2). Ma mentre il castigliano si adatta una sola volta alla sesta nel modello a rime alterne per le strofe e per la pesada (1:5), gli altri componimenti spagnoli rispondono allo schema della canción (tipo 3) senza che ad essa si accomodino i componimenti in sardo. Il corposo libro della confraternita dello Spirito Santo di San Vero Milis (SVS: 17261727) – di cui ci occuperemo nel paragrafo successivo (REP. E) – esprime compiutamente questa tendenza. Parente molto stretto di quelli della confraternita del Rosario38 (la mano è sempre del sartocopista Maurizio Carru), il manoscritto riporta già la piccola (3) serie di canciones – aumentata di un pezzo (4)39 – poi prodotta in SVR2 (1731), però la canción non è mai presa a modello nei pur numerosi componimenti in sardo di SVS (50), la gran parte dei quali è in sesta torrada, forma condivisa con altri 4 componimenti in spagnolo (REP. E, 1:18, 19, 23; 2:10). Questi dati descrivono una fenomenologia parallela a quella che vedeva lo schema dei goigs ricorrere in testi di circolazione isolana però in catalano, e in tal modo si lascia intravedere un diasistema strofico-formale che vede, da un lato, alcune modalità strutturali restare pertinenti all’espressione in lingue egemoniche (goigs e canción medieval) e, dall’altra, il villancico disceso a modellare i gosos in sardo e le cantones torradas. Davvero peregrini sono infatti i casi di probabili imitazioni della canción medieval in componimenti sardi e che in taluni casi sembrano sfiorare lo schema del goig. Un esempio ci è restituito dal Novenariu (manoscritto) in lingua campidanese dell’osservante cagliaritano Fra’ Giovanni Maria Contu (†1763)40: Edito in BULLEGAS 1996, pp. 303-530; comprende i testi poi presenti in SVR2 (1731), esclusi i tre con incipit Virgen Diuino sagrario già risalenti a SVR1 (1718; REP. C: 3:2-4). 39 Pues à Iesus vuestro zelo [BULLEGAS 1996, pp. 440-443]; REP. E: 4:3. Da segnalare la provenienza certamente spagnola di questo canto, eseguito fino in tempi recenti soprattutto in località altoaragonesi. Una versione in uso a Pozuel del Campo è trascritta in SÁNCHEZ UNGRÍA 2004, p. 43 (tratta da Cánticos religiosos que suelen cantarse en las festividades de la iglesia parroquial de S. Miguel Arcangel de Pozuel del Campo, de la diócesis de Zaragoza, Pozuel del Campo, Enero 1933. Mariano Ezcurra, Ecónomo). 40 L’edizione del ms. (scoperto nel 1960), conservato presso l’Universitaria di Cagliari, 38 74 § 15 Régula castigliana O coru divinizadu! Ti istimu, ti amu, ê ti adoru; O dulzura de su coru! Sentu, qui non ti apu amadu. x y y1 x1 Si repitit. Si despidis resplandoris Est po mi donari luxi; posta in su coru sa ruxi manifestas prûs amoris; o strumentu sonoru cun is llamas concertadu! O dulzura de su coru! Sentu, qui non ti apu amadu. a b b a x y x1 y1 § 15 1. La sesta torrada ché esclusiva nel comporre in lingua spagnola dei sardi lo conferma la quinta sezione delle manoscritte Alabanças de los santos de Sardeña (1631) ad opera del cagliaritano Juan Francisco Carmona42. Fra i nove testi della Alabança quinta, sei rispondono a strutture con ritornelli con strofe bipartire, alcune delle quali s’approssimano alla struttura del goig (nn. 1-3 e 5 del REP. D appresso riportato) e comunque sempre smentita dallo schema incrociato della prima parte della strofa. GOZOS CASTIGLIANI - CARMONA (1631) REP. D a b b a x y x1 y1 x y x1 y1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 O Virgen del santuario 8 - - - - c - c - - - x y1 2 Con memoria eterna fuistes 7; abbabyby1 (II: ricorso occasionale della rima b) - - - - - - - - - - - - 3 Martir de dios escogido 10 - - - - - x - x1 - - y x1 4 De aquesta villa joyel 6 - - - - - - - - - - - - 5 En este campo dichozo 6 - - - - y c c y1 - - x y1 6 Por estas siete Estasiones 7 Si repitit. [O cuore divinizzato! | Ti stimo, ti amo e t’adoro | O dolcezza del cuore! | Sento che non t’ho amato. || Se diffondi splendori | è per darmi la luce | con la croce nel cuore | manifesti più amore; | o strumento sonoro | con le fiamme accordato! || O dolcezza…] Parrebbero ugualmente approssimarsi al goig due «laudes» (usato sinonimicamente per gosos) contenute nel manoscritto di Giovanni Battista Madeddu41 (Ardauli 1741 - Cagliari 1809), di schema xyy1x1:ababxy (dove al termine di ogni strofa sarebbe dovuta seguire l’esecuzione della torrada y1x1). Non concorrono però in favore del goig né la tarda attestazione dei due esempi né lo schema incrociato della pesada e della seconda parte della strofa, riconducibili alla canción medieval, la quale contempla anche schemi alternati, i soli esperiti nei goigs. Tali forme testimonierebbero quindi al limite fenomeni di hispanidad e non di una catalanità che dovrebbe altrimenti supporsi esageratamente differita. Che questi e simili schemi bipartiti trovassero fortuna pressocsi legge in CONTU 1964. Il componimento citato, O coru divinizadu!, si trova a p. 111 (replicato alle pp. 171, 249, 281). Stesso schema ha il testo O coru duru obstinadu, p. 129 (replicato alle pp. 196 e 273). Trascriviamo anche l’indicazione («Si repitit», ‘Si ripete’) relativa all’esecuzione del ritornello. 41 Fondo Baille S.P. 6bis 2.9: Universale Pastore (ff. 145-146), Mentras su eternu pastore (ff. 181-182) [MADEDDU 2006, pp. 136, 142]. 75 * * * Gli schemi adottati da Carmona non hanno precise rispondenze nella metrica sarda e alcuni di essi (specialmente il n. 1) potrebbero anche rappresentare un esperimento fra gozos/villancico e goigs ma, riguardo a questi ultimi, per la mediazione dell’esemplare unico di San Baldiri già scoperto da Serafino Esquirro (vedi § 14) e infatti da costui tratto per essere riprodotto da Carmona in questa Alabança quinta. 42 Manoscritto della Universitaria di Cagliari (Fondo Baille S.P. 06.02.31); del Carmona non si sono fino ad oggi potuti reperire dati biografici. 76 Régula castigliana § 15 § 16 1. La sesta torrada 77 In quanto ai goigs e circa una loro probabile influenza nella strofica sarda, occorre dire che alcuni dati terminologici parrebbero supportare tale direzione. Lo stesso termine torrada potrebbe rinviare alla tornada catalana, giusta l’indicazione che accompagna il tetrastico conclusivo negli innumerevoli fogli volanti della Catalogna contenenti goigs. La denominazione di crobbes/grobbes, in alcune zone della Sardegna centrale riferita ai gosos, risale verosimilmente al catalano cobles. Ma è pur vero che, se si riesaminano le indicazioni apposte ai componimenti nella tradizione manoscritta di Santa Croce, «cobles» è usato dal solo codice di Nule (post 1616) soltanto per due dei dieci testi in sardo [VIRDIS 1986, pp. 203, 206] (gli altri testi in sardo non recano alcuna indicazione) ma sempre nei sette testi in italiano [ID., pp. 191, 193, 196, 197, 199, 201], anche con il ricorso dell’interessante forma «sos gobles» (al maschile)43, più vicina alla forma sarda sonorizzata grobbes [ID., p. 188]44. Ma perché non usare tale denominazione in tutti i componimenti? Perché attribuirla quasi esclusivamente a quelli in italiano? Che tipo di relazione può esservi fra coples/gobles col cople usato in contesto italiano («COPLE DE LA PASSIONE DEL S.RE» [ID., p. 159]) per O Vera croce nostro Salvatore nei codici di Borutta (1592), Bonnanaro (1619) e, più tardi (1763), di Torralba? Dubbi interessanti che lasciamo alla competenza dei linguisti. Intanto, possiamo osservare che tutti gli altri libri confraternali di Santa Croce riportano regolarmente il castigliano «coplas»: da quelli più vetusti di Borutta [ID., p. 166 (presenta l’abbreviazione co/ ad ogni strofa che starà per coplas, visto l’uso della forma estesa negli altri due testi), 172, 175, 178] e Bonnanaro [ID., pp. 170, 172], a quello già settecentesco di Bottida (1714) [ID., pp. 229, 232, 237, 240, 245], fino al tardo-settecentesco codice di Torralba [ID., p. 162]. E già il componimento del codice di Nuoro (inizi ’600) ci dà «gosos» [ID., p. 250] ‘restaurato’ in «gozos» dal codice bottidese [ID., p. 235]. Pare certo che il goig giungesse dalla Catalogna in Sardegna forse già nel XV secolo, ma è del tutto probabile che in periodo spagnolo (seconda metà del Cinquecento), per la creazione di un canto devoto in lingua sarda, gli venissero subito preferite le forme castigliane del villancico (e si ricordi, comunque, che il padre Francisco Antonio, da qualche anno sull’Isola, vi aveva incontrato solo una «canción rústica y grosera y de ningún sentido»). D’altra parte, in quello stesso torno di tempo nei paesi catalani i goigs prendevano un’interna deriva folklorica mentre in altri settori ci si andava conformando al gusto castigliano, e basta scorrere opere come il Cancionero llamado Flor de enamorados, sacado de diversos auctores, agora nuevamente por muy linda orden copilado (1562), compilato da Joan Timoneda, per vedere quanto anche nella poesia catalana si fosse generalizzato lo schema xyy:abbaay, un perfetto villancico45. Ad ogni modo, i dati fin qui prodotti escludono una diretta influenza del goig nei fatti metrici sardi. § 16. La vicenda settecentesca dei gosos vede un progressivo assestamento sugli schemi xyyx:abbaay/x (incrociato) e xyxy:ababbx/y (alternato). Al contempo questo periodo inizia a restituirci in discrete quantità i primi esempi di sestas torradas profane databili con una certa approssimazione, come i sette esemplari de Le armonie de’ sardi (di probabile tradizione pregressa)46 che con i gosos di Jesu, amante Redentore [MADAU 1997 (1787), pp. 121-125] mettono la sesta torrada al terzo posto fra tipi antologizzati da Madau, preceduta solo dalla immancabile ottava e dal sonetto, ma quasi unica fra le cantones torradas, per la presenza di una sola ottava torrada (Continu vivo attristada, «octava in versu Non si tratterebbe di un uso isolato: SPANO 1840, II, p. 17 riporta le seguenti denominazioni di strofa: globu e globulu (nel Meilogu), gobbulos (Ozieri), termini poi non accolti nel suo Vocabolario [SPANO 1851-52]. 44 Il termine è nella dicitura: «custos sunt sos gobles desa regula de sancta Rugue» (‘queste sono le strofe della regola di Santa Croce’). Se ne vedano esempi in ROMEU I FIGUERAS 2000, nn. 325 (Puix sou, senyora, la caixa), 333 (Ad aquell que yo vull bé), 337 (Qui tè anguila per la cua). 46 MADAU 1997 (1787), pp. 198-199 (Sa chi fui ancora so); 200-201 (Mi nd’hapo a affligire meda); 202-203 (Lassami, amore, in sussegu); 204-205 (Tentende stat un’astore); 208-209 (Una amorosa porfia); 210-211 (Presa so, corsaria mia); 212-213 (O vida, sa chi peléo). 3.3. Gosos e sestas profane. Canonizzazioni, innovazioni 45 43 78 § 16 Régula castigliana octosillabu», ID., pp. 206-207) e fatta eccezione per il genere della «decima in glosa» (5 testi). Le sestas delle Armonie sono del tipo xyy1x1:abbaay:y1x1 (l’unica differenza, trascurabile sotto il profilo strutturale, è il prelievo in due testi della rima x per la camba torrada in luogo della rima y). Una condizione di polimorfismo entro il medesimo testo è ancora rilevabile nell’unica sesta torrada secentesca di argomento profano (amoroso) raccolta dall’anonimo compilatore del Canzoniere ispano-sardo (1683); consta di una pesada xyyx e di 23 strofe, di cui 10 a rima alterna (ababby; strofe: IV, VIII-X, XIV-XV, XIX-XXI, XXIII) e 13 a rima incrociata (abbaay; strofe: I-III, V-VII, XI-XIII, XVI-XVIII, XXII): piccolo anticipo del successo venturo di questo secondo schema. Diamo la pesada e la prima strofa del componimento (ammodernato nella grafia e verificato sul ms.)47: Ue ses anghela umana, ue ses, ue ses dada, ue ses ch’este elissada pro me s’istella diana. x y y1 x1 Ue ses chi non ti miro nen ti bido in sa gianna, ue ses chi a boghe manna ti ciamo, piango e suspiro? Ue ses chi nde regiro de tanta pena sobrada. [Ue ses ch’este elissada pro me s’istella diana.] a b b a a y y1 x1 [Dove sei angelo umano | dove sei, che fine hai fatto, | dov’è che s’è eclissata | per me la stella diana. || Dove sei, che non ti scorgo | né ti vedo alla porta | dove sei che a voce alta | ti chiamo, piango e sospiro? | Dove sei che ne impazzisco | di tanta soverchia pena. || Dov’è che s’è eclissata | per me la stella diana.] Polimorfismo manifesta pure la sesta torrada che scopriamo inserita fra i versi della Conçueta del Nacimiento de Christo (rappresentata nel 1674) di Fray Antonio Maria de Esterzili (1644-1727) [ESTERZILI 47 La torrada, non espressa nel ms., è ricostruita da noi, ma potrebbe essere stata costituita, indifferentemente, dai primi due versi o da gli ultimi due versi della pesada. § 16 1. La sesta torrada 79 1996, pp. 98-101], e si segnala come il più antico canto sardo, logudorese, appartenente al ciclo di Natale: de Naschimentu (spagnolo: de Navidad). La tradizione del testo affonda le radici nell’antico Officium pastorum che diede vita, in tutta Europa, ad uno dei cicli più produtivi della drammatica sacra. I versi sono eseguiti dai pastori presenti sulla scena, con alternanaza di solista che canta la strofa e coro che canta la torrada distica, come indicato dalla didascalia: «Entonan las flautas, y canta uno, y los otros responden». Benidu es cuddu messia, ispetadu de sa zente, est veru Deus potente et conzolu, cumpanzia. Cussu est cudda vera guia de sa nostra salvaxione: custa note de alegria nasquidu es su salvadore! a b b a a x y1 x1 [È arrivato quel messia | che il popolo attendeva, | è vero Dio potente | consolazione e compagnia. | Lui è quella vera guida | della nostra salvazione: | in questa notte d’allegria | è nato il Salvatore.] Il testo consta di sedici strofe, di cui (trascurata la str. VIII che pare guasta) dieci con schema a rime incrociate (I-III, VI, IX, X, XIIXIV, XVI) e cinque a rime alterne (IV, V, VII, XI, XV). Altra prevalenza del primo schema, sebbene ancora in un regime di coabitazione fra i due modelli. L’assestamento sul tipo xyyx:abbaay/x non apparterrà infatti nemmeno ai gosos dell’ambiente confraternale primo-settecentesco, ambito conservativo della forma di sesta a rima alterna (xyxy:ababbx/y) che si suppone più antica del tipo a rima incrociata (xyyx:abbaay/x), come si evince osservando la tradizione di Santa Croce (REP. B), in cui non ricorre la sesta incrociata e isolatamente (3:1) si riscontra uno schema incrociato nelle strofe di tipo abbaaxax. Tale schema dovette imporsi gradualmente, già noto sul modello del villancico abbaay/x ma attratto, per interna forza simmetrica, dalla prevalenza di pesadas a rime incrociate xyyx – così, senza eccezioni, nei gosos di Santa Croce che risultano pertanto tutti asimmetrici (escluso 3:1 nel REP. B). 80 § 16 Régula castigliana § 16 La concorrenza fra schema incrociato e schema alternato si mostra in tutta la sua evidenza nei gosos dei confratelli dello Spirito Santo di San Vero Milis (ms. SVS; 1726-1727) di cui si riporta appresso l’intero repertorio (non vi escludiamo i componimenti già esaminati nel REP. C, compresi anche nei libri della confraternita del Rosario del 1718 e del 1731, per dare un’immagine complessiva delle forme contemplate nel libro di quella dello Spirito Santo). La lettura del repertorio restituisce 29 schemi alternati, unendo il tipo 1 (25), rispondente alla sesta, e il tipo 5 (4), che segue lo schema con aggiunta di un distico cc (ottava torrada). Lo schema incrociato conta 24 componimenti: 16 del tipo 2, sestas canoniche, e 7 del tipo 3 che espone il modello con ripresa di una rima della strofa dopo la camba torrada (il tipo 4 è la canción medieval e il tipo 6 è l’antica Lignu santu, & veneradu risalente ai confratelli di Santa Croce). Come si nota, salvo per tre casi, la pesada è sempre a rima incrociata (xyyx). REP. E 1. La sesta torrada - - - - - - - - - - 6 O, apostolu sagradu Bull. 437 9; t.; abbaax (I, II, IX) - - - - - - - - - - 7 Palma in Cades fiorida Bull. 414 10 + y1x1 ; t. c. - - - - - - - - - - 8 Platanu virde holorosu Bull. 285 9; t.; abbaaxax1 (IX) - - - - - - - - - - 9 Rayu biuu soberanu Bull. 364 8 - - - - - - - - - - 10 Reuocade sa sentencia Bull. 350 11 - - - - - - - - - - 11 Sempre in sa celeste gloria Bull. 430 6; t.; abbaax (IV, VI) - - - - - - - - - - 12 Serenissima aurora Bull. 267 10; t. - - - - - - - - - - 13 Su quelu cun resplandore Bull. 277 10; t. xyy1x1 - - - - - - - - - - 14 Tue qui in su apostoladu Bull. 383 13; t. xyy1x1 GOSOS SAN VERO MILIS - SPIRITO SANTO (1726-27) Bull.: BULLEGAS 1996 1 * a ba bbx x y y x 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Ti supplicamus Señore Bull. 515 11 - - - - - - - - y1 x1 2 Anna prenda de valor Bull. 39 17; t. xyy1x1; abbaax (I, IV) - - - - - - - - - - 3 Cæleste, virde olia Bull. 373 10; t. xyy1x1 * - - - - - - - y1 y2 x1 15 Contempla coro induradu Bull. 495 14 - - - - - - - - - - 4 Cun allegria, & cuntentu Bull. 507 6; t. xyy1x1; abbaax (II, IV) * - - - - - y - y x1 y1 16 Apostolicu pastore Bull. 381 8; t. xyx1y1; abbaay (V) - - - - - - - - - - 5 Lasset su homine su peccare Bull. 464 11; abbaax (II, VIII), ababbccx (XI) - - - - - - - - - - 17 Assoluta imperadora Bull. 398 10; t. xyx1y1 81 82 § 16 Régula castigliana - - - - - - - - - - 18 Cantemos con suauedad Bull. 401 8; t. xyx1y1 [sp] - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - § 16 1. La sesta torrada 83 - - - - - - - - - - 4 Cun meda pena & dolore Bull. 489 28; t. xyy1x1; ababbx (II, VIII, XIV, XVI, XVII, XX, XXVI) 19 En el cielo coronada Bull. 270 6; t. xyx1y1 [sp] - - - - - - - - - - 5 In custa die sagrada Bull. 280 6; t. cddc 20 In una turre inserrada Bull. 443 16; t. xyx1y1 - - - - - - - - - - 6 Luminare peregrinu Bull. 410 11; t. 21 Noli plusquam lacrymare Bull. 282 8; abbaay (I) [lat+sd] - - - - - - - - - - 7 Martyre glorificadu Bull. 459 10; t. xyy1x1; ababbxVIII 22 Patriarcha victoriosu Bull. 376 15; t. xyx1y1 - - - - - - - - - - 8 23 Pues que sois tan milagroso Bull. 394 6; t. xyx1y1 [sp] Penitente valerosu Bull. 342 13; t. xyx1y1; ababbx (I, X); ababb† (IX) - - - - - - - - - - 9 24 Sole de doradu mantu Bull. 370 10; t. xyx1y1 Principe glorificadu Bull. 388 11; t. - - - - - - - - - - 25 Radiante sole diuinu Bull. 416 10; t. xyx1y1 10 Pues que sois tan sublimado Bull. 461 10; t. [sp] - - - - - - - - - - 11 Salue Regina sagrada Bull. 427 10; t. xyy1x1 2 a bba a x x y y1 x1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Astru divinu fulgente Bull. 423 18; t. yxy1x1 - - - - - - - - - - 12 Santu Luxoriu auocadu Bull. 407 8; t. - - - - - - - - - - 2 Bois segis santu Perladu Bull. 421 7; t. - - - - - - - - - - 13 Si queret su Christianu Bull. 346 17; t. xyx1y1; ababbx (I-III, V, VII) - - - - - - - - - - 3 Cun jubilu sublimadu Bull. 501 12; t. xyy1x1; ababbx (I); abbaaxyx (XII) - - - - - y - - x1 y1 14 Benignu et dulque Señore Bull. 435 5 * 84 § 16 Régula castigliana - - - - - - - - - - 15 Canteus totus cun amore Bull. 340 6; t. xyx1y1; ababby (I) - - - - - - - - - - 16 Dae s’alta immensa gloria Bull. 367 11; t. xyx1y1; ababby (I, III, VIII) - - - - - - - - - - 17 Proptetore peregrinu Bull. 448 10; t. xyx1y1; ababby (I, II, IX) a bba a x a x x y y x 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 A Sa Reyna Maria Bull. 522 5; t. xyxy - - - - - - - - - - - - 2 Custu est tempus de salude Bull. 467 5; t. xaax - - - - - - - - - - - - 3 Et comente det istare Bull. 509 9; abcaaccx (VII); abbaaccx(VIII); abbaxyyx (IX) - - - - - - - - - - - - 4 Spiritu santu sagradu Bull. 505 6; ababbx (VI) § 16 * * 1. La sesta torrada - - - - - - y1 x1 - - y1 x1 2 Cantaremos vuestros loores Bull. 287 7; t. yxx1y1 [sp] - - - - - - - - - - - - 3 Pues à Iesus vuestro zelo Bull. 440 11; t. [sp] - - - - - - - - x1 y1 x y 4 Entre espinas sois la Rosa Bull. 289 7; t. [sp] a ba bbc c x x y y x 8 8 8 8 1 O, Deuota Confraria Bull. 512 4 85 5 3 * - - - - - - - - x - - - 5 O, virgine immaculada Bull. 354 7; t. xaax1 * - - - - - - - - - - - x1 6 Domni campu si est allegradu Bull. 336 4; t. xyyx; abbaayyx-1 (I) * - - - - - - - - - - y1 x1 7 Ja venin de Oriente Bull. 338 3; t. y1x1 a b b a x y y x1 x y y x1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Todo el mundo en general Bull. 274 8; t. xyyx1 [sp] 1 4 8 8 8 8 8 8 8 8 * - - - - - - - - - - - x1 2 Altissimu Redemptore Bull. 519 9; ababbccx1 (IX) * 6 6 6 6 6 6 6 6 x y z y 3 Hay dulque Figiu Bull. 481 25 * - - - - - - - - x y x y 4 Et prite Señore Bull. 470 40 a ba bbx bx x1 y y x 1 Lignu santu, & veneradu Bull. 419 5; t. xyyx; ababbxbx1 (I-III) 6 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 Il REP. E rispecchia la condizione propria di un liber usualis del primo Settecento, quale può considerarsi questo della confraternita dello Spirito Santo di San Vero Milis, una condizione in cui convergono e coesistono, portate ad un alto grado di lavorazione ritmica e strofica, le diverse forme intervenute e stratificatesi lungo una tradizione ormai ultracentenaria. Il trionfo solitario della sesta torrada a rima incrociata è però prossimo. Già lo si vede avanzare nel manoscritto milese del ’26 ma è pienamente riconosciuto nella coeva raccolta a stampa di Giovanni Delogu Ibba (†1738), la sesta parte dell’Index libri vitae (1736) [DELOGU IBBA 2003] che riproduce 70 gosos 86 § 16 Régula castigliana (57 in logudorese, 13 in spagnolo), tutti indistintamente di schema xyyx:abbaax (e per i quali risparmiamo quindi al lettore un repertorio). Il quadro non cambia nel prosieguo del secolo e i manoscritti Varios canticos di Giovanni Battista Madeddu (Biblioteca Universitaria di Cagliari, Fondo Baille S.P. 6bis 2.9; compilazione del 1806) offrono la medesima situazione: 52 gosos (15 in campidanese; 3 in spagnolo, i restanti in logudorese) di cui 50 rispondenti allo schema incrociato della sesta torrada e solo due nell’estravagante schema xyy1x1:ababxyy1x1 già visto al § 15. D’altro canto, una eloquente anticipazione consiste nei due esempi esposti dal Canzoniere ispano-sardo (Canzis) della Braidense (ca. 1683) nella sua porzione sarda, solo affiancati dal tipo più arcaico in strofe di otto versi. GOSOS - CANZIS (1683) REP. F Canzis: CANZIS 1996 1 a bba a y x y x1 y1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 Xptos est luge divina Canzis 321 14 - - - - - - - - 2 Custu est su caminu divinu Canzis 325 8 2 a ba bbx bx x y y1 x1 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 8 1 O’ superbu inpertinente Canzis 328 6; ababbx+y1x1 (I) Questo dato, lo si diceva prima, è confermato dalla produzione di sestas torradas profane, le quali risultano ormai genere privilegiato della metrica sarda (escludendo ovviamente la profusione di ottavas serradas ABABABCC). Scorrendo le raccolte spaniane48 emerge il prevalere della sesta (117), pur sostenuta da un nutrito contingente gosistico (Bonaventura Licheri e Giovanni Battista Madeddu su tut48 SPANO 1863a, 1863b, 1865, 1867, 1870, 1872. Molto utili al proposito gli indici dei termini metrici usati nelle raccolte del Canonico allestiti da Maria Giovanna Sanjust (SANJUST 1971-72; poi in SANJUST 1993), da usarsi con cautela, non per imprecisioni del- § 17 1. La sesta torrada 87 ti), sulla ottava torrada (41). Con questo dato siamo già parzialmente oltre i limiti cronologici che ci siamo imposti, in quanto le antologie accolgono una nutrita schiera di contemporanei. Fra le voci incluse dallo Spano se ne individuano comunque di settecentesche, le quali mostrano una netta propensione per la sesta con strofe di schema abbaay/x. § 17. Due novità, che avranno buon seguito, si affacciano in questi autori: la dilatazione della pesada (a sei, a otto e anche dieci versi) e l’uso della sesta torrada in endecasillabi. La prima innovazione persegue intanto una isometria fra pesada e sviluppo in strofe e al contempo asseconda esposizioni più diluite del tema. Il procedimento è quello dell’aggiunzione di un ulteriore distico a rima baciata come si può vedere in uno dei pochi testi rimastici di Francesco Ignazio Mannu (1758-1839) [SPANO 1863a, pp. 190-191]: Non fettas, superbu riu, tantu fracass’in passare ch’a trainu des torrare comente fisti unu die: cussas undas, crê a mie, las det siccare s’istiu. x1 y1 y z z x Troppu superba sa fronte alzas, o riu orgogliosu: benis da un’horrorosu appenas cognitu monte eppuru non bi hat ponte chi bastet pro ti jampare. [Non fettas, superbu riu, tantu fracass’in passare]49 a b b a a x y1 x1 [Non fare, superbo rivo, | tanto fracasso nell’andare | ché a rivoletto tornerai | come lo eri una volta: | quelle piene, credi a me, | si seccheranno d’estate. || Troppo superba la fronte | alzi, o rivo orgoglioso: | vieni da un orroroso | e appena cognito monte | eppure non v’è ponte | che ti possa guadare. || Non fare…] l’autrice, ma per il fatto che lo Spano non sempre risulta irreprensibile nella rispondenza fra denominazione e forma metrica. 49 Il componimento del poeta sardo è, come già notò ARULLANI 1910, pp. 343-344, ispirato alla Ruscelletto orgoglioso del secentesco Fulvio Testi (1593-1646) [TESTI 1822, pp. 246-248]. 88 § 17 Régula castigliana La seconda innovazione, l’uso dell’endecasillabo, si dovrà all’influenza della dominante ottava, tant’è che la sesta torrada in versi lunghi assume più spiccato carattere narrativo nella scelta e nel trattamento dei temi. Non di rado, le due innovazioni troveranno applicazione congiunta, come si legge in questa sesta torrada di Giuseppe Zicconi Tanchis (Tissi, ca.1730-XVIII sec. ex.) con pesada di dieci versi, la ripresa (frequente in queste produzioni) del primo verso al termine della stessa, e la torrada con prelievo del v. 3, chiara eredità delle pesadas di quattro versi [MULAS 1902, p. 53]50: Prite mi lassas in ragas de linu iscosinzadu e chena mi cosire? Ite gulpa nde tenet su estire chi mi lassas in bucca ’e sa zente? Eo t’apo pagadu interamente e mi dilpaccias a mesa faina, cussu no est prozeder de femina pro chi si faltat a sa caridade ed eo tott’a bonu ap’a leare dogni malu prozeder femininu. Prite mi lassas in ragas de linu? X1 Y Y1 Z1 Z W W K K X X1 Prit’in ragas de linu e in corittu mi lassas e cumbenit ch’iste mudu? Edduncas cheres ch’ande nudu nudu coment’e dildicciadu poverittu? Si no esseret pro su tempus frittu già lu tia sentire e no sentire Ite gulpa nde tenet su estire [chi mi lassas in bucca ’e sa zente?] A B B A A Y Y1 Z1 [Perché mi lasci in mutande, | sbrindellato e solo imbastito? | Che colpa ne ha il vestito | per farne dire da tutto il paese? | Io t’ho pagato interamente | e mi congedi col lavoro a metà, | non sono modi da donna | perché mancanti di carità | ed ora starò attento | ad ogni cattiva azione delle donne. | Perché mi lasci in mutande? || Perché in mutande e in corpetto | mi lasci e non devo nemmeno protestare? | Vuoi che me ne vada nudo nudo | come un povero disgraziato? | Non fossimo nella stagione fredda | forse non ne avrei risentito. || Che colpa ne ha il vestito | per farne dire da tutto il paese?] La torrada è parzialmente integrata, gli usi editoriali prevedono l’indicazione del solo verso d’attacco e depone a favore di una torrada di due versi Y1Z1, per ovvie ragioni sintattiche. 50 Capitolo secondo L’ottava torrada § 18. Si è notato nei paragrafi precedenti come accanto ai gosos in sesta torrada (abbaay/x; ababby/x) si affiancasse il tipo con strofe di otto versi, ottenuto tramite la ripetizione della formula rimica dei vv. 5-6 al settimo ed ottavo verso. È questo un tipo che possiamo definire di ottava torrada arcaica. Ne ridiamo l’esempio già prodotto a p. 55 (Canzoniere ispano-sardo, 1683) [CANZIS 1996, pp. 328-329]: pes. O superbu inpertinente chi sensa ischire te rues, regorda chi ses de piuer e chisina de niente. x y y1 x1 str. I Lassa sa pompa mundana e cuddos torpes regalos pro chi a s’anima si dana milli dispiagheres malos como chi as tempus reparalos in bivir honestamente sos peccados cunfessalos contritu e humilemente. Regorda chi ses de piuer e chisina de niente. a b a b b x b x y1 x1 cb.torr. torr. La convivenza delle due strutture nella produzione gosistica è riflessa dall’affermazione nella cultura metrica sarda della partita doppia sestas/ottavas, primeggiante fra le cantones torradas con sfalsamento dovuto alla prevalenza di sestas, fenomeno anch’esso consono al complesso morfologico dei gosos. Altre però, e più comuni, sono le forme dell’ottava torrada profana, di più semplice fattura. Possiamo distinguervi due tipi: a) quella di ottonari, che chiameremo ottava torrada minore, 90 § 19 Régula castigliana b) ottenuta con la farcitura di un distico cc nello schema della sesta torrada: abbaaccx; quella in endecasillabi, ottava torrada maggiore, che parte dallo schema dell’ottava rima (ABABABCC, in sardo ottava serrada) per ottenere la formula: ABABABBX. § 19. Trascriviamo la pesada e la prima strofa dell’unica ottava torrada minore registrata nei testi inclusi da Matteo Madau nella parte antologica de Le armonie de’ sardi 1 (ricordiamo che: ps. = pesada; str. = strofa; c.tr. = camba torrada; tr. = torrada); il curatore la chiama «octava in versu octosillabu». ps. str. c.tr. tr. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Continu vivo attristada, consumende sa persone: pro servire a unu Nerone so dae totu abbandonada. x y y1 x1 Mischina! Ite no faghia pro aggradare a custu ingratu! Tantu, e tantu l’hapo fattu chi como ja’ non so mia: passesi sa terachia solu cun ipse intretesa, et como mi vido presa, a lu chircare obligada. Pro servire [a unu Nerone so dae totu abandonada.] a b b a a c c x y1 x1 [Continuamente misera vivo | in consunzione | per servire un Nerone | son da tutti abbandonata. || Povera! Cosa non facevo | per accontentare quell’ingrato! | Così tanto l’ho fatto | che ora più non m’appartengo: | passai la giovinezza | insieme a lui soltanto, | ed ora mi ritrovo legata, | a dipendere da lui obbligata. || Per servire un Nerone | son da tutti abbandonata.] Facile che questa forma potesse generarsi internamente alla tradizione isolana dallo schema della popolare sesta. È un’ipotesi che MADAU 1997 (1787), pp. 206-207. Pubblicata poi in SPANO 1870, pp. 239-240, con varianti e come «Di poetessa incerta che piange l’infedeltà dell’amante» (ma il testo ha movenze parodiche). La torrada è integrata sull’indicazione dell’originale: «Pro servire &c.». 1 § 19 i1. L’ottava torrada 91 non si può escludere, vista l’attestazione più tarda dell’ottava torrada minore (fatta eccezione per la struttura di gosos illustrata al principio del capitolo), viste anche alcune forme di deghina torrada ugualmente ottenute da una base di sesta per aggiunzione di distici2 (qui non tratteremo di questi rari casi, che meriterebbero comunque un approfondimento in altra sede). Al proposito si nota la isolata definizione «sexta ripetida» riferita da Giovanni Spano [1872, p. 20] a uno schema di ottava torrada minore (xyyx1:abbaaccx1; Humanos, deh! Cunfortade di Francesco Maria Cossiga di Chiaramonti), in cui potrebbe appunto leggersi una creazione dello schema sulla sesta torrada per la ‘ripetizione’ di un distico cc dopo il distico aa dei vv. 4-5. Ma conta poi il fatto che in tutti gli altri esempi di questo metro contemplati nelle sue raccolte Spano utilizza sempre «octava torrada» o «octava rima torrada», e probabilmente trovò la dicitura ripetida su una copia manoscritta, interpretazione popolare (al pari delle etimologie popolari) sopraggiunta per analogia con la più comune sesta torrada. In effetti l’ottava torrada minore può anch’essa rappresentare un prodotto della spagnolizzazione poetica cui andò soggetta l’Isola fra Cinque e Seicento. Identico schema recano 112 testi repertoriati dalla Gómez Bravo [1998, n. 1174] abbaaccx (la x è nostra, seguendo le convenzioni qui adottate, il repertorio ha: abbaaccd, ma la rima d è fissa nelle strofe dei componimenti castigliani che si riferiscono a questo schema). È un altro genere di villancico, meno comune di quello con cui si sono fatti i conti nel capitolo precedente, e già ripreso in catalano dal valenzano Jacme Escrivà (sec. XV in.), in una forma identica ai prodotti sardi3 (si noti la più arcaica forma a rime alterne): 2 Una deghina torrada riconducibile allo schema della sesta torrada abbaay/x è Sa tempesta di Paolo Mossa (Bonorva 1818-1892), in ottonari, di schema xyy1x1:abbaaccddy:y1x1 (in MOSSA 1993, p. 56). Un frammento di deghina torrada (in senari e di schema differente) lo fornisce MATTEO MADAU [1787], nella trattazione de Le armonie de’ sardi [ediz. 1997, p. 72], dandolo però erroneamente come esempio di strofe di nove versi: x1x2y1:aabaabbbby:x1x2y1. 3 ROMEU I FIGUERAS 2000, pp. 115-117; fonte: ms. 184 della Biblioteca Universitaria di Saragoza (XV sec.). 92 § 19 Régula castigliana Pus que demandat m’avets com porest pendre d’escriure, tot primer no us vullats riure, senyora, quant scriurets. x y y x1 L’art d’escriura vol la ploma fort dura, que no·s dobblech. May scriurets bé sens goma. Però sia fès lo bech; lo tinter no stiga sech; la ploma, per sa mesura, per far millor scriptura, haja un palm e dos dets, senyora, quant scriurets. a b a b b c c x x1 Ci soccorre ancora una volta il prezioso Canzoniere ispano-sardo – sempre prodigo di spunti circa il rapporto fra le forme sarde e quelle castigliane – con una perfetta ottava torrada (abbaaccx) che espone una pesada (estribillo) tetrastica con ripetizione del primo verso dopo il quarto (secondo un procedere noto) [CANZIS 1996, p. 180]4: No quiero, no quiero nada, sólo quiero mantequillas, párdulas, sí quesadillas, y pro postre una granada, no quiero no quiero nada x1 y y x x1 § 20 i1. L’ottava torrada § 20. Altro discorso si dovrà invece fare per il tipo qui denominato ottava torrada maggiore che fa uso dell’endecasillabo e le cui strofe sono ispirate allo schema dell’ottava serrada (§ 32), vale a dire l’ottava rima italiana, calato nel procedimento dei metri torrados. Per un esempio, leggiamo la pesada e le prime due strofe di un celebre testo di Gian Pietro Cubeddu, meglio noto come Padre Luca (1749-1829; il testo consta in totale di nove strofe compresa la pesada) [CUBEDDU 1995, p. 89]. ps. Si fit a modu de tinde furare coment’e Paris a s’ermosa Elena dia andare corsariu in terr’anzena pro una bella a mi fagher ladrone. Tando mi dia ’antare cun rejone de tenner un’Elena in manu mia: bella, pro t’aer sempr’in cumpagnia montes e roccas nde dia bettare. X Y Y Z Z W W X str. I Si possibile modu fit istadu de ti nd’aer leadu nessi a fura, coment’e Paris dia esser andadu a ponner gherra, ca un’ermosura in cussu visu tou delicadu disputat su colore e biancura; pro tenner una simile figura ogni cosa si podet arriscare. A B A B A B B X Pro ti tenner presente a dogn’istante s’oro de su Perù gastare dia; s’essere che monarca in su Levante che-i su gran sultanu in sa Turchia de s’ermosura tua fatt’amante sa Sardigna in perigulos ponia, su gran mogol ancora ’e Barbaria dia ponner in armas pro gherrare. C D C D C D D X c.tr. str. II No quiero de amor lo[s] zelos, ni lo que los amadores padeçen con sus amores y encendidos monjibelos, quiero sólo lacayuelos que con pollos y capones, ricos tordos y gamones, me frequentan la posada, no quiero no quiero nada. a b b a a c c x x1 4 Riproduciamo la seconda strofa, dal momento che la prima avrebbe creato un’inutile contraddizione, presentando erroneamente e isolatamente lo schema abcaaddx. 93 c.tr. [Se fosse possibile rapirti, | come fece Paride con la bella Elena, | andrei corsaro in terra straniera | e mi farei ladro per una bella donna. | Allora potrei ben vantarmi | di avere un’Elena in mio possesso: | bella, per averti sempre con me | abbatterei rocce e montagne. || Se ci fosse stato modo di prenderti, | almeno con un rapimento, | sarei andato come Paride | a far guerra, perché la bellezza | in quel tuo viso delicato | fa a gara per colori e candore; | per possedere una tale immagine | si può rischiare 94 § 20 Régula castigliana qualunque cosa. || Per averti con me in ogni istante | spenderei tutto l’oro del Perù; | se fossi sovrano nel Levante, | come il gran sultano di Turchia, | una volta innamorato della tua bellezza | sarei un pericolo per la Sardegna | e anche il gran mogol della Barbaria | farei armare per combattere.] In questo caso il discorso comparativo con altre tradizioni cede di fronte alla lineare ipotesi di una forma generata dal sistema della metrica sarda che dà così vita alla sintesi fra il tipo di gran lunga più consueto nelle forme libere (l’ottava serrada) e quello più frequentato fra le forme fisse (la sesta torrada). Preso lo schema dell’ottava ABABABCC, al distico di chiusura CC si sostituisce la ripetizione di un verso in rima B, seguito da un verso che al termine di ogni strofa riprende una rima della pesada (camba torrada): ABABAB-BX. Il campione di questo modello è proprio Cubeddu di cui ci restano (comprendendo la già citata Si fit a modu de tinde furare) sette esempi5. Generalmente i componimenti ottengono un isomorfismo quantitativo fra pesada e strofe di svolgimento, portando la prima a otto versi, secondo un principio di dilatazione della pesada tetrastica già osservato nell’evoluzione della sesta torrada (§ 17). Fa eccezione Sa corrincia, che presenta una classica pesada di quattro versi (XYYX), punto di partenza per i testi con pesada accresciuta. In questa forma normale è un testo del più virtuoso fra i poeti sardi del Settecento, Pietro Pisurzi (1707-1796) di cui riportiamo l’inizio [SPANO 1865, pp. 31-34]: Ello a chie, ell’a chie si no a tie la do sa neghe e mi potto chensciare? No as àppidu a chie nde ogare a pìttighe in su ballu si no a mie? X Y Y X Non lu pensao ne lu creia mai, sende in su ballu su menzus fiorinu; inie fit comare Anninnonnai A B A 5 CUBEDDU 1995: Pro te (pp. 45-46); In disizos de t’ider (pp. 98-100); Non lu poto, e m’obligas (pp. 102-106); Ninfas, sas pius bellas (pp. 108-110); Sa corrincia (pp. 175-176); Su leone ei s’ainu (pp. 184-188; ma con pesada di sei versi YYZZX e schema leggermente variato ABABABAZ). Tres rosas (pp. 62-65) è invece un’ottava in endecasillabi che segue lo schema dell’ottava torrada minore: XYYZZWWX:ABBAACCY. § 20 i1. L’ottava torrada cun sa cunpagna Risu Mazzoninu, cantende «A chie at ramen de acconciai»: inghiriân su ballu a pabadinu tirende a destra, a manca, a calch’unchinu chi bi nd’aiat pro istesserare. B A B B Y [E a chi, e a chi se non a te | do la colpa e posso rivolgere il mio lamento? | Non hai trovato altri da scegliere, | tirandomi nel ballo, tranne me? || Non l’avrei mai pensato e creduto, | stando già nel ballo fior di ballerini; | e c’era infatti comare Anninnonnai | con l’amica Riso Volpino, | e cantavano «E chi ha rame d’aggiustare»: | facevano ruotare il ballo a perfezione | partendo a destra, a manca, con giravolte | che avrebbero potuto provocare slogature.] 95 Capitolo terzo La battorina (una mini cantone torrada) § 21. Un conoscitore di poesia sarda, ma anche chi ne osservasse la fattura per la prima volta, si stupirebbe forse nel ritrovare la battorina in questa prima parte del presente lavoro, fra le forme metriche fisse. La si vedrebbe meglio contemplata fra le forme libere della seconda parte, in quanto semplice forma di canto monostrofico. A dispetto del nome, la battorina (dal sardo battor, ‘quattro’ più il suffisso -ina)1 non è però direttamente assimilabile alla pura quartetta (‘quartina’) di schema abba, come alle strofe libere in genere, per una sua caratteristica costante che va dunque presa con la dovuta considerazione: la ripetizione del primo verso dopo il quarto (a1bbaa1): Suspiros mios bolade privos de d’ogni recreu; s’infelice istadu meu a su ch’istimo li nade. Suspiros mios bolade. a1 b b a a1 [Sospiri miei volate | privi d’ogni conforto; | del mio infelice stato | dite a colui che amo. | Sospiri miei volate.] Si è riportata una battorina di tradizione orale raccolta a Nuoro da Egidio Bellorini [1893, n. 685] sul finire dell’Ottocento, il quale forniva anche una prima definizione del genere: «Sono quattro versi, talora endecasillabi, ma per lo più ottonari, dei quali il primo rima quasi sempre col quarto e il secondo col terzo; dopo il quarto si ripete sempre il primo verso» [BELLORINI 1893, p. 33]. Le battorinas non ricorrono, se non sporadicamente, nella produzio1 Un primo veloce excursus terminologico su battorina è in CIRESE 1959, riproposto in CIRESE 1988, pp. 363-365. 98 § 21 Régula castigliana ne colta e, cantate, si prestano soprattutto all’accompagnamento del ballo. In merito a quest’uso mi preme segnalare la testimonianza della Comedia di San Luxorio attribuibile al non meglio noto Gian Pietro Chessa Cappai (XVIII secolo)2. La didascalia in castigliano informa di «seis Angeles» che «juntando un baile cantaran tres coplas en tono de baile uno despues del otro desta manera», e seguono le tre coplas corredate d’una indicazione sulla esecuzione del ritornello3 [ALZIATOR 1975, p. 214]: Angel primero. Angel 1 Alegria cumpagnos alegria, alegros sos celestes cortesanos; pro qui Lussurgiu est foras de sas manos de cudda vana, et cega Idolatria; alegria cumpagnos alegria. a1 b b a a1 Este ultimo verso lo repiteran todos juntos por dos vezes siempre. § 21 ii1. La battorina Allegria, compagni, allegria, | si rallegrino il Cielo e la terra, | poiché Lussorio vuol far guerra | contrastando tutti i pagani, | Allegria, compagni, allegria. | Allegria, compagni, allegria, | si rallegri lo stesso Gesù; | poiché Lussorio vuole più e più | estendere il suo regno. | Allegria, compagni, allegria.] L’esempio esibito da questa commedia sacra popolare non riveste solo un significato etnografico circa la connessione fra il metro e la coreutica, ma strutturalmente mostra un’applicazione pluristrofica di battorinas secondo una configurazione di cantone torrada. La parentela fra quest’ultima e la battorina nei suoi usi monostrofici appare evidente anche per altri dati. Alcune battorinas rivelano salde relazioni intertestuali con pesadas (infatti tetrastiche nella maggior parte dei casi) di cantones torradas. Già Bellorini fornisce, in nota al testo da noi trascritto in apertura di capitolo, il riscontro con una cantone anonima pubblicata da Giovanni Spano [1870, pp. 181-182], la cui pesada recita (riprendiamo accanto la battorina pubblicata da Bellorini): Angel segundo. Angel 2 Alegria cumpagnos alegria, alegrensi su Quelu, ei sa terra, pro qui Lussurgiu queret faguer guerra con totu sos gentiles à porfia alegria cumpagnos alegria. Angel 3 Alegria cumpagnos alegria, alegretsi su propriu Jesùs; pro qui Lussurgiu queret pius, et pius dilatar sa sua Monarquia. Alegria cumpagnos alegria. a1 b b a a1 Angel tercero. a1 b b a a1 [Allegria, compagni, allegria, | allegria, voi celesti cortigiani; | poiché Lussorio non è più nelle mani | di quei vani e cechi idolatri; | Allegria, compagni, allegria. | 2 Vedi ALZIATOR 1975, pp. 191-242 anche per un’edizione diplomatica della Comedia contenuta nel ms. D.IV.C.21 della Comunale di Sassari. 3 S’intende che solo tre degli angeli cantano nella prima parte della Comedia; gli altri tre canteranno nella seconda parte altrettante strofe d’identica fattura a quelle della prima parte [ID., pp. 226-227]. 99 pesada (SPANO) battorina (BELLORINI) Suspiros mios andade privos de ogni recreu e a sa ch’istimo nade s’infelice istadu meu. Suspiros mios bolade privos de d’ogni recreu; s’infelice istadu meu a su ch’istimo li nade. Suspiros mios bolade. La cantone anonima è una sesta torrada di otto strofe con schema abbaax:x1 e pesada x1yxy; le strofe quindi terminano con una torrada monostica (x1) costituita dal primo verso della pesada («Suspiros mios andade»). La torrada è trascritta dal curatore nell’ultima strofa del componimento, secondo l’uso editoriale riservato ai gosos di non esprimerla per ogni strofa ma solo in quella conclusiva: pes. Suspiros mios andade privos de ogni recreu e a sa ch’istimo nade s’infelice istadu meu. x1 y x y str. VIII Chi l’amo e la cherzo amare nadeli, claros suspiros, a b 100 tr. § 21 Régula castigliana a tales chi sos respiros s’intregu li potan dare; e pustis a mi contare novas de issa torrade Suspiros mios andade. b a a x x1 [Sospiri miei andate | privi d’ogni conforto; | dite a colei che amo | del mio infelice stato || Che l’amo e la voglio amare | ditele, chiari sospiri, | così che i respiri | le facciano la consegna; | e poi a darmi | notizie di lei tornate. | Sospiri miei andate.] La relazione intertestuale prodotta invita a considerare la battorina come una cantone torrada ridotta al nucleo essenziale, dove la ripetizione del primo verso dopo il quarto conserva il procedimento ‘di ritorno’ dei metri torrados, onorando quel principio di circumlatio che è uno dei tratti dominanti della versificazione sarda. Andrebbe avviato in questo settore di poesia popolare un confronto sistematico fra gli incipit di battorinas reperibili nelle raccolte di canti popolari e quelli di cantones torradas delle raccolte procurate da Giovanni Spano e d’altre fonti a stampa o manoscritte, al fine di rintracciare contatti come quello testè esposto e, crediamo, una discreta fenomenologia di migrazioni da pesadas a battorinas, dal colto/semicolto al canto popolare. Per parte nostra, osserviamo che due esempi settecenteschi di Giuseppe Tolu (di Loculi), ancora offerti da Giovanni Spano [1870, pp. 118-119]4, paiono confermare la tesi per cui le pesadas venissero mandate a memoria isolatamente. La struttura della cantone torrada prevede d’altronde che l’assunto dell’intero componimento (il ‘succo’ si direbbe) sia già compiutamente esposto nella pesada e integralmente o parzialmente ribadito nella torrada, carattere che avrebbe potuto favorire una migrazione solitaria della strofetta iniziale. I testi di Tolu sono due sestine satiriche monostrofiche, le quali non si curano degli schemi diffusi di sesta rima mentre palesano schemi circolari di pesada, si legga la prima, Sa campana pagu tinnit (l’altro esempio fornito da Spano, Isco pro ti narrer: “Siccati!”, le è in tutto conforme): 4 Scrive il curatore: «Giuseppe Tolu. Di Locula [odierna Lóculi] (analfabeto). Celebre improvvisatore, di cui ci sono pervenuti pochi componimenti. Visse nello scorso secolo». § 21 ii1. La battorina Sa campana pagu tinnit, su sonu faghet cannidu, ischitati, si ses dormidu, o de pesare nd’has dolu? Iscas chi Zuseppe Tolu non credet mortu chi chinnit. 101 a b b c c a [La campana suona poco, | fa un suono sordo, | svegliati, se stai dormendo, | o ti duole il destarti? | Sappi che Giuseppe Tolu | non si fida di un morto che strizza l’occhio.] Tipi dilatati, monostrofici, di questo procedere sono altrimenti rintracciabili. Si legga il seguente esempio anonimo di Bitti che in chiusura espone la ripetizione del primo verso [SPANO 1872, p. 91]: Non m’has cherfidu dar’abba sende chi fippo sididu mancu t’haere pedidu o rosoliu o mistella; non nego chi sias bella, su ch’est bellu non si cuat, però sa bellesa tua nd’at ingabbadu e nd’ingabbat; non m’has cherfidu dar’abba. a1 b b c c d d a a1 [Non hai voluto darmi acqua | mentre ero assetato, | nemmeno t’avessi chiesto | rosolio o mistella; | non nego che sei bella, | quel che è bello è bello, | ma la tua bellezza | ne ha ingannato e ne inganna. | Non hai voluto darmi acqua.] Casi simili vi sono nell’ultima delle raccolte logudoresi curate da Spano (1872), ivi contrassegnati col misterioso termine di «taja» [SPANO 1872, pp. 52, 63, 74-74]. Istruttivo ci pare, in ultimo, il caso della battorina n. 677 pubblicata da Bellorini [1893, p. 202]: Làssami sussegu, amore, bastante ingannadu m’asa; sos carignos chi mi dasa si siccan send’in fiore. Làssami sussegu, amore. a1 b b a a1 [Lasciami in pace, amore, | abbastanza m’hai ingannato; | le carezze che mi dai | si disseccano mentre sono in fiore. | Lasciami in pace, amore.] 102 § 21 Régula castigliana § 22 La battorina rimanda infatti alla pesada di una sesta torrada pubblicata da Madau ne Le armonie de’ sardi [1997 (1787), pp. 202-203] che abbiamo già avuto occasione di presentare iniziando il primo capitolo di questo lavoro: Lassami, amore, in sussegu, chi ses picinnu traitore: no bi jogo pius, amore, ca mi das colpos de cegu. x y y1 x1 Sun bellas sas artes tuas! Faghes de su bellu in cara, e mi trapassas insara su coro, e pusti ti cuas: mi l’has factu una olta, e duas; bene cognosco s’errore. Non bi jogo [pius, amore, ca mi das colpos de zegu.] a b b a a y y1 x1 [Lasciami stare, amore, tranquillo, | ché sei bambino traditore: | non voglio più giocare, amore, | ché mi dài colpi alla cieca. || Son proprio belle le tue astuzie! | Ti mostri con viso grazioso, | e mi trafiggi subito | il cuore, e poi ti nascondi: | l’hai fatto una volta, e una seconda; | ben conosco questa sventura. || Non voglio più giocare, amore, | ché mi dài colpi alla cieca.] Per questa via si aprono anche possibilità di comparazioni storiche. Un villancico tramandato dal secentesco Canzoniere ispano-sardo, il cui schema, ugualmente in direzione sarda, è in tutto sovrapponibile a quello dell’ottava torrada (abbaaccx), espone un estribillo tetrastico con ripetizione del primo verso dopo il quarto (diamo l’estribillo e la seconda strofa) [CANZIS 1996, p. 180]: estribillo str. II No quiero, no quiero nada, sólo quiero mantequillas, párdulas, sí quesadillas, y pro postre una granada, no quiero no quiero nada x1 y y x x1 No quiero de amor lo[s] zelos, ni lo que los amadores padeçen con sus amores a b b represa ii1. La battorina y encendidos monjibelos, quiero sólo lacayuelos que con pollos y capones, ricos tordos y gamones, me frequentan la posada, no quiero no quiero nada. 103 a a c c x x1 È la struttura del Suspiros mios andade presentato all’inizio e ha l’ulteriore vantaggio di darci un estribillo a rima incrociata che rispecchia perfettamente la struttura della battorina5. § 22. Se appare sicura la relazione fra la battorina e le pesadas tetrastiche di componimenti torrados, non risulta del tutto agevole precisare se la battorina consista in una pesada resasi autonoma o se la canzone torrada assuma a pesada una preesistente strofa isolata. Simili questioni d’origini corrono quasi sempre il rischio di risultare insolubili (talvolta oziose). La genesi del villancico è riferibile al secondo tipo di relazione. È ampiamente attestato l’uso di ‘glossare’ preesistenti refranes, cuartetas e motes assumendoli ad estribillo di canciones o villancicos6. Nella prima parte di questo libro abbiamo potuto valutare quanto abbia contato lo schema del villancico nella formazione delle cantones torradas sarde, ed è pertanto probabile che si debba indicare una precedenza di queste rispetto alla battorina. Dalla parte di un simile processo di folklorizzazione sta infatti la selettività della tradizione orale che porta ad isolare parti di componimenti più estesi. L’importanza che nella poesia folklorica spagnola assume la quartina di ottosillabi, quasi genere principe di quest’ambito produttivo, si deve, almeno in parte, secondo Margit Frenk Alatorre alla «generalización de ciertas cuartetas pertenecientes a la lírica cortesana, “de cancionero”, cuartetas usadas una y otra vez como pie y punto de arranque de glosas i villancicos» [FRENK ALATORRE 1978, p. 247]. Parimenti, ricordiamo che, riguar5 Il villancico è di probabile fattura isolana, come avverte Paba evidenziando il «párdulas» dell’estribillo (v. 3), nome di un dolce di formaggio proprio della Sardegna [CANZIS 1996, p. 181]. 6 Si segnalano su questo fronte i puntuali lavori di Margit Frenk Alatorre ora radunati in FRENK ALATORRE 1978. 104 Régula castigliana § 22 do all’area catalana, la corranda delle Baleari [BARGALLÓ VALLS 1991, p. 151], cuarteta di heptasíl·labs (i nostri ottonari) di schema abba, riceve anche il nome di glosa, avvalorandone la derivazione da estribillos di più complesse forme pluristrofiche con ritornello, se non da glosas propriamente dette (vedi § 25). Capitolo quarto La cantada § 23. Le testimonianze attualmente disponibili ci dicono che la poesia in lingua sarda non adottò il romance spagnolo, il quale consta, nel tipo più comune, di una serie di ottonari con assonanza nei versi pari. Si legga il seguente esempio (tratto da BAEHR 1962, pp. 206-207 e a sua volta citato dal Cancionero de romances del 1548) con l’assonanza sulla vocale a: ¡Quién hubiese tal ventura sobre las aguas del mar como hubo el conde Arnaldos la mañana de San Juan! Con un falcón en la mano La caza iba a cazar, vio venir una galera que a tierra quiere llegar. Las velas traía de seda, la ejarcia de un cendal, marinero que la manda diciendo viene un cantar que la mar facía en calma, los vientos hace amainar, los peces que andan n’el hondo arriba los hace andar a a a a a a a a In merito alle probabili ragioni di tale assenza si è già detto in sede d’Introduzione ma giova ripeterlo: la poesia sarda rivela una cultura affatto ‘rimica’, non disponibile all’assonanza, ragion per cui potrebbe trattarsi di una repulsione sistemica. Entro il sistema di versificazione in sardo, nella parte settentrionale dell’Isola, si è comunque sviluppata una forma che vede l’impiego di lunghe serie ottonarie, la quale riceve varie denominazioni (cantada, cantada distesa, cantada sinfonia, longarina in area logudo- 106 § 23 Régula castigliana rese; góbbula a Sassari1). Tale specie di comporre ha una precisa fisionomia e non consiste semplicemente di distici a rima baciata ma il primo verso rima con il penultimo e viene ripetuto in chiusura (a1bbccddeeff … aa1). Si tratta, in breve, di «successioni di distici, iniziate e chiuse con lo stesso verso, il quale in tal modo compie una delle funzioni che in Sardegna svolge la pesada» [CIRESE 1988 (1964), p. 203]. Anche la cantada (adottiamo d’ora in avanti tale denominazione per il tipo strofico descritto) risponde quindi al principio di circumlatio osservato a più riprese nel corso di questo lavoro per altri sistemi compositivi isolani. Pertanto essa può intendersi come un’altra specie semplice di cantone torrada, al modo della battorina vista nel capitolo precedente. Vediamone un esempio di Giovanni Maria Seche (seconda metà del Settecento) pubblicato in SPANO 1863a, pp. 64-66. Consta in totale di 125 versi di cui si riportano quelli iniziali e quelli finali: Illustrissimu segnore, iscultemi cun affettu, illustre ch’amus isettu d’esser metropolitanu, benzo a basare sa manu 5 a don Battista Simone cun d’una lamentassione chi fatto, e supplica viva, supplica trist’e cauttiva chi fatto de pagamentos, 10 attendat a sos lamentos chi fatto senza chi peche. Eo Giommaria Seche, […] prostrados a sos pes suos non nos fattat su contrariu, unidos cun su vicariu nos cunzedat su favore, 125 illustrissimu segnore. a1 b b c c d d e e f f g g h i i a a1 [x1] [x] [x1] [Illustrissimo Signore | mi ascolti con affetto, | oh illustre che speriamo | diventi arcivescovo, | vengo a baciare la mano | a Don Battista Simone | con una lamenta1 Per un esame musicologico della góbbula sassarese si veda SASSU 1968. § 23 iv. La cantada 107 zione | che faccio, supplicando vivamente, | una supplica triste e servile | che faccio per dei pagamenti, | ascolti i lamenti | che faccio onestamente. | Io, Giovanni Maria Seche, […] prostrati ai Suoi piedi | non ci avversi in questo caso, | insieme al vicario | ci conceda il favore, | illustrissimo Signore.] Altra regola del genere, solo di rado non rispettata, è l’accavallarsi del movimento sintattico ai distici, come si può vedere nella seguente rappresentazione, dove si evidenziano con linea tratteggiata le cesure di frase: Illustrissimu segnore, iscultemi cun affettu, illustre ch’amus isettu d’esser metropolitanu, benzo a basare sa manu a don Battista Simone cun d’una lamentassione chi fatto, e supplica viva, supplica trist’e cauttiva chi fatto de pagamentos, a1 b b c c d d e e f Questo modo di procedere trova rispondenza nella struttura musicale della góbbula sassarese che «si presenta secondo una curva melodica bipartita, con due elementi corrispondenti ciascuno ad un verso del testo letterario. La curva melodica bipartita è l’elemento base formalizzante, in quanto riduce a distici non rimanti (in corrispondenza del ritmo logico) il testo letterario» [SASSU 1968, pp. 16-17]. Vi è da notare che il testo di Giovanni Maria Seche rappresenta una delle principali applicazioni della cantada: la sùpplica con la quale verseggiatori popolani si rivolgono ad amministratori del Regno o del clero perché intercedano, favoriscano loro o loro congiunti in pendenze esattoriali o in beghe giudiziarie. Si tratta di un genere fortemente connottato in senso popolare; perlopiù opera di autori incolti e semicolti che in tal modo metrificano contenuti referenziali in una forma di semplice fattura. Forse in ragione di questo suo statuto sociologico la cantada, tipo eminentemente orale, è scarsamente attestata per periodi antichi e non risulta nelle forme contemplate da Matteo Madau ne Le armonie de’ sardi (1787). Anche la góbbula sassarese è forma infima della produzione religiosa (canti 108 Régula castigliana § 24 di questua), sebbene nelle sue applicazioni profane se ne osservi anche un’elaborazione borghese [SASSU 1968, pp. 17-18]. La funzione di sùpplica, sopra osservata, potrebbe perfino relazionarsi all’originario ufficio di canzone questuante. Un’irradiazione da Sassari, e quindi una derivazione della cantada dalla góbbula, è in effetti accennata da Giovanni Spano [1840, II, pp. 53-54], il primo ad essersi occupato in sede trattatistica del tipo metrico della cantada. Parlando della góbbula e del suo procedere responsoriale (l’esecuzione prevede infatti la ripetizione corale di ogni verso eseguito dal solista), precisa che: «Quest’uso specialmente vige a Sassari […] ma pure si è esteso a molti villaggi del Logudoro, cambiando la lingua senza cambiarne il costume» [ID., II, p. 53]. § 24. Accantonando l’ipotesi indicata da Spano – né avvallabile né confutabile per la scarsa verificabilità documentale e filologica del corpus di góbbule e cantadas attualmente reperibile – vorremmo intanto segnalare, attenendoci allo spirito di questo lavoro, l’analogia fra il sistema della cantada e un genere decentrato del repertorio strofico spagnolo: il perqué. Ne diamo un esempio di Juan del Encina (1468-1530) conservato nel suo Cancionero del 1496 [LXXXIvLXXXIIr] (si riportano i primi 12 versi sul totale di 131): Dezid vida de mi vida porque tardays mi desseo: señor porque creo que me poneis en olvido: pues porque teneys creido lo que yo nunca pense: porque señor aun no se si bien o mal me quereys: pues porque razon poneys en mi firme fe dudança: porque perdays esperança del galardon que pedis L’eccentricità del genere consiglia estrema cautela nel pensare derivazioni della cantada dal perqué, e non aiuta la codificazione solo recente che ha interessato questo tipo nella metricologia spagnola, considerato come forma indipendente a partire dal manuale di § 24 iv. La cantada 109 Navarro Tomás [1956; cfr. BAEHR 1962, p. 231]. La vicenda biografica e letteraria di Juan del Encina mostra incroci isolani: si ha notizia di una rappresentazione teatrale dell’autore spagnolo tenutasi in sua presenza in casa del cardinale Jaime Serra (1492-1517), valenzano ma titolare dell’Arcidiocesi sarda di Oristano. Però ciò non è sufficiente ad affermare un reale influsso dell’autore spagnolo sulla poetica sarda, quando poi si rammenti che il «prelato valenzano, alle cure diocesane oristanesi […] preferiva la curia romana» [MELE 1993, p. 230]2. Va comunque notato l’elemento forte che mette insieme cantada e perqué: la cesura sintattica che rompe sistematicamente l’andamento per distici; un dato strutturale che nel genere spagnolo si lega all’originaria impostazione interrogativo-dialogica. Parrebbe insomma da meditare con prudenza il rapporto fra l’appartato perqué e un genere come la cantada votato ad usi popolari, siano essi religiosi o profani. Tale rapporto soffrirebbe inoltre la concorrenza dell’apparentamento della cantada alla battorina e dunque ai metri torrados, laddove la prima risulterebbe un ampliamento della seconda a forza di distici: (battorina) a1bbaa1 > (cantada) a1bbccdd…aa1. Un procedere dilatatorio, d’altronde, si è già notato a proposito delle pesadas tetrastiche (§ 17), a loro volta infatti imparentabili con la battorina (§ 21), che da una struttura abba porta a forme più ampie sempre per aggiunzione di distici: abbccdda. 2 Fa anche una certa impressione apprendere dalla premessa che Juan del Encina colloca in principio del suo Cancionero del 1496 (intitolata Arte de poesía castellana) di una «gala de trobar» nominata «retrocado» («Ay otra gala de trobar que se llama retrocado, que es cuando las razones se retruecan, como una copla que dize: “Contentaros y serviros / serviros y contentaros”, etc.» [ENCINA 1978, p. 24]). Impressiona in relazione al genere sardo denominato retroga in cui si fa un uso sistematico di una tecnica d’inversione simile a quella esemplificata dallo spagnolo (vedi oltre la nota 19 al Capitolo quinto, p. 142). Ma «retrocado» (‘ricambiato’) appare definizione totalmente isolata nella terminologia metrica castigliana [DOMÍNGUEZ CAPARRÓS 1999, p. 304], e tale stato di hapax rispecchia il ricorso saltuario che si dovette fare di questa «gala de trobar», laddove si noti che la stessa esemplificazione prodotta da Juan del Encina per il retrocado («Contentaros y serviros / serviros y contentaros») è fittizia, ispirata da un villancico del proprio Cancionero (Ningun cobro ni remedio), il quale presenta però solo il verso «Contentaros y serviros» ma non il relativo ‘rivolgimento’ in serviros y contentaros [ENCINA 1496, c. XCIIIIv]. D’altra parte, una via etimologica più immediata vedrebbe il sardo retroga quale corruzione di retrog(r)adus (con dissimilazione progressiva di r), giusta la retrogradazione che spesso governa la inversione dei termini di cui si compone il verso. 110 § 24 Régula castigliana Con ciò la partita dei confronti fra cantada e forme consimili appartenenti ad altre tradizioni non è chiusa. E potrebbe non essere improduttivo in futuro riattivare uno sguardo da vicino sulle continuazioni del perqué ma anche seguire la traccia lessicale che dalla góbbula sassarese porta al gobula d’area italica, ad esempio utilizzato da Francesco da Barberino nei Documenti d’Amore relativamente a componimenti in distici [BELTRAMI 1991, p. 346]. In quanto ai discendenti metrici del perqué varrà forse la pena di approfondire il discorso sul genere dei Proverbios morales – certo più accessibile delle prove enciniane – giunto ad affinamento in un Cristóbal Perez de Herrera (1618) e con esempi di struttura circolare, essendo la serie distica aperta e chiusa da una quintilla (§§ 35-36) [Poetas líricos 1857, p. 246]: [quintilla] [distici] [quintilla] De lo que debes huir te aconsejé en le pasado; y en este último tratado lo que conviene seguir hallarás bien dibujado. Sigue al que al mundo ha decado por mejor seguir á Cristo. Al que no quiete ser visto y huye a la soledad al que con gran caridad a los prójimos consuela […] Al que dunque á los otros venza, no se jacta ni engrandece al que en obras sempre crece ejemplares y cristianas. Al que las cosas mundanas aborrece con firmeza, y pone su fortaleza en ganar las soberanas que da la suprema alteza. a b b a b b c c d d e f g g h h i i h i Ma non sarà pure senza significato il ricorso ad esempi d’area drammatica (già richiamati da NAVARRO TOMÁS 1956, p. 264), come il monologo di Lupercio affidato al terzo atto de Los embustes de Celauro (vv. 476-546) di Lope de Vega (1562-1635), dove i distici ottonari sono aperti da un verso irrelato e chiusi da una redondilla: § 24 [v. irrel.] [distici] [redondilla] iv. La cantada Trae diez, trae doce, trae veinte, trae mil, trae el mundo todo, porque ya yo estoy de modo que no tengo qué temer. ¡Triste! ¿Qué habemos de hacer muerta aquella que solía ser alma por quien vivía este espíritu cansado? Que aunque es verdad que afrentado di en venirme como loco, no la he querido tan poco que, aunque me agravia, la olvide. […] Mejor será sustentallos de aquestas silvestres frutas y del agua destas grutas áspera, fría y salobre, pasando esta vida pobre en penitencia que abone el haber muerto a Fulgencia, si puede haber penitencia que mi delito perdone. ø a a b b c c d d e e f g h h i i l m m l 111 Capitolo quinto La glosa 1. Statuto formale della glosa sarda § 25. Fra le eredità della tradizione metrica spagnola rilevabili nella poesia in sardo la forma denominata glosa si offre certamente come la più eclatante. Genere di pretta confezione castigliana, di una certa fortuna “squisita” in Francia (Voiture) e oggetto d’interesse presso eminenze del romanticismo tedesco [JANNER 1943, p. 221; SCOLES-RAVASINI 1996, p. 616], la glosa incontra un favore speciale nel sistema metrico isolano. Ma si segnala anche che recenti e pregevoli lavori di ispanisti italiani hanno messo in evidenza il ricorso alla glosa in plaghe pur ombrose del petrarchismo italiano cinquecentesco, indicando, aldilà della ben nota direzione d’influenza Italia>Spagna, anche la possibilità del cammino inverso1. Partendo per comodità dal significato del termine che dà nome al genere (spagnolo glosar, ‘glossare, chiosare’), possiamo definire il sistema della glosa come un ‘commento’ in versi di un testo (denominato texto; più spesso breve e, nella tradizione ispanica, pre- 1 Nello studiare tre glosas italiane (di Virginia Salvi e del non meglio noto Giulio Nuvoloni al sonetto 134 del canzoniere petrarchesco; di Giovan Battista Matelica all’ottava 63 del canto XXXIII dell’Orlando Furioso), Maria Luisa Cerrón Puga [2001, p. 154] affronta le relazioni poetiche fra Italia e Spagna «recorriendo no ya el camino de ida (de Italia a España), sino deteniéndome en ciertas huellas hasta ahora inexploradas del de vuelta.» Altri interessanti casi di glosas italiane emergono dagli studi CASAPULLO 1998 (sul Discorso sopra tutti li primi canti d’Orlando Furioso fatti per la signora Laura Terracina, 1549, che utilizza tecniche compositive certamente riferibili al genere metrico spagnolo) e RAVASINI 2003 che con buoni argomenti illustra il singolare esempio di una glosa in castigliano (alle ottave 61 e 62 del canto XLIV del Furioso) dello spagnolo Alonso Núñez de Reinoso (nel secondo libro della Historia de los amores de Clareo y Florisea, 1552, composto dalla obras en coplas catellanas y versos al estilo italiano) ispirata a consimili esempi italiani della già citata Terracina e di Dianora Sanseverino. 114 § 25 Régula castigliana esistente) di norma incorporato nelle strofe di nuova concezione. Nel tipo rigoroso questa inclusione dei versi allogeni avviene ordinatamente: se il texto è di quattro versi, le strofe glossatrici sono in numero di quattro, la prima si chiude con il primo verso del testo glossato, la seconda con il secondo, la terza con il terzo e la quarta con il quarto. I versi del texto vengono così conglobati nella sintassi delle strofe glossatrici. È questo il tipo eseguito nella poesia in lingua sarda, quasi esclusivamente nella forma della deghina glosa: derivazione diretta della glosa spagnola in décimas espinelas, cioè con strofe di schema abbaaccddc che prendono il nome da Vicente Espinel (1550-1624) autore nel 1591 delle Diversas rimas (dove la décima è detta dall’autore redondilla) [BAEHR 1962, p. 304]. Nel trascrivere un’anonima deghina glosa del Settecento [MA2 DAU 1997 (1787): pp. 194-195] , evidenziamo in grassetto, a destra del testo, la ripresa delle rime e dei versi interi della pesada tetrastica, aiutandone l’individuazione con l’indicazione numerica a sinistra: pes. 1 2 3 4 Sa Corsaria de sos coros miradela, ch’est igue: si sos Moros sun che tue, ancu mi tenzan sos Moros. x y1 y2 x2 1 Chie est sa bella, chi girat, armada, e senza ferizza, cun cadena, e arcu, e frizza, conquistende a cantos mirat? Si cun bellos ojos tirat, ladros che rapaces Moros, non pro acquirire tesoros, sinò coros pro apresare; issa est, e s’at a ciamare sa Corsaria de sos coros. a b b a a x x c c x1 E est corsaria a sa vista de coros, ch’issa atesorat, pro chi a tottus innamorat, de tottu faghet conquista. d e e d str. I II iv. La glosa 2 Nde cherides sa revista? Ecco ispolios in tottue: non b’at golfu, o mare, inue coros no appat fertu, e presu; ne de su nostru est attesu: miradela ch’est igue. d y y f f y1 3 Itte bella est appostada, isparende senza errore rajos, e frizzas de amore pro fagher calchi apresada! Mora mia, sa agraziada, firma; no andes atterue: contra mie investi, e rue, ancora ch’ande a Morìa: portami; ch’est diccia mia, si sos Moros sun che tue. g h h g g y y i i y2 4 No nde tenzas no piedade chi joghe in manos anzenas; si sun tuas sas cadenas, mai s’idat libertade. Ti amo sa barbaridade pius chi non platas, e ne oros: sa bella ladra de coros, si Moros t’an a imitare, che tue andende a apresare, ancu mi tenzan sos Moros! l m m l l x x n n x2 III IV 1 Generalmente se ne dà l’attribuzione allo stesso Madau; il ms. 220 della Universitaria di Cagliari riporta il testo adespoto (cc. 10v-11r). 2 § 25 [La Corsara dei cuori, | guardatela, è lì: | se i Mori son come te, | che mi catturino i Mori. || Chi è la bella, che si aggira, | armata e senza pietà, | con catene, e arco, e frecce, | conquistando tutti quelli che guarda? | Se con begli occhi lancia sguardi, | ladri come rapaci Mori, | non è per conquistare tesori, | ma per imprigionare cuori; | è lei, e si chiamerà | la Corsara dei cuori. || Ed è corsara alla vista | dei cuori, che lei ammalia, | perché tutti s’innamorano, | di tutti fa conquista. | Ne volete la lista? | Ecco vittime ovunque: | non c’è golfo, o mare, in cui | non abbia ferito, e imprigionato cuori; | né è tanto lontana dal nostro (mare), | guardatela, è lì. || Quant’è bella quando si apposta | e spara senza sbagliare, | raggi e frecce d’amore | per catturare qualcosa! | Mora mia, graziosa, | smetti; non colpirne altri: | aggredisci me, e fammi cadere, | anche se finissi fra i Mori: | portami; che sarà la mia fortuna, | se i Mori son come te. || E non farti pena | se io sto in mani altrui; | se son tue le catene, | mai vi sia libertà. | Amo la tua barbarie | più degli argenti, e gli ori: | bella ladra di cuori, | se i Mori t’imiteranno, | andando come te a predare, | che mi catturino i Mori!] 115 116 Régula castigliana § 25 In ragione della sua natura piuttosto retorica (citazionale e intertestuale), sulla possibilità di annoverare la glosa spagnola fra i tipi precipuamente metrici traspare qualche cautela presso gli specialisti, e non vi è dubbio che, come afferma Hans Janner (il primo ad essersi occupato sistematicamente di questo tipo compositivo3): «Lo peculiar de la glosa, en efecto, no tiene su punto de partida en la forma, sino en la intención, implícita ya en la palabra “glosa”» [JANNER 1943, p. 182]4. La cautela è riferibile alla complessiva storia del genere in Spagna (dal XV al XVII secolo), dove, non riducendosi la glosa ad un unico modello ma declinandosi in diversi tipi di strofe e di varie modalità compositive, il suo spirito risiede piuttosto nella funzione di commento ad un testo ‘altro’ (funzione intertestuale), specialmente quando il testo glossatore instaura con quest’ultimo un rapporto dialettico, e talvolta antitetico, ma non dialoga sotto l’aspetto metrico-strutturale. In tal senso la glosa lirica è sì «il punto d’arrivo strutturato di un percorso graduale» [SCOLES-RAVASINI 1996, p. 620] che passa per le applicazioni del termine glosa vigenti nella tradizione medievale castigliana – dalle glosas volgari poste al margine di testi a fini esplicativi in corrispondenza di parole difficili o desuete (poi sviluppatesi in commenti interpretativi)5, alla glosa intesa come libera traduzione amplificatoria (differente dalla traduzione ‘parola per parola’) [ID., pp. 618-619]6 – ma si diffrange in una molteplicità di modelli strofici. Resta perciò saldo che «es imposible definir el género lírico de la glosa desde el punto de vista estrictamente métrico, ya que ni la 3 Fino a poco tempo fa i lavori di Janner [1943 e 1946] erano anche gli unici in materia ma una recente messa a punto intorno allo statuto e alle forme della glosa è SCOLESRAVASINI 1996; Ines Ravasini ha dedicato altri studi al genere della glosa: RAVASINI 199496 (sull’uso della glosa nelle justas poéticas) e 1998 (sulle glosas nei testi teatrali del Siglo de Oro). 4 Visione ribadita in JANNER 1946, p. 72: «En primer lugar sería falso dar una definición única del concepto métrico de la glosa, dado que es una forma poética cuya base estriba en la misma idea de glosar versos y poemas ya existentes». 5 SCOLES-RAVASINI 1996, pp. 617-618; il contributo è a quattro mani ma, per dichiarazione delle autrici, le pp. 615-623 spettano alla Scoles e le pp. 623-632 alla Ravasini. 6 Non mancano usi d’ambito musicale (XVI e XVII secolo) dove con glosa s’indicano variazioni melismatiche, improvvisate, tese a colmare «le durate dei suoni scritti con fioriture di note più rapide» [SCOLES-RAVASINI 1996, p. 619]. § 25 iv. La glosa 117 medida del verso, ni el esquema de las rimas, y ni siquiera el tipo de estrofa, consituyen elementos determinantes de identificación» [RAVASINI 1998, pp. 1295-1296]. Tuttavia, se prendiamo la glosa nelle applicazioni vigenti nella tradizione poetica sarda, deghinas nel modo sopra descritto ed esemplificato, possiamo contemplarla quale tipo speciale delle canzoni ‘a ripresa’, vale a dire, in riferimento al sistema sardo, fra i metri torrados. Il prelievo di versi interi dal testo glossato, ordinatamente collocati alla fine di ogni strofa glossatrice, ha infatti un senso strutturante, laddove si deve marcare la differenza fra testi con semplice prelievo di una rima della pesada che si ripete fissa nelle strofe (il componimento torradu) e testi che vedono l’inclusione di versi interi in posizione fissa (a fine strofa) e in un ordine preciso, costruttivo e quindi formalmente caratterizzante. Pare pertanto azzeccata la definizione che della glosa ha dato Rafael de Balbín [1962, p. 330], contemplandola fra i tipi di poema poliestrófico encadenado (con estribillo) sotto la definizione di poema poliestrófico encadenado radial. La distinzione fra deghina simple (anch’essa rimontante alla décima espinela e con qualifica, simple, pure castigliana; vedi § 34) in serie aperta di stanze, senza rapporti rimici interstrofici, e la deghina glosa, forma fissa nonché chiusa in cui lo schema rimico è in rapporto alla pesada di quattro versi e da questa ordinatamente determinato, è distinzione di carattere metrico-strofico non riducibile alla sola dimensione elocutiva di ‘commento a un testo’; anche perché, una volta formalizzatasi, la glosa non presuppone più il riuso di un testo preesistente, ma crea originalmente anche il testo da glossare. Schematizzando, ai testi in deghina simple: str. I str. II str. III str. IV str. V n strr. a b b a a c c d d c - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - …………………………… si oppone la geometrica e chiusa testura della deghina glosa: 118 § 26 Régula castigliana pes. str. I str. II str. III str. IV x1 a - y1 b - y2 b - x2 a - a - x y y x x y y x c - c - § 26 iv. La glosa Dies irae, dies illa Solvet saecculum in favilla, Teste David cum Sybilla Penza chi cuddu die hat arribbare De ira, de amargura, e de furore; E dae su Chelu fogu hat a calare De grande attividade, e summu ardore, Cale a chinìsa tottu deèt torrare Homines, mares, montes cun horrore: Gasì Davìde lu vaticinesit, E una Sybilla ancòra lu indichesit. x1 y1 y2 x2 che è pure altra cosa dal semplice sistema torradu, quale può essere ad esempio quello della sesta torrada, con torrada (estribillo) fissa al termine di ogni strofa: pes. str. I str. II str. III str. IV n strr. 2. x y y1 x1 a b b a a x y1 x1 - - - - - x y1 x1 - - - - - x y1 x1 - - - - - x y1 x1 ……………………… La glosa come traduzione amplificatoria § 26. Qualità solo retoriche spettano ad un altro genere di componimenti sardi denominati glosas, d’uso poco frequente nella poesia sarda, testimoniato nella Glosa del Dies Irae in ottave (serradas: ABABABCC) di Giovanni Delogu Ibba [DELOGU IBBA 2003 (1736), pp. 750-760] e successivamente nel quasi-rifacimento, probabilmente operato da Giovanni Battista Madeddu, stampato nel 1802 su foglio volante (Glosa de su Dies Irae in octava rima sarda)7. Questo secondo allestimento rende chiaro il modo di procedere di tale tipo di glosa: ogni ottava amplifica una delle strofette monorime in cui si articola l’inno latino (del XII secolo e di probabile fabbricazione italiana, un tempo attribuito a Tommaso da Celano). Si veda la quarta strofa, la prima di commento, dopo tre ottave di protasi contenenti l’appello al peccatore affinché ascolti le parole del Dies irae attraverso le quali la Santa Chiesa ricorda al peccatore il giorno del giudizio: 7 Glosa Dies irae 1802. La pubblicazione su foglio volante è anonima (fatto abbastanza normale in questo genere di prodotti editoriali) ma se ne trova una copia inserita e poi cucita nel manoscritto (datato 1806) contenente le opere di Giovanni Battista Madeddu (Varios canticos in sardu idioma de su Sacerdote Joanne Baptista Madeddu; Biblioteca Universitaria di Cagliari, Fondo Baille S.P. 6bis 2.9; ora in un’edizione purtroppo parziale e andante: MADEDDU 2006). 119 [Giorno d’ira, quel giorno; | dissolverà il secolo in faville, | lo attestan Davide e la Sibilla. || Pensa (peccatore) che arriverà quel giorno | d’ira, d’amarezza e di furore; | e fuoco calerà dal cielo | incessantemente e con sommo ardore | e tutto ridurrà in cenere | uomini, mari e monti con orrore: | così Davide vaticinò | e ancora una Sybilla lo indicò.] Come si vede, la glosa non ha qui implicazioni metriche, strutturandosi semplicemente sulla giustapposizione di testo commentato (l’inno latino) e sua parafrasi-amplificazione (l’ottava in sardo), senza che fra l’uno e l’altro neppure intercorrano sporadici legami rimici. La Glosa del Delogu Ibba, che in testa al componimento riporta solo la prima strofa del Dies irae, mostra peraltro riprese testuali dell’inno sempre collocate in chiusura d’ottava (la tecnica ricorre alle strofe XII-XV) [DELOGU IBBA 2003 (1736), p. 756, vv. 97-104]8: [Quaerens me sedisti lassus, redemisti crucem passus: tantus labor non sit cassus.] Regordati comente totu istracu Ti secesti in su putu de Samaria Quirquende à mesu die custu macu Qui errende andàt in terra inculta, et varia Cobertu de unu bruttu, et vile sacu De sa gente pius baxa, et ordinaria Fin à mi redimire Crucem passus tantus labor Señore non sit cassus. [Cercandomi ti sedesti stanco, | mi redimesti, patendo la croce, | tanta fatica non Riportiamo fra parentesi quadre la strofa del Dies irae cui si riferisce la strofa di glosa, i corsivi nell’ottava sarda sono nostri. 8 120 Régula castigliana § 26 sia sprecata. || Ricordati come tutto stanco | ti sedesti sul pozzo di Samaria | cercando a mezzogiorno questo pazzo | che errando va per terre incolte e diverse | vestito d’uno sporco e vile sacco | della gente più umile e ordinaria | fino a redimermi Crucem passus | tantus labor Signore non sit cassus.] È una modalità citazionale apparentabile al procedimento della glosa lirica, sebbene il modulo a riprese non raggiunga qui coerenza strutturale. E infatti le analogie trovano ragione in un più vasto campo d’impiego stilistico della citazione – prima e oltre la glosa lirica – comprendente, fra l’altro, proprio «parafrasi di testi religiosi, dove il brano interpretato viene posto in epigrafe al testo e talora incorporato al suo interno con leggere variazioni» [TOMASSETTI 1998, p. 76; l’osservazione si riferisce alla Spagna fra XV e XVI secolo]. La glosa di Delogu Ibba rimonta infatti al significato di ‘traduzione’ che il termine acquista in Spagna già in periodo tardomedievale, e appare chiara nel seguente passo del Tostado richiamato da Emma Scoles9: Dos son las maneras de trasladar. Una es de palabra a palabra et llamase interpretacion. Otra es poniendo la sentencia sin seguir las palabras, la cual se faze comunmente por mas luemgas palabras, et esta se llama exposicion o comento o glosa. La primera es de mas autoridad. La segunda es mas clara para los menores ingenios. En la primera no se añade et, por ende, siempre es de aquel que la primera fabrico. En la segunda se fazen adiciones e mudaminetos, por lo qual no es obra del autor mas del glosador. Emergono qui anche gli intenti volgarizzatori della explanatio verborum, da cui non va esente il testo di Delogu Ibba – e di conseguenza quella di Madeddu – dispiegando il Dies irae in ottave d’ammonimento al peccatore, a scopo dottrinale. Siamo quindi nel territorio della Salve glosada, in spagnolo, testimoniata dal Canzoniere ispano-sardo (1683) [CANZIS 1996, pp. 148-149] – anche questa con farciture latine – o più correntemente delle ‘versioni’ in sardo di inni liturgici e preghiere, molti dei quali rubricati col termine glosa, che occupano una discreta parte del manoscritto del già citato Madeddu, dove si trovano, fra molti altri, le parafrasi dell’Ave Maris Stella (f. 161; in quartettas di settenari abba), del Pange lingua (f. 33; SCOLES-RAVASINI 1996, pp. 620, 618-619; il passo è a sua volta tratto da Alfonso de Madrigal, El Tostado sobre Eusebio, Hans Gysser, Salamanca 1506-1507. 9 § 26 iv. La glosa 121 in ottava serrada), dello Stabat Mater (f. 164), della Salve Regina (f. 127), ambedue in sesta lira. Appare abbastanza evidente come questa produzione rimonti alle spagnole «glosas de oración que no tienen estructura mètrica de glosa» [JANNER 1946, p. 86], di cui lo stesso studioso riporta un esemplare anonimo del 1549 (Mi coraçón desfallece): glosa alla Salve Regina dove le strofe, dopo le prime due proemiali, sono aperte da una parola della preghiera (riportiamo la terza strofa) [ID., p. 35]: Salve Salve de virgines flor, la más digna y la primera, que sin tacto de pudor salió de tí el Salvador como sol por la vidreira. ¡Oh Virgen del pensamiento, obra, deseo y voluntad, que eres, Señora, cimineto y principal fondamento de pura virginidad! Vi sono poi casi in cui tali glosas de oración sconfinano nei procedimenti della glosa lirica, organizzando strutturalmente la ripresa del testo chiosato, ciò che avrà costituito il modello per i prelievi citazionali di Delogu Ibba. Si vedano, ad esempio, le prime due strofe di una Glosa del Pater noster di Gregorio Silvestre [Romancero y cancionero sagrados 1855, p. 243]10: Inmenso padre eternal, ¿Qué son tan altos motivos que os da el linaje humanal, que por hijos adoptivos dais al hijo natural? Exceso es grande de amor, Para que el hombre se asombre De ver tan alto favor, Que el Hijo de Dios y el hombre A sua volta tratto da Las obras del famoso poeta Gregorio Silvestre, Manule de Lira, Lisboa 1592; altri esempi simili a quello prodotto si leggono in Romancero i cancionero sagrados 1855, nella sezione per l’appunto intitolata Oraciones con glosa (nn. 565668, pp. 242-256). 10 122 § 27 Régula castigliana § 27 iv. La glosa Llamen á un mimso Señor Pater noster. Mira que tanto te amó, alma, si quieres moverte; por poder morir nasció, porque heredes con su muerte la gloria que él te ganó. Siendo mio el interese, Se humana, y muerte rescibe Mejor que si suyo fuese, por quien, Señor, por quien vive como si nunca supiese qui es in coelis 3. § 27. Riguardo alla complessiva storia della glosa in lingua sarda disponiamo fortunatamente di un esemplare in logudorese della seconda metà del Cinquecento dovuto ad Antonio de Lo Frasso (Alghero 1520 - Cagliari 1595). Autore di un romanzo pastorale in castigliano, Los diez Libros de Fortuna d’Amor, che godette di una certa popolarità in Spagna, Lo Frasso inserisce nella narrazione la seguente Glosa sarda (evidenziamo in grassetto, numericamente e alfabeticamente, i versi ripresi) [LO FRASSO 1573, pp. 239-241]: str. I A B A B X X1 2 Non mi valet vider istrañas cosas, non mi valet vider tanta nobleza, non mi valet vider damas presciosas, non mi valet vider tanta riqueza. Antis si vido feminas graciosas, in me sentu sa fiama pius inceza, in su coro pro hue in custu dia animu ancor mudare mi crehia. C D C D C D Y Y1 3 Sa vida fato de modu et sorte, qui non poto sufrire s’aspra pena, megius si como esser pro me sa morte qu’istare tantu tempus in cadena, s’istremu dolore m’est tantu forte qui mi sicat su sanben de ogni vena vivende in dolu tristu atribuladu et passende su mare ampiu turbadu. E F E F E F X X2 4 Passadu apo su mare in custa terra, hue m’agatu como hora presente, pensamentu e disigiu mi dat guerra, qui cantu vidu inoghe m’est niente, crudele fogu de ausencia m’afferra’, qui m’incita’ torrare prestamente, hue est sa qui amo fussi in qualqui dia passare s’aspra pena qui sentia. G H G H G H Y Y2 5 Non poto dia et note reposare qui ya m’agato mortu dogna hora et torrende in me vengio a pensare qui tota sa culpa tenes señora, podendemi su male remediare crudelissima ti vido anchora ti lassei pro istare discansadu et da su fogu meda separadu. I L I L I L X X3 II Storia, forme e funzioni della glosa lirica sarda 1 2 3 4 5 6 7 8 1 videndemi foras de sentimentu, et sensa una hora de riposu, pensende istare liberu et contentu m’agato pius aflitu e congoixosu, in essermi de te Señora apartadu, mudende ateru quelu ateru istadu. Mudende ateru quelu ateru istadu, animu ancor mudare mi crehia, et passende su mare ampiu turbadu passare s’aspra pena qui sentia, et da su fogu meda separadu separare de me sa fiama mia ma de atesu et de probe in ogni logu vivo et abruxu in amorosu fogu. X1 Y1 X2 Y2 X3 Y3 Z1 Z1 Glosa sarda Non podende sufrire su tormentu, de su fogu ardente innamorosu, A B III IV V 123 124 § 27 Régula castigliana VI 6 Separare non poto dae su choro sa belesa qui tenes inmortale iscrita in me cun literas de oro qu’in s’anima istas pura e legale, ateru bene in su mundu no imploro si no su visu tou angelicale vistu qui podes tue in custu dia separare de me sa fiama mia. M N M N M N Y Y3 7 Impossibile est qui inoghe istende non perdet s’isperanza de vitoria, ancu qui giertu in presencia torrende sa vista tua m’at como esser gloria, ya qui cun sa Fortuna contrestende, mi leesi sentimentu e memoria tale qui mi consumat vivo fogu ma de atesu e de probe in ogni logu. O P O P O P Z Z1 8 Non poto istare si no atribuladu videndemi in tantas passiones qui mi dat Venus pro ser condemnadu morire pro sas bellas perficiones, de cudda qui mi tenet cativadu in sas cadenas fortes de aficiones, tantu qui como giertu in custu logu vivo e abruxu in amorosu fogu. X Q X Q X Q Z Z1 VII VIII [Spostandomi sotto un altro cielo, un’altra condizione, | credevo di cambiare anche stato d’animo | e attraversando il grande mare in tempesta | superare l’aspra pena che provavo, | e molto distante dal fuoco | allontanarmi dalla mia fiamma; | ma lontano e vicino in ogni luogo | vivo e brucio nel fuoco d’amore. || Non potendo sopportare il tormento | dell’ardente fuoco che innamora, | vedendomi fuori di me | e senza un momento di riposo; | pensando d’esser libero e contento, | mi ritrovo invece più afflitto ed angosciato, | per essermi da te, mia signora, allontanato | spostandomi sotto un altro cielo, un’altra condizione. || Non mi aiuta vedere cose nuove, | non mi aiuta vedere tanta nobiltà, | non mi aiuta vedere splendide dame, | non mi aiuta vedere tanta ricchezza; | anzi, se vedo donne graziose, | sento in me ardere ancor più la fiamma | in quel cuore per cui oggi | credevo di cambiare anche stato d’animo. || Passo la vita in tal modo e guisa | che non posso sopportare l’aspra pena; | meglio se ora per me giungesse la morte | che stare così a lungo in catene, | l’ulteriore dolore mi è così forte | che mi dissecca il sangue nelle vene | vivendo nel dolore, triste, tribolato, | e attraversando il grande mare in tempesta. || Ho attraversato il mare fino a questa terra | in cui ora mi trovo, | combatto con pensieri e desideri, | ché quanto vedo non mi è di alcun conforto, | il crudele fuoco della lontananza m’afferra, | e mi spinge a tornare al più presto | dov’è colei che amo, per § 27 iv. La glosa 125 poter un giorno | superare l’aspra pena che provavo. || Non trovo riposo né il giorno né la notte | poiché mi sento morire ogni momento | e quando rinvengo arrivo a pensare | che è tutta tua la colpa, signora, | e mentre puoi rimediare al mio male | ti vedo ancora più crudele, | ti lasciai per stare in pace | e molto distante dal fuoco. || Rimuovere non posso dal mio cuore | la tua bellezza immortale, | scritta dentro di me a lettere d’oro | sicché nell’anima resti pura e leale, | altro bene non imploro in questo mondo | se non il tuo angelico viso | dato che tu oggi puoi | allontanarmi dalla mia fiamma. || Ma è impossibile che stando qui | non perda la speranza di vittoria | benché certamente tornando da te, | la tua vista sarebbe la mia felicità; | giacché combattendo con la Fortuna, | rimossi ricordi e sentimenti, | così che mi consuma nuovo fuoco | ma lontano e vicino in ogni luogo. || Senza tribolazioni non vivo | vedendomi in tali sofferenze | che Venere mi dà per condannarmi | a morire per le belle perfezioni | di colei che mi tiene prigioniero | nelle forti catene amorose, tanto che ora certamente in questo luogo | vivo e brucio nel fuoco d’amore.] Il componimento sfrutta lo schema (ABABABCC) dell’ottava italiana, octava real spagnola, ottava serrada sarda. L’ottava iniziale è sviluppata nelle otto che compongono la glosa, ognuna delle quali si chiude ordinatamente con un verso del testo glossato, secondo il sistema già illustrato per la deghina. Questo esempio cinquecentesco di ottava glosa, benché solito nella poesia castigliana, risulta un unicum nella poesia d’espressione sarda, e si nutre più d’un dubbio circa la possibilità che tale tipo fosse all’epoca in uso nella produzione isolana in sardo. Sarà bene ricordare, infatti, che facendo cantare in glosa il pastore Frexano (personaggio sotto il quale si cela l’autore stesso), lo scrittore algherese aderiva ad una topica propria del romanzo pastorale allora in voga nella letteratura castigliana. Glosas performate in ambito pastorale saranno anche quelle inserite da Cervantes ne La Galatea e da Lope de Vega in Las fortunas de Diana. Inoltre, si deve tener conto che l’inserimento della glosa in sardo nel tessuto del romanzo è esplicitamente giustificato «dalla curiosità salottiera delle dame barcellonesi verso l’inconsueta e poco nota lingua montanara della patria di origine del protagonista Frexano» [MANINCHEDDA 1993, p. 62]. Improbabile che l’esemplare dell’algherese rispecchi a questa altezza cronologica un uso già vivo in Sardegna, è invece ammissibile che Lo Frasso abbia inteso testare il sardo (lingua per tradizione poco o nulla letteraria) su una distinta moda metrica castigliana, un gesto da cui non si può escludere un moto d’orgoglio nei rispetti della piccola patria d’origine (Lo Frasso è esule a Barcellona), poiché, in prospettiva nobilitante, mettere in bocca a Frexano una glosa in sardo significava affidargli uno stru- 126 Régula castigliana § 27 mento la cui perizia d’uso stabiliva nella Spagna del tempo il valore del poeta. La ricerca di una performance elevata appare chiaramente quando si consideri che a Frexano è richiesto che «cantasse sola una otava rima, en su lengua», e invece egli decide di prodursi in una glosa «por mostrar el desseo que en mayor servicio desseava emplearse» [LO FRASSO 1573, p. 239]. Tutto ciò rende inclini a sospettare un carattere sperimentalistico di Mudende ateru quelu ateru istadu, senza addentellati con la produzione poetica sarda del tempo (tanto meno con quella realmente amebeo-pastorale). Solo più tardi il tipo di glosa in octavas reales utilizzata da Lo Frasso circolò in Sardegna però senza trasferirsi alla produzione in sardo. I tre esemplari riportati adespoti dal Canzoniere ispano-sardo della fine del Seicento (¿Yo para qué nací? para saluarme; Oy’, palpé, gusté, vi y tuue olfato; Larga cuenta que dar de tiempo largo [CANZIS 1996, pp. 89-91; 91-93; 95-97]) si rintracciano in manoscritti presenti nell’Isola (ms. 192 conservato presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari11). Si tratta di esempi ben canonici. Segnalo che la glosa di ¿Yo para qué nací? para saluarme è contenuta in un pliego suelto del 1613 di Lope de Vega (1562-1635): Segunda parte del desengaño del ombre, più volte ristampato [ediz. consultata VEGA 1615]. L’ottava iniziale si attribuisce a Fray Pedro de los Reyes, sulla scorta dello stesso Lope che ne tesse l’elogio nel Laurel de Apolo citando il verso di chiusura dell’ottava: Loco deuo de ser pues no soy santo! [VEGA 1630, p. 62], e di essa «como de las glosas que se hicieron» esistono «infinidad de ediciones y copias manuscritas» [RODRÍGUEZ-MOÑINO 1969, p. 205]. Nel citato pliego lopiano, ¿Yo para qué nací? para saluarme è preceduta da una glosa all’ottava Larga cuenta que dar de tiempo largo, la stessa glossata nel Canzoniere ispano-sardo. I tre campioni riportati in quest’ultimo dovettero insomma costituire una serie rappresentativa, quando anche notiamo che ¿Yo para qué nací? para saluarme e Oy’, palpé, gusté, vi y tuue olfato vengono 11 ¿Yo para qué nací? para saluarme, ff. 204v-205r (solo l’ottava da glossare nel ms. di Sebastian Suñer, D.IV.C.31 della Comunale di Sassari); Oy’, palpé, gusté, vi y tuue olfato, ff. 207r-v; Larga cuenta que dar de tiempo largo, nel ms. 192 solo l’ottava da glossare (riscontri forniti da Paba in calce ai testi riprodotti in CANZIS 1996). § 28 iv. La glosa 127 usate da Caramuel per introdurre il discorso sulla glosa nel Primus Calamus [CARAMUEL 1663, IV, pp. 29-30], secondo una lezione sostanzialmente identica a quella del Canzoniere ispano-sardo e nella medesima successione con cui vi sono trascritte. Celebri e conservate anche in manoscritti isolani, queste glosas in octavas reales dovettero però restare pertinenti all’espressione alta, a un livello egemonico di produzione, diversamente da quanto è dato registrare per la glosa in décimas (deghina glosa), fra i generi preferiti dai poeti in sardo sette-ottocenteschi. § 28. Un argomento linguistico farebbe pensare a una immissione antica della glosa in Sardegna. La denominazione isolana del genere oscilla fra glosa e glossa. La prima dizione, con -s- sonora [z], è l’unica usata nel trattato di Matteo Madau [1997 (1787), p. 67], il quale scrive «decima in glosa» (quattro volte [ID., pp. 188, 192, 194, 196]) o «decima cun glosa» (un solo ricorso [ID., p. 190]). Si esclude che Madau adoperasse una scrittura castigliana dove -s- avrebbe qualità sorda, se si considerano l’antispagnolismo manifestato da Madau sotto forma di reticenze in merito alle eredità iberiche presenti nella tradizione sarda e l’adozione nel trattato di un usus grafico italiano. Glosa compare anche nell’Ortographia sarda dello Spano: «Avvi finalmente un’altra qualità di deghina dai sardi Poeti chiamata GLOSAS chiose, oppure DECIMA GLOSA PERFECTA» [1840, II, p. 37]. Però il canonico di Ploaghe darà in seguito preferenza unica alla dizione glossa nelle rubriche ai testi delle sue antologie, fra il 1863 e il 1872, forse adeguandosi a una pronuncia ottocentesca divenuta la più frequente. Ciononostante la variante glosa ci resta autorevolmente attestata anche a fine Ottocento, quando Paolo Mossa manda in stampa una sua deghina apponendovi la rubrica «dezima glosa» (Una noa grascia) e, nel fare in nota una riflessione proprio in merito al metro adoperato, ribadisce «decima-glosa» [MOSSA 1885, p. 182; cfr. § 31]. Ora, poiché l’assordamento di [z] si verifica in castigliano solo dopo la metà del XVI secolo [WAGNER 1941, pp. 417-418; D’AGOSTINO 2001, p. 60] (e diversi sono i riscontri di spagnolismi conservati in Sardegna allo stadio di -s- sonora, ad es. apposentu, ‘camera’), la forma glosa potrebbe far pensare a una penetrazione antica dello 128 Régula castigliana § 28 spagnolismo e, quindi, del genere metrico. Questa ipotesi, però, non è confortata da riscontri testimoniali (la diffusione della glosa in Sardegna è fatto sei-settecentesco) ed è peraltro probabile che la forma con -s- sonora costituisca sardizzazione della pronuncia sorda spagnola, col che non ci si troverebbe al cospetto di un arcaismo fonetico. Non è inoltre da escludersi, per il perdurare della forma con sonora, anche l’influsso di pronunce catalane con [z] (vedi ALCOVER-MOLL 2006, alla voce Glossa o Glosa), tenuto conto del fatto che l’Isola, dopo l’unione delle due corone, rimase sostanzialmente di pertinenza aragonese. Il problema linguistico non è, allo stato attuale degli studi, risolvibile. Il trattamento della fonetica catalana e spagnola in sardo e ancor più gli usi grafici catalani e spagnoli nelle scriptae isolane, non hanno ricevuto particolari attenzioni da parte dei filologi. Per quanto riguarda l’ambito fonetico si è sostanzialmente fermi a Wagner12, il quale poi insisterà piuttosto sul patrimonio lessicale in La lingua sarda [WAGNER 1950, pp. 184-232]. Comunque sia, gli elementi storico-morfologici depongono a favore di una tarda introduzione della glosa in Sardegna. La forma in décimas (deghina glosa) è attestata solo a partire dal Settecento nella produzione in sardo e con dominio pressoché assoluto, se si eccettuano rari casi di ottava (ma di un genere diverso da quella cinquecentesca di Lo Frasso) che esamineremo in seguito (§ 30). L’affermazione nella penisola iberica di questo tipo di glosa è collocabile fra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento: proprio il periodo in cui si fa più intensa la ispanizzazione della Sardegna. I primi esempi di glosa si hanno già nella Spagna del XV secolo [NAVARRO TOMÁS 1956, p. 147], dove vige un’ampia varietà di forme e si può discorrere di sistemi liberi, senza inserzione dei versi del texto nella glosa. Questa condizione di polimorfismo prosegue soprattutto nel periodo a cavaliere dei secoli XV e XVI, che conosce il tipo delle canciones glosadas (che prendono l’avvio da strofe lunghe), del mote glosado (il cui punto di partenza è un verso sentenzioso: mote) nonché i primi esempi di glosas de romance. Ma è dall’ultimo quarto WAGNER 1941, pp. 417-421. D’ambito lessicale è anche la sintesi in BLASCO FER1984, pp. 140-166. 12 RER § 28 iv. La glosa 129 del Cinquecento fino a tutto il Seicento che la glosa raggiunge la massima fioritura, sebbene poi decada velocemente proprio sul finire del XVII secolo. In questo periodo la si trova inserita nei romanzi pastorali, conosce una massiccia applicazione nelle justas poéticas (certami poetici abituali specialmente in ambienti gesuitici e ricorrenti nella celebrazione di festività religiose13), entra nel repertorio dei repentistas (‘improvvisatori’) autori di glosas burlonas (satirico-giocose), genere in cui si adoperò il ‘glossatore’ principe nella Spagna di questo periodo: Lope de Vega (1562-1635). È appunto in questa sua epoca fortunata che il genere si stabilizza nel tipo in quattro décimas che glossano un texto di quattro versi: la glosa per eccellenza14. Tale preminenza del tipo in décimas è evidente nella trattatistica di fine Seicento: Juan Caramuel [1663], nel classificare i vari modelli di glosa, opera una distinzione a partire dal numero di versi di cui si compone il texto (Glossema: Monostichum, Distichum, Tristichum, Tetrastichum e Pentastichum) ma riproduce esempi in cui i vari tipi di texto sono quasi sempre glossati in décimas e soprattutto produce con speciale dovizia esempi di Glossema Tetrastichum: glosa con texto di quattro versi e sviluppo in quattro strofe di dieci versi [CARAMUEL 1663, IV, pp. 33-35], ossia la nostra deghina glosa. Pur considerando l’avvertimento della Ravasini, per cui «la varietà strutturale della prassi contrasta con la semplificazione e la rigidità normativa dei trattati teorici» nei quali si cerca «di sistematizzare e far confluire dentro una griglia stretta di precetti il fluido e variegato materiale prodotto dalla tradizione»15, tale normalizzazio13 JANNER 1943, p. 206 e soprattutto RAVASINI 1994-96 che studia miratamente le glosas delle justas poéticas e ne evidenzia il ruolo di primo piano nei certami, laddove «l’elemento intertestuale e l’istanza interpretativa […] si prestano ad essere sfruttati in chiave competitiva» [p. 236]. 14 JANNER 1943, p. 183 designa infatti con «tipo normal» la glosa in décimas: «forma que fué considerada como la forma de la glosa» [vedi anche JANNER 1946, p. 72]. NAVARRO TOMÁS 1956, pp. 273-274: «La glosa alcanzó su máxima popularidad en el Siglo de Oro. […] Dominó, sin embrago, la tendencia iniciada en el período anterior a construir la glosa con una redondilla como tema y cuatro estrofas de comentario terminadas respectivamente con cada uno de los versos de la redondilla inicial. La forma métrica generalizada en este tiempo para las citadas estrofas fue la décima». 15 SCOLES-RAVASINI 1996, p. 623. A questo contributo si rinvia anche per un quadro riassuntivo dei tipi di glosa, in base alla tipologia dei testi glossati (glosas de motes, di 130 § 29 Régula castigliana ne in direzione della glosa in décimas, con texto tetrastico, riflette in effetti il modello prevalente. E pertanto la fortuna sarda del genere, appunto ristretta a questo tipo «normal» (Janner), rinvierebbe al Siglo de Oro; si sarà quindi imposta nel Seicento con il conseguente impiego nella produzione in lingua sarda. Anche le tardive attestazioni settecentesche della deghina glosa chiedono di preferire questa direzione. § 29. La più antica e cospicua testimonianza di deghinas glosas è rappresentata dalla serie esibita ne Le armonie de’ sardi di Matteo Madau (1787). Con 5 esemplari il genere occupa una posizione perfettamente mediana nella frequenza dei tipi metrici antologizzati dal gesuita ozierese: preceduta dall’ottava (15), dal sonetto (13) e dalla sesta torrada (8), seguita dalle quartettas caudate (3), dall’ottava torrada (1) e dalla sesta lira (1). Il fatto che nel numero le deghinas glosas quasi insidino la forma più frequentata di metro torradu (la sesta) è indicativo di un acquisito apprezzamento del genere in Sardegna. Il Settecento isolano vede infatti la glosa come sistema operante anche nella sua funzione intertestuale. In questa prospettiva un esempio si può trarre ancora dalla produzione di fine secolo, in area sassarese. Una delle poche canzoni note di Sebastiano Branca (Sassari 1738 - Mores 1812) è la seguente deghina glosa16: Divilu a qua t’ha mandatu chi comu stoggu ella sa: ch’è superfluu pregontà comu stia un desdiciatu. x1 y1 y2 x2 redondillas, di canciones, di villancicos, di romances e anche di sonetti), ai modi di conglobare nelle strofe glossatrici i versi del testo glossato (glosas che prelevano un verso per strofa, collocandolo generalmente in chiusura di ogni strofa, più raramente in posizioni mediane; altre glosas che citano due versi per strofa di norma uno a metà ed uno alla fine oppure entrambi alla fine della strofa; più rara la citazione di quattro versi dal testo glossato, soprattutto canciones o romances, e rarissima quella di cinque versi). Inoltre si possono operare distinzioni per gli schemi seguiti nelle strofe glossatrici (coplas castellanas; décimas; o casi sporadici di strofe di nove, undici e tredici versi). 16 Riportiamo il testo secondo COSTA 1909, p. 166. Una versione precedente è quella fornita in SPANO 1873, pp. 59-63, con varianti anche di peso e più vicina alla fonetica sassarese. § 29 iv. La glosa S’ella matessi ha volutu ch’eju vivissi patendi, comu avà sta pregontendi di lu mè pocu salutu? Dilli chi la paga avutu haggiu di lu travagliatu: Dilli chi soggu malatu cun frebbi di dugna sorti; e ch’aggiu in l’occi la morti divilu a qua t’ha mandatu a b b a a x x c c x1 Dilli ch’adoru gustosu lu destinu più tiranu si veni de la so’ manu chi un mondu po fa dicciosu. S’haggiu persu lu riposu, dilli chi no mi si dà: chi cun chissu pensu fa contenti li gusti soi. A tal fini dilli poi chi comu stoggu ella sa. d e e d d y y f f y1 Di tanti tribolazioni, s’ella ingrata motivu è, parchì vo sapè da me, li me’ affanni e li passioni? Dilli chi no ha ragioni, s’è chi pensa burulà: dilli chi in lu Zelu v’ha vendetta par l’incostanti, e lu ch’ella sa bastanti ch’è superfluu pregontà. g h h g g y y i i y2 Par ultimu dilli poi, s’altra volta a pettu l’ahi, chi la me’ infirmitai proveni da l’iri soi; e pregontala, da poi chi la risposta hai datu, lu gustu chi s’ha pigliatu, lu gran contentu chi ha avutu da chi di novu ha saputu comu stia un desdicciatu! l m m l l x x n n x2 131 132 Régula castigliana § 29 [Diglielo a chi t’ha mandato | che sto come lei sa, | ch’è superfluo domandare | come stia un disgraziato. || Se lei stessa ha voluto | che io vivessi soffrendo, | come mai ora s’informa | della mia poca salute? | Dille che ho ricevuto la paga | di chi ha sofferto | dille che sono malato | con febbri di ogni tipo, | e che ho la morte negli occhi | diglielo a chi t’ha mandato. || Dille che amo gioioso | il destino più tiranno, | se viene dalla sua mano | che il mondo può far felice. | Se ho perso il riposo | dille che non me ne curo, | ché con quel pensiero | scatena il suo piacere, | e per questo puoi dirle | che sto come lei sa. || Se di tante tribolazioni | è lei, ingrata, il motivo, | perché da me vuole sapere | i miei affanni e le mie sofferenze? | Dille che non ha ragione, | se lei pensa di burlare, | dille che in cielo v’è | vendetta per gli incostanti, | e lei ormai sa abbastanza | ch’è superfluo domandare. || In ultimo puoi dirle | se altra volta la incontrerai, | che la mia infermità | è causata dalle sue ire; | e chiedile, dopo | averle dato questa risposta, | quanto gusto v’abbia preso, | la grande felicità che ha provato | quando nuovamente ha saputo | come sta un disgraziato!] Enrico Costa, ripubblicando questo testo nel 1909 c’informa di un componimento del non meglio noto Proto Farris (sassarese, «morto suicida a 22 anni») che avrebbe ispirato la glosa del Branca [COSTA 1909, pp. 164-165]. Il testo di Farris è trascritto in una lettera del padre Bardilio Dettori delle Scuole Pie indirizzata a Pasquale Tola, lettera da cui si apprende che la poesia di Branca «non è che un commento da lui fatto di altra bellissima poesia, riducendola in quel metro lirico che solevasi chiamare decima glosada, o decima in glosa, sul gusto antico degli spagnuoli» [ID., p. 165]. Precisamente, Branca glossava, promuovendoli a pesada, i primi quattro versi del componimento di Farris in deghina (quattro strofe in deghina simple, non glosa; delle quali riportiamo solo la prima): Divilu, a qua t’ha mandatu, chi comu stoggu ella sa: ch’è superfluu pregontà comu stia un disdicciatu. Comenti ella m’ha lassatu, in pazi fin’a morì, così stoggu, l’hai a dì, ch’in paga di lu mè affettu par grazia la morti aspettu, si la possu meriscì. [Diglielo a chi t’ha mandato | che sto come lei sa, | ch’è superfluo domandare | come stia un disgraziato. | Come lei m’ha lasciato | in pace fino a morire, | così sto, le dirai, | che in ricompensa del mio amore, | io aspetto da lei per grazia la morte, | se potrò meritarla.] § 29 iv. La glosa 133 Gli stessi versi di Farris (con qualche variazione di significato ma probabilmente per mediazione del testo di Branca) figurano anche in capo a un’anonima deghina glosa in logudorese pubblicata da Spano [1865, pp. 58-59]: Narali a chie t’hat nadu coment’isto e si so sanu chi su preguntare est vanu d’unu corzu isfortunadu. S’est beru chi dimandesit sa bella ch’isto adorende e bistat como ispettende risposta a cantu li nesit, s’est beru chi s’ammentesit d’unu chi ja hat olvidadu nde resto maravigliadu ch’a mala pena lu creo, chi sas non dep’esser deo narali a chie t’hat nadu. [Dille a chi t’ha chiesto | come sto e se sto bene | che è vano chiedere | di un povero sventurato. || Se è vero che chiese | la bella che ora adoro | ed è ora in attesa | d’una risposta a quanto ti disse, | se è vero che si ricordò | d’uno che ha già scordato | ne sono meravigliato | tanto che a mala pena posso crederlo, | magari non sono io | dille a chi t’ha chiesto.] Ancora generoso di testimonianze sull’operatività intertestuale della glosa in Sardegna alla fine del Settecento si mostra l’ambiente sassarese. Di notevole interesse è l’esempio che traggo da un manoscritto miscellaneo della Biblioteca Universitaria di Cagliari (Fondo Baille S.P. 6.1.35/1-21). Sul recto della carta 238 il brogliaccio riporta la seguente sesta torrada (ne riproduciamo pesada e prima strofa, integriamo la torrada dietro l’indicazione «ecc.» del manoscritto): Faltaddi so l’alimenti di pesciu, carri e di pani si ci dura Macarani ci vendi li sacramenti. x y y1 x1 L’alimenti so faltaddi prestu semu a fuggicinni a b 134 § 29 Régula castigliana manni, minori e pizinni fraddi preddi e cojubaddi par esser mal gubernaddi da unu barbaru insolenti. Si ci dura [Macarani ci vendi li sacramenti.] b a a x y1 x1 [Mancati son gli alimenti | di pesce, carne e pane | se dura ancora Macarani | ci vende i sacramenti. || Gli alimenti son mancati | presto dovremmo fuggire | grandi, giovani e bambini | frati, preti e coniugati | poiché siamo governati | da un barbaro insolente. | Se dura ancora Macarani | ci vende i sacramenti.] Sul verso della medesima carta, il manoscritto presenta una deghina glosa che sfrutta la pesada (variata al v. 2) utilizzata per la sesta torrada (riportiamo solo la prima strofa): Faltaddi so l’alimenti ci falta fina lu pani si ci dura Macarani ci bendi li sacramenti. x1 y1 y2 x2 Sassari ch’eri lu loggu di dogna fruttu abundanti e abà sei mancanti circundadu da lu poggu e prestu ti ponia foggu chistu guvernu insolenti usureri prepotenti e ci lassarà a hoi par li mal cumandi soi Faltaddi so l’alimenti. a b b a a x x c c x1 [Mancati son gli alimenti | ci manca perfino il pane | se dura ancora Macarani | ci vende i sacramenti. || Sassari che eri luogo | d’ogni frutto abbondante | ed ora sei mancante | insediato dalla penuria | e presto ti metterà fuoco | questo governo insolente, | usuraio prepotente | e ci lascerà dolori | per il suo malgoverno | mancati son gli alimenti.] I due testi si riferiscono ai fatti che si verificarono a Sassari nel 1780 e culminarono in gravi tumulti per le azioni sconsiderate del governatore livornese Maccarani «che volle fare incetta di grano» [ID.: 103]. È quindi probabile che fossero pubblicamente eseguiti o almeno divulgati per mezzo di fogli volanti, ciò che conferma un ap- § 29 iv. La glosa 135 proccio tutt’altro che archeologico, meramente residuale, al comporre in glosa. L’episodio sassarese pare nondimeno inscrivibile in una fenomenologia intertestuale che vede il duplice svolgimento di una pesada nelle forme della deghina glosa e della sesta torrada, il che conferma l’apparentamento dei due generi in posizione mediana nel canone di Madau e pure la natura glossatrice della sesta, al modo appunto del suo lontano modello, il villancico, atto ad amplificare brevi componimenti monostrofici. Ne Le armonie de’ sardi Madau [1997 (1787), pp. 188-189] pubblica la seguente deghina glosa (riportiamo la pesada e la prima strofa): pes. Ja’ mi so examinadu: no hapo ite confessare; si no est peccadu s’amare, no tenzo ateru peccadu. x1 y1 y2 x2 str. I Tenzo ja’ cun diligentia s’examinu bene fattu, de nesciunu disparattu non m’accusat sa conscientia: ja’ suffresi cun patientia sos chi m’han injuriadu, et punctuale hapo observadu totu sos cumandamentos, fina de sos pensamentos Ja’ mi so examinadu. a b b a a x x c c x1 [L’esame di coscienza l’ho fatto: | nulla ho da confessare; | se non è peccato l’amare, | non ho altro peccato. || Con diligenza ho già fatto | l’esame di coscienza | di nessun accesso | m’accusa la coscienza: | già sopportai con pazienza | coloro che m’hanno ingiuriato | e puntualmente ho osservato | tutti i comandamenti, | anche dei miei propositi | l’esame di coscienza l’ho fatto.] La medesima pesada serve anche a una sesta torrada (rispetto alla glosa, di fattura decisamente più andante) che si legge nel manoscritto n. 220 della Biblioteca Universitaria di Cagliari (c. 4). Si compone classicamente di una pesada e sei strofe, l’ultima delle quali, quasi volesse imitare il procedere della deghina glosa, si chiude con il quarto verso della pesada (integriamo la torrada): 136 § 30 Régula castigliana pes. Già mi so isaminadu no appo itte cunfessare si no est peccadu s’amare no tenzo atteru peccadu. x y y1 x1 str. I Cun seria attenzione già tenzo, e cun diligenzia s’esamen de sa cuscenzia tottu de ogni assione ne de una imperfessione reu mi so agattadu. [Si no est peccadu s’amare no tenzo atteru peccadu.] a b b a a x y1 x1 Solu in brazzos de s’amore e mi so reduidu senzaghì appa presumidu chi custu esseret errore e gai Padre cunfessore no tenzo atteru peccadu. c d d c c x1 VI [L’esame di coscienza l’ho fatto: | nulla ho da confessare; | se non è peccato l’amare, | non ho altro peccato. || Con seria attenzione | ho già fatto, e con diligenza, | l’esame di coscienza | completamente di ogni atto | né di una sola imperfezione | reo mi son riconosciuto. | Se non è peccato l’amare, | non ho altro peccato. || Solamente nelle braccia dell’amore | mi son ritrovato | senza presumere | che questo fosse un errore, | così, Padre confessore, | non ho altro peccato.] § 30. La produzione settecentesca ci restituisce anche un altro genere di glosa che, applicando il sistema (sul modello della più usata deghina) all’ottava torrada, dà vita a un’interessante ottava glosa. Il primo esempio conosciuto è di Giuseppe Zicconi Tanchis (n. 1730 ca.) [MULAS 1902, pp. 75-76]; lo riproduciamo integralmente: Tristu as, chiterra, su sonu, non pius allegra est sa oghe! Chircad’ateru padronu ca padronu no as inoghe. x1 y1 x2 y2 § 30 iv. La glosa Invanu post’hapo cura pro chi m’aeras favoridu ma ses troppu, oh Deus oscura, su bellu sonu has perdidu, s’amabile t’est fuidu cun su tristu as cambiadu, non mi ses pius in aggradu Tristu as, chiterra, su sonu. a b a b b c c x1 Cando pius e pius creia cun sonu bellu ’enzeres tota ricca de allegria totu piena de piagheres ses bennida, oh si 1’ischeres, de ogni grascia ispozada; chiterra, est troppo mudada, non pius allegra est sa oghe. a b a b b c c y1 Bae, bae, e lassa a mie cale derelittu amante, e nde procura un’a tie coment’e tue incostante. Non so pius dai cust’istante su mere, no ses pius mia bastant’unu tempus fia!... Chircad’ateru padronu. a b a b b c c x2 Chirca, chirca ateru logu, non ti cherzo pius sonare, pro ispassu et pro isfogu, atera nd’ap’a chircare, procura de mi lassare, non perdas su tempus tou, chircadi padronu nou chi padronu no as inoghe. a b a b b c c y2 Ses torrada cun su sonu, chitarra, e cun bella oghe?! Si chircas unu padronu su padronu accoll’inoghe. x-1 y-1 x-2 y-2 [Hai il suono triste, chitarra, | non è più allegra la voce, | cercati un altro 137 138 § 30 Régula castigliana padrone | perché qui non ne hai più. || Inutilmente mi son preoccupato | d’avere il tuoi favore | ma tu, mio Dio! sei troppo cupa, | hai perduto il tuo bel suono, | quanto avevi di amabile ti è sfuggito, | hai preso la piega della tristezza, | non mi piaci più, | hai il suono triste, chitarra. || Proprio quando credevo | che ti venisse fuori un bel suono | tutta ricca di allegria | tutta piena di piaceri, | sei diventata, oh! se sapessi, | priva di ogni grazia; chitarra, | troppo sei cambiata | non è più allegra la voce. || Vai, vai e lasciami | come un amante abbandonato | e procuratene uno | infedele come te; | da questo momento | non sono più il padrone, non sei più mia, | lo sono stato abbastanza un tempo, | cercati un altro padrone. || Cercati pure un altro posto, | io non voglio più suonarti, | per diversivo e sfogo | ne cercherò un’altra, | tu fai in modo di lasciarmi, | non perder tempo, | cercati un nuovo padrone | perché qui non ne hai più. || Sei tornata al suono d’un tempo, | chitarra, e con bella voce?! | Se cerchi un padrone | il padrone eccolo qui.] A una pesada tetrastica a rime alterne (abab=xyxy) seguono quattro strofe di otto versi, ognuna terminante con un verso prelevato dalla pesada secondo il procedimento già descritto. Lo schema generale è perciò così riassumibile, tenendo conto anche della torrada di chiusura che riprende le parole-rima della pesada: pes. x1 y1 x2 y2 str. I str. II str. III str. IV torr. a b a - - - - - - x-1y-1x-2 b b - - - y-2 c - c - x1 y1 x2 y2 Questa glosa in ottava è un tipo alquanto raro, e per rarissimo lo dà Andrea Mulas ripubblicando dopo lo Spano [1863a: 29-30] il testo di Tanchis: Fra tutte le poesie dialettali tissesi questa è l’unica scritta in glossa […] mentre nella poesia dialettale sarda si è veramente fatto un abuso di decime glosse, specialmente però dai poeti da tavolino che scrivono più per farsi notare che per vera ispirazione poetica. [MULAS 1902: 77] Ma non del tutto peregrino dovette essere il genere, dal momento che se ne trova un altro esempio in Bernardino Sotgiu (nativo di Ghilarza, morto a Pisa nel 1838), pubblicato da Giovanni Spano § 30 iv. La glosa 139 [SPANO 1872, pp. 286-287], sovrapponibile a quello di Tanchis ma con diversa formula rimica. Riportiamo solo la pesada con la prima strofa: Pover’e me solitariu! Non pius no in cobertura, mi ponet meda in tristura un’emulu zertu e variu. x1 y1 y2 x2 Cantu pius vivo assoladu mi bido male cherfidu ne fussi a su mundu ennidu pro esser gai tribuladu, su nidu mi nd’at furadu columba, coro ’e arpia; malaitta gelosia, pover’e me solitariu. a b b a a c c x1 La pesada dell’ottava glosa di Sotgiu utilizza infatti uno schema a rima incrociata (abba=xyyx) puntualmente rispecchiato nella prima parte delle ottave (nella fronte si direbbe all’italiana), secondo una relazione rispettata anche dal testo di Tanchis. Lo schema dell’esemplare di Sotgiu è pertanto il seguente (tenuto conto che qui manca la torrada di chiusura giocata sulle stesse parole-rima della pesada): pes. x1 y1 y2 x2 str. I str. II str. III str. IV a - b - b - a - a - c - c - x1 y1 y2 x2 Questa differenza di schemi porta anche ad escludere che Bernardino Sotgiu sia qui un semplice emulo di Giuseppe Tanchis, e di conseguenza invita a individuare nell’ottava glosa un genere non episodico, seppure praticato di rado. La sua genesi è da ritenersi interna alla tradizione sarda. 140 Régula castigliana 4. § 31 Sopravvivenza ottocentesca della glosa § 31. Se l’ottava glosa vista al paragrafo precedente non pare aver avuto ulteriori sviluppi nell’Ottocento, questo secolo resta particolarmente propizio per la deghina glosa in cui si cimentano quasi tutti i poeti in lingua sarda. Tale forma potrà agilmente raggiungere addirittura la prima metà del Novecento, decadendo solo con il più generale ridimensionamento della poesia rimata. Questa eccezionale fortuna di un genere appreso alla scuola castigliana ma colà già in declino, almeno nei suoi settori più elevati, intorno alla metà del XVII secolo e quasi del tutto dismesso sul finire del secolo [JANNER 1943, p. 215; NAVARRO TOMÁS 1956, p. 321], solidarizza con altre aree periferiche d’acculturazione ispanica: basti pensare alla fortuna ispanoamericana della glosa17 ma anche, e soprattutto, alle sopravvivenze in periferie mediterranee (e isolane) come le Baleari [JANNER 1943, p. 230]. Le sei raccolte curate da Giovanni Spano fra il 1863 e il 1872 conservano 26 deghinas glosas: una cifra apprezzabile che rende da sola l’idea della vitalità sette-ottocentesca del genere. Il ms. 220 della Universitaria di Cagliari (quasi certamente ottocentesco ma contenente forse testi di tradizione pregressa) su un totale di 95 componimenti ne presenta 28 in deghina glosa (11 delle quali comuni alle sillogi confezionate da Spano). Un caso limite di questa vitalità è certamente quello del ‘canzoniere’ della poetessa Anna Maria Falchi Massidda (Bortigali 1824 Santulussurgiu 1873), edito solo alla fine del secolo scorso [MASSIDDA 1999]. L’intera produzione della Falchi Massidda conservataci si compone infatti di quindici deghinas glossas18 e di sole tre quartettas «Mayor descenso que el de ninguna otra forma métrica fue el que afectó a la glosa en el tránsito del siglo XVII al XVIII. Desterrada del campo literario se refugió en las esferas de la poesía semiculta, especialmente en los países de América» [NAVARRO TOMÁS 1956, p. 321]. 18 Una di queste, la n. XIV (XIII per errore di stampa in FALCHI MASSIDDA 1999, p. 104), presenta un’originale aggiunta di altre quattro strofe, oltre alle quattro canoniche, nelle quali si sfrutta al termine di ogni strofa un sistema trobeadu (per questo termine si veda la nota successiva). L’ultimo verso delle quattro deghinas aggiunte è infatti costituito da quattro parole-rima che di strofa in strofa occupano la posizione di fi17 § 31 iv. La glosa 141 con schema abba, per altro ipotizzabili quali superstiti pesadas di deghinas, tenuto conto della precarietà della trasmissione manoscritta delle Glossas. Prevale nell’opera della Falchi Massidda il tipo con pesada a rime incrociate xyyx a discapito del rarissimo tipo a rime alterne xyxy, secondo la tendenza generale già illustrata. Eppure, giova anche segnalare che, a dispetto di questa ampia affermazione del genere metrico, presso le eminenze della poesia sarda non mancano atteggiamenti di cautela verso una forma poetica che, per la sua rigidità, dovette assumere un meccanicismo compositivo destinato ad entrare in rotta di collisione con sensibilità romantiche. È istruttiva in tal senso la nota che accompagna l’unica deghina glosa composta da Paolo Mossa (Bonorva 1818-1892), intitolata Una noa grascia e rubricata «dezima glosa», unica per ammissione dell’autore: La decima-glosa è una breve composizione poetica alquanto bizzarra e non poco difficile ad eseguirsi, siccome quella che ciascuna delle quattro strofe di cui è composta dee finire con uno dei versi del primo quartetto intercalare, in modo da sembrare parte integrale delle medesime, le quali per soprassoma hanno pure tale particolare concatenazione di rime, che tutto l’insieme a mio avviso forma un vero letto di Procuste per coloro che se ne servono: io in decima-glosa non scrissi che quest’unica poesia. [MOSSA 1885, p. 182] Il discreto coefficiente di distanziamento da una prassi non completamente condivisa si misura già su quel carattere di ‘bizzarria’ attribuito al genere: Mossa intende chiamarsi fuori da certo manierismo metrico sardo, e tradisce quest’urgenza nella dichiarazione conclusiva («io in decima-glosa non scrissi che quest’unica poesia»). L’istanza principe è qui quella sperimentale-illustrativa, quando non ludica, nei rispetti della tradizione poetica sarda. È d’altronde un atteggiamento che fa il paio con l’unico cimento mossiano nel genere della retroga (ancor più formalistico della glosa, per l’uso sine verso rimando diversamente in tutte e quattro le strofe: «fizzu, frade, amante, amigu» (str. I; abbrigu : antigu : amigu) > «fizzu, amigu, amante e frade» (str. II edade : amistade : frade) > «fizzu, frade, amigu, amante» (str. III; brillante : costante : amante) > «frade, amigu, amante e fizzu» (str. IV; fastizzu : consizzu : fizzu). 142 § 31 Régula castigliana stematico di versi varianti)19, Sa bellesa de Clori, anche quello accompagnato da una motivazione ben riflessa circa le ragioni dell’esperimento: «Mi valsi di siffatta specialità al solo scopo di darne un esempio» [MOSSA 1877, p. 142]. PARTE SECONDA Forme libere Non si dedica in questo volume uno spazio al genere della retroga, settore della metrica sarda che ne costituisce forse il fondo più caratteristico. Il genere si fonda sulla tecnica del verso trobeadu (letteralmente ‘impastoiato’ SPANO 1840, II, p. 21), costituito dall’inversione di elementi di un verso precedente nella strofa o nel componimento, spesso seguendo un sistema di retrogradazione, come si può notare nella seguente ottava lira retroga di Pietro Cherchi [MULAS 1902, p. 432]: 19 Ojos, coment’istades? Pasados, e de coro no pianghides? Cun piantu restades, ca sa chi tantu amades no bidides? Cun piantu restades, ca non bidides sa chi tantu amades restades cun piantu ca non bidides sa chi amades tantu? (c) (c) (a) (c) (b) (c) (a) (b) (a) a B a B a A c C Isolato quanto prezioso è il caso seicentesco del Canzoniere ispano-sardo [CANZIS 1996, pp. 289-291]: Sa die de mesu martu, la più antica attestazione di cantone strutturata sui versi trobeados. Ma rispetto all’arco cronologico qui prescelto e in prospettiva comparativista tali sistemi non rivelano decisi conforti d’area spagnola. Per l’«arte del trobear» nei mutos e nei mutettus si veda CIRESE 1988 (1964), pp. 200-201, 222-254, 292-294, 314-317. Per una descrizione metrica di alcuni tipi complessi di retroga rimando a PORCU 2000, pp. 143-151. Vari esempi in DEPLANO 1997 (pp. 138-241) e ROSA 2003; su una particolare forma (il trintases): BUA 1997. Capitolo sesto Eredità incerte, false, certe § 32. Nel variegato campo delle forme libere l’ottava di schema ABABABCC primeggia lungo la produzione poetica sarda. È il metro della narrativa cinque-seicentesca [ARAOLLA 1582; VIDAL 1638], ma anticamente anche quello di isolati componimenti pendenti sul crinale lirico, come per le due impegnative composizioni che aprono le Rimas diversas spirituales di Araolla, il Discursu de sa miseria humana e le strofe De sa Incarnatione de su Segnore nostru Iesu Christu [ARAOLLA 2006 (1597), pp. 16, 32], fino ai due pezzi del Canzoniere ispano-sardo: Muza de sos cantares deleitosa1 e Su coro si mi istracat de dolore [CANZIS 1996: pp. 285-287; 303-309]. L’ottava potrebbe avere anche avuto fin dalle sue prime manifestazioni un’applicazione monostrofica in funzione epigrammatica, come paiono suggerire i versi vergati in sassarese da mano forse cinquecentesca2 su un raro esemplare dell’Utrum intemerata Virga Maria fuit concepta di Paulus de Heredia (1486 ca.): Su qui resta di tutu l’universu Di quista terra e maquina mundana La videreti prestu e cussì pensu Esser di Spagna la putentia humana. Par qui vivi cun Deiu e sempri è notu In succurri la santa fe’ christiana. Viva milli anni viva re di Spagna Qui quissu Deiu sempri t’accumpagna Se non v’è dubbio che per la fatica agiografica di Araolla il moSi segnala che l’edizione del Canzis [1996] dà la prima ottava di questo componimento come lacunosa ai vv. 6-7, però il manoscritto (c. 115v) risulta corretto. 2 Trascritta in BARBIERI 2004, p. 62; già riprodotta in AGENO 1923, p. 22. L’ottava appare erronea al v. 5 per la rima. 1 146 Régula castigliana § 32 dello sia l’Italia, si deve anche osservare che l’ottava, pure di italiche origini, non potè conoscere cedimenti in epoca spagnola vista la pronta adozione che la strofa conobbe nella poesia castigliana a partire da Boscán (ca. 1490-1542), prendendo poi il nome di octava real. Così le estreme (cronologicamente) espressioni della poesia ispanosarda, il Poema heroico di José Zatrilla y Vico (1648-1720) in omaggio a sor Juana Inés de la Cruz3, e Los Tobias (1702)4 di Vicente Bacallar (1669-1726), sono ambedue in ottave. Precedono e affiancano queste opere almeno altre due fatiche, di ispirazione minore, in octavas reales: la Relacion verdadera del frate cappuccino sassarese Antonio Sortes [1649; ora in BULLEGAS 1995] e l’anonima vita di Sant’Antonio Abate [Vida San Antonio 1700]. E non vanno nemmeno scordate le 100 octavas del Poema Epico y Sagrado a la Vida de San Gerónimo di José Delitala y Castelví, compreso nella raccolta Cima del Monte Parnaso Español [DELITALA Y CASTELVÍ 1997 (1672), pp. 2954]. A Bacallar si attribuisce – anche se sulla scorta del solo Madau [1997 (1787), pp. 176-177] – un testo sardo-logudorese di carattere erotico pure in ottave (riportiamo la prima delle sei strofe): Isco chi tenes, bella, in caneria valentes doighi canes seperados, e cheres chi si brighen cun sa mia, chi no sun sinò ses, pero famados: iscapémulos totus a porfia; chi connoscher si den los assortados: et pro chi non si chexet forsi algunu, brighen tantos, e tantos a un’a unu. [Bella, so che tieni nel canile | dodici cani valorosi di razza, | e vorresti che attaccassero la mia muta, | che sono solo sei, però ben noti: | sleghiamoli tutti per la gara; | devono essere individuati quelli fortunati: | e perché qualcuno non debba lamentarsi, | che combattano in tanti, e ad uno ad uno.] Resta comunque vivo, fra hispanidad e italianità, il problema della dedizione degli improvvisatori sardi all’ottava, dove potrebbero in3 ZATRILLA Y VICO 1696; una riproduzione moderna più accessibile è in MARRAS 2000, frammista all’analisi della studiosa. 4 Lo abbiamo consultato nell’edizione BACALLAR Y SANNA 1746. § 32 vi. Eredità incerte, false, certe 147 vocarsi accostamenti con la cultura centro-italiana (Toscana e Lazio in particolare). Una soluzione della questione è resa difficile dall’assenza di antiche testimonianze anche indirette sulla pratica estemporanea in Sardegna, colta così come popolare. Credo per altro che si possa prendere in considerazione l’ipotesi di un uso maturato in clima ispano-sardo. È del 1602 una pasquinata in ottava affissa alla porta della cattedrale di Cagliari (irridente l’intenzione d’istituire l’università nel capoluogo sardo)5 che non si stenta ad accostare al motteggiare aforistico dell’ottava dei cantadores sardi e, per la funzione epigrammatica, fa il paio con l’antica strofa sassarese riportata all’inizio di questo paragrafo: Si hay universidad aqui fundada ira de todo punto bien la cosa, pues siendo la ignorancia desterrada ha de reynar la habilidad famosa, y andando como suele acompañada con la sagacidad industriosa, si llevan simples cuernos los casados llevar los han entonces graduados. E si badi alla terminologia tecnica degli estemporanei sardi. Questi si dicono poeti de repente, con espressione spagnola, già in disuso nella penisola iberica sul declinare del Settecento [CAMPO TEJEDOR 2004, p. 121]. Oppure si pensi al cantare a dispùt(t)as che definisce la gara poetica, da cui l’estensione del termine al poeta (disputatore) e al poetare in genere (disputare): SPANO 1840, II, p. 17. Ebbene, tale dizione potrebbe discendere dalle competizioni poetiche spagnole d’ambito colto: «disputa» è termine usato in relazione ai certami inscenati da José Zatrilla nella seconda parte del romanzo Engaños y desengaños del profano amor [1688, p. 211]. 5 L’ottava è copiata da Toda y Güell [1890, p. 237] da una manoscritta Crónica anonima del Capitulo Arzobispal de Cáller (Archivio della curia Arcivescovile di Cagliari). Riportiamo la nota che introduce il testo poetico nel manoscritto: «El año de 1602 á 3 de Diziembre que era año de parlamento y tratava de hazer universidad en Cerdeña por los muchos bienes que della podian resultar al reyno y como nunca falta quien impida las cossas buenas amanecio en la puerta de la seo de esta ciudad de caller que llaman de purgatorio a la parte del palacio del arçobispo esta octava rima:» (segue l’ottava). 148 § 33 Régula castigliana Credo che tali afferenze non possano trascurarsi in una futura indagine sulla poesia estemporanea in Sardegna e sulla fortuna dell’ottava in quest’ambito. Non pare tuttavia eludibile l’ipotesi di una affermazione sarda dell’ottava estemporanea grazie a un processo interno che muove dalla (scontata) affermazione del metro come forma della poesia narrativa e dunque argomentativa, strumento di un ‘discorso in versi’ in cui è appunto inscrivibile lo statuto estetico del versificare improvvisando. § 33. Quest’ultima osservazione sull’ottava estemporanea dice, in generale, che va sempre tenuta in debito conto l’autonoma vocazione sistemica della cultura metrica sarda, non cedendo a ragionamenti che configurino un patrimonio strofico comunque di seconda mano. Stramata si rivela, ad esempio, la rete di riferimenti allogeni per la sesta serrada sarda, identica alla sesta rima italiana e quindi alla derivazione spagnola di quest’ultima, la sexta rima [BAEHR 1962, p. 275]. Si veda uno dei pochi esempi settecenteschi (di Giuseppe Zicconi Tanchis [MULAS 1902, p. 82]; da notare la presenza, solita negli improvvisatori, della rima al mezzo al quinto verso in -are): In tempus chi m’amàsa e chi t’amao, un’ora senza te no’ podi’ istare! E cando mai custu mi pensao s’amore nostra separare ’e pare? No’ torro a creditare pius amore, chi tot’est bentu, neula e lentore! A B A B C C [Quando tu mi amavi e io t’amavo, | un’ora senza te non potevo stare! | E quando mai potevo immaginare | che il nostro amore potessimo spezzare? | Non ripreterò fede all’amore, | ché tutto è vento, nebbia e rugiada!] Decise le affermazioni ricavabili in merito alla tradizione spagnola. Secondo Navarro Tomás [1956, p. 256] «se usó poco en el Siglo de Oro el sexteto de endecasillabos plenos, frecuente en italiano, a la manera de la octava, ABABCC». Nel Seicento, l’italianità della sesta e la poca familiarità che se ne ha presso gli spagnoli sono dichiarate senza indugio da Juan Caramuel nel Primus Calamus: «Apud Italos sextæ (videlicet, ABABCC) in pretio sunt: at apud § 33 vi. Eredità incerte, false, certe 149 Hispanos vix notæ» [CARAMUEL 1663, IV, p. 29]; e più oltre il vescovo spagnolo riafferma che le sextae «sunt valde communes apud italos» [ID., p. 126]. Epperò, riguardo agli ‘italici’, è netta l’affermazione del Quadrio sulle seste rime [1741, II, 2, p. 231]: «Pochissimi sono stati coloro che in questo metro si sieno esercitati»; e cita la Leandra di Pier Durante e altri minori: una produzione certo marginale. Bisognerà attendere Antonio Guadagnoli (1798-1858) per assistere a un largo impiego della sesta, oggetto anche in una giocosa e petrarcheggiante dichiarazione di poetica: «Voi, che ascoltate in sesta rima il suono | di questi ghiribizzi immaginati» [GUADAGNOLI 1840, p. 19]. Più opportuno, allora, in simili condizioni, fare appello alle strutture del sistema strofico sardo e in particolare alla dicotomia torrada/serrada, a sua volta articolata attraverso l’altra grande dicotomia del sistema: ottava/sesta. Questa struttura è rappresentabile nel modo seguente: torrada serrada sesta SESTA TORRADA SESTA SERRADA ottava OTTAVA TORRADA OTTAVA SERRADA La definizione di serrada si riferisce al fatto che ogni strofa è ‘chiusa’ (sardo serrare, ‘chiudere’) da un distico a rima baciata CC, nell’ottava (ABABABCC) e nella sesta (ABABCC); in opposizione al sistema della torrada che vede il ritorno della rima imposta dalla pesada (‘ritornello’) al termine di ogni strofa. Vista la tarda attestazione della sesta serrada, è probabile che essa si sia generata per la tensione simmetrica del sistema, affiancandosi all’ottava serrada sul modello del già operante binomio di sesta e ottava torradas. D’altronde, il passaggio morfologico è alquanto elementare, poiché basta all’ottenimento della sesta la soppressione di un distico AB dall’ottava. E poi dovette contare la provata esperienza della sesta lira di settenari ed endecasillabi (aBaBcC) – già clamorosamente attestata nel Canzoniere ispano-sardo con quattro pezzi – rispetto alla quale la sesta serrada costituirebbe una versione isometrica, con endecasillabi in luogo dei settenari (vedi § 43). 150 § 34 Régula castigliana § 34. Se nel caso dell’ottava sarda ci si muove, in quanto a origini, su terreni malagevoli o poco decifrabili, e per la sesta può invocarsi la forza del sistema strofico sardo, altre forme svelano per la loro peculiarità rapporti verificabili in direzione castigliana. Non vi sono dubbi, ad esempio, sulla spagnolità di una forma come la deghina simple di schema abbaaccddc, ripresa pura e semplice della décima espinela, al cui schema abbiamo già visto ricorrere la glosa in décimas (§ 25). Spagnola è anche la qualifica simple, che vale ad indicare proprio l’applicazione libera della strofa, forse in opposizione alla glosa, ‘complicata’ dalle riprese obbligate. Otto deghinas simples costituiscono il Prologo della Tragedia in su Isclavamentu, settima parte dell’Index libri vitae di Giovanni Delogu Ibba [DELOGU IBBA 2001 (1736), pp. 44-46]. Leggiamo la prima strofa: Reparade Christianos, alçade homines sa mente, vidide su omnipotente ligadu in pees, et in manos. O ministros soberanos de su altissimu Señore non bos causat horrore vider su eternu, et immensu in duos fustes extensu fatu theatru de amore? a b b a a c c d d c [Badate cristiani, | rivolgete, uomini, la mente, | vedete voi l’onnipotente | legato piedi e mani | oh alti ministri | dell’altissimo signore, | non provoca in voi orrore | la vista dell’eterno e immenso | su due legni disteso | fatto teatro d’amore?] Il caso di Delogu Ibba rispetta una delle applicazioni solite della décima espinela nella letteratura ispanica, quella drammatica. Similmente, i 12 esemplari in castigliano, A la dolorosissima Virgen de la Piedad, con i quali Delogu Ibba chiude la parte sesta dell’Index libri vitae [DELOGU IBBA 2003 (1736), pp. 520-528], sono riferibili alla poesia ascetica del Seicento spagnolo, dove «el metro usado era siempre las décimas» [Adolfo de Castro in Poetas líricos 1857, p. xix]. S’individuano nella produzione sarda anche casi di uso mono- § 34 vi. Eredità incerte, false, certe 151 strofico come la seguente prova dell’ozierese Gavino Cocco indirizzata a un poeta [SPANO 1863a, pp. 125-126]: Perdona sa libertade: non cherzas esser piseddu, lassa sos versos, Madeddu, ti prego pro caridade. Sas musas in cuss’edade non chircan pius a tie, resa s’offissiu ogni die proite sos versos ch’as fattu mi faghen benner su flattu ca sun frittos che-i su nie. [Perdona se mi permetto: | non voler fare il bambino, | lascia i versi, Madeddu, | ti prego, per carità! | Le muse, a quell’età, | mica cercano te, | meglio, recita l’officio ogni giorno | perché i versi che hai fatto | mi prendono allo stomaco | ché son freddi come neve.] Una personalità come quella di Gavino Cocco (1728-1800 ca., magistrato; TOLA 1837-38 (2001), pp. 360-361) occupa i vertici della società isolana e partecipa di una classe sociale che verso la metà del Settecento si presenta ancora culturalmente ispanica (tratto che il poeta Pietro Pisurzi trasmette in una delle sue satire quando fa parlare Don Gavino con un misto di castigliano e sardo6). I caratteri di: (a) appartenenza dell’autore all’élite e (b) di testo d’occasione, tornano infatti nel caso di un Antonio Purqueddu che ancora a fine Settecento – seppure nell’ambito di una società letteraria simpatizzante del plurilinguismo lusorio – produce una «Decima española» in castigliano nell’occasione della nomina di Monsignor Astesan ad Arcivescovo di Oristano [All’illustrissimo 1778, p. 31]: Viendo Oristan, que vezino està su pastor querino, y por el ayre temido no prosigue su camino, postrada al trovo divino 6 «Olà! chi est?». «Su servidore | de sa vissignoria». | (Don Gavinu) «Iesùs, señor Antoni, a este dia | s’est puesto in camino!» [SPANO 1863a, p. 225]. 152 Régula castigliana § 34 pide con fervor de amante, o que el ayre malignante se dissipe, o que el sol buele quanto en dias noventa suele otro tanto en un istante. Questo utilizzo della décima risponde all’impiego monostrofico che se ne fece in Spagna e in ispanoamerica nel verseggiare di circostanza (ne ricordo l’uso prezioso nella messicana Juana Inés de la Cruz7). Ma – sia detto anche a integrazione del discorso sull’ottava estemporanea fatto a inizio di capitolo – la décima non si attesta in Sardegna quale forma primaria della poesia improvvisata come avviene in altre aree d’influenza spagnola, come ad esempio Cuba8. Ben acclimatato dovette già essere in Sardegna l’istituto dell’ottava in questo settore compositivo per temere la concorrenza della décima, la quale non conosce quindi una discesa popolare e si segnala, sporadicamente, quale tipo dell’estemporaneismo colto, magari in castigliano come nella prova di Purqueddu. In questa seconda parte ci occuperemo di casi simili a quello della deghina, di chiara procedenza spagnola, talvolta marginali nella produzione poetica isolana, ora fermi sugli usi ispano-sardi e altre volte piegati alla lingua sarda, comunque sempre utili alla composizione del quadro e dei percorsi relativi all’acculturazione metrica in Sardegna. Il capitolo conclusivo sarà invece prevalentemente dedicato a una forma (la quartetta caudata) che i raffronti morfologici fanno risalire al primo periodo piemontese (post 1720), nonostante se ne riscontri l’uso anche in componimenti in castigliano di confezione isolana. Per una scelta con testo italiano a fronte: CRUZ 1995. Rinvio per la décima cubana a DELLA VALLE-MITRANI 2006 e alla bibliografia ivi riportata. 7 8 Capitolo settimo Altre eredità spagnole 1. Le strofe di cinque versi (chintillia e chimbina) § 35. La strofa di cinque versi è nella poesia sarda quasi appannaggio della produzione drammatica, prende il nome di chintilla, chintillia, chintiglia (dallo spagnolo quintilla) e, almeno a partire dall’Ottocento, chimbina, con dizione prettamente sarda. Attraverso l’incertezza terminologica che segna le fonti, avremo comunque modo di individuare due tipi di strofa che constano di cinque versi con le relative denominazioni: a) la chintillia di soli ottonari con schemi prevalenti ababa, abaab, abbab; b) la chimbina lira, settenari ed endecasillabi disposti secondo lo schema aBabB, spesso denominata semplicemente chimbina, quale strofa di cinque versi per eccellenza. 1.1. Quintillas araolliane: presenza di assenze § 36. Per il XVI secolo non disponiamo di chintillias in lingua sarda. Riguardo ai primi tempi nella storia della strofa di cinque versi in Sardegna gioverà discorrere propriamente di quintillas castigliane . Anche linguisticamente, i primi esempi stanno nel solco della tradizione spagnola. In castigliano sono le prime quintillas di autore isolano. Si tratta di sei strofe che nelle Rimas diversas spirituales (1597) di Gerolamo Araolla seguono il testo A la Misma1 (12 ottave in endecasillabi ABABABCC) senza però intrattenere evi1 ARAOLLA 2006, pp. 76-79. Il titolo del componimento si riferisce a «Doña Iuana Coloma y Mendoça», moglie di Antonio Coloma viceré di Sardegna dal 1584 al 1594, cui si rivolge il sonetto che nella raccolta precede A la Misma. 154 § 36 Régula castigliana denti legami con questo titolo, forse per un difetto d’allestimento nell’edizione (princeps in esemplare unico) che ha messo a contatto due testi distinti, tenuto conto che tale fenomenologia è reperibile almeno in un altro luogo della stampa delle Rimas diversas spirituales2. Ad ogni modo, leggiamo le prime tre quintillas delle sei esperite da Araolla: Redemptor de l’alma mía, este es el tiempo acceptable, quítame esta hidropesía, que quanto más bevo al día, más sed siento insaciable. a b a a b Las aguas turbias del río encienden mi coraçón, y quanto más bevo frío, tanto más el pecho mio dessea su perdición. a b a a b Gusta sola la garganta, que no le dura un momento, y baxan con furia tanta, que verme inchado me espanta, y bivo siempre sediento. a b a a b Lo schema rimico abaab, costante in tutte le strofe, è fra quelli più usati nella poesia castigliana del Cinquecento, insieme ai tipi ababa, abbab. Alcune regole fisse limitano infatti i casi di combinazione rimica in questo tipo di strofa: 1) non più di due versi di seguito possono rimare fra loro; 2) la strofa non deve chiudersi con un distico a rima baciata; 3) nessun verso deve risultare irrelato. Secondo queste regole, le combinazioni possibili di quintilla sono: 1. ababa; 2. abbab; 3. abaab; 4. aabba; 5. aabab (meno frequentato il n. 5) [NAVARRO TOMÁS 1956, p. 127; BAEHR 1962, p. 264; DOMÍNGUEZ CAPARRÓS 1999, p. 292]. 2 Alla p. 96 della princeps [ARAOLLA 1597] un sonetto in lode a Gesù («Scender qua giù da gli stellanti chiostri») è unito senza soluzione di continuità al precedente Cap.[itolo] Spirituale «La quarta de la vita età passai». § 36 vii. Altre eredità spagnole 155 La rarità di quintillas nella produzione lirica dei sardi è già evidente nell’esperienza di Araolla: è l’unica occasione in cui il poeta usa questa strofa. E risulta interessante proprio notare la irripetibilità di questo ricorso all’ottonario, misura principe della lirica spagnola di cui esclusivamente si serve la quintilla (la strofa spagnola di cinque endecasillabi prende il nome di quinteto, ed è creazione per lo più ottocentesca [BAEHR 1962, pp. 268-269]). Per il resto della sua opera, Araolla fa sempre uso di misure e schemi italiani (endecasillabi in ottava e terza rima e sonetti), stimati nella produzione poetica spagnola del XVI secolo e dunque per il poeta isolano – autore di testi in italiano oltreché in sardo e spagnolo – doppiamente autorizzati. Il Cinquecento sardo, pur nella sua parchezza di monumenti letterari, offre un’interessante situazione culturale, dove l’italianeggiare occorre per via diretta ma anche per via mediata attraverso la Spagna (si veda qui l’Introduzione, § 4). Anche sul versante spagnolo Araolla fa i conti con una poesia largamente italianeggiante, e non vi è traccia nel poeta sardo di poesia cancioneril, rivolto in maniera pressoché totale all’endecasillabo, con la sporadica incursione nell’ottonario di Redemptor de l’alma mía. Specularmente, non pare un caso che Cristóbal de Castillejo (ca. 1490-1550) affiderà a quintillas ottonarie una reprimenda contro i connazionali «petrarquistas» che andavano rinnegando le «trovas castellanas» (‘forme metriche castigliane’) in favore di quelle «italianas». Reazione vana, perché come ha sottolineato Navarro Tomás [1956, p. 195]: Entre las varias experiencias que las letras españolas recogieron de Italia en el período indicado [secolo XVI], ninguna se destaca de manera tan definida como la adopción del verso endecasílabo con todo el cortejo de sus variadas estrofas. En ningún otro momento de la historia de la versificación española, se puede señalar un acontecimiento de semejante importancia. Per significare la grande stima di cui godettero le trovas italianas nei poeti spagnoli del tempo – sebbene non sia necessario allegare altri fatti a questa nota vicenda – produco un esempio forse minore ma vicinissimo ad Araolla. Precede di pochi anni l’uscita del poema agiografico dell’autore sardo sui martiri Gavino, Proto e Giuanua- 156 Régula castigliana § 37 rio [ARAOLLA 1582], presso lo stesso editore Nicolò Canelles3, la pubblicazione nel 1576 della Decada de la passion de nuestro redemptor Jesu Christo composta nientemeno che dall’allora viceré di Sardegna Juan Coloma (1522-1586), il quale ebbe un rapporto speciale col poeta sardo4. La Decada de la passion [COLOMA 1576], come dice il titolo stesso, si organizza in dieci libri composti in terza rima ed è seguita da un Cantico in ottava rima sulla Resurrezione5. Ma, non parlasse da sola la doppia scelta metrica, fornisce ulteriore soccorso la giustificazione d’autore espressa nella dedica all’Imperatrice: «Pareciome tambien escrivilla [la Passion] en tercia rima; por ser el verso mas grave delos dela lengua vulgar; y mas capaz de qualquier grave materia» [ID., c. [7]]. § 37 vii. Altre eredità spagnole 157 sentan el Dia de la Resurrecion), una glosa all’inno Regina coeli letare, si potrebbe forse riconoscere in «quintas» («alabanças quintas») una denominazione del metro7 [ESTERZILI 1996, p. 439]: E tanbene a’ ti cantare custas alabanças quintas. Alleluias infinitas Goses, Maria, singulare. Regina… [coeli letare] [Ed anche a cantarti | queste lodi ‘quinte’. | Infiniti allelulia | possa godere, eccelsa Maria. | Regina coeli letare.] § 37. Lasciato il raro caso cinquecentesco delle quintillas araolliane, dobbiamo spostarci alla fine del Seicento per incontrare le prime quintillas redatte in sardo (campidanese) a noi note, quelle di Fray Antonio Maria da Esterzili (1644-1727), frate cappuccino le cui opere sono raccolte in un manoscritto allestito nel 16886. In un componimento della quarta parte del manoscritto (Versos que se repre- Si è però al cospetto di una composizione che tradizionalmente si definirebbe torrada, con quartettas a rima in -are fissa e refrain costituito dal primo verso dell’inno ripetuto al termine di ogni strofa; ne risulta uno schema rimico abbaa assai poco usato nelle quintillas e infatti prossimo alle cantones torradas, e nella loro forma principale: la sesta. Considerata, infatti, l’intera storia della quintilla, si deve segnare rispetto alla situazione cinquecentesca riassunta sopra, un generale arretramento del tipo abbaa, il meno frequente secondo il quadro fornito da Navarro Tomás nel Repertorio de estrofas españolas, dove la si definisce «poco usada» [NAVARRO TOMÁS 1968, p. 64]. 3 Anche le Rimas diversas spirituales [ARAOLLA 1597] appartengono al medesimo ambito editoriale poiché furono pubblicate da Giovanni Maria Galcerino, erede a tutti gli effetti dell’impresa del Canelles († 1585); per questa ed altre vicende degli albori dell’editoria sarda si veda BALSAMO 1968. 4 Araolla compose in castigliano un Soneto por la muerte de Don Iuan Coloma Conde de Elda [ARAOLLA 2006, p. 74] e al vicerè aveva già indirizzato una Risposta a una littera de su Conte de Elda Don Iuan Coloma, in sardo e in terza rima [ID., p. 50]. Il forte legame fra Araolla e Juan Coloma si evince anche da alcuni passi delle Rimas diversas spirituales, in componimenti che in generale rivelano grande familiarità con i conti d’Elda (vedi anche la nota 1 al presente capitolo). Nel sonetto in toscano a Don Antonio Coloma (figlio di Don Juan) si legge: «Del tuo gran genitor servitor fui» [ID., p. 73, v. 9] e nel sardo Cabidulu de una visione il personaggio Gavinu (Gavino Sambigucci) si rivolge al poeta dicendogli: «isco qui [Don Juan] t’amait de veru coro» (‘so che t’amò di vero cuore’) [ID., p. 59, v. 117]. 5 COLOMA 1576: Decada de la passion de nuestro Señor Jesu Christo, cc. 1-149; Cantico de la Resurrecion de nuestro Señor Jesu Christo, cc. 152-166. 6 All’opera di Fray Antonio Maria da Esterzili si è dedicato Sergio Bullegas a par- tire dal capitolo Le comedias di Fra’ Antonio Maria da Esterzili [BULLEGAS 1976, pp. 93142] e in seguito curando l’intera edizione del manoscritto [ESTERZILI 1996; la prima edizione, meno corposa, è del 1992] contenente: 1. Conçueta del Nacimiento de Christo [1674]; 2. Comedia de la Passion de nuestro señor Jesu Christo; 3. Representacion de la comedia del Desenclavamiento de la Cruz de Jesu Christo nuestro señor; 4. Versos que se representan el Dia de la Resurrecion; 5. Comedia grande sobre la Assumption de la Virgen Maria señora nuestra a los çielos [frammento iniziale]. Una prima edizione della sola Comedia de la Passion è stata curata da Raphael Gerard Urciolo con un Esordio sulla lingua del testo di Max Leopold Wagner [ESTERZILI 1959]; una recente edizione dell’intero ms. è ESTERZILI 2006. 7 La denominazione di quintilla è relativamente moderna [NAVARRO TOMÁS 1956, p. 127]. Rengifo nell’Arte Poética Española (1644) parla di redondilla di cinque versi [CLARKE 1933, pp. 294-295]. Tuttavia segnalo che, anteriormente, la letteratura ispanosarda restituisce con Lo Frasso la denominazione «quinto», e in più luoghi de Los diez Libros de Fortuna d’Amor (LO FRASSO 1573, pp. 147, 148, 149, 180). Parrebbe, quindi, che un’indagine sulla terminologia intorno alla strofa spagnola di cinque versi sia da riavviare. 1.2. Drammi ‘resistenziali’ 158 § 37 Régula castigliana L’opera di Fray Antonio Maria conferma la vera vocazione della quintilla: il teatro. In quest’ambito il metro è discretamente attestato nella produzione sarda. Nella Passion (Comedia de la Passion de nuestro señor Jesu Cristo) si trovano 100 quintillas distribuite fra i vari dialoghi in cui si articola il dramma sacro (in tutto 3133 versi). Di queste, 63 seguono lo schema ababa [ESTERZILI 1996, p. 213 (vv. 675-679)]: Tenedi mi aparicciadu, intre tantu qui apa a’ torrari is dinaris e’ soldadus cun sa genti de portari, chi sianta beni armadus. a b a b a [Tienimi pronti, | per quando tornerò, | il denaro ed i soldati | con coloro che porterò con me, | e che siano bene armati.] 31 lo schema abbab [ID., p. 217 (vv. 755-759)]: A cuaddu y ancu a’ pei portadimi meda genti, industriada e’ ualenti, po chi mi temu de mei, si iscapada cussu insolenti. a b b a b [A piedi e a cavallo | portate molta gente, | esperta e capace, | poiché io temo | che fugga quell’insolente.] solo 4 hanno lo schema abaab già esperito da Araolla [ID., p. 212 (vv. 665-669)]: Ti promiteus de dari trinta dinaris de plata, pero’ ti as a’ obbligari chi iddàs a nosu portari senza chertu ni cumbatta. a b a a b § 37 vii. Altre eredità spagnole abbaa (con rime imperfette come, d’altronde, in molte strofe della Comedia) [ID., p. 207 (vv. 565-569)]: I ay gussa Magdalena de[u] iddi juru per çertu, chi cussu uasu de unguentu apa’ fairi de manera chi iddi causidi dolori e pœna. a b b a a [E a quella Maddalena | io lo giuro per vero, | che quel vaso d’unguento | farò in modo | che le provochi dolore e pena.] Valori differenti esprime l’altra principale opera drammatica di Fray Antonio Maria, il Desenclavamiento (Representaciòn de la comedia del desenclavamiento de la cruz de Jesù Christo nuestro Señor [ID., pp. 377-435])8 che presenta una situazione differente in quanto ai rapporti fra i tipi di quintilla utilizzati. Su un totale di 99 ricorrenze (un valore quasi uguale a quello della Passion ma in rapporto ad un minor numero di versi: 1241), il tipo di gran lunga più frequente risulta essere quello abbab (68 casi), seguito dai tipi abaab (26 casi) e ababa (5 casi). È perlomeno curioso notare l’invertita tendenza, rispetto alla Passion, nella frequenza d’uso relativa a quest’ultimo schema. Le quintillas del Desenclavamiento e soprattutto della Passion si alternano spesso nella stessa scena alle redondillas di schema abab oppure abba, secondo una modalità collaudata nel teatro spagnolo. In pochi casi quintillas e redondillas unite concorrono a formare la cosiddetta copla mixta. Si veda la seguente novena 5-4 (e di passata si noti che nella prassi spagnola cinque-seicentesca risulta più frequente il modello con successione inversa: 4-5, cioè una redondilla seguita da una quintilla), la quale presenta nella prima parte un altro tipo ancora di quintilla (ababb) [ID., pp. 283-284 (vv. 2130-2138)]: Pagu idi importat, Judas, qui cun nosu istesi ayradu. De su qui imoi idi impudas [Ti promettiamo di dare | trenta denari d’argento, | però devi promettere | che ce lo porterai | senza liti né violenza.] a b a Ricordiamo che la Conçueta del Nacimiento [ESTERZILI 1996, pp. 59-119) non mostra uso di quintillas. 8 una sola quintilla (un’altra è erronea: abbcc) presenta lo schema 159 160 § 37 Régula castigliana ididdairis pençadu, innantis de fairi su peccadu. Tui e’ tottu bengisisti e’ intresti in su senadu y ancu nos promittisti dari nosiddu ligadu. b b c b c b [Non importa, Giuda, | che con noi tu sia arrabbiato. | Se ora ti penti | dovei pensarci | prima di commettere peccato. | Tu stesso nenisti | e entrasti in senato | e pure promettesti | di consegnarcelo legato.] Occorre comunque avvertire che sul piano storico tali strofe lunghe (di nove o dieci versi) potrebbero non derivare dall’unione di redondilla e quintilla, ma, inversamente, secondo la tesi avanzata da Dorothy Clotelle Clarke, la quintilla procederebbe dalla strofa lunga (4-5), di cui si servono molti testi della poesia cancioneril del XV secolo aperti da una cabeza o chiusi da una finida di cinque versi (ababa; abbab)9. È opportuno per altro richiamare, come ha già fatto Baehr, l’ipotesi avanzata da Le Gentil [1952, pp. 76-78], secondo cui l’antecedente della quintilla, almeno per il tipo abaab, sarebbe il francese quintil («En efecto, el esquema abaab es en Francia, desde mediados del siglo XV, la forma predilecta del quintil»10). Sulla base degli usi riscontrati nelle Comedias di Antonio Maria da Esterzili possiamo considerare il Seicento come il vero periodo di diffusione sarda della quintilla, il cui utilizzo ricorre in testi di carattere devozionale o comunque legati alla produzione d’ambito religioso. Restringendo ancora il campo, gli ambienti e le produzioni legate all’ordine dei Cappuccini (come appunto il frate di Esterzili) e alla Compagnia di Gesù rappresentano le corsie preferenziali che le pur non numerosissime quintillas di fattura isolana «El echo de que estas formas [i componimenti costituiti da strofe di nove o dieci versi, aperti o chiusi da una strofa di cinque versi] sean tan frecuentes en los cancioneros hasta fines del siglo XV, cuando aparecen las quintillas independientes, y de que durante este período siempre vaya unida la quintilla a la estrofa más larga es, creemos, indicación suficiente de que ha nacido la quintilla de la estrofa más larga, de la de diez o nueve, y a veces de la de ocho, versos.» [CLARKE 1933, p. 292]. 10 BAEHR 1962, p. 266. Laconicamente ma d’altro avviso NAVARRO TOMÁS 1956, p. 127 («QUINTILLA. - Debió formarse sobre la redondilla por simple adición de un verso»). Per la denominazione «quinto» in Antonio de Lo Frasso riferita alla quintilla si veda la nota 7 di questo capitolo. 9 § 37 vii. Altre eredità spagnole 161 hanno battuto. Soprattutto a gesuiti e cappuccini erano infatti affidati dai vescovi sardi compiti di istruzione catechetica da svolgere nelle missioni popolari [TURTAS 2001, p. 20]. Questa attività si servì in particolare di canti quali i gosos/goccius (in onore dei santi e della Vergine) e di opere drammatiche (sulla Passione). La Comedia di Fray Antonio Maria s’inserisce in questa atmosfera culturale, con forti debiti verso la tradizione spagnola, e l’uso in sardo di quintillas andrà visto quale traccia, anche vistosa, della declinazione locale, ad uso edificante, di esempi propri a quella tradizione. La quintilla, come riferisce Navarro Tomás [1956, p. 217] in relazione alla Spagna del XVI secolo, è «estrofa única o preponderante en diversos autos y farsas, como El sacrificio de Abraham, El destierro de Agar, Los desposorios de Isaac, El finamiento de Jacob, etc.». Tale tradizione trova una continuità nel teatro spagnolo del Siglo de Oro. In questo clima di forte castiglianizzazione della Sardegna, venato di misticismo controriformista, s’inserisce la testimonianza – utile ai nostri fini, benché linguisticamente appartenente al dominio castigliano – del cappuccino cagliaritano Serafino Esquirro contenuta nel suo Santuario de Cáller y verdadera historia de la invención de los cuerpos santos hallados en la dicha ciudad y su arçobispado (1624). Il volume di Esquirro dà conto della frenetica e confusa stagione di scavi miranti alla scoperta di nuovi martiri sardi, non esente da falsificazioni più o meno preterintenzionali11, che si ebbe in Sardegna durante i primi decenni del Seicento, nell’ambito del conteso primato della Chiesa sarda fra i due maggiori centri dell’Isola, Cagliari e Sassari. Nel narrare la traslazione in processione del corpo di San Bonifacio dal luogo d’invenzione al nuovo santuario, Esquirro riferisce che i confratelli di Sant’Efisio («San Ephis») recavano in processione un complesso statuario rappresentante un albero sopra le cui radici stavano ventiquattro statuette («24. personages de bulto «I ritrovamenti erano autentici ma le deposizioni rinvenute, in realtà, appartenevano a fedeli del Cristianesimo antico diventati martiri grazie al travisamento di alcune sigle delle iscrizioni funerarie: è fin troppo noto il caso dell’abbreviazione B.M. (= Bonae Memoriae) letta Beatus Martyr», Donatella Mureddu, L’officina dei martiri, dal catalogo della mostra Falsi e falsari della Sardegna. Mostra documentaria, Villanovaforru 29 ottobre 1988 - 28 maggio 1989; citato in BOVER I FONT 1993, pp. 95-96. 11 162 Régula castigliana § 37 poco mas de un palmo alto cada uno dellos»), dodici delle quali rappresentavano soldati, capitanati da Sant’Efisio, e le altre dodici effigiavano barbaricini («Barbarachines»: abitanti della Barbagia, zona montuosa della Sardegna centrale). Entrambi gli schieramenti, in assetto da guerra – a significare la lotta ingaggiata da Sant’Efisio contro i Barbaricini avversi alla predicazione del santo nei loro domini – sollevano delle bandiere contenenti un botta e risposta in rima. Una bandiera dei «Barbarachines» recita: Arma, Arma, Guerra, Guerra, y el mas grande, o, chico sea vaya luego en Arborea que ha baxado en nuestra tierra mil Christianos de pelea. In risposta la bandiera dei confratelli di Sant’Efisio reca scritto [ESQUIRRO 1624, pp. 572-573]: Paz, Paz, y la Guerra hermanos dexad, y creed en Iesus heis de ser buenos Christianos y por la espada à la Cruz llevareis en vuestras manos. § 38 vii. Altre eredità spagnole Le strofe riportate da Esquirro sono appunto quintillas (la prima, la terza e la quarta di schema abbab, la seconda di schema ababa), e questo apparato statuario alquanto barocco (ben più articolato e complesso rispetto a quanto da noi riferito) testimonia una non troppo peregrina fruizione isolana del metro, in castigliano ma inserito nel contesto di una manifestazione di devozione popolare. § 38. Anche il Settecento ci offre esempi di quintillas in sardo ed è pure il periodo in cui si rintraccia la prima attestazione [MADAU 1997 (1787), p. 64] del nome sardizzato del metro, nella variante quintillias, con adattamento della laterale palatale castigliana e, probabilmente, con qu per [k] (chintillias), sebbene per questo suono Madau prediliga il digramma italiano ch. Preso fra greco-romanità e novella italianità, Madau occulta, a dispetto del nome, la derivazione spagnola della chintillia (useremo da qui in poi questa denominazione), così come accade per altri metri di evidente procedenza castigliana citati nel suo trattato (eclatante il caso della deghina glosa)12. L’esempio di chintillias in lingua sarda-logudorese riportato da Madau consiste di «tre strofe d’una Sarda canzonetta divota» non meglio circoscritta [ID., p. 64]: Cui rispondono ancora i barbaricini: No quiere Christo ni Cruz esta tierra, y sus vezinos ualientes Barbarachinos somos todos, y en Iesus no se cree ni en desatinos. E infine ancora i confratelli: Gente belicosa, y fuerte creed en el dulce Iesus que es la verdadera luz que sino la eterna muerte ha da ser vuestro capuz. 163 Lu podias haer pensadu Chî a su offesu Segnore Tenzeret su sou amore In custodia impresonadu Pro salvare a s’offensore? a b b a b Trassas sun proprias de Deu De infinita bonidade Deponner sa majestade Pro tractare cun su reu Cun piùs familiaridade. a b b a b Così Cristina Lavinio in nota alla pagina citata de Le armonie de’ sardi, nella riedizione del 1997, a proposito del termine quintillia riferito da Madau: «L’influsso della poesia spagnola, sottaciuto da Madau, tutto proteso verso la classicità greco-romana, è forte sulla poesia sarda» (p. 64). 12 164 § 38 Régula castigliana Ma piùs est chî pro alimentu A chi cun culpas lu ferit Corpus, & sanben offerit Cun gustu in su Sacramentu Ca senza custu ipse perit. a b b a b [L’avresti mai pensato | che alla vittima il Signore | tenesse il suo amore | in custodia imprigionato | per salvare l’offensore? || Queste sono astuzie di Dio | d’infinita bontà: | abbandonare la maestà | per rapportarsi al reo | con maggiore familiarità. || Ma ancor di più perché per alimento | a chi lo ferisce con le proprie colpe | il corpo e il sangue offre | con gioia nel Sacramento | ché senza di ciò lui perisce.] È un raro esempio – e al momento, per quanto ci è dato sapere, unico – di chintillias in sardo non drammatiche, e comunque d’ambito devozionale. Tali strofe, di cui non conosciamo periodo e autore (Giovanni Spano [1840, II, p. 46], non sappiamo quanto veridicamente, le attribuirà allo stesso Madau; vedi infra), seguono lo schema abbab, fra i più frequentati nelle quintillas castigliane. Il tipo abaab, già visto in Araolla, risulta ancora utilizzato, almeno un secolo prima di Madau, in due composizioni in castigliano di probabile ambito isolano contenute nel Canzoniere ispano-sardo [CANZIS 1996, pp. 53-55; 79-80]: le «Quintillas de un ciego» dedicate a San Francesco Saverio e altre quintillas per San Bartolomeo (A Bartolomé esta uez). Si veda l’inizio delle prime, con estribillo tetrastico (in forma di seguidilla) assonanzato: Oigan, sepan, entiendan miren atentos lo que de Xavier dizen hasta los ciegos. Ardiendo en piadoso fuego cantó alegre un cierto día, no sé si serio o por juego, estas quintillas un ciego sin mirar lo que decía. a b a a b «Ciego,» dixo a un hombre siego, «no hay miedo que me pierda, que si es de siegos amigo a b a § 39 vii. Altre eredità spagnole y lleua cuerda consigo Èl me dará cuerda. 165 a b Secondo quanto riferisce Rudolf Baehr: «En los Siglos de Oro el tipo abaab cede en favor de las variantes ababa y abbab, más cercanas a la redondilla» [BAEHR 1962, p. 267]. Questo dato è confermato in Sardegna dalla bassa frequenza che lo schema abaab ha nelle Comedias di Fray Antonio Maria (26 su 99 nel Desclavamiento ma solo 4 su 100 nella Passion); attraverso i due testi del Canzis notiamo pertanto il mantenimento del tipo abaab nella produzione di carattere devozionale, e nella fattispecie negli ambienti della Compagnia di Gesù13. Tale ambito di produzione può anche spiegare la generosa citazione nel gesuita Madau delle pur rare chintillias (specialmente, ribadiamo, in testi non appartenenti alla drammatica), se si pensa al suo canone abbastanza selettivo di strofica sarda. Inoltre, ad un estribillo al modo del componimento A San Francisco Xavier del Canzis potrebbe riferirsi Madau [1997 (1787), p. 64] quando in relazione alle tre chintillias citate ne Le armonie informa: «Anche in questa sorta di poesia la prima strofa fa da capo alle altre». § 39. La storia settecentesca della chintillia prosegue unicamente, sebbene senza il notevole compito svolto nelle Comedias di Antonio Maria da Esterzili, sul solco della poesia scenica. La produzione di carattere drammatico, con il suo connaturato polimetrismo, resta una zona di ‘resistenza’ di questa strofa. Un discreto numero di chintillias offre la Sacratissima Passion (Comedia de la Sacratissima Passion de nuestro Señor Iesu Christo, sacada de los quatro Evangelistas) attribuita a Maurizio Carru (o Carrus) e rappresentata nel 1728 (non è chiaro se Carru sia autore della Sacratissima Passion o semplicemente ne sia il trascrittore)14. In questo testo si contano in totale 25 Santo gesuita è, come avverte Tonina Paba [CANZIS 1996, p. 54], San Francesco Saverio; e nelle quintillas A San Bartolomè «Il riferimento al colegio del v. 43 getta luce sul contesto in cui tali poesie venivano composte o fruite, un ambiente religioso connotato dalla presenza della compagnia di Gesù» [ID., p. 80]. 14 BULLEGAS 1996, p. 115. A Bullegas si deve la valorizzazione di quest’opera compilata dal sarto di San Vero Milis: Maurizio Carru (Carrus solo a partire dall’Ottocento, le fonti coeve scrivono sempre Carru [ID., p. 14]). 13 166 § 39 Régula castigliana chintillias, di cui 16 secondo lo schema ababa15, 7 di schema abbab16 e 2 del tipo abaab17. Gli schemi stanno in un rapporto che conferma il progressivo declino dello schema abaab a vantaggio degli altri. Appare d’altro canto indicativo di un progressivo abbandono della strofa la più limata Tragedia in su Isclavamentu di Giovanni Delogu Ibba (1736), con un solo caso (di schema abaab18), una decadenza che va di conserva con il dominio dell’endecasillabo, in solitudine nell’ottava serrada (ABABABCC) o in compagnia del settenario nelle soluzioni aliradas (vedi § 43). Il colpo di coda della chintillia si ha quindi in pieno periodo piemontese, nella tardo-settecentesca Passione attribuita a Raimondo Congiu (Oliena 1762 - Nuoro 1813) [CONGIU 1994, p. 190], ultima espressione compiuta di questo genere teatrale e anche summa della varietà polimetrica che gli fu propria. Le parole di Caifas nella Passione paiono quindi chiudere definitivamente la storia di questo metro in Sardegna: Tue non naras niente ne disculpa das a mie? S’est beru o diversamente de su chi narat sa zente tottu inoghe contr’a tie? a b a a b Bene podes faeddare como chi ses in giudiziu, e nos podes rivelare pro ti poder disculpare e nos dare carchi indizziu. a b a a b Nara addainantis meu, pro Deus iscongiuro a tie, ancora ch’est casu feu, s’est chi ses fizu de Deu lu des narrer tue a mie. a b a a b 15 vv. 347-371, 377-381, 386-390, 400-409, 1447-1451, 1617-1626, 1632-1641, 2186-2190, 2385-2389. 16 vv. 372-376, 395-399, 754-758, 1612-1616, 1627-1631, 861-870. 17 vv. 434-438, 1642-1646. 18 «Certu est qui numerare, | sos portentos qui isse hat fatu | diat esser à contare | sas istellas, ò de mare | sas arenas custu tratu» [DELOGU IBBA 2001 (1736), p. 55 (vv. 239243)]. § 40 vii. Altre eredità spagnole 167 [Tu non dici niente | né ti discolpi? | Se è vero oppure no | ciò che dice la gente | tutta, qui, contro di te? || Puoi ben parlare | ora che sei sotto processo | e puoi rivelare | fatti a tua discolpa | e darci qualche indizio. || Parla dinnanzi a me, | per Dio ti scongiuro, | sebbene sia cosa deplorevole, | se sei figlio di Dio | a me lo dirai.] 2. La chimbina: lira garcilasiana in Sardegna § 40. Giovanni Spano è il primo ad attestare il nome prettamente sardo della strofa di cinque versi, chimbina («quimbina» nella grafia del canonico ploaghese, latinizzante, dove qu sta quindi per [k]). Al metro è dedicato il paragrafo XL della Parte Seconda dell’Ortographia sarda, in cui si danno come alternative le due forme: «Le quinte rime in sardo appellansi QUIMBINAS, o QUINTIGLIAS dallo spagnolo quintillas» [SPANO 1840, II, p. 45]. Spano sembra dare ormai come minoritaria la chintillia derivata dalla quintilla castigliana di ottonari (abaab, abbab, ababa), citata quasi a margine degli altri tipi esaminati nell’Ortographia. Rifacendosi e non andando oltre, per l’esemplificazione, al testo già fornito da Matteo Madau – la seconda delle tre strofe citate dall’erudito settecentesco, che Spano, come accennato più sopra, attribuisce al Madau medesimo – premette (corsivo nostro): «Talvolta [nelle quinte rime] i versi sono tutti ottosillabi, come nella seguente» [ID., II, p. 46]. Qualificata dunque come eccezione la chintillia, al primo posto Spano indica il tipo da lui denominato chimbina lija (dove «lija» [liscia] starebbe per «semplice»): una strofa di cinque versi composta da tre settenari e due endecasillabi, di cui produce un esempio traendolo da Bonaventura Licheri (1668-1733): Immensa majestade Isaac sacrificadu in Monte Moria, lustrosa humanidade qui in immortale gloria hat factu de sa morte sa victoria. a B a b B [Immensa maestà | Isacco sacrificato nel Monte Moria, | splendida umanità | che in immortale gloria | hai fatto della morte la vittoria.] 168 § 40 Régula castigliana e un altro da Matteo Madau: In aspera muntagna cantat sa turturella impenserida, qua non tenet cumpagna restat addolorida su tempus qui li avanzat de sa vida. a B a b B [In aspra montagna | canta la tortorella turbata, | perché non ha compagna | resta addolorata | per il tempo che le avanza da vivere.] Si tratta, seguendo la terminologia sarda, di una chimbina lira, dove lira indica la combinazione di settenari e endecasillabi nella medesima strofa. In tale schema va infatti individuata la genuina ripresa della lira cosiddetta garcilasiana (la lira per eccellenza) dal suo ‘inventore’ Garcilaso de la Vega (1503-1536): Si de mi baja lira tanto pudiese el son, que en un momento aplacase la ira del animoso viento y la furia del mar en movimiento. a B a b B Proprio questa strofa di Garcilaso, che apre la Ode ad florem Gnidi [VEGA 1995, p. 84], darà nome al metro (desunto dalla parola lira usata nel primo verso). L’origine del metro risale a O pastori felici di Bernardo Tasso (dagli Amori del 1534)19: O pastori felici, che, d’un picciol poder lieti e contenti, avete i cieli amici, e lungi da le genti non temete di mar l’ira o di venti; a B a b B 19 Leggibile in Lirici Cinquecento: 286. Il precedente di Bernardo Tasso (1493-1569), come avverte NAVARRO TOMÁS 1956, pp. 207-208, è stato indicato da James Fitzmaurice-Kelly (Fray Luis de León, 1921), confermato da Hayward Keniston (Garcilaso de la Vega, 1922) e approfondito da Dámaso Alonso (Sobre los orígenes de la lira, in Poesía española, 1950). Per un recente inquadramento della questione, fra Spagna e Italia, rimando a GARGANO 2005, pp. 152-156, 176-177. § 40 vii. Altre eredità spagnole 169 L’invenzione non ebbe però seguito nella poesia italiana, mentre la fortuna della lira nella poesia spagnola è ampia, alimentata dall’utilizzo che in particolare ne fecero Fray Luis de León (1528-1591) e San Juan de la Cruz (1542-1591). Accertato con sicurezza il modello spagnolo, resta più di un dubbio sul nome «quimbina lija» (‘semplice’) che lo Spano usa per questa strofa. La terminologia del canonico non è sempre coerente e rigorosa, lo è ancora meno lungo l’arco della sua attività di studioso, dove il caso in esame fa tutt’altro che eccezione. Inserendo nella raccolta del 1863 di Canzoni sacre e didattiche lo stesso testo di Bonaventura Licheri già citato per la chimbina lija nell’Ortographia, lo Spano fornisce l’indicazione: «Coplas o quinta lira» [SPANO 1863b, pp. 33-34]. Tralasciato il generico coplas (‘strofe’), che figura in molti testi sardi manoscritti fra Sei e Settecento, la corretta definizione quinta lira fornita nel 1863 (con quinta modellato sui tipi sesta e ottava, e non sul tipo sardo col suffisso -ina) porta a diffidare del chimbina lija riferito più di vent’anni prima, dove lija potrebbe anche essere una cattiva lettura di lira da copia manoscritta. Lo abbiamo visto: al genere lira appartiene con sicurezza la chimbina “licheriana”, contrassegnata come tutte le strofe aliradas (o in lira) dall’alternanza di settenario ed endecasillabo. Inoltre, il chimbina lija dell’Ortographia risulta del tutto isolato anche in Spano, quando si consideri che, pubblicando nell’Appendice alla raccolta del 1863 altri due testi di Bonaventura Licheri [O mannu sacramentu e Immensa magestade (stesso incipit del componimento edito nel 1863); SPANO 1867, pp. 34-35, 36-37] sempre composti in chimbina lira, lo Spano ricorre più semplicemente alla definizione quintillas (e ‘alla spagnola’ potrebbero avere continuato ad usare il nome della strofa gli autori del Settecento nei loro manoscritti). Si potrebbe anche pensare che la qualifica lija (‘liscia, semplice’) fosse data a questo tipo di strofa dagli estemporanei sardi in opposizione alla chimbina ghindada (‘girata, ritorta’) di cui pure discorre lo Spano [1840, II, p. 46] (ma solo lui e solo in questa occasione), in quanto quest’ultima risulta ‘complicata’ da ripetizione e inversione di versi. Ma anche chimbina ghindada è definizione su cui non si potrà fare affidamento, laddove l’esempio riportato per illustrarla è invero una sesta lira retroga dell’estemporaneo ploaghese Nicolò Mesina: 170 Régula castigliana § 41 Cum internu dolore devimus cunfessare pro concordia. Cumfidende in s’amore, su Segnore nos dat misericordia, cumfidende in s’amore nos dat misericordia su segnore. Fra tali indecisioni e vere e proprie inesattezze (si pensi ancora che in altra pagina dell’Ortographia [ID., II, p. 27] la strofa qui definita chimbina ghindada viene chiamata sesta a punct’in mesu e che pure questa denominazione è a sua volta attribuita ad un metro diverso dalla sesta lira retroga) non si possono seguire le classificazioni dello Spano, il quale pare piuttosto tener dietro a definizioni dei suoi improvvisatori (vedi l’altrimenti ignoto Nicolò Mesina), probabilmente estemporanee quanto le loro rime. § 41. La chimbina lira ebbe diffusione maggiore della chintillia nella poesia sarda, sicuramente per la sua piena affermazione nella poesia spagnola del Seicento, il periodo di più intensa castiglianizzazione della cultura isolana, ma anche per la preferenza accordata dalla poesia in sardo alle forme aliradas in genere (§§ 42-44). Un primo esempio in sardo-logudorese è d’ambito lirico, seicentesco, conservatoci dal prezioso Canzoniere ispano-sardo20 (riportiamo le prime tre strofe): Isto tantu atristadu qui de piangher m’isfato de continu. Ando dispisperadu cun la grimas misquinu, qui nen mancu reparo in su caminu. Cantan sas cardellinas et bidende a mie cessan su cantu timende sas misquinas si consumin de piantu pro sa desdicha mia cruda tantu. 20 CANZIS 1996, pp. 329-330. Si tratta di sei chimbinas (il manoscritto non dà alcuna indicazione circa il metro) di autore ignoto. Avvertiamo che la quinta strofa, qui non riprodotta, si presenta irregolare, avendo un endecasillabo come quarto verso. § 41 vii. Altre eredità spagnole 171 Sos ateros pugiones si mi viden passare incontinente, que qui esseren persones, pianghen amargamente et ruen desmaiados de repente. [Son sempre così triste | che in pianto mi struggo di continuo. | Vado disperato | lacrimando sventurato, | e nemmeno faccio sosta nel cammino. || Cantano i cardellini | e vedendomi smettono di cantare | temendo i poveretti | si consumano in pianto | per la mia tanto crudele sfortuna. || Gli altri uccelli, | se mi vedono passare disperato, | come fossero umani, | piangono amaramente | e perdono i sensi all’istante.] La strofa è però attestata anche nella discreta produzione di Passioni fra Sei e Settecento, dove si riprende la polimetria del teatro spagnolo. Nella poesia drammatica troviamo, sul finire del Seicento, la chimbina lira in sardo-campidanese di Fray Antonio Maria di Esterzili [1996]: Is palas delicadas de sànguni virginalis concebidas istanti immoi istracciadas cun ses milla de veridas chi abàstanta de accabari milla vidas. a B a b B [Le terga delicate | da sangue verginale concepite | ora sono in brandelli | con seimila ferite | che basterebbero a spegnere mille vite.] Il metro compare nella Comedia de la Passion de nuestro señor Christo in sole quattro strofe (vv. 2624-2643) cui seguono tre strofe (vv. 2649-2953) che presentano lo schema rimico della chimbina lira ma sono in endecasillabi21: ABABB. 21 Quest’ultima forma non sarà un derivato della quintilla, che raramente presenta lo schema ababb, mai usato in strofe indipendenti da Fray Antonio Maria ma soltanto in alcune coplas mixtas. La quintilla in ottonari conobbe una declinazione in endecasillabi, il quinteto de arte mayor, ma con bassa ricorrenza e nello schema ABBAB («En el siglo XVI el quinteto de arte mayor se aplicó de manera especial a composiciones dramáticas. En quintetos ABBAB está compuesto el Auto de la paciencia de Job» [NAVARRO TOMÁS 1968, p. 67]). Più agevole, infatti, dovette risultare il passaggio da una strofa di settenari+endecasillabi (chimbina lira) ad una di soli endecasillabi; tentativo che trovava sostegno nella quartina di endecasillabi ABAB, ampiamente utilizzata nella Comedia. 172 Régula castigliana § 42 La fortuna sette-ottocentesca di questa strofa è ripartita fra usi devozionali, al modo di Bonaventura Licheri (in discreto numero si trovano pregadorias composte in chimbinas22), ed usi drammatici. In quest’ultimo ambito la utilizza Delogu Ibba nella Tragedia dove compaiono 17 esemplari di chimbina lira. Raimondo Congiu nella Passione ne usa 18. Questa fortuna della chimbina lira nella poesia sarda, di contro alla scarsa fortuna della chintillia di soli ottonari, ha fatto sì che venisse considerata la strofa di cinque versi della tradizione isolana, da usarsi in componimenti polistrofici profani. Solo con «chimbina» è, ad esempio, rubricato il testo del semicolto Celestino Caddeo, Rusticos molinarzos, composto in chimbina lira, col quale, superate le soglie del XX secolo siamo veramente alle postreme manifestazioni della strofa ‘garcilasiana’ [CADDEO 1911, p. 167]: § 43 vii. Altre eredità spagnole contrassegna soprattutto la sesta (aBaBcC: sesta lira serrada) e l’ottava (aBaBaBcC: ottava lira serrada). § 43. La sesta lira è una genuina derivazione della castigliana lirasestina o sexteto-lira (che contende alla garcilasiana la qualifica assoluta di lira), il cui uso si deve soprattutto alle traduzioni oraziane di Fray Luis de León [NAVARRO TOMÁS 1956, p. 207]. Ben presto la lira di sei versi troverà in Spagna il proprio terreno ideale nel genere elegiaco e nella produzione teatrale. Questa doppia destinazione è rispecchiata anche dalla poesia sarda23. Alla prima delle due rispondono già ben quattro componimenti sui 14 in logudorese del secentesco Canzoniere ispano-sardo24, una frequenza, si noti, che non ha pari nel piccolo corpus trasmessoci dal manoscritto braidense. Ne diamo un esempio [CANZIS 1996, p. 310]: Rusticos molinarzos, non cretedas chi siat arte bona: simula e chivarzos, cun misura ladrona. a degumare de dogni persona. Ranquidos pensamentos qui custa alma tenides amargada fantasticos intentos lassade piangher a una desdichada permitide a sos ojos, qui de lagrimas feten largos poyos. [Rustici mugnai, | non crediate sia arte nobile: | semola e crusche, | con misura da furto, | decimare d’ogni persona.] 3. Si aggiunga che la prima delle tre chimbinas di endecasillabi (vv. 2644-2648) presente nel discorso dell’angelo ha come primo verso un settenario (aBABB): quasi che le strofe scolorino da tipo a tipo. 22 Si veda DORE 1983: Immensa magestade (I, pp. 50 e 301; i due componimenti hanno lo stesso incipit della quintillas del Licheri, comune anche a diversi gosos); Nàschid’est su Messias (I, pp. 299-300; versione ottocentesca da Aidomaggiore). a B a B c C Lassademi qui isfoghe sa pena qui in su petus alimento qui timo no mi afoghe custa burrasca, qui míschina sento in custu tristu Mare hue por horas isto pro acabare. La sesta e altre forme aliradas § 42. Il predominare della chimbina (lira garcilasiana), eterometrica, sulla chintillia (quintilla), isometrica, nella versificazione in sardo, è anche il segno di una generale fortuna di cui godettero nella poesia isolana le strofe aliradas: categoria entro la quale i metricisti spagnoli comprendono le forme strofiche di endecasillabi e settenari. La qualifica lira è parte sistemica della metricologia sarda e 173 [Amari pensieri | che quest’anima tenete amareggiata, | speranze fantasiose | lasciate che pianga una sventurata, | permettete agli occhi | che di lacrime facciaPer quanto riguarda l’Italia continentale non mi risulta sia stato notato l’utilizzo della strofa da parte dell’emiliano Fulvio Testi (1593-1646) nelle odi Nato era Maggio, e lieti; Vagabondo pensiero; Già col lento suo plaustro [TESTI 1822, pp. 178-190], in A l’armento marino e O nutrice d’eroi; [ID., pp. 197-202; 217-219], tutti componimenti (non a caso?) d’ambientazione iberica. Ma la nostra sesta lira è anche il metro della un tempo celebre Ruscelletto orgoglioso [ID., pp. 246-248]. Testi ebbe contatti diretti con la corte di Filippo IV a Madrid e compose una lirica in morte di Lope de Vega (15621635) [ID., pp. 164-166]. 24 CANZIS 1996: Ranquidos pensamentos (pp. 310-311); Lastimade o’ quelos (p. 312); Fine cando pesares (p. 313); Amigos ya mi isquides (pp. 316-317). 23 174 Régula castigliana § 43 no grandi pozze. || Lasciate che io sfoghi | la pena che in seno alimento | ché temo mi affoghi | questa burrasca che, povera, patisco | in questo triste mare | dove continuamente rischio di morire.] Non da meno è l’accoglienza che la successiva versificazione in sardo ha riservato a tale strofa, dove la lira per eccellenza è appunto quella di sei versi. Parimenti la sesta lira è stimata quale principale strofa esastica della versificazione sarda: Matteo Madau [1787] la dà per canonica, mentre non cita mai la sesta serrada di soli endecasillabi. Le anonime (manoscritte) Lezioni principali per formar bene le rime più usate nella nostra Sardegna (ms. 31 della Comunale di Alghero, primi del XIX secolo), benché incompiute e deteriormente amatoriali in alcuni punti25, pongono al terzo posto l’illustrazione della sesta lira, preceduta dalla sesta torrada e seguita dalla ottava serrada. Il fatto che la lira di sei versi sopravanzi nell’uso quella di cinque versi risponde ad una tendenza già espressa dalla poesia castigliana del Siglo de Oro, dove si nota il rarefarsi della lira garcilasiana in favore del sexteto-lira [NAVARRO TOMÁS 1956, p. 302]. Questo dato ribadisce la più volte notata cifra secentesca dell’acculturazione metrica castigliana nell’Isola: agiscono sulla produzione sarda stadi avanzati e concretizzati della tradizione poetica spagnola e, spentasi all’inizio del XVIII secolo la diretta azione dell’influenza culturale castigliana, i risultati di quella acculturazione affrontano nell’Isola uno sviluppo storico autonomo. La sesta lira – come la deghina glosa ed altre forme ancora – entra a pieno diritto in questo processo, conoscendo fra Sette e Ottocento un uso costante nel versificare in sardo. Fra i pezzi lirico-amorosi anonimi raccolti da Giovanni Spano – se si considerano quelli confezionati in forme libere, quindi escludendo il gran numero di componimenti in metri torrados – una discreta porzione utilizza questa strofa26. Poiché giunti ormai segnati da anonimia all’altezza delle sillogi spaniane (metà XIX se25 Osservo che proprio nel trattare la «sesta in lira» il manoscritto algherese discorre di strofa composta da versi di «sei» e di «dieci» sillabe (c. 56r), tradito dall’esemplificazione prodotta in gallurese, ricca di parole ossitone: «Lasseddini pignì | Li ch’in lu mondu mi volleddi be | Lasseddimi morì | già chi tutti li peni so par me; | e già chi la me sorti | è troppu più crudeli di la morti» (c. 56v). 26 Mentras de chi sa sorte; Fatale dispedida [SPANO 1863a, pp. 93-96; 106-108]; Ranchidos pensamentos; Bellesa singulare; Dai su primu die; Mi parto, vida mia [SPANO 1865, § 43 vii. Altre eredità spagnole 175 colo), si può supporre si tratti di pezzi almeno settecenteschi e in seguito diffusi popolarmente. Fra di essi è infatti ospitata la Ranchidos pensamentos [SPANO 1865, pp. 91-93] tràdita dal Canzoniere ispano-sardo (XVII secolo) ma indipendentemente confluita nella silloge spaniana del 1865 quando ancora s’ignorava l’esistenza del manoscritto braidense. Riguardo alla pertinenza del metro al genere lirico, piuttosto che alla poesia argomentativa o d’altro tenore, non pare indifferente richiamare infine la scelta in Antonio Purqueddu di porre in coda al suo poema didascalico in ottave sulla coltivazione del baco da seta (Il tesoro della Sardegna ne’ bachi e gelsi; PURQUEDDU 1779) una «canzoni» – come è detta in una delle annotazioni al primo canto [ID., p. 72] – di 20 sestas liras dove poter liberare il soggettivismo di una personificazione della Sardegna, Prosopopeia de sa Sardigna [ID., pp. 230-241]27. Passando alla poesia scenica sarda, per un ingresso della sesta lira nella sua attrezzatura polimetrica si dovranno attendere opere del Settecento inoltrato. Non si hanno sestas liras in nessuna delle secentesche prove di Fray Antonio Maria [ESTERZILI 1996], dove ricorre molto limitatamente anche la chimbina (§ 41), e neppure nella Sacratissima Passion di Maurizio Carru [rappresentata nel 1728; BULLEGAS 1996]. Abbastanza contenuto è l’impiego del metro nella Tragedia in su Isclavamentu di Giovanni Delogu Ibba [1736; 11 esemplari], ma nel San Luxorio di Gian Pietro Chessa Cappai [metà XVIII sec.; ediz. ALZIATOR 1975] si possono contare ben 38 sestas liras, un dato imponente quand’anche si consideri l’incompletezza del testo, giuntoci frammentario. Con la Passione di fine Settecento attribuita a Raimondo Congiu [1994] si torna a valori molto bassi (quattro ricorrenze), tuttavia con Giovanni Battista Madeddu (n. 1741) assistiamo ad intere operette composte in questo metro: la Vida di San Nicola28 (ff. 1-19; 219 sestas) e, come dichiarato dal titolo pp. 91-93; 116-118; 191-194; 251-252]; Oh trista lissenziada; Fantasticu puzone [SPANO 1870, pp. 122-125; 223-224]. 27 Del gesuita campidanese ci resta un altro saggio del metro in un componimento d’occasione [All’Illustrissimo 1784, n. XXXII] che consta di 7 sestas (Si de milli poetas). 28 I rinvii si riferiscono al manoscritto della Biblioteca Universitaria di Cagliari, Fondo Baille S.P. 6bis 2.9. 176 § 43 Régula castigliana stesso, la Comedia sacra a sa Resurrezione de Jesu Christu, in sesta lyra sarda (ff. 39-47; 88 sestas). A compenso di una presenza non certo soverchia della sesta lira nella drammatica di Delogu Ibba va indicata la soluzione alirada di un distico a rima baciata che copre nella Tragedia in su Isclavamentu il considerevole spazio di 540 versi. Il singolo distico composto da un settenario e un endecasillabo può soddisfare una battuta di dialogo [DELOGU IBBA 2001 (1736), p. 87, vv. 874-877]: § 44 vii. Altre eredità spagnole 177 Opzione non dissimile si ha nel San Luxorio di Chessa Cappai, già popolato di sestas liras, solo che qui la successione di distici a rima baciata va per aggregati di sei versi, dando vita a una sesta lira di più rozza fattura e infatti appannaggio del personaggio Barilottu, ‘scudiero’ e controparte comica del Santo. Si legga, ad esempio, la strofa del personaggio quando interviene nel contrasto fra un sacerdote pagano e San Lussorio [ALZIATOR 1975, p. 219]: Barrilotu dize al Sacerdote Gentil Pilatu Sargente? olà sargente? Intende, veni inogue continente. Sargente Cumandet vuexcelencia, Qui ya eccomi promntu in sa presencia. Barril. [(Pilato) Sergente? Ehi sergente? | Senti, vieni qua subito! | (Sergente) Comandi, vostra eccellenza, | ché son già pronto in sua presenza.] oppure si dispone in serie a formare un solo intervento [ID., pp. 88, vv. 884-897]: Sargente Ah! Señor Capitanu miseñore li narat, qui mangianu est sa solemnidade de sa pasca, et cun tota brevedade cussos justissiados dae su campu deven esser leados. Pero si per ventura a algunu de issos sa vida li durat; cun sos bucinos ambas, fatat vostè, segarelis sas cambas. E non bi apat tardansa pro qui innantis su sero tropu avansat, et mi hat incarrigadu, qui si fatat cun grande cuidadu. a A b B c C d D e E f F g G [(Sergente) Ah! Signor Capitano | il mio signore Le dice che domattina | è la festa | della Pasqua, e molto rapidamente | quei giustiziati | devono essere portati via dal campo. | Ma se per ventura | qualcuno di loro tardasse a morire, | con i boia, entrambe | Lei faccia tagliargli le gambe, | E non vi sia indugio | ché andando più in là si farebbe sera, | e m’ha incaricato di dirLe, | che si faccia con grande solerzia.] Lassa custa porfia, et fague nos a Quelu compagnia; ma lea pane, et binu, no siat chi tardemus in caminu, et ti morgias famidu, innantis de arribare à su cumbidu. a A b B c C [Abbandona questo litigio, | e facci compagnia verso il Cielo; | ma porta pane, e vino, | non si faccia tardi per strada, | e tu muoia di fame | prima di arrivare al convivio.] Al limite al povero Barrilotu non resta che chiudere, in rima baciata (cC), la sesta lira esposta nei primi quattro versi a rima alterna dal suo campione (aBaB) [ID., p. 213]: S. Lux. Barril. Renuncio sa hazienda, sas galas, sos honores, et parentes; cun custa rica prenda hap’a andare à converter medas gentes. (Barrilotu dize à parte) Et deo sigo in fatu pro portare su binu, ei su recatu. a B a B c C [(San Lussorio) Rinuncio agli averi, | ai lussi, agli onori, ai parenti; | con questo prezioso gioiello [il crocifisso] | andrò a convertire molte genti. | (Barrilotu) Ed io andrò appresso | per portare il vino, e da mangiare.] § 44. Nella strofica sarda appare anche codificato il tipo della ottava lira. Ne riportiamo un esempio dal settecentesco Francesco Alvaru di Berchidda [SPANO 1870, p. 261]: 178 § 44 Régula castigliana Bona notte, Sirena, ca so bennidu pro mi dispidire: mi parto a bidda anzena e ti do sa partenzia a ischire cun fastizu e cun pena. De t’amare mi cheren proibire e pro amare a tie est bisonzu chi parta, biancu nie. a B a B a B c C [Buona notte, Sirena, | ché da te vengo per il commiato: | parto per un villaggio straniero | e ti faccio sapere della mia partenza | con disagio e con pena. | D’amarti mi vogliono proibire | e per amarti | è necessario che io parta, mia bianca neve.] L’ottava lira non è contemplata ne Le armonie de’ sardi di Madau che menzionano e antologizzano invece la «sesta in lyra» [1997 (1787), p. 214-216]. Compare nel trattato di Giovanni Spano [1840, II, p. 20], col nome di «octava toppa», cioè ‘zoppa’ «per ragion de’ versi di cui si compone, uno cioè settenario e l’altro endecasillabo alternativamente». Tale deviazione terminologica (toppa e non lira) parrebbe indicare per la formazione dell’ottava lira sarda il processo interno, segnalandone la derivazione dall’ottava isometrica di endecasillabi (ABABABCC), di cui sarebbe la versione ‘azzopata’. In quanto alla Spagna può infatti osservarsi che lo schema dell’ottava lira non è fra le possibilità combinatorie di strofe aliradas cinque-seicentesche [NAVARRO TOMÁS 1956, pp. 256-257], e anche se per periodi più tardi si segnalano soluzioni di endecasillabi e settenari che «pueden más bien considerarse como octavas aliradas» (di schema ABAbCcdD) [ID., p. 309], siamo al cospetto di elaborati quasi individuali – Fray Diego Tadeo González (1733-1794), Juan Bautista Arriaza (17701837) – fuori tempo massimo perché vi si possa vedere un qualche influsso sulla tradizione isolana e, comunque, molto distanti dal canonico rigore dell’ottava lira sarda, ferma sullo schema aBaBaBcC. Ancora una volta è la grande dualità sesta/ottava a regimentare il sistema strofico sardo: se alla sesta torrada si accompagna l’ottava torrada e all’ottava serrada si affianca la sesta serrada, una sesta lira viene controbilanciata da un’ottava lira. Capitolo ottavo Fra hispanidad e italianità 1. Le strofe di quattro versi § 45. La strofa di quattro versi è forse quella che si presenta con maggiore frequenza nelle diverse tradizioni poetiche. Per la sua semplicità compositiva è facile che possa prodursi poligeneticamente in diverse aree geografiche. Ciò non toglie che in merito ad essa sia possibile compiere un discorso comparativo, con la cautela per cui accostamenti e probabili filiazioni si fanno qui di minor cogenza rispetto a quelli elaborabili per strofe più articolate e che presentano quindi una più spiccata fisionomia. Vari sono i termini che nella tradizione sarda designano le strofe indipendenti di quattro versi. L’uso monostrofico di tetrastici di ottonari o endecasillabi, d’ambito prettamente popolare, prende il nome di battorina: si tratta però (come si è visto al § 21) di un tetrastico a rima abba sempre chiuso dalla ripetizione del verso d’apertura (a1bbaa1), il che ne fa piuttosto la specie minima di cantone torrada. Con quartetta s’indica per lo più una strofa di quattro ottonari, ma anche settenari, disposti nello schema abba. Si riscontra anche l’uso del termine quartinas, in cui si sente l’influenza italiana, ma usato in maniera più generica rispetto ai precedenti: indica sia strofe di ottonari (come la quartetta) sia di endecasillabi. Da questo veloce excursus terminologico si può già notare come le diverse denominazioni della strofa sarda di quattro versi non indicano sempre nette demarcazioni tipologiche. Tuttavia, il quadro sopra abbozzato isola quelle denominazioni che fanno riferimento a un tipo piuttosto che a un altro. In questo capitolo sarà possibile isolare alcuni nessi fra una data denominazione e un dato tipo di quartina e modalità pluristrofiche di articolare quartine. Ci soffermeremo, in particolare, sul tipo che denominiamo quartetta caudata 180 § 46 Régula castigliana per l’interessante percorso comparativo che offre fra hispanidad e italianità, ma (anticipando i risultati) con netto vantaggio di quest’ultima. 1.1. La quartetta § 46. Il termine «quartetas» si trova attestato ne Le armonie de’ sardi di Matteo Madau [1997 (1787), p. 63]. Il suffisso -eta (la terminologia autoctona predilige il suffisso -ina, come per battorina, chimbina, deghina, ecc. accanto alle denominazioni formate sui numerali semplici: sesta, ottava, ecc.) rinvia allo spagnolo cuarteta. Tale denominazione prevale nell’opera di Giovanni Spano. Il paragrafo XLI della Parte Seconda dell’Ortographia [1840, II, pp. 4647] che si occupa della strofa di quattro versi s’intitola: «Quartettas e terzinas». La descrizione che di questo metro fornisce Madau fa esclusivo riferimento a componimenti pluristrofici in cui si utilizza l’ottonario: Le poesie di versi ottonarj non hanno numero fisso nelle strofe, se esse sono di quattro versi rimati. Ben è vero, che la prima fa da capo, ed è l’argomento delle seguenti, ma ciascuna di queste è indipendente da ogn’altra quanto alla rima, e solo si collegano, e corrispondono tutte quante al senso. Questo genere di poetico componimento in Sardo si chiama quartetas, perciocché ogni strofa si compone di quattro versi. [MADAU 1997 (1787), p. 63] L’esempio fornito da Madau è dunque il seguente: Disfrassadu in unu Moro mi movet gherras s’amore, et pretendet su traitore incadenare su coro. a b b a In duas partes dividida, s’anima est cust’occasione, inclinada a sa passione, e a sa raxone rendida. c d d c § 46 viii. Fra hispanidad e italianità Ti juro, Amore, però ch’in custa gherra attrivida, m’has a pigare sa vida, ma vincher su coro nò. 181 e f f e [Travestito da moro | mi combatte amore, | e pretende, il traditore, | d’incatenarmi il cuore. || Divisa in due parti | è l’anima in quel momento, | incline alla passione, | e resa alla ragione. || Ti giuro, Amore, però | che in questa guerra temeraria | prenderai la vita mia | ma non vincerai il cuore, no.] Sulla scorta della descrizione e dell’esempio, si può stabilire che un primo tipo di quartettas consiste in una serie di strofe di quattro versi, composte da ottonari disposti a rima incrociata (abba), ognuna delle quali, giusta la definizione di Madau, «indipendente da ogn’altra quanto alla rima» [ID., p. 63]. Quella descritta dal gesuita ozierese è forma che si trova nel Settecento applicata soprattutto a temi religiosi (ciò che rende prezioso il coevo esempio profano di Madau). In particolare, la quartetta di ottonari servì in ambito ecclesiastico, grazie alla sua forma estremamente semplice e memorizzabile, nella parafrasi in sardo di preghiere e inni liturgici a fini di catechesi popolare. Testimonia abbondantemente quest’uso la produzione del sacerdote Giovanni Battista Madeddu (Ardauli 1741 - Cagliari 1809), con parafrasi in sardo dell’Ave Maris Stella1 e ‘versioni’ che rendono in sardo gli atti di Fede, Speranza, Carità e Contrizione (Sos actos theologales) [MADEDDU 2006, pp. 43-44] oppure traducono in sardo la sequenza Victimae pascalis laudes [ID., p. 198], forse influenzata però dal settenario che ricorre nel testo in latino («conflixere mirando»), misura cui si conforma un altro esempio madeddiano di tetrastici rubricato da Giovanni Spano sotto il termine di «quartettas» SPANO 1863b, pp. 130-1312: 1 MADEDDU 2006, p. 184; SPANO 1863, p. 370 senza alcuna indicazione di carattere metrico. La parafrasi dell’inno è data dallo Spano anche nell’opuscolo dedicato all’opera di Salvatore Cossu (Chiaramonti 1799 - Sassari 1868): COSSU 1872: 63-64 (con varianti rispetto al testo del 1863). 2 «Quartetta» è anche definita in nota da Spano [1872, p. 16] un’anonima strofa di quattro endecasillabi con schema ABBA, ma il termine ricorre qui in accezione non tecnica per ‘strofa di quattro versi’, in quanto non corsivato mentre costantemente Spano si premura di porre in corsivo i termini riferiti in accezione tecnica. Da non intendersi mai tecnicamente, ma sempre nel senso generale di strofa tetrastica, è invece 182 § 46 Régula castigliana De sa Rughe a su pè de sambene bagnada, sa mama isconsolada gasi pianghet cun se: a b b a Ahi meschina de me coment’hap’abbarrare! A hue mind’hap’andare, o fizu, senza ’e te?3 a c c a [Ai piedi della croce | bagnata di sangue, | la madre sconsolata | così piange di sé: | Ahi povera me | che sarà di me! | Dove me ne andrò, | figlio, senza di te?] A parte questa forma, la quartetta segue generalmente l’ottonario, e infatti crediamo rimonti ai componimenti in redondillas (abba) della poesia religiosa castigliana, d’altronde copiosamente attestata nel Canzoniere ispano-sardo4: Si canto a mil maravillas no os paresca estraordinario que en las cuentas del Rosario hallé lindas redondillas. a b b a Pero puedo assegurar hablando muy a lo serio que ensierran misterio y nos dan que meditar. a b b a Importa osservare che alcuni di questi componimenti in redondilil termine quartina che Spano utilizza, nella didascalia in italiano, per indicare una strofa estemporanea attribuita a Padre Luca Cubeddu [SPANO 1865, p. 183] e per la quartetta caudata di settenari più un quinario/quadrisillabo, che esamineremo nel paragrafo successivo [SPANO 1863b, pp. 223-225]. 3 Fra le strofe si notano richiami rimici casuali: rima -è al primo e al quarto verso. 4 CANZIS 1996: Si canto a mil maravillas (p. 45). Altri componimenti sacri in redondillas sono: Rompa sonora mi voz (pp. 33-34; Al Nacimiento de Cristo); En graues acentos mueua (p. 44; A la Assumpción); De Ignacio la santidad (pp. 48-49); Atención que hablo de veras (pp. 78-79; A San Lorenço); Cantar linda letra es justo (pp. 82-83; A Santa Catelina); Para que con mucha luz (pp. 86-89; A San Ephisio); Considera, alma perdida (pp. 193194);. Altri ancora sono componimenti d’occasione ma ugualmente di tema religioso: Todos dan por assentado (pp. 51-52); Cosa me mandan bien recia (pp. 68-70). § 46 viii. Fra hispanidad e italianità 183 las sono seguiti nel Canzoniere da una versione del medesimo tema nella forma del romance, genere ‘nazionale’ della letteratura spagnola consistente di serie ottonarie tenute insieme da assonanza fissa nei versi pari e versi dispari irrelati. Come si è già notato, il romance, vista l’incidenza della metrica spagnola sulla metrica sarda, è una delle grandi assenze castigliane della cultura strofica isolana (che in funzione di ‘lassa’ ha la cosiddetta cantada distesa). Si approssima al romance – il quale infatti si presenta talvolta diviso in tetrastici – il componimento in cuartetas asonantadas (con assonanza entro la cuarteta, altre volte, per influsso del romance, estesa all’intero testo), assenti anche queste nella produzione in lingua sarda, che non mostra alcuna propensione per l’assonanza, mentre coltiva un culto speciale per le corrispondenze e i ritorni rimici. Al massimo, dal fronte castigliano, su questo sentire metrico, poterono giungere all’espressione in sardo – ma solo per un momento – altre forme di cuartetas spagnole in cui si onorava almeno in parte la rima, come si ricava dalle Redondillas subra sa passione recopilada poste infine alla Tragedia in su Isclavamentu di Giovanni Delogu Ibba [2001 (1736), pp. 156-178] che espone cuartetas di ottonari rimate nei versi pari (abcb)5: Veni homine à contemplare cun tota devossione sos dolores qui patesit Christos in sa Passione. a b c b [Vieni uomo a contemplare | con totale devozione | i dolori che patì | Cristo nella Passione.] In quanto allo schema rimico si avvicinano a queste redondillas le quartine in sardo campidanese poste a Prefazione del poema dida5 Questa strofa trova corrispondenza nell’antica cuarteta castigliana [NAVARRO TOMÁS 1956, p. 68] di cui si proseguì l’uso soprattutto nella poesia popolare [ID., pp. 176-178, 240]. Riguardo alla produzione sarda in castigliano se ne riscontra l’utilizzo nelle manoscritte Alabanças de los santos de Sardeña di Carmona (1631), senza ripartizione in tetrastici ma in forma continua di romance: ad es. il componimento per la invenzione e la traslazione dei corpi santi di Luxorio, Cesselo e Camerino, Dichosa suerte he tenido (ff. 81-86). 184 § 47 Régula castigliana § 47 viii. Fra hispanidad e italianità scalico Il tesoro della Sardegna da Antonio Purqueddu [1779, pp. 2-21]; ma si tratta di una falsa prossimità, poiché in Purqueddu la misura è settenaria e i versi dispari non rimanti sono costantemente sdruccioli, e vi si deve quindi riconoscere una scelta maturata nel nuovo corso dell’arcadia italiana, precisamente l’adozione della quartina savioliana6, così detta per l’uso che ne fece il bolognese Ludovico Savioli Fontana (1729-1804) negli Amori (1765), di schema asbcsb: Cust’operetta misera, si ti benit a manus, trattada quali solinti is lettoris cristianus. as b cs b [Quest’operetta misera, | se ti viene per le mani, | trattala come sogliono | i lettori cristiani.] 1.2. La quartetta caudata § 47. Se l’indicazione di Madau delimita con sufficiente precisione il genere della quartetta sarda, diverse sono invece le tipologie che nelle raccolte curate da Giovanni Spano vanno sotto questa denominazione. Con quartetta Spano indica il tipo ‘indipendente’ descritto nel paragrafo appena concluso ma anche la serie di tetrastici ottonari legati da un procedimento di concatenazione per cui il quarto verso irrelato di ogni strofa (abbc) rima con il primo della strofa successiva (cdde), proseguendo in questa maniera fino all’esaurimento delle strofe (abbc : cdde : effg : …). Fra i testi delle raccolte spaniane, troviamo questa struttura in un componimento di Antonio Giuseppe Pirisinu (cappuccino di Ploaghe, morto a Genova nel 1834) definito con «quartettas»; consta di 15 strofe delle quali riportiamo le prime tre [SPANO 1863a, pp. 196-197]: 6 L’accoglienza di Savioli in Sardegna parrebbe infatti spiccare e ARULLANI 1910, pp. 363-364 porta diversi riscontri in tal senso per la poesia italo-sarda a cavallo fra Sette e Ottocento. Poeta Benennidu, mastr’Antoni, ite novas mi battides? Nade, et cando mi faghides un’atera insoladura? a b b c Sabatteri Padre meu non paura, so a su cumandu sou, si b’hat niente de nou già so prontu a lu servire. c d d e Poeta Però bos do a ischire chi m’hazis male servidu, unu taccone isdrijidu si m’est dai coru a zella. e f f g 185 [Benvenuto, Mastro Antonio, | quali nuove mi recate? | Dite, e quando mi fate | un’altra suola? || Padre, non temete, | sono ai vostri comandi, | se cè qualche nuova richiesta, | sono pronto a servirla. || Sappiate, però, | che m’avete servito male, | mi si è staccato un tacco | mentre andavo dal coro alla cella.] Il procedimento di concatenazione rimica fa di questo tipo un’altra modalità di quartettas7, che possiamo appunto definire “incatenata”, il quale è però da considerarsi rara e riteniamo posteriore derivazione della più frequente modalità utilizzata in canti religiosi fra cui l’Ave Maria sarda, diffusa in tutto il territorio isolano, declinata nelle varie parlate. Il più antico testimone databile, a noi noto, di questa preghiera sta nel Rosarium Beatae Mariae Virginis, manoscritto della confraternita del Rosario di San Vero Milis datato 1731 [ediz. BULLEGAS 1996, p. 266]: Sembrerebbe richiamare quello del Pirisino il componimento anonimo di sole tre quartine pubblicato dallo Spano [1870, p. 159] sotto la definizione di «quartettas»; propendiamo però nel vedervi o una lunga pesada di cantone o una breve cantada per l’identità di rima in apertura e in chiusura con in mezzo una serie di distici a rima baciata: «Pius non m’hap’a fidare (x) | mancu de frades e sorres (a) | ca mi disizant de morrer (a) | hapende tempus ancora. (b) | Mal’hapat chie nd’adorat (b) | de amigos et parentes (c) | non nd’hap’hapidu niente (c) | si non su tempus perdidu. (d) | Niente non nd’hap’hapidu (d) | de tant’amare e servire, (e) | como mi cherent bocchire, (e) | in breve edade accabbare! (x). 7 186 § 47 Régula castigliana Deus ti salvet Maria Qui ses de gracias piena De gracias es sa vena Et sa currente. a b b c Su Deus omnipotente Cun tegus est istadu, Pro qui ti at preservadu Immaculada. c d d e Benedita, & laudada Subra totus gloriosa, Mama, Figia, & Isposa De su Señore. e f f g Beneditu est su fiore Et frutu de su sinu, Iesus fiore Divinu Señore nostru. g h h i Pregade à Fiju vostru Qui totus sos errores, A nois sos peccadores nos perdonet. i l l m Medas gracias nos donet In vida, & in sa morte, Et sa dichosa sorte In Paradisu. m n n o [Dio ti salvi Maria | che sei di grazia piena | di grazia sei la fonte | e la sorgente. || Il Dio Onnipotente | con te è stato, | perché t’ha preservata | immacolata. || Benedetta e lodata | sopra tutti gloriosa | madre, figlia e sposa | del Signore. || Benedetto è il fiore | e il frutto del tuo seno | Gesù fiore divino | Signore nostro. || Pregate il figlio vostro | che tutti i nostri errori | a noi peccatori | ci perdoni. || Molta grazia ci doni | nella vita e nella morte | e la buona sorte | in Paradiso.] Si tratta di strofe con tre settenari e un quarto verso quinario o quadrisillabo (a7b7b7c5/4 : c7d7d7e5/4 : e7f7f7g5/4 : …), dove il verso corto fa da collegamento con la strofa successiva, dando la rima al primo settenario. Questo tipo di strofa non ha un nome specifico nella tradizione isolana, in assenza del quale discorreremo di quartetta caudata. Esempi di questo tipo sono testimoniati a partire dal tardo § 47 viii. Fra hispanidad e italianità 187 Settecento o sono comunque riferibili ad autori vissuti in questo periodo. Fra i più antichi esemplari a stampa si hanno i tre inseriti da Matteo Madau nella parte antologica de Le armonie de’ sardi: Laudemus su Creadore («Laude a su verbu eternu pro s’incarnatione, et temporale natividade sua», MADAU 1997 (1787), pp. 126-131); la parafrasi del Credo Eo credo in unu Deus («Lyra christiana pro cantare in sa dottrina, o catechismu», ID., pp. 141-145]), che poi Spano attribuirà a Madau [SPANO 1863b, pp. 182-184]; A su nascher Jesus («Nenia virginale de Maria Sanctissima a su ninnu Jesus», MADAU 1997 (1787), pp. 132-140): A su nascher Jesus, sas pupillas divinas derraman perlas finas teneramente. a b b c Cun gemidu impatiente, chi nde spiccat su coro s’amabile tesoro troppu suspirat. c d d e Cando sa Mama mirat cun sa cara de rosa, e cum bucca amorosa riet serenu: e f f g [Quando nasce Gesù, | le pupille divine | spargono preziose perle | teneramente. || Con gemito impaziente, | che prende al cuore, | l’amabile tesoro | troppo sospira. || Quando la Madre guarda | col viso di rosa, | con bocca amorevole | ride sereno:] Madau parla al proposito di «canzonette divote» [ID., p. 54] e di «canzonetta spirituale» oppure, nelle rubriche, oscilla fra i nomi di «nenia», «laude» e «lyra», anch’essi extra-metrici. Due dei testi contenuti ne Le armonie (Eo credo in unu Deus e Laudemus su Creadore), comparivano già in un raro volume del 17778 che raccoVASSALLO 1777. L’atto di fede Eo credo in unu Deus si trova alle pp. 214-215 (compare insieme agli atti di speranza e di carità, sotto la rubrica «Lyra christiana pro cantare in sa doctrina sos actos de fide, isperanza, et caridade»); Laudemus su Creadore sta alle pp. 217-218 (rubrica: «Laude a su verbu eternu pro s’Incarnacione, et temporale Natividade sua»). 8 188 Régula castigliana § 47 glie tradotte in sardo le prediche del gesuita piemontese Giovanni Battista Vassallo (Dogliani 1691 - Cagliari 1775) attivissimo nelle missioni popolari per tutto il territorio sardo fin dal 17269. Il volume s’individua sulla scorta della lacunosa notizia fornita da Madau: Il settenario […] ama assai la compagnia del quinario, maggiormente nelle canzonette divote. Eccone un esempio in parecchie strofe d’una canzonetta spirituale, stampata a Sassari nel 1777, la quale daremo intera nella Sarda nostra raccolta [segue il testo che inizia con ‘Laudemus su Creadore’] Anche la pubblicazione sassarese non dà definizioni tecniche per i testi originali aggiunti alle venti prediche del Vassallo tradotte in sardo, vi si dice solo di «laudes devotas». D’altronde non c’era da attendersi maggiore precisione rispetto alle più tarde Armonie da una pubblicazione che pare per diverse ragioni dovuta allo stesso Madau10 (e vi è il sospetto che, giusta anche l’attribuzione più tarda dello Spano, anche Eo credo in unu Deus e Laudemus su Creadore siano opera del gesuita ozierese). Quanto a Giovanni Spano, la varietà di denominazioni riferite al tipo strofico che andiamo esaminando è assai ampia: va da «quartettas» e «quartinas» a «rodondiglias» e «terzinas»11. Quartettas sono definiti il già citato Eo credo in unu Deus di Matteo Madau e un componimento attribuito al cappuccino Fra’ Pietro Maria di Ozieri [SPANO 1867, pp. 29-31]: Su Giovanni Battista Vassallo si veda SUNDAS 1923. SUNDAS 1923, p. 85 attribuisce questo lavoro al padre Basciu Puddu, ma diverse sono le connessioni fra il volume del 1777 e l’opera di Madau. Già indicativa ci pare la presenza del testo Eo credo in unu Deus, che Giovanni Spano pubblicherà poi come opera del gesuita ozierese. Il Salve, salve, ò purissima [MADAU 1997 (1787), p. 85], «hymnu sardu» che l’autore delle Armonie presenta come opera propria (p. 34), ed è infatti redatto nello suo stile sardo-latino, si trova già in VASSALLO 1777 («Angelica cithara sardo-latina in laude, et gloria de Maria SS.ma», pp. 211-213) dove l’“anonimo” traduttore dice di inserirlo a coronamento della propria fatica (p. VI). La prefazione Su traductore a sos qui leeren del 1777 espone convincimenti linguistici in completa sintonia con quelli del Madau, impegnato ad esaltare la latinità della lingua sarda e a proporne un ‘ripulimento’ [MADAU 1782]. 11 Tralasciata la definizione di «inno» data alle strofe di Maurizio Serra (Osilo ? - Sassari 1834) in SPANO 1863b, p. 133. 9 10 § 47 viii. Fra hispanidad e italianità 189 Mira, ite bellu coro! Su coro est de Gesùs, bell’e amante pius no, non s’agatat. Pro pius chi siat ingrata cun isse sa creatura la mirat cun ternura e cun piedade. [Guarda, che bel cuore! | È il cuore di Gesù, | più bello e più pieno d’amore | no, non se ne trova. || Per quanto possano essere ingrate | con questo le creature | le guarda con tenerezza | e con pietà.] Quartinas è riferito a un testo del già citato Giovanni Battista Vassallo [SPANO 1863b, pp. 223-225]: Deus bos salvet, Segnora, de su chelu e de sa terra sa grassia in bois s’inserrat abbundante Virgine sempr’e constante, de sas virgines reina, istella già matutina illustr’e serena. [Dio vi salvi, Signora, | del cielo e della terra | la grazia Voi contenete | abbondante. || Sempre vergine e costante, | delle vergini regina, | stella mattutina | illustre e serena.] Terzinas e rodondiglias sono date come alternative («Terzinas, o rodondiglias») in relazione ad un componimento di Bernardino Sotgiu (Ghilarza ? - Pisa 1838) [ID., pp. 66-74]: Anima isposa amada, de Cristos dulze amante, accudi giubilante a l’incontrare. Benit’a riposare intro de cussu coro, non ti pretendet oro si no amore. 190 Régula castigliana § 47 [Anima sposa amata, | dolce amante di Cristo, | vieni giubilante | ad incontrarlo. || Vieni a riposare | dentro quel cuore, | da te non pretende ora | ma solo amore.] Il solo «terzinas»12 è invece usato per l’anonimo Deus ti salvet, Reina (parafrasi della Salve Regina; Spano precisa «Lodi che si cantano in Sorgono alla Vergine» [ID., pp. 85-86]: Deus ti salvet, Reina, ch’in grassia ses cunzetta, dai eternu ses eletta e preservada. De donos adornada dai su primu istante, de grassias abbundante ses funtana. [Dio ti salvi, Regina, | concepita nella grazia, | per l’eternità sei eletta | e preservata. || Adornata di doni | dal primo momento, | di grazia abbondante | sei fontana.] Come si può già notare dai casi prodotti, la strofa è di pertinenza della poesia devozionale e dottrinaria, usata per canti a fini di catechesi, riconducibili soprattutto ad ambienti gesuiti (Madau, Vassallo) ma anche minoriti, come si vede negli esempi di Fra Pietro Maria e come suggerisce un opuscolo del 1838 che dà il Deus ti salvet Maria come opera del non meglio precisato cappuccino Padre Gavinu de Othieri [GAVINU DE OTHIERI 1838, p. 8], attribuendogli anche la celebre Perdonu, Deus meu [ID., p. 5]13 nello stesso metro. Attribuzionismo a parte – vi torneremo nel paragrafo 1.4 del presente capitolo – questi usi della quartetta caudata ne hanno favorito una vasta popolarità, sottolineata da Giovanni Spano [1840, II, p. 48]: «In questi metri abbiamo gli atti di fede, speranza, carità e contrizione stampati in diverse occorrenze, e che risuonano anche in bocca dei fanciulli». Il termine ricorre naturalmente anche per l’unico esempio, nelle raccolte spaniane, di componimento in terza rima dantesca: Virgine bella chi de su Segnore di Antonio Mattu Salis, di Orgosolo [SPANO 1863b, pp. 179-181]. 13 Si veda anche la nota 39 di questo capitolo (p. 206). 12 § 48 viii. Fra hispanidad e italianità 191 1.3. Quartetta caudata e pie quebrado § 48. Nella raccolta Gosos e ternuras (1983) Giovanni Dore dà come vetusto archetipo del Deus ti salvet Maria – pezzo celeberrimo in quartetta caudata (trascritto qui a p. 186) – la versione in castigliano rinvenuta sulla coperta del registro di battesimo della parrocchia di Torralba (Sardegna settentrionale) relativo agli anni 1613-164814. Pertanto lo studioso ritiene che il testo sia ascrivibile all’arco temporale compreso negli atti del liber baptizatorum mentre la lingua in cui è redatto lo conduce a postularne un’origine spagnola: «Successivamente […] fu tradotta nelle parlate più diffuse dell’Isola, logudorese, campidanese e catalano» [DORE 1983, p. XVIII]15. Tuttavia, fin dal 1981 è stato additato [TURTAS 1999, p. 426, che rimanda a MARRAS 1981] il componimento secentesco in italiano Dio ti salvi, o Maria di cui il testo sardo è fedele traduzione, attribuito al gesuita Innocenzo Innocenti di Todi (1624-1697)16. Anche le strofe spagnole sono quindi una traduzione: un gesto che ben s’inserisce nella situazione linguistica della cultura sarda settecentesca, in cammino verso l’italianità ma con cospicuo bagaglio di hispanidad (§ 4). Non bastasse questo sicuro riferimento d’area italica – direzione che fortificheremo con altri dati – dovrebbero già far diffidare di un’ipotesi genetica spagnola argomenti d’ordine storico-formale (oltre al fatto, nella fattispecie del Deus ti salvet Maria, che manca un testo d’area ispanica da cui sarebbe derivato il canto sardo). La quartetta caudata è accostabile alle coplas de pie quebrado, 14 Non ci è stato possibile verificare questa fonte. Dore non torna sull’argomento nel ripubblicare il Deus ti salvet Maria nei Canticos di Madeddu, riproducendovi ma non smentendo una nota con cui Sebastiano Patta, pubblicando la preghiera nel 1888, rifiutava l’attribuzione a Madeddu: «Custu componimentu no est de su poeta Madeddu ma voltada in sardu dae s’Ave Maria de padre Vassallo» (‘Questo componimento non è del poeta Madeddu ma tradotto in sardo dall’Ave Maria di padre Vassallo’); PATTA 1888, p. 15; MADEDDU 2006, p. 37. 15 Un’altra versione castigliana dell’Ave Maria è riprodotta in PALMAS 1974, p. 62, ma con la sola indicazione di averla reperita «in un antico documento d’archivio». 16 Stampato – informa Turtas – nella Dottrina spiegata in versi (Macerata 1681), ma una nostra ricerca (pur cursoria nell’OPAC italiano) si è rivelata in tal senso infruttuosa, mentre ha restituito un’opera omologa pubblicata a Macerata nel 1677: l’anonima Dottrina christiana spiegata in versi cauata dalle scritture e da dottori. 192 § 48 Régula castigliana soprattutto quando si presentano enlazadas. Stando in ambito ispano-sardo, se ne trovano in diversi luoghi de Los diez libros de Fortuna de Amor di Antonio de Lo Frasso [1573, p. 66]. Qui la coda quadrisillaba/quinaria chiude e collega rimicamente serie di quintillas in ottonari (abaabc5 | cdccde5): Es cosa impertinente dezir que yo doy passiones por que doy tal acidente quen la mas rustica gente hablando los coraçones descuyados. § 48 viii. Fra hispanidad e italianità 193 sardo meridionale [ESTERZILI 1996, p. 278; parole di Caifas a Cristo]: De sa doctrina e’ ixiençia, c’as in tempus predicadu, confirmadda imoi in presentia po qui sias perdonadu de totu senza dolençia et senza pœna. c a b a b a [La dottrina e la scienza | che allora hai predicato | confermale ora in presentia | di modo che tu sia perdonato | di tutto senza torture | e senza pena.] e, concatenate a questo tipo, troviamo nella Passion due esempi affini alla quartetta caudata, nella forma di tre ottonari più un quinario [ID., p. 278; ancora Caifas rivolto a Cristo]: Ygualando los estados de las nimphas y pastores criandome por los prados para acrecentar cuydados a los fieles amadores y sepa el hombre. Fra queste coplas, il romanzo di Lo Frasso ne riporta alcune che ricordano la quartetta caudata, con tre ottonari e un quadrisillabo in coda [ID., p. 199]: Un tiempo eras la corona y premio de gran favor quando quiso dar te amor a mi cierto. a b b c Ya no hallo en ti concierto para que toques la gloria que ymagina mi memoria noche y dia. c d d e No quiero mas alegria ni plazeres en mi cesto sino volver te de presto a Cupido. e f f g Casi simili si hanno nella Comedia de la Passion de nuestro señor Jesu Christo di Fray Antonio Maria da Esterzili (1688) composta in Pustis qui ses amutadu, e’ de mei fais ischivu, ti juru, per Deu vivu, homini tristu: qui mi neris si ses Christu, po qui resteus segurus et cun is animus purus po’ ti adorari. a b b c c d d e [Poiché non parli, | e m’ignori schifiltoso, | ti scongiuro, per Dio!, | uomo tristo: | dimmi se sei Cristo, | perché possiamo esserne sicuri | e con gli animi puri | poterti adorare.] A questi già fragili supporti sarebbe magari servito il puntello, sempre in vista dell’ipotesi iberica, della denominazione rodondiglias (adattamento dello spagnolo redondillas) riferita da Giovanni Spano proprio ad un componimento in quartetta caudata [1863b, p. 66]17, se non fosse che redondiglia è una semplice alternativa a quartetta, in conformità agli usi vigenti nella tradizione castigliana18. 17 Precedentemente, nella Ortographia sarda [SPANO 1840, II, p. 47], troviamo la scrittura «redondiglias». 18 «Bajo la denominación de redondilla se incluye, pues, lo que es la redondilla en 194 Régula castigliana § 48 È poi istruttivo notare che un conoscitore insospettabile della strofica iberica come Navarro Tomás cita alla stregua di una curiosità una forma prossima alla nostra quartetta caudata, ricordando un testo del Cancionero de Pedro del Pozo (XVI sec.) che «se sirve de una especie de redondilla cuyo último verso es un pie quebrado que introduce un nuevo consonante con el qual rima el principio de la redondilla siguente: abbc-cdde-effg, etc.» [NAVARRO TOMÁS 1956, p. 220]. Decisivo, infine, il fatto macroscopico – sul quale torneremo – per cui gli esempi sardi più rigorosi sono in settenari mentre nei testi spagnoli vige incontrastato l’ottonario, verso principe dell’arte menor. Allargando il campo, neppure si potrebbero invocare accostamenti catalani, rispetto ai quali ci si imbatte in consonanze episodiche e generiche, come per il lai di Ausias March A Déu siau, vós, mon delit19 (dove le semi-strofe caudate sono anche incatenate) o per il Llibre de bons amonestaments (composto nel 1398) di Anselm Turmeda (ca. 1352-1423) in novenari (ottosillabi catalani) e coda quadrisillaba (quinari catalani) non incatenati20, o ancora per ritornelli che dànno un’illusione di prossimità anche tematica con l’Ave Maria sarda (schema: a6b5c6b5), ma rispondono semplicemente alla forma di molti refrains catalani, a introdurre forme di composizione fissa e non usati come elemento di serie pluristrofiche [ROMEU I FIGUERAS 2000, pp. 185-186]: sentido más estricto [quartina di ottonari abab], y lo que es la cuarteta. A veces se usa la denominación de cuarteta para designar tanto la redondilla como la cuarteta» [DOMÍNGUEZ CAPARRÓS 1999, p. 296]. Di un’altra accezione di redondilla si è parlato al § 46 a proposito di Delogu Ibba. 19 «A Déu siau, vós, mon delit | Car tot món bé és ja fallit | Tant quant al món | Jo em record bé del que ja fon | E lo plaer m’acorda on | L’a conseguí. | Mas ho no el sent com lo sentí | […]», in novenari (ottosillabi catalani) e quinario (quadrisillabo catalano); citato in BARGALLÓ VALLS 1991, p. 123. 20 «Si est estaca, soferràs, | e si est massa, feriràs; | e tot açò, fill meu, faràs | ab consciencia» [RIQUER 1997, p. 166]; il Llibre conobbe una vasta popolarità: «Fou imprès per prima vegada a Barcelona per Pere Posa devers 1498, i les edicions se succeïren ràpidament, especialment des que fou llibre de lectura a les escoles catalanes, almenys de 1635 a 1821» [ROMEU I FIGUERAS 2000, p. 85]. § 49 viii. Fra hispanidad e italianità 195 Déus te sal, Maria, verge sagrada, aprés lo part pura, inviolada. 1.4. Un genere italiano § 49. Le analogie istituibili fra la quartetta caudata sarda e le varie coplas de pie quebrado dilagano infatti nel vasto campo romanico delle strofe caudate, con verso più corto in posizione finale. Si risale alle sequenze («Sexta passus feria, | die Christus tertia, | resurrexit; || surgens cun victoria, | collocat in gloria | quo dilexit»), di cui dovettero ricordarsi i Gozos de Santa María inseriti da Juan Ruiz nel Libro de buen amor [33] come fra l’altro denuncia il termine «prosa» usato nell’Alto Medioevo per ‘poesia ritmica’ e poi in relazione appunto alle sequenze (a8a8b5 | a8a8b5)21: Virgen, del Çielo reína, e del mundo melezina, quiérasme oír, que de tus gozos aína escriva yo prosa digna por te servir. La letteratura mariana d’ambito romanzo si è spesso esercitata su questi modi compositivi, cui si riconducono le strofe di tipo zagialesco (terzetti monorimi seguiti da coda con altra rima), come mostra ancora il Libro de buen amor (1661) nell’estribillo dell’Ave Maria in glosa, in ottonari (a8a8a8b4): Ave María, gloriosa, Virgen santa, precïosa, ¡como eres pïadosa, toda vía! 21 Ma per l’anisosillabismo di questo testo si veda NAVARRO TOMÁS 1956, pp. 91-92. 196 Régula castigliana § 49 Allo stesso ambito formale sono riferibili le varie forme del serventese caudato che trae origine dal modello mediolatino affrontato dai trattatisti medievali sotto il nome di rithmus caudatus coincidens e rithmus caudatus continens [MARI 1899, pp. 15, 32; BELTRAMI 1991, p. 268] (De Rhythmico Dictamine: «Vale, doctor, flos doctorum, | gemma, decus clericorum; | cetum vincis nam proborum | rthmicando. || Cunctos vincis componendo | Cuncti spes es in solvendo, | et de nulla perpendo | nisi bona»)22. In linea di principio non è da escludersi una locale elaborazione ab antiquo della quartetta caudata sarda su questi modelli. Si conforma al rithmus caudatus continens l’iscrizione trecentesca scomparsa ma un tempo presente nella galleria che conduceva al coro nella cattedrale cagliaritana di Santa Cecilia (ma anticamente dedicata alla Vergine)23: Castello Castri contexit Virgini matri direxit Me templum istud invexit Civitas Pisana. Anno currente milleno Protinus et tercenteno Additoque duodeno Incarnationis. Ma è davvero troppo poco per poter articolare un discorso che dalla fortuna sarda della quartetta caudata risalga a periodi antichi. Vero è che l’iscrizione pare comunque additare il continente italiano quale terreno di caccia per raffronti più cogenti. E se si poteva dichiarare poco connotante la definizione castigliana rodondiglias applicata da Spano al tipo strofico in esame, appare invece caratterizzante in prospettiva italiana l’altra definizione spaniana di terzinas 22 Per un’applicazione interessante si veda la lauda-serventese bergamasca, probabilmente duecentesca, di novenari e quinari e munita di collegamento interstrofico pubblicata in CIOCIOLA 1979: «Ave Maria, virgen beata, | mader de Crist glorificata, | stella del mar iluminata | con gran splendor: || a vo’ se rend li pecador’, | pregand marcé con grand dolor, | aregordand al vost honor | zà molto tost». 23 Vedi DELLA MARMORA 1860, pp. 82-83, che riprende il testo da Giuseppe Cossu (Città di Cagliari. Notizie compendiose sacre e profane, Stamperia Reale, Cagliari 1780), riportandolo con le correzioni di Giovanni Spano. § 49 viii. Fra hispanidad e italianità 197 [SPANO 1863b, pp. 66, 85]. Di «terzetti» discorre la summa settecentesca del Quadrio nel trattare la strofa zingaresca, identica in quanto a fattura al tetrastico sardo che stiamo analizzando24: stanzette di tre versi l’una, de’ quali i due primi sono ettasillabi; e l’ultimo è intero: e così sono fra loro accordati, che il primo verso del primo terzetto rimane libero; il secondo s’accorda con una voce a mezzo del terzo; e ’l finimento del terzo fa poi consonanza col primo settenario, che segue, del secondo terzetto; per questa guisa al fin procedendo.25 Il termine trova ragione nella possibile disposizione della strofa in tre versi, due settenari seguiti da un endecasillabo con rimalmezzo a7b7(b)C11: Deus ti salvet, Reina, ch’in grassia ses cunzetta, dai eternu ses eletta – e preservada. a b (b) C De donos adornada dai su primu istante, de grassias abbundante – ses funtana. c d (d) E Mende tecnico-prosodiche a parte (sempre in agguato in tale genere di canti), è infatti questa la fisionomia ritmica cui più spesso rispondono le strofe sarde. L’oscillazione del verso corto nelle due strofe del Deu ti salvet, Reina riportate, quinario/quadrisillabo («e preservada» = 5; «ses funtana» = 4), si ricompone nella possibilità 24 Del resto, la relazione fra quartetta caudata sarda e zingaresca è già data per scontata in CIRESE 1988 (1960), p. 359. 25 QUADRIO 1741, II, 2, p. 283; più oltre Quadrio avverte comunque che «tali stanzette alcuna volta si sono in quattro righe descritte, portando alla quarta riga ciò che sopravvanzava del terzo verso dopo la rimalmezzo» [284]. Chiarisce la questione una nota di Franca Magnani: «La diversa disposizione è unicamente una scelta grafica; comunque manoscritti e stampe Quattro-Cinquecenteschi privilegiano la disposizione tetrastica […] nel settecento il Gigli privilegia la disposizione a ternario. Sotto il profilo teorico il Crescimbeni e l’Affò giustificano entrambe le forme, mentre il Quadrio rifiuta la disposizione tetrastica “perché il Quadrisillabo non viene mai col Settenario di compagnia, siccome abbiam detto, trattando dell’accordo dei versi”. Superfluo rilevare che l’affermazione è tautologica e, comunque, simili accostamenti di versi brevi sono frequenti» [MAGNANI 1988, p. 14]. 198 Régula castigliana § 49 che con il verso precedente costituiscano un endecasillabo e dunque nella possibilità che l’inizio del quinario «e preservada» perda una posizione in sinalefe con la vocale finale del settenario precedente: «dai eternu ses eletta^e preservada». Quando il quarto verso è un quadrisillabo la possibilità di sinalefe (e quindi di dare un decasillabo invece del regolare endecasillabo) è generalmente impedita dall’attacco in consonante26. Una derivazione della strofa usata in Sardegna dall’ambito propriamente ‘zingaresco’ è improponibile. Non vi è infatti traccia nella cultura letteraria isolana di quei componimenti carnascialeschi per recitazione che hanno per personaggio una ‘zingara’, da cui prende il nome la strofa ivi più usata. Tale genere drammatico si diffuse nella penisola italiana dal settentrione nel corso del Seicento, quando per la poesia profana e per la drammaturgia popolare la Sardegna guarda alla produzione castigliana, senza mai mostrare di accogliere tali sviluppi della Commedia dell’Arte italiana27. Essendo invece d’argomento religioso i canti sardi del Settecento composti in quartettas caudate, l’attenzione andrà rivolta a una declinazione del vasto fenomeno dei travestimenti spirituali dell’oda per musica – che dalla produzione quattrocentesca di motti confetti e frottole aveva assunto la forma dei tetrastici caudati – manifestatosi in ambito italiano, dapprima settentrionale, fra Quattro e Cinquecento [MAGNANI 1988, pp. 21-26]. Alla fine del XVI secolo la lauda assume le forme della poesia popolare profana – secondo un procedere esplicitamente dichiarato da Serafino Razzi (Firenze, 1531-1611) nel suo Santuario di Laudi o vero rime spirituali (1609) [ID., pp. 34-35] – fra le quali ricorre la nostra strofa che farà anche ingresso nei drammi sacri. A tale ambito di produzione si approssima lo Spano quando in 26 Anche la Spagna ha la sua regla de pie quebrado «Por su parte, el quebrado de cinco sílabas no ocurre en ninguna poesía de manera exclusiva, sino como forma alternativa y complementaria del tetrasílabo. En la mayor parte de los casos, la presencia del pentasílabo, condicionada poe el octosílabo que le precede, requiere: a) que pueda practicarse sinalefa entre la vocal final del octos^labo y la primera del quebrado, o b) que el octosílabo tenga terminación aguda y reciba como compensación la sílaba de exceso del pentasílabo siguiente»; NAVARRO TOMÁS 1956, p. 137. 27 A informazione del lettore segnaliamo che la tradizione delle zingaresche si chiude con le Commedie di Giovanni Battista Fagiuoli (1753) [MAGNANI 1988, p. 55]. § 49 viii. Fra hispanidad e italianità 199 una pagina dell’Ortographia sarda [1840, II, p. 16] parla per questo metro di strofe oratorie, vale a dire: «strofette in onore della Vergine, in occasione di penitenza, giubileo, missioni ecc., che perciò si chiamano propriamente oratorii»; e lì dà gli esempi più popolari composti in questa forma (Deus ti salvet Maria e Su perdonu), oltre a precisare in nota: Si chiamano questi versi strofe oratorie, o perché servono di preghiere, oppure perché appartengono alle cantate sacre, o come afferma il Crescimbeni, ebbero origine dall’Apostolo di Roma S. Filippo, che nel suo Oratorio tra i sermoni che faceva per trattenere ed alettare la raccolta gioventù, solea far cantare inni e strofe con una o più voci, qual pio uso praticasi tuttora in Roma e Firenze dai RR. PP. della Congreg. dell’Oratorio nelle sere de’ giorni festivi colla musica principiando dal giorno d’Ognissanti sino alla sera della Domenica delle Palme. L’indicazione è pertinente quando si consideri che il repertorio degli Oratoriani28 traeva spunto dai libri di laudi spirituali diffusi in quel tempo. L’Oratorio grande o di chiesa – il convegno pomeridiano della congregazione – «si chiudeva con il canto di un motetto in latino, più spesso con il canto di una lauda in volgare» [ROSA 1994, p. 275]. Non si tratta, a ben vedere, di riconoscere puntualmente l’introduzione della strofa in Sardegna all’iniziativa degli Oratoriani, ma di riferirla ad una larga produzione di laudi spirituali, cui diede certo impulso la Congregazione dell’Oratorio, aprendo poi la strada al più nobile settore della lauda concertata (Giovanni Animuccia et alii), poi utilizzate dalla chiesa e da vari ordini a scopi devozionali. La popolarità italica del metro è un fatto che non sfuggiva a Carducci, il quale in un excursus a larghe campiture sul serventese, arrivando a considerare le zingaresche, osservava che durarono «senza gran celebrità letteraria per tutti i secoli della nostra poesia e divulgate in tutti quasi i dialetti» e che servirono «specialmente alle laudi spirituali quando le si fecero dopo il Cinquecento men gravi e più melodiose; e là nel docile aere dei paesi toschi non è difficile udir intonare in quell’agile e vaGià dal 1555 su iniziativa di Filippo Neri si consolidò l’abitudine di riunirsi nell’oratorio di San Girolamo della Carità; la Congregazione dell’Oratorio prende vita nel 1575 con la bolla Copiosus di Gregorio XIII [ROSA 1994, pp. 271-302]. 28 200 § 49 Régula castigliana ghissimo metro le lodi e le preghiere a Maria» [CARDUCCI 1936, pp. 23-24]. Si fa così ritorno al Dio ti salvi, o Maria attribuito ad Innocenzo Innocenti; un canto divenuto tradizionale in diverse zone italiche. Si veda la versione raccolta a Pirano29 (Istria) che affianchiamo al testo sardo del 1731 già trascritto nelle pagine precedenti: PIRANO (Istria) SAN VERO MILIS (Sardegna) Ave Maria, tu sei di grazia piena, e di grazia la vena e sorgente. Deus ti salvet Maria qui ses de gracias piena de gracias es sa vena et sa currente. Iddio signor possente che teco è sempre stato e t’ha preservata immacolata. Su Deus omnipotente cun tegus est istadu, pro qui ti at preservadu immaculada. Benedetta sei stata fra le donne gloriosa e madre e figlia e sposa del Signore. Benedita, & laudada subra totus gloriosa, mama, Figia, & Isposa de su Señore. Sia benedetto il fiore, il frutto del tuo seno, Gesù fior nazareno e Signor nostro. Beneditu est su fiore et frutu de su sinu, Iesus fiore Divinu Señore nostru. Pregate il figliol vostro per noi gran peccatori, acciò che i nostri errori Iddio perdoni. Pregade à Fiju vostru qui totus sos errores, a nois sos peccadores nos perdonet. RADOLE 1968, p. 15. Il testo è fornito al Radole da Fortunato Fornasaro che lo raccolse a Pirano nel 1965. In nota il curatore informa: «Lo stesso canto, nel solo testo, figura anche tra le carte di Carlo Riccobon, soltanto, è più scorretto. È munito però di questa nota: “La sera di Natale tutti i parenti si radunavano assieme in una abitazione sola e là, dopo aver cenato, cantavano questa pastorella”. La melodia infatti ha l’andamento pastorale». 29 § 49 viii. Fra hispanidad e italianità La sua grazia ci doni in vita e nella morte e una felice sorte in paradiso. 201 Medas gracias nos donet in vida, & in sa morte, et sa dichosa sorte in Paradisu. Andiam di riso in riso fra lutti e tanti mali eterni e temporali e così sia. Numero delle strofe (fatta eccezione per l’ultima che infatti è un’aggiunta della versione piranese) e successione delle strofe sono identici nei due testi. I due canti risalgono al medesimo archetipo secentesco, divergenti per varianti davvero minime, se si tiene conto della grande distanza geografica e temporale delle due versioni (quella piranese è stata raccolta nel 1965). Il canto popolare religioso italiano ci restituisce anche una versione di Limone sul Garda ancora più vicina al testo sardo (ne riportiamo solo le prime due strofe)30: Dio ti salvi o Maria tu sei di grazia piena, sia ringrazia la vena e la sorgente. Quel tuo Signor potente che teco è sempre stato perché ti ha preservata immacolata Il Deus ti salvet Maria andrebbe insomma riferito a un repertorio mediano, tardo-secentesco, di testi paraliturgici sopravvissuti negli usi popolari di alcune aree italiane. Una tipologia testuale reperibile in raccolte appartate come i Sacri canti raccolti e composti originalmente dal trentino Giambattista Michi (1651-1690)31, i quali rimanwww.demologia.it/brescia/feste/99limone/maria (Atlante Demologico Lombardo). Vedi MORELLI 1992. Non si conosce la data di pubblicazione della cosiddetta Raccolta Michi (Trento, per i tipi di Giambattista Monauni). 30 31 202 Régula castigliana § 49 dano «inequivocabilmente a quel vasto movimento musicale-spirituale promosso dal Concilio di Trento, che vide nella produzione di Laudi a travestimento spirituale uno fra gli esiti musicali più significativi della Controriforma» [MORELLI 1992, p. 77]. E fra i testi della Raccolta Michi non mancano esempi in zingaresca [ID., p. 84]: Dolce felice notte Più chiara, che alcuno giorno Aer di luce adorno E grata stella Vergine, e madre bella Di quel, che ’l mondo regge Pastori, e pio Gregge Giuseppe Santo. Una ulteriore sintonia con la penisola italiana32, riguardo all’evoluzione della quartetta caudata sarda, si osserva nella ri-conversione del metro a tematiche profane. Lo si nota, per l’Isola, fino ai tardi e goliardici travestimenti parodici di Francesco Ganga (Nuoro, †1925), di cui ricorda un esempio il Salvatore Satta de Il giorno del giudizio33; ma è già presente nella notevole Oh pena dolorosa (1832) del sacerdote Diego Mele (1797-1861)34: De affannos tempesta unu mare de dannos, tempesta de affannos mi pioe: 32 Si fa per dire, penisola, poiché Sicilia e Corsica restituiscono abbondanti esempi di quartetta caudata sui quali non è qui possibile insistere. In merito alla Corsica non si può però tacere che nel nostro metro è composto lo stesso inno corso (adottato ufficialmente dal 1735): Dio vi salvi Regina, da alcuni attribuito al gesuita Francesco de Geronimo (1642-1716) di Grottaglie ma operante a Napoli. 33 SATTA 2005, p. 197. «Sa fide la professo | chind’una timinzana | de cussu ’e zia Tatana | Faragone» [Professo la fede | con una damigiana | di quello (del vino) di signora Tatana | Faragone]. 34 MELE 1922, pp. 18-19. Pubblicando questo testo, Giovanni Spano, con la consueta proliferazione terminologica, dà la definizione generica di «mutettos» che in tal caso vale semplicemente ‘strofette’ [SPANO 1865, p. 42]. § 49 viii. Fra hispanidad e italianità 203 deghe chidas a oe soe in custu Cumbentu cun tantu patimentu ch’ischit Deu: [Di affanni tempesta | un mare di danni, | tempesta d’affanni | (addosso) mi piove: | Da dieci settimane | sto in questo Convento | con tanto patimento | che sa solo Dio.] Il testo di Mele, fra l’altro, pare un’ulteriore conferma dei centri sardi in cui furono allevati con maggior cura i canti religiosi in quartetta caudata, in quanto nella lamentazione si legge l’ironico omaggio al luogo che ospitava l’esilio dell’autore35: il Convento dei Cappuccini in Ozieri, sede degli autori di canti in quartettas Fra Pietro Maria e Fra Gavinu. Questo ri-uso in altri territori tematici, quasi che il metro tornasse circolarmente alle origini profane, è presente in altre aree italiane, come in Calabria, dove la satira di un Giovanni Conìa (Galatro 1752 - Oppido Mamertina 1839), continuata poi in Mastru Brunu Pelaggi (Serra San Bruno 1837 - 1912), è parimenti travasata nella forma della zingaresca36. Su questo sfondo, l’esempio tardosecentesco di quartetta caudata resoci dal frate cappuccino Antonio Maria da Esterzili, per quanto limitato a due sole strofe [ESTERZILI 1996, p. 278; vedi supra], potrebbe essere visto quale segno di una, ancorché esile, operazione fra hispanidad e italianità, con lo schema della lauda in forma di zingaresca letto attraverso la misura dell’arte menor castigliana, l’ottonario, e già metro esclusivo dei vulgatissimi gosos/goccius. Così, la forma in ottonari ha fortuna in altri testi ugualmente di carattere drammatico, col caso eclatante dell’anonima Historia de 35 Accusato dalle autorità ecclesiastiche d’essere «giovane esaltato – di idee sovversive – di nemico giurato delle chiudende» (dall’introduzione di Pietro Meloni Satta a MELE 1922, p. 7). La denuncia si riferiva alle prime disposizioni del governo piemontese per la vendita e la chiusura dei terreni d’uso comune che provocò forti reazioni da parte dei ceti meno abbienti nei villaggi sardi, sostenuti da una parte del clero; si veda per il ruolo di Mele in questa vicenda l’introduzione di Salvatore Tola a MELE 1984, pp. 26-48. 36 Vedi BREVINI 1999, rispettivamente pp. 3065-3062 (vi è riprodotta la celebre Canzona faceta che però non presenta il concatenamento strofico) e 3077-3083 (Alla luna, con strofe incatenate). 204 Régula castigliana § 50 Juseppe hebreu37 – che Giovanni Spano (1840) afferma girasse manoscritta «quasi in mano di tutti» [SPANO 1840, II, p. 49] – interamente composta in quartettas caudate di ottonari ma con intermittenti fenomeni anisosillabici in direzione settenaria. Parimenti, un’opera drammatica di fine Settecento, la Passione che si attribuisce a Raimondo Congiu [1994, pp. 143-146; 12 esemplari], presenta questo tipo di oscillazione. Non si esclude in questi casi il potente influsso esercitato dall’ottonario dei gosos, e forse anche una memoria della copla de pie quebrado che infatti abbiamo già visto legarsi al genere drammatico; indica anche questa direzione il pur isolato ricorso nella Passione della forma di sei versi già notata in Fray Antonio Maria [CONGIU 1994, p. 195]. § 50. Tolto il caso testè citato del frate di Esterzili, va comunque ribadito per la Sardegna l’uso settecentesco della strofa, specialmente in ambito devozionale e catechetico. In particolar modo deve essere segnalata la intensa e duratura attività missionaria del gesuita piemontese Giovanni Battista Vassallo, le cui prediche tradotte in sardo, ricordiamo, venivano date alle stampe nel 1777 (a due anni dalla sua scomparsa), nella pubblicazione anonima contenente anche i più antichi esempi a stampa di quartetta caudata [VASSALLO 1777]. Nel 1726 Vassallo è inviato a Cagliari (Collegio di Santa Croce) come maestro di lingua italiana per iniziativa di Vittorio Amedeo II38. Si tratta dei primi tentativi di introdurre l’italiano in Sardegna, dopo l’annessione ai Savoia del 1720. Tale attività didattica non può però in quel momento incontrare favore sull’Isola, sardofona e fedele al castigliano come lingua di cultura, con la conseguenza dell’abolizione della cattedra d’italiano a poco più di un anno dalla sua istituzione. Vassallo avvia comunque sull’Isola una estesa opera di predicazione che si protrarrà per oltre quarant’anni. Fra i sistemi Esistono diverse edizioni curate dallo Spano; la prima è SPANO 1857; poi riproposta in SPANO 1867, pp. 79-99. Per un inquadramento del testo nella drammatica sarda cfr. KARLINGER 2002 (1964), p. 115. 38 VALLE 1923, p. 59. Vedi FILIA 1909, p. 61 nota (ediz. 1995), per i rapporti della famiglia Vassallo con i Savoia: «[Giovanni Battista Vassallo] era nato in Dogliano dal conte Francesco e Maria Maddalena Carretto, dama d’onore della Regina Anna, moglie di Vittorio Am. II». 37 § 50 viii. Fra hispanidad e italianità 205 prediletti di queste missioni popolari il padre gesuita adottava i canti in cui rese in quartettas caudate la dottrina cristiana [SUNDAS 1923, pp. 68-71]: Iddio è uno, e Trino Perché con l’unità D’essenza ha Trinità Nelle persone. Queste hanno a perfezione Perfetta somiglianza E son nella sostanza Un Dio solo. Il padre ed il Figliuolo ……………………… La prassi si riconnette senza dubbio alla produzione di laudi spirituali che abbiamo ricordato più sopra, e precisamente alla sua fase calante, quando «ai primi anni del settecento», dopo una straordinaria fioritura, «le laudi passarono realmente di moda, e si cessò di stamparne raccolte di qualche importanza» ma «rimasero in uso in circostanze eccezionali, come nelle missioni» [ALALEONA 1909, p. 11]. La situazione linguistica sarda, già sperimentata con le difficoltà incontrate nel tentativo di insegnare l’italiano presso il Collegio cagliaritano, doveva a maggior ragione portare Vassallo ad adattarvi la propria opera quando si trattò di divulgare popolarmente contenuti dottrinari. Da qui, come riferisce Sundas, il tradurre «in ispagnuolo e sardo alcune canzoncine sacre che, per incitamento alla compunzione, faceva cantare nelle processioni di penitenza» [SUNDAS 1923, p. 64]. E a questo punto non farebbe meraviglia se il già ricordato Deus ti salvet Maria in castigliano riprodotto da Giovanni Dore (vedi supra) risalisse all’iniziativa del padre gesuita: quel Deus ti salvet Maria la cui introduzione in Sardegna alcune fonti attribuiscono proprio a Vassallo39. Di fatti, si è già notato che, 39 Da rigettare la vulgata che attribuisce il Deus ti salvet Maria a Bonaventura Licheri di Neoneli, non foss’altro perché la data di nascita di costui (1734) è incompatibile con l’epoca del manoscritto milese (1731). Oltretutto trattasi di autore ‘inventato’, come ha 206 Régula castigliana § 50 nel curare la raccolta Varios canticos e riproducendovi l’Ave Maria sarda nella sezione dedicata a Giovanni Battista Madeddu (17411809), Sebastiano Patta precisa in nota: «Custu componimentu no est de su poeta Madeddu ma voltada in sardu dae s’Ave Maria de padre Vassallo» (‘Questo componimento non è del poeta Madeddu ma tradotto in sardo dall’Ave Maria di padre Vassallo’) [PATTA 1888, p. 15]. Con rammarico non siamo riusciti a scovare un’opera che sarebbe forse potuta risultare importante nell’assegnare al gesuita piemontese la divulgazione del canto sull’Isola: il volume di Canzoni spirituali di Vassallo, in cui si dice essere contenuta l’Ave Maria, segnalato in una nota da Damiano Filia40. A meno che non si tratti del testo poi pubblicato da Giovanni Spano [1863b, pp. 223-225] (cui effettivamente pare rinviare Filia): mariano, sì, ma altro dal Deus ti salvet Maria. Se si ipotizza una introduzione vassalliana, sarà da giudicarsi troppo tempestivo (1731) l’inserimento della preghiera sarda nella prima testimonianza certamente databile, cioè il codice dei confratelli di San Vero Milis? Forse no: la missione del padre piemontese era avviata da quasi un lustro e sappiamo dei collaudati e intensi scambi fra Compagnia e confraternite sarde, come abbiamo avuto modo di notare trattando dei gosos nel Capitolo primo. Ad ogni modo, appare saldo il legame fra l’attività del Vassallo e l’affermazione della quartetta caudata in Sardegna. Ne è forse un segno l’omaggio dimostrato Mario Cubeddu [2007], confuso con un più vecchio omonimo di Neoneli (1668-1733); mentre il Licheri classe 1734 muore adolescente nel 1747 e la data di morte che gli si assegna (1802) è quella del fratello suo Antonio Demontis Licheri [CUBEDDU 2007, pp. 6, 9-10]. Un’altra attribuzione del Deus ti salvet Maria apprendo da un raro opuscolo del 1838 che dà la preghiera come opera del cappuccino Gavinu de Othieri (GAVINU DE OTHIERI 1838, p. 8), assegnandogli anche la celebre Perdonu, Deus meu (p. 5) e si tratterà forse del Gavino Achena di Ozieri, «celebre missionario cappuccino ed autore di canzonette spirituali» che Spano dà morto «molto vecchio» nel 1829 [SPANO 1863b, p. 9]. 40 FILIA 1909: III, p. 61 nota (ediz. 1995): «Tra le ingegnose industrie del suo [del Vassallo] infocato zelo fu il rendersi familiari non solo le usanze ma la lingua, tanto da saperla maneggiare per comporre o tradurre dei facili inni religiosi. Nel 1733 a Cagliari e nel successivo 1735 in Sassari fu stampata una raccolta di Canzoni spirituali per le sante Missioni, nei dialetti locali e in castigliano. Contiene: Un’anima contrita a sos pes de su crucifissu, Sa Ave Maria, Attu de bonu cristianu, Canzone pro sas fizas ’e Maria. Cfr. Spano, Canzoni storiche sacre e profane, Cagliari, p. 223». § 50 viii. Fra hispanidad e italianità 207 reso dagli algheresi, nel locale catalano, all’attività missionaria del padre gesuita in un canto poi divenuto popolare e tramandato a memoria fino ai giorni nostri, poiché l’omaggio investe anche gli strumenti metrici di quello zelo evangelizzatore41: Qui bella missió que diu padre Vassallo, anem a l’escoltarl-lo, a entendre el que mos diu. Tot lo primer diu De la crestianitat, per diure los pecats al confessor. Jesús, i qui error .......................... Due secoli dopo – stavolta con referenza italiana – si ripete quella fenomenologia acculturatrice che abbiamo illustrato all’inizio del nostro discorso a proposito della responsabilità spagnola sull’affermazione dei gosos e delle forme torradas nella poesia sarda. Così, questo libro si chiude circolarmente, tornando ai prodotti di un’arte popolare e, chissà, forse condizionato da quell’artigianato poetico isolano improntato a ritorni strutturali: come in una torrada, una battorina o, meglio, in una spero non troppo lunga cantada. Vedi ARMANGUÉ 1999, pp. 39-42 e ARMANGUÉ 2001, pp. 49-50 da cui citiamo la versione del canto raccolta nel 1997 (alle pp. 94-96). 41 BIBLIOGRAFIA TESTI 1. Edizioni All’Illustrissimo 1778 All’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore D. Iacopo Francesco Tommaso Astesan dell’Ordine de’ Predicatori da Vescovo di Nizza Promosso all’Arcivescovado di Oristano, Reale Stamperia, Cagliari All’Illustrissimo 1784 All’Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Don Luigi Cusani di Sagliano novello Arcivescovo d’Oristano. Applausi poetici, Reale Stamperia, Cagliari ALZIATOR, Francesco [a c. di] 1975 Testi di drammatica religiosa della Sardegna (F. Carmona, A. del Arca, G.P. 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Contiene versi in italiano, francese e sardo di vari autori; alle cc. 55v-57r si trovano (incompiute) le «Lezioni principali per formar bene le rime più usate nella nostra Sardegna» CAGLIARI Biblioteca Universitaria S.P. 6.1.35/1-21 (Fondo Baille) Composito. Codice cartaceo; guardie cartacee; cc. IV, 351, IV’, cartulazione recente a matita (1-351). Legatura prima metà ’800, in mezza pelle e carta [TASCA 2003, n. 72] S.P. 6bis 2.9 (Fondo Baille) GIOVANNI BATTISTA MADEDDU [1741-1809], Varios canticos sacros in sardu idioma, de su sacerdote Joanne Baptista Madeddu benefiziadu de sa Primaziale calaritana e in ateru tempus rectore de sa parrochia de Tadasuni. – 1806; codice cartaceo; guardie cartacee; cc. I, 205, I’, cartulazione coeva ad inchiostro (1-204); dimensioni mm. 300x210 (c. 1), mm. 215x155 (cc. 195-204). Testo in unica colonna, perlopiù autografo ma si riscontra la presenza di altre mani [TASCA 2003, n. 273] S.P. 06.02.31 (Fondo Baille) JUAN FRANCISCO CARMONA [?], Alabanças de los Santos de Sardeña, por el doctor Juan Francisco Carmona, sardo calaritano, conpuestas y ofresidas à honrra y gloria de Dios y de sus Santos. – 1631; codice cartaceo; cc. 1-171; mm. 210,5x300; autografo, scritto su recto e verso, numerazione originale (3 cc. non numerate, con disegni) [TODA Y GÜELL 1890, n. 679; ALZIATOR 1975, p. 29] Ms. 220 Fascicoli legati. Codice cartaceo; cc. 78, cartulazione recente a matita (1-76); dimensioni mm. 215x160 (c. 7). Testo disposto su una o due colonne, due mani (A: 2r-61r; B: 62r-76v). Privo di coperta, i fascicoli sono uniti da piccoli tasselli in cuoio fermati con spago. Contiene testi poetici in logudorese [TASCA, n. 74] 220 Régula castigliana Bibliografia . Studi 221 MILANO Biblioteca Nazionale Braidense AC VIII 7 STUDI (dizionari, altri testi e altre edizioni) SASSARI Biblioteca Comunale D.IV-C-31 ACUTIS, Cesare - BERTINI, Giovanni Maria 1970 La romanza spagnola in Italia, ricerca condotta da G. M. Bertini e C. Acutis; con la collaborazione di P. L. Avila, Giappichelli, Torino Canzoniere ispano-sardo (=Canzis); codice cartaceo, mm. 160x110; rilegato in pergamena; cc. 1-253; testi in sardo (logudorese e gallurese) alle cc. 115v-128v, 173r-187r, 224r-226r, 248r-254r [ediz. CANZIS 1996] SEBASTIANO SUÑER [1643-1675], Miscellanea variarum Rerum; scripta à Frate Sebastiano à S. Joseph Calaritano - Romae die viij Decẽbris 1662; codice cartaceo; mm. 205x145; rilegatura del ’900 in mezza pelle; coperta originale pergamenacea; autografo. Contiene versi e prosa (sermoni) in latino, italiano e spagnolo (anche un componimento in latino maccaronico: c. 36). AGENO, Fridericus 1923 Librorum saec. 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Studi 233 1851-52 Vocabulariu sardo-italianu e italiano-sardo; ora a c. di Giulio Paulis con l’aggiunta di 5000 lemmi lasciati manoscritti dall’autore, 4 voll., Ilisso, Nuoro 1998 SPANU, Gian Nicola 2005 La musica dei goccius/gozos sardi. Alcune considerazioni, in ARMANGUÉ (a c. di) 2005, pp. 139-157. SUNDAS, Enrico M. 1923 Un Apostolo della Sardegna nel Secolo XVIII. Biografia del P. Gian Battista Vassallo d.C.d.G., II edizione migliorata, Tipografia Giovanni Ledda, Cagliari TASCA, Cecilia [a c. di] 2003 Manoscritti e Lingua sarda, Assessorato alla Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport – Servizio Beni Librari e Documentari, Editoria e Informazione, La Memoria Storica S.c.a.r.l., Cagliari TODA Y GÜELL, Eduardo 1890 Bibliografía española de Cerdeña, Tipografía de los Huérfanos, Madrid; rist. anastatica: Studio Editoriale Insubria, Milano 1979 TOLA, Pasquale 1837-38 Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna, 3 voll., Chirio e Mina, Torino; ora a c. di Manlio Brigaglia, Ilisso, Nuoro 2001 TOMASSETI, Isabella 1998 Tra intertestualità e interpretazione: i «decires a citazioni» del Cancioneiro geral di Garcia de Resende, «Rivista di Filologia e Letterature Ispaniche», I, pp. 63-100 TURTAS, Raimondo 1999 Storia della chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Città Nuova, Roma 2001 Alle origini della poesia religiosa popolare cantata in Sardegna, in TURTAS-ZICHI [a c. di] 2001 (II ed. 2004, pp. 11-25) VALLE, Rosaria 1923 I precursori del Ministro Bogino e le riforme in Sardegna, Cagliari 234 Régula castigliana VICENTE, Alfonso de 2007 Música, propaganda y reforma religiosa en los siglos XVI y XVII: cánticos para la “gente del vulgo” (1520-1620), «Studia Aurea»: www.studiaaurea.com, 1, pp. 1-41 VICO, Francisco de 2004 Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña [1639], a c. di Francesco Manconi, edizione di Marta Galiñanes Gallén, Centro di Studi Filologici Sardi / Cuec, Cagliari WAGNER, Max Leopold 1941 Historische Lautlehre des Sardischen, Max Niemeyer, Halle (Salle); trad. it. Fonetica storica del sardo, introduzione, traduzione e appendice di Giulio Paulis, Gianni Trois Editore, Cagliari 1984 1950 La lingua sarda. Storia, spirito e forma, Francke, Bern; ora a c. di Giulio Paulis, Ilisso, Nuoro 1997 1960-64 Dizionario etimologico sardo, C. Winter, Hidelberg ZICHI, Giancarlo 2001 Le raccolte dal XVI al XX secolo, in TURTAS-ZICHI (a c. di) 2001 (II ed. 2004, pp. 27-39) INDICE DEI TERMINI METRICI I numeri in corsivo indicano le pagine in cui i termini sono definiti o dove le forme cui si riferiscono sono trattate specificamente. Quando ritenuto necessario, per maggiore chiarezza e informazione, si è segnalata fra parentesi quadre la tradizione di provenienza del termine metrico: cat. = catalano; fr. = francese; it. = italiano; sd. = sardo; sp. = spagnolo. aliradas (strofe) [sd. e sp.], 18, 166, 167178 – vedi chimbina; lira garcilasiana; lira-sestina; ottava lira; sesta lira; sexteto-lira anisosillabismo, 12, 195, 204 arte mayor, 171 – verso de, 12 arte menor, 14, 21, 194, 203 assonanza, 22, 105, 164, 183 chintilla, 153 chintillia [= quintilla sp.], 153, 163-167, 170, 172 circumlatio, 35, 100, 106 cobla [cat.], 36, 64, 67, 68, 76 copla mixta, 159-160, 171 cople [it.], 76 crobbes, 36, 76 cuarteta, 67, 103, 104, 180, 183, 193-194 – asonantada, 183 ballata, 35, 49, 60-62 barzelletta, 60-62 battorina, 21, 97-104, 106, 109, 179, 180, 207 dansa, 35, 64 decasillabo, 24, 198 décima, 129, 150, 152 décima espinela, 17, 114, 117, 150, 151, 152 deghina, 180 – glosa, 78, 114-115, 117, 127, 128-135, 140-141, 163, 174 – simple [= décima espinela sp.], 117, 132, 150-152 – torrada, 31, 91 distico, 12, 14, 106, 107, 109, 110, 111, 177 cabeza, 44, 45, 71, 72, 160 camba torrada, 31, 78, 80, 90, 94 canción, 45, 103 – medieval, 21, 35, 71-75, 80 cantada, 105-111, 183, 185, 207 – distesa, 105, 183 – sinfonia, 105 cantiga, 35, 71 cantone torrada, 31-35, 45, 60- 61, 99, 100, 103, 106, 117, 149, 157, 179 – vedi battorina; deghina torrada; sesta torrada; ottava torrada canzone a ballo, 60-61 canzonetta, 18-19 chimbina (lira), 153, 167-172, 175, 180 – ghindada, 169 – lija, 169 chintiglia, 153 endecasillabo, 11, 12, 14, 21, 31, 87, 88, 90, 93, 94, 97, 149, 153, 155, 166, 167, 168, 169, 170, 171, 172, 174, 176, 178, 179, 181, 197, 198 enlace (verso de), 46 enlazadas (coplas), 192 estribillo, 24, 42, 45, 46, 92, 102, 103, 117, 118, 164, 165, 195 236 Régula castigliana Indice dei termini metrici finida, 160 frottola, 198 mutettu, 12, 202 mutu, 12, 31, 142 globu, 76 globulu, 76 glosa [o glossa in sd.], 18, 103, 104, 113141, 150, 157, 195 – de romance, 128 – vedi deghina glosa; mote glosado; ottava glosa glosa [cat.], 104 glossa [sd.], vedi glosa góbbula, 106, 107, 108, 110 gobbulos, 76 gobles, 76 gobles [sd. al maschile], 76 gobula [it.], 110 goigs, 12, 36, 62-69, 71, 73-77 gosos/goccius, 12, 21, 36-44, 50-58, 59, 62-71, 63-87, 89, 91, 99, 161, 172, 203, 204, 206, 207 gozos, 36, 46, 67, 68, 75, 76, 195 grobbes, 36, 76 noina torrada, 31, 60 nona torrada, 31 novena [sp.], 159 novena torrada, 31 novenario, 24, 25, 42, 194, 196 heptasíl·lab [cat.], 65, 104 istérria/istérrida, 31 lai [cat.], 194 lauda, 46-50, 52, 55, 198-199 lauda-serventese, 196 letra, 45 lira garcilasiana, 167-169, 172, 173, 174 lira-sestina [sp.], 173 longarina, 105 madrigale, 15-16, 61 marotico (verso), 19 martelliano (verso), 19 metrica comparata, 9-10 mote, 103 – glosado, 128 motto confetto, 198 mudanza, 46 octosílabo, 11, 198 ode-canzonetta, 18 ottava – glosa, 125, 128, 136-139, 140 – lira, 173, 177-178 – lira retroga, 142 – serrada [= ottava rima it., octava real sp.], 13, 14, 18, 21, 61, 77, 80, 86, 88, 90, 93, 94, 113, 118, 119, 120, 125, 126, 127, 130, 136, 138, 145-149, 150, 152, 153, 155, 156, 166, 169, 173, 174, 175, 178, 180 – toppa, 178 – torrada, 31, 50, 55, 58, 77, 87, 89-95, 102, 130, 149, 178 – arcaica, 55, 89 – maggiore, 90, 93-95 – minore, 89-91 ottonario, 11, 14, 21, 25, 31, 41, 44, 45, 57, 61, 89, 97, 104, 105, 110, 153, 155, 167, 172, 179, 180, 181, 182, 183, 184, 192, 193, 194, 195, 203, 204 parossitonia, 10 pentasílabo, 198 perqué [sp.], 108-110 pesada, 24-27, 31, 33, 34, 35, 37, 38, 40, 41, 42, 45, 50, 54, 55, 56, 73, 74, 78, 79, 80, 87, 88, 90, 92, 93, 94, 99, 100, 102, 103, 106, 109, 114, 117, 132, 133, 134, 135, 138, 139, 141, 149, 185 pie quebrado, 194 pie quebrado (copla de), 191, 192, 195, 204 pie quebrado (regla de), 198 quadrisillabo, 182, 186, 192, 194, 197, 198 quartetta, 97, 120, 140, 157, 179, 180-185, 188, 193, 203 quartetta caudata, 19, 130, 152, 182, 186207 quartina, 171, 179, 182, 188, 189, 194 quinario, 19, 24, 182, 186, 188, 192, 193, 194, 196, 197 quinta lira, 169 quintas, 157 quinteto, 155 quinteto de arte mayor, 171 quintil [fr.], 160 quintilla, 110, 153-167, 169, 171, 172, 192 quinto, 157, 160 redondiglia [sd.], 193 redondilla, 16, 45, 110, 111, 114, 129, 157, 159, 160, 165, 182-183, 193, 194 represa, 44, 45, 103 respost, 63, 64, 66, 67, 68 retrocado, 109 retroga, 109, 141-142, 169, 170 retronxa, 64, 66, 68 rimalmezzo, 197 ripresa (di ballata), 24, 31, 35, 49, 61, 64, 80 rithmus caudatus coincidens, 196 rithmus caudatus continens, 196 rodondiglia [sd.], 188, 189, 193, 196 romance, 22, 42, 105, 183 savioliana (quartina), 19, 184 seguidilla, 21, 164 senario, 47, 56, 57, 58 – doppio, 12, 57 sequenza, 35, 195 serrada (strofa), 149 serventese, 196, 199 – caudato, 196 sesta – lira [= sexteto-lira o lira-sestina sp.], 16, 120, 130, 149, 173-178 237 – lira retroga, 169-170 – serrada [= sesta rima it.; sexta rima sp.], 100, 148-149, 174, 178 – torrada, 31-41, 44, 45, 46, 50, 52-56, 58, 62, 73, 77-88, 89, 90, 91, 94, 99, 102, 118, 130, 133, 134, 135, 149, 178 sesta rima, 148-149 sestina lirica [it.], 61 settenario, 19, 24, 31, 120, 149, 153, 166, 167, 168, 169, 171, 172, 176, 178, 179, 181, 182, 184, 186, 188, 194, 197, 198, 204 sexta rima, 148-149 sexteto-lira, 173-174 sinalefe, 198 sonetto, 10, 13, 14, 15, 18, 21, 61, 77, 130, 153, 154, 156 stichovedenie (‘scienza del verso’), 9 strofa oratoria, 199 strofica comparata, 9-10 taja, 101 tasa, 12, 13 tasgia, 12 tasi, 12, 13 taya, 12 tazha, 12 tema, 31, 34, 87 terza rima, 14, 21, 61, 155, 156, 190 terzetto, 195, 197 terzinas, 180, 188, 189, 190, 196 tetrasílabo, 198 texto, 113, 114, 128, 129 tornada [cat.], 66, 67, 68, 76 torrada, 24, 26, 31, 37, 38, 40, 41, 46, 56, 60, 61, 72, 74, 76, 78, 79, 80, 87, 88, 89, 90, 99, 100, 118, 133, 135, 136, 137, 138, 139, 174, 207 – bortada, 56 torradas (forme), 21, 34, 35, 40, 43, 44 – vedi cantone torrada trobeadu (verso), 140, 142 varianti (versi), 142 238 Régula castigliana viadera/viadeyra, 12 villancico, 18, 21, 35, 36, 41, 42, 44-46, 52, 55, 56, 57, 58, 60, 62, 72, 73, 75, 77, 79, 91, 102, 103, 109, 129, 135 virelai [fr.], 35 vuelta, 10, 46 INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI Si escludono i nomi contenuti in Bibliografia. Per i luoghi l’indicazione si limita ai testi e alle opere di cui si è trattato sotto il profilo metrico-formale. zadjal/zéjel, 35 zagialesca (strofa), 49, 195 zingaresca, 19, 197-199, 202, 203 Anonimi A Bartolomé esta uez, 164 Ad aquell que yo vull bé, 77 Altissimu Redemptore, 85 Altissimu Redentore, 53 Amigos ya mi isquides, 173 Anna prenda de valor, 80 Apartadi de peccare, 52 Apostolicu pastore, 81 A qui demo laudare, 48 A Sa Reyna Maria, 84 Assoluta imperadora, 81 Astru divinu fulgente, 82 Atención que hablo de veras, 182 Auto de la paciencia de Job, 171 Ave Maria, tu sei di grazia piena, 200 Bellesa singulare, 174 Benignu et dulque Señore, 83 Beniñu dulque Señore, 53 Bois segis santu Perladu, 82 Cæleste, virde olia, 82 Cale es su coro induradu, 54 Cantar linda letra es justo, 182 Cantarem ab viva fe, 66 Cantaremos vuestros llores, 71 Cantemos con suauedad, 82 Canteus totus cun amore, 84 Considera, alma perdida, 182 Contempla coro induradu, 52, 81 Continu vivo attristada, (vedi Madau, Matteo) Corre, Gil, verás, 58 Cosa me mandan bien recia, 182 Cristos est lughe divina, 40, 42 Cun allegria, & cuntentu, 80 Cun dolore e linba canta, 52 Cun jubilu sublimadu, 82 Cun meda pena & dolore, 83 Cun tristura, et agonia, 52 Custu est su caminu divinu, 42, 86 Custu est tempus de salude, 84 Dae s’alta immensa gloria, 84 Dai su primu die, 174 Dau remei al que·l demana, 67 De Ignacio la santidad, 182 De Rhythmico Dictamine, 196 Destruide dogni guerra, 52 Déus te sal, Maria, 195 Deus ti salvet Maria, 20, 186, 191, 199, 200201, 205-207 Deus ti salvet, Reina, 190, 197 Dialogo familiar entre un Religioso poeta de los pobres de la Madre de Dios de la Escuela Pia, y el Barbero cubicular del Convento, 16 Dies irae. dies illa, 118 Dio ti salue sancta croçe, 48 Dio ti salvi, o Maria, 191, 200-201 (vedi anche Innocenti, Innocenzo) Dio vi salvi Regina, 202 Dolce felice notte, 202 Domni campu si est allegradu, 84 El destierro de Agar, 161 El finamiento de Jacob, 161 El sacrificio de Abraham, 161 En el cielo coronada, 26, 70, 82 En graues acentos mueua, 182 En lo mon si fos dotada, 63, 64 En lo món, pus fos dotade, 64 Entre espinas sois la Rosa, 71, 85 Este es el camino divino, 42-43 Et comente det istare, 84 Et prite inclavadu, 53, 56 Et prite Señore, 58, 85 240 Régula castigliana Indice dei nomi e dei luoghi Faltaddi so l’alimenti (sesta torrada), 133134 Faltaddi so l’alimenti (deghina glosa), 134 Fantasticu puzone, 175 Fatale dispedida, 174 Fine cando pesares, 173 Fonte de immensa piedade, 53 Oy’, palpé, gusté, vi y tuue olfato, 126 O sole qui das albergu, 53 O suave sacramentu, 53 O superbu inpertinente, 55-56, 86, 89 O tormentu insuportadu, O vera croce nostro Salvatore, 46, 47, 49, 76 O, virgine immaculada, 84 Già mi so isaminadu, 135-136 Palma in Cades fiorida, 25, 26, 70, 81 Para que con mucha luz, 182 Passadas sas dies mias, 33-34 Patriarcha victoriosu, 82 Penitente valerosu, 83 Perdonu, Deus meu, 190, 199, 206 Pius non m’hap’a fidare, 185 Platanu virde holorosu, 26, 70, 81 Principe glorificadu, 83 Proptetore peregrinu, 84 Pues à Iesus vuestro zelo, 73, 85 Pues que sois tan milagroso, 82 Pues que sois tan sublimado, 83 Puix de vostra carn sagrada, 68-69 Puix sou, senyora, la caixa, 77 Hay dulque Figiu, 58, 85 Historia de Juseppe hebreu, 203-204 Immensa magestade, 172 In custa die sagrada, 70, 83, In una turre inserrada, 82 Isto tantu atristadu, 170-171 Ja venin de Oriente, 84 Làssami sussegu, amore, 101 Lasset su homine su peccare, 80 Lastimade o’ quelos, 173 Laudatto Christo sia I, 47 Laudatto christo sia II, 48 Laudatto cristo sia III, 47 Lignu santu veneradu I, 53 Lignu Sanctu Veneradu II, 54 Lignu santu, & veneradu, 80, 85 Los desposorios de Isaac, 161 Los set gotxs recomptarem, 63 Luminare peregrinu, 83 Martyre glorificadu, 83 Mentras de chi sa sorte, 174 Mi coraçón desfallece, 121 Mi parto, vida mia, 174 Milagros de San Antonio, 46 Muza de sos cantares deleitosa, 145 Narade prite señore, 54, 55 Narali a chie t’hat nadu, 133 Nàschid’est su Messias, 172 Niño delicado, 58 No quiero, no quiero nada, 92, 102 Noi ti pregamo Jesu Christo I, 46, 47 Noi ti preghiamo Jesu Christo II, 47 Noli plusquam lacrymare, 70, 82 Non m’has cherfidu dar’abba, 101 O anima dolorosa, 54 O, apostolu sagradu, 81 O devota cunfraria, 50-51 O, Deuota Confraria, 85 Oh trista lissenziada, 175 Oigan, sepan, entiendan, 164-165 Quale pius mama penosa, 54 Quando te vidi ferire, 48 Quanta afflitta & congogosa, 54 Qui bella missió, 207 Qui tè anguila per la cua, 77 Quién hubiese tal ventura, 105 Radiante sole diuinu, 82 Rayu biuu soberanu, 81 Ranquidos pensamentos, 173, 174 Reuocade sa sentencia, 81 Rompa sonora mi voz, 182 Sa die de mesu martu, 142 Salue Regina sagrada, 83 Santu Luxoriu auocadu, 83 Sempre in sa celeste gloria, 81 Serenissima aurora, 70, 81, Si canto a mil maravillas, 182 Si hay universidad aqui fundada, 147 Si queret su Christianu, 83 Sole de doradu mantu, 82 Soy gran pecador, 58 Spiritu santu sagradu, 84 Su coro si mi istracat de dolore, 145 Su quelu cun resplandore, 70, 81 Su qui resta di tutu l’universu, 145 Suspiros mios andade, 99-100, 103 Suspiros mios bolade, 97, 99 Ti supplicamus Señore, 80 Todos dan por assentado, 182 Trista die qui ispetamus, 37-38, 53 Tue qui in su apostoladu, 81 Ue ses anghela umana, 78 Valorosu Capitanu, 36-37 Venitte tuti a la croce, 48 Vida de San Antonio abbad, 146 Virgine santa obumbrada, 54 Achena, Gavino, 206 Acutis, Cesare, 40 Affò, Ireneo, 197 Ageno, Federico, 145 Alagón, Pedro de, 182 Alaleona, Domenico, 205 Alcover, Antoni Maria, 36, 128 Alonso, Dámaso, 168 Alvaru, Francesco, 177-178 Bona notte, sirena, 177-178 Alziator, Francesco, 65, 98, 175, 177 Animuccia, Giovanni, 199 Araolla, Gerolamo, 13, 14, 21, 61, 145, 146, 153-156, 158, 164 Rimas diversas spirituales, 13, 14, 145, 153, 154, 156 A la Misma, 153 De sa Incarnatione de su Segnore nostru Iesu Christu, 145 Discursu de sa miseria humana, 145 Redemptor del alma mía, 153-155 Risposta a una littera de su Conte de Elda Don Iuan Coloma, 156 Scender qua giù da gli stellanti chiostri, 154 Soneto por la muerte de Don Iuan Coloma Conde de Elda, 156 Sa vida, su martirio, et morte dessos gloriosos martires Gavinu, Brothu et Gianuari, 14, 145, 155-156 Arca, Antioco del, 15 Arce, Joaquin, 15, 23 Armangué, Joan, 207 Arquer, Sigismondo, 65 Arriaza, Juan Bautista, 178 Artufel, Dámaso, 72 Arullani, Vittorio Amedeo, 87, 184 Astesan, Iacopo F. Tommaso, 151 241 Astráin, Antonio, 41 Bacallar, Vicente, 15, 146 Isco chi tenes, bella, in caneria, 146 Los Tobias, 146 Baehr, Rudolf, 45, 46, 57, 71, 105, 109, 114, 148, 154, 155, 160, 165 Balbín, Rafael de, 57, 117 Balsamo, Luigi, 156 Barberino, Francesco da, 110 Barbieri, Edoardo, 145 Basciu Puddu, Padre, 188 Bellorini, Egidio, 97, 99, 101 Beltrami, Pietro G., 49, 110, 196 Beltrán Pepió, Vicente, 10 Bertini, Giovanni Maria, 40 Blasco Ferrer, Eduardo, 128 Bogino, Giambattista Lorenzo, 16 Bolea, Jacinto Arnal de, 15 Boscán, Juan, 14, 146 Bover i Font, August, 63, 67, 68, 69, 161 Branca, Sebastiano, 130-132, 133 Divilu a qua t’ha mandatu, 130-132 Brevini, Franco, 203 Brondo, Antioco, 66 Bua, Mimmo, 142 Bullegas, Sergio, 13, 19, 69, 70, 73, 80, 146, 156, 157, 165, 175, 185 Buragna, Carlo, 15 Caddeo, Celestino, 172 Rusticos molinarzos, 172 Campo Tejedor, Alberto del, 21, 147 Canelles, Nicolò, 156 Cano, Antonio, 11-12, 14 Sa Vitta et sa Morte, et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu, 11-12, 14 Cao, Gavino, 17 Caramuel, Juan, 127, 129, 148, 149 Carducci, Giosue, 199, 200 Caria, Clemente, 50 Carmona, Juan Francisco, 15, 67, 75, 183 Alabanças de los santos de Sardeña, 67, 75, 183 242 Régula castigliana Con memoria eterna fuistes, 75 De aquesta villa joyel, 75 Dichosa suerte he tenido, 183 En este campo dichozo, 75 Martir de dios escogido, 75 O Virgen del santuario, 75 Por estas siete Estasiones, 75 Carretto, Maria Maddalena, 204 Carru Maurizio, 73, 165-166, 175 Comedia de la Sacratissima Passion, 165166, 175 Carrus, Maurizio (vedi Carru, Maurizio) Casapullo, Rosa, 113 Castillejo, Cristóbal de, 155 Reprensión contra los poetas españoles, 155 Castro, Adolfo de, 150 Cerrón Puga, Maria Luisa, 113 Cervantes, Miguel de, 125 La Galatea, 125 Cerverí de Girona, 12 Ceserani, Remo, 23 Cherchi, Pietro, 142 Ojos, coment’istades?, 142 Chessa Cappai, Gian Pietro, 98-99, 175, 177 Comedia di San Luxorio, 98-99, 175, 177 Chiabrera, Gabriello, 18 Cid, Miguel, 70, 72, 84 Todo el mundo en general, 70, 72, 84 Ciociola, Claudio, 196 Cirese, Alberto Mario, 12, 21, 62, 97, 106, 142, 197 Clarke, Dorothy Clotelle, 157, 160 Cocco, Gavino, 151 Perdona sa libertade, 151 Coloma, Antonio, 153, 156 Coloma, Juan, 156 Cantico de la Resurrecion de nuestro Señor Jesu Christo, 156 Decada de la passion de nuestro Señor Jesu Christo, 156 Coloma, Juana, 153 Colonna, Vittoria, 14 Congiu, Raimondo, 19, 166, 172, 175, 204 Indice dei nomi e dei luoghi Sa Passione, 19, 166, 172, 175, 204 Conìa, Giovanni, 203 Canzona faceta, 203 Contini, Gianfranco, 9 Contu, Giovanni Maria, 73-74 Novenariu, 73-74 – O coru divinizadu!, 74 Corrias, Giuliano, 39 Cossiga, Francesco Maria, 91 Humanos, deh! Cunfortade, 91 Cossu, Giuseppe, 196 Cossu, Salvatore, 181 Costa, Enrico, 16, 130, 132 Cottes, Ludovico, 39 Crescimbeni, Giovanni Mario, 197 Croce, Benedetto, 23 Cruz, Juana Inés de la, 146, 152 Cubeddu, Gian Pietro Padre Luca, 18, 93-94, 182 Clori bella, 18 Custu fiore, 18 In disizos de t’ider, 94 Ninfas, sas pius bellas, 94 Non lu poto, e m’obligas, 94 Pro te, 94 Sa corrincia, 94 Si fit a modu de tinde furare, 93-94 Su leone ei s’ainu, 94 Tres rosas, 94 Unu bentu infuriadu, 18 Cubeddu, Mario, 206 D’Agostino, Alfonso, 127 Delitala, Pietro, 13, 15, 16, 21, 61 Rime diverse, 13 Ai dolci rai d’un elevato sole, 61 Apollo - o Euterpe, o Talia, 16 Diedi il mio vago Aprile a fier tiranno, 15-16 Delitala y Castelví, José, 15-16, 40, 146 Cima del Monte Parnaso Español, 40, 146 Dices que amor es niño, y yo lo creo, 16 Jilguerillo si dejas, 16 Lisida tus ojuelos, 16 Poema Epico y Sagrado a la Vida de San Gerónimo, 146 Della Marmora, Alberto, 196 Della Valle, Giuliana, 152 Delogu Ibba, Giovanni, 56, 85, 118-121, 150, 166, 172, 175, 176, 183, 194 Index libri vitae, 56 Parte VI, 85-86 A la dolorosissima Virgen de la Piedad, 150 Pro Christos à fita fita, 56 Parte VII (Tragedia in su Isclavamentu), 166, 172, 175, 176, 183, 194 Glosa, 118-121 Prologo, 150 Redondillas subra sa passione recopilada, 183 Demontis Licheri, Antonio, 206 Deplano, Andrea, 142 Dettori, Bardilio, 132 Dionisotti, Carlo, 59 Domínguez Caparrós, José, 10, 45, 109, 154, 194 Dore, Giovanni, 172, 191, 205 Durante, Pier, 149 Leandra, 149 Elías de Tejada, Francisco, 23 Encina, Juan del, 108, 109 Cancionero, 108 Dezid vida de mi vida, 108 Ningun cobro ni remedio, 109 Escrivà, Jacme, 91 Pus que demandat m’avets, 91-92 Espinel, Vicente, 114 Diversas rimas, 114 Esquirro, Serafino, 15, 67, 68, 75, 161, 162-163 Santuario de Cáller, 15, 67, 75, 162-163 Esterzili, Fray Antonio Maria da, 78, 156, 157, 158, 159, 160, 161, 165, 171, 175, 192, 193, 203, 204 Libro de Comedias, 156-157, 160, 165, 175 Comedia de la Passion de nuestro señor Jesu Cristo, 157, 158-159, 161, 165, 171-172, 192-193, 203, 204 Conçueta del Nacimiento de Christo, 78-79, 159 Representaciòn de la comedia del desenclavamiento de la cruz de Jesù Christo nuestro Señor, 159-160, 165 Versos que se representan el Dia de la Resurrecion, 156-157 243 Fagiuoli, Giovanni Battista Commedie, 198 Falchi Massidda, Anna Maria, 140-141 Glossas, 140-141 Farris, Proto, 132, 133 Divilu, a qua t’ha mandatu, 132 Ferraro, Giuseppe, 35 Fiamma, Gabriel, 14 Figueroa, Beatriz de, 14 Filia, Damiano, 204, 206 Filippo IV, 173 Fitzmaurice-Kelly, James, 168 Flórez, Andrés, 41 Fornasaro, Fortunato, 200 Fowler, Rowena, 10 Frenk Alatorre, Margit, 103 Galcerino, Giovanni Maria, 156 Ganga, Francesco, 202 Sa fide la professo, 202 Gargano, Antonio, 168 Garzia, Raffa, 60- 62 Gasparov, Michail, 9, 64 Geronimo, Francesco de, 202 Dio vi salvi Regina, 202 Gigli, Girolamo, 197 Giustinian, Leonardo, 60 Gómez Bravo, Ana María, 44, 91 González, Fray Diego Tadeo, 178 Gorni, Guglielmo, 61 Gregorio XIII, papa, 199 Guadagnoli, Antonio, 149 Guzmán, Diego de, 42 Herrera, Cristóbal Perez de, 110 Innocenti, Innocenzo, 191, 200 Dio ti salvi, o Maria, 191, 200 Jakobson, Roman, 9 Janner, Hans, 113, 116, 121, 129, 130, 140 Juan De Ávila, santo, 41 Juan de la Cruz, Santo, 169 Keniston, Hayward, 168 244 Régula castigliana Laloux, Joseph, 43 Le Gentil, Pierre, 10, 160 León, Fray Luis de, 169, 173 Licheri, Bonaventura, 86, 167, 169, 172, 205-206 Immensa magestade I, 167, 169 Immensa magestade II, 169 O mannu sacramentu, 169 Lo Frasso, Antonio de, 44, 45, 122, 125, 126, 128, 157, 160, 192 Los diez Libros de Fortuna d’Amor, 44, 45, 157, 160, 192 Di Bras que te tiene muerto, 45 Mudende ateru quelu ateru istadu, 122126, 128 Ojuelos graciosos, 45 Soys tan cruel omicida, 45 Tanto te miran mis ojos, 44 Loarte, Gaspar, 42 Lovicu, Giovanni, 39 Maccarani, Allì di, 134 Madau, Matteo, 31, 34, 77, 90, 91, 102, 107, 114, 127, 130, 135, 146, 163, 164, 165, 167, 168, 174, 178, 180, 181, 184, 187, 188, 190 A su nascher Jesus, 187 Continu vivo attristada, 77-78, 90 Disfrassadu in unu Moro, 180-181 Eo credo in unu Deus, 187, 188 In aspera muntagna, 168 Ja’ mi so examinadu, 135 Jesu, amante Redentore, 77 Lassami, amore, in sussegu, 31-33, 77, 102 Laudemus su Creadore, 187, 188 Lu podias haer pensadu, 163-164 Mi nd’hapo a affligire meda, 77 O vida, sa chi peléo, 77 Presa so, corsaria mia, 77 Sa chi fui ancora so, 77 Sa Corsaria de sos coros, 114-115 Tentende stat un’astore, 77 Una amorosa porfia, 77 Madeddu, Giovanni Battista, 74, 86, 118, 120, 175, 181, 191, 206 Varios canticos, 86, 206 Ave de su Mare istella (parafrasi della Indice dei nomi e dei luoghi Ave Maris Stella), 120, 181 Cantu podes esalta, limba mia (parafrasi del Pange lingua gloriosi), 120 Comedia sacra a sa Resurrezione de Jesu Christu, 176 De sa Rughe a su pè, 181-182 Glosa de su Dies Irae, 118-119, 120 Mentras su eternu pastore, 74 Salve, Mamma divina (parafrasi della Salve Regina), 121 Sa mama desolada (parafrasi dello Stabat mater dolorosa), 121 Sa victima pasquale (versione del Victimae pascalis laudes), 181 Sos actos theologales, 181 Universale Pastore, 74 Vida di San Nicola, 175-176 Magnani, Franca, 197, 198 Malipiero, Girolamo, 14 Manconi, Francesco, 68 Maninchedda, Paolo, 12, 125 Mannu, Francesco Ignazio, 87 Non fettas, superbu riu, 87 Manunta, Francesc, 69 Marangone, Bernardo, 13 March, Ausias, 194 A Déu siau, vós, mon delit, 194 Mari, Giovanni, 60, 62, 196 Marot, Clément, 19 Marotto, Pasquale, 39 Marras, G., 191 Marras, Gianna Carla, 146 Martello, Pier Iacopo, 19 Matelica, Giovan Battista, 113 Mattu Salis, Antonio, 190 Virgine bella chi de su segnore, 190 Medici, Lorenzo de’, detto il Magnifico, 60-61 Canzona di Bacco, 60-61 Meillet, Antoine, 9 Mele, Diego, 202, 203 Oh pena dolorosa, 202-203 Mele, Giampaolo, 37, 65, 67, 109, 203 Meloni Satta, Pietro, 203 Meneghetti, Maria Luisa, 10 Mesina, Nicolò, 169-170 Cum internu dolore, 169-170 Michi, Giambattista, 201-202 Mitrani, David, 152 Moll, Francesc de Borja, 36, 128 Monauni, Giambattista, 201 Morelli, Renato, 201, 202 Mossa, Paolo, 91, 127, 141-142 Sa bellesa de Clori, 141-142 Sa tempesta, 91 Una noa grascia, 127, 141 Mulas, Andrea, 35, 88, 136, 138, 142, 148 Munari, Giuseppe, 39 Mureddu, Donatella, 161 Muro, Julían, 182 Navarro Tomás, Tomás, 42, 45, 46, 71, 109, 110, 128, 129, 140, 148, 154, 155, 157, 160, 161, 168, 171, 173, 174, 178, 183, 194, 195, 198 Neri, Filippo, Santo, 16, 199 Núñez de Reinoso, Alonso, 113 Nuvoloni, Giulio, 113 Obino, Giorgio, 67 Othieri, Fra’ Gavinu de, 190, 206 Ozieri, Fra’ Pietro Maria di, 188 Mira, ite bellu coro!, 188-189 Paba, Tonina, 15, 40, 58, 103, 126, 165 Pagés, Amédée, 64 Palmas, Gavino, 191 Pani, Giuseppe, 58 Zeleste tesoro, 58 Pastor Fuster, Justo, 63 Patta, Sebastiano, 191, 206 Patteri, Nazario, 39 Paulis, Giulio, 12, 13 Paulus de Heredia, 145 Pedro de los Reyes, Fray, 126 Pelaggi, Bruno Mastru Brunnu, 203 Alla luna, 203 Petrarca, Francesco, 61 Rerum Vulgarium Fragmenta XI, 61 XIV, 61 LV, 61 LXIII, 61 CXLIX, 61 CCCXXIV, 61 Pintor Sirigu, Efisio, 19 245 O Deus amabili, 19 Pirisinu, Antonio Giuseppe, 184-185 Benennidu, mastr’Antoni, 184-185 Pirodda, Giovanni, 15, 23, 59 Pischedda, Tommaso, 19 Pisurzi, Pietro, 94-95, 151 Ello a chie, ell’a chie si no a tie, 94-95 Porcu, Giancarlo, 11, 142 Purqueddu, Antonio, 17, 19, 151-152, 175, 183-184 Il tesoro della Sardegna, 175 Prefazione, 19, 183-184 Prosopopeia de sa Sardigna, 175 Si de milli poetas, 175 Viendo Oristan, que vezino, 17, 151-152 Quadrio, Francesco Saverio, 149, 197 Quevedo, Francisco de, 40 Quilis, Antonio, 45 Radole, Giuseppe, 200 Ravasini, Ines, 113, 116, 117, 120, 129 Razzi, Serafino, 198 Santuario di Laudi o vero rime spirituali, 198 Rengifo, Juan Diaz, 157 Reyes, Fray Pedro de los, 126 ¿Yo para qué nací? para saluarme, 126 Riccobon, Carlo, 200 Riquer, Martín de, 194 Rodríguez-Moñino, Antonio, 126 Romero Frías, Marina, 59 Romeu i Figueras, Josep, 12, 63, 64, 65, 77, 91, 194 Ronsard, Pierre de, 18 Rosa, Gianfranco, 142 Rosa, Mario, 199 Ruiz, Juan, 195 Libro de buen amor [33] Gozos de Santa María, 195 [1661] Ave María, gloriosa, 195 Ruzzu, Mario, 43 Salvi, Virginia, 113 Sambigucci, Gavino, 156 Sánchez Romeralo, Antonio, 45 246 Régula castigliana Sánchez Ungría, María José, 73 Sanhuesa Fonseca, María, 72 Sanjust, Maria Giovanna, 86 Sanseverino, Dianora, 113 Santillana, Íñigo López de Mendoza, marqués de, 14 Sassu, Pietro, 106, 107, 108 Satta, Ignazio, 16-17 Indice dei nomi e dei luoghi Véante mis ojos, 57-58 Terracina, Laura, 113 Testi, Fulvio, 87, 173 A l’armento marino, 173 Già col lento suo plaustro, 173 Nato era Maggio, e lieti, 173 O nutrice d’eroi, 173 Ruscelletto orgoglioso, 87, 173 Vagabondo pensiero, 173 La larga expera de un bien deseado, 16-17 Partanse de Arborea los dolores, 16-17 Perdido ja el pastor, 16-17 Timoneda, Juan, 77 Amori, 184 Toccaceli, Dario, 39 Toda y Güell, Eduardo, 23, 147 Tola, Ciriaco Antonio, 17 Tola, Pasquale, 15, 132, 151 Tola, Salvatore, 203 Tolu, Giuseppe, 100-101 Satta, Salvatore, 202 Savioli Fontana, Ludovico, 184 Scoles, Emma, 113, 116, 120, 129 Seche, Giovanni Maria, 106-107 Illustrissimu segnore, 106-107 Serra i Baldó, Alfons, 63 Serra, Jaime, 109 Serra, Maurizio, 188 Silvestre, Gregorio, 121-122 Inmenso padre eternal, 121-122 Sole, Leonardo, 11 Sortes, Antonio, 15, 146 Relacion verdadera, 146 Sotgiu, Bernardino, 138, 139, 189 Anima isposa amada, 189 Pover’e me solitariu!, 138-139 Spaggiari, Barbara, 63, 65 Spano, Giovanni, 11, 18, 19, 33, 34, 36, 58, 76, 86, 87, 90, 91, 94, 99, 100, 101, 106, 108, 127, 130, 133, 138, 139, 140, 142, 147, 151, 164, 167, 169, 170, 174, 175, 177, 178, 180, 181, 182, 184, 185, 187, 188, 189, 190, 193, 196, 197, 198, 202, 204, 206 Spanu, Gian Nicola, 65 Sundas, Enrico M., 188, 205 Suñer, Sebastian, 15-16, 126 Miscellanea variarum Rerum, 15-16 Tasso, Bernardo, 168 Amori, 168 – O pastori felici, 168-169 Tenore e Cuncordu di Orosei, 56 Teresa de Jesús, Santa, 57-58 Cancionero llamado Flor de enamorados Ad aquell que yo vull bé, 77 Puix sou, senyora, la caixa, 77 Qui tè anguila per la cua, 77 Isco pro ti narrer: “Siccati!, 100-101 Sa campana pagu tinnit, 100-101 Tomasi, Franco, 14 Tomassetti, Isabella, 120 Tommaso da Celano, 118 Toro, Bernardo del, 72 Tostado, Alonso Fernández de Madrigal el, 120 Trubeckoj, Nikolaj Sergeeviã, 9 Turmeda, Anselm, 194 Llibre de bons amonestaments, 194 Turtas, Raimondo, 37, 38, 39, 41, 44, 161, 191 Urciolo, Raphael Gerard, 157 Valle, Rosaria, 204 Valls, Josep Bargalló, 36, 104, 194 Vargiu, Giovanni, 39 Vassallo, Francesco, 204 Vassallo, Giovanni Battista, 187, 188, 189, 190, 191, 204, 205, 206, 207 Deus bos salvet, Segnora, 189 Iddio è uno, e Trino, 205 Vega, Garcilaso de la, 14, 168 Ode ad florem Gnidi, 168 Vega, Lope de, 15, 72, 110, 125, 126, 129, 173 Las fortunas de Diana, 125 Los embustes de Celauro, 110 Atto III [476-546], 110-111 Segunda parte del desengaño del ombre ¿Yo para qué nací? para saluarme, 126 Larga cuenta que dar de tiempo largo, 126 Virgen Diuino sagrario («Hermosa Reyna del cielo»), 70, 71-72 Virgen Diuino sagrario («Llorad alma enternecida»), 71, 72 Virgen Diuino sagrario («El alegre son despierte»), 71, 72 Vicente, Alfonso de, 40, 41, 72 Vidal, Salvatore, 12-13, 145 Urania Sulcitana, 12-13, 145 Virdis, Antonio, 37, 39, 46, 49, 52, 76 Virdis, Maurizio, 23 Vittorio Amedeo II di Savoia, 204 Voiture, Vincent, 113 Wagner, Max Leopold, 127, 128, 157 Zaja, Paolo, 14 Zatrilla y Vico, José, 15, 146, 147 Poema heroico, 146 Zicconi Tanchis, Giuseppe, 88, 136, 139, 148 In tempus chi m’amàsa e chi t’amao, 148 Prite mi lassas in ragas de linu, 88 Tristu as, chiterra, su sonu, 136-138 Zichi, Giancarlo, 37 Zinato, Andrea, 14 Zirmunskij, Viktor Maksimovic, 9 247 Volumi pubblicati: Tascabili Grazia Deledda, Chiaroscuro Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto Grazia Deledda, Ferro e fuoco Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche (3a edizione) Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo (2a edizione) Maria Giacobbe, Il mare (3a edizione) Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri Giulio Angioni, L’oro di Fraus (2a edizione) Antonio Cossu, Il riscatto Bachisio Zizi, Greggi d’ira Ernst Jünger, Terra sarda Marcello Fois, Sempre caro (3a edizione) Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (3a edizione) Luciano Marrocu, Fáulas (2a edizione) Gianluca Floris, I maestri cantori D.H. Lawrence, Mare e Sardegna Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa (3a edizione) Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò (2a edizione) Giorgio Todde, Lo stato delle anime (4a edizione) Francesco Masala, Il parroco di Arasolè Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (3a edizione) Salvatore Niffoi, Cristolu (2a edizione) Giulio Angioni, Millant’anni Luciano Marrocu, Debrà Libanòs Giorgio Todde, La matta bestialità (2a edizione) Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri «in giallo» Marcello Fois, Materiali Maria Giacobbe, Diario di una maestrina Giuseppe Dessí, Paese d’ombre Francesco Abate, Il cattivo cronista (2a edizione) Gavino Ledda, Padre padrone Salvatore Niffoi, La sesta ora (2a edizione) Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz Gianni Marilotti, La quattordicesima commensale Giorgio Todde, Ει Luigi Pintor, Servabo Marcello Fois, Tamburini Francesco Abate, Ultima di campionato Patrick Chamoiseau, Texaco Luciano Marrocu, Scarpe rosse, tacchi a spillo Alberto Capitta, Creaturine Romano Ruju, Quel giorno a Buggerru Peppinu Mereu, Poesie complete (2a edizione) Francesco Masala, Poesias in duas limbas Maria Giacobbe, Le radici Patrick Chamoiseau, Il vecchio schiavo e il molosso Paolo Cherchi, Erostrati e astripeti Marcello Fois, Sangue dal cielo (3a edizione) Giorgio Todde, Paura e carne (3a edizione) Ricuore, testi di Massimo Carlotto, Raul Montanari, Enzo Fileno Carabba, Marcello Fois, Antonio Pascale, Carlo Lucarelli, Stefano Tassinari, Matteo Galiazzo, Giosuè Calaciura, Francesco Piccolo Giulio Angioni, Alba dei giorni bui Roberto Concu, Verità per verità Aldo Tanchis, L’anno senza estate Sergio Atzeni, I sogni della città bianca (2a edizione) Salvatore Satta, Il giorno del giudizio Nello Rubattu, Hanno morto a Vinnèpaitutti Antonio Pigliaru, Il codice della vendetta barbaricina Gonario Pinna, Memoriale d’un penalista sardo Alberto Mario Cirese, All’isola dei Sardi Thomas Münster, Parlane bene Giorgio Todde, L’occhiata letale (2a edizione) Giulio Angioni, Una ignota compagnia Mariangela Sedda, Oltremare (2a edizione) Rossana Copez, Si chiama Violante (2a edizione) Marcello Fois, L’altro mondo (2a edizione) Giorgio Todde, E quale amor non cambia (2a edizione) Narrativa Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito Marcello Fois, Nulla (3a edizione) Francesco Cucca, Muni rosa del Suf Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi Bachisio Zizi, Lettere da Orune Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia Giulio Angioni, Il gioco del mondo Aldo Tanchis, Pesi leggeri (2a edizione) Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quindici parabole Giulia Clarkson, La città d’acqua Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti Mariangela Sedda, Oltremare Rossana Copez, Si chiama Violante Rossana Carcassi, L’orafo Luciana Floris, La doppia radice Maria Giacobbe, Pòju Luàdu Alessandro De Roma, Vita e morte di Ludovico Lauter Alberto Capitta, Il cielo nevica Alessandra Neri, Nove mesi Giorgio Todde, Al caffè del silenzio Salvatore Niffoi, L’ultimo inverno Heman Zed, La cortina di marzapane Giulio Angioni, La pelle intera Francesco Abate, I ragazzi di città Annalena Manca, L’accademia degli scrittori muti Pier Paolo Giannubilo, Corpi estranei Aldo Tanchis, Una luce passeggera Poesia Giovanni Dettori, Amarante Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo Gigi Dessì, Il disegno Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza Serge Pey, Nierika o le memorie del quinto sole Saggistica Bruno Rombi, Salvatore Cambosu, cantore solitario Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in Pascale Dessanai Demetrio Paolin, Una tragedia negata. Il racconto degli anni di piombo nella narrativa italiana Giancarlo Porcu, Régula castigliana. Poesia sarda e metrica spagnola dal ’500 al ’700 FuoriCollana Salvatore Cambosu, I racconti Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre Alberto Masala - Massimo Golfieri, Mediterranea I Menhir Salvatore Cambosu, Miele amaro Antonio Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta barbaricina Giovanni Lilliu, La civiltà dei sardi Giulio Angioni, Sa laurera. Il lavoro contadino in Sardegna Sergio Atzeni, Scritti giornalistici (1966-1995) Libristante Giorgio Pisano, Lo strano caso del signor Mesina In coedizione con Edizioni Frassinelli Marcello Fois, Sempre caro Marcello Fois, Sangue dal cielo Marcello Fois, L’altro mondo Giorgio Todde, Lo stato delle anime Giorgio Todde, Paura e carne Giorgio Todde, L’occhiata letale Giorgio Todde, E quale amor non cambia Alberto Capitta, Creaturine Francesco Abate, Getsemani Francesco Abate, Ultima di campionato Finito di stampare nel mese di febbraio 2008 dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco (GE)